2° incontro dei Gruppi Famiglia nel Vicariato di C. di
Godego a Vallà
29 Ottobre 2000
Gli anziani dentro, a fianco o lontani dalla famiglia
Dott. Paolo TolomelliPREMESSA
Ci sono oggi molti pregiudizi sia culturali che personali a proposito degli anziani.
Pregiudizi, disinformazioni e trascuratezze legate fondamentalmente allimportanza
che la nostra società dà allefficienza psicofisica delle persone e di conseguenza
alla loro capacità di produrre.
Occorre tenerlo presente senza tuttavia metterci nella posizione di chi giudica ma di chi
ne prende atto. Non si tratta quindi di un problema morale o religioso. La disinformazione
è un fatto purtroppo molto diffuso anche negli individui giovani: raramente si trovano,
ad esempio, persone che conoscano la psico-affettività dellaltro sesso; questa poca
conoscenza spesso è una delle cause di crisi e fallimenti di tanti rapporti di coppia.
Nellanziano ci sono certamente delle modificazioni fisiologiche dovute alletà
che sono soltanto la conseguenza di modificazioni biologiche. Pensiamo ai
neurotrasmettitori cerebrali (sono stati studiati in questi ultimi 20 anni e daranno
sicuramente aperture e risultati nuovi) oppure allelasticità delle nostre
articolazioni (a settanta anni in una gara di corsa a piedi con i figli e nipoti si perde
sicuramente).
Per questo non si deve dire che uno a quelletà sia da gettare. Questo è un
po il rischio della mentalità contemporanea: siccome non si riesce ad essere più
brillanti, veloci, rapidi come i giovani allora non si vale più nulla. È una
generalizzazione fondamentalmente sbagliata perché invece non ci sono modificazioni nella
capacità di amare e di farsi amare.
Alla fine la felicità delluomo verso la quale tutti tendiamo, perché se non
tentassimo di essere felici saremmo da visita psichiatrica urgente, consiste
nellamare e nel farsi amare. E aggiungerei di più: molte persone anche brave sono
capaci di amare ma molto meno di farsi amare. Pensiamo a tante persone che dobbiamo
incontrare ma che vorremmo davvero evitare perché sono insopportabili. E il più delle
volte non sono persone della 3a e 4a età ma molto più giovani.
La trascuratezza ad esempio nel rapporto di coppia, il rischio di irrigidimento, di
abitudinarietà, mai capaci di novità, di sorpresa. "Gutta cavat lapidem"
dice il proverbio latino. Col passare degli anni questi comportamenti vengono vissuti come
dipendenza, come ostilità reciproca, oppure generano delusioni. Dice la donna: "Io
sognavo ben altro
". E luomo: "Cosa devo fare? Faccio di
tutto
". Questo è uno dei motivi per cui aumentano come unepidemia le
sindromi depressive. La caratteristica fondamentale della sindrome depressiva è
lattribuire ad un altro la colpa della propria insoddisfazione.
Occorre togliere dal nostro vocabolario la parola colpa perché quello che ci
unisce è la sofferenza e non la colpa. Stiamo male tutti e due nella coppia,
soffriamo tutti e due, solo che ognuno dei due sa perfettamente quello che deve fare
laltro, non ciò che deve fare lui. Perché io non mi devo dare una mossa?
La trascuratezza. Si usa pensare che, trovato moglie/marito o trovati gli
amici, non serva più curare il rapporto con le persone. Se non si comincia da giovani, in
seguito tutte queste cose peggiorano in maniera progressiva fino a diventare
insopportabili a coloro che ci vivono accanto.
Lanziano di per sé ha dei bisogni emotivi che non differiscono
sostanzialmente da quelli delle persone più giovani.
Cambiano solo due caratteristiche: lintensità dei bisogni, la possibilità di
soddisfarli. Cè alla base una perdita progressiva della flessibilità mentale
ancora più grave di quella muscolare o articolare, di adattarsi dal punto di vista
comportamentale.
Esiste una ricetta che ognuno può darsi da sé ed applicare a se stesso senza andare dal
medico: noi abbiamo flessibilità o siamo rigidi? Noi che siamo nella fascia
detà tra i 20 e i 50 anni riusciamo ad essere flessibili oppure andiamo
daccordo solo con quelli che la pensano come noi? Come medico psicoterapeuta mi
permetto di suggerirvi che questo è segno di invecchiamento precoce. È da qui che parte
la facilità di scivolare nellansia, nella depressione di cui si parlava. Esse sono
legate sostanzialmente ad una incapacità di adeguarsi alla situazione reale.
Dobbiamo continuare a chiederci come siamo capaci di adeguarci alle situazioni concrete,
reali, quotidiane, non a quelle campate in aria. Non si tratta di volere che gli altri si
comportino come noi vorremmo ma noi adeguarci alla situazione. La realtà concreta è
quella che è. Semplicemente è! Quando vediamo che la situazione, pian piano col
passare degli anni, ci sfugge di mano, ecco che interviene da un punto di vista
intrapsichico (come profonda convinzione interiore) un senso di inutilità, un senso di
frustrazione che sono segnali quasi simbolici di quella fine che molti identificano con la
morte. E la morte non fa piacere a nessuno. Ecco perché si diventa tristi dal mattino
alla sera, si vedono le cose più difficili di quello che sono. Ricordo che un grande
scrittore diceva: "Cerchiamo di cambiare un po ogni giorno le nostre
abitudini e rimarremo sempre giovani".
Possiamo ora entrare nel vivo del tema.
Mi è sembrato opportuno fare questa premessa per porre le basi proprio come quando si
costruisce un edificio occorre prima gettare delle solide fondamenta. Credo che ora sia
chiaro perché la vecchiaia è unetà particolarmente problematica. Dobbiamo
sottolineare la parola particolarmente perché tutte le età sono problematiche: la
fanciullezza, ladolescenza, anche la nostra età. La 3a e 4a età è particolarmente
problematica perché si fanno dei bilanci spesso conflittuali su ciò che si è realizzato
nella vita passata: nel lavoro, soprattutto negli affetti. Quante volte ho sentito dire:
io sono un fallito. A volte si trattava di persone che avevano fatto funzionare bene delle
intere aziende e fatto girare miliardi. Per noi è importante la vita affettiva, altro che
conto in banca! Al di là delle nostre credenze religiose e morali a volte siamo un
tantino esagerati nellattaccamento alle cose. Poi, un volta che siamo morti, le
lasciamo qui ed altri cercherà di lapidarle alla svelta. È lepoca delle revisioni,
delle scelte non fatte o fatte male, scelte fatte forse per impulsività, per comodo, per
paura. Sono quelle che nella logica psicologica si chiamano comportamenti di evitamento.
Si fa un lungo giro per non affrontare la realtà. Credo che sia utile chiedersi
qualè il nostro stile, la nostra abitudinarietà nel fare le scelte o nel
rifiutarle. Arrivati ad una certa età verranno a galla e ci faranno sentire felici e
potremo uscire da questi bilanci con una certa integrità, con una certa soddisfazione
psicologica, perché noi siamo ununità psicosomatica. Se siamo sereni dentro
anche il nostro corpo lo dice, altrimenti non ci sono cosmetici e creme che possano
alleviare la tristezza che traspare dal volto.
Nelle persone avanzate in età questa situazione è ancora più evidente e si può essere
sia persone realizzate, come pure deluse o persino disperate quando i bilanci risultano
troppo negativi. Quando non si regge più ecco la storia dei suicidi.
Si può allora capire il comportamento di tanti anziani e non, comunque di tante persone
che sentono un vuoto dentro di sé piuttosto pesante e tentano di chiudersi in maniera
difensiva nelle proprie pochezze. Uno psicanalista, non credente diceva: "Se il
nostro obiettivo quotidiano è lampliamento della nostra coscienza di esistere,
allora tutta la vita, fino allultimo respiro, acquista un senso". Siamo
abituati a sentire spesso, specie in ambienti cattolici, che la vita ha un senso, dal
concepimento fino allultimo respiro, ma se non cè un substrato che sostiene
questa frase, questa frase crolla. Nel mio lavoro ho visto tante donne disperate chiedere
laborto perché cera il vuoto della vita, cera la mancanza di senso.
Abbiamo questa coscienza di esistere? Ogni giornata, ogni ora è importante, è
significativa per noi e per quelli che vivono accanto a noi? In questo senso potremo
avere la nostalgia di quello che non abbiamo fatto di bene, di quellamore che non
abbiamo seminato.
Se alla sera, andando a letto, pensiamo serenamente, non in maniera ossessiva, alla
giornata trascorsa con le persone che potevamo far felici, aiutare, sollevare, scopriremo
tanta chiusura in noi stessi. Siamo tanto bravi a sottolineare i difetti degli altri! Ed i
loro lati positivi? Chi a questo mondo è senza difetti?
Questo sarebbe il secondo allenamento da fare da oggi in poi: sottolineare tutte le
volte che ci è possibile i pregi degli altri, le doti positive degli altri che
incontriamo, senza esagerazioni e bugie. Tralasciamo per domani i lati negativi.
Un detto di un rabbino del 700 Zwirsh, della città di Tompson diceva: "La
vecchiaia non è esclusivamente in relazione al numero degli anni". Infatti si è
vecchi o giovani non per lanagrafe ma per la ricchezza interiore e la capacità di
libertà interiore. Si impone allora unaltra domanda: io riesco ad essere libero?
Non la libertà dei ragazzini che intendono "ciò che piace"; è un po
questa la mentalità moderna. Altri dicono che la propria libertà finisce là dove inizia
quella degli altri. È vero ma non ancora sufficiente. Abbiamo la libertà di cambiare, di
restare giovani, di rinnovarci ogni giorno. Questa sì che è vera libertà! Non il
pretendere che cambino gli altri, quelle sono aspettative che saranno puntualmente
destinate a cocenti delusioni.
Per arrivare al cuore della questione, il tema di oggi riguarda appunto
anche noi non soltanto la 3a e 4a età.
Siamo noi i soggetti del tema che stiamo trattando.
Tutti dobbiamo educarci allimpegno, in qualsiasi età, di renderci consapevoli e di
rendere gli anziani consapevoli dei doni che tutti abbiamo, delle potenzialità di ognuno,
perché se uno non ne è consapevole non le può utilizzare. Una persona potrebbe aver
ereditato una fortuna, ma se nessuno glielo comunica, continuerà a vivere nella povertà
pur con i miliardi in banca. Noi siamo consapevoli dei doni che abbiamo, delle nostre
attitudini e di quelle degli anziani con i quali abbiamo a che fare? Conosciamo il loro e
il nostro ruolo nella vita? Sono doni da valorizzare e da ridonare agli altri.
Ricordo una frase di G. Paolo II poco più di un mese fa al giubileo degli anziani: "Ogni
stagione della vita umana ha le sue specifiche ricchezze per metterle a disposizione di
tutti."
Ma se queste ricchezze non le conosciamo come facciamo a metterle a disposizione?
Nel Vangelo di Marco (C. 10) cè il racconto della guarigione di Bartimeo. Gesù
stava per salire a Gerusalemme e sapeva bene quello che lo attendeva. Lo aveva detto e
ridetto, ma quelli niente. Discutevano chi doveva stare a destra e a sinistra nei posti
più importanti. Questo ci insegna a non lamentarci. Al posto di Gesù noi li avremmo
mandati tutti a casa perché dopo tre anni che erano con lui non avevano ancora capito
niente. Tante volte noi pretendiamo che gli altri capiscano tutto: a casa mia mi
dovrebbero capire perché io sono sensibile
Ossia: a me è lecito tutto e gli
altri devono tacere perché sono fatto così.
Per tornare al Vangelo di Marco, cè questo cieco che è prima di tutto
consapevole delle possibilità di salvezza in chi gli sta passando vicino e ci crede. Due
passaggi anche dal punto di vista umano e psicologico:
1. se non siamo consapevoli,
2. se non ci crediamo,
restiamo sempre ciechi.
Quando Gesù è a portata di voce il cieco urla e poi si dà da fare (butta via il
mantello) per meritare questa salvezza.
E interessante applicare questo episodio alla nostra vita quotidiana perché è
abituale oggi rilevare i bisogni materiali delle persone anziane ed è giusto, però
viviamo in un contesto culturale che si accontenta di questo. La nostra è una società
materialista, efficientista, consumista. Gli anziani sono importanti perché hanno soldi
da spendere. Quali sono le offerte per la terza età? Viaggi invernali, vacanze in
riviera. Sono cose di per se buone purché non siano fine a se stesse; non faranno felice
nessuno. Senza farne colpa a nessuno la nostra è una società edonista e tutto questo
sfocia fatalmente nellemarginazione degli stessi anziani e nella dimenticanza dei
bisogni più profondi. Victor Hugò diceva che i vecchi hanno bisogno di affetti come del
sole. Ottima cosa mandarli a passare una vacanza al mare, ma è questo il loro bisogno
più profondo? Noi siamo abituati a sfogare la nostra anima raccontando quanto gli altri
ci fanno o ci hanno fatto soffrire. Pensate di quante cose, di quante persone, di quanti
fatti ci lamentiamo.
E che la nostra capacità di comprensione, la nostra disponibilità ad agire in
maniera congrua è fondamentalmente determinata dal nostro atteggiamento interiore di
benevolenza.
Nella Lettera agli Efesini, (Cap. 4) S.Paolo dice: "Rivestitevi di benevolenza".
Questa espressione è legata ad altre parole che dice il Signore: "Sarete
giudicati con la stessa misura che avrete giudicato gli altri". Non è che questo
ci venga poi nuovo. Spesso invece noi diciamo: se sapessi come va a finire?! Il
Signore ci ha detto chiaro come va a finire, solo che noi siamo presi da tante
preoccupazioni che a volte ce ne dimentichiamo.
Che cosa vuol dire essere benevoli? Significa: dire bene degli altri. Quando ce la
leghiamo al dito, quando ci rimane una profonda avversione per delle situazioni che ci
hanno fatto star male, è qui che siamo vecchi anche a 20 anni. Non è che gli altri hanno
fatto bene a farci del male, sia chiaro, ma noi non siamo tanto bravi da lasciar perdere e
dimenticare. Però siamo pronti a dimenticare il bene che gli altri ci hanno fatto, le
gentilezze che ci hanno usato.
Allora anche nei confronti degli anziani è evidente che non abbiamo occhi che sanno
vedere, orecchi che sanno ascoltare, mani che sanno riscaldare, parole di incoraggiamento.
Ossia non siamo capaci di diventare per loro lampade accese, punti di riferimento, persone
che sanno accogliere.