4° incontro dei Gruppi Famiglia nel Vicariato di C. di Godego a Vallà
21 Gennaio 2001

Crisi della coppia e della famiglia
Analisi dei motivi e dinamiche di prevenzione e di sostegno

Luigi Ghia
Nel Consultorio Familiare in cui svolgo attività di consulenza sociologica, arrivano un giorno Matteo e Sandra. 35 anni lui, 32 lei. Sandra ha frequentato il Liceo Classico, poi è andata all'Università e si è laureata in Lingue: 110 e lode. E' stata due anni in Inghilterra per migliorare il suo inglese. Ora insegna in un Liceo della città. Ha vari interessi culturali, le piace viaggiare, andare al cinema e a teatro. Vuole avere figli. Lui, Matteo, è geometra. A scuola non era bravo, ma suo padre possiede un'azienda ben avviata. Così oggi fa il lattoniere, come piccolo imprenditore. Lavora molto, guadagna bene. Si sono conosciuti tre anni fa in un gruppo parrocchiale. Il classico "colpo di fulmine": un anno e mezzo di fidanzamento, poi si sono sposati. Non hanno figli. Sono venuti in Consultorio perché hanno deciso di separarsi. Matteo non ha un'altra donna, né Sandra un altro uomo. Non si sono mai traditi. Neppure insultati. Forse si vogliono ancora bene. Perché vogliono separarsi? Non lo sanno neppure loro, avvertono una sorta di malessere diffuso nella loro relazione. Così non può andare avanti. Sandra riferisce le parole di sua madre. "Lui non è degno di te. Pensa solo al suo lavoro e non rispetta i tuoi interessi". Matteo lo sfogo di suo padre. "Hai voluto fare di testa tua? Ora arrangiati". Riferiscono anche le parole del loro parroco. "Non riesco a pensare che due ragazzi come voi, che vengono a messa tutte le settimane, che partecipano agli incontri di formazione, possano separarsi. Che esempio siete per gli altri?".

Nel nostro Consultorio è molto frequente vedere capitare delle coppie in crisi. Il caso di Matteo e Sandra è però piuttosto raro. In genere marito e moglie non arrivano assieme. Il più delle volte arriva la donna. Il tutto inizia spesso con una telefonata: "Ho bisogno di sfogarmi con qualcuno che mi capisca. Non ce la faccio più". Le viene fissato un appuntamento per un primo colloquio. "Non ci capiamo più. Siamo diventati estranei..." "Ci siamo allontanati...." "Ci siamo scoperti diversi da come avevamo creduto..." "Mio marito, che prima amava me, la casa e i bambini, ora ha un'altra donna. Per lui non conto più nulla…". Potremmo continuare. Il lavoro del consulente, allora, inizia proprio col tentare di rimettere ordine in un accavallarsi di sentimenti e di emozioni. Occorre mettere a fuoco il problema: si tratta dell'incapacità di uno dei partner o di entrambi di impegnarsi in una relazione, per ragioni psicologiche, biografiche? oppure ci si trova all'interno di una dinamica di coppia che presenta aspetti di immaturità? oppure ancora sono intervenuti degli eventi nella vita matrimoniale e familiare che hanno messo in crisi un equilibrio prima faticosamente raggiunto? Come vedete, siamo in presenza di situazioni molto diverse tra loro, che richiedono interventi differenziati: può essere lo psicologo, talvolta lo psichiatra, altre volte il consulente di coppia, talune volte il legale. Spesso il problema viene risolto. Altre volte, quando la frattura è profonda, irreversibilmente compromessa, occorre riconoscere che la relazione di coppia non esiste più. Le ferite sono troppo dolorose, e laceranti. Più che ricostruire la coppia, allora, si tratterà di ricostruire la persona, la sua dignità. Purtroppo, il più delle volte le coppie giungono in consultorio quando sono già pervenute a questo stadio. Se avessero abbassato prima le difese e avessero deciso di farsi aiutare ai primi sintomi della fatica, forse non avrebbero compromesso senza possibilità di ritorno la loro relazione di coppia.

1. E' corretto parlare di "crisi di coppia"?
Si tratta dunque di affrontare con molta attenzione un problema che già le brevi premesse che ho fatto rivelano complesso. Spesso però lo si affronta superficialmente usando categorie convenzionali, e inutili, come rivelano la madre di Sandra, il padre di Matteo, il loro parroco. In realtà, dobbiamo tenere presenti due aspetti fondamentali:

a) La "crisi" non è necessariamente un aspetto negativo della relazione
Crisi non significa fallimento. Il termine italiano "crisi" deriva dalla parola greca "krìnein" che significa "giudicare", "sottoporre a giudizio", "mettere in discussione". Se è così la crisi è un momento importante della nostra vita. Per ognuno di noi, nel corso dell'esistenza giunge un momento in cui certe sicurezze devono venire ridiscusse, sottoposte ad un giudizio critico. Prendiamo ad esempio la nostra fede. Forse abbiamo già sperimentato una "crisi di fede", il passaggio cioè da una fede ingenua, infantile, fragile, trasmessa dalla propria famiglia e non frutto di una conquista, ad una fede adulta, più consapevole e personale. Abbiamo fatto un cammino di ripensamento, di revisione, di giudizio. La crisi, allora, non è stata un evento fallimentare ma un'occasione di crescita.
Ecco: la stessa cosa accade nel rapporto di coppia. Un ragazzo e una ragazza si incontrano, provano un'attrazione reciproca, cioè si innamorano, si scelgono, si amano, si sposano. Ma questa scelta è troppo fragile, troppo esposta per essere definitiva. L'incontro tra due persone resta pur sempre un mistero, ma le scienze umane sono in grado di aiutarci a capire i meccanismi che sottostanno a questo incontro. In Matteo, Sandra ha visto la personificazione della sua immagine di uomo ideale, e Matteo, evidentemente, ha visto in lei il suo ideale di donna. Ma l'ideale è sempre un'immagine, qualcosa vissuto a livello di fantasia: non ha mai, o quasi mai, un riscontro nella realtà. E questo è un bene. La realtà ci dice che siamo diversi. L'ideale fusione non si basa mai sulla realtà, per cui - prima o poi - deve essere sottoposto a giudizio, deve essere oggetto di una crisi. Con questo non voglio dire che la scoperta della fine dell'ideale romantico non sia doloroso e faticoso da accettare, ma, come nel caso della crisi di fede, la coppia si apre ad una prospettiva nuova, oserei dire esaltante, quando scopre che l'amore inizia nel momento in cui termina l'innamoramento, l'ideale fusionale, e inizia la scoperta dell’altro in quanto altro-da-me, perché è solo con un "altro" che posso avere una relazione che non sia narcisistica, in cui cioè io non ricerchi me stesso, ma solo l'altro e il suo bene. Per superare l'innamoramento, però, è necessario che io rifaccia ogni giorno la scelta della mia donna, o del mio uomo, e questo è molto difficile, perché l'amore romantico ci attrae ancora, o meglio: ci attrae quell'immagine di donna o di uomo ideali che erano alla base della nostra scelta primitiva, del nostro innamoramento. E allora non riusciamo proprio ad accettare che lei sia diversa da come l'avevamo immaginata, che non sappia rinunciare alle sue abitudini per farci piacere, che abbia dei momenti di silenzio in cui pare che rifiuti la confidenza nei nostri confronti, che abbia dei piccoli segreti che non intende rivelarci... e così via. Dice un proverbio della Mongolia: "Anche se un uomo e una donna dormono sullo stesso cuscino hanno sogni diversi". E' molto faticoso essenzializzare l'amore, togliergli tutte le incrostazioni che in qualche misura lo deturpano anche se ci sembra che apparentemente lo rendano gratificante, amare cioè l'altro per quello che è e non per quello che vorremmo che fosse... Non è strano che molti non ce la facciano. Vedremo anche perché oggi è (forse) più difficile di ieri.

b) Non "crisi di coppia", ma "coppie in crisi"…
C'è un secondo aspetto che vorrei sottolineare. Oggi su 100 matrimoni 30 falliscono entro il terzo anno. Conosco casi di matrimonio falliti durante il viaggio di nozze. Poi ci sono i matrimoni che falliscono nelle età centrali della vita, le più esposte - come vedremo - alle frustrazioni; e i matrimoni che falliscono quando i due coniugi sono già anziani, e non hanno più il lavoro di cura e le preoccupazioni dei figli. E' un quadro a dir poco desolante. La coppia è dunque una realtà in crisi?
Nonostante la crescita delle famiglie unipersonali, cioè composte da una sola persona, i cosiddetti single, la coppia resta il modello base attraverso cui si vive una relazione significativa e personalizzante tra due soggetti. E' vero però che ci troviamo di fronte ad un aumento, rispetto al passato, di coppie in crisi. Non è che nel passato non esistessero delle coppie in difficoltà: questa condizione era tuttavia considerata un qualcosa di cui vergognarsi, da nascondere accuratamente, per cui veniva spontaneo rinchiudere le difficoltà all'interno delle mura domestiche. Esiste certo un disagio sommerso ancora oggi.
Ma oggi si ha più il coraggio di manifestare all'esterno i propri sentimenti, di chiamare le cose col proprio nome, di chiedere aiuto. E questo è un bene perché il meccanismo della rimozione (detto grossolanamente: mi comporto come se un problema non esistesse, lo dimentico, lo rimuovo appunto, e mi dimentico di averlo dimenticato...) anche se apparentemente mi aiuta a sopravvivere (non per nulla viene definito un "meccanismo di difesa") in realtà ha poi un effetto boomerang: il materiale "rimosso" riemerge prima o poi in superficie, con effetti devastanti. E non è un caso che proprio all'interno di quel disagio sommerso cui facevo cenno troviamo casi anche molto seri di malattie psichiche, di depressione. La cosa migliore sarebbe che quando una coppia incomincia ad avvertire i primi segnali di un disagio relazionale si facesse aiutare da qualche bravo consulente di coppia.
Attraverso l'esperienza consultoriale, ho comunque maturato la convinzione che è sbagliato parlare di "crisi di coppia" in quanto ci possono essere tante crisi quante sono le coppie. E poi, la fragilità non investe solo le relazioni di coppia, ma tutte le relazioni umane, a cominciare da quelle all'interno della famiglia per proseguire con quelle sociali. Però la coppia e la famiglia fanno da cassa di risonanza di tutte le fragilità umane, e non sempre riescono a sopportare un peso immane: a queste realtà umane così fragili si chiede spesso più di quanto possano dare, si propongono orizzonti troppo lontani e modelli inimitabili. E allora, dobbiamo tentare di fare ancora un passo avanti: entrare ancora più a fondo in questo disagio vedendo quali sono i soggetti, gli "attori" che in esso sono coinvolti.

Gli "attori" della crisi
Per vedere quali sono gli attori coinvolti in questa crisi vorrei leggervi un brevissimo brano, l'osservazione di uno studioso, Karl A. Menninger. Si tratta in realtà di una metafora, una similitudine che racchiude un significato profondo. E' la metafora della trota.

METAFORA DELLA TROTA
QUANDO UNA TROTA ATTIRATA DALLA MOSCA ABBOCCA ALL’AMO E SI SCOPRE INCAPACE DI NUOTARE LIBERAMENTE, COMINCIA A DIBATTERSI E A GUIZZARE TRA GLI SPRUZZI,
E A VOLTE RIESCE A FUGGIRE. SPESSO, S’INTENDE, SOCCOMBE ALLA SORTE INELUTTABILE.
NELLO STESSO MODO, L’ESSERE UMANO LA LOTTA CON LE CIRCOSTANZE AMBIENTALI, CON GLI AMI CUI RESTA AGGANCIATO. A VOLTE SORMONTA LE DIFFICOLTÀ, A VOLTE NE VIENE SOPRAFFATTO.
IL MONDO ALTRO NON VEDE CHE IL SUO LOTTARE, E NATURALMENTE LO FRAINTENDE.
IL PESCE LIBERO STENTA A CAPIRE CIÒ CHE STA SUCCEDENDO AL PESCE PRESO ALL’AMO.
Karl A. Menninger

Se abbiamo prestato attenzione durante questa breve lettura, avremo notato che la metafora viene anche spiegata. Cerchiamo però insieme di renderla ancora più trasparente. Nel racconto troviamo una serie di "attori", i "personaggi della metafora".

I PERSONAGGI DELLA METAFORA

(TROTA > COPPIA/FAMIGLIA)

LA TROTA LIBERA (prima, cioè, di essere agganciata all’amo)
                           à proiezione al futuro
â                                                                                 à progettualità
BENESSERE à                                                              à speranza
                       à recupero (filtrazione) di senso
 
LA TROTA AGGANCIATA
                                            à mancanza di libertà
â                                                                                     à incapacità di organizzare le proprie forze
                                                                                        à sofferenza
                                                                                        à crisi di senso
MALESSERE à                                                           à umiliazione
DIS-AGIO
  à               à lotta (faticosa) contro il meccanismo imprigionante
                                  à incapacità di riconoscere gli ami
                                 à spreco di forze e dispendio di energie
                 à per molte   à   SCACCO
 
LE TROTE LIBERE
                                                                  à incapacità di comprendere la sofferenza
â                                                                                   à lettura superficiale dei problema
                                                                                      à sofferenza
FRAINTENDIMENTI à                                               à tendenza a "cucire" bisogni
                                                                                     à giudizio
                                           à distacco / abbandono
                

a) la trota libera

La trota libera è la trota che sta bene, che si trova cioè in una condizione di benessere, e sta bene proprio perché non è, o non si sente, agganciata, presa all'amo. Mi voglio soffermare sullo "stare bene" per due ragioni. Prima ragione: è spesso all'interno di una condizione positiva, di benessere, che si manifesta il disagio: in genere, però, non siamo abituati ad analizzare e a dare un nome alle condizioni di benessere in cui viviamo. Seconda ragione: quando si vive il tempo della crisi la prima impressione è di grande confusione, ci sembra di non avere risorse per uscire da essa. In questo caso è molto utile poter fare riferimento ad una stagione felice della vita, meglio ancora se una stagione vissuta con la persona con la quale oggi abbiamo un grosso problema di relazione. Qui ci soccorre l'esperienza infantile. Il bambino quando viene allontanato dal seno materno piange. L'assenza della madre, buona e nutrice, viene inizialmente vissuta in fantasia come presenza di una madre cattiva. Poi la madre ritorna col suo seno fonte di gratificazione per il bambino. Ed ecco di nuovo la madre buona. Attraverso questa serie di ripetute conferme il bambino non vivrà più l'assenza della madre come presenza di una madre cattiva e frustrante, ma semplicemente come assenza di una madre buona. Questo automatismo funziona per tutta la vita. Chi non è mai riuscito ad automatizzare questa esperienza, probabilmente in ogni scacco vedrà un fallimento definitivo. Chi invece ha avuto la fortuna di poter contare sulla capacità innata della madre di fargli compiere questi "passaggi" avrà migliori possibilità di successo.
Ma quali sono le caratteristiche del "benessere" psichico? Lo schema presentato precedentemente ne mette in evidenza alcune caratteristiche.

- il lavoro extra familiare della donna;
- il lavoro dei coniugi in spazi sociali diversi;
- l'inconciliabilità degli impegni professionali dei due coniugi con la vita di coppia;
- il forte cameratismo tra colleghi e colleghe che induce a confronti con i rispettivi coniugi;
- l'aumento dell'età media della vita che porta ad un aumento della durata dei matrimoni, più esposti ai rischi connessi ai passaggi da una fase all'altra della vita stessa;
- l'individualizzazione che porta alla formulazione di progetti propri spesso incompatibili con quelli della coppia, o dell'altro coniuge;
- l'isolamento della famiglia nucleare che porta alla perdita di appoggi esterni alla coppia;
- il grande peso che ha assunto il matrimonio d'amore: quando non pare esserci più amore si considera fallita l'esperienza;
- la forte distanza culturale tra la cultura di coppia e quella del mondo del lavoro: nella coppia i rapporti sono sempre più paritari, nel mondo del lavoro sempre più gerarchici; nel mondo del lavoro viene limitata l'attività personale creativa, la vita di coppia per riuscire richiede una grande creatività... ecc.

Tutti questi elementi, ed altri ancora, che hanno in sé aspetti positivi e rischi, rendono fragile il matrimonio, ma la speranza consiste proprio nel voler guardare avanti nonostante tutto, sapendo che fragilità non significa fallimento.

b) la trota "agganciata"

Accenno rapidamente ai punti indicati dallo schema, cercando soprattutto di indicare quegli "ami" meno facilmente identificabili dalle "trote libere".

- la presunzione (tipicamente frutto della modernità) che ogni sogno sia realizzabile, senza limiti;
- il rifiuto delle norme oggettive (tutto è lecito, se mi produce piacere);
- la mentalità del tutto e subito;
- il confondere il "vivere~con~piacere" con il "vivere-per il-piacere";
- un atteggiamento fatalista e rassegnato;
- la forte influenza mediatica sugli stili di vita (occorre adeguarsi alla massa);
- il considerare la famiglia come una zona-rifugio le cui porte devono restare sprangate;
- la grande importanza della felicità sessuale: se non c’è… si cambia! Ecc.;

1. Difficoltà personali:
immaturità; mancanza di progetto; disfunzioni sessuali; visione edonistica della vita; aspettative eccessive dalla vita di coppia; innamoramento adolescenziale; accentramento su se stessi e mancanza di attenzione nei confronti dei sentimenti dell'altra persona;
2. Difficoltà relazionali di coppia:
idealizzazione dell'altro; incapacità di accettarlo com'è; fidanzamenti superficiali; possessività- conflittualità esasperata; forte differenza culturale; solitudine; confusione di ruoli, o mancato accordo su essi;
3. Difficoltà nella funzione genitoriale:
gravidanze indesiderate; disaccordo sui mezzi di regolazione delle nascite; mancanza di una linea comune nell'educazione dei figli;
4. Difficoltà di relazione con l’esterno: eccessivo attaccamento alla famiglia d'origine; mancanza o povertà di relazioni significative con contesti esterni, culturali, sociali, ecclesiali, ecc.
5. Eventi particolari:
relazioni extraconiugali; violenze e abusi sessuali; alcolismo, tossicodipendenze; handicap. Nel corso di una ricerca su bambini portatori di handicap, abbiamo osservato, a distanza di vari anni, che la maggior parte dei loro genitori si era nel frattempo separata.

  • Un altro "amo" è dato dal passaggio da una fase all'altra della vita: i primi anni di matrimonio (passaggio dal periodo romantico a quello successivo, più concreto); l'età mediana della vita (la crisi dei quarant'anni che richiederebbe tutta una trattazione a sé); il pensionamento (di uno o di entrambi i coniugi).
  • È evidente che chi si trova in queste condizioni mette in atto un grande e indicibile dispendio di energie il cui risultato finale potrà forse solo essere lo scacco.

    c) le trote libere

    Unisco assieme i cinque punti indicati dallo schema, in quanto si tratta in realtà di un unico processo, più che di una serie di aspetti del problema. Intanto va chiarito chi sono le trote "libere".
    Sono quelle che non sono, o non sono ancora state prese all'amo dal disagio, in questo caso dalla crisi che investe o che comunque può investire la coppia. Che cosa fanno le trote "libere"? Che cosa fanno gli amici di Matteo e di Sandra, i loro genitori, il loro parroco? Accomuna le trote "libere" la incapacità di comprendere la sofferenza, e quando diciamo comprendere usiamo questo verbo nel significato etimologico di assumere, di accogliere; questa incapacità porta il più delle volte a una lettura superficiale del problema, a non coglierne cioè gli aspetti essenziali, e dunque a una serie di fraintendimenti che si esprimono nel "cucire" chi vive il disagio dei falsi bisogni, ma soprattutto nell'esprimere dei giudizi moralistici sul loro comportamento, e in definitiva a mettere in atto un atteggiamento di distacco e di abbandono.
    Si tratta ora di entrare un po' più a fondo in questi atteggiamenti, non sempre dettati da mala fede, ma il più delle volte da incompetenza, superficialità, pregiudizi frutto di una cultura moralistica assai diffusa.
    Per comprendere, non in modo intellettuale, ma etico, nel senso cioè di prendere, assumere su di noi la realtà di tanti uomini e di tante donne che vivono la realtà del disagio, dobbiamo forse essere noi stessi disposti a percorrere la strada della sofferenza. E' difficile comprendere i disperati se noi stessi, in qualche misura e in qualche situazione, non abbiamo sperimentato la disperazione. Dice lo scrittore Elie Wiesel: "Soltanto chi conosce la disperazione conosce anche la vita". Il dolore umano non è uno scherzo, va preso sul serio. Prima dobbiamo riconoscerlo, perché non tutti coloro che soffrono sono disposti ad ammetterlo, spesso viene nascosto sotto maschere di falsa letizia. E quando lo abbiamo riconosciuto, dobbiamo rispettarlo, venerarlo.
    Spesso le nostre comunità cristiane non sono in grado, perché non vi sono abituate, di rispettare e di venerare il dolore umano. Noi siamo molto bravi a difendere i principi astratti, ma siamo estremamente deboli sul piano della difesa dell'uomo e della donna reali, cioè come sono e non come dovrebbero essere o come vorremmo che fossero. Così, nel corso dei secoli, abbiamo difeso a spada tratta (una spada non sempre metaforica) il principio della proprietà privata, del libero mercato, delle leggi economiche, dimenticando tutte quelle vittime che ancora e soprattutto oggi a causa di quella idolatria soffrono nelle enormi bidonvilles di tutto il mondo. E allo stesso modo abbiamo difeso il principio sacrosanto dell'indissolubilità del matrimonio, un valore, certo, una meta dell'etica cristiana, ma che non è detto che questa meta possa e che debba necessariamente essere raggiunta al primo tentativo, soprattutto quando la fragilità psicologica di uno o di entrambi i partner si scontra con i gravi impegni sociali, psicologici ed etici che la vita di coppia, oggi sicuramente più di ieri, comporta. Giudicare a priori fallite e indegne tutte quelle persone che hanno vissuto uno scacco matrimoniale e che tentano, magari faticosamente, di riscoprire un progetto di legame d'amore e di fedeltà per il tratto di vita che rimane loro, mi sembra indegno di chi professa a parole un vangelo d'amore e di misericordia. Equiparare divorzio a fallimento significa non tener conto della fatica che alcuni di noi fanno per percorrere, nei limiti della loro attuale condizione psicologica, sociale e morale, la strada che è loro possibile, qui e ora.

    3) I compiti della comunità cristiana nei confronti delle coppie in crisi

    Anche se non è specificamente di mia competenza vorrei concludere questa analisi molto affrettata e incompleta proprio con alcune brevi osservazioni, anch'esse da ripensare e da sviluppare, sui compiti della comunità cristiana nei confronti delle coppie in crisi. Si dice in genere che verso queste persone la comunità cristiana deve mettere in atto gli atteggiamenti dell'accoglienza e della misericordia. È certo importante, ma forse non è sufficiente, anche se sarebbe già un bel passo avanti se questi atteggiamenti venissero attuati.
    Dobbiamo dunque chiederci: qual è l'obiettivo ultimo di ogni lavoro pastorale, vale a dire il lavoro di una comunità cristiana? Non è l'aumento della spiritualità, non è neppure lo sviluppo del Regno di Dio inteso come l'aumento degli aderenti alla comunità.
    Il progetto cristiano non si collega a impegni straordinari, quanto piuttosto in quelli di una quotidianità spesso stressata, difficile, densa di problemi. E vi entra per far sì che tutti gli uomini vivano una vita - in quanto persone ed in quanto gruppi - pienamente umana nello spirito del Vangelo. Il "luogo" in cui questa vita deve umanizzarsi è quella di tutti i giorni, quella in cui sono presenti successi ed insuccessi, amore e fragilità di relazioni, ombra e grazia. Se ha un senso parlare di "nuova evangelizzazione", lo ha unicamente in questo contesto. I tempi in cui nella Chiesa si faceva l'inventario di chi era dentro e di chi si trovava al di fuori sono, o almeno dovrebbero essere, ormai terminati.
    Questo nostro tempo va amato: non ha senso sognare tempi passati. E' qui e ora, in questo nostro tempo, che si realizza una filtrazione di senso e di salvezza. E dunque la teologia va ripensata in questa prospettiva concreta sia dal punto sociale che psicologico ed etico. Anche la teologia del matrimonio. Il matrimonio cristiano non può più equiparare divorzio a fallimento e a condizione di peccato. L'etica cristiana, presuppone, deve presupporre sempre, la realizzabilità della norma morale. Se non è così si tratta di un peso che non può essere portato e quindi non può essere imposto.
    Qui si apre un campo immenso di lavoro di ricerca, perché accanto a quella prospettiva di misericordia e di accoglienza nei confronti dei divorziati occorre riprendere in considerazione tutta la concezione del sacramento del matrimonio affinché, con lo sguardo fisso all'ideale proposto da Paolo in Efesini 5, 22-33, un amore tra marito e moglie così sicuro e forte come l'amore tra Cristo e la sua Chiesa, si tenga conto di tutte le tappe intermedie che occorre percorrere per raggiungere questo ideale.
    Ma per centrare questo obiettivo le comunità cristiane devono anche operare una netta distinzione tra incapacità e immoralità. Dobbiamo imparare tutti ad essere meno moralisti. Si chiede un grande teologo pastorale austriaco, Paul M. Zulehner:
    "La fedeltà fallisce perché noi siamo moralmente infedeli o perché oggi essere fedeli è notevolmente più difficile?... Al paralitico non serve proprio a niente che lo si esorti a correre più veloce. Anzi, l'esortazione gli pianterà solo in modo ancora più doloroso nella coscienza la percezione che egli è paralitico e proprio non può correre. Similmente avviene a molti contemporanei: la fredda predica morale scoraggia perché dà un nome all'incapacità e la eleva alla coscienza nella sua ineludibile asprezza, ma non la elimina".
    Dobbiamo essere realisti. E' la nostra attuale condizione umana, quella che viviamo tutti e tutti i giorni, che ci porta ad instaurare relazioni fragili. Questa fragilità nasce da cause sociali e culturali che non devono rappresentare un facile alibi ma che non dobbiamo neppure sottovalutare. Certo: io resto libero, ma al contempo vivo in un certo ambiente di lavoro, con un certo stile di vita, frastornato da una serie di richiami consumistici, di modelli, dalla televisione, da Internet ( un ragazzo si è separato da sua moglie perché l'aveva tradita virtualmente tramite Internet!). Non si può attribuire la causa di un fallimento esclusivamente alla cattiva volontà dei partner. Il lavoro da fare, anche da un punto di vista pastorale e non solo consultoriale, non è cambiare la situazione ma gestirla: gestire la fragilità delle nostre relazioni di coppia, sapendo che si tratta di un cammino, spesso un cammino difficile.
    Ma - senza per questo sentirci minimalisti - sarebbe già un bel passo avanti se riuscissimo a vedere sul volto di chi ha fallito l'esperienza matrimoniale, o di chi si appresta a ricominciarla, una persona che soffre, sapendo che non esiste un rapporto di causa-effetto tra sofferenza e peccato. Gesù ci dà l'esempio di questo discernimento, e se la Chiesa non lo fa non coglie l'insegnamento profondo del Maestro. Gesù non è mai passato accanto alla sofferenza senza fermarsi, non si è mai sottratto all'incontro con chi soffre, non ha rivendicato cose più importanti da fare, non ha mai anteposto i principi alla pratica della misericordia.
    Attraverso la sofferenza (che pure non è un valore assoluto, perché si trasformerebbe in masochismo), Egli però cambia il cuore dell'essere umano, e questo cambiamento realizzato attraverso vie misteriose e spesso non lineari è invece il valore fondamentale che noi dobbiamo cogliere. Condannare e giudicare separazione e divorzio senza capire la complessità culturale in cui questi eventi sono inseriti, come abbiamo timidamente cercato di intravedere, senza tener conto che la fragilità si riscontra in tutte le relazioni umane e non solo nel matrimonio, e consentendo a quella fobia della sessualità che caratterizza molte relazioni ecclesiali, si rivela un atteggiamento di grande superficialità, nei confronti di uomini e donne che come Matteo e Sandra sono oppressi da pesi che fanno fatica a portare.
    Questo è il messaggio che vorrei lasciare oggi. In definitiva un messaggio di speranza per tutti: per chi è impegnato in un'azione pastorale con le coppie, di fondamentale importanza nella Chiesa; a chi si sente una famiglia "normale" e forse al riparo dai problemi che abbiamo trattato oggi; e a chi, come appunto Sandra e Matteo, vive invece il dramma, profondo e inesprimibile, dello scacco, che deve sempre essere letto in un'ottica di grande rispetto, e soprattutto in umiltà.

    PER IL LAVORO DI GRUPPO

    1. Riflettiamo sulla nostra vita di coppia. Abbiamo o abbiamo avuto qualche difficoltà di relazione? Quale atteggiamento teniamo in questi casi? Evitiamo di parlarne? Alziamo la voce e aumentiamo la tensione che esiste già fra noi? Ci proponiamo di riprendere la discussione con calma? Se abbiamo avuto delle difficoltà, queste sono servite a far crescere il nostro amore?
    2. Quali campanelli d'allarme siamo in grado di identificare per una difficoltà di relazione in atto?
    3. Nel nostro gruppo parrocchiale abbiamo qualche coppia in grave crisi? Se
    conosciamo qualche coppia in crisi abbiamo mai pensato di invitarla a partecipare al nostro impegno parrocchiale?