4° incontro dei Gruppi Famiglia nel Vicariato di C. di Godego a
Vallà
21 Gennaio 2001
Crisi della coppia e della famiglia
Analisi dei motivi e dinamiche di prevenzione e di sostegno
Luigi Ghia
Nel Consultorio Familiare in cui svolgo attività di consulenza sociologica, arrivano un
giorno Matteo e Sandra. 35 anni lui, 32 lei. Sandra ha frequentato il Liceo Classico, poi
è andata all'Università e si è laureata in Lingue: 110 e lode. E' stata due anni in
Inghilterra per migliorare il suo inglese. Ora insegna in un Liceo della città. Ha vari
interessi culturali, le piace viaggiare, andare al cinema e a teatro. Vuole avere figli.
Lui, Matteo, è geometra. A scuola non era bravo, ma suo padre possiede un'azienda ben
avviata. Così oggi fa il lattoniere, come piccolo imprenditore. Lavora molto, guadagna
bene. Si sono conosciuti tre anni fa in un gruppo parrocchiale. Il classico "colpo
di fulmine": un anno e mezzo di fidanzamento, poi si sono sposati. Non hanno figli.
Sono venuti in Consultorio perché hanno deciso di separarsi. Matteo non ha un'altra
donna, né Sandra un altro uomo. Non si sono mai traditi. Neppure insultati. Forse si
vogliono ancora bene. Perché vogliono separarsi? Non lo sanno neppure loro, avvertono una
sorta di malessere diffuso nella loro relazione. Così non può andare avanti. Sandra
riferisce le parole di sua madre. "Lui non è degno di te. Pensa solo al suo lavoro e
non rispetta i tuoi interessi". Matteo lo sfogo di suo padre. "Hai voluto fare
di testa tua? Ora arrangiati". Riferiscono anche le parole del loro parroco.
"Non riesco a pensare che due ragazzi come voi, che vengono a messa tutte le
settimane, che partecipano agli incontri di formazione, possano separarsi. Che esempio
siete per gli altri?".
Nel nostro Consultorio è molto frequente vedere capitare delle coppie in crisi. Il caso di Matteo e Sandra è però piuttosto raro. In genere marito e moglie non arrivano assieme. Il più delle volte arriva la donna. Il tutto inizia spesso con una telefonata: "Ho bisogno di sfogarmi con qualcuno che mi capisca. Non ce la faccio più". Le viene fissato un appuntamento per un primo colloquio. "Non ci capiamo più. Siamo diventati estranei..." "Ci siamo allontanati...." "Ci siamo scoperti diversi da come avevamo creduto..." "Mio marito, che prima amava me, la casa e i bambini, ora ha un'altra donna. Per lui non conto più nulla ". Potremmo continuare. Il lavoro del consulente, allora, inizia proprio col tentare di rimettere ordine in un accavallarsi di sentimenti e di emozioni. Occorre mettere a fuoco il problema: si tratta dell'incapacità di uno dei partner o di entrambi di impegnarsi in una relazione, per ragioni psicologiche, biografiche? oppure ci si trova all'interno di una dinamica di coppia che presenta aspetti di immaturità? oppure ancora sono intervenuti degli eventi nella vita matrimoniale e familiare che hanno messo in crisi un equilibrio prima faticosamente raggiunto? Come vedete, siamo in presenza di situazioni molto diverse tra loro, che richiedono interventi differenziati: può essere lo psicologo, talvolta lo psichiatra, altre volte il consulente di coppia, talune volte il legale. Spesso il problema viene risolto. Altre volte, quando la frattura è profonda, irreversibilmente compromessa, occorre riconoscere che la relazione di coppia non esiste più. Le ferite sono troppo dolorose, e laceranti. Più che ricostruire la coppia, allora, si tratterà di ricostruire la persona, la sua dignità. Purtroppo, il più delle volte le coppie giungono in consultorio quando sono già pervenute a questo stadio. Se avessero abbassato prima le difese e avessero deciso di farsi aiutare ai primi sintomi della fatica, forse non avrebbero compromesso senza possibilità di ritorno la loro relazione di coppia.
1. E' corretto parlare di "crisi di coppia"?a) La "crisi" non è necessariamente un aspetto negativo della relazione
Crisi non significa fallimento. Il termine italiano "crisi" deriva dalla
parola greca "krìnein" che significa "giudicare", "sottoporre a
giudizio", "mettere in discussione". Se è così la crisi è un momento
importante della nostra vita. Per ognuno di noi, nel corso dell'esistenza giunge un
momento in cui certe sicurezze devono venire ridiscusse, sottoposte ad un giudizio
critico. Prendiamo ad esempio la nostra fede. Forse abbiamo già sperimentato una
"crisi di fede", il passaggio cioè da una fede ingenua, infantile, fragile,
trasmessa dalla propria famiglia e non frutto di una conquista, ad una fede adulta, più
consapevole e personale. Abbiamo fatto un cammino di ripensamento, di revisione, di
giudizio. La crisi, allora, non è stata un evento fallimentare ma un'occasione di
crescita.
Ecco: la stessa cosa accade nel rapporto di coppia. Un ragazzo e una ragazza si
incontrano, provano un'attrazione reciproca, cioè si innamorano, si scelgono, si
amano, si sposano. Ma questa scelta è troppo fragile, troppo esposta per essere
definitiva. L'incontro tra due persone resta pur sempre un mistero, ma le scienze
umane sono in grado di aiutarci a capire i meccanismi che sottostanno a questo incontro.
In Matteo, Sandra ha visto la personificazione della sua immagine di uomo ideale, e
Matteo, evidentemente, ha visto in lei il suo ideale di donna. Ma l'ideale è sempre
un'immagine, qualcosa vissuto a livello di fantasia: non ha mai, o quasi mai, un riscontro
nella realtà. E questo è un bene. La realtà ci dice che siamo diversi. L'ideale fusione
non si basa mai sulla realtà, per cui - prima o poi - deve essere sottoposto a giudizio,
deve essere oggetto di una crisi. Con questo non voglio dire che la scoperta della fine
dell'ideale romantico non sia doloroso e faticoso da accettare, ma, come nel caso della
crisi di fede, la coppia si apre ad una prospettiva nuova, oserei dire esaltante, quando
scopre che l'amore inizia nel momento in cui termina l'innamoramento, l'ideale fusionale,
e inizia la scoperta dellaltro in quanto altro-da-me, perché è solo
con un "altro" che posso avere una relazione che non sia narcisistica, in
cui cioè io non ricerchi me stesso, ma solo l'altro e il suo bene. Per superare
l'innamoramento, però, è necessario che io rifaccia ogni giorno la scelta della mia
donna, o del mio uomo, e questo è molto difficile, perché l'amore romantico ci attrae
ancora, o meglio: ci attrae quell'immagine di donna o di uomo ideali che erano alla base
della nostra scelta primitiva, del nostro innamoramento. E allora non riusciamo proprio ad
accettare che lei sia diversa da come l'avevamo immaginata, che non sappia rinunciare alle
sue abitudini per farci piacere, che abbia dei momenti di silenzio in cui pare che rifiuti
la confidenza nei nostri confronti, che abbia dei piccoli segreti che non intende
rivelarci... e così via. Dice un proverbio della Mongolia: "Anche se un uomo e una
donna dormono sullo stesso cuscino hanno sogni diversi". E' molto faticoso
essenzializzare l'amore, togliergli tutte le incrostazioni che in qualche misura lo
deturpano anche se ci sembra che apparentemente lo rendano gratificante, amare cioè
l'altro per quello che è e non per quello che vorremmo che fosse... Non è strano che
molti non ce la facciano. Vedremo anche perché oggi è (forse) più difficile di ieri.
b) Non "crisi di coppia", ma "coppie in
crisi"
C'è un secondo aspetto che vorrei sottolineare. Oggi su 100 matrimoni 30
falliscono entro il terzo anno. Conosco casi di matrimonio falliti durante il viaggio di
nozze. Poi ci sono i matrimoni che falliscono nelle età centrali della vita, le più
esposte - come vedremo - alle frustrazioni; e i matrimoni che falliscono quando i due
coniugi sono già anziani, e non hanno più il lavoro di cura e le preoccupazioni dei
figli. E' un quadro a dir poco desolante. La coppia è dunque una realtà in crisi?
Nonostante la crescita delle famiglie unipersonali, cioè composte da una sola persona, i
cosiddetti single, la coppia resta il modello base attraverso cui si vive una
relazione significativa e personalizzante tra due soggetti. E' vero però che ci troviamo
di fronte ad un aumento, rispetto al passato, di coppie in crisi. Non è che nel passato
non esistessero delle coppie in difficoltà: questa condizione era tuttavia considerata un
qualcosa di cui vergognarsi, da nascondere accuratamente, per cui veniva spontaneo
rinchiudere le difficoltà all'interno delle mura domestiche. Esiste certo un disagio
sommerso ancora oggi.
Ma oggi si ha più il coraggio di manifestare all'esterno i propri sentimenti, di chiamare
le cose col proprio nome, di chiedere aiuto. E questo è un bene perché il
meccanismo della rimozione (detto grossolanamente: mi comporto come se un problema
non esistesse, lo dimentico, lo rimuovo appunto, e mi dimentico di averlo
dimenticato...) anche se apparentemente mi aiuta a sopravvivere (non per nulla viene
definito un "meccanismo di difesa") in realtà ha poi un effetto
boomerang: il materiale "rimosso" riemerge prima o poi in superficie, con
effetti devastanti. E non è un caso che proprio all'interno di quel disagio sommerso cui
facevo cenno troviamo casi anche molto seri di malattie psichiche, di depressione. La cosa
migliore sarebbe che quando una coppia incomincia ad avvertire i primi segnali di un
disagio relazionale si facesse aiutare da qualche bravo consulente di coppia.
Attraverso l'esperienza consultoriale, ho comunque maturato la convinzione che è
sbagliato parlare di "crisi di coppia" in quanto ci possono essere tante
crisi quante sono le coppie. E poi, la fragilità non investe solo le relazioni di coppia,
ma tutte le relazioni umane, a cominciare da quelle all'interno della famiglia per
proseguire con quelle sociali. Però la coppia e la famiglia fanno da cassa di risonanza
di tutte le fragilità umane, e non sempre riescono a sopportare un peso immane: a
queste realtà umane così fragili si chiede spesso più di quanto possano dare, si
propongono orizzonti troppo lontani e modelli inimitabili. E allora, dobbiamo tentare di
fare ancora un passo avanti: entrare ancora più a fondo in questo disagio vedendo quali
sono i soggetti, gli "attori" che in esso sono coinvolti.
Gli "attori" della crisi
Per vedere quali sono gli attori coinvolti in questa crisi vorrei leggervi un
brevissimo brano, l'osservazione di uno studioso, Karl A. Menninger. Si tratta in realtà
di una metafora, una similitudine che racchiude un significato profondo. E' la metafora
della trota.
Se abbiamo prestato attenzione durante questa breve lettura, avremo notato che la metafora viene anche spiegata. Cerchiamo però insieme di renderla ancora più trasparente. Nel racconto troviamo una serie di "attori", i "personaggi della metafora".
I PERSONAGGI DELLA METAFORA(TROTA > COPPIA/FAMIGLIA)
a) la trota libera
La trota libera è la trota che sta bene, che si trova cioè in una
condizione di benessere, e sta bene proprio perché non è, o non si sente,
agganciata, presa all'amo. Mi voglio soffermare sullo "stare bene" per due
ragioni. Prima ragione: è spesso all'interno di una condizione positiva, di benessere,
che si manifesta il disagio: in genere, però, non siamo abituati ad analizzare e a dare
un nome alle condizioni di benessere in cui viviamo. Seconda ragione: quando si vive il
tempo della crisi la prima impressione è di grande confusione, ci sembra di non avere
risorse per uscire da essa. In questo caso è molto utile poter fare riferimento ad
una stagione felice della vita, meglio ancora se una stagione vissuta con la persona con
la quale oggi abbiamo un grosso problema di relazione. Qui ci soccorre l'esperienza
infantile. Il bambino quando viene allontanato dal seno materno piange. L'assenza della
madre, buona e nutrice, viene inizialmente vissuta in fantasia come presenza di una madre
cattiva. Poi la madre ritorna col suo seno fonte di gratificazione per il bambino. Ed ecco
di nuovo la madre buona. Attraverso questa serie di ripetute conferme il bambino non
vivrà più l'assenza della madre come presenza di una madre cattiva e frustrante, ma
semplicemente come assenza di una madre buona. Questo automatismo funziona per tutta la
vita. Chi non è mai riuscito ad automatizzare questa esperienza, probabilmente in ogni
scacco vedrà un fallimento definitivo. Chi invece ha avuto la fortuna di poter contare
sulla capacità innata della madre di fargli compiere questi "passaggi" avrà
migliori possibilità di successo.
Ma quali sono le caratteristiche del "benessere" psichico? Lo schema presentato
precedentemente ne mette in evidenza alcune caratteristiche.
- il lavoro extra familiare della donna;
- il lavoro dei coniugi in spazi sociali diversi;
- l'inconciliabilità degli impegni professionali dei due coniugi con la vita di coppia;
- il forte cameratismo tra colleghi e colleghe che induce a confronti con i rispettivi
coniugi;
- l'aumento dell'età media della vita che porta ad un aumento della
durata dei matrimoni, più esposti ai rischi connessi ai passaggi da una fase all'altra
della vita stessa;
- l'individualizzazione che porta alla formulazione di progetti propri spesso
incompatibili con quelli della coppia, o dell'altro coniuge;
- l'isolamento della famiglia nucleare che porta alla perdita di appoggi esterni
alla coppia;
- il grande peso che ha assunto il matrimonio d'amore: quando non pare esserci più amore
si considera fallita l'esperienza;
- la forte distanza culturale tra la cultura di coppia e quella del mondo del lavoro:
nella coppia i rapporti sono sempre più paritari, nel mondo del lavoro sempre più
gerarchici; nel mondo del lavoro viene limitata l'attività personale creativa, la vita di
coppia per riuscire richiede una grande creatività... ecc.
Tutti questi elementi, ed altri ancora, che hanno in sé aspetti positivi e rischi, rendono fragile il matrimonio, ma la speranza consiste proprio nel voler guardare avanti nonostante tutto, sapendo che fragilità non significa fallimento.
C'è chi riesce a rispondere positivamente alle domande di senso che salgono dalla propria coscienza in quanto si trova già in qualche modo inserito in un orizzonte di senso. C'è invece chi deve fare un lungo cammino di ricerca all'interno di quelle condizioni dell'esistenza familiare che sono apparentemente prive di senso (un'assoluta incapacità di dialogo, la tossicodipendenza di un figlio, la presenza di un handicap, un licenziamento improvviso): occorre cioè tentare di trovare una ragione in quei drammi umani, più frequenti ed estesi di quanto solitamente si voglia ammettere, che si riscontrano all'interno delle famiglie e che esse sono il più delle volte abilissime nel tenere nascosti. Certo, la presenza del dolore e della fatica in famiglia non è necessariamente un segno di "disagio", e non sempre il dolore è "malattia". Ma il dolore può diventare "malato". Per esempio, pur restando entrambi in un contesto di "fatica" e di "dolore", un lavoratore collocato da un giorno all'altro in procedura di mobilità può reagire in modo positivo, cercando soluzioni alternative al licenziamento; un altro può reagire mettendo in atto propositi suicidari. La ricerca di senso deve sempre stare alla base della prevenzione e della terapia. E questa ricerca - pur con tutti gli insostituibili aiuti esterni - deve essere fatta in famiglia dove ogni membro è portatore di una storia che in qualche misura lo trascende ed il cui senso va riscoperto assieme, all'interno della stessa comunità familiare. Come afferma Pierpaolo Donati, la famiglia è " un'eccedenza di senso" rispetto al sociale, e dona tale eccedenza ai propri membri. La ricerca di senso, tuttavia, va sempre collegata con un altro asse che attraversa la coppia e la famiglia, ed è l'asse dei valori. Trovare un senso alla vita significa scoprire in essa un valore: un valore per noi stessi, per il nostro partner, e per gli altri, per la società. Ora, questi due assi - quello della ricerca di senso e quello dei valori - si intrecciano proprio nella famiglia. La famiglia, cioè, diventa il luogo di una mediazione essenziale tra le due radici della nostra identità, che è sempre al contempo personale e sociale: l'appartenenza al mondo dei legami e degli affetti con l'appartenenza al mondo del sociale e del politico. Se non esiste un dialogo tra queste due dimensioni la famiglia va in crisi, fa fatica, o per eccesso di intimismo o per una sorta di dispersione e di frammentazione. E la frattura tra queste due appartenenze si trasforma in evento fallimentare a livello psicologico, personale, e insieme a livello sociale. Questo è uno dei "nodi" fondamentali, forse il più importante, che la famiglia si trova oggi ad affrontare: una sorta di "schizofrenia". una divisione profonda tra "l'interno" ed "esterno", una sostanziale incapacità di elaborare, e di ri-elaborare, al proprio interno le esperienze che si vivono all'esterno, e viceversa. Nella realtà, la famiglia è diventata oggi una "zona - rifugio", un luogo cioè dove si scaricano le tensioni accumulate all'esterno. Per questo vogliamo insistere sul fatto che spesso all'interno della famiglia la ricerca (e l'elaborazione) di un senso non può fare affidamento su un solido e condiviso sistema di valori ad ampio orizzonte. Ed allora si genera una "frattura"; si manifesta un "disagio". È un po' quello che si è verificato nell'esperienza faticosa del rapporto tra Sandra e Matteo. Nonostante le apparenze (la frequenza allo stesso gruppo parrocchiale) i due ragazzi non condividevano lo stesso sistema di valori, lo stesso orizzonte: il forte coinvolgimento emotivo iniziale, tipico di ogni innamoramento, la disponibilità ad accantonare (ancora tipica in questi casi) il problema dei valori in un secondo tempo del matrimonio, altri problemi collegati con la famiglia d'origine, hanno messo in crisi forse definitivamente il loro rapporto di coppia. Va anche detto che la preparazione al matrimonio è oggi ancora molto deficitaria. Cinque o sei incontri, quando "va di lusso". E per molti vescovi e preti la prima preoccupazione resta ancora quella di propagandare ai giovani i cosiddetti metodi naturali...
b) la trota "agganciata"
Accenno rapidamente ai punti indicati dallo schema, cercando soprattutto di indicare quegli "ami" meno facilmente identificabili dalle "trote libere".
- la presunzione (tipicamente frutto della modernità) che ogni sogno
sia realizzabile, senza limiti;
- il rifiuto delle norme oggettive (tutto è lecito, se mi produce piacere);
- la mentalità del tutto e subito;
- il confondere il "vivere~con~piacere" con il "vivere-per
il-piacere";
- un atteggiamento fatalista e rassegnato;
- la forte influenza mediatica sugli stili di vita (occorre adeguarsi alla massa);
- il considerare la famiglia come una zona-rifugio le cui porte devono restare sprangate;
- la grande importanza della felicità sessuale: se non cè
si cambia! Ecc.;
1. Difficoltà personali:
immaturità; mancanza di progetto; disfunzioni sessuali; visione edonistica della
vita; aspettative eccessive dalla vita di coppia; innamoramento adolescenziale;
accentramento su se stessi e mancanza di attenzione nei confronti dei sentimenti
dell'altra persona;
2. Difficoltà relazionali di coppia:
idealizzazione dell'altro; incapacità di accettarlo com'è; fidanzamenti
superficiali; possessività- conflittualità esasperata; forte differenza culturale;
solitudine; confusione di ruoli, o mancato accordo su essi;
3. Difficoltà nella funzione genitoriale:
gravidanze indesiderate; disaccordo sui mezzi di regolazione delle nascite; mancanza
di una linea comune nell'educazione dei figli;
4. Difficoltà di relazione con lesterno: eccessivo attaccamento alla
famiglia d'origine; mancanza o povertà di relazioni significative con contesti esterni,
culturali, sociali, ecclesiali, ecc.
5. Eventi particolari:
relazioni extraconiugali; violenze e abusi sessuali; alcolismo, tossicodipendenze;
handicap. Nel corso di una ricerca su bambini portatori di handicap, abbiamo
osservato, a distanza di vari anni, che la maggior parte dei loro genitori si era nel
frattempo separata.
È evidente che chi si trova in queste condizioni mette in atto un grande e indicibile dispendio di energie il cui risultato finale potrà forse solo essere lo scacco.
c) le trote libere
Unisco assieme i cinque punti indicati dallo schema, in quanto si
tratta in realtà di un unico processo, più che di una serie di aspetti del problema.
Intanto va chiarito chi sono le trote "libere".
Sono quelle che non sono, o non sono ancora state prese all'amo dal disagio, in
questo caso dalla crisi che investe o che comunque può investire la coppia. Che cosa fanno
le trote "libere"? Che cosa fanno gli amici di Matteo e di Sandra, i loro
genitori, il loro parroco? Accomuna le trote "libere" la incapacità di
comprendere la sofferenza, e quando diciamo comprendere usiamo questo verbo nel
significato etimologico di assumere, di accogliere; questa incapacità porta il più delle
volte a una lettura superficiale del problema, a non coglierne cioè gli
aspetti essenziali, e dunque a una serie di fraintendimenti che si esprimono
nel "cucire" chi vive il disagio dei falsi bisogni, ma soprattutto
nell'esprimere dei giudizi moralistici sul loro comportamento, e in
definitiva a mettere in atto un atteggiamento di distacco e di abbandono.
Si tratta ora di entrare un po' più a fondo in questi atteggiamenti, non sempre
dettati da mala fede, ma il più delle volte da incompetenza, superficialità, pregiudizi
frutto di una cultura moralistica assai diffusa.
Per comprendere, non in modo intellettuale, ma etico, nel senso cioè di prendere,
assumere su di noi la realtà di tanti uomini e di tante donne che vivono la realtà del
disagio, dobbiamo forse essere noi stessi disposti a percorrere la strada della
sofferenza. E' difficile comprendere i disperati se noi stessi, in qualche misura e in
qualche situazione, non abbiamo sperimentato la disperazione. Dice lo scrittore Elie
Wiesel: "Soltanto chi conosce la disperazione conosce anche la vita". Il dolore
umano non è uno scherzo, va preso sul serio. Prima dobbiamo riconoscerlo, perché non
tutti coloro che soffrono sono disposti ad ammetterlo, spesso viene nascosto sotto
maschere di falsa letizia. E quando lo abbiamo riconosciuto, dobbiamo rispettarlo,
venerarlo.
Spesso le nostre comunità cristiane non sono in grado, perché non vi sono abituate, di
rispettare e di venerare il dolore umano. Noi siamo molto bravi a difendere i principi
astratti, ma siamo estremamente deboli sul piano della difesa dell'uomo e della donna
reali, cioè come sono e non come dovrebbero essere o come vorremmo che
fossero. Così, nel corso dei secoli, abbiamo difeso a spada tratta (una spada non
sempre metaforica) il principio della proprietà privata, del libero mercato, delle leggi
economiche, dimenticando tutte quelle vittime che ancora e soprattutto oggi a causa di
quella idolatria soffrono nelle enormi bidonvilles di tutto il mondo. E allo stesso modo
abbiamo difeso il principio sacrosanto dell'indissolubilità del matrimonio, un valore,
certo, una meta dell'etica cristiana, ma che non è detto che questa meta possa e che
debba necessariamente essere raggiunta al primo tentativo, soprattutto quando la
fragilità psicologica di uno o di entrambi i partner si scontra con i gravi impegni
sociali, psicologici ed etici che la vita di coppia, oggi sicuramente più di ieri,
comporta. Giudicare a priori fallite e indegne tutte quelle persone che hanno
vissuto uno scacco matrimoniale e che tentano, magari faticosamente, di riscoprire un
progetto di legame d'amore e di fedeltà per il tratto di vita che rimane loro, mi sembra
indegno di chi professa a parole un vangelo d'amore e di misericordia. Equiparare divorzio
a fallimento significa non tener conto della fatica che alcuni di noi fanno per
percorrere, nei limiti della loro attuale condizione psicologica, sociale e morale, la
strada che è loro possibile, qui e ora.
3) I compiti della comunità cristiana nei confronti delle coppie in crisi
Anche se non è specificamente di mia competenza vorrei concludere
questa analisi molto affrettata e incompleta proprio con alcune brevi osservazioni,
anch'esse da ripensare e da sviluppare, sui compiti della comunità cristiana nei
confronti delle coppie in crisi. Si dice in genere che verso queste persone la comunità
cristiana deve mettere in atto gli atteggiamenti dell'accoglienza e della misericordia. È
certo importante, ma forse non è sufficiente, anche se sarebbe già un bel passo avanti
se questi atteggiamenti venissero attuati.
Dobbiamo dunque chiederci: qual è l'obiettivo ultimo di ogni lavoro pastorale, vale a
dire il lavoro di una comunità cristiana? Non è l'aumento della spiritualità, non è
neppure lo sviluppo del Regno di Dio inteso come l'aumento degli aderenti alla comunità.
Il progetto cristiano non si collega a impegni straordinari, quanto piuttosto in quelli di
una quotidianità spesso stressata, difficile, densa di problemi. E vi entra per far sì
che tutti gli uomini vivano una vita - in quanto persone ed in quanto gruppi - pienamente
umana nello spirito del Vangelo. Il "luogo" in cui questa vita deve umanizzarsi
è quella di tutti i giorni, quella in cui sono presenti successi ed insuccessi, amore e
fragilità di relazioni, ombra e grazia. Se ha un senso parlare di "nuova
evangelizzazione", lo ha unicamente in questo contesto. I tempi in cui nella Chiesa
si faceva l'inventario di chi era dentro e di chi si trovava al di fuori sono, o almeno
dovrebbero essere, ormai terminati.
Questo nostro tempo va amato: non ha senso sognare tempi passati. E' qui e ora, in questo
nostro tempo, che si realizza una filtrazione di senso e di salvezza. E dunque la teologia
va ripensata in questa prospettiva concreta sia dal punto sociale che psicologico ed
etico. Anche la teologia del matrimonio. Il matrimonio cristiano non può più equiparare
divorzio a fallimento e a condizione di peccato. L'etica cristiana, presuppone, deve
presupporre sempre, la realizzabilità della norma morale. Se non è così si tratta di un
peso che non può essere portato e quindi non può essere imposto.
Qui si apre un campo immenso di lavoro di ricerca, perché accanto a quella prospettiva di
misericordia e di accoglienza nei confronti dei divorziati occorre riprendere in
considerazione tutta la concezione del sacramento del matrimonio affinché, con lo sguardo
fisso all'ideale proposto da Paolo in Efesini 5, 22-33, un amore tra marito e
moglie così sicuro e forte come l'amore tra Cristo e la sua Chiesa, si tenga conto
di tutte le tappe intermedie che occorre percorrere per raggiungere questo ideale.
Ma per centrare questo obiettivo le comunità cristiane devono anche operare una netta
distinzione tra incapacità e immoralità. Dobbiamo imparare tutti ad essere meno
moralisti. Si chiede un grande teologo pastorale austriaco, Paul M. Zulehner:
"La fedeltà fallisce perché noi siamo moralmente infedeli o perché oggi essere
fedeli è notevolmente più difficile?... Al paralitico non serve proprio a niente che lo
si esorti a correre più veloce. Anzi, l'esortazione gli pianterà solo in modo ancora
più doloroso nella coscienza la percezione che egli è paralitico e proprio non può
correre. Similmente avviene a molti contemporanei: la fredda predica morale scoraggia
perché dà un nome all'incapacità e la eleva alla coscienza nella sua ineludibile
asprezza, ma non la elimina".
Dobbiamo essere realisti. E' la nostra attuale condizione umana, quella che viviamo
tutti e tutti i giorni, che ci porta ad instaurare relazioni fragili. Questa fragilità
nasce da cause sociali e culturali che non devono rappresentare un facile alibi ma che non
dobbiamo neppure sottovalutare. Certo: io resto libero, ma al contempo vivo in un certo
ambiente di lavoro, con un certo stile di vita, frastornato da una serie di richiami
consumistici, di modelli, dalla televisione, da Internet ( un ragazzo si è separato da
sua moglie perché l'aveva tradita virtualmente tramite Internet!). Non si può
attribuire la causa di un fallimento esclusivamente alla cattiva volontà dei partner. Il
lavoro da fare, anche da un punto di vista pastorale e non solo consultoriale, non
è cambiare la situazione ma gestirla: gestire la fragilità delle nostre relazioni
di coppia, sapendo che si tratta di un cammino, spesso un cammino difficile.
Ma - senza per questo sentirci minimalisti - sarebbe già un bel passo avanti se
riuscissimo a vedere sul volto di chi ha fallito l'esperienza matrimoniale, o di chi si
appresta a ricominciarla, una persona che soffre, sapendo che non esiste un rapporto di
causa-effetto tra sofferenza e peccato. Gesù ci dà l'esempio di questo discernimento, e
se la Chiesa non lo fa non coglie l'insegnamento profondo del Maestro. Gesù non è mai
passato accanto alla sofferenza senza fermarsi, non si è mai sottratto all'incontro con
chi soffre, non ha rivendicato cose più importanti da fare, non ha mai anteposto i
principi alla pratica della misericordia.
Attraverso la sofferenza (che pure non è un valore assoluto, perché si trasformerebbe in
masochismo), Egli però cambia il cuore dell'essere umano, e questo cambiamento realizzato
attraverso vie misteriose e spesso non lineari è invece il valore fondamentale che noi
dobbiamo cogliere. Condannare e giudicare separazione e divorzio senza capire la
complessità culturale in cui questi eventi sono inseriti, come abbiamo timidamente
cercato di intravedere, senza tener conto che la fragilità si riscontra in tutte le
relazioni umane e non solo nel matrimonio, e consentendo a quella fobia della
sessualità che caratterizza molte relazioni ecclesiali, si rivela un atteggiamento di
grande superficialità, nei confronti di uomini e donne che come Matteo e Sandra sono
oppressi da pesi che fanno fatica a portare.
Questo è il messaggio che vorrei lasciare oggi. In definitiva un messaggio di speranza
per tutti: per chi è impegnato in un'azione pastorale con le coppie, di fondamentale
importanza nella Chiesa; a chi si sente una famiglia "normale" e forse al riparo
dai problemi che abbiamo trattato oggi; e a chi, come appunto Sandra e Matteo, vive invece
il dramma, profondo e inesprimibile, dello scacco, che deve sempre essere letto in
un'ottica di grande rispetto, e soprattutto in umiltà.
PER IL LAVORO DI GRUPPO