3° incontro dei Gruppi Famiglia a Vedelago
30 Novembre 2008
Gioco di squadra, gioco di chiesa
Strade per la pastorale in parrocchia nella piena corresponsabilità tra famiglie e
consacrati.
Relatore: mons. Renato Marangoni
Premessa sul tema proposto
Mi sono accorto poco fa, leggendo quei passi di Giavanni Paolo II nella Christifideles
laici, che da allora quelle cose non le abbiamo ancora viste realizzate, se per
realizzate intendiamo anche concretamente sperimentate. Tuttavia abbiamo bisogno di vedere
anche laspetto strutturale della questione. Il gioco di squadra, gioco di chiesa,
comporta una fatica enorme, e non a causa di qualcuno, tra le "categorie" di
preti e di laici oppure tra le varie associazioni. Che cosa sta succedendo?
Non è che sia personalmente molto entusiasta nei riguardi di certi gruppi ecclesiali,
nati a volte da esperienze poco chiare. Sappiamo che i vescovi qualche volta sono dovuti
intervenire. Questi gruppi si definiscono "gruppi di preghiera" o meglio ancora
"gruppi carismatici". Essi si ispirano a questa grande scoperta del dono dello
Spirito, che è stata fatta anche nella nostra chiesa cattolica negli anni 70-80. Ne
conosciamo qualcuno, cè però tutto un pullulare di gruppi che nascono dalla stessa
ispirazione di sperimentare la preghiera e il dono dello Spirito, una preghiera che non
sia semplicemente di formule ma che siano messi in gioco anche laspetto
dellaffettività. E come mai anche tra questi gruppi cè tanta fatica a
guardarsi negli occhi, a riconoscersi a vicenda?
Cè qualcosa, nella nostra esperienza di chiesa, che esprime questo grande desiderio
di gioco di chiesa. Chiesa vuol già dire gioco di squadra, infatti ciò che fa
diventare chiesa è la comunicazione della fede per cui nasce la chiesa come evento
comunicativo. La chiesa dunque è gioco di squadra per se stessa.
Mi pare proprio bello che nel decennio, che stiamo concludendo, i nostri vescovi abbiano
dato a tutte le diocesi italiane quegli orientamenti pastorali che sono contenuti nel
documento Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Se ci fermiamo su questa
espressione penso che non abbiamo una formula migliore per definire la chiesa.
Chiesa = comunicare il Vangelo in un mondo che cambia
Ci sono in gioco i tre elementi fondamentali, il Vangelo di Gesù Cristo, il mondo
senza del quale non esiste chiesa (non alternativi al mondo ma la chiesa è mondo), e il comunicare,
ossia la chiesa è evento comunicativo.
Potremmo riferirci anche alla famiglia, che è per eccellenza un evento comunicativo, ed
è nella comunicazione che uno trova la propria identità di fronte allaltro. Nella
dinamica della chiesa avviene la stessa cosa: io ho bisogno dellaltro per essere
chiesa. Questo è il punto vero che avvicina la chiesa allesperienza coniugale e
familiare, anzi lessere sposi ricorda alla chiesa che è dallaltro che
riceve ed è per laltro che ognuno di noi esiste. Ricordiamo che il
sacramento del matrimonio è sacramento della chiesa e nella chiesa nessuno è salvato per
sé stesso ma salvato dallaltro - per laltro. La vera salvezza
cristiana non è mai la mia salvezza ma la salvezza dellaltro ed è proprio quello
che si vive nellesperienza coniugale.
Dobbiamo fare attenzione perché sono state fatte certe cose, dette certe preghiere che
paiono anche belle, certe forme di devozione che toccano il cuore ma portano in sé una
dinamica che, come diceva papa Giovanni Paolo II, è individualistica, di chiusura: "Il
fedele laico non può chiudersi in sé stesso isolandosi spiritualmente dalla
comunità" (cfr. Christifideles 21-22).
Verona. Ottobre 2006
Al Convegno di Verona il vescovo Flavio Roberto Carraro tenne lomelia
dinizio convegno. Quando tutti i convegnisti da punti diversi di Verona arrivarono
in Arena, in quel luogo cera il vescovo di Verona con la sua rappresentanza che ha
accolto tutte le rappresentanze dItalia. Era levento più rappresentativo di
tutte le diocesi italiane con i loro vescovi e i loro laici. Nellomelia, commentò
la lettera di Pietro in modo coraggioso, avvertendoci di stare attenti che la nostra
spiritualità quando ci toglie dal rapporto con gli altri, dalla storia. Se facciamo
spiritualità disincarnata ci allontaniamo dal cristianesimo.
Se oggi vogliamo fare passi verso questa unità di chiesa dobbiamo valutare le cose,
preghiere, devozioni, forme di spiritualità che proponiamo, valutiamole se sono incarnate
o disincarnate, se sono nel segno della comunicazione, della dinamica di dare e ricevere
dallaltro o se seguono altre spinte.
Se osserviamo la nostra realtà ci accorgiamo che cè una fatica nellessere
chiesa. Il gioco di squadra non è dunque qualcosa di semplice e immediato.
Se vogliamo il vero peccato e la vera tentazione è quella di fare da soli. Noi nella
chiesa non abbiamo bisognodei grandi campioni, di quelli più bravi che se sono soli è
meglio. A volte capitano e noi li accogliamo ma il gioco di squadra siamo noi, così come
siamo, anche col nostro peccato. Qui si gioca bene in squadra, se siamo consapevoli del
nostro limite. Se invece ho altre mire, presunzioni non ci gioco più. Lo dico anche per i
preti che a volte, proprio in questo senso, sono tanto isolati dentro forme di presunzione
e di orgoglio assurde. Succede quando ci si identifica troppo con il ruolo che si occupa,
allora si diventa il capo. Nella chiesa non ci sono i capi, uno solo è il capo, quello
che nella prima domenica d Avvento noi invochiamo come il Signore che verrà,
nessuno può e deve sostituire Gesù Cristo.
Occorre dunque ripensare al nostro rapporto con lautorità della chiesa non solo per
come lautorità si presenta ma anche per quello che noi chiediamo a questa
autorità. Chi si sente il solo responsabile rischia di fare il gioco da solo, del più
bravo.
Episcopo deriva dalla lingua greca e significa colui che vigila, che sorveglia perché non
si perda il legame con le fonti, con gli apostoli, tanto più si dica dei presbiteri.
Quando leggiamo le Lettere o gli Atti degli Apostoli vediamo come Paolo era
lapostolo volante, e quando fondava una comunità, oppure la confermava perché già
esisteva, costituiva degli anziani perché curassero quella comunità, ma non erano capi,
monarchi.
Così il papa e i vescovi non sono dei monarchi, anche se in passato hanno esercitato la
monarchia. Dunque bisogna esercitare una responsabilità sotto forma di
corresponsabilità.
Ogni carisma ha le sue specificità: il ministero ordinato ha il suo ruolo ma non è il
tutto della chiesa, il ministero coniugale ha il suo specifico, ...
Tutto ciò non significa che vogliamo togliere lindividualità di ciascuno, anzi la
vera dimensione dellindividualità è la capacità di giocare in squadra. Praticare
questo gioco non è assolutamente facile; lo sapete meglio di me quale fatica facciamo in
ogni parrocchia a mettere insieme le varie realtà. Gran parte delle energie dei miei
confratelli preti è spesa per far stare insieme i gruppi dentro una stessa comunità
parrocchiale, tanto che questo lavoro li distoglie da quello che è proprio, originale
dellessere chiesa che è comunicare il Vangelo a chi ancora non lo conosce.
Tre passaggi
Ho tentato di dire ciò che comporta il gioco di squadra scritto nel titolo,
ora guardiamo alla chiesa in Italia. Che cosa sta maturando?
Prima citavo il documento Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, gli
orientamenti pastorali dati dai vescovi e citavo il 4° convegno ecclesiale nazionale di
Verona. Sono eventi che ormai ci riguardano, che riguardano ogni esperienza di fede se
questa vuole essere di chiesa, storica, locale. Vorrei dunque sottolineare questi 3
passaggi:
- la chiesa italiana (faccio riferimento soprattutto al convegno di Verona),
- rapporto particolare tra Aquila e Priscilla e Paolo così come il papa attuale lo
propone,
- e infine qualche battuta sul come oggi siamo interpellati in pastorale a giocare con
quello che siamo, con i carismi e i doni, con la chiamata originale di ognuno di noi
(dalla chiamata al battesimo seguita poi dalla vocazione coniugale, familiare,
presbiterale,
1. Il convegno di Verona
Che cosa sta succedendo nella chiesa in Italia?
Cè una questione importante che il convegno di Verona pone, cè un passaggio
che non abbiamo ancora assimilato. Dice il Card. Ruini alla conclusione del Convegno: "Il
convegno precedente di Palermo lavevamo costruito sui tre compiti fondamentali della
chiesa: annuncio della Parola (catechesi), liturgia, carità. Per parte mia vorrei solo
confermare che il nostro convegno con la sua articolazione in 5 ambiti di esercizio della
testimonianza, ognuno dei quali assai rilevante nellesperienza umana e tutti insieme
confluenti nellunità della persona e della sua coscienza, ci ha offerto
unimpostazione della vita e della pastorale della chiesa particolarmente favorevole
al lavoro educativo e formativo. Si tratta di un notevole passo in avanti rispetto
allimpostazione ancora prevalente al convegno di Palermo (1995), che a
sua volta puntava sullunità della pastorale ma era meno in grado di ricondurla
allunità della persona perché si concentrava solo sul legame, pur giusto e
prezioso, fra i tre compiti e uffici della chiesa: lannuncio e linsegnamento
della Parola di Dio, la preghiera e la liturgia, la testimonianza della carità".
In fondo è ancora limpostazione nella quale è configurata ogni nostra
parrocchia. Ecco perché non è ancora assimilato questo passaggio.
A Palermo eravamo preoccupati dellunità della pastorale. Noi siamo preoccupati che
gli uffici collaborino
, non preoccupaci troppo, non si collaborerà mai perché
questa collaborazione deve nascere da un altro fatto più fondamentale. Eravamo
preoccupati di comporre insieme catechesi, liturgia e carità.
Se ricordiamo i 5 ambiti erano: vita affettiva, lavoro e festa, fragilità, tradizione
(comunicazione- educazione-trasmissione), cittadinanza.
Cinque ambiti che, più che dire i compiti della chiesa, dicono le dimensioni fondamentali
della vita. Perché è così importante questo cambio di orientamento?
Oggi noi guardiamo allunità della persona e, guardando alla persona, scopriamo le
realtà di cui è intrecciata la vita e la storia della persona umana. Se noi poniamo
attenzione ai nuovi ambiti dovrebbe cambiare qualcosa nella nostra realtà cristiana. Non
sono cancellati quelli che erano detti i compiti fondamentali della chiesa ma cè
unattenzione spostata non tanto ai compiti ma alle persone in quanto tali.
I nostri vescovi
Questo viene riconfermato nella nota pastorale che ci hanno dato i nostri vescovi il
29.6.07, Rigenerati per una speranza viva.
Il passaggio in quel documento che conferma quanto è stato detto è: "
convergere
nellunità della persona".
Tutto questo si vive da sempre nella comunità coniugale familiare e si sta
tentando anche di dirlo alla comunità cristiana. Pensiamo solo allesperienza dei
genitori nei confronti dei figli. Questa attenzione alla persona è stata portata avanti
anche da un lungo tirocinio di pastorale familiare.
Attenzione tuttavia a non fermare la pastorale familiare a 10 anni fa. "Da questo
punto di vista, dicono i vescovi, lesperienza del convegno ecclesiale è
stata esemplare, la scelta di articolare i lavori in ambiti fondamentali intorno a cui si
dispiega lesistenza umana di qualsiasi età".
La fragilità ad esempio occupa ogni età dellesistenza umana, è un costitutivo
della persona umana. Pensavamo che la fragilità fosse segno di quella che si diceva "la
debolezza incline al peccato delluomo". Questi sono ragionamenti un
po forzati. La fragilità è una dimensione che abbraccia lesistenza umana
dallinizio alla fine. "Ha messo in luce questo riscoprire gli ambiti
fondamentali lunità della persona con il criterio fondamentale per
ricondurre ad unità lazione ecclesiale necessariamente multiforme".
Lazione ecclesiale (catechesi, animazione,
) è necessariamente multiforme,
sono tanti gli elementi, elementi che possono essere messi insieme se guardiamo
allunità della persona; questo riunifica la pastorale.
Penso che anche il nostro discorso di squadra tra sposati e consacrati sarà messo insieme
dalla sensibilità, dallattenzione allunità della persona.
Quello che oggi chiamiamo il compito formativo, e anche lesperienza cristiana è
unesperienza formativa, è il guardare alla persona. In forza di questo noi
giocheremo in squadra. Se guardiamo ad altre cose probabil-mente non riusciremo mai ad
entrare nella dimensione di squadra.
Il SI di Dio alluomo
La conclusione, quasi una consegna, è questa affermazione potente che deriva dalla
riflessione dei vescovi italiani del giugno del 2007, Rigenerati per una speranza viva:
"Sempre rigenerati da una speranza viva, (continua con una citazione della
lettera di Pietro), testimoni del grande SI di Dio alluomo". Fu la frase
pronunciata da Benedetto XVI nellintervento al convegno di Verona.
Dio ha detto SI alluomo. Tutte le volte che noi diamo messaggi che Dio ha detto NO
alluomo, ci sono atteggiamenti e pratiche religiose che facciamo con le quali diamo
un messaggio agli altri che Dio ha detto NO alluomo, non salviamo lunità
della persona.
Questo significa che non mi preoccupo solo di quello che voglio dire agli altri, di dire
tutto quello che ho in testa io, ma devo fare attenzione a che cosa può ricevere
laltro. Essere chiesa come comunicazione è unaltra cosa che essere
chiesa come indottrinamento.
Pensiamo se in una coppia uno dovesse indottrinare laltro! Quanti giorni possono
stare insieme? Stessa cosa con i figli! Lesperienza fondamentale
delleducazione dei figli non la si fa sedendosi in cattedra ma comunicando,
condividendo, diventando fragili con loro, attraversando insieme le esperienze. La
famiglia dunque è paradigma di questa comunicazione ecclesiale.
"In un contesto sociale frammentato e disperso la comunità cristiana avverte come
proprio compito anche quello di contribuire a generare fili di incontro e di
comunicazione. (È un compito "proprio", non un compito aggiunto.) Lo fa
anzitutto al proprio interno attraverso relazioni interpersonali attente ad ogni
persona. Impegnata a non sacrificare la qualità del rapporto personale
allefficienza dei programmi".
Noi abbiamo vissuto di recente stagioni di chiesa in cui pensavamo che lefficienza
dei programmi pastorali fosse decisiva.
"La comunità ecclesiale considera una testimonianza allamore di Dio il
promuovere relazioni mature, capaci di ascolto e di reciprocità".
Credo che qui ci dobbiamo giocare facendo un passo indietro rispetto a quanto abbiamo
fatto 10 anni fa, la questione è prima di tutto di rapporti umani, di relazioni mature.
La chiesa gioca su relazioni che non sono perfette, non può essere perfetta altrimenti
occuperebbe il posto di Gesù Cristo, sarebbe la nuova divinità, invece gioca su
relazioni mature proprie di uomini e donne vere.
Con i preti delle unità pastorali dopo anni che non si riusciva a capire perché alcune
cose non funzionavano, si è tentato di parlarsi. Ricordo il coraggio di un prete che ha
detto: "Solo ora mi sono accorto che, in quella prima stagione, erano le gelosie
tra noi che ci impedivano che le nostre comunità parrocchiali facessero questa esperienza
di condivisione che noi chiamiamo unità pastorale. Se una persona o coppia veniva
da m poi se ne va dallaltro
".
Il convegno di Verona ha messo una grossa premessa quando, parlando della vita
affettiva, per la prima volta si dice che la vita affettiva ha una dimensione teologale.
Laffettività dunque non è una cosa semplicemente romantica ma ha dimensione
teologale. Queste cose devono diventare il nuovo respiro nel modo di fare chiesa oggi.
Sono cose che hanno costato fatica a chi le ha intuite ed ha fatto in modo che
diventassero patrimonio comune.
Fascino del divino
La sintesi n.1 sulla vita affettiva dice: "È importante rendere visibile la
dimensione teologale della vita affettiva fondata sullamore-carità. È questo
fascino del divino che traspare dallamore umano ciò di cui ha fame spesso
luomo contemporaneo". Fascino del divino che abita ogni
esperienza affettiva che non sarà mai perfetta, ma lì dove si accende
laffettività, e non cè vita umana senza dimensione affettiva, lì cè
anche il fascino divino. Cè una visione della sacramentalità presente in tutta
lesperienza umana. "Si tratta prima di tutto di concepire
laffettività in termini propri, dire bene laffettività e dirne il bene".
È un bene laffettività anche se dobbiamo distinguere perché ci sono certe
situazioni di affettività che noi diciamo irregolari; cè lirregolarità ma
lì dove cè laffettività essa resta un dono. Questo ci aiuta ad incontrare
le persone, a riconoscere che non sono mai totalmente sbagliate, neanche quelle che fanno
scelte che a noi non piacciono. È tuttavia un bene da far emergere, da educare, comunque
da non relegare.
"Si tratta di un cammino da compiere per tutta la vita che esige gradualità ma,
nello stesso tempo, punta in alto alla qualità propriamente umana e dunque divina
dellaffettività. La vocazione etica degli affetti non giunge dallesterno,
dallesperienza affettiva, non è un insieme di divieti o di precetti moralistici ma
risponde al grido inesauribile del cuore che costituisce lorientamento profondo
(come è stato detto, prima lantropolo-gia poi letica). In questa
prospettiva la vita affettiva anche se fragile, e proprio attraverso la propria
fragilità, rimane valore."
Ogni persona è un bene potenziale
Gli uomini e le donne di chiesa sono convinti di questo?
Io non rinuncio a credere che la persona è un bene potenziale. "Ciò vale in
particolare per la famiglia, che è stata sottolineata da molti come luogo per eccellenza
generativo di affetti. Ogni suo componente impara in essa gradualmente a vivere le
relazioni negli errori come nelle esperienze riuscite".
Parlo a genitori che sanno quanto è complessa la verità, e che non basta la presa di
posizione autoritaria.
"Se parlare di speranza, conclude, è stata una espressione ricorrente
tale
espressione è risultata particolarmente significativa per questo ambito
dellaffettività".
Oggi la chiesa deve dire parole di speranza in questo senso. Se puntiamo a quelle
relazioni mature come testimonianza dellamore di Dio, e ce le diciamo queste cose,
cambieranno anche i rapporti, diventerà gioco di squadra il nostro fare chiesa. Lo dicono
i vescovi: la comunità cristiana si guardi al proprio interno e veda se sta sviluppando
relazioni interpersonali capaci di ascolto e di reciprocità.
2. Aquila e Priscilla
Ora, perché non sembri che abbia parlato solo di aspetti umani, leggo semplicemente
quello che ci ha consegnato il papa Benedetto XVI. Vorrei che ci lasciassimo ispirare da
un quadro biblico molto bello degli Atti e delle Lettere di Paolo, quello della coppia
Aquila e Priscilla. Che cosa ne dice lapostolo di questa coppia.
Cè un gioco di squadra straordinario tra Paolo e Aquila e Priscilla. È uno di quei
testi poco conosciuti nelle nostre comunità cristiane. Invito a vedere alla fine della
lettera ai Romani i saluti che Paolo fa ai Romani, dove vengono nominati più di venti
nomi e accanto ad ogni nome dice qualcosa, addirittura dice di qualcuno che la sua madre
è diventata anche la mia. Siamo in questa dimensione degli affetti che è la dimensione
dove possiamo e dobbiamo configurare il nostro essere chiesa.
È curioso che Paolo nella lettera ai Romani (lettera dottrinale perché affronta il
problema della giustificazione, ovvero se siamo salvati dalle opere o dalla grazia
gratuita di Dio, questione enorme discussa anche in quellassemblea di Gerusalemme
(cfr. At. 13), dopo aver detto il massimo che poteva dire dal punto di vista dottrinale
della sua riflessione sul cristianesimo, alla fine fa un elenco di persone come se le
guardasse in volto, le nomina come a dire: "Si, va bene tutta la dottrina ma ciò
che conta sono le persone". Alcuni li chiama fratelli e sorelle nel Signore
oppure dice: "La sua casa è diventata la casa della comunità".
Questo è fondamentale per riuscire a fare un gioco di squadra. Benedetto XVI si è reso
conto anche lui, pur accademico, in un intervento del mercoledì (7.2.07), dopo che aveva
preso in considerazione gli apostoli e poi i personaggi del N.T., parlò di Aquila e
Priscilla. Un intervento bello anche se resta un quadro paradigmatico. Il papa ricorda chi
sono, cita gli Atti, nella casa di Aquila e Priscilla si riunisce la chiesa,
poi
quando li commenta dice: "Qui a Roma abbiamo sia una chiesa dedicata a santa
Prisca sullAventino, sia le catacombe di Priscilla. In questo modo si perpetua la
memoria di una donna che è stata sicuramente una persona attiva e di molto valore nella
storia del cristianesimo romano. Una cosa è certa, insieme alla gratitudine di quelle
prime chiese di cui parla S. Paolo (Paolo diceva che erano grate a questa coppia tutte
le chiese dellAsia Minore) ci deve essere anche la nostra, poiché grazie alla
fede e allimpegno apostolico di fedeli laici, di famiglie, di sposi come Priscilla e
Aquila il cristianesimo è giunto alla nostra generazione; poteva crescere non solo grazie
agli apostoli che lo annunciavano. Per radicarsi nella terra del popolo, per svilupparsi
vivamente era necessario limpegno di queste famiglie, di questi sposi, di queste
comunità cristiane di fedeli laici che hanno offerto lhumus alla crescita della
fede e sempre e solo così cresce la chiesa. In particolare questa coppia dimostra come
sia importante lazione degli sposi cristiani, quando essi sono sorretti dalla fede e
da una forte spiritualità, diventa naturale il loro impegno nella chiesa e per a chiesa.
La quotidiana comunanza della loro vita si prolunga e in qualche modo si sublima
nellassunzione di una comune responsabilità a favore del copro mistico di Cristo.
Così era nella prima generazione e così sarà sempre."
3. Siamo interpellati in pastorale a giocare con quello che siamo, con i carismi e i
doni, con la chiamata originale di ognuno di noi
Volevo ancora leggere la realtà di oggi: cosa vuol dire giocare in squadra in questi
contesti che stiamo vivendo, con tutte le fatiche che ci sono, con il nuovo che avanza. È
chiaro che non si può essere legati a dieci anni fa. Nessuna realtà, anche ecclesiale
che continui a respirare laria di 10 anni fa può essere in sintonia con
loggi. Rischia di fare una collisione o di ritirarsi e di vivere per sé stessa.
Queste élites che si isolano, ce ne sono tante, non rispondono ad un vero gioco di
squadra.
Ho limpressione, dopo questi anni di pastorale familiare per quanto ho visto a
livello nazionale, che siamo rimasti un po indietro. Ho limpressione che
ancora viviamo di alcune nostalgie. Questo non ci permette di tornare su motivi che
avevamo già espresso come desiderio, come attesa, come tentativo di allora. Pur non
mettendoli in discussione mi chiedo se siano adeguati anche per affrontare la situazione
di oggi. È una domanda che pongo a me e a voi perché vedo che questo gioco di squadra,
guardando quello che sta succedendo, fatica a realizzarsi basandosi solo sui compiti
fondamentali della chiesa.
Si sta facendo già qualche passo indietro rispetto a quellentusiastico, a
quellaver accentuato fino allestremo anche la così detta catechesi familiare.
Ho limpressione che quel tipo di impostazione di catechesi familiare volesse dire
far diventare i genitori il tutto che prima non erano. È lestremo opposto, invece
di trovare un gioco di squadra. Dunque non si gioca allo spartirsi i compiti e non
riconoscere la persona valorizzando anche il suo ruolo. Il punto forte è rispondere
davvero a quella condizione di vita in cui ci troviamo: coniugale,
consacrata,
vivendo le cose fondamentali che abbiamo appena detto, costruendo
relazioni mature fra di noi, perché solo con le relazioni mature saremo in grado di
comunicare il vangelo in un mondo che cambia.
Quando sono dentro una dinamica di comunicazione faccio squadra, faccio chiesa, faccio
annuncio di Vangelo. Non lo faccio perché ho un incarico, un ruolo di viceparroco.
Sarebbe clericalizzare la coppia.
Dobbiamo ognuno giocare con i propri doni, carismi. Vedo molto più promettente di tanti
altri incontri lo sfondare da parte della vita ordinaria o professionale dei laici. Questo
è levento più interessante della vita di oggi che comunica il Vangelo attraverso
amicizie, ricerca della giustizia,
sono luoghi veri dove noi possiamo buttare quel
frammento di Vangelo che anche noi abbiamo ricevuto.
Penso alla situazione attuale. Ci sono due aspetti:
Famiglie omogenee dove tutti e due concordino nella stessa formazione spirituale,
esperienza e condivisione di fede. Queste non sono molte.
È più frequente la situazione di famiglie differenziate dove cè un percorso di
fede diverso, dove magari lei è anche catechista ma lui non gli va tanto.
Anche questa è grazia. Il fatto nuovo, nel contesto in cui viviamo, è dato proprio da
queste famiglie differenziate perché lì la chiesa vive la sua originalità; si è
diversi, si è chiesa in modo diverso, si aderisce alla chiesa a cerchi concentrici più
vicini o più lontani, e in questa diversità è possibile comunicare il Vangelo. Anzi è
più vera la comunicazione del Vangelo tra chi crede e chi non crede che dove tutti
credono.
Dobbiamo essere attenti a cogliere attorno a noi queste situazioni differenziate anche a
livello di coniugalità, a livello di famiglia.
Dobbiamo prendere consapevolezza oggi che la realtà è differenziata sia tra sposi che
con i figli. Questo è il terreno vero, buono che ci è offerto per innescare il nuovo
gioco di squadra. Lo dico a coppie come voi che seguite altre coppie, dove cè anche
la condivisione della spiritualità, di un cammino magari unico, di una preghiera di
coppia, di famiglia. Però facciamo questa esperienza vivendola anche secondo
lattenzione alla diversità. Questo è nuovo in pastorale e vuol dire che oggi non
ci preoccupiamo più della burocrazia, dellefficienza della pastorale. Non siamo
più preoccupati dellingegneria pastorale, che tutto funzioni con ogni mezzo
adeguato, con gli strumenti adatti. Tutto questo può anche andare bene ma non sempre
lefficienza dei mezzi dà lopportunità della relazione matura.
Siamo molto attenti a guardare chi non ha fatto la nostra esperienza perché è
straordinariamente promettente per noi, perché pare che oggi non ci siano preclusioni.
Linteresse, la domanda cè ma noi sbaglieremmo ad escludere come si farebbe
nellefficienza pastoralistica, o hai tutte le condizioni, le preparazioni del caso e
si fa accedere ai sacramenti, altrimenti non si concedono i sacramenti.
Oggi diventa interessante per noi anche la persona che non si è mai presentata e ci
chiede il sacramento per il proprio figlio. La loro domanda, anche se non così chiara,
porta un significato e un senso. Loro per te sono portatori di senso ed hanno una verità
da dirti. E tu, se ti metti in gioco con loro a partire da questa loro realtà, stai
facendo un evento di comunicazione.
Pastorale di generazione
Un sociologo francese parlava di pastorale di generazione: "La
pastorale di generazione non si interessa innanzitutto della salvaguardia
dellistituzione ma si dedica in primo luogo alla costituzione di soggetti. La
pastorale di generazione ha laudacia di dire che Gesù di Nazareth non ha avuto come
prima preoccupazione quella di fare dei discepoli."
Se ricordate Gesù ha rimandato a casa persone dicendo semplicemente: "La tua
fede ti ha salvato". Non ha fatto proselitismo. Ha avuto dei discepoli, ma ha
avuto anche persone che egli accoglieva senza chiedere loro di diventare dei suoi.
Oggi il Vangelo ci diventa attuale perché noi, nella realtà in cui viviamo, troviamo
tante di queste persone. Invece qualcuno ha ancora la presunzione dei numeri. Andava bene
nella stagione nella quale avevamo messo leticchetta di cristiano a tutto ma oggi
non è più così. Questo non significa che le persone siano "contro". "Fanno
prodigi nel tuo nome
","manda dal cielo
", e Gesù:
"Chi è con me non è contro
".
"Nel Vangelo cè lintuizione che delle persone, anche senza saperlo, sono
degli uomini e delle donne del regno, senza appartenere ai discepoli di Gesù. Nelle
beatitudini Gesù non fa questione di appartenenza quando dice: "Qualunque cosa
avete fatto al più piccolo dei miei fratelli lavete fatto a me", lascia
intendere che la salvezza non deriva da una appartenenza".
Per concludere
Gioco di squadra è questa nuova dimensione di missionarietà.
Laltro che non crede o che mi fa una domanda debole di fede e mi chiede qualcosa mi
riguarda, mi interessa e questo mi fa essere chiesa e chiesa con lui.
Dico queste cose a coppie che, per grazia ricevuta, hanno avuto anche la fortuna di avere
trovato dei luoghi caldi in cui si può sentire e percepire questa nuova realtà.