Dario Berruto
FEDE: DONO DI DIO E FORZA DELL'UOMO
Tracce di spiritualità familiare per l'animazione dei Gruppi Famiglia
Effatà Editrice
LETTERA AI RESPONSABILI DEI CAMPI E DELLE SCUOLE DI FORMAZIONE
Carissimi,
da alcuni mesi abbiamo a disposizione le tracce di spiritualità familiare per
l'animazione dei Gruppi Famiglia, pubblicate col titolo: "FEDE dono di Dio forza
dell'uomo".
E' nostra convinzione che vengano utilizzate per portare tanto bene nelle nostre case.
Se è vero che dove c'è una cosa buona il cristiano deve esserci è vero che non sempre
si pensa ad una traccia per concretizzare questo concetto.
Oggi possiamo consigliare caldamente l'uso di queste schede, in toto o in parte, per
alcune ragioni:
1) L'ispiratore è don Darlo Berruto, sacerdote della diocesi di Torino, responsabile
della formazione dei giovani preti e nostro relatore del Campo Invernale dedicato al
dolore innocente (il Libro di Giobbe).
2) Sono il frutto di mesi di lavoro da parte di Pierluigi Dal Zillio del Gruppo Famiglia
di Beinette.
3) Sono state lette ed approvate dai coniugi Lazzarini e Fauda.
4) Sono state trascritte in un linguaggio idoneo alla schedatura dai coniugi Pellegrino.
5) Sono veramente stimolanti sia nell'elaborato che nelle domande finali della Revisione
di Vita.
6) II costo è accessibile a tutti.
Fatte queste premesse si può studiare il modo per divulgarle: per esempio si può
dedicare loro una meditazione pomeridiana durante i campi famiglia; oppure usarle come
traccia durante la formazione permanente; oppure estrapolarne una per volta durante gli
incontri di ogni singolo gruppo.
Lasciamo a voi la fantasia dell'uso del tempo e del luogo, considerando che tutti questi
sforzi non andranno vanificati e sperando che possano contribuire all'unione delle nostre
famiglie e dei nostri gruppi.
Vi salutiamo fraternamente e ci poniamo sotto la volontà dello Spirito Santo invocandolo
come Luce dei cuori.
Ciao a tutti e buoni campi, vacanze e ritorno ai gruppi!
La coppia responsabile dei Gruppi Famiglia: Maria Rosa e Franco Fauda, Airasca, Giugno
1997
PREMESSA
Ogni capitolo di questo libro è tratto da un'omelia domenicale di un prete diocesano
torinese - don Darlo Berruto - e getta una luce particolare e stimolante sul tema della
fede.
L'associazione dei "Gruppi Famiglia", che ci ha proposto il materiale, usa
indicare con il termine "annuncio" ogni meditazione sulla Parola di Dio. Ci è
piaciuto questo termine - perché racchiude il bisogno di "passare parola" - e
abbiamo deciso di suggerirlo a quanti leggeranno il libro, perché si lascino raggiungere
e sollecitare da questi pensieri spirituali, spesso scomodi e provocatori.
Al termine di ogni annuncio - seguendo la caratteristica della nostra Collana di
spiritualità, che abbiamo voluto profonda ma anche estremamente concreta - ci sono alcune
domande per la Revisione di vita personale e alcune indicazioni per approfondire i temi
trattati.
Ci auguriamo che le "sferzate" di don Berruto, nonché le parole
dell'introduzione - scritta da Padre Cesare Falletti, monaco cistercense - contribuiscano
a riaccendere in molti il desiderio di affidarsi a Dio e la voglia di porsi in ascolto -
come singoli e come famiglia - della sua Parola.
Gli editori: Paolo Pellegrino e Gabriella Segarelli Pellegrino
INTRODUZIONE
PAROLA, CIBO ETERNO
II Verbo si è fatto carne, cibo, pane offerto dal Padre sulla tavola dei figli.
Questa Parola è nostra salvezza, nostra vita, vero cibo offerto per la vita del mondo e
tutti siamo chiamati ad accedere a questa tavola imbandita dalla Sapienza che grida: "Venite,
mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato" (Pr 9,5). Anche il
Profeta ci dice, da parte di Dio: "O voi tutti assetati venite all'acqua, chi non
ha denaro venga ugualmente; comprate e mangiate senza denaro e, senza spesa, vino e
latte" (Is 55,1 ).
Un vero cibo, più necessario ancora del pane di frumento, ci è proposto per la nostra
vita, un pane che ci fa comprendere queste parole: "Non le diverse specie di
frutti nutrono l'uomo, ma la tua parola conserva coloro che credono in te" (Sap
16,26). La Sapienza stessa - Gesù - nella sua lotta con tutto ciò che cercava di
ancorarlo ai beni materiali e alle soddisfazioni immediate, ha affermato: "Non di
solo pane vivrà l'uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio" (Mt4,4).
La tavola di ogni famiglia, dunque, non deve essere imbandita solo di cibi che periscono,
ma, soprattutto nei giorni di festa, di cibo eterno, quello che da e conserva la vera
vita.
La Parola di Dio unisce la famiglia
Ad immagine della Santissima Trinità, ogni comunità cristiana tende a formare
un'unità, non per una fusione che svuota le diversità e le personalità - impedendo a
ciascun membro di conservare la propria identità - ma per una comunione d'amore che crea
una tale circolazione di vita fra i membri, che gli uni e gli altri si riconoscono solo
più nell'unità dei cuori.
Questa comunione non è statica: non viene infatti raggiunta una volta per tutte, ne pone
le persone immobili le une di fronte alle altre. La comunione trinitaria è danza
circolare, in cui ciascuno tende ad incontrare l'altro, a perdere autonomia, a lasciare il
proprio posto per incontrare e abbracciare l'altro. È una tensione gioiosa e pacifica
verso una crescita senza fine, per essere icona perfetta dell'unità del Padre e del
Figlio nello Spirito Santo.
"Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno
in me; perché tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me e io in tè, siano
anch'essi in noi una cosa sola" (Gv 17,20): l'unità del Padre e del Figlio non
è stare faccia a faccia, io-tu, come davanti ad uno specchio, ma unità nello Spirito
Santo, il quale immette continuamente movimento, circolazione, novità. Quello che nella
Trinità è mistero, l'uomo lo vive nella ricerca continua di un'unità fra le persone e
nella convergenza verso un punto comune che sta al di fuori del gruppo.
È nella misura in cui tutti convergono verso un valore, un oggetto, un amore, che la
comunità umana vive e diventa feconda, facendo crescere l'unità giorno dopo giorno. La
Parola di Dio si è data come cibo sulla nostra tavola perché ciascuno, tendendo la mano
per nutrirsene, possa raggiungere il cuore degli altri.
Questo mistero trova il suo sacramento (cioè il suo segno sensibile ed efficace)
nell'Eucarestia, di cui è stato detto:
"Tu non vedi, non comprendi, ma la fede ti conferma, oltre la natura.
È solo un segno ciò che appare: nasconde nel mistero realtà sublimi.
Mangi carne, bevi sangue; ma rimane Cristo intero in ciascuna specie.
Chi lo mangia non lo spezza, ne separa, ne divide: intatto lo riceve.
Siano uno, siano mille, ugualmente lo ricevono: mai è consumato"
(Sequenza Lauda, Sion di san Tommaso d'Aquino).
La stessa cosa si può dire della Parola di Dio: è un cibo che non si esaurisce, non può
essere distrutto o accaparrato da chi lo mangia; non mette coloro che se ne nutrono in
concorrenza, non può mai esaurire la sua ricchezza e il suo dono e, in ogni caso, dopo
averlo gustato, rimane ancora tutto da scoprire.
La moltiplicazione dei pani, davanti ad un popolo affamato che aveva rischiato ogni
disagio per ascoltare la Parola, non ha suscitato lotta per il possesso di quei pochi pani
e pesciolini presentati alla folla che stava per venir meno dalla fame. Sorprendentemente,
ha sfamato tutti, unendoli nel desiderio di gustare anche il Pane di Vita che il Cristo
offriva. Questo episodio del vangelo testimonia la ricchezza del dono offerto ed il suo
potere di attirare verso l'unità gli uomini i quali, a causa del peccato originale,
tendono piuttosto a strapparsi le ricchezze gli uni agli altri che a condividerne
l'abbondanza.
Allo stesso modo, la Parola di Dio unisce e riunisce la famiglia, che la gusta sedendosi
insieme alla tavola imbandita da Dio stesso e servita dalla Chiesa. Lungi dal provocare
rivalità e gelosie, conflitti di interessi ed egoismi - come purtroppo avviene per ogni
bene della terra - essa forma un cuore solo, fa della molteplicità un'unità, da la gioia
della comunione con Dio e fra gli uomini, educa ad una stessa mentalità, dona i medesimi
valori, illumina le menti e i cuori.
Non è solo un fatto intellettuale; la Parola letta, meditata, "ruminata",
pregata ed infine condivisa opera per l'unità della famiglia, con la potenza di Dio, ben
al di là di quanto l'uomo possa comprendere od organizzare.
La Parola di Dio nutre la famiglia
Come un vero pane, la Parola di Dio è fonte di vita per chi la riceve: "Intanto
i discepoli lo pregavano: "Rabbì mangia". Ma egli rispose: "Ho da mangiare
un cibo che voi non conoscete" [...] "Mio cibo è fare la volontà di colui che
mi ha mandato e compiere la sua opera"" (Gv 4,31 -34).
Questo cibo Gesù lo condivide con noi; è venuto a portarcelo, perché anche noi viviamo
della sua stessa vita. Mangiare - cioè leggere, o ascoltare - la Parola di Dio e fare la
volontà del Padre devono andare di pari passo. Altrimenti la Scrittura si riduce ad una
lettura qualunque e non da altro frutto se non una conoscenza intellettuale che non genera
vita: "Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un
uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia" (Mt7,24}.
La Parola è un vero cibo, perché alimenta e fa crescere la vita, non solo di ogni
singolo membro della famiglia, ma della famiglia stessa in quanto tale. E lo fa nella
misura in cui la si mette in pratica. Il che non significa pretendere di realizzarla tutta
e subito, ma leggerla con l'intenzione di seguirla. La Parola è detta e viene ascoltata,
entra dall'orecchio e scende nel cuore, dove diventa sorgente di volontà retta, anche se
non sempre e completamente di capacità di esecuzione.
Le volontà di tutti i membri della famiglia tendono, così, tutte verso lo stesso fine,
ognuna secondo la personalità, la storia e le caratteristiche che fanno di ciascuno un
essere unico e irripetibile.
Ciò che può essere fonte di divisione e di disgregazione, viene "convertito",
cioè orientato verso qualcosa che è centro di attenzione e di intenzione per ciascuno.
In un punto irraggiungibile in questa vita, ma realmente attraente, la convergenza di
ciascuno diventa unità di tutto il nucleo familiare.
"Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione
fraterna" (At 2,42): come la vita fisica dipende dal cibo e dall'armonia delle
membra fra di loro, così la vita della famiglia dipende dalla sua unità e questa sgorga
dall'ascolto della Parola. La famiglia che alla stessa tavola si nutre della Parola di
Dio, cresce nell'unità e, dunque, nella sua stessa vita.
Come cibarsi insieme dello stesso Pane?
Come il modo di preparare le differenti portate di un pasto - e come i gusti di ogni
membro di una famiglia riunita a tavola possono essere molto diversi - così sono
variabili l'avvicinarsi alla Parola e l' "ascoltarla".
Si può leggere insieme, pregare insieme, meditare e commentare insieme un testo, ma anche
senza nulla di tutto ciò si può avere costantemente un riferimento alla Scrittura.
Il dialogo fra i membri può dipendere davvero dalla Parola di Dio anche se nessuno la
cita. L'essenziale è che ci sia un riferimento comune alla sua autorità, e che la vita
ne sia illuminata.
La Parola di Dio trasfigura la famiglia
Questa luce che illumina quanti si rifanno alla stessa sorgente lavora nel
segreto, come il seme della parabola: che l'uomo "dorma o vegli, di notte o di
giorno, il seme germoglia e cresce" (Mc 4,26).
La vita non è una tecnica che si acquista, ma una fedeltà alla sorgente che la fa
continuamente sgorgare.
Possa questo libro - con i suoi continui riferimenti alla Parola ed i forti richiami alla
conversione del cuore - aiutare quanti lo leggeranno, assetati di Dio, ad avvicinarsi
all'unica fonte della vera vita. Cristo Signore, nato, morto e risorto per ogni uomo.
Padre Cesare Falletti o. cist., Monastero Dominus Tecum, Bagnolo Piemonte (Cuneo)
I CAPITOLI DEL LIBRO
La corrente calda della salvezza (Gv 1,35-42: i primi discepoli).
Vorrei contemplare, con un primo sguardo, la figura di Giovanni Battista: egli sta con i
suoi discepoli ma la sua attenzione è rivolta a Gesù. È una figura bella, perché
descrive in modo plastico come dovrebbe essere un cristiano.
Il cristiano sta con quelli che il Signore gli ha affidato, mantenendo fermo lo sguardo su
Gesù. Così non sbaglia. Così sta in mezzo agli altri senza pensare a se stesso, senza
cercare i propri interessi.
Tu, l'hai già trovato Gesù? Potresti rispondere di sì e, tuttavia, Gesù resta
sempre al di là e tutto da scoprire. Ti auguro di cercare appassionatamente il Signore,
di non fermarti mai.
La vittoria della fede (Mc 1,7-11: il battesimo di Gesù).
Facciamo risuonare, nella storia che stiamo vivendo -così segnata da speranze, ma anche
ferita da sconfitte, delusioni e paure - la certezza che è possibile vincere il mondo, a
patto di deciderci a credere fino in fondo.
Se non scopriamo la paternità di Dio, non possiamo essere cristiani autentici. Se non
siamo disposti, nelle nostre giornate, a "versare sangue" quando vivere il
vangelo costa fatica, non possiamo essere veri cristiani.
Che c'entri con noi? (Mc 1,21-28: la guarigione di un indemoniato).
L'evangelista Marco, nello stendere il suo vangelo, si pone alcune domande: in che modo il
regno di Dio si fa vicino? Esistono dei segni concreti per capire che il regno di Dio è
prossimo? È possibile accorgersi se il tempo è giunto a pienezza?
Noi non arriviamo ad urlare in chiesa: "che centri tu con me?" ma, di fatto,
queste parole rischiamo a volte di viverle, è la logica dell'aborto, di certi matrimoni,
di certi figli, è la logica di certi datori di lavoro...
Essere nel mondo segno di Cristo Pastore (Gv 10,11-18: il buon pastore).
Gesù non ha detto: "Io sono un buon imprenditore"... Non ha detto neppure:
"Io sono un manager capace: so produrre frutti apostolici". Ha detto invece:
"Io sono il buon pastore". Si tratta di una figura lontana dalla nostra cultura.
Tuttavia sappiamo bene di aver bisogno di un Pastore e di pastori, segno sacramentale del
Pastore.
Il pastore lascia dei segni. Cosa devono fare i preti, i religiosi/e nel proprio
ministero? Cosa deve fare ogni battezzato? Indicare al mondo la presenza del pastore e
seguirne i passi. Troppe volte, invece, rischiamo di essere tutti mercenari...
Famiglia cristiana, diventa ciò che sei! (Lc 2,41-52: Gesù tra i
dottori del tempio).
La comunità cristiana, oggi, è investita di un compito molto serio: deve, da un lato,
accompagnare gli adulti a riscoprire Gesù come fa un missionario e, dall'altro, adottare
spiritualmente quei bambini che, a livello religioso, sono "figli di nessuno".
Le famiglie, infatti, richiedono per i loro figli i sacramenti, ma in un clima di totale
disinteresse. Famiglia cristiana, dove sei?
Famiglia cristiana, diventa ciò che sei: realtà che vive della fedeltà di Dio e la
manifesta, che vive della fecondità di Dio e la testimonia, che vive della
paternità di Dio e,vigile, la custodisce.
Lo Spirito di Dio (Gv 14,15-16.23b-26: il Consolatore).
C'è un'esperienza umana che ognuno di noi conosce molto bene, quella dell'amore.Quando
amiamo veramente qualcuno desideriamo che in qualche modo il nostro respiro e la nostra
vita entrino nell'altro, che tutto di noi possa essere in qualche modo sperimentato
dall'altro. Ma questo nostro desiderio rimane sempre "approssimativo per
difetto", anche perché siamo dei peccatori. Dio, invece, osa l'inosabile: il suo
amore per noi è misterioso, ma realissimo e tale da renderci partecipi di Lui.
Quando lo Spirito viene, ci rende tutti capaci di parlare le lingue degli uomini.
Queste lingue si chiamano: perdono, bontà, gioia. Allora, poco per volta, lo Spirito ci
insegnerà come fare l'amore con Dio e come farlo tra di noi.
Essere contenti a causa di Dio (Lc 12,13-21: non accumulare tesori).
Gesù st salendo verso Gerusalemme e, per stada, non smette di insegnare: il grande
catechista è Lui. Un giorno un uomo gli fa una richiesta molto concreta: "Maestro,
dì a mio fratello che divida con me l'eredità".
Siamo tutti cristiani? Sì. Siamo tutti fratelli e sorelle? Sicuro. Siamo disposti,
allora, a subire un'ingiustizia piuttosto di rompere la pace? Se sì, la nostra vita
dipende veramente da Dio, siamo contenti a causa di Lui e siamo santi.
Lo sguardo fisso su Gesù (Lc 12,49-57: saper cogliere i segni del
tempo).
L'uomo può guardare il suo simile in tanti modi: per curiosità, per abitudine, con
malizia o complicità. Ma può anche guardare attraverso lo "sguardo del cuore".
È in questo modo che siamo invitati a guardare Gesù, per entrare in una forte relazione
con Lui.
Le divisioni a causa del vangelo, all'interno della famiglia, sono quelle che fanno
più male: la moglie crede, il marito no, papà e mamma credono, i figli seguono altre
vie. Ma, di fronte a Gesù, siamo chiamati a scegliere, perchè di fronte a chi viene a
gettare il fuoco nei nostri cuori non si può restare neutrali.
La porta stretta (Lc 13,22-30: chi si salva?).
"Signore, sono pochi quelli che si salvano?". A questa domanda Gesù non
risponde ma prende lo spunto per ricordarci che, se vogliamo salvaci, dobbiamo
"sforzarci di entrare per la porta stretta".
Sforziamo di entrare per la "porta stretta" dell'obbedienza, appena l'avremo
varcata troveremo la nostra libertà.
Sforziamo di entrare per la "porta stretta" della verginità del cuore, appena
l'avremo varcata scopriremo cosa significa volerci bene tra noi. Sforziamo di entrare per
la "porta stretta" della preghiera, appena l'avremo varcata scopriemo cos'è la
fede e cosa significa consegnare la propria vita al Signore.
La novità dell'amore (Gv 8,1-11: l'adultera).
L'abitudine, da un lato, è indispensabile per ravvivare la fedeltà e l'amore: l'amore,
per diventare fedele, ha bisogno di azioni ripetute. Dall'altro, può diventare fatale
quando perde di vista questo scopo e diventa abitudine. Salviamo la faccia ma non salviamo
il cuore!
Siamo tutti tristemente esperti nell'accusare gli altri: la moglie o il marito, i
figli o i colleghi di lavoro... Nella misura in cui la fede è un'abitudine, la
prima occupazione della vita è puntare il dito contro gli altri. Perché, se accusiamo
loro, significa che noi siamo a posto, siamo bravi. Invece, chi ama prende il psoto
dell'altro, sospende le parole inutili del giudizio, si mette al suo posto, paga per lui:
questo è l'amore.
Ecco la libertà (Lc 9,51-62: le esigenze della sequela).
Libertà è prendere la propria vita e farne un dono. Fuori da questa definizione c'è
soltanto schiavitù. Siamo liberi quando sviluppiamo le nostre risorse (intelligenza,
affettività, ragione) decidendo, giorno dopo giorno, di volerne fare dono, senza
permettere a nulla di fermarci. Ecco la libertà.
La libertà di Gesù deve fare i conti con il rifiuto e l'incomprensione. Di fronte al
rifiuto dei samaritani: "ma chi ti vuole?", Gesù continua a camminare verso
Gerusalemme con il viso indurito.
L'incomprensione è quella di coloro che chiedono di seguirlo ma non hanno ancora capito
la logica del regno.
Ci sono cristiani che vanno avanti spinti dall'entusiasmo ma, quando questo finisce,
finisce tutto.
Le nostre foglie di fico (Lc 3,15-16.21-22).
Gesù giunge al Giordano quasi in incognito, nessuno si accorge che sta arrivando il Verbo
della vita. Si prostra di fronte a suo Padre, si immerge nel fiume e chede perdono. Non
chiede perdono per sé, lo chiede per noi. Gesù, al Giordano, comincia quella grande
confessione dei nostri peccati che terminerà con l'assoluzione dell'Eterno Padre al
Calvario.
Chiediamoci quali sono le cose che ci fanno vergognare, quali sono le nostre foglie di
fico. Chiediamoci se il peccato ci fa vergognare, se stiamo davvero apprezzando il gesto
compiuto da Gesù di chiedere perdono per i nostri peccati, per rivestirci della sua
natura divina.
Il libro può essere richiesto alla redazione. E-mail: formazionefamiglia@libero.it
Pagina aggiornata il 30 aprile 2009.