Dario Berruto
FEDE: DONO DI DIO E FORZA DELL'UOMO
Tracce di spiritualità familiare per l'animazione dei Gruppi Famiglia
Effatà Editrice

LETTERA AI RESPONSABILI DEI CAMPI E DELLE SCUOLE DI FORMAZIONE

Carissimi,
da alcuni mesi abbiamo a disposizione le tracce di spiritualità familiare per l'animazione dei Gruppi Famiglia, pubblicate col titolo: "FEDE dono di Dio forza dell'uomo".effata.jpg (62866 byte)
E' nostra convinzione che vengano utilizzate per portare tanto bene nelle nostre case.
Se è vero che dove c'è una cosa buona il cristiano deve esserci è vero che non sempre si pensa ad una traccia per concretizzare questo concetto.
Oggi possiamo consigliare caldamente l'uso di queste schede, in toto o in parte, per alcune ragioni:
1) L'ispiratore è don Darlo Berruto, sacerdote della diocesi di Torino, responsabile della formazione dei giovani preti e nostro relatore del Campo Invernale dedicato al dolore innocente (il Libro di Giobbe).
2) Sono il frutto di mesi di lavoro da parte di Pierluigi Dal Zillio del Gruppo Famiglia di Beinette.
3) Sono state lette ed approvate dai coniugi Lazzarini e Fauda.
4) Sono state trascritte in un linguaggio idoneo alla schedatura dai coniugi Pellegrino.
5) Sono veramente stimolanti sia nell'elaborato che nelle domande finali della Revisione di Vita.
6) II costo è accessibile a tutti.
Fatte queste premesse si può studiare il modo per divulgarle: per esempio si può dedicare loro una meditazione pomeridiana durante i campi famiglia; oppure usarle come traccia durante la formazione permanente; oppure estrapolarne una per volta durante gli incontri di ogni singolo gruppo.
Lasciamo a voi la fantasia dell'uso del tempo e del luogo, considerando che tutti questi sforzi non andranno vanificati e sperando che possano contribuire all'unione delle nostre famiglie e dei nostri gruppi.
Vi salutiamo fraternamente e ci poniamo sotto la volontà dello Spirito Santo invocandolo come Luce dei cuori.
Ciao a tutti e buoni campi, vacanze e ritorno ai gruppi!
La coppia responsabile dei Gruppi Famiglia: Maria Rosa e Franco Fauda, Airasca, Giugno 1997

PREMESSA

Ogni capitolo di questo libro è tratto da un'omelia domenicale di un prete diocesano torinese - don Darlo Berruto - e getta una luce particolare e stimolante sul tema della fede.
L'associazione dei "Gruppi Famiglia", che ci ha proposto il materiale, usa indicare con il termine "annuncio" ogni meditazione sulla Parola di Dio. Ci è piaciuto questo termine - perché racchiude il bisogno di "passare parola" - e abbiamo deciso di suggerirlo a quanti leggeranno il libro, perché si lascino raggiungere e sollecitare da questi pensieri spirituali, spesso scomodi e provocatori.
Al termine di ogni annuncio - seguendo la caratteristica della nostra Collana di spiritualità, che abbiamo voluto profonda ma anche estremamente concreta - ci sono alcune domande per la Revisione di vita personale e alcune indicazioni per approfondire i temi trattati.
Ci auguriamo che le "sferzate" di don Berruto, nonché le parole dell'introduzione - scritta da Padre Cesare Falletti, monaco cistercense - contribuiscano a riaccendere in molti il desiderio di affidarsi a Dio e la voglia di porsi in ascolto - come singoli e come famiglia - della sua Parola.
Gli editori: Paolo Pellegrino e Gabriella Segarelli Pellegrino

INTRODUZIONE
PAROLA, CIBO ETERNO

II Verbo si è fatto carne, cibo, pane offerto dal Padre sulla tavola dei figli.
Questa Parola è nostra salvezza, nostra vita, vero cibo offerto per la vita del mondo e tutti siamo chiamati ad accedere a questa tavola imbandita dalla Sapienza che grida: "Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato" (Pr 9,5). Anche il Profeta ci dice, da parte di Dio: "O voi tutti assetati venite all'acqua, chi non ha denaro venga ugualmente; comprate e mangiate senza denaro e, senza spesa, vino e latte" (Is 55,1 ).
Un vero cibo, più necessario ancora del pane di frumento, ci è proposto per la nostra vita, un pane che ci fa comprendere queste parole: "Non le diverse specie di frutti nutrono l'uomo, ma la tua parola conserva coloro che credono in te" (Sap 16,26). La Sapienza stessa - Gesù - nella sua lotta con tutto ciò che cercava di ancorarlo ai beni materiali e alle soddisfazioni immediate, ha affermato: "Non di solo pane vivrà l'uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio" (Mt4,4).
La tavola di ogni famiglia, dunque, non deve essere imbandita solo di cibi che periscono, ma, soprattutto nei giorni di festa, di cibo eterno, quello che da e conserva la vera vita.
La Parola di Dio unisce la famiglia
Ad immagine della Santissima Trinità, ogni comunità cristiana tende a formare un'unità, non per una fusione che svuota le diversità e le personalità - impedendo a ciascun membro di conservare la propria identità - ma per una comunione d'amore che crea una tale circolazione di vita fra i membri, che gli uni e gli altri si riconoscono solo più nell'unità dei cuori.
Questa comunione non è statica: non viene infatti raggiunta una volta per tutte, ne pone le persone immobili le une di fronte alle altre. La comunione trinitaria è danza circolare, in cui ciascuno tende ad incontrare l'altro, a perdere autonomia, a lasciare il proprio posto per incontrare e abbracciare l'altro. È una tensione gioiosa e pacifica verso una crescita senza fine, per essere icona perfetta dell'unità del Padre e del Figlio nello Spirito Santo.
"Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me e io in tè, siano anch'essi in noi una cosa sola" (Gv 17,20): l'unità del Padre e del Figlio non è stare faccia a faccia, io-tu, come davanti ad uno specchio, ma unità nello Spirito Santo, il quale immette continuamente movimento, circolazione, novità. Quello che nella Trinità è mistero, l'uomo lo vive nella ricerca continua di un'unità fra le persone e nella convergenza verso un punto comune che sta al di fuori del gruppo.
È nella misura in cui tutti convergono verso un valore, un oggetto, un amore, che la comunità umana vive e diventa feconda, facendo crescere l'unità giorno dopo giorno. La Parola di Dio si è data come cibo sulla nostra tavola perché ciascuno, tendendo la mano per nutrirsene, possa raggiungere il cuore degli altri.
Questo mistero trova il suo sacramento (cioè il suo segno sensibile ed efficace) nell'Eucarestia, di cui è stato detto:
"Tu non vedi, non comprendi, ma la fede ti conferma, oltre la natura.
È solo un segno ciò che appare: nasconde nel mistero realtà sublimi.
Mangi carne, bevi sangue; ma rimane Cristo intero in ciascuna specie.
Chi lo mangia non lo spezza, ne separa, ne divide: intatto lo riceve.
Siano uno, siano mille, ugualmente lo ricevono: mai è consumato"

(Sequenza Lauda, Sion di san Tommaso d'Aquino).
La stessa cosa si può dire della Parola di Dio: è un cibo che non si esaurisce, non può essere distrutto o accaparrato da chi lo mangia; non mette coloro che se ne nutrono in concorrenza, non può mai esaurire la sua ricchezza e il suo dono e, in ogni caso, dopo averlo gustato, rimane ancora tutto da scoprire.
La moltiplicazione dei pani, davanti ad un popolo affamato che aveva rischiato ogni disagio per ascoltare la Parola, non ha suscitato lotta per il possesso di quei pochi pani e pesciolini presentati alla folla che stava per venir meno dalla fame. Sorprendentemente, ha sfamato tutti, unendoli nel desiderio di gustare anche il Pane di Vita che il Cristo offriva. Questo episodio del vangelo testimonia la ricchezza del dono offerto ed il suo potere di attirare verso l'unità gli uomini i quali, a causa del peccato originale, tendono piuttosto a strapparsi le ricchezze gli uni agli altri che a condividerne l'abbondanza.
Allo stesso modo, la Parola di Dio unisce e riunisce la famiglia, che la gusta sedendosi insieme alla tavola imbandita da Dio stesso e servita dalla Chiesa. Lungi dal provocare rivalità e gelosie, conflitti di interessi ed egoismi - come purtroppo avviene per ogni bene della terra - essa forma un cuore solo, fa della molteplicità un'unità, da la gioia della comunione con Dio e fra gli uomini, educa ad una stessa mentalità, dona i medesimi valori, illumina le menti e i cuori.
Non è solo un fatto intellettuale; la Parola letta, meditata, "ruminata", pregata ed infine condivisa opera per l'unità della famiglia, con la potenza di Dio, ben al di là di quanto l'uomo possa comprendere od organizzare.
La Parola di Dio nutre la famiglia
Come un vero pane, la Parola di Dio è fonte di vita per chi la riceve: "Intanto i discepoli lo pregavano: "Rabbì mangia". Ma egli rispose: "Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete" [...] "Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera"" (Gv 4,31 -34).
Questo cibo Gesù lo condivide con noi; è venuto a portarcelo, perché anche noi viviamo della sua stessa vita. Mangiare - cioè leggere, o ascoltare - la Parola di Dio e fare la volontà del Padre devono andare di pari passo. Altrimenti la Scrittura si riduce ad una lettura qualunque e non da altro frutto se non una conoscenza intellettuale che non genera vita: "Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia" (Mt7,24}.
La Parola è un vero cibo, perché alimenta e fa crescere la vita, non solo di ogni singolo membro della famiglia, ma della famiglia stessa in quanto tale. E lo fa nella misura in cui la si mette in pratica. Il che non significa pretendere di realizzarla tutta e subito, ma leggerla con l'intenzione di seguirla. La Parola è detta e viene ascoltata, entra dall'orecchio e scende nel cuore, dove diventa sorgente di volontà retta, anche se non sempre e completamente di capacità di esecuzione.
Le volontà di tutti i membri della famiglia tendono, così, tutte verso lo stesso fine, ognuna secondo la personalità, la storia e le caratteristiche che fanno di ciascuno un essere unico e irripetibile.
Ciò che può essere fonte di divisione e di disgregazione, viene "convertito", cioè orientato verso qualcosa che è centro di attenzione e di intenzione per ciascuno.
In un punto irraggiungibile in questa vita, ma realmente attraente, la convergenza di ciascuno diventa unità di tutto il nucleo familiare.
"Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna" (At 2,42): come la vita fisica dipende dal cibo e dall'armonia delle membra fra di loro, così la vita della famiglia dipende dalla sua unità e questa sgorga dall'ascolto della Parola. La famiglia che alla stessa tavola si nutre della Parola di Dio, cresce nell'unità e, dunque, nella sua stessa vita.
Come cibarsi insieme dello stesso Pane?
Come il modo di preparare le differenti portate di un pasto - e come i gusti di ogni membro di una famiglia riunita a tavola possono essere molto diversi - così sono variabili l'avvicinarsi alla Parola e l' "ascoltarla".
Si può leggere insieme, pregare insieme, meditare e commentare insieme un testo, ma anche senza nulla di tutto ciò si può avere costantemente un riferimento alla Scrittura.
Il dialogo fra i membri può dipendere davvero dalla Parola di Dio anche se nessuno la cita. L'essenziale è che ci sia un riferimento comune alla sua autorità, e che la vita ne sia illuminata.
La Parola di Dio trasfigura la famiglia
Questa luce che illumina quanti si rifanno alla stessa sorgente lavora nel segreto, come il seme della parabola: che l'uomo "dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce" (Mc 4,26).
La vita non è una tecnica che si acquista, ma una fedeltà alla sorgente che la fa continuamente sgorgare.
Possa questo libro - con i suoi continui riferimenti alla Parola ed i forti richiami alla conversione del cuore - aiutare quanti lo leggeranno, assetati di Dio, ad avvicinarsi all'unica fonte della vera vita. Cristo Signore, nato, morto e risorto per ogni uomo.
Padre Cesare Falletti o. cist., Monastero Dominus Tecum, Bagnolo Piemonte (Cuneo)

I CAPITOLI DEL LIBRO

La corrente calda della salvezza (Gv 1,35-42: i primi discepoli).
Vorrei contemplare, con un primo sguardo, la figura di Giovanni Battista: egli sta con i suoi discepoli ma la sua attenzione è rivolta a Gesù. È una figura bella, perché descrive in modo plastico come dovrebbe essere un cristiano.
Il cristiano sta con quelli che il Signore gli ha affidato, mantenendo fermo lo sguardo su Gesù. Così non sbaglia. Così sta in mezzo agli altri senza pensare a se stesso, senza cercare i propri interessi.
Tu, l'hai già trovato Gesù? Potresti rispondere di sì e, tuttavia, Gesù resta sempre al di là e tutto da scoprire. Ti auguro di cercare appassionatamente il Signore, di non fermarti mai.
La vittoria della fede (Mc 1,7-11: il battesimo di Gesù).
Facciamo risuonare, nella storia che stiamo vivendo -così segnata da speranze, ma anche ferita da sconfitte, delusioni e paure - la certezza che è possibile vincere il mondo, a patto di deciderci a credere fino in fondo.
Se non scopriamo la paternità di Dio, non possiamo essere cristiani autentici. Se non siamo disposti, nelle nostre giornate, a "versare sangue" quando vivere il vangelo costa fatica, non possiamo essere veri cristiani.
Che c'entri con noi? (Mc 1,21-28: la guarigione di un indemoniato).
L'evangelista Marco, nello stendere il suo vangelo, si pone alcune domande: in che modo il regno di Dio si fa vicino? Esistono dei segni concreti per capire che il regno di Dio è prossimo? È possibile accorgersi se il tempo è giunto a pienezza?
Noi non arriviamo ad urlare in chiesa: "che centri tu con me?" ma, di fatto, queste parole rischiamo a volte di viverle, è la logica dell'aborto, di certi matrimoni, di certi figli, è la logica di certi datori di lavoro...
Essere nel mondo segno di Cristo Pastore (Gv 10,11-18: il buon pastore).
Gesù non ha detto: "Io sono un buon imprenditore"... Non ha detto neppure: "Io sono un manager capace: so produrre frutti apostolici". Ha detto invece: "Io sono il buon pastore". Si tratta di una figura lontana dalla nostra cultura. Tuttavia sappiamo bene di aver bisogno di un Pastore e di pastori, segno sacramentale del Pastore.
Il pastore lascia dei segni. Cosa devono fare i preti, i religiosi/e nel proprio ministero? Cosa deve fare ogni battezzato? Indicare al mondo la presenza del pastore e seguirne i passi. Troppe volte, invece, rischiamo di essere tutti mercenari...
Famiglia cristiana, diventa ciò che sei! (Lc 2,41-52: Gesù tra i dottori del tempio).
La comunità cristiana, oggi, è investita di un compito molto serio: deve, da un lato, accompagnare gli adulti a riscoprire Gesù come fa un missionario e, dall'altro, adottare spiritualmente quei bambini che, a livello religioso, sono "figli di nessuno". Le famiglie, infatti, richiedono per i loro figli i sacramenti, ma in un clima di totale disinteresse. Famiglia cristiana, dove sei?
Famiglia cristiana, diventa ciò che sei: realtà che vive della fedeltà di Dio e la manifesta, che vive della fecondità di Dio e la testimonia, che vive della   paternità di Dio e,vigile, la custodisce.
Lo Spirito di Dio (Gv 14,15-16.23b-26: il Consolatore).
C'è un'esperienza umana che ognuno di noi conosce molto bene, quella dell'amore.Quando amiamo veramente qualcuno desideriamo che in qualche modo il nostro respiro e la nostra vita entrino nell'altro, che tutto di noi possa essere in qualche modo sperimentato dall'altro. Ma questo nostro desiderio rimane sempre "approssimativo per difetto", anche perché siamo dei peccatori. Dio, invece, osa l'inosabile: il suo amore per noi è misterioso, ma realissimo e tale da renderci partecipi di Lui.
Quando lo Spirito viene, ci rende tutti capaci di parlare le lingue degli uomini. Queste lingue si chiamano: perdono, bontà, gioia. Allora, poco per volta, lo Spirito ci insegnerà come fare l'amore con Dio e come farlo tra di noi.
Essere contenti a causa di Dio (Lc 12,13-21: non accumulare tesori).
Gesù st salendo verso Gerusalemme e, per stada, non smette di insegnare: il grande catechista è Lui. Un giorno un uomo gli fa una richiesta molto concreta: "Maestro, dì a mio fratello che divida con me l'eredità".
Siamo tutti cristiani? Sì. Siamo tutti fratelli e sorelle? Sicuro. Siamo disposti, allora, a subire un'ingiustizia piuttosto di rompere la pace? Se sì, la nostra vita dipende veramente da Dio, siamo contenti a causa di Lui e siamo santi.
Lo sguardo fisso su Gesù (Lc 12,49-57: saper cogliere i segni del tempo).
L'uomo può guardare il suo simile in tanti modi: per curiosità, per abitudine, con malizia o complicità. Ma può anche guardare attraverso lo "sguardo del cuore". È in questo modo che siamo invitati a guardare Gesù, per entrare in una forte relazione con Lui.
Le divisioni a causa del vangelo, all'interno della famiglia, sono quelle che fanno più male: la moglie crede, il marito no, papà e mamma credono, i figli seguono altre vie. Ma, di fronte a Gesù, siamo chiamati a scegliere, perchè di fronte a chi viene a gettare il fuoco nei nostri cuori non si può restare neutrali.
La porta stretta (Lc 13,22-30: chi si salva?).
"Signore, sono pochi quelli che si salvano?". A questa domanda Gesù non risponde ma prende lo spunto per ricordarci che, se vogliamo salvaci, dobbiamo "sforzarci di entrare per la porta stretta".
Sforziamo di entrare per la "porta stretta" dell'obbedienza, appena l'avremo varcata troveremo la nostra libertà.
Sforziamo di entrare per la "porta stretta" della verginità del cuore, appena l'avremo varcata scopriremo cosa significa volerci bene tra noi. Sforziamo di entrare per la "porta stretta" della preghiera, appena l'avremo varcata scopriemo cos'è la fede e cosa significa consegnare la propria vita al Signore.
La novità dell'amore (Gv 8,1-11: l'adultera).
L'abitudine, da un lato, è indispensabile per ravvivare la fedeltà e l'amore: l'amore, per diventare fedele, ha bisogno di azioni ripetute. Dall'altro, può diventare fatale quando perde di vista questo scopo e diventa abitudine. Salviamo la faccia ma non salviamo il cuore!
Siamo tutti tristemente esperti nell'accusare gli altri: la moglie o il marito, i figli  o i colleghi di lavoro... Nella misura in cui la fede è un'abitudine, la prima occupazione della vita è puntare il dito contro gli altri. Perché, se accusiamo loro, significa che noi siamo a posto, siamo bravi. Invece, chi ama prende il psoto dell'altro, sospende le parole inutili del giudizio, si mette al suo posto, paga per lui: questo è l'amore.
Ecco la libertà (Lc 9,51-62: le esigenze della sequela).
Libertà è prendere la propria vita e farne un dono. Fuori da questa definizione c'è soltanto schiavitù. Siamo liberi quando sviluppiamo le nostre risorse (intelligenza, affettività, ragione) decidendo, giorno dopo giorno, di volerne fare dono, senza permettere a nulla di fermarci. Ecco la libertà.
La libertà di Gesù deve fare i conti con il rifiuto e l'incomprensione. Di fronte al rifiuto dei samaritani: "ma chi ti vuole?", Gesù continua a camminare verso Gerusalemme con il viso indurito.
L'incomprensione è quella di coloro che chiedono di seguirlo ma non hanno ancora capito la logica del regno.
Ci sono cristiani che vanno avanti spinti dall'entusiasmo ma, quando questo finisce, finisce tutto.
Le nostre foglie di fico (Lc 3,15-16.21-22).
Gesù giunge al Giordano quasi in incognito, nessuno si accorge che sta arrivando il Verbo della vita. Si prostra di fronte a suo Padre, si immerge nel fiume e chede perdono. Non chiede perdono per sé, lo chiede per noi. Gesù, al Giordano, comincia quella grande confessione dei nostri peccati che terminerà con l'assoluzione dell'Eterno Padre al Calvario.
Chiediamoci quali sono le cose che ci fanno vergognare, quali sono le nostre foglie di fico. Chiediamoci se il peccato ci fa vergognare, se stiamo davvero apprezzando il gesto compiuto da Gesù di chiedere perdono per i nostri peccati, per rivestirci della sua natura divina.

Il libro può essere richiesto alla redazione. E-mail: formazionefamiglia@libero.it

Pagina aggiornata il 30 aprile 2009.