Dal convegno dei Gruppi Famiglia a Castelnuovo Fogliani
IL RUOLO DELLA FAMIGLIA NELLA SOCIETÀ ITALIANA IN CRISI
Vorrei iniziare partendo dal messaggio che i Vescovi italiani hanno indirizzato alle
famiglie e agli sposi alla fine della loro assemblea generale che si è tenuta dal 10 al
14 maggio u.s.
Il messaggio dei Vescovi si apre dicendo che gli sposi cristiani sono parte viva della
Chiesa, va riconosciuto alla famiglia un ruolo attivo nella società e nella Chiesa, gli
sposi devono ravvivare il dono del Sacramento ricevuto nel giorno del matrimonio anche se
la loro unione è stata segnata da esperienze negative.
Poi il messaggio prosegue con due indicazioni fondamentali:
1) Un rapporto migliore tra famiglia e società ha bisogno di famiglie cristiane che siano
fondate bene. Più in dettaglio la testimonianza evangelica delle famiglie deve essere
ampia (estesa a molte famiglie) e unitaria, perché senza queste caratteristiche le
testimonianze evangeliche non hanno efficacia storica, non hanno incidenza sulle
situazioni, sulle politiche, sulle istituzioni.
2) Nella famiglia persiste la consapevolezza di essere soggetto attivo, quindi soggetto
forte.
Dalla riflessione che la Consulta per la Pastorale Familiare ha fatto a questo riguardo,
sono emerse delle proposte che camminano su tre diverse piste.
La prima è quella di prendere in considerazione la legge 142, quella sulle autonomie
locali, e di mettere in atto delle forme associative familiari, istituire delle consulte
della famiglia in modo tale che le comunità locali, cioè le Municipalità (che adesso
dispongono di uno Statuto) siano obbligate a tener conto degli sposi e delle famiglie
quando affrontano un problema concreto (tipo trasporti urbani, fermate, scuole,
spettacoli, ecc.).
La seconda pista è quella di elaborare una mentalità nuova da parte degli sposi che
permetta loro di aderire alle associazioni già esistenti. Ora sovente capita che le
associazioni non vedano di buon occhio i gruppi parrocchiali e viceversa. Ciò determina
uno spreco di energia perché si ha meno valenza nel fare richieste e nel modificare la
società in crisi.
La terza pista indicata dalla Consulta consiste nell'istituire un "forum" o un
comitato come espressione di tutte le associazioni, comprese quelle non cattoliche, in
modo da disporsi come interlocutori istituzionali delle Regioni, come è il caso
dell'Emilia-Romagna.
Costituire un forum delle associazioni delle famiglie per la difesa della Famiglia e dei
suoi interessi a livello regionale costituisce un solo piccolo passo per superare la
situazione attuale perché i politici preferiscono trattare con associazioni divise, con
parrocchie divise, con personaggi del mondo cattolico divisi. Anche qui va condotta una
lotta politica a livello di idee per modificare questa abitudine e per chiedere ai
politici più correttezza quando vengono a trovarsi in dialogo con il mondo cattolico.
Quest'ultima riflessione mi obbliga a fare un approfondimento.
Recentemente è stato pubblicato un mio articolo ("Le politiche familiari
europee" su "La famiglia" n.158) dove documento uno studio prodotto in
Germania per incarico del Ministero della Famiglia e delle Persone Anziane.
In questo articolo si sottolinea che i paesi d'Europa che hanno una politica familiare
viva, avanzata, favorevole alla famiglia, devono questo al fatto che vi sono dei movimenti
familiari laici coordinati tra loro.
L'Italia invece è tra quei paesi che mancano di una politica familiare esplicita
destinata alla famiglia riconosciuta come gruppo e non come somma di singoli.
Come mai? Perché in Italia c'è un associazionismo molto vario (come un mazzo di fiori
con tanti fiorellini piccoli e carini) che non ha influenza sul piano sociale e politico.
Ecco al riguardo un intervento di Pier Paolo Donati: "L'idea da cui dobbiamo partire
è quella della debolezza strutturale delle associazioni italiane".
Il problema è che i membri delle associazioni sovente aderiscono ad esse solo per i
vantaggi che ne ricevono piuttosto che per il contributo che i singoli associali possono
dare per cambiare la società, il modo di educare i figli, modificare le leggi. Quindi
questo associazionismo persegue vantaggi personali e non promuove un cambio culturale e
soprattutto non incide sulle modifiche dei meccanismi.
Tornando alla ricerca tedesca, l'Italia, il Portogallo e la Spagna sono paesi che basano
la loro politica familiare sul concetto di "soccorrere il misero" tipo le
famiglie molto povere. Ma investire solo nei poveri non conviene: i poveri non sono in
grado di restituire nulla e rappresentano un investimento economico a fondo perduto.
La Labos, "Laboratorio per le Politiche Sociali" ha pubblicato questo mese uno
studio su "I bisogni e le famiglie". Questo studio è stato condotto su famiglie
di ceto medio e non su famiglie bisognose. Una cosa interessante è che queste famiglie
medie, robuste, normalmente sane, sono famiglie che con il pochissimo aiuto ricevuto dai
servizi pubblici danno un ritorno molto alto perché utilizzano al meglio i pochi servizi
a loro disposizione.
Lo scopo della ricerca è dimostrare che se lo Stato investisse di più per queste
famiglie (scuole più vicine, trasporti più comodi, ecc.) queste sarebbero ancora più
efficienti e potrebbero aumentare la loro capacità di aiutare a loro volta altre
famiglie. Sarebbe anche un investimento positivo in termini economici: lo Stato spende di
più a curare un malato (mentale, handicappato, tossicodipendente) che non a costruire
infrastrutture.
Concludendo, in questo momento storico risulta fondamentale una riflessione che risvegli
nel mondo cattolico, nelle famiglie, la sensibilità sociale accrescendo
l'associazionismo.
Don Giuseppe Anfossi, responsabile Ufficio Famiglia CEI