L'esperienza dei Gruppi Famiglia a Taizé, luglio
1992
POVERTÀ, CASTITÀ ED OBBEDIENZA NELLA VITA DI COPPIA
Dalle riflessioni di Frère Wolfgang tradotte e raccolte a cura di Céline e Paolo
Albert.
Povertà, castità ed obbedienza sono tre consigli evangelici che ci sono stati dati
per aiutarci a trovare delle parole "nuove", nel senso delle "cose
nuove" di cui parla l'Apocalisse.
Non sono delle regole morali che vogliono limitare le nostre possibilità ma qualcosa che,
al contrario, vuole darci un aiuto per trovare delle cose nuove e forse per restare
giovani ed essere capaci di cantare sempre delle nuove canzoni d'amore.
Quando eravamo giovani, forse un po' ingenui, abbiamo fatto delle scelte nella nostra
vita, scelte d'amore, ed ora vediamo le cose con un po' d'amarezza. Allora è importante
ricordare che ci sono delle parole nuove che ci possono aiutare a continuare nel cammino
intrapreso.
POVERTÀ
A Taizè, anziché la parola povertà, si dice "comunione dei beni",
sia i beni materiali che i doni spirituali, i doni della fede, ciò che abbiamo capito
della fede.
La parola povertà oggi ha talmente tanti significati... Per quelli sposati, ma anche per
quelli che vivono in comunità a Taizè, la povertà significa non avere nient'altro da
donare che se stessi.
In questo modo si riesce a realizzare la "comunione" e noi superiamo il nostro
isolamento. Non ho bisogno di dare o di dare molto per dimostrare che voglio bene a
qualcuno. Può capitare che io non sia un bravo fratello di Taizè, o che una coppia non
sia perfetta ma l'importante è restare insieme.
Ciò di cui noi abbiamo bisogno è di essere amati come siamo, non per le cose materiali
che possiamo dare ma per ciò che siamo nella nostra povertà.
Povertà è dipendere dagli altri perché vogliamo loro bene, perché soffriamo se non li
vediamo.
La bellezza delle società di oggi è forse questa sete di non essere soli, che non riesce
quasi mai ad essere soddisfatta.
Forse questa sete, che nasce da una nostra povertà, ci rende capaci di fare comunione.
Se vogliamo fare una preghiera quotidiana si potrebbe chiedere di trasformare questa
nostra povertà in sete di comunione, perché ciò non ci isoli dagli altri.
I fattori materiali sono certo importanti per dimostrare che si ama: sotto questo aspetto
non bisogna essere troppo moralisti. È così bello, nel Vangelo, quell'episodio della
donna che usa un profumo prezioso per cospargere i piedi di Gesù e esprimere cosi il suo
amore.
Le cose materiali sono lì per esprimere la gioia, il nostro amore. Noi però non siamo
solo un appendiabiti. Possiamo esprimere ciò che è nel nostro cuore con le cose
materiali ma queste non devono occupare il nostro cuore.
CASTITÀ
Castità è vivere con pienezza la scelta del celibato come quella del matrimonio.
La cosa più bella è creare uno spazio in cui uno può perdersi nell'altro, abbandonarsi
completamente all'altro, dove in certi momenti non c'è distanza tra noi, si è veramente
insieme.
Noi confratelli quando siamo insieme in chiesa formiamo un solo corpo visibile. Nelle
nostre vesti bianche siamo come una sola nuvola, per noi è molto importante non avere
distinzione.
La comunità è una piccola parabola della Chiesa e posso abbandonarmi dentro di lei con
completa fiducia. Non ho bisogno di cercare la mia identità ogni giorno per sopravvivere,
ma posso donarmi.
Ciò è molto importante perché oggi la Chiesa diventa subito un tema di critica, di
discussione. Ma critica significa mettersi all'esterno, ritirarsi per giudicare. Questo
può anche essere l'importante purché ci siano ancora i momenti in cui la distanza tra me
e la Chiesa si annulla: questi sono i momenti che vogliamo vivere!
Celibato e matrimonio non sono delle professioni, un lavoro che impegna per un certo
numero di ore il giorno: si è legati con il proprio corpo assieme alla famiglia o alla
piccola comunità.
Ciò nonostante l'altro resta diverso da ciò che io sono: ciò che ci fonde come
desiderio, resta anche ciò che ci differenzia.
Ciò può spingerci fino alla "disperazione".
La mia esperienza di Taizè è quella di una comunità interconfessionale, in cui ci sono
tante chiese che non potranno forse essere mai unite. Di fronte a ciò si può essere
presi dalla disperazione oppure dirsi: non voglio prendere possesso dell'altro.
Si può disperare, perché non si realizza la comunione, ma anche avere la volontà di non
voler possedere l'altro. Vivere i propri desideri ma anche accettare che non ci sono
soluzioni complete, che qualcosa resterà aperto, non riunito, per tutta la vita, senza
che lo possa capire.
Questo desiderio di unione servirà a mantenerci persone vive fino al termine della nostra
vita. Ci possiamo sposare, però tra noi c'è un mistero che non potremo mai svelare
completamente. La nostra intera vita assieme non sarà sufficiente a svelarne tutta la
profondità.
La castità è anche non approfittare dei momenti in cui mi accorgo che l'altro si sente
in colpa, ma, al contrario, stargli vicino ed accoglierlo, se vuole tornare.
Una piccola preghiera quotidiana potrebbe essere: "concedimi Signore di rallegrarmi
del mistero che io sono come sono e del mistero che è l'altro e che possiamo insieme
gioire del mistero che Tu sei nella Chiesa".
OBBEDIENZA
Obbedienza è ricordare sempre che, quando abbiamo preso un impegno definitivo
per la vita e siamo insieme come coppie o come comunità, siamo uniti intorno ad un Altro.
Lo scopo della nostra vita non è di stare bene insieme ma di essere aperti ad un altro,
per noi a Cristo, obbedire a Cristo.
Obbedire a Lui significa cercare di capire come, in che modo, Lui ci dice di andare
avanti.
La parola obbedienza non si trova nella regola di Taizè, ma c'è un continuo ascolto;
frére Roger ascolta anche il fratello più giovane, per non restare senza avanzare.
Questa obbedienza si può vivere anche con i bambini: un bimbo improvvisamente dice una
cosa che forse lui non capisce neppure, ma è ciò che serve per andare avanti.
L'obbedienza è più il nostro sforzarci di capire ciò che Dio vuole da noi; l'obbedienza
in questo senso significa rinunciare a mettersi a confronto.
C'è quasi un che di diabolico in questa presunzione di pensare "Io ho capito
tutto", e nello stesso momento non stimo più gli altri: "Se fossi solo chissà
cosa farei... sono gli altri che mi impediscono di...". Oppure posso dirmi:
"Guarda com'è bella questa comunità di Taizè, senza alcun difetto; ma quando sono
arrivato non era così...".
Quando si vive insieme ci diciamo, a momenti: "Io non sono degno", poi il
momento dopo pensiamo l'opposto.
Questa è un po' una legge di vita: dobbiamo rifiutarci di seguire queste voci che ci
parlano, perché rischiamo di distruggere.
Abbiamo dentro tutto questo universo di cose, l'obbedienza è ripeterci che Dio ci dona la
pace interiore. Se Dio ci da questo dono d'amore ci rende capaci di amare, non ci chiede
nulla. Essere obbedienti a Lui è essere come Pietro, accettare che Lui ci lavi i piedi,
che ci accolga e prenda su di Lui tutte le nostre voci interiori.
frère Wolfgang