LA SPERANZA (parte prima)

Per tutti coloro che non hanno potuto partecipare al Campo Invernale riportiamo di seguito il riassunto degli annunci tenuti dal relatore, il prof. Graziano BOTTI, teologo.
Chi desiderasse ricevere il testo completo può farcene richiesta, allegando 3 francobolli da 800 lire, come rimborso per le spese di spedizione.

CHE COS'E' LA SPERANZA
"...pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi" (1Pt 3,15)
La speranza, come ci ricorda il Catechismo di Pio X, è una delle tre virtù teologali.
La speranza, il lingua spagnola, si traduce con "esperar" che vuol dire sperare ma anche attendere.
E questo concetto di speranza lo troviamo anche nella preghiera eucaristica: "Annunziamo ... nell'attesa della tua venuta".
Questa attesa non è parente di quella che, due volte la settimana, contagia gli italiani all'approssimarsi delle estrazioni dei numeri del Super-Enalotto, è qualcosa di sicuro, di certo: Cristo ritornerà!.
Un proverbio dice che la speranza è l'ultima a morire ma, nella vita, è anche la prima a nascere: chi nasce inizia a sperare e spera per tutta la vita, fino alla morte.
Per dare fondamento al nostro discorso leggiamo un passo della lettera a gli Ebrei (Eb 6,13-20).
(Per ragioni di spazio i brani biblici sono solo citati, ma per la comprensione dell'annuncio suggeriamo, prima di proseguire, di leggere il brano indicato).
Ci sono in questo brano due elementi che danno sicurezza alla speranza: la promessa e il giuramento di Dio che sono irrevocabili (vedi anche Gen 22,16s).
Paolo stesso ci ricorda che la Parola di Dio è viva ed efficace (Eb 4,12), non soggetta ad alcun condizionamento poiché Dio non è uno da potersi smentire (Nm 23,19).
E ancora la speranza è come "un'ancora della nostra vita, sicura e salda" (Eb 6,19), e quest'ancora è gettata su qualcosa di sicuro, solido, che è al di là del velo del tempio del santuario di Gerusalemme, quel velo che separa il Santo dal Santo dei Santi, e che si è lacerato con la morte di Cristo (Mt 27,51).
Gesù, risorgendo, è entrato non del simbolo di Dio, il Tempio, ma è entrato in Dio stesso e quindi l'ancora della nostra speranza è gettata in Cristo, che è in Dio.
Forse non ci abbiamo mai fatto caso, ma tutte le iconografie della Speranza sono accompagnate dal simbolo dell'ancora.

Brani per la Lectio:
Mc 15,29-39; Mt 7,7-11; Sal 131 (130)

Domande per la Revisione di Vita:
- in che cosa sperano i cristiani di oggi? dove poggia la nostra ancora?
- siamo convinti che Dio è affidabile e ci basta la Sua Parola?
- siamo convinti che Dio risponde, a modo suo, alle nostre attese?

SU COSA SI FONDA
"La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono" (Eb 11,1).
Noi, a questo punto, dove gettiamo le ancore per ancorare la nostra vita? nella fede, come ci ha ricordato il versetto di apertura di Paolo.
La fede proclama Cristo risorto, senza questa convinzione la nostra fede è soltanto un bluff.
E se Cristo è risorto vuol dire che Dio è fedele alla sua alleanza.
Leggiamo, per capire meglio questi concetti alcuni passi della lettera ai Colossesi (Col 1,13-20; 2,9-15).
Troviamo in questi passi alcune parole chiave che occorre sottolineare.
La prima è: Cristo "è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura" (Col 1, 15);la nostra fede è in Gesù Cristo, in lui si manifesta in pienezza il progetto di Dio sull'uomo, ed egli è anche il collegamento del creato con il Padre.
Ancora "Egli è anche capo del corpo, cioè della Chiesa" (Col 1,18); non confondiamo Chiesa con il Magistero, non confondiamo Cristo con il Papa, la Chiesa è prima di tutto la comunità dei credenti, teniamolo sempre ben presente per non cadere nel trionfalismo e in facili illusioni di fronte a certe manifestazioni di religiosità di massa, oppure per non cadere in delusioni o, peggio, essere scandalizzati vedendo il Male nella Chiesa, specie nella sua storia come istituzione.
E infine Egli "è il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti" (Col 1,18).
La resurrezione di Cristo è il crinale che separa gli aneliti dell'uomo da quello che è il regno di Dio.
Il mistero di Dio non è misurabile (Ef 3,19) ma resta la vera realtà a cui siamo chiamati, una realtà in cui Dio sarà tutto in tutti (1 Cor,15-28), in cui ogni nostro anelito sarà riempito da Dio e dove ci troveremo davvero a casa contemplando Dio come Egli è (1 Gv,3,2).
Accettare la risurrezione vuol dire essere in tensione verso ciò che conta, noi che sovente siamo tentati da ciò che non conta.
Se crediamo in Cristo risorto non possiamo vivere questa vita come se questa fosse la nostra condizione permanente, ma come fossimo di passaggio, pellegrini su questa terra, come realmente siamo.
Non ci dobbiamo preoccupare di descrivere la risurrezione, e per fortuna su questo argomento i Vangeli sono molto parchi, quanto di realizzarla, osando sempre di più.
La Storia non è una catastrofe, smettiamola di autocommiserarci, ma è un cantiere dove bisogna costruire secondo il progetto di Dio e l'obiettivo è il Regno.
Dobbiamo prendere distanza da questo mondo perché siamo chiamati ad edificarne uno migliore.
La risurrezione è protesta contro la morte, la sofferenza, perché con la risurrezione la vita trionfa sulla morte.
E in base a tutto questo la speranza vissuta a livello di comunità cristiana, di Chiesa, deve diventare tarlo, pulce, disturbo alle comunità umane che pretendono di essere, o di farci credere di essere, città stabili.

Brani per la Lectio:
Lc 24,13-35; Ez 11,17-20

Domande per la Revisione di Vita:
- di fronte ai drammi dell'umanità siamo afflitti anche noi come coloro che non hanno speranza?
- cosa facciamo per costruire il regno di Dio?
- in che modo l'obbedienza alla vita, in ogni fatto, nasce e vive di speranza?

COME SI ALIMENTA
"...in virtù della speranza e dalla consolazione che ci vengono dalle Scritture teniamo viva la nostra speranza" (Rm 15,4)
Poiché "tutto ciò che è stato scritto prima di noi è stato scritto per nostra istruzione" (Rm 15,4), da "quel così gran numero di testimoni" (Eb 12,1), prendiamo i due testimoni più significativi in modo da correre "con perseveranza nella corsa..., tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede" (ivi).
I due testimoni che scegliamo sono Abramo, a cui sono dedicati i capitoli 11-25 di Genesi, e Mosè, protagonista soprattutto del libro dell'Esodo.
La Bibbia, nel caso di questi due personaggi, figure centrali dell'Antico Testamento, va sul grandioso; tutta la tradizione orale che ha preceduto la stesura dei testi scritti, ha portato ad esaltare queste due figure come simboli della fede in JHWH.
Abramo è innanzi tutto un anticonformista, che abbandona gli Dei dei padri per adorare il Dio del cielo, che aveva conosciuto, e che segue quello che la coscienza gli chiede di fare (Gdt 5,7-9).
Una bella sintesi della figura di Abramo la troviamo nella lettera agli Ebrei (Eb 11,8-19); sintesi analoghe si trovano anche in Sir 44,19-21 e At 7,1-8.
Abramo non fa calcoli (Eb 11,8s): parte, già anziano, senza sapere dove andrà; è generoso: lascia scegliere a Lot, suo nipote, la parte di territorio che preferisce (Gn 13); è coraggioso, altruista, onesto: insegue e sconfigge, con soli 318 uomini, un esercito di quattro re che hanno preso prigioniero Lot e restituisce l'intero bottino al re di Sodoma che era stato depredato (Gn 14-15); è accogliente: ospita con tutti gli onori i tre sconosciuti da cui riceve la promessa di un figlio da Sara (Gn 18 e Eb 11,11); è giusto: intercede presso Dio per Sodoma in nome dei pochi giusti che la abitano; è uomo di fede: offre a Dio il suo unico figlio anche se Dio gli chiede di restituirgli l'unico segno tangibile della sua promessa (Gn 22 e Eb 11,17s); è disponibile, sereno, in pace, anche se, della terra promessa in possesso, riesce ad acquistare solo il sepolcro di Sara (Gn 23 e Eb 11,13).
Un compendio del valore della figura di Abramo lo troviamo nelle parole del Secondo-Isaia, vissuto durante l'esilio a Babilonia: "guardate alla roccia da cui siete stati tagliati, alla cava da cui siete stati estratti" (Is 51,1s): fede vuol dire state attaccati, tenersi stretti a qualcosa di solido per non rimanere travolti.
E passiamo a Mosè, la cui figura troviamo sintetizzata sempre nella lettera agli Ebrei (Eb 11,23-29); sintesi analoghe si trovano anche in Sir 45,1-5 e At 7,20-43.
Mosè, appena nato, si salva perché i suoi genitori "videro che il bambino era bello, e non ebbero paura dell'editto del re" (Eb 11,23 e Es 2,2): tutti i bambini sono belli per i loro genitori, tutto ciò che è creato è bello agli occhi di Dio (Gn 1,31), ma il piano di Dio è contrastato dalla malvagità dell'uomo, ci vuole coraggio per andare controcorrente, per disobbedire agli editti dei nuovi faraoni.
Mosè si salva perché lo raccoglie la figlia del faraone (At 7,21 e Es 2,5-10), anche lei persona controcorrente; questa donna ci ricorda che il bene è dove è, non è mai da una parte sola; infatti, come ci rammenta Paolo, "tutto concorre al bene di coloro che amano Dio" (Rm 8,28).
Viene allevato alla corte del faraone e "istruito in tutta la sapienza degli Egiziani" (At 7,22 e Es 11,3).
Ma a quarant'anni si rende conto delle condizioni del suo popolo, uccide un aguzzino ma è costretto a fuggire perché il suo popolo non capisce: "Chi ti ha fatto capo e giudice sopra di noi ?" (At 7,27).
Va nel paese di Madian, si sposa e fa il pastore (At 7,29) e quando ha ormai ottant'anni Dio gli appare nel roveto ardente e lo rimanda in Egitto a liberare il suo popolo (At 7,30-34), un popolo da cui era stato respinto come intruso.
Così, per la seconda volta, Mosè "per fede" lascia "l'Egitto, senza temere l'ira del re" (Eb 11,27).
Un conto è lasciare l'Egitto per paura, per evitare l'ira del faraone, come gli è successo la prima volta, quando l'iniziativa era sua (Es 2,11-15), un conto è lasciare il paese con il suo popolo, dopo essere stato mandato da Dio ed essersi, per fede, misurato con il faraone e i suoi sacerdoti e averli, con l'aiuto determinante di Dio, sconfitti (Es 12,31).
Ma nel deserto l'astio del popolo contro Mosè riprende, e Mosè deve pazientare e intercedere presso Dio, ricordandogli l'impegno che si è preso con Abramo e la sua discendenza e ai quali ha giurato: "renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo e tutto questo paese, di cui ho parlato, lo darò ai tuoi discendenti, che lo possederanno per sempre" (Es 32,13).
Queste due figure, Abramo e Mosè, ci sono vicine, le loro scelte sono, in qualche modo, anche le nostre.
La loro memoria rianimi la nostra fede e tenga viva la nostra speranza.

Brani per la Lectio:
Mt 7,24-27; Gn 22, 1-12; Es 3,1-6; 1 Gv 3,19-22

Domande per la Revisione di Vita:
- siamo uomini di fede (che credono nonostante tutto come Abramo) o siamo solo uomini religiosi (che si affidano ai riti e fuggono la prova)?
- cosa facciamo per non farci travolgere ed andare controcorrente?
- la missione di Mosè (come liberatore, intercessore, amico di Dio) come si manifesta nella nostra vita di corredentori?

(continua)