LA DIVERSITÀ OGGI: ANALISI E PROPOSTE
Dalla fine dei vecchi equilibri a nuove reti di solidarietà
Questa relazione vuole affrontare il problema della diversità dal punto di vista sociologico calandola nella nostra esperienza di famiglie.
LA DIVERSITA' OGGI
La caduta di alcuni vecchi equilibri su cui si basava la nostra società e a cui
eravamo abituati da decenni ha accellerato in questi ultimi tempi la diversità, la
contrapposizione tra le diversità.
Quali equilibri sono caduti? per esempio quelli legati all'organizzazione del lavoro, alla
contrapposizione Est/Ovest, al ruolo degli anziani, dei giovani e della famiglia.
L'organizzazione del lavoro
L'organizzazione del lavoro a cui eravamo abituati, il modello Fordiano che si riassume
nella catena di montaggio, poteva essere alienante ma creava molti posti di lavoro, si
poteva sperare di lavorare fino al raggiungimento della pensione, offriva un posto a
tutti, anche a coloro con bassa scolarità.
La nuova organizzazione del lavoro è centrata sulla qualità totale, sul concetto di
"just-in-time" che di fatto elimina i magazzini; in questa organizzazione i
lavoratori sono definiti risorse umane.
Questa è una bella parola ma che cosa vuol dire risorsa? chi è risorsa? sono risorsa
solo i lavoratori che sono adattabili nel tempo, che sono fungibili, e questa
impostazione, insieme all'uso estensivo di robot per eseguire lavori che prima svolgevano
gli uomini, riduce il numero dei posti di lavoro.
Cambiano così anche i rapporti tra i lavoratori, il neo-assunto fa paura, i più anziani
vedono in lui un concorrente perché è probabilmente più adattabile, più fruibile.
Chi sopravvive e non viene espulso dal sistema produttivo è solo colui che supera la
paura di non essere all'altezza.
La contrapposizione Est/Ovest
Alla caduta del muro di Berlino nel 1989 tutti abbiamo applaudito: era la fine
della guerra fredda, e con lei la fine della paura di una nuova guerra mondiale, della
"bomba", della morte nucleare.
Ma c'era un rovescio della medaglia che abbiamo compreso solo col tempo: la caduta del
muro, dei vecchi equilibri, ha innescato le attese di una moltitudine di individui
dell'Est europeo che ha cercato di riversarsi anche nel nostro paese.
Questo ci fa paura perché sembra attentare al nostro benessere ma non c'è rimedio:
l'Italia è un paese con indice di natalità negativo, ha bisogno di braccia, e inoltre,
rispetto ad altri paesi europei, gli stranieri da noi rappresentano solo il 2% della
popolazione contro una media internazionale che è del 5%.
Il ruolo degli anziani
Il primo libro sugli anziani è del '76 e si intitola emblematicamente
"L'età inutile".
Da allora molte cose sono cambiate: la salute degli anziani è migliorata, la speranza di
vita si è spostata a 75-80 anni, gli anziani oggi sono più istruiti, sono inseriti in
gruppi, hanno hobbies con cui occupare il tempo, ma nonostante ciò il 25% di essi è
solo, è isolato.
Questo ha dei gravi costi sociali perché l'uomo ha bisogno di comunicare con gli altri,
di relazionare, colui che ne è privato è come una persona a cui sia stato tolto il cibo,
il nutrimento.
Ma anche molti degli anziani che svolgono attività reputano queste attività poco
significative e ciò provoca in loro frustrazione; infatti il senso della vita consiste
nel fare cose che gli altri ritengono significative.
In questo caso la donna è più fortunata (ha sempre badato alla casa e, una volta
raggiunta la pensione, continua a farlo), l'uomo si trova invece in una situazione più
critica.
Il ruolo dei giovani
Leggiamo ogni giorno sui giornali di ragazzi che vivono situazioni di malessere,
leggiamo di omicidi, di atti di violenza contro gli altri e anche contro se stessi.
Un altro indicatore di questo malessere è la cosidetta "famiglia lunga",
famiglia dove i figli ormai adulti continuano a vivere nella casa dei genitori.
Perché la famiglia lunga? perché manca il lavoro? perché non é sicuro? perché i
giovani con il loro stipendio non possono avere una casa comoda come quella dei genitori?
Il motivo vero è che questi giovani, maschi e femmine, sono figli della "grande
mamma italiana".
Questa mamma, nei confronti dei maschi è soprattutto protettrice, teme per i figli, e
questi non hanno un padre, perché il padre c'è ma sovente è come se fosse assente.
Ai giovani maschi manca l'identificazione con il padre, lo stare al suo fianco, il
lavorare insieme, e, attraverso queste esperienze, comprendere che anche il padre commette
errori e così emanciparsi.
Le femmine sono più fortunate perché la madre di solito è più presente in casa e le
giovani possono quindi misurarsi, confrontarsi e scontrarsi con essa.
Lo si vede anche nell'ambito universitario: le ragazze sono più forti dei maschi,
studiano di più, studiano meglio.
Il ruolo della famiglia
La famiglia è cambiata molto in questi ultimi anni: solo per citare un dato,
attualmente i divorzi e le separazioni interessano il 20% dei matrimoni.
Questo mutamento ha un peso molto forte sui giovani, che sono portati ad affrontare il
matrimonio mettendo già in conto che, se le cose vanno male, ci si può lasciare.
Il divorzio dei genitori crea inoltre nei giovani delle difficoltà ad avere rapporti con
l'altro sesso, perché fa nascere la paura di essere abbandonati.
Come genitori dobbiamo fare un esame di coscienza perché non siamo stati capaci di
trasmettere tutti i valori in cui noi siamo stati educati ai nostri figli. Tra questi
valori vi possono essere valori grandi, significativi, ma anche altri molto più banali,
come l'ordine, l'attenzione per le proprie cose, il rispetto della disciplina, la
capacità di cucinare, ecc..
Non li abbiamo passati forse perché li ritenevamo poco importanti o perché non ne siamo
stati capaci e ora scopriamo i nostri figli disordinati, spreconi, indisciplinati,
incapaci di nutrirsi in modo corretto.
Scopriamo che anche il poco che abbiamo insegnato sovente si è perso perché il peso
degli amici, del gruppo, è stato più forte di quello della famiglia.
COME GESTIRE LA DIVISIONE
La divisione si gestisce accettando la diversità, trasformandola in una opportunità
di scambio vicendevole.
Partendo dal mondo del lavoro le associazioni (dei lavoratori, degli imprenditori p.e.)
non dovrebbero limitarsi ad avanzare rivendicazioni, ma dovrebbero diventare più solidali
con coloro che rappresentano.
Se marito e moglie perdono lavoro diventano improvvisamente, da piccoli-borghesi che
erano, poveri, sul lastrico.
Le associazioni, anziché limitarsi a difendere coloro che un lavoro lo hanno ancora,
dovrebbero fare corsi di riqualificazione per coloro che il lavoro lo hanno perduto, in
modo che possano trovare un nuovo lavoro, possano passare alla libera professione, al
lavoro in cooperativa.
Passando ai pensionati la malattia più diffusa nei primi due anni successivi all'uscita
dal mondo del lavoro è la depressione.
Solo coloro che si organizzano per tempo e riescono a continuare a fare qualcosa di utile
ne sono esenti; un compito delle associazioni è anche quello di favorire chi va in
pensione a trovare alternative valide per occupare il proprio tempo.
Anche per i giovani il discorso è simile: le associazioni possono creare progetti per i
giovani attingendo ai fondi sociali europei; i giovani stessi, aiutati dalle famiglie,
possono organizzarsi in associazioni "no profit" (senza fine di lucro) per
offrire servizi.
Da ultimo alcune considerazioni sugli extracomunitari: non possiamo far finta che non
esistano, che sono solo delinquenti, che ci portano solo malattie. Dobbiamo aiutarli a
integrarsi, a diventare cittadini, se li lasciamo nelle mani degli sfruttatori resteranno
sempre come dei topi, relegati a vivere nelle cantine o nei solai dei quartieri più
degradati!
VERSO DOVE ANDARE
Siamo stati abituati ad affrontare la diversità? Direi di no: se nelle nostre
famiglie nasce un problema siamo portati a nasconderlo per paura di essere considerati
diversi.
E' qualcosa da superare, dobbiamo mobilitarci per creare delle reti sociali, delle reti di
solidarietà, perché, è inutile illuderci, non siamo autosufficienti! Io padre, io
madre, ho bisogno, per la realizzazione dei miei figli, che altri mi aiutino come io, a
mia volta, devo cercare di aiutare gli altri.
Prof. Guido Lazzarini, sociologo