IO NON MI VERGOGNO DEL VANGELO
Dieci provocazioni per presentarci come credenti, liberandoci dalla vecchia
vergogna a mostrarci cristiani, leggendo magari la Bibbia in treno o facendo il segno
della croce in un luogo pubblico, anche quando non c'è un prete a comandarlo
Concreto, assolutamente originale, vero e provocatorio, Accattoli in questo best
seller ("Io non mi vergogno del Vangelo", EDB, 1999) descrive
con straordinaria efficacia un mondo sconosciuto e tutto da esplorare: il mondo del
cristiano autentico.
Il cristiano che esce allo scoperto e con la sua vita di tutti i giorni fa
"vedere" la differenza e dimostra che la Chiesa è realtà pulsante, viva,
feconda. Il cristiano che non si nasconde e finalmente ha il coraggio di vivere anche gli
insegnamenti evangelici più radicali, pur rimanendo con i piedi per terra.
Un libro di enorme impatto emotivo perché colpisce nel vivo il nostro "ritenerci
cristiani". Una scrittura volutamente semplice, scorrevole, senza citazioni dotte
inafferrabili. Un libro che realmente aiuta ad affrontare con più consapevolezza ed
equilibrio le conseguenze delle scelte radicali cristiane.
Già le prime pagine ci portano subito in un ambiente davvero nuovo per noi: la casa del
cristiano. Sobria, utile a molti, meglio se non di proprietà, povera ma grande, sempre
aperta agli ospiti, l'abitazione del cristiano è simile alla nostra? Se così non fosse,
non preoccupiamoci, possiamo rifarci con i capitoli successivi: come si prepara il
cristiano alla giornata che viene, come usa il denaro e come "vende" le ferie,
cosa ne fa del tempo libero (e delle soste forzate in coda allo sportello o in
automobile!), come parla con i suoi figli, che uso fa della televisione e di Internet,
quale rapporto d'amore vive, come trascorre la domenica. Ci fa bene sentire una voce che
ci ricorda che dobbiamo rinunciare a "possibilità di carriera legate al lavoro
domenicale. Perché il riposo può essere più importante del denaro e la festa più
importante del lavoro".
E se dopo la lettura di questi brevi e intensi capitoli non ci sentiamo più tanto
cristiani come prima, allora possiamo rileggerlo dall'inizio e provare a farci
accompagnare nella sua casa, ospiti di un cristiano che non ha paura del Suo Vangelo.
Forse ne vale la pena.
Andrea Marino
LA DOMENICA
II cristiano è geloso della domenica, "giorno di gioia e di riposo":
così la definisce il Vaticano II nella costituzione Sacrosanctum Concilium. Deve esserne
geloso: cioè deve diventarlo, o tornare a esserlo. Ma attenzione: non tanto della
domenica come giorno libero, riposo collettivo, festa di popolo, ma soprattutto della
domenica come "giorno del Signore", cioè come giorno dell'assemblea
eucaristica, da cui parte e verso cui converge (fonte e culmine), in unità di tempo e di
luogo, tutta la vita cristiana.
Gli altri aspetti della domenica vengono dopo: sono importanti ma non essenziali.
Questa è la libertà dei cristiani: non essere legati a leggi e convenzioni, ma solo a
Cristo e al suo sacramento. E qui ci può aiutare una massima di Martin Lutero: "I
cristiani non sono fatti per i tempi, ma i tempi per i cristiani".
La civiltà del fine settimana è una sfida, per la domenica cristiana, altrettanto grave
dell'obbligo di lavorare. Ma ne l'una, ne l'altro ci possono togliere davvero il
"giorno del Signore". Riaffermare questa fedeltà è profezia tra le più
preziose per il cristiano comune della nostra epoca.
LEGGI E PROFEZIA
Questo è il tempo in cui noi occidentali ci stiamo giocando la domenica come
eredità storica: all'Est l'hanno appena recuperata, all'Ovest la stiamo vendendo per
trenta denari. E urgente recuperare l'attaccamento alla domenica, che ha contrassegnato
tutta la storia cristiana.
Il cristiano non ha - per la domenica - i divieti che l'ebreo ha per il sabato e non è
costretto all'obiezione di coscienza che i suoi fratelli maggiori attuano in difesa del
sabato.
Egli può accettare che gli vengano chieste prestazioni di varia natura in giorno di
domenica, ma non può in alcun modo accettare che gli venga impedita la partecipazione
all'assemblea eucaristica.
MAI DISERTARE L'ASSEMBLEA
La gelosia deve scattare soprattutto nei confronti del lavoro, che è la
tentazione più forte (e qualche volta può essere una necessità): il lavoro domenicale
è pagato il doppio, ma ci toglie assai di più.
L'idolo del lavoro e del guadagno può toglierci la libera e festosa partecipazione
all'assemblea eucaristica, nella triplice dimensione personale, familiare e di popolo.
Le strategie produttive tendono a privilegiare ritmi continuati di lavoro, senza badare
alla domenica: è la cosiddetta "società permanentemente attiva". Se questo non
toglie la possibilità che il popolo dei credenti liberamente si riunisca, nel giorno del
Signore, però certo la ostacola.
Ma la domenica come festa di popolo non va difesa solo in funzione liturgica: essa è un
valore umano, oltre che un dono cristiano.
Fare i giorni uguali, togliere il tempo della festa collettiva è una via efficace allo
schiacciamento dell'uomo sulla macchina, che può anche essere la macchina del
divertimento, ma è pur sempre una macchina. Se cancelliamo la domenica dal calendario,
allontaniamo la festa dalla nostra vita comune.
TRASMETTERE AI FIGLI QUESTA PASSIONE
II cristiano deve ingegnarsi a trasmettere ai figli la gelosia per la domenica
come "giorno del Signore" e l'attaccamento alla domenica come festa di popolo. E
dovrà essere una trasmissione per contagio: domani avranno più bisogno di oggi di questo
anticorpo immunizzante.
Per contagio, dicevo: perché certo non si può imporre nulla ai figli in quest'epoca.
Nulla si può comandare ai maggiori, ma la partecipazione all'assemblea eucaristica non va
imposta neanche ai minori. Su questi agirà la nostra opera di persuasione, sui più
grandi il richiamo. Su tutti l'esempio gioioso, da cui solo può venire il contagio. Ma
attenzione: la parola ci deve essere sempre, anche con i ragazzi in crisi di fede. Non
importa che facciano, ma debbono sapere quanto noi riteniamo giusto fare e dire su questa
materia di massima importanza.
Dobbiamo raddoppiare la nostra gelosia della domenica a motivo dei figli: perché abbiano
un appuntamento fisso con la chiesa, perché crescano con l'immagine e la memoria di
questo tempo libero per la lode a Cristo e l'incontro con i fratelli. Immagine e memoria
che agiranno, domani, più efficacemente e più a lungo della nostra parola.
FARNE UN'IMPRESA FAMILIARE
Dovremmo tendere all'obiettivo di vivere insieme, in famiglia, il giorno del
Signore e di andare tutti, finché è possibile, alla stessa celebrazione eucaristica.
Discutere nella settimana gli impegni che possono contrastare questo obiettivo. Prevedere
l'anticipo o la posticipazione della partecipazione alla messa per chi non può andarvi
con il resto della famiglia.
Crescendo l'età dei figli, questa possibilità di andare a messa tutti insieme
diminuisce. Tale diminuzione dovrà essere compensata da una crescita della conversazione
familiare in materia: in modo che, se l'atto si fa distinto, almeno la sua eco comunitaria
non venga meno. E nascerà il delicatissimo compito dell'educazione dei figli adolescenti
a una gestione responsabile del sabato sera. Non solo per i pericoli che corrono, con
rientri troppo tardivi, ma innanzitutto per la necessità che siano svegli e partecipi
all'appuntamento con la liturgia domenicale.
SE ANDIAMO FUORI PER IL FINE SETTIMANA
Particolare attenzione richiede la domenica in cui andiamo fuori, o le domeniche
del periodo in cui siamo in vacanza, o in ferie.
La domenica di vacanza sarebbe privilegiata, in quanto liberissima da ogni impegno:
potremmo davvero viverla con il cuore nel futuro, come anticipazione del Regno che viene.
Rischia invece d'essere la più profana, o la peggio profanata delle nostre giornate.
Se andiamo fuori, dunque, dovremo prevedere dove parteciperemo alla messa. Organizzare la
giornata in modo che quello non sia un momento residuale, o strozzato tra impegni tutti
più gravi.
Né dobbiamo curarci solo del momento celebrativo, ma anche del sua prolungamento sul
resto della giornata. Perché resti una giornata libera, sarà necessario che essa sia
sobria di ogni cosa e fruibile per intero come un tempo liberato dalla servitù, da vivere
a immagine del giorno definitivo.
Luigi Accattoli
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