LAVORO E LAVORATORI:
ALLA RICERCA DI UN NUOVO EQUILIBRIO
Finiti gli anni della piena occupazione e della grande industria, chi si affaccia sul
mercato del lavoro deve misurarsi con una nuova situazione, ben diversa da quella a cui
erano abituati i suoi genitori.
I mercati si differenziano, si segmentano, allargano i propri confini e le aziende vedono
comparire nuovi competitori provenienti dai paesi emergenti che rendono più incerta e
complessa la sfida. Lesigenza di una maggiore competitività obbliga le imprese ad
accelerare il processo di apprendimento, sviluppo, innovazione delle competenze per una
continua evoluzione del proprio patrimonio organizzativo.
Il nuovo ruolo del lavoratore
Lazienda è stata per un lungo periodo una organizzazione ad alta intensità di
manodopera e ciò ha comportato una forte attenzione sulla risorsa lavoro, sulla sua
efficiente gestione, sullo sviluppo della produttività tanto che il costo del lavoro è
stato a lungo considerato la variabile fondamentale del processo di trasformazione.
Negli ultimi decenni si è passati progressivamente da una produzione di massa ad una
produzione "snella". La centralità del fattore umano è diventata sempre più
evidente: la struttura, in quanto tale, non rappresenta più limpalcatura né
lelemento portante, è soggetta a continui mutamenti ed a richieste di appiattimento
dei vertici.
La struttura deve essere snella, in grado di trasformarsi rapidamente e sopravvive solo se
si adatta alle continue nuove condizioni dellambiente esterno.
Il punto di riferimento irrinunciabile diventa così il contributo che i lavoratori
possono portare al successo duraturo e costante nel tempo dellorganizzazione:
unimpresa di questo tipo si può definire "ad alta intensità di
conoscenza"; al costo del lavoro si sostituisce la conoscenza di lavoratori come
risorsa che sta alla base del funzionamento dellimpresa.
Il lavoratore: protagonista obbligato
Il progresso tecnologico e la qualità totale richiesta nel processo produttivo
comportano una valorizzazione della persona nonché unalta qualità delle relazioni
di lavoro, che si traduce in una struttura orizzontale caratterizzata da comunicazione e
ascolto, coinvolgimento attivo, lavoro di gruppo.
La partecipazione del lavoratore permette allazienda un progresso continuo nella
propria learning organization (organizzazione che autoapprende), poiché i soggetti
divengono agenti di apprendimento organizzativo e contribuiscono a modificare la mappa
cognitiva dellazienda.
Inoltre, con laffermarsi dellempowerment (distribuzione di potere)
nelle organizzazioni, il lavoratore si trova a sostenere psicologicamente e concretamente
responsabilità tecniche che coinvolgono lavvenire economico dellazienda, dal
momento che i dipendenti di ogni livello diventano responsabili del proprio lavoro e hanno
lautorità di prendere decisioni relative ai propri compiti.
Questo nuovo quadro organizzativo se, da un lato, colloca la gran parte dei lavoratori in
una posizione centrale, dallaltro manifesta implicazioni e conseguenze problematiche
per le persone: il protagonismo, richiesto dai lavoratori e necessario per le aziende,
può provocare nel soggetto uno stato di ansia da riadattamento dovuta al timore di
obsolescenza, nonché allimpreparazione nellaffrontare la radicale
trasformazione in corso. Solo una percentuale ristretta di dipendenti, oggi, di fatto,
dispone di doti di eccellenza e le aziende attivano, nei loro confronti, forme di retention
(trattenimento), così da trattenere tali collaboratori nellorganizzazione, in
quanto patrimonio di competenze da salvaguardare, attraverso un utilizzo combinato di
fattori motivazionali, retributivi, organizzativi, ambientali, formativi.
I rischi e i costi del lavoro atipico
La condizione ambivalente del lavoratore in azienda, da una parte protagonista, ma
dall'altra insicuro del suo stato e del suo ruolo, emerge in modo evidente con la
diffusione dei lavori atipici (interinale, co.co.co., ecc.).
La flessibilità della forza lavoro è la conseguenza della necessità di adeguare
continuamente la produzione, in quantità e qualità, alle condizioni dei mercati, sempre
più incerte sia per la fluttuazione della domanda che per la crescente concorrenzialità.
Se questo costituisce un vantaggio per coloro che sono inseriti, o riescono ad inserirsi,
grazie alle loro qualità, a tempo indeterminato nella struttura, per tutti gli altri - la
tendenza si orienta verso l'ottanta per cento della forza lavoro - l'orizzonte non può
che essere precario, per tutta la durata della vita lavorativa.
Il problema, a livello umano, ha un grosso impatto perché, anche se attualmente il lavoro
non sia lelemento forte di definizione dellidentità sociale del soggetto,
rimane comunque un fattore di forte significato. Ma è un significato che ogni giorno va
conquistato o riaffermato, senza badare troppo ai modi usati per perseguire
quest'obiettivo.
Questo vale per il venti per cento di fortunati che possono contare su un lavoro stabile -
e mediamente ben retribuito - ma che sono comunque chiamati in continuazione a mettere
alla prova la loro capacità, professionalità e flessibilità.
Questo vale ancora di più per tutti gli altri i quali, oltre alla competizione
quotidiana, hanno la difficoltà a riconoscersi, nel medio periodo, in un preciso ruolo
professionale e vengono privati di molti elementi indispensabili per definire la propria
identità.
Se per i giovani che entrano nel mercato del lavoro può essere più facile adattarsi a
questa specie di jungla - non avendo fatto altre esperienze - ben diversa è la situazione
di coloro che ne vengono estromessi ad una certa età, troppo vecchi - per cultura,
mentalità - per ricominciare da capo, e troppo giovani per andare in pensione.
La marginalità, le nuove povertà, la frantumazione del tessuto familiare, iniziano
sovente proprio di qui.
Dal protagonismo obbligato al protagonismo possibile
Si tratta allora di individuare le condizioni favorevoli per la costruzione di un
"protagonismo possibile" del lavoratore e riscoprire gli elementi su cui esso
può fondarsi, a livello sociale ed individuale.
Poiché solo una formazione mirata può permettere allindividuo una crescita
adeguata, si sente lurgenza di una formazione/educazione che implichi lo sviluppo
globale della persona, che parta da lontano (famiglia, scuola, ecc...) e che continui in
azienda e nelletà adulta, coinvolgendo anche lintelligenza emotiva del
soggetto.
È necessario introdurre uno stato di alternanza tra scuola e lavoro, in modo da
permettere alla persona esperienze diversificate e complementari, sì da formare una
duplice consistenza della personalità: luna costituita dalla dimensione interiore (inner
direction) e laltra relativa alla capacità di incidere sul mondo esterno,
attraverso "limprenditorialità di se stessi".
Con linner direction lindividuo matura la propria dimensione di
orientamento interiore, imparando a conoscere meglio il proprio "io", esprimendo
una personalità capace di scegliere autonomamente, al di là dei condizionamenti esterni
e di riflettere sul proprio ruolo e sui comportamenti. Parallelamente,
limprenditorialità di se stessi consente di sviluppare capacità orientate ad
affrontare in maniera reattiva ed efficace le problematiche poste dal lavoro.
Formazione permanente e curricula professionali
Per rendere la flessibilità del lavoro più sostenibile per il soggetto, risulta
fondamentale: fare in modo che la perdita, anche ripetuta, di un posto di lavoro non sia
vissuta come trauma, come un passo verso lesclusione definitiva dal mercato del
lavoro; dare continuità e progressione a profili di carriera discontinui; ridare
consistenza, su basi nuove, allidea di "luogo di lavoro" come luogo di
identità personale e integrazione sociale; attenuare le disuguaglianze di genere, età,
zona geografica. Per avviare positivamente tali processi la formazione permanente appare
centrale sia per coloro che sono in possesso di titoli di studio medio-alti, ma poco
spendibili nel mercato del lavoro, sia e soprattutto per i lavoratori con qualifiche
medio-basse.
Parallelamente, grazie alla creazione di curricula professionali curati da agenzie e dagli
uffici per il lavoro (ex uffici di collocamento) e che racchiudono il bagaglio delle
competenze maturate, sarà possibile trasformare queste persone da semplici ingranaggi a
elementi indispensabili per svolgere determinate mansioni.
In conclusione, il "protagonismo obbligato" in cui il lavoratore si trova
coinvolto nella nuova organizzazione del lavoro, può diventare "protagonismo
possibile" grazie al riconoscimento sociale della formazione come elemento
strategico, allaffermazione della capacità riflessiva e di una azione autonoma
degli individui che ne consegue, e si può realizzare attraverso strumenti e percorsi che
portino il lavoratore ad affrontare le insistenti richieste di protagonismo, provocate dai
mutamenti organizzativi del lavoro, con la preparazione adeguata, senza eccessive ansie ed
insicurezze.
Guido Lazzarini, sociologo
Bibliografia utile:
Sennet R., Luomo flessibile, Feltrinelli 1999.
Lazzarini G., Un protagonismo da costruire, Franco Angeli 2003.