COMUNIONE E COMUNITA':
DA QUI NASCE IL GRUPPO
"Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono lì in mezzo a loro" (Mt 18,20)

Quando in redazione abbiamo deciso di coinvolgere i lettori del trimestrale in una riflessione sulla realtà e le dinamiche del "gruppo", ho pensato: "Si, bello e da dove si parte?"; quando poi ho capito che la riflessione avrei dovuto farla io, la domanda è diventata meno oziosa del previsto.

PERCHE' FARE GRUPPO
Innanzi tutto, perché una riflessione sul senso di fare "gruppo"?
Forse perché la scelta di entrare a far parte di un gruppo, e più ancora di un gruppo ecclesiale, non è così scontata o inevitabile rispetto a quanto noi pensiamo, e, infatti, i gruppi che "muoiono" o che si sciolgono sono molti.
Questo è stato il mio punto di partenza: decidere di far parte di un gruppo è una scelta e una responsabilità cui siamo chiamati, secondo modi e forme diversi.
Credo possa servirci richiamare alla mente due parole chiave della riflessione della chiesa di questi ultimi decenni: comunione e comunità.
"Quando diciamo 'comunione', pensiamo a quel dono dello Spirito per il quale l’uomo non è più solo né lontano da Dio, ma è chiamato ad essere parte della stessa comunione che lega fra loro il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, e gode di trovare dovunque, soprattutto nei credenti in Cristo, dei fratelli con i quali condivide il mistero profondo del suo rapporto con Dio" (Comunione e comunità, n.14, CEI 1981).
"Quando parliamo di 'comunità ecclesiale', pensiamo ad una forma concreta di aggregazione che nasce dalla comunione: in essa i credenti ricevono, vivono e trasmettono il dono della comunione…" (Comunione e comunità, n.15).
Il Nuovo Testamento usa in modo equivalente comunità e Chiesa : ekklesìa è il termine originale greco usato indistintamente per raccontare la chiesa-comunità domestica (Rm 16,15), la chiesa-comunità locale (1Cor 1,2) o ancora l’unione di più comunità.
La comunità ecclesiale, e il gruppo come sua declinazione, è innanzitutto dono di Dio ("Fedele è Dio dal quale siete stati chiamati alla comunione del Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro", 1Cor 1,9): ciò non toglie che essa debba essere ricercata dai credenti e che in essa si concretizzino impegni e responsabilità.
E’ la teologia dell’alleanza ad insegnarci che la salvezza si realizza nell’incontro tra l’uomo e Dio, tra uomo ed uomo e la riflessione del Concilio Vaticano II ha giustamente restituito centralità alla dimensione comunitaria, luogo dell’incontro, dell’ascolto e della riconciliazione. Si tratta però di un incontro scelto, che ci si è prefissi, non casuale: l’incontro con il volto dell’altro.

FARE GRUPPO OGGI
Un tempo le persone vivevano in gruppi omogenei, magari provenienti dalla stessa famiglia, avevano stesse radici, parlavano la stessa lingua e si riconoscevano in tradizioni e norme condivise.
Nella società moderna, quella nella quale viviamo, la nostra quotidiana vita è fortemente disomogenea, persone che vivono nella stessa località non fanno più parte di un gruppo nel quale si riconoscono: le nostre città - come le campagne - sono fatte di vicini che si incontrano ma che non si conoscono; ogni giorno ci troviamo di fronte a persone profondamente diverse da noi, che parlano lingue diverse, che conducono vite diverse, che spesso credono un Dio diverso dal nostro.
Le differenze possono però sembrare incolmabili e questo stato di può generare solitudine proprio nel momento in cui il confronto dialettico aiuterebbe a capire un mondo che cambia e nel quale non sempre ci si riconosce: ciascuno di noi (la persona, "struttura in formazione" come la definisce la psicologia), viene continuamente sollecitato a cambiare proprio nella relazione con gli altri.
Lo stile di vita che conduciamo ci vede spesso proiettati in un vertiginoso susseguirsi di situazioni, relazioni, momenti e impegni (lavoro, famiglia, sport, spesa,…) che si susseguono velocemente (rincorriamo il tempo senza riuscire a viverlo) e, spesso, in questo girare (a vuoto?) siamo soli.
Dove e come trovare il tempo di ristabilire delle relazioni; di riconcederci il tempo della riflessione e della valutazione critica di quanto ci accade; di ripensare anche a diversità che connota il nostro vivere quotidiano come ricchezza e non solo come fonte di conflitto; soprattutto, come rispondere alla vocazione di laici chiamati a "cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e riordinandole secondo Dio" (Gaudium et Spes, n.31)?

VIVERE LA COMUNITA'
Il Vangelo ci impegna a vivere in comunità, è un invito al "divenire" nell’incontro con Dio e i fratelli. Non si tratta, in questo senso, solo di ricercare un luogo per un generico incontro - anche se questa dimensione, soprattutto nelle parrocchie, va preservata in risposta alla sempre maggiore carenza di luoghi di incontro e aggregazione, a parte qualche grande supermercato o i pochi circoli ricreativi ancora in vita - ma di condividere speranze e attese, difficoltà e incomprensioni proprio con chi è altro da noi.
La diversità delle persone che compongono un gruppo è la ricchezza e la forza del gruppo che non è una realtà data ma si costruisce proprio nel confronto, nello scambio delle proprie esperienze e delle interpretazioni di queste.
Perché questo accada in modo efficace devono esserci però, delle condizioni che io credo irrinunciabili. Innanzitutto è necessario considerare la diversità (di opinione, di stile di vita, di scelte,..) momento di crescita e non solo fonte di conflitto: non posso rapportarmi all’altro pensando di possedere la verità perché la verità è il cammino che decidiamo di percorrere insieme ad altri nel rispetto reciproco.
E’ allora indispensabile porsi in un atteggiamento di ascolto che ci permetta di aprirci alla verità dell’altro: l’ascolto è per Paolo la via per cui si viene alla fede (Rm 10,14) e l’ascoltare di Dio significa che egli esaudisce (Gs 10,14)… sarebbe tempo di riscoprire il valore teologico dell’ascolto anche nella vita di tutti i giorni.
C’è spesso una difficoltà nel mettere in comune la propria vita perché questo implica una certa rivelazione di sé; non si tratta di una trasparenza totale in cui si rivela tutto, ma non per questo può essere meno difficile.
Spesso non si osa dire fino in fondo quel che si pensa o si ha paura di essere giudicati. La condivisione delle difficoltà e delle incertezze è fondamentale per un gruppo: si scopre di avere bisogno gli uni degli altri anche se questo non vuol dire trovare sempre le soluzioni, ma "è pure un compito da assolvere con un forte senso di responsabilità. E' un appello a stabilire rapporti di donazione reciproca… un’esortazione pressante a subordinare ogni cosa alla carità, quale carisma più grande" ("Le aggregazioni laicali nella chiesa", n.5, CEI 1993).
Marella Galfrè Rolandi