IL DIALOGO E L'ASCOLTO COME STRUMENTI PER IL GRUPPO
"La prova delluomo si ha nella sua conversazione" (Sir 27,5)
Nello scorso numero ho provato a disporre quelli che mi sembravano essere i punti di partenza per una riflessione sullessere gruppo, ed in particolare gruppo ecclesiale. Questa volta vorrei approfondire due aspetti che connotano in specifico lesperienza di gruppo: il dialogo e lascolto.
Il DIALOGO
Oggi il tema della comunicazione è di particolare interesse, proprio perché
sembra essere una pratica difficile: comunicare le proprie idee, opinioni, e ancora di
più il proprio vissuto, carico di sentimenti ed emozioni, è sempre più complicato e non
di rado si fa ricorso a vere e proprie "tecniche di comunicazione".
Nel nostro quotidiano rapportarci agli altri affrontiamo le difficoltà del comunicare: il
linguaggio verbale è ambiguo per natura e spesso contiene significati tra loro
contraddittori: tra ciò che pensiamo, ciò che diciamo (che mediamo quindi con le
parole), ciò che viene recepito da chi ci ascolta (pensiamo a quanto "rumore"
cè nei contesti in cui ci relazioniamo agli altri) e ciò che chi ascolta
decodifica e interpreta (attraverso le sue esperienze, la sua situazione particolare, ma
anche tutti i pregiudizi) passa davvero il mondo.
Viviamo quotidianamente una realtà di "sovraffollamento" di informazioni (sul
lavoro, nella scuola, alla televisione, per le strade con i cartelloni pubblicitari,
annunci di ogni tipo in ogni dove, informazioni specialistiche, giornali,
) eppure
abbiamo atrofizzato le nostre capacità di raccontare (e di raccontarci), di ascoltare: in
mezzo a tante ciarle e a tanta chiacchiera il dialogo profondo è assente e la solitudine
dilagante.
Ma non è solo questo. Viviamo ormai in una società in cui i linguaggi si sono
moltiplicati e non sempre siamo capaci né di usarli, né di comprenderli (io non riesco
ad abituarmi, ad esempio, al linguaggio dei messaggi sms
).
La moltiplicazione dei linguaggi corrisponde al mondo "globale", multietnico,
"multitutto" nel quale viviamo; il conflitto, che è parte costituente della
relazione tra individui (il confronto tra due soggettività che si confrontano porta con
sé laffermazione delle reciproche diversità), è oggi diventato patologico: tutti
noi ci sentiamo in diritto-dovere di parlare, giudicare, consigliare. Insomma dobbiamo
ammettere che comunicare può risultare davvero unoperazione complicata e piena di
insidie, dallaltra però "rappresenta levento nucleare mediante il
quale si attua il processo di socializzazione e quindi di umanizzazione
dellindividuo" (1) al quale non possiamo sottrarci.
IL DIALOGO NEL GRUPPO
Come può, quanto detto fin ora, interessare un gruppo ecclesiale?
Credo che possa esserci di aiuto questa definizione: "Comunicare è un evento
capace di cambiare il comportamento delle persone in interazione".
E questa comunicazione-dialogo che ci interessa, quella cioè nella quale ciascuno
di noi si mette in relazione con laltro assumendo la diversità come valore
positivo, capace di far crescere entrambi nella condivisione e, magari, nella
compartecipazione.
Il gruppo può essere uno dei luogo (non certo lunico) in cui fare esperienza di
dialogo, di incontro, in cui ci si ferma per confrontare la propria esperienza con quella
dellaltro aiutandoci a non sentirci isolati, ma accolti e a rivedere le nostre
esperienze alla luce di quelle altrui e scoprendo, talvolta, che non sempre le nostre
esistenze sono così lontane da quelle degli altri (un atto di umiltà questo, che spesso
costa fatica).
Quante volte ci è capitato di pensare di essere gli unici a vivere una particolare
situazione di ingiustizia o di insoddisfazione? O quando ci è capitato di trasformare una
situazione di conflitto familiare in un ostacolo non più superabile, assumendo posizioni
inconciliabili, senza parlarne con nessuno, per vergogna o per altro?
Credo che queste siano esperienze che accomunano tutti i nostri "quotidiani",
ciascuno nella sua irripetibilità personale, e che, se condivisi, permetterebbero a noi e
agli altri di crescere: ci aiuterebbe a non darci sempre ragione, ma a "darci
ragione" delle cose, imparando anche dalle esperienze degli altri a non commettere
gli stessi errori e a confermare le scelte giuste.
L'ASCOLTO
La nostra società ci chiede di imparare la prassi del dialogo, di fare spazio
alla diversità e in questo, di imparare ad ascoltare: è lunica via per la
convivenza fraterna e credo che sia uno stile di vita che dobbiamo insegnare ai nostri
figli. Imparare a relativizzare le nostre posizioni è un esercizio al quale non possiamo
sottrarci e lesercizio della critica e
dellautocritica è parte integrante del cammino di un gruppo; è chiaro che questo
non è privo da inconvenienti e che vanno ricercati i giusti canali e le giuste
mediazioni.
E un cammino che esige impegno personale, maturità umana e la convinzione che la
ricerca della verità è un cammino, e ad essa ci si avvicina per tappe successive.
Cè bisogno per questo di tempo, di luoghi e di predisposizione allascolto,
affinché la parola non diventi prepotente, invadente "che si applichi quel
principio di carità, che ci permette di interpretare le parole dellinterlocutore
nel modo più ragionevole e a lui più favorevole" (2). Non credo che questo
voglia dire rinunciare alle proprie idee anzi, non si tratta di cercare luniformità
ma piuttosto lunità.
L'ASCOLTO DELLA PAROLA
"Guai a chi è solo!" (Qo 4,10). E la Parola stessa che ci
chiama allunità, alla ricerca di momenti di riconciliazione tra noi e con Dio. Per
questo il gruppo diventa un luogo dove alla luce del Vangelo si guarda alle scelte di
ciascuno: non è più solo il confronto con le ragioni dellaltro, ma con la Parola di Dio. Il tema dellascolto diventa esperienza
centrale per un gruppo ecclesiale, perché fondamento stesso di tutta la nostra fede: Dio
parla alluomo, ed è nellascolto che avviene lincontro con Dio.
"Shemà Israel", "Ascolta Israele": la nostra è una religione
dellascolto, la Bibbia pone al principio la parola di Dio che squarcia il silenzio e
si fa rivelazione, dialogo e salvezza.
Ma è necessario che la parola scavi per penetrare dentro luomo e quindi che
luomo si renda disponibile ad accoglierla, non cercando in essa ciò che più si
adatta al suo contingente, ma ciò che Dio narra, senza dimenticare che lascolto
della parola è obbedienza (shemà in ebraico vuol dire ascoltare e nello stesso
tempo obbedire), seme che porta sempre frutto, seme che contiene la vita (Mt 13,19).
Dio è comunione e comunicazione: la Pentecoste che stiamo per celebrare può diventare
per i nostri gruppi occasione di un rinnovato impegno, perché diventino essi stessi icona
efficace del dono del comunicare elargito da Dio al suo popolo.
Marella Galfrè Rolandi
(1) voce comunicazione sociale, in Dizionario di Spiritualità dei Laici.
(2) Alfio Briguglia, Etica della conversazione e del mistero trinitario, in Nova et
vetera, ottobre 1999.