Da "AVVENIRE", mercoledì 27 dicembre 2006
IL DIRETTORE RISPONDE
Funerali di Welby: Misericordia e Verità
Caro Direttore
ho seguito con molta trepidazione la vicenda Welby e con preoccupato fastidio la risonanza
interessata che ha avuto in politica e nei media. Ma ciò che mi ha sconvolto di più è
stata la "sentenza" emessa dal Vicariato di Roma in merito al suo funerale. Sono
un cattolico credente e praticante, per quanto mi è possibile. Credo in Dio Amore, che
perdona e ha misericordia dei suoi figli, di cui conosce la fragilità e la debolezza di
fronte al male e la Chiesa dovrebbe essere la dispensatrice di questo amore infinito.
"Perdonate non sette volte ma settanta volte sette": sono parole di Gesù e non
riesco a capire perché non si possa pregare e benedire la salma di un uomo che ha
sofferto pene indicibili e che, dopo anni di prigionia in un corpo privo di funzioni
vitali come il respiro, ha chiesto di mettere fine alle sue pene. Anchio sono
convinto che la vita non è nostra ma di Dio e non si possa mettere fine con leggerezza o
con fastidio o con disprezzo ad una cosa di Dio. Ma quando non si approva, quando le
regole naturali vengono stravolte deve intervenire la giustificazione, la comprensione e
il perdono. Altrimenti che Chiesa di Dio è? Questa è la mia angoscia. Cosa ne sappiamo
noi di cosa passa nellanimo di un uomo dopo anni di immobilità, senza poter
comunicare naturalmente, senza poter respirare naturalmente, sentire gli odori, muoversi,
camminare, fare, essere utili agli altri e le tante altre cose della vita? Cosa ne
sappiamo noi di ciò che passa per la mente di una persona così, al di là delle
dimostrazioni di piena coscienza, magari sorrette dalla volontà di non apparire deboli,
vinti, disfatti? Questa è la mia angoscia: che si sia "giudicato senza
misericordia" quando il Vangelo dice che la Misericordia deve sempre avere il
sopravvento sul giudizio! Purtroppo questa è la Chiesa che allontana la gente! Non è con
le condanne o gli anatemi che si convincono le persone a ritornare a quella religiosità
che era una caratteristica fondamentale del nostro popolo. La Chiesa aveva superato solo
una quarantina di anni fa la medioevale prassi di trattare i suicidi come dei colpevoli di
profanazione della vita perché si era capito pietosamente che solo la disperazione o una
mente non nella piena capacità di volere era alla base di questi gesti. Questa condanna
al funerale civile ci fa ritornare nei secoli bui del cristianesimo formale, senza anima.
Questa è la mia angoscia.
Rolando Sadocchi
Selvazzano Dentro, Padova
Lei, amico, non è il solo a confidare lo stupore per la decisione assunta dal
Vicariato di Roma in merito ai funerali di Piergiorgio Welby. Cito, per riguardo, in calce
a questa lettera coloro che, scrivendoci, hanno esposto posizioni analoghe alle sue. In
molti di questi testi a colpire sono i toni accorati, a tratti accesi se non polemici, nei
confronti di una scelta reputata non solo sbagliata, ma impietosa e quasi crudele. Vorrei,
per questo, applicarmi a rispondere con lumiltà del fratello, ma anche con il
coraggio necessario. Persuaso che si tratti di un passaggio delicato ma prezioso per
capire le preoccupazioni di una Chiesa impegnata ad agire in contesti sociali e culturali
di progressiva secolarizzazione.
Voi affermate che, in questi casi, la Chiesa mostra un volto privo di misericordia. Io
vorrei suggerirvi unaltra ipotesi, meno sbrigativa e - scusate - meno banale: e se
la misericordia fosse invece di difficile e non immediata comprensione, proprio per il
clima nel quale viviamo? Misericordiosa, infatti, la Chiesa senzaltro lo è, perché
ispirate ad una misericordia profonda, ossia non emotiva, sono le sue scelte. A nessuno
dovrebbe sfuggire infatti che nel comunicato emesso per informare della decisione, il
Vicariato assicura la preghiera della Chiesa per il defunto Welby e per la sua famiglia.
Non è un particolare trascurabile. La Chiesa cioè anche in questo frangente, anche
rispetto al destino di questo tribolato fratello, fa ciò che innanzitutto è chiamata a
fare. Prega. E non ho dubbi che intere comunità religiose come singoli credenti abbiano
già fatto, con intensità e commozione, ciò che il Vicariato enuncia. Che sacerdoti
abbiano celebrato la Messa in memoria del povero Welby. In altre parole, non sono mancate
la solidarietà e la partecipazione più squisitamente spirituale al triste evento.
La Chiesa tuttavia ha ritenuto di non dover procedere con i funerali religiosi che hanno
unindubbia valenza pubblica. Perché? Perché Welby, nella sua libertà
drammaticamente provata, ha per mesi chiesto e argomentato, davanti allopinione
pubblica, che gli fosse con atto volontario accorciata la vita, quella vita che per la
Chiesa è invece dono intangibile di Dio, dal primo allultimo istante. Non è un
insegnamento qualsiasi, questo. È la consapevolezza basilare, quella che apre alla
dignità incomprimibile quaggiù e poi alla dimensione eterna. Ogni istante della nostra
vita terrena ha un suo senso inalienabile ed è, per questo, preparazione alla vita
definitiva. Le prove non sono provocazioni casuali e solamente beffarde, ma momenti di
purificazione, che ci preparano al passaggio e al giudizio. E il funerale cristiano non è
un raduno di convenienza tra benpensanti, ma unazione liturgica che annuncia la
verità di Dio. Dio è provvidenza damore: per ciascuno. E quando si dice che Lui
non fa preferenze di persone, si intende dire che è ineffabilmente amorevole con ciascuno
dentro alla sua propria situazione concreta. Anche con Welby è stato così. E anche Welby
doveva aspettare il suo momento: chissà che cosaltro avrebbe capito nel tempo che
gli restava, che cosa daltro avrebbe offerto e meritato. Accorciarsi la vita,
pretendere di disporre della propria morte, è un atto contro lamore previdente di
Dio. Questo la Chiesa deve insegnare. A tutti. Quella Chiesa, che ha subìto - impotente -
i mesi della forsennata predicazione a favore delleutanasia di Welby, sa bene che ci
sono - solo in Italia - decine di migliaia di persone esattamente nella medesima
condizione di Welby: che si deve fare? Uneutanasia in blocco? O non si deve
piuttosto insegnare - sì, questo il verbo adeguato alla Chiesa, mater et magistra - che i
malati devono farsi una ragione del loro stato; i medici devono fin dallinizio della
malattia assegnare le cure più idonee, comprese quelle che attenuano il dolore; i
familiari e gli amici devono sorreggere con unassistenza damore il loro
congiunto? La Chiesa questo ha fatto e sta facendo nella presente circostanza. Non giudica
la persona Welby, prega per lui che è già davanti alla Misericordia di Dio, ma non
concede i funerali pubblici. In questo modo la Chiesa intende proclamare - in faccia a
menzogne e imposture - la verità di Dio sulla vita e sulla morte. Adotta cioè un
provvedimento damore amaro, certamente amaro: come negarlo? Ma lancia un segnale
forte, lunico che realmente fosse nelle sue disponibilità: con Dio non si scherza,
Dio va preso sul serio, Dio ha cura di ogni istante della vita umana, e i sacramenti che
lei amministra non sono a capriccio, ma in riferimento alla verità di chi riceve il
sacramento, dunque alla sua conversione. E sceglie di dirlo, pur se questo la mette contro
vento o le attira un mucchio di critiche. Se la Chiesa fosse anzitutto preoccupata del
consenso e degli applausi, si sarebbe comportata diversamente. Welby, che questa verità
ora sa, capirà. Gli altri capiranno se noi credenti - i sacerdoti per primi - li
aiuteremo a capire. Ho sentito Pannella dire spropositi su questo delicatissimo campo, che
riguarda le singole coscienze non meno che la coscienza della Chiesa. Facciamo in modo,
amici, che la nostra risposta sia coralmente cristiana, attenta cioè non alle pretese
più o meno convenienti, più o meno bizzarre, ma alle austere ragioni della salvezza.
Dino Boffo
Ci hanno scritto esprimendo ragionamenti analoghi Stefano Gamberoni, Lorenzo Steardo, Giovanna Ferraresso, Elena Casiraghi, Paolo Migneco, Massimo Mollica, Alessandro De Luca, Franco Cesari, Emanuele Petruzzelli, Claudio Panero, Gherardo Gherardi, Stefania Chines, Claudio Perini, Luigi Daccò, Michele Biemmi, Alberto Guarino, Paola Zara,Anna Ela, Roberto Baldissari, Noris De Rocco, Marianna e Gianluca Rocca, Leopoldo Apa e Francesco Fenudi.