EDUCARE: GIOIA, FATICA, RESPONSABILITÀ
Il figlio può essere un dono per la coppia, un invito a rimettersi in
discussione anche sul terreno della fede
di Antonia Fantini*
La famiglia vive oggi il travaglio del nostro tempo, in cui ogni istituzione è entrata in
crisi. Quando parlo di crisi non intendo sottolineare gli aspetti negativi, ma prendere
atto di un profondo mutamento che, se ben interpretato, può condurre a percorsi positivi.
Oggi è in atto un rinnovato interesse nella società e nella Chiesa verso la famiglia,
specie per la potenzialità che porta in sé di proporsi come elemento essenziale alla
ricostruzione di un tessuto comunitario-educativo.
Il fine della famiglia: contenti noi, contenti tutti?
Si dice che il primo dovere è di pensare a casa propria, e questo ha un fondo di
verità. Infatti, non avrebbe senso dedicarsi agli altri, trascurando la propria famiglia.
Ma la frase potrebbe anche nascondere un profondo egoismo, la volontà di fare della
famiglia una campana di vetro sotto la quale mettere al sicuro ciò che interessa.
Ci sono, infatti, egoismi individuali ed egoismi familiari, resi più drammatici in tempi
di crisi, che colpisce famiglie vicine oltre che famiglie e popoli dei paesi del
sottosviluppo.
È possibile rimanere indifferenti, pensando che se siamo a posto noi è a posto il mondo?
Probabilmente la famiglia diventerebbe molto più educante se si aprisse alla condivisione
e alla solidarietà.
Troppo pochi genitori, ad esempio, pensano che le difficoltà nelleducare i figli
potrebbero essere affrontate meglio se la famiglia si confrontasse con i problemi di altre
famiglie, magari allinterno di un gruppo. Occorre pensare in modo nuovo, solidale,
perché linterdipendenza dei problemi e delle soluzioni ci lega inevitabilmente gli
uni agli altri.
Il figlio, dono per la coppia
Il figlio, i figli impegnano la coppia ad incarnarsi nella concretezza dei
problemi.
I genitori avvertono il "nuovo" dentro la vita dei figli. Il figlio, possiamo
dire, è il luogo dove avviene la loro immersione nelloggi e anche spesso la
conversione di mentalità.
Vivendo con il figlio ci simmerge nella sua realtà e si è cosi quasi obbligati a
non fissarsi nella rigidità dei principi, ma a interrogarsi continuamente e a porsi in
discussione.
Il figlio più cresce, più interroga e interpella la vita dei genitori e più li
costringe a cercare motivazioni nel loro modo di vivere sociale e anche dei valori cui
riferirsi.
I genitori possono evadere da queste provocazioni ma sentono che in quel momento
rinunciano a se stessi - cioè a cercare la verità - e ad essere per il figlio un punto
di riferimento con cui egli possa confrontarsi.
La perfezione non esiste
Il genitore perfetto non esiste: non occorre educare "in modo ideale" i
figli. Basta essere onesti. Ma anche il figlio perfetto non esiste.
Ci sono poi genitori che si ritengono gli unici arbitri del destino del proprio figlio,
tanto da colpevolizzarsi al primo sbaglio da loro compiuto, come se da questo dipendesse
la vita o la morte del figlio.
Chi si trova in questi difetti non si allarmi. È nella norma. Farsene una colpa significa
aumentare il tasso dansia, che, naturalmente, sarà poi il bambino a pagare.
Quali strade seguire nelleducazione?
La preoccupazione educativa è presente in tutte le famiglie.
Davanti ai capricci dei bambini, alle loro domande e ai modelli così diversi della
società contemporanea, i genitori tentano diverse strade.
Ci sono genitori che in questa prima età pensano che il problema prioritario sia quello
di soddisfare i bisogni fisici e di salute del bambino. Altri si affidano allo
spontaneismo e lasciano crescere i bambini senza criteri di discernimento tra il bene e il
male.
Ci sono anche genitori rigidi, che pretendono dai bambini unosservanza meticolosa
della norma morale. Ci sono poi genitori che delegano alla scuola dellinfanzia o al
futuro catechismo il compito di dare ai figli principi morali.
Pur facendo tanti sforzi per il bene dei figli, i genitori provano anche delusioni nella
loro fatica e si domandano: che cosa avrei
dovuto fare?
Due sono le vie: quella di chi segue lo "spirito del mondo" e quella di chi
sceglie di seguire ciò che ha detto e fatto Gesù. Ogni genitore che ha portato il figlio
al Battesimo si è impegnato a seguire la seconda. È la via che fa crescere secondo Gesù
Cristo.
Leducazione alla fede
Quest'educazione non va fondata sulla paura, ma deve essere ispirata da gioia e
serenità e deve avere come fulcro il Dio-con-noi, un Dio che ci ama, che ci perdona e che
ci sostiene nelle difficoltà della vita.
Per aiutare il bambino a percorrere il cammino della fede i genitori devono:
* già dirigente scolastico
"LASCIATE CHE I BAMBINI VENGANO A ME"
L'educazione alla vita cristiana inizia già da piccoli, in famiglia e nella scuola
materna, e la CEI ha pubblicato un catechismo, il "Catechismo dei bambini"
(CdB), per coprire la fascia di età che va da zero a sei anni.
Due sono le idee di fondo: il bambino, anche se piccolo, è in grado di ricevere
un'educazione religiosa, è capace di accogliere la Parola di Cristo e della Chiesa.
Questo richiede, da parte dei genitori, l'aderenza al progetto di Dio, già presente nel
piccolo ma che tocca agli adulti far emergere.
Il compito educativo primario dei bambini tocca alla famiglia, ma è richiesto l'aiuto
della società. Questa deve disporre quanto è necessario per il bene comune: cioè
difendere i diritti e i doveri dei genitori e degli educatori; promuovere la
sussidiarietà nel rispetto fondamentale della famiglia (cfr. CdB n.159).
Il documento sottolinea infine il compito degli insegnanti di scuola materna.
Essi sono chiamati a "collaborare in modo continuativo" con i genitori,
"per riconoscere il significato ed il valore della fede nella vita dei bambini, nel
pieno rispetto dei ritmi di sviluppo affettivo, emotivo, morale e sociale" (CdB
n.166).
Per educare alla fede "Le parole non bastano: attraverso il gioco, le attività
costruttive, le attività di vita pratica, le libere espressioni artistiche
si
forma l'ambiente comunitario, in cui i significati e i valori cristiani sono come diffusi
nell'atmosfera e come respirati dai bambini" (CdB n.167).
Quello che serve è uno stile di vita, perché "i comportamenti che i bambini vedono,
diventano un catechismo vivo" (CdB n.145).
Antonia Fantini