LA FAMIGLIA: PARABOLA DEL MISTERO DI DIO AMORE
Collegamento tra Gruppi Famiglia, Maguzzano 3 ottobre 2004

II titolo della nostra riflessione - La famiglia: parabola del mistero di Dio Amore - con il termine "parabola", intende mettere in relazione la realtà e l'esperienza della famiglia, che è caratterizzata dal valore dell'amore, con la realtà e il mistero di Dio che è Amore. Così, infatti, lo definisce la prima lettera a Giovanni (cf 1 Gv 4,8) e cosi lo descrive la Familiaris Consortio in rapporto alla relazione uomo-donna nel momento della creazione: "Dio è amore e vive in se stesso un mistero di comunione personale d'amore. Creandola a sua immagine e continuamente conservandola nell'essere. Dio iscrive nell'umanità dell'uomo e della donna la vocazione, e quindi la capacità e la responsabilità dell'amore e della comunione" (FC 11).
Il temine "parabola" potrebbe essere interscambiato con un altro che ha una grande rilevanza teologia ed ecclesiale, il termine "sacramento". La Lumen Gentium afferma che - nel suo rapporto con Cristo - la Chiesa è nel mondo sacramento dell'amore di Dio: "la Chiesa è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" (LG 1). Dentro questo orizzonte, la stessa famiglia, considerata sempre dalla Lumen Gentium una "ecclesiola", vale a dire una "piccola Chiesa", può essere certamente definita "sacramento" dell'amore di Dio, o se si vuole "parabola" dell'amore di Dio.
Alla luce di queste iniziali battute vorrei proporre una semplice riflessione scandita in tre punti che annuncio con tre domande:

  1. Che cos'è il sacramento nel pensiero della Chiesa?
  2. La famiglia è sacramento? E in che senso?
  3. Di che cosa la famiglia è sacramento?

1. Che cos'è il sacramento? Molti di noi, più avanti negli anni, si ricordano forse la risposta del catechismo alla domanda "che cosa sono i sacramenti?": "I sacramenti sono segni efficaci della grazia, istituiti da Gesù Cristo per santificarci".
Il sacramento, che traduce il termine greco mysterium, è dell'ordine dei segni, cioè di qualcosa di visibile che nel momento in cui si esprime opera la realtà di cui è segno. I segni fanno parte della comunicazione. Per esempio la parola è segno del pensiero che io voglio trasmettere, la stretta di mano è segno del mio saluto, il bacio è segno di amore, ecc. Dio si comunica attraverso i segni. Per esempio, la creazione è un segno attraverso cui Dio si comunica. Tutte le cose che vediamo, quindi, sono segni della presenza di Dio che le ha create. I segni della comunicazione di Dio costellano tutte le tappe della storia della salvezza.
Ma tra i segni della comunicazione di Dio, ve ne è uno che costituisce il vertice massimo: è Cristo stesso. Cioè, Dio ha voluto comunicare con noi attraverso il segno del suo farsi uomo.
L'umanità di Cristo quindi è il sacramento dei sacramenti- Attraverso la sua umanità egli si fa prossimo a noi, uno di noi, nostro compagno di viaggio. Difatti, l'arcangelo Gabriele dice a Maria: sarà chiamato Emanuele, "Dio con noi".
Ma che cosa ci comunica Dio facendosi uomo? Ci comunica non cose (questo lo ha fatto con la creazione). Ci comunica se stesso, il suo amore, la sua vita. Dona se stesso. Il dono che ci fa è lo stesso donatore. Così come avviene tra lo sposo e la sposa. Certamente tra sposi ci si fa dei regali.
Ma questo non è ancora ciò che veramente gli sposi sono chiamati a donarsi. Essi, infatti, in quanto sposi sono chiamati a donare se stessi attraverso il segno del corpo, fino alla sua espressione più intima e profonda, che è il segno sessuale, simbolo dell'unità dei due.
La teologia ha coniato un termine per indicare che cosa succedere attraverso i sacramenti, il termine "partecipazione". I sacramenti ci fanno partecipi della vita divina. Essi in un certo senso ci "divinizzano". Restiamo uomini, perché questa è la nostra natura, ma per dono di Dio, siamo come innalzati al livello di Dio Amore. Ecco perché si è parlato nel passato di sopranatura, cioè di un balzo in alto che Dio ci ha fatto fare non perché era nostro diritto, ma per sua magnanimità per sua grazia. Ecco che cosa operano i sacramenti, la grazia di Dio, questo innalzamento verso ciò che in realtà la stessa nostra natura ci porterebbe, cioè verso l'infinito, verso la pienezza, verso l'eternità, in fondo c'è dentro di noi il desiderio di essere Dio. Non lo siamo per natura, ma lo possiamo essere per partecipazione.

2. La famiglia è sacramento? Ora ci chiediamo: ma la famiglia è sacramento? Cioè l'esperienza comunicativa tra lo sposo e la sposa rientra in questa logica della comunicazione di Dio all'uomo per partecipazione? Certamente sì!
Il vertice della analogia o relazione tra l'autocomunicazione di Dio all'umanità e il matrimonio si raggiunge con l'incarnazione del Verbo. La Familiaris Consortio lo esprime con grande esattezza teologica: "La comunione tra Dio e gli uomini trova il suo compimento definitivo in Gesù Cristo, lo Sposo che ama e si dona come Salvatore dell'umanità, unendola a Se come suo corpo. Egli rivela la verità originaria del matrimonio, la verità del "principio" e, liberando l'uomo dalla durezza del cuore, lo rende capace di realizzarla interamente. Questa rivelazione raggiunge la sua pienezza definitiva nel dono d'amore che il Verbo di Dio fa all'umanità assumendo la natura umana, e nel sacrificio che Gesù Cristo fa di se stesso sulla Croce per la sua Sposa, la Chiesa. In questo sacrificio si svela interamente quel disegno che Dio ha impresso nell'umanità dell'uomo e della donna, fin dalla loro creazione; il matrimonio dei battezzati diviene così il simbolo reale della nuova ed eterna Alleanza, sancita nel sangue di Cristo. Lo Spirito, che il Signore effonde, dona il cuore nuovo e rende l'uomo e la donna capaci di amarsi, come Cristo ci ha amati. L'amore coniugale raggiunge quella pienezza a cui è interiormente ordinato, la carità coniugale, che è il modo proprio e specifico con cui gli sposi partecipano e sono chiamati a vivere la carità stessa di Cristo che si dona sulla Croce" FC 13).
Purtroppo una certa concezione dei sacramenti, visti solo nel loro aspetto di rimozione del peccato (remedium), ha offuscato la consapevolezza che in realtà quando Dio ha creato l'uomo e la donna, li ha creati per significare il mistero della propria identità di comunione personale d'amore tra Padre, Figlio e Spirito Santo. Il sacramento del matrimonio, con l'incarnazione, certamente è diventato sacramento che ha tolto quella che teologicamente Agostino ha chiamato concupiscenza, per cui si è approdati alla concezione del matrimonio come remedium concupiscentiae (espressione oggi che è sentita come negativa e quasi dispregiativa del matrimonio). In realtà il matrimonio come 'sacramento antico' (l'espressione è di Giovanni Paolo II) esisteva prima del peccato, anche se non era sacramento in senso cristologico, perché voluto da Dio come simbolo. Sentiamo un teologo medioevale: "Sacramentum coniugii solum ex omnibus sacramentìs quae ad remedium hominis institua sunt, ante peccatum hominis legitur instìtutum; non tcanen propter peccatum, sed ad sacramentum solum et ad ufficium" (Ugo di San Vittore [1096-1141]). Questo è il carattere che Matrimonio ha avuto fin dall'inizio: Esso è stato istituito non per 'rimediare'. Solo dopo il peccato esso è anche rimedio, ma innanzitutto nel disegno di Dio il matrimonio è stato istituito per 'significare'. E allora ci chiediamo: che cosa è chiamato a significare il matrimonio? Di che cosa la famiglia, che sul matrimonio si fonda, è sacramento?

3. Di che cosa la famiglia è sacramento? Potremmo rispondere proprio con il titolo della nostra meditazione. La famiglia è sacramento (parabola) dell'amore di Dio. Essa è una specie di "trinità creata", una attualizzazione storica, incarnata del mistero di Dio amore. "Il sacramento del matrimonio e la famiglia che ne deriva - afferma Giovanni Paolo II - rappresentano la via efficace mediante la quale la grazia redentrice di Cristo assicura ai figli della Chiesa una reale partecipazione alla 'communio trinitari'" (Discorso del 31 maggio 2001 ai docenti e studenti del pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia). E proprio per questo, per il suo essere parabola di Dio Amore (dono/essere), la famiglia ha il compito di diventarlo giorno per giorno (missione/agire). La famiglia - come ricorda la Familiaris Consortio - "ha la missione di diventare sempre più quello che è, ossia comunità di vita e di amore, in una tensione che, come per ogni realtà creata e redenta, troverà il suo pieno compimento nel Regno di Dio".
Essa è chiamata a diventare ciò che è! Dal suo essere, infatti, scaturisce il suo compito che è di "custodire, rivelare e comunicare l'amore, quale riflesso vivo e reale partecipazione dell'amore di Dio per l'umanità e dell'amore di Cristo Signore per la Chiesa sua sposa" (FC 17).
La famiglia cosi diventa evangelizzatrice con il suo stesso essere ed agire. Essa è in se stessa vangelo, vale a dire "buona notizia". All'Angelus di domenica 21 ottobre, alle famiglie radunate in san Pietro per commemorare il XX° anniversario della Familiaris Consortio, Giovanni Paolo II così si è rivolto a loro: "Alle spinte negative che si manifestano nel mondo la Chiesa risponde rafforzando l'impegno per annunciare Cristo, speranza dell'uomo e speranza del mondo! In questa missione di speranza, un ruolo di primo piano è affidato alle famiglie. La famiglia, infatti, annuncia il vangelo della speranza con la sua stessa costituzione, perché si fonda sulla fiducia reciproca e sulla fede nella Provvidenza. La famiglia annuncia la speranza, perché è il luogo in cui sboccia e cresce la vita, nell'esercizio generoso e responsabile della paternità e maternità. Un 'autentica famiglia fondata sul matrimonio è in se stessa una "buona notizia per il mondo"".

PER IL LAVORO DI GRUPPO
1. Nel contesto della nostra società secolarizzata molti coniugi cristiani sono all'oscuro dei contenuti della loro identità. Come aiutarli a divenire consapevoli della ricchezza di doni elargiti dal sacramento del matrimonio?
2. Come ricucire lo strappo tra 'cultura e vita' e tra 'fede e vita', considerato dal Concilio Vaticano II come una specie di 'eresia pratica' che porta anche molti cristiani a vivere "come se Dio non esistesse"?
3. Una nuova attenzione la parrocchia è chiamata a rivolgere alla famiglia: "La parrocchia missionaria fa della famiglia un luogo privilegiato della sua azione, scoprendosi essa stessa famiglia di famiglie, e considera la famiglia non solo come destinataria della sua attenzione, ma come vera e propria risorsa dei cammini e delle proposte pastorali" (CEI, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, 9).
Quale dovrebbe essere il contributo della famiglie in quanto 'soggetto pastorale' perché questa non rimanga una affermazione di principio ma possa tradursi nella prassi pastorale?
In soldoni: "Maestro: che cosa dobbiamo fare?" (cf Mt 19,16).
Don Gian Carlo Grandis

PARABOLA, MISTERO, SACRAMENTO: tre termini che rimandano a Cristo
Cristo è parabola dell’Amore del Padre, mistero in cui si realizza il progetto eterno di Dio, sacramento originale.

Tre sono le parole chiave che abbiamo incontrato nell’articolo precedente: parabola, mistero, sacramento. Sono tre parole che ci sono familiari ma di cui non sempre abbiamo chiaro il significato.

Le parabole, la parabola
Le parabole, nei vangeli, presentano un racconto breve di esperienze note, caricate emotivamente di allusioni ad esperienze ignote (1). Parlando d’altro, parlano dell’Altro, stimolando il desiderio di conoscerLo (2).
D’altra parte, dell’invisibile non possiamo parlare che attraverso il visibile.
Se tutto il creato porta una traccia del volto di Dio, Gesù ne è l’icona perfetta.
Tutta la sua vita è come un’unica parabola, che ci parla di altro: è l’esegesi del Padre, che in lui spiega pienamente le pieghe che celano il suo abisso increato.
Il linguaggio parabolico dice non dicendo e fa vedere velando ciò che, di per sé, non può essere ascoltato e visto. Le parabole sono quindi un primo accostamento velato e confuso a quello che è l’ascolto e la visone distinta dei misteri.

Mistero: cosa non è
Il mistero non è qualcosa di irrazionale (3) e neanche qualcosa che non posso conoscere, almeno per il momento (p.e. i misteri della scienza).
Questo secondo modo di intendere il mistero è tipico della cultura illuministica ma alcune scuole filosofiche posteriori hanno dimostrato l’infondatezza di questa affermazione perché:
- si tratta, in questo caso, di un problema e non di un mistero;
- il problema è qualcosa che impedisce di andare oltre, per il momento;
- in esso c’è distinzione tra soggetto e oggetto;
- può potenzialmente essere superato da una molteplicità di soggetti;
- non tiene conto del soggetto perché tutti, se sanno, lo possono risolvere.
Il mistero nasce quando il soggetto rimane imbrigliato nell’oggetto. Per essere più chiari il male oggettivato è un problema, ma quando mi tocca in prima persona diventa mistero.
La malattia di mio figlio, quando mi preoccupo di trovare le cure ed i medici in grado di curarla, è un problema ma - poiché tocca mio figlio ed io mi interrogo sul perché egli è malato - diventa un mistero, perché ne rimango coinvolto esistenzialmente.

Il mistero nella storia della Chiesa
Prima del concilio (4) la catechesi ci aveva abituato ad un concetto raffinato e astratto del termine mistero: una verità superiore ma non contraria alla ragione, accettata in forza dell’autorità di Dio. Il concilio non elimina questa definizione ma la assume in un orizzonte più ricco.
Il riferimento è la teologia paolina e l’uso che Paolo fa del termine mistero: è il progetto di salvezza che Dio ha da sempre sull’umanità. Questo progetto era nascosto dall’eternità nella mente e nel cuore di Dio (ecco il significato classico del vocabolo mistero: cosa segreta), ma ora sta svelandosi e realizzandosi.
Come tale è inafferrabile ma in esso l’uomo ne è coinvolto fino al midollo; è un mistero che inabita ciascun uomo ed è Cristo.
Palo afferma che il disegno del Padre è di ricapitolare tutte le cose in Cristo (Cfr. Col 1,13-20). Più in generale, mistero sono anche i diversi momenti della vita di Gesù, gli eventi veterotestamentari che anticipano la pienezza della rivelazione (p.e. il sacrificio di Isacco, l’agnello pasquale, l’uscita dall’Egitto, ecc.). È anche la tensione tra la realtà divina e il segno umano che la richiama. Così il Natale, l’incarnazione è segno - un bambino - pieno di realtà divina.

Da mistero a sacramento
Il Nuovo Testamento è scritto in greco e, con la diffusione del cristianesimo dalle regioni a lingua greca - l’ex impero di Alessandro Magno - al resto dell’impero romano, nasce la necessità di tradurlo in latino.
Il termine greco mysterion viene tradotto con il termine sacramentum.
Sono parole simili ma non identiche. Sacramento in origine indica pegno, giuramento, e in seguito pegno della fede, atto sacro. C’è un passaggio da una dimensione interiore ad una esteriore. Già a partire da Tertulliano (II - III sec. d.c.) sacramento indica la veste visibile, il segno sotto cui si nasconde e attraverso cui passa il dono del mistero.
Da Trento in poi (XVI sec.), con la definizione del settenario sacramentale, la dimensione esteriore prevale e si perde l’assonanza con il mistero.
Dobbiamo attendere fino al XX secolo e la ripresa degli studi patristici per recuperare il concetto di Cristo come "sacramento dell’incontro con Dio" (Schillebeeckx), Cristo come sacramento originale, da cui derivano gli altri sacramenti.
Franco Rosada

  1. Fausti S., Ricorda e racconta il vangelo, Edizioni Àncora, Milano 1998, p. 135.
  2. Fausti S., Una comunità legge il vangelo di Luca, Edizioni Dehoniane, Bologna 1994, p. 241-242.
  3. Cfr. Repole R., Corso di Ecclesiologia, ISSR, Torino 2004-05.
  4. Cfr. Sartori L., La "Lumen gentium", traccia di studio, Edizioni Messagero, Padova 2003, p. 32-33.