LA FAMIGLIA: UN PROBLEMA O UNA RISORSA?
Occorre scoprire che le famiglie costituiscono la struttura portante della comunità parrocchiale

di Dino Bottino*
“I coniugi e i genitori cristiani hanno, nel loro stato di vita e nella loro funzione, il proprio dono in mezzo al popolo di Dio e perciò non solo ricevono l’amore di Cristo diventando comunità salvata, ma sono anche chiamati a trasmettere ai fratelli il medesimo amore di Cristo, diventando così comunità salvante” (Direttorio di Pastorale Familiare, n.135).
Mi è capitato, talvolta, al termine di qualche riflessione sulla famiglia fatta ai miei confratelli sacerdoti, di sentirmi dire: “ecco gli unici rimasti a tessere un’elegia sulla famiglia siamo noi preti… un conto è la poesia, un conto è la prosa. Tutti gli altri sono spoetizzati.”
Vorrei dimostrare, partendo dall’esperienza maturata negli anni, che questa elegia teologica può diventare buona prosa pastorale.

La constatazione dei problemi
Quando una comunità parrocchiale delinea una programmazione pastorale a qualsiasi livello “non può non incrociare la famiglia”. Ma molto spesso vive questo incontro come elemento di preoccupazione.
La catechesi dei fanciulli in sé funziona, ma come coinvolgere le famiglie?
La celebrazione domenicale è ben preparata e animata: ma perché i fanciulli vengono a catechismo e non a Messa?
L’oratorio, le attività giovanili se hanno un bravo prete e dei buoni animatori funzionano ma dove sono le famiglie, che ne è del loro compito educativo?
I sacramenti di iniziazione cristiana rivelano le contraddizioni delle famiglie: chi sono i garanti veri di queste scelte? I padrini, i genitori, o bisogna ricorrere a qualcun altro?
Se poi spostiamo “l’obiettivo pastorale” direttamente sul Matrimonio, allora la problematica si ingigantisce.
Come avviene la preparazione prossima e remota? Come rendere più gradevoli e simpatici questi incontri per conquistare il più possibile l’indice di gradimento dei partecipanti, molti dei quali sono già conviventi?
E l’accompagnamento dopo il matrimonio? Puntiamo su un’azione di vasto raggio che raccolga tutte le famiglie o valorizziamo i gruppi famiglia anche se piccoli, anche se sono fiammelle nella notte?
E poi c’è tutto il capitolo dei casi difficili, gli irregolari, il settore del disagio fisico e psicologico. Chi affianca con amore queste nuove povertà?
Per queste e altre ragioni il tema pastorale della famiglia finisce per scivolare nel capitolo dei problemi: la famiglia diventa così un problema, un problema serio, un problema grave.

La famiglia come risorsa
Se i problemi ci sono, non mancano gli aspetti positivi, partendo da una prospettiva corretta e illuminata della realtà della Famiglia e del Matrimonio cristiano. È una prospettiva che parte dal “sapere”.
Si tratta, per prima cosa, di “sapere” il valore della famiglia come progetto naturale, come esce fin dal principio dalle mani del Creatore. Dio è il primo che crede e scommette sulla famiglia perché sia realtà di comunione e di fecondità per umanizzare il mondo.
Si tratta poi di “sapere” la portata dell’evento del matrimonio come sacramento di Cristo - sposo.
Ogni matrimonio cristiano è un evento ecclesiale della presenza di Gesù che sposa la Chiesa.
Questo è un evento permanente, non di un giorno soltanto, perché il matrimonio è segno efficace di una presenza di Cristo che ama, che dà la vita. Perciò ogni matrimonio cristiano è come un “generatore di corrente” ecclesiale.
Si tratta, infine, di “sapere” che essere famiglia nella comunità comporta un ministero e una missione. Le famiglie non si formano nella chiesa per essere riposte in soffitta, ma perché esprimano un dono e un servizio.

Una nuova mentalità pastorale
Da quanto detto sopra scaturisce una nuova mentalità pastorale che porta con sé molteplici conseguenze.
Non credo sia il caso di comporre un lungo elenco di iniziative ordinarie e straordinarie che vanno in questa linea. Penso però che sia utile individuare delle radici o ispirazioni fondamentali di cui la prima è: le famiglie costituiscono la struttura portante della comunità; in altre parole, la parrocchia è una famiglia di famiglie.
Si tratta quindi di costruire la parrocchia a partire da questa realtà.
Ne scaturiscono conseguenze per: il consiglio pastorale, l’impostazione dei catechisti, la celebrazione liturgica, la gestione della carità.
In questo nuovo contesto le famiglie sono chiamate a mettere a disposizione il loro essere e il loro operare e ad esprimere, anche esplicitamente, il loro ministero per la Comunità.
Ogni coppia che si sposa ed entra nella comunità deve essere considerata, per analogia, come l’ingresso di un nuovo sacerdote. C’è, infatti, un evento ecclesiale che la consacra, c’è una destinazione ministeriale che le viene affidata: svolgere un servizio per la Chiesa.
Impostare la parrocchia tenendo conto della risorsa famiglia può diventare incomprensibile se manca la formazione: prima, durante, e dopo. La comunità deve offrire itinerari formativi articolati a vari livelli che tengano conto di: giovani - giovani coppie - famiglie - anziani e delle diverse aree di interesse pastorale: evangelizzazione - liturgia - carità.
Quando si dice formazione si deve pensare ad alimentare: la fede, la conoscenza, la spiritualità ma anche ad alimentare: la solidarietà, la gioia della comunione, la festa e i momenti aggregativi, dove si intrecciano le parole e i gesti, gli insegnamenti e gli avvenimenti.
* responsabile Ufficio Famiglia della diocesi di Novara
Intervento al convegno di Galliate (NO) dei Gruppi Famiglia, settembre 2002.
Sintesi a cura di Franco Rosada.

Brani per la Lectio:
•    Gn 29,1-12 Giacobbe incontra Rachele (cosa non si fa per la persona di cui si è innamorati!)
•    Tb 2,11-14 Anna e Tobi (il matrimonio nelle prove della vita)
Domande per la R.d.V.:
•    Quali attenzioni prestiamo alla nuove famiglie? Qulle chevengono ad abitare vicino a noi, che incontriamo la domenica a messa, i colleghi/e di lavoro sposati da poco...
•    Come coltiviamo nei gruppi la spiritualità sponsale, la grazia che deriva dal sacramento che abbiamo ricevuto? Oppure è sufficiente volersi bene?

Il gruppo famiglia: carisma o istituzione?

di Dino Bottino
I Gruppi Famiglia sono da collocarsi nell’ambito dei carismi o in quello delle istituzioni?
Fanno parte delle strutture autorevoli della Chiesa - con poteri propri - o appartengono all’ordine dei carismi profondi, della grazia invisibile che tocca i cuori e fermenta dall’interno l’anima della Chiesa - senza alcun potere istituzionale?
Il Gruppo Famiglia non può esistere come struttura a sé, autonoma, indipendente, e contemporaneamente non può essere considerato un semplice strumento di lavoro agli ordini della parrocchia o del parroco.
L’appartenenza alla parrocchia - ‘la parrocchialità’- è assolutamente necessaria e imprescindibile.
Come sant’Ignazio di Antiochia diceva: “Nulla si faccia senza il Vescovo” così vale il principio: “Nulla si faccia senza la parrocchia”, senza la comunione con il parroco.
Ma la ‘parrocchialità’ non è ‘parrocchialismo’, nel senso che tutto deve discendere e deve essere organizzato e guidato dalla parrocchia: questa non è un “generatore unico e univoco” e tanto meno lo è il parroco da solo. La parrocchia deve invece saper accogliere e promuovere.
La finalità condivisa dalla parrocchia e dai gruppi-famiglia è - per la loro intima natura ecclesiale - la missione, la spinta di vita che porta a crescere nella fede, a portare frutti nella carità, a testimoniare per amore. La missione deve essere lo stato d’animo comune.
I Gruppi Famiglia quindi:
•    hanno diritto di cittadinanza nella parrocchia, come sua espressione;
•    hanno “licenza edilizia” nel piano regolatore della parrocchia, nell’ambito di una doverosa, cordiale comunione, nel senso di una vera ‘reciprocità’.
I gruppi famiglia sono - con un paragone un po’ forte - cellule vitali nell’organismo parrocchiale: cellule staminali multipotenti che possono sviluppare, restaurare o guarire tessuti e organi essenziali per il corpo. Ma se queste cellule non si armonizzano con l’organismo, impazziscono e creano tumori.
Così i gruppi famiglia hanno bisogno di essere rispettati e accolti per quello che sono, con le loro potenzialità. Hanno necessità di essere irrorati e ossigenati ad ampio raggio, attraverso collegamenti sovraparrocchiali o interparrocchiali.
Se il gruppo famiglia rimane incapsulato in se stesso, finisce per atrofizzarsi ed esaurirsi presto. Il problema di un filo vitale di collegamento non è solo questione organizzativa ma esigenza legittima e doverosa di buona salute.

Dalla relazione tenuta all’incontro di collegamento GF ad Arona (NO), sett. 2004.
Sintesi a cura di Gabriella Pasquotto.