GLI SNODI DELLA VITA NELLA TERZA ETÀ
Luscita dal mondo del lavoro è sovente occasione di una riprogettazione
della propria vita, la scoperta di nuovi valori e interessi, tra cui primeggiano il
volontariato e la "nonnità". Ma con l'avanzare degli anni la vecchiaia diventa
anche tempo di solitudine, malattia, depressione, inutilità, desiderio di morire.
di Guido Lazzarini*
Benessere diffuso, prevenzione, cure mediche sempre più avanzate e progresso
farmacologico hanno permesso, negli ultimi trent'anni, un notevole prolungamento della
vita: si è passati da settanta a circa ottant'anni (con qualche anno in più per le
donne) e questa soglia si sposta progressivamente in avanti. All'uscita dal mondo del
lavoro si ha una speranza di vita di circa vent'anni.
L'uscita dal mondo del lavoro
Se, da un lato, vengono meno i punti fermi - il bagaglio professionale acquisito, la
routine dell'orario di lavoro, il valore dell'esperienza - dall'altro e si possono
affermare valori di ordine espressivo e culturale utili nell'uso del tempo libero.
Da recenti indagini psico-sociali si può individuare l'affermarsi della tendenza, almeno
in una considerevole percentuale di anziani, ad adottare una nuova visione della vita.
Non si considera più il tempo di lavoro come l'unico periodo significativo, sia dal punto
di vista individuale che sociale, si guarda ad altri valori: amicizia, solidarietà,
volontariato, attività culturali, ecc.
Anche da parte delle istituzioni, in ragione dell'elevato numero di anziani, c'è una
maggiore attenzione verso la creazione di forme organizzate, a volte avviate e mantenute
efficienti dagli anziani stessi, orientate a diverse attività: di volontariato,
culturali, ricreative, ecc.
L'affermarsi di tanti gruppi rappresenta una pluralità di occasioni di socializzazione:
in essi l'individuo apprende comportamenti e capacità utili alla nuova condizione
sociale.
All'interno di un gruppo l'anziano continua a sentirsi membro di una collettività che ha
regole di comportamento e tempi da rispettare, e, in questo senso, vive una proiezione nel
passato, perché riscopre il piacere di doversi organizzare il tempo e di essere occupato
nello svolgimento di attività di diverso tipo.
Ma scopre anche di rivestire un ruolo, di essere ascoltato, vive una
"proiezione" nel futuro, nel senso che riscopre il piacere di progettare e
quindi sentirsi vitale sia fisicamente che psicologicamente.
La relazione con i nipoti
Nelle reti sociali primarie ha un ruolo particolare il rapporto nonni/nipoti. Il
nipote, di solito, vede il nonno non come un vecchio, ma come persona cara. Si afferma una
fiducia reciproca, si avvia una relazione, quasi una complicità, che non è condizionata
né da fattori di natura economica, né sociale o culturale, e assume caratteri diversi a
seconda dell'ambiente in cui si vive.
I nonni delle aree urbane sono alla ricerca di occasioni di incontro e la curiosità dei
nipoti diventa uno stimolo importante. Sentono di avere un ruolo di collaborazione con i
genitori, spesso impediti, nella conversazione coi figli, dalla scarsità di tempo
disponibile.
I nonni che vivono nelle aree rurali, in generale molto legati alla propria storia
passata, sono ottimi trasmettitori delle tradizioni.
L'essere nonno fa rivivere in qualche modo i ricordi e le esperienze genitoriali, ciò non
significa che essi svolgano le stesse funzioni dei genitori: la "nonnità" è
altro rispetto alla genitorialità.
Nella "nonnità" è specifico il lasciarsi coinvolgere, ma anche il collegare
presente e passato in una scoperta costante del senso della continuità della vita,
richiamando il passato e guardando al futuro.
Quando, nella famiglia di nuova costituzione, ci sono problemi come la separazione dei
coniugi, i nonni, soprattutto se i nipoti sono stati affidati al loro figlio/a, sentono
doveri precisi nei confronti dei minori come se cercassero di compensare il venir meno del
rapporto col genitore "assente".
L'abitazione, luogo "caldo" della memoria
Per la coppia anziana l'abitazione si configura sempre più come elemento sostitutivo
di quel "mondo esterno" cui si ha accesso con difficoltà o non si ha più
accesso se non tramite i media che assumono la funzione di vere e proprie "finestre
sul mondo".
La casa è ricca di simboli, del ricordo di eventi felici o dolorosi, di dimensioni
familiari, affettive ed emotive, nonché espressione dell'appartenenza e del radicamento
in un dato contesto locale.
L'impoverimento delle motivazioni di senso, la riduzione della rete relazionale,
unitamente ai malanni tipici dell'età, a volte cronici, aggravano un isolamento che
spesso si fa volontario e diviene difesa da un contesto e da una realtà esterna percepita
come lontana, che conferma il senso della propria inutilità e indebolisce il desiderio di
programmare qualsiasi attività.
La vedovanza
Un momento di particolare rilievo nel mondo relazionale dell'anziano è segnato dalla
morte del partner. Chi è abituato a condividere la vita si trova, da un momento
all'altro, da solo a svolgere i ruoli organizzativi del quotidiano, ad affrontare i vuoti
della comunicazione e della memoria comune, della condivisione dei problemi e del
confidarsi.
Alcuni continuano a vivere soli, altri preferiscono entrare a far parte della famiglia dei
figli o di altri parenti.
Nel momento in cui la persona anziana entra a far parte del nucleo familiare di uno dei
figli il rapporto con gli altri figli e/o nipoti perde di spontaneità: si seleziona, si
restringe e, dato che subentra il timore di disturbare la famiglia presso cui l'anziano
vive, si attende di essere esplicitamente invitati.
Inoltre l'anziano, per sentirsi utile a chi lo ospita, si impone di dedicare tempo ed
energie alle attività di tipo domestico o al disbrigo di pratiche burocratiche.
In molti casi, grazie all'affermarsi della solidarietà parentale a distanza e del
telesoccorso, gli anziani vivono soli anche se hanno figli.
I figli sono spesso un sostegno materiale, ma offrono una compagnia discontinua e quando
l'anziano non è più autosufficiente si ricorre ad un'assistente familiare (di solito
straniera) o all'assistenza pubblica, oppure a soggiorni alternati presso le famiglie dei
vari figli, col relativo senso di frustrazione e di umiliazione da parte dell'anziano.
Gli anziani che vivono l'esperienza del ricovero in istituto - anche se, in alcuni casi,
lo ritengono inevitabile - la vivono come rifiuto e abbandono: la sensazione di essere di
peso, la consapevolezza della propria solitudine, l'esperienza del decadimento fisico ed
intellettuale spingono a fuggire il presente e a cercare nella spiritualità un senso da
dare alla propria vita e una soluzione ai propri problemi. In questi casi il ricorso a Dio
diventa più frequente, in particolare tra le donne.
Lo stato di salute dell'anziano
I fattori che incidono sull'autonomia del soggetto anziano sono soprattutto la
solitudine e lo stato di salute.
Le persone che hanno pochi parenti disponibili a prestare sostegno materiale ed emotivo
hanno un tasso di mortalità da due a quattro volte maggiore rispetto a quanti, a parità
di età, vivono relazioni familiari gratificanti.
La senescenza è un fenomeno irreversibile e progressivo, caratterizzato da mutamenti
fisici e psichici che comportano anche riduzione nella capacità di adattamento allo
stress e al mantenimento dell'equilibrio.
Mentre il giovane è proiettato verso l'esterno, gli altri e il futuro, l'anziano è
ripiegato su se stesso, sul proprio io, con tutto il carico di ricordi, esperienze e
sentimenti che lo caratterizza e spesso è incline a sottovalutare le relazioni sociali e
a ridurre i propri orizzonti.
Ciò, tuttavia, non significa che i legami affettivi e interpersonali, anche se limitati,
perdano di significato: l'anziano, infatti, è in grado di amare e ha bisogno di sentirsi
amato, di ricevere attenzione e affetto, anche se spesso la percezione soggettiva che ne
ha non corrisponde all'intensità dell'affetto che lo circonda, quando viene offerto in
modi non corrispondenti alle sue aspettative.
Lo "stato depressivo" e le sue cause
La società attuale, centrata sull'efficienza, emargina chi non tiene il ritmo e chi
viene emarginato sviluppa un senso di non appartenenza e d'indifferenza verso l'esterno,
vive un disorientamento che può causare una vera e propria depressione.
La depressione può colpire persone di tutte le età e si manifesta con uno stato di
malinconia che si protrae nel tempo e tende a ripresentarsi con frequenti ricadute.
Chi ne soffre percepisce senso di inutilità, tristezza, angoscia e sofferenza, si sente
quasi impossibilitato a descrivere il proprio stato d'animo e avverte una forma di
separazione dal mondo esterno.
A causa della depressione i processi cognitivi si riducono e tale riduzione è spesso
confusa con la demenza senile, ma è necessario differenziarla per poter intervenire con
terapie e cure adeguate.
Malattia, sofferenza e morte
La malattia è spesso considerata come evento ineluttabile, intrinsecamente connesso
all'invecchiare, e può portare con sé angosciosi vissuti di inadeguatezza, inutilità e
morte.
La malattia, in quanto tale, è fattore di crollo delle sicurezze e, in questo stato di
insicurezza, alcuni malati regrediscono quasi ad uno stadio infantile con atteggiamenti di
riduzione degli interessi: il malato vive solo nel presente e nell'immediato futuro; il
suo pensiero ruota attorno ai suoi disturbi e alle sue medicine. Si afferma un forte stato
di egocentrismo considerando il mondo solo in relazione a sé.
Ritorna a soddisfazioni arcaiche, come il rifugiarsi nel dormire non per un bisogno
organico, ma per una specie di ibernazione psicologica; nega o rifiuta la realtà come
meccanismo di difesa.
La percezione del decadimento fisico viene percepita come immagine di un sé corporeo che
va deteriorandosi e sgretolandosi.
La malattia interrompe e disorganizza il ritmo abituale di vita, mette in crisi i rapporti
con il proprio corpo e con il mondo in cui si vive, modifica o fa perdere i ruoli
professionali e familiari che definiscono la propria posizione nel contesto sociale.
Il problema della fine della propria vita interpella ogni uomo, in ogni età e in ogni
cultura, ma nell'anziano è avvertito in prima persona.
L'anziano considera la morte come un avvenimento sempre incombente anche quando le
condizioni fisiche non sono deteriorate. Con l'avanzare dell'età, inoltre, la persona va
incontro a una serie di perdite, sul piano fisico (udito, vista, funzionalità), sul piano
psicosociale (attività professionale, ruolo sociale), sul piano affettivo (perdita di
persone care). La solitudine sembra allora essere la caratteristica peculiare di chi
sopravvive ai propri coetanei.
Questi fatti contribuiscono a determinare quell'atteggiamento di distacco che caratterizza
la vita dell'anziano proiettata non verso il futuro, ma verso il passato, più o meno
remoto.
Spesso non è tanto l'evento morte che preoccupa quanto la paura collegata al processo del
morire nel dolore, nella solitudine, e, soprattutto, al timore di perdere il controllo
delle funzioni del proprio organismo. Per queste ragioni molti anziani affermano che è
preferibile morire improvvisamente piuttosto che vivere una lenta, dolorosa agonia.
L'anziano molto vecchio, prostrato dagli anni e dalle fatiche, sembra invocare con
frequenza la morte che viene anticipata e quasi cullata in tanti lunghi attimi di vuoto
esistenziale.
Alla consapevolezza della morte imminente si accompagna la perdita del desiderio di vivere
e il tentativo di affrettare il trapasso rifiutando le cure o l'alimentarsi.
Arriva il momento, infatti, in cui la persona sembra decidere di morire, di rompere i
legami con la vita, con una motivazione che, generalmente, è sintetizzata come
stanchezza.
Il deterioramento fisico è il primo segno premonitori del sentire la propria morte come
imminente, ma esistono anche modificazioni che vengono espresse con parole, gesti, dono di
oggetti personali da cui solo sentendo prossima la fine si accetta di distaccarsi
Alcuni si sentono smarriti per il riemergere delle paure del passato e vivono gli ultimi
giorni nell'angoscia, altri, consapevoli di aver vissuto positivamente i compiti assegnati
loro dalla vita vivono serenamente il compiersi del proprio esistere: entrambi comunque
hanno bisogno e diritto di essere accompagnati, di avere una mano calda che tenga la loro
ed esprima presenza e affetto.
* sociologo
guido.lazzarini@unito.it
La separazione vista dai figli
Ho 29 anni, i miei genitori si sono separati 12 anni fa.
La decisione di separarsi è stata presa da mia mamma sotto consiglio di mia sorella
maggiore e, anche se non esplicitamente, anche mio. La separazione dei miei genitori era
nell'aria da tanto tempo, ormai erano ben dieci gli anni costellati di liti,
incomprensioni, scontri, grida.
Avevo circa dieci anni quando i miei genitori, dopo una lite accesa, hanno convocato me e
mia sorella in cucina per informarci che la mattina seguente si sarebbero recati
dall'avvocato per la separazione. Io non ho detto nulla, ho chiesto un piatto per
un'attività scolastica e sono scoppiata in lacrime disperata.
Dopo questa mia reazione si è bloccato tutto, o meglio tutto è stato messo in stand by.
Negli anni successivi sia mia mamma che mio papà avevano maturato un atteggiamento
insopportabile, bastava che si trovassero nella stessa stanza per generare un'atmosfera
pesante da sopportare quotidianamente.
Sono comunque grata a mia mamma perché ha tenuto duro, ha aspettato che fossimo pronte
anche noi.
Per anni abbiamo continuato a passare il Natale insieme, a comportarci come una vera
famiglia. Oggi però è ancora più difficile perché i miei genitori, per motivi
economici, non si parlano più.
Ormai sono adulta, comincio a pensare di più al valore della famiglia, e ci terrei tanto
che tutti i miei affetti si sentano accolti nel nucleo familiare, ma la realtà dei fatti
ostacola questo mio sogno.
In compenso ho avuto la fortuna di avere dei nonni incredibili che nonostante tutte le
difficoltà sono ancora insieme dopo 55 anni.
Credo che ognuno abbia la propria storia e ogni decisione, se ponderata, sia da
rispettare. Non accuso i miei genitori perché non sono riusciti a stare insieme tutta la
loro vita ma rimprovero loro di averci, troppe volte, coinvolte in questioni tecniche ed
economiche, quali la divisione della casa e dei soldi.
Hanno sempre cercato in noi un alleato o un arbitro in ambiti che non ci competevano e
questo è stato pesante e faticoso. È sempre difficile prendere la parte di uno o
dell'altro perché è un po' come rispondere alla domanda: "vuoi più bene a mamma o
a papà?".
Betty
Ritrovarsi "da soli"
Nella realtà di una coppia che si è scelta "per tutta la vita", il decesso
di uno dei due lascia l'altro totalmente spiazzato. Nella mia esperienza, questo evento mi
ha trovata attonita, quasi annientata.
La malattia di mio marito (durata sei anni) avrebbe dovuto prepararmi, ma c'era sempre la
speranza che ancora una volta la chemioterapia oppure un nuovo farmaco avrebbe, se non
guarito, almeno prolungato l'esistenza.
Questo ha fatto sì che ci legassimo ancora di più: abbiamo vissuto quegli anni, molto
provati dalla sofferenza, quasi come i più belli dei nostri trentacinque di matrimonio -
festeggiati in clinica con la Messa celebrata da nostro figlio pochi giorni prima del
commiato - relativizzando molte cose che prima della malattia potevano creare qualche
incomprensione.
I giorni di ricovero all'estero e qui a Torino hanno aumentato l'intesa e persino quella
complicità che non avevamo prima, così presi dal lavoro, dalla crescita dei figli, dalla
cura dei familiari malati; avevamo insomma trovato la giusta lunghezza d'onda.
Così il distacco è diventato più cocente e per lungo tempo sembrava che il dolore mi
trafiggesse il cuore. In quello stato d'animo non ti senti più te stesso, ma diviso a
metà perché l'altra se l'è portata via lui, e la consolazione è tanto difficile da
trovare perché gli altri non possono capire.
Certo i figli sono stati di grande aiuto, ma non volevo pesare troppo con la mia pena, che
era grande anche per loro, ma certamente diversa.
Mi è stata di conforto l'amicizia, quella profonda, costruita in tanti anni di
frequentazione e ideali comuni, di chi, anche se lontana, telefona o, con qualche scusa,
passa a vedere come stai. Da parte mia ammetto di non sapere chiedere aiuto perché mi
sembra di disturbare (retaggio di vecchio Piemonte). Quanti pianti notturni, quanti magoni
vedendo coppie della nostra età a passeggio sottobraccio
Poi, ad un certo punto, il Signore mi ha fatto capire che la cosa più opportuna da fare
era mettermi in ginocchio e pregarlo anche senza dirgli niente: questo è ciò che mi ha
fatto scegliere di vivere, di andare avanti di rimettermi in gioco, di reinventarmi la
vita.
Certamente il Signore apre gli orizzonti e dolcemente ti porta per mano, malgrado i suoi
tempi siano molto diversi dai tuoi, ma quando ti volti indietro ti accorgi che ha ragione
Lui.
L.M.
Lesperienza della "nonnità"
Non avremmo mai pensato che le nostre due nipotine, di 2 e 4 anni, ci potessero mancare
cosi tanto; vivono lontano e le possiamo raggiungere solo ogni tanto, è bello sentirle
per telefono, ma tenerle in braccio è molto diverso.
Siamo nonni severi ( ! ), e se dobbiamo essere sinceri pensiamo sovente che "ai
nostri tempi
." i genitori erano di mano più salda. Ma in fondo siamo contenti
siano cosi ben impostate. Ogni volta che passano qualche giorno con noi soli ci stupisce
la loro capacità di adattarsi alla diversità di caratteri, di abitudini, della cucina
diversa. Certo quando sono con noi, senza i genitori, abbiamo giornate piene, restano
brevi momenti, più che altro quando sono a nanna.
Eppure non c'è viaggio o crociera che valgano quei giorni passati assieme, averle tutte
per noi, godere dellallegria che sprizzano, anche se ogni tanto vanno consolate per
i genitori lontani. Dobbiamo fare un po' di forza su noi stessi per ricordare che non
siamo noi i genitori, ma solo i nonni, una seconda linea , anche se importante.
Curare le nuove coppie
Quella luce gioiosa che sono i nipotini qualche volta ci fa dimenticare che la
relazione fondamentale deve essere tra noi genitori e la nuova coppia. Infatti, non è
facile parlare con un figlio/a tenendo conto che ora vive una dimensione di coppia per
lui/lei vitale.
Ci può essere per noi la difficoltà di accettare modi di vita, abitudini diverse con un
profondo sostanziale rispetto della nuova identità di coppia che loro stanno costruendo.
Si tratta di riuscire a guardare le vicende di questa nuova famiglia senza farsi
invischiare nelle minuzie quotidiane, ma cogliere che in fondo loro due si vogliono più
bene di quando si sono sposati e che, certo per qualche miracolo, i nipotini sopravvivono,
sono sani ed anche passabilmente educati.
Tempi nuovi per noi
Ora che i figli ci hanno lasciato e la casa è vuota è forse tempo di riprendere un
cammino di coppia interrotto, è un autunno che porta le sue bellezze, le sue suggestioni.
È un autunno che può durare anche 20- 30 anni e vale la pena di approfittare del tempo
più disteso per ricostruire su basi più mature e serene un bel rapporto di coppia;
diventare compagni, amici veri nel senso più profondo del termine.
Diventa bello anche solo che l'altro/a sia ancora lì dopo tanti anni; ormai ciascuno ha
smesso di pensare che l'altro possa cambiare e si può gustare un sapore nuovo: "mi
vai bene così, finalmente". È un generarsi reciproco alla pienezza degli anni, in
una prospettiva dell'oltre.
Solo cosi c'è un giusto posto per i nipotini, non per riempire un vuoto, ma per fare
esperienza di cura gratuita in un rapporto leale con la nuova coppia.
Céline e Paolo Albert