Foglio di collegamento tra Gruppi Famiglia
GF66 - settembre 2009 - Genitori e figli

1-Un tema che investe famiglie, società e Chiesa
EMERGENZA EDUCATIVA?
“Educare non è mai stato facile, ma oggi sembra diventare sempre più difficile” (Benedetto XVI)

di Franco Rosada
Il filosofo Lyotard, nella sua opera più conosciuta edita nel 1979, definì l'attuale società postmoderna come caratterizzata dalla fine delle "grandi narrazioni", cioè dalla fine delle ideologie e, con esse, delle varie visioni totalizzanti ma anche unificanti della società.
Nel 1991, il crollo del Muro di Berlino ha confermato questa teoria con l'implosione delle società fondate sul "socialismo reale", mentre l'attuale crisi economica planetaria ci indica la fine di in certo tipo di capitalismo e di globalizzazione, che erano rimaste in apparenza le ideologie vincenti.
Tutto ciò ha portato con sé grandi elementi d'incertezza che si sono diffusi a tutti i livelli della società, compresa la famiglia e il suo ruolo educativo.
Se non si debbono avere rimpianti per i tempi in cui l'educazione si basava su metodi autoritari e conformisti, l'attuale apparente assenza di educazione a favore dello "spontaneismo", sembra un rimedio peggiore del male.
Di qui l'espressione "emergenza educativa" che è stato oggetto di diversi interventi recenti del Santo Padre e anche il tema del Consiglio Permanente della CEI di fine maggio.
Il cardinal Bagnasco, nella sua prolusione introduttiva, ha affermato, tra l'altro, che "anche tra le figure tradizionalmente dedite all'impegno educativo, come i genitori e gli insegnanti, sembra farsi strada un atteggiamento di resa. A molti adulti, oggi, sembra un risultato già soddisfacente riuscire a trasmettere appena le regole del galateo, come a scuola le nozioni principali delle singole materie" Ma "l'educazione è molto più che istruzione".
Come va intesa l'espressione "emergenza educativa"? Come allarme improvviso che richiede interventi immediati o piuttosto come presa di coscienza che l'intero sistema educativo è attraversato da una condizione di crisi che, "emergendo" in modo vistoso, richiede nuove attenzioni e considerazioni?
È questa la via proposta da Bagnasco: "In questa situazione, il pericolo più grande è rappresentato dalla sfiducia, dal pessimismo, dall'atteggiamento che nulla ormai ci può salvare. Bisogna invece reagire e avere la consapevolezza della necessità di un ordine diverso, capace di andare anche controcorrente".
È questa anche la proposta di questo numero che, attingendo a diverse esperienze sul territorio (GF di Pinerolo, Spazio Genitori di Torino, Gruppo Abele), cerca di toccare in modo non banale i diversi momenti e aspetti del processo educativo: famiglia e agenzie esterne, infanzia e adolescenza, vita civile e vita di fede.
formazionefamiglia@libero.it

 

2-L’ARTE DI EDUCARE
Per diventare genitori basta mettere al mondo dei figli,
ma di solito nessuno insegna a diventare dei buoni genitori

di Maria Poetto*
I figli oggi hanno tanti riferimenti, tante agenzie educative - tra cui quelle tecnologiche: televisione e computer - per cui può essere a volte scoraggiante, come genitore, scoprire di essere solo una "voce" tra tante. Ma c'è uno "specifico" della famiglia che nessun'altra agenzia può offrire.

Una relazione che aiuti a crescere
Il 65% degli adolescenti dichiara di soffrire di solitudine e vorrebbe i genitori più presenti. Ciò ci conferma una cosa nota: l'essere umano è costitutivamente un essere in relazione, l'apprendimento è legato alla relazione con l'altro.
Anche Dio è relazione - così profonda e perfetta che è Uno in tre Persone - e cerca la relazione con l'uomo; tutta la storia della salvezza è storia di una relazione con gli uomini, con un popolo. Gesù è il culmine di questa relazione: Dio si fa "carne" per incontrare l'uomo sulle strade della storia.
La relazione nella famiglia è unica: il bambino è, dalla nascita e per tutta la crescita, sempre in rapporto con i propri genitori.
La relazione con gli altri è fondamentale perché, in essa, costruiamo la nostra stima personale, la nostra identità; noi capiamo chi siamo, quanto valiamo attraverso il rimando, il riflesso di noi che gli altri ci danno.
In questo campo i genitori, pur armati di buone intenzioni, possono compiere errori educativi. Certi messaggi come: "potresti far meglio", se troppo ripetuti possono convincere il figlio che non va mai bene come fa e che i genitori non sono contenti di lui. Questo gli crea insicurezza e ansia, gli impedisce di formarsi un'immagine di sé positiva.
Qual è l'immagine che Dio restituisce all'uomo nella sua relazione? Un'immagine positiva: "Dio vide che [l'uomo] era cosa molto buona " (Gn 1,31a); "Tu [Israele] sei prezioso ai miei occhi, sei degno di stima e per questo ti amo" (Is 43,4a); che tocca il suo culmine con Gesù: "Vi ho chiamato amici" (Gv 15,15b)".
Questo discorso vale anche nella relazione coniugale: posso restituire all'altro un'immagine prevalentemente positiva - so ringraziare, apprezzare, ritrovare i motivi della scelta nonostante le difficoltà - oppure faccio prevalere gli elementi critici.

Curare la relazione emotiva
Fuori della famiglia, al di là degli specialisti, delle emozioni nessuno se ne occupa.
I bambini, invece, hanno bisogno di comprendere il loro mondo emotivo per farlo diventare una risorsa. Solo l'adulto può aiutare il bambino a dare un nome a ciò che prova. Il bambino piccolo usa il pianto come segnale generale di malessere. Di solito è la madre a comprenderne la causa: hai fame, sei bagnato, sei tutto solo. La madre accoglie il malessere del bambino e l'aiuta a dargli un nome, a comprenderlo meglio. Così, in seguito, il bambino potrà capire e accettare ciò che prova.
Un errore che a volte compiono i genitori è quello di fare una "divisione sessuale" delle emozioni: per i maschi ne sono accettate alcune (p.e. l'aggressività) e bandite altre (p.e. il pianto) e così, in modo diverso, per le femmine.
Il messaggio che si invia è: ci sono emozioni buone e altre no, quindi da non manifestare, da tenere dentro. In realtà ogni emozione contiene un messaggio e va ascoltata e compresa, poi si valuterà come e se esprimerla. In questo modo si fa dialogare mente e cuore.
Gesù ha vissuto in pienezza la sua umanità e le sue emozioni: ha pianto (su Gerusalemme, alla morte di Lazzaro, per la vedova di Nain, nell'Ultima Cena), ha gioito ("esultò nello Spirito Santo…"), ha provato tristezza, angoscia e paura al Getzemani. Non si è vergognato di mostrarsi fragile, debole.
I genitori a volte si trovano in difficoltà nell'accogliere l'aggressività, considerandola negativa. È normale che a volte il bambino si arrabbi, p.e. quando non riesce in qualcosa o quando la sorellina gli toglie delle attenzioni.
Se i genitori si spaventano e gli dicono: "sei cattivo" o lo colpevolizzano: "ci fai stare male", il bambino, che è a disagio, pensa che la sua rabbia sia distruttiva e si sente cattivo (immagine trasmessa dai genitori).
Il bambino va aiutato insegnandogli ad accogliere la sua rabbia come normale e ponendogli dei limiti su ciò che può fare e non può fare (mordere, pizzicare la sorellina, rompere degli oggetti…).
Il messaggio che arriva è: "Ti puoi arrabbiare (sentire l'emozione) ma non fare del male alla sorellina". Lo si aiuta così a differenziare e il bambino può accettare di essere arrabbiato senza sentirsi in colpa e sapendo cosa può fare e non può fare.
Anche Gesù si è arrabbiato, indignato quando i discepoli gli allontanavano i bambini, quando la gente lo osservava per vedere se avrebbe guarito di sabato un uomo dalla mano inaridita, quando ha scacciato i venditori dal tempio.
È sano arrabbiarsi quando vengono calpestati dei valori. "C'è una collera santa contro l'ingiustizia e l'abbiamo lasciata cadere troppo" (Abbé Pierre).

Coerenza tra dire e fare
La maturità di una persona la si coglie quando è capace di armonizzare ciò che sente-pensa-vuole e ciò fa. Quindi facciamo in modo che tra il dire e il fare non ci sia di mezzo il mare!
I ragazzini sono molto abili nel cogliere le nostre contraddizioni: "mi dici di andare a Messa ma tu…"; "dite di volervi bene ma litigate sempre"… È inutile dare delle regole se almeno non si cerca di viverle. Il miglior modo per trasmettere i valori è, infatti, la testimonianza. Gesù lo ricorda spesso: "Non chi dice: Signore… ma chi fa…" (Mt 7,21), "Dai loro frutti li potrete riconoscere" (Mt 7,20).
A volte abbiamo il mito della volontà: Basta volerlo! È vero, però se non c'è un po' di armonia tra emozioni, ragione e volontà il volere diventa una camicia di forza e l'imperativo: "Devo!" un fardello opprimente.
Allo stesso modo armonia non significa affatto: "Faccio quello che sento" e quindi a una persona antipatica, se mi fa arrabbiare, tiro un pugno sul naso.
È importante però che non ci sia una contraddizione radicale, come quei genitori che insegnano a rispettare tutti, poi criticano gli altri quando non ci sono e fingono di essere contenti nell'incontrarli.
È un classico esempio di "doppio messaggio", di contraddizione tra il dire e il fare. Se avviene ripetutamente l'adulto non risulta più credibile e il bambino rimane confuso.
Da questa confusione hanno origine fatti sconcertanti di cronaca come la violenza fisica e sessuale filmata e mandata su You Tube. La risposta è che "quello che più manca oggi ai ragazzi è un'educazione emotiva" (Galimberti).

I messaggi non verbali
Davanti a un comportamento che non capiamo (un calo di rendimento scolastico, una chiusura eccessiva, un episodio di bullismo) dobbiamo chiederci che cosa c'è dietro, in altre parole decodificare il messaggio non verbale che è sotteso.
Prima di rimproverare o punire bisogna chiederci perché si comporta così. Dopo lo si potrà anche rimproverare ma il ragazzo si sentirà comunque capito (che è diverso dal giustificare a priori!).
Così è l'atteggiamento di Dio nei nostri confronti: davanti alle nostre debolezze, errori, peccati fà verità ma non ci condanna: come il Buon Samaritano fascia le nostre ferite, si prende cura di noi, ci offre il suo perdono con cui ci rinnova la fiducia, continua a stimarci. Sappiamo per esperienza quanto questo ci fa del bene, ci aiuta a crescere. Così possa essere anche per i vostri figli!
* psicologa
Sintesi dell’incontro con i GF di Pinerolo (TO) a Buriasco, 25/01/09.

Brani per la Lectio:
• Si può scegliere uno dei brani citati nel testo.

Domande per la R.d.V.:
• Quale immagine ho di me stesso e rifletto ai figli e al coniuge?
• Quanto sono coerente tra ciò che sento-penso-voglio e faccio?
• Mando doppi messaggi?
• Com'è il mio ascolto?

3-EDUCARE I FIGLI ALLA FEDE

Educare i figli alla fede! Montagna insormontabile? Frase per specialisti della Chie-sa? Titolo di un documento scritto da una diocesi? No.
Semplicemente il titolo di un agile libretto che ha l'obiettivo di aiutare a comprendere che educare i figli alla fede è possibile per ogni famiglia che abita sulla faccia della terra, perché il desiderio di Dio è presente in ogni uomo e proprio nella famiglia esso trova il luogo più idoneo per venire alla luce.
Domanda: e quando un figlio la famiglia non ce l'ha, oppure ne ha due per lo stesso fine settimana, o se uno dei due genitori è tornato in cielo?
Il credere in Dio cresce in un vivere dell'uomo. Il linguaggio di una famiglia, quando si racconta, ha il sapore del sugo della cucina, delle bollette da pagare, delle medicine da prendere, dei figli da seguire, del lavoro precario, del genitore anziano che sta cedendo il passo alla vecchiaia e tutto ciò che esso comporta, delle camicie da stirare, della spesa quotidiana da fare, meglio se fatta in un centro commerciale con i buoni sconto alla mano!
In famiglia si ritorni a trafficare di più Dio.
G. Ruggeri, Educhiamo i figli alla fede, Editrice Tau, Todi (PG), pag. 24, Euro 0,75.
Tel. 075-8980433, info@editricetau.com

 

4-L’INFANZIA INTERROGA IL MONDO ADULTO
I nostri figli hanno bisogno di essere soddisfatti,
ma hanno anche bisogno di realizzare delle cose, di sentirsi utili

di Giovanni Capello*
Come sta la famiglia? Nonostante tutti i profeti di sventura che la davano per "morta", nonostante le molte separazioni, la famiglia oggi, pur non godendo di ottima "salute", continua ad essere un punto di riferimento per molti, giovani compresi.

Dalla famiglia normativa alla famiglia affettiva
Però, rispetto a qualche decina di anni fa, è cambiato il modo di fare famiglia. Abbiamo assistito al passaggio dalla famiglia "normativa", quella, per intenderci dove al primo posto vi solo le regole e il loro rispetto, alla famiglia "affettiva".
Oggi il compito dei genitori sembra dover essere quello di rendere i figli felici, ma questo non è facile e non è neanche così chiaro che cosa significhi.
Infatti, bisogna distinguere tra felicità e soddisfazione.
Essere soddisfatto (letteralmente: fatto sazio) è aver avuto un bel voto, ricevuto un regalo, un complimento. Per essere soddisfatto devo ricevere qualcosa dall'esterno. Essere soddisfatti non è una cosa cattiva: ma se i regali, i complimenti non arrivano che faccio?
Essere felice (letteralmente: essere fertile) vuol dire che io sono utile a qualcun altro. Per essere felice devo dare qualcosa di me all'esterno, agli altri.
Se ricevo un regalo sono soddisfatto, se faccio un regalo con il cuore sono felice! Sono due cose opposte!
I nostri figli hanno bisogno di essere soddisfatti, ricevere complimenti, ma hanno anche bisogno di realizzare delle cose, di sentirsi utili. È nel loro DNA e noi, sovente, per evitare perdite di tempo soffochiamo questi loro bisogni. Un bambino piccolo può impiegare cinque minuti a legarsi le scarpe, noi lo facciamo in trenta secondi e meglio: ma impediamo a nostro figlio di realizzarsi.

Un mondo individualista
In un recente rapporto Censis De Rita, parlando della società italiana, ha affermato: "siamo come tanti coriandoli, accanto ma non insieme".
In Italia oggi nessuno pensa più che la "piazza" sia un luogo educativo, dove la gente si incontra, si scambiano e si confrontano opinioni. Ci sentiamo italiani solo quando gioca la Nazionale di calcio… e vince!
Lo vediamo sul lavoro: in molti contesti lavorativi non c'è più collaborazione tra colleghi, non c'è traccia di lavoro di gruppo. E questo vale anche per i nostri ragazzi, che hanno difficoltà a lavorare insieme, ciascuno è un "coriandolo".
Così abbiamo le famiglie "coriandolo": ognuno vive per proprio conto, ha la sua vita, non si pranza neppure più insieme. Serve quindi lavorare sulla famiglia perché, se non lo si fa, la famiglia si rompe. Uno è coppia perché coltiva la coppia, non perché dorme sotto lo stesso tetto, uno è famiglia perché coltiva la famiglia. È il momento di impegnarsi per la coppia e la famiglia, riconoscendo che le figure genitoriali sono in crisi.

Il ruolo della madre
Alla mamma interessa la vita del figlio, al padre i suoi risultati. Così, quando il figlio torna da una partita di calcio la madre chiede: "ti sei stancato? ti sei fatto male?"; il padre invece domanda: "avete vinto? come hai giocato?"
Oggi le mamme fanno di tutto per rendere ai figli, soprattutto quelli piccoli, la vita comoda, sentono il bisogno di essere perfette e vanno in crisi.
Ma ai figli servono delle mamme non proprio perfette, che si sappiano fare desiderare e non precedano sempre i desideri del figlio, mamme che sappiano anche sbagliare perché solo così il bambino può crescere.
Fino a cinquant'anni fa si richiedevano due cose alla donna: essere moglie e d essere madre. Oggi per la donna è tutto più complicato: deve essere moglie, madre e lavoratrice. Lavorare serve non solo per avere un secondo stipendio ma anche per realizzarsi. Conciliare maternità e lavoro è difficile, l'inconscio fa fatica a superare il vecchio modello e, comunque, ci sono sempre le suocere che ricordano che una volta non si faceva così. Questo fa nascere sensi di colpa, si fa sovente un solo figlio che viene trattato come un imperatore. Il rischio è che a 25 anni questo figlio non sia autonomo, non riesca a finire gli studi , a mantenere una relazione sentimentale, ecc..

Il ruolo del padre
Il padre è il terzo, che si interpone tra madre e figlio. È compito del padre dare dispiaceri al figlio perché deve dire dei NO. Questo è un compito tipicamente paterno, lo può fare anche la madre, ma è contro la sua natura. È un compito che inizia quando il figlio ha tre, quattro anni: la moglie affida al coniuge il compito di giudice e secondino. In questo modo il padre aiuta il figlio a prendere distanza dalla madre e a crescere.
Ma anche per i padri, come le madri, c'è stato un cambiamento. Oggi sono molto più soggetti ai ricatti dei figli, dire di no p.e. al motorino può sembrare rendere il figlio lo sfigato di turno. Questo accade perché i padri oggi sono narcisisti, hanno bisogno di sentirsi dire che sono bravi. Così la valutazione dei genitori sembra finita nelle mani dei figli.

Il ruolo di entrambi
I nostri figli colgono l'idea che abbiamo sul modo con cui l'altro/a fa il genitore.
Se io penso che il coniuge fa bene o fa male il suo mestiere in qualche modo lo manifesto all'esterno e i figli lo colgono e lo fanno loro.
Per crescere un bambino è necessario che la madre salvi comunque un pezzo del padre e viceversa.
A questo punto può servire un esempio. È tratto dal romanzo autobiografico di Gabriel Garcia Marquez "Vivere per raccontarla". Narra, fra l'altro, di un episodio della sua fanciullezza in cui ritorna a casa fradicio dalla testa ai piedi e trova ad aspettarlo la mamma. E continua: "alla fine mi aiutò a togliere i pantaloni zuppi e li gettò nell'angolo con il resto degli indumenti. - Tutti voi diventerete uguali a vostro padre - mi disse all'improvviso con un sospiro profondo mentre mi massaggiava la schiena con un asciugamano (e questo sembra un rimprovero) e finì con tutta l'anima - e Dio voglia che siate pure dei mariti come lui" (che bel giudizio!).

Suggerimenti
Se è vero che oggi è molto difficile fare il genitore serve ricordare che ci sono dei modi molto interessanti per affrontare queste difficoltà.
Uno di questi è raccontare le nostre storie, quelle della nostra famiglia, della nostra coppia, come ci siamo conosciuti, innamorati, ecc. Non siamo più abituati a queste cose perché oggi le storie le racconta la televisione. Forse servirebbe tenere più spenta quella "scatola di illusioni" e parlare di più: ai bambini piace ascoltare storie.
E poi, perché non sfogliare gli album di foto con le nostre fotografie (non quelle dei figli!) e raccontare: dove la foto è stata fatta, chi c'è nella foto, qualche particolare curioso?
Raccontare serve perché nella nostra storia c'è il loro futuro.

* psicologo e psicoterapeuta
Tratto da "Scuola di famiglia", organizzato dall'ass. Spazio Genitori di Torino, incontro del 18 gennaio '08.
Sito: www.spaziogenitori.org

5-NOSTRO FIGLIO STEFANO

Stefano ha diciassette anni ed è il nostro secondogenito.
Stefano è un ragazzo bellissimo, occhi azzurri, un sorriso che attira simpatia, affettuosissimo, anche troppo, perché le sue manifestazioni sono un po' troppo irruente (pizzicotti, morsi e schiaffi al posto di baci e carezze). Questo perché Stefano è un ragazzo diversamente abile, è epilettico e autistico, non comunica verbalmente ed ha un grave ritardo mentale, che lo porta a non rendersi conto dei pericoli; deve essere tenuto sotto controllo tutto il giorno.
La nostra vita, con il suo arrivo, è stata completamente stravolta. Le altre famiglie attendono le ferie estive come la manna, sapendo di potersi finalmente riposare o svagare, per noi le vacanze sono sempre più un corso di sopravvivenza.
Abbiamo avuto aiuto, in maniera considerevole, soprattutto dai nonni e dalla scuola. La scuola è attualmente il nostro partner privilegiato sia a livello educativo che supplettivo. A questi si affianca una rete di amici, parenti e conoscenti, che ci danno una mano con Stefano, dandoci modo di uscire qualche volta come coppia alla sera, e permettendoci, tra l'altro, di partecipare al gruppo famiglia parrocchiale.
Questo ci ha aiutato a non chiuderci come coppia nei nostri problemi e di poter contare su una bella rete di amici sia per momenti di svago e ricreazione, sia in termini di crescita personale e di coppia, nella vita di fede come nella crescita umana.
Comunque per me Stefano non è una "croce", ma un adoratissimo figlio. Io guardo a Stefano come se fosse un messaggero dell'Invisibi-le, perché le persone come lui ci fanno riflettere un po' di più sul senso della vita e su ciò che facciamo.
Alcuni mi dicono: "ma come puoi credere in Dio dopo che ti ritrovi in questa situazione?". E invece, per assurdo, è proprio questa situazione che fa crescere la fiducia e la speranza che ho in Lui: non ho mai sentito, come adesso, di fare parte di un progetto più grande, che non comprendo ora, ma che in futuro si spiegherà.
Marianna

 

6-L’ADOLESCENZA INTERROGA IL MONDO ADULTO
Come adulti siamo responsabili non solo di come facciamo funzionare il mondo
ma anche di come lo presentiamo ai nostri ragazzi

di Giovanni Capello*
Parlare di adolescenti significa parlare soprattutto degli adulti che li circondano.
Trattando dell'infanzia ho tralasciato un altro errore che possono commettere le madri, legato al ruolo che ha assunto la donna nel mondo del lavoro: quello di voler rendere al più presto autonomi i figli, per potersi impegnare in carriera senza provare sensi di colpa. Si vuole che i figli diventino grandi in fretta e loro ci riescono benissimo. Ma quando sono adolescenti hanno esigenze e atteggiamenti da adulti che i genitori e gli insegnanti non riescono più a gestire.

Il bullismo
Ricordate certo lo scandalo sollevato dal filmato apparso su You Tube in cui si mostravano alcuni adolescenti che maltrattavano un loro compagno di scuola handicappato. Interrogati in provveditorato gli interessati hanno risposto: "ma cosa abbiamo fatto di male?". Non c'era in loro alcuna percezione del male compiuto, delle sofferenze procurate.
Questo non è un modo di pensare isolato, molti giovani sono incapaci di mettersi nei panni dell'altro, pur senza arrivare a compiere così grosse sciocchezze. Questa incapacità non dipende solo da loro ma anche da come noi adulti - e qui intendo tutti i soggetti interessati: genitori, insegnanti, educatori, TV, ecc. - li abbiamo educati.
I nostri ragazzi vivono lo stessa realtà che viviamo noi, i loro valori sono quelli che noi viviamo. Se sono così è perché noi adulti, per primi, facciamo fatica a cogliere il punto di vista dell'altro, siamo individualisti. Infatti, il bullismo è un fenomeno molto esteso e riguarda anche gli adulti, p.e. l'ambiente di lavoro, anche se non lo chiamiamo così.

Una questione di giustizia
Il bullismo non è un problema di regole ma di giustizia. Ciò che scatena l'aggressività nelle persone e le autorizza a fare i propri comodi a scapito degli altri è un diffuso sentimento d'ingiustizia. Quello che manca oggi è una giustizia che funzioni e che le regole civili siano rispettate.
Ma per far giustizia bisogna che gli adulti siano giusti, coerenti, affidabili. Che influenza abbiamo sugli adolescenti? A prima vista nessuna; perché loro fanno di tutto per farcelo credere. Invece, noi adulti siamo molto importanti per gli adolescenti, le nostre scelte, il modo con cui facciamo funzionare il mondo, ha una ricaduta sul loro modo di vedere il mondo e sul loro modo di vivere la giustizia.

Proteggere i figli
Penso che siamo tutti d'accordo se affermo che una delle azioni più importanti che un genitore possa fare verso i figli sia quella di proteggerli.
Proteggere può voler dire soccorrere, difendere e molti lo intendono così, per cui alla prima nota che il figlio riceve si va subito è dall'insegnante a protestare.
Proteggere, però, può anche voler dire favorire un'attività cercando di incrementarla.
Cosa va incrementato nei giovani perché diventi un fattore di protezione? L'autonomia! Dobbiamo insegnare loro ad uscire dalla famiglia, ad avere relazioni esterne, aiutarli a sentirsi cittadini del mondo.

E la sicurezza?
Ma il mondo è da molti sentito come ostile, pericoloso. Mai come oggi c'è stato un forte bisogno di sicurezza.
La sicurezza è un bene stabile quando ci si sente in compagnia di amici e non di nemici. Ma se si popola il mondo di nemici non si potrà che avere più paura e non ci saranno mai abbastanza poliziotti. I poliziotti possono dare protezione ma la sicurezza è un'altra cosa. È uscire di casa senza temere di essere aggrediti, rapinati, ecc. Come adulti siamo responsabili non solo di come facciamo funzionare il mondo ma anche di come lo presentiamo ai nostri ragazzi.

Le responsabilità degli adulti
Hannah Arendt, una filosofa tedesca, in un libro dedicato agli insegnanti del 1960, fa questa affermazione - che vale per tutti gli adulti che si misurano con dei giovani: "Gli educatori rappresentano di fronte al giovane un mondo del quale devono dichiararsi responsabili, anche se non l'hanno fatto loro e anche se lo desiderassero diverso. Questa responsabilità è implicita nel fatto che gli adulti introducono i giovani in un mondo che cambia di continuo - figuriamoci oggi! -. L'insegnante si qualifica per conoscere il mondo e per essere in grado di istruire altri in proposito mentre è autorevole in quanto di quel mondo si assume la responsabilità".
Quanti si lamentano di non essere più autorevoli, come se questa dote ce la potessero dare solo gli altri e non dipendesse da noi!
Quello che ci rende autorevoli verso i ragazzi è il farsi carico del mondo degli adulti e di presentarlo loro.
Mi ricordo, durante i funerali dei bambini dell'asilo crollato a San Giuliano di Puglia di una donna che alla fine della cerimonia ha preso il microfono e ha detto: "io sono la mamma di Luigi ma anche la mamma di tutti questi bambini, di tutti i bambini, e queste cose non devono più succedere".
Questa donna, semplice, ha compiuto un salto di responsabilità notevole, ha parlato non solo come mamma di Luigi ma come mamma della generazione di suo figlio.

I figli ci ascoltano
Siamo, seppure inconsapevolmente, mediatori tra gli adolescenti e la realtà. Quando siamo a tavola i figli sembra che non ci ascoltino, ma colgono i nostri commenti su quanto passa in TV, su quello che diciamo tra noi adulti.
Non si tratta di stare zitti ma di essere più responsabili.
Quando giocano a calcetto in un campo di periferia ascoltano quanto noi diciamo - o urliamo - ai genitori dell’altra squadra, all’allenatore, all’arbitro. Questo sovente è un adolescente che viene apostrofato nei modi peggiori.
Non è una questione etica, ma educativa: attraverso quanto dico e faccio trasmetto ai giovani il mio modo di intendere il mondo, lo stile dei miei rapporti con gli altri.

Suggerimenti
Cambiare la situazione non è cosa facile ma non impossibile. Il sociologo De Rita suggerisce: le soluzioni possono venire solo dalle minoranze, e la famiglia è minoranza.
Quando una famiglia si mette con altre famiglie, di parenti o di amici, non solo per far festa ma anche per confrontarsi, si creano occasioni.
Coltivare relazioni buone, positive è un vero investimento educativo.

* psicologo e psicoterapeuta
Tratto da "Scuola di famiglia", organizzato dall'ass. Spazio Genitori di Torino, incontro del 9 febbraio 2008.
Sito: www.spaziogenitori.org
L'autore ha pubblicato, a fine 2009, un libro dal titolo: Guardami negli occhi quando dici no, edito da Effatà Editrice, in cui i temi trattati in questo articolo sono sviluppati in modo approfondito.
Per saperne di più sul libro: http://www.effata.it/Libri/Famigliaedintorni/guardaminegliocchi.html
A questo indirizzo troverete la scheda del libro e alcuni dati sull'autore.
Per saperne di più sull'editore: info@effata.it, www.effata.it

 

7-EDUCARE I FIGLI DEGLI ALTRI
Serve un’alleanza tra scuola e famiglia

Sembra un sogno... genitori e insegnanti che si parlano per il bene dei ragazzi: è la cosa più necessaria al mondo, ma non è così frequente.
Di solito tutto si risolve in comunicazioni del tipo: "tutto bene signora" oppure nella lista delle cose da fare: "controlli che..." "lo faccia studiare, altrimenti...". Cose che hanno poco a che fare con il dialogo, con la consapevolezza che famiglia e scuola sono risorsa l'una per l'altra e che il tempo che i ragazzi passano in queste due realtà è gran parte della loro giornata.
Cosa impedisce che questo avvenga?
Innanzitutto dobbiamo essere convinti che di mezzo c'è la vita dei nostri figli: senza la scuola vivrebbero lo stesso ma avrebbero molte meno possibilità di conoscere se stessi e il mondo che li circonda.
Se così fosse, tutti saremmo disposti a dedicare più tempo a parlare dei nostri figli: senza dialogo non è mai lo stesso.
Occorre chiedere con insistenza che ciascuno si assuma le proprie responsabilità verso le generazioni future, occorre perderci tempo, serve pretendere che gli insegnanti dedichino tempo anche ai genitori.
Ma noi genitori siamo in difficoltà soprattutto perché raramente pensiamo che i nostri figli non sono solo nostri. Non li cresciamo solo noi ma tutte le persone che incontrano: ad alcune li affidiamo consapevolmente, ad altre meno. Pensiamo ai nonni e agli amici.
Occorre stringere un'alleanza educativa con gli altri adulti, almeno quelli a cui intendiamo affidarli e chiedere loro di essere educatori e non solo insegnanti o animatori o allenatori. Comunque la pensino saranno un modello per nostro figlio, meglio che sappiano come la pensiamo.
Don Milano ha scritto: “Un vero educatore ha sempre delle soddisfazioni piccole o grandi e sa vedere i segni di speranza e di onestà dove gli altri non vedono.”
Antonella e Renato Durante

 

8-PERCHÉ I SOGNI DEI GIOVANI NON DIVENTINO UNA TRAPPOLA
Come adulti siamo chiamati ad accompagnare i nostri ragazzi
per aiutarli a passare dal sogno alla responsabilità

di Luigi Ciotti*
Educare è parola sospetta perché ancora nella testa di troppi c'è l'idea che c'è chi educa e chi è educato.
Educare vuol dire invece fornire gli strumenti, accompagnare, perché i ragazzi non sono dei contenitori da riempire ma persone che devono essere messe in grado di costruire un loro percorso di autonomia. Hanno fantasia, creatività, intelligenza, capacità.
Questo modo di educare, accompagnare, è molto più faticoso che limitarsi a trasmettere le nostre idee, le nostre convinzioni perché sottintende l'esigenza di un'educazione permanente.

Essere analfabeti
Educare vuol dire innanzitutto conoscere. Sono avvenuti dei cambiamenti attorno a noi con una velocità impressionante che ci impongono - è paradossale dirlo - di essere analfabeti. Essere analfabeti significa che nessuno può sentirsi mai a posto, mai arrivato. C'è il dovere di studiare, di approfondire, di documentarsi. C'è un bisogno di continue conoscenze, continui stimoli, continui confronti. Non possiamo accontentarci di quello che si è appreso, dobbiamo sempre sentire dentro di noi la voglia di una sana curiosità. Ci vuole coraggio e forza da parte di tutti di essere analfabeti: dobbiamo avere paura di chi ha capito tutto e di chi sa tutto.

Dai sogni alla responsabilità
I ragazzi sono persone attive, ognuno di loro è irripetibile. Con loro è importante confrontarsi, produrre sapere, imparare a leggere la realtà.
Soprattutto, noi dobbiamo aiutarli a passare dai sogni alla responsabilità.
I sogni sono molto forti nell'età giovanile. Sognare a tutte le età, ma specialmente in epoca di crescita, è importante. Sognare è utile al vivere, alimenta gli ideali, l'utopia, ma anche la speranza, il futuro. Il sogno è tensione, è fiducia nelle proprie possibilità, è voglia di cambiare le cose.
Ma oggi viviamo in una società dove l'informazione, la televisione, la pubblicità spesso ti vogliono "rubare" i sogni. Perché alimentano un immaginario dove tutto è in funzione di un mercato che ti fa sognare, desiderare. Ma sono trappole che rendono il sognare un alibi per scappare dal presente.
Allora il bombardamento di immagini che tutti i giorni entrano in casa nostra - dove ciò che conta è l'apparire, è il denaro, è la forza, è la bellezza a oltranza, è il potere, è il possesso - intrappola i sogni perché rischia di allontanarti dalla realtà. Oggi i nostri ragazzi sono sommersi da un mondo virtuale. Chi li aiuta a calare il virtuale nel reale?
Siamo chiamati ad accompagnare i sogni dei nostri ragazzi, ad "esserci" per aiutarli a fare il passaggio dal sogno all'assunzione di responsabilità, ad aiutarli a leggere le trappole che rischiano di schiacciare i loro sogni.

Dal virtuale al reale
Paradossalmente, anche i suicidi dei 15,16enni riflettono questa confusione tra reale e virtuale. Quando leggo sui giornali di queste ragazzine che mandano gli sms a tutte le amiche in cui dicono che si ammazzano mi viene il dubbio che non abbiano la percezione che quel gesto è per sempre, che non è virtuale.
Una di queste ragazzine ha inviato questo sms agli amici: "Scusate, vivo una vita che non è la mia, se non fossi nata sarebbe lo stesso. Io ho avuto il coraggio di farlo, poi si vedrà", poi si vedrà, capite? Non c'è la percezione che è per sempre. Che dopo non si vedrà più niente!
Dobbiamo aiutare i ragazzi a liberare i veri sogni, da non confondere con tutto quest'"altro" che ci circonda, e soprattutto con un virtuale che dobbiamo aiutare a tradurre nella realtà. È una nuova sfida educativa.

Educarci a consumare
Oggi più che mai dobbiamo educarci a consumare perché il rischio è di consumare noi stessi. Sprechiamo energie, denaro, forze, tempo, si sprecano cibi.
Mi sono reso conto che non basta fare la teoria dell'educazione ambientale, pur importante, o incoraggiare la raccolta differenziata dei rifiuti, pur necessaria. Non basta che differenziamo se prima sprechiamo.
Se si dà troppo importanza alle merci, agli oggetti, si finisce per non attribuirne alcuna a ciò che non è palpabile ma che rimane vitale, anche se non ce ne ricordiamo a sufficienza: il senso delle cose, la ricerca dei significati, la dimensione spirituale, gli interrogativi su ciò che c'è prima, dopo e sopra di noi. Riflettere vuol dire propriamente voltare lo sguardo all'indietro, guardare dentro di sé. Dobbiamo avere la forza di guardarci dentro e di cercare la verità.
Per questo dico che la dimensione di educarci a consumare è una dimensione di giustizia. Il consumo tira in ballo i rapporti tra economie, tra lavoratori di diverse nazioni, tra popoli. Attenzione quindi a quella "libertà totale" che rifiuta il limite dell'etica e non si pone l'argine del bene comune e della condivisione equa delle risorse.

AIUTARE A CRESCERE
La chiave di tutto sta in pochi elementi, prettamente educativi.
Il primo, che per me è quello fondamentale, è la relazione.

L'ascolto e il confronto
La relazione è il mezzo per crescere, per capire, per progettare insieme ai nostri ragazzi. Che vuol dire l'ascolto, vuol dire la comunicazione, vuol dire il confronto fatto nelle piccole cose.
Quando gli insegnanti sanno stimolare l'intelligenza, la creatività, la fantasia, riescono a far emergere le capacità e le risorse che sono dentro la persona. E i ragazzi hanno bisogno di trovare degli adulti veri, credibili, coerenti. Non cercano persone senza difetti, ma persone ricche di passione, capaci di relazione, capaci di scommettere su di loro.

Riconoscere le competenze
Ma, attenzione, c'è un secondo passaggio. È importante riconoscere ai ragazzi le loro competenze. C'è il rischio di una società adultocentrica. È sempre un mondo di adulti che rischia di decidere, di fare. I ragazzi devono essere aiutati a capire che anche loro possono fare la loro parte, che anche loro possono portare il loro contributo a un cambiamento. E il cambiamento inizia dagli stili di vita, dalle azioni minori. Non appartiene solo alla politica.

Dare spazio alle emozioni
Un altro elemento importante in una società come questa è che un educatore deve dare spazio alle emozioni e ai vissuti. Dobbiamo stimolare, ascoltare, riuscire a entrare in risonanza con le emozioni e i vissuti dei ragazzi. Che a noi possono apparire banali, ma quando hai 15 anni sono vitali.
Uno degli aspetti su cui chiedo oggi molta attenzione a tutti sono le domande mute, non solo quelle espresse. Le domande aggressive le cogli, quelle mute invece non fanno rumore. Ci sono persone che sono molto silenziose, e tu devi intuire quando dietro quel volto c'è una fatica.

Ritrovare il senso dell'altro
Ma c'è un altro punto chiave in una società che è ripiegata su se stessa. Dobbiamo aiutare i ragazzi a vivere la dimensione soggettiva ma anche quella collettiva. Non ci sei solo tu, i tuoi problemi, le tue sicurezze. Ci sono anche gli altri. È l'altro che ci misura e ci dà il metro di noi stessi. Non solo come singoli, ma anche come società.
Questa è una società che lascia alle sue spalle centinaia di migliaia di persone. Una società dove i ragazzi denunciano la paura di non farcela, dove un'alta percentuale di persone soffre di depressione. Io non sono un tecnico, non sono un esperto, non sono un economista, non sono un insegnante, ho una laurea in scienze confuse. Però ogni giorno credo nell'incontro con i ragazzi, con le scuole, con gli insegnanti, con i genitori.

* presidente del Gruppo Abele e dell'associazione Libera. Sito: www.gruppoabele.org
Tratto da Quaderni di Animazione Sociale, aprile 2006. Sintesi della redazione, non rivisto dall'autore.

9-QUANDO LA TV CI FA POVERI

In Italia 30 milioni di persone non leggono né un giornale né un libro, e vivono di sola televisione, che è fatta di intrattenimento e pubblicità, di giochi e giochetti, di spettacoli ed evasione. Una televisione che stimola, non educa. Ci stiamo impoverendo. Le stesse fiction, penso a quelle sulla mafia, sono di una pericolosità impressionante perché hanno in sé tre rischi.
Il primo rischio è che passi il messaggio di una piovra invincibile. Il secondo è di creare gli eroi. L'eroe ti commuove, ma allo stesso tempo lo senti distante e fa nascere in te la delega: "combattere la mafia non è compito mio". Il terzo rischio è che passi il messaggio: "è sempre stato così, ci si deve rassegnare...".
Invece è importante costruire il messaggio di speranza che questi problemi possono essere affrontati con la responsabilità di tutti.
Sono tre atteggiamenti che devono essere sconfitti. La televisione purtroppo li ha molto alimentati. Penso che se fosse riempita di contenuti con più attenzione educativa, potrebbe dare una mano alle persone a crescere e ad assumersi la loro quota di responsabilità.
Perché la televisione ha una funzione educativa, non ha solo il ruolo di intrattenere, divertire o vendere prodotti. Oggi abbiamo invece una TV costruita in funzione del mercato, in cui ciò che conta è la gara tra reti per avere più audience e quindi più pubblicità. Una televisione nella quale, pur di catturare spettatori, si stanno perdendo una serie di contenuti, di ricchezze.
Paradossalmente nell'era della grande comunicazione, della grande tecnologia, noi abbiamo una nuova grande povertà: la povertà dell'informazione, dell'informazione seria. Però l'informazione ha bisogno di verità, di approfondimento, di linguaggi accessibili per essere fruita da tutti.
Luigi Ciotti

10-Impegnarsi come coppia fuori casa è possibile... con qualche aiuto!
PASSARE IL TESTIMONE, DAI GENITORI AI FIGLI

Se torno con la mente ai tempi dell'infanzia, tra i tanti ricordi vi è anche quello dell'impegno dei miei genitori, attivi in parrocchia, nel movimento di cui fanno parte, nelle realtà locali. Queste attività fuori famiglia erano vissuti da noi figli a volte con un po' di fatica - mia mamma ricorda bene il biglietto che le abbiamo messo davanti durante una telefonata con su scritto "ci siamo anche noi" -, a volte con entusiasmo.
Questi ritmi di vita sono poi diventati un po' anche i miei e, a partire dall'adolescenza, la mia vita si è riempita di tante attività. Proprio in una di queste occasioni, nel 2000 ho conosciuto Francesco, ci siamo innamorati, abbiamo deciso di progettare insieme il nostro futuro e nel 2003 ci siamo sposati.
Francesco non arrivava da un'esperienza familiare come la mia, ma il desiderio di non "smettere" con quella vita piena e bella che ci aveva fatto crescere ed incontrare era forte in entrambi.
Ovviamente i ritmi sono diversi a seconda dei vari momenti, soprattutto con l'attesa e la nascita dei figli, ma le occasioni non sono mai venute meno e il nostro "non tirarci indietro" ci ha fatto capire che "si può fare" anche con i ritmi lavorativi impellenti - a cui soprattutto Francesco non è mai venuto meno - e con tutto ciò che comporta il far crescere ed educare dei figli.
Nel 2007 abbiamo iniziato l'avventura della nascita del Forum delle associazioni familiari della nostra provincia fino a diventarne Presidenti.
A questo punto l'impegno era serio e il desiderio di viverlo seriamente vero, per cui ci siamo posti delle domande concrete su come gestire le serate, gli incontri, gli appuntamenti, le telefonate compatibilmente con la vita di casa, con le nostre bimbe ancora piccole e con tutto il resto, lavoro, parenti, amici, parrocchia, sport, ecc.
Il ricordo dell'esperienza vissuta nella mia famiglia d'origine è tornato subito alla mente ed immediato è stato rivolgersi a quei nonni, che fortunatamente abitano vicino, che sono sufficientemente in salute, e che, soprattutto, condividono lo spirito di servizio con cui abbiamo deciso di accettare questo incarico.
In questi anni ogni tanto è stato necessario correggere il tiro, come quando abbiamo deciso di ridurre il mio orario di lavoro per poter dedicare una mattinata intera all'ufficio del Forum, però fondamentale ha continuato ad essere l'appoggio dei nonni, che come dicono loro "sono contenti di fare i nonni per poter far andare avanti noi famiglie giovani", come hanno fatto loro da giovani.
In questo passaggio di staffetta tutto sembra naturale e ci pare che anche i rapporti tra noi coppia, con i nostri genitori e suoceri, tra i nonni e i nipoti funzionino forse proprio perché a passare da una generazione all'altra non sono solo gli impegni, ma soprattutto lo spirito che li accompagna e che forse arriva da più lontano ancora, dai nonni e bisnonni e che speriamo di trasmettere con lo stesso entusiasmo ai nostri figli e nipoti.
Paola Loffredo

11-Sovente non serve insegnare, ma dare l’esempio
SAPER FARE LA PASTA IN CASA

Sapete che sono capace di fare la pasta "fatta in casa"?
No, non preoccupatevi, non sono matta!
Riflettevo sul fatto che se sono capace di farlo, non è perché mia madre e mia nonna mi hanno insegnato come si fa, ma quando ero bambina l'ho visto fare da loro tante volte, e quando ho avuto una famiglia mi sono ritrovata a saperlo fare, grazie al loro esempio.
È qui che volevo arrivare, l'esempio: è difficile avere riscontro nei ragazzi, difficile trovare spazio per farsi ascoltare e capire da loro, difficile parlargli di Dio, difficile che quello che gli arriva di positivo porti i suoi frutti subito… ma possiamo dargli l'esempio.
Non saranno ragazzi in eterno, e non avranno sempre i timpani del cuore assordati dalla musica "a palla", e dalla rabbia, arriverà il momento che si fermeranno un attimo a pensare, e se avranno avuto delle mamme, delle nonne, o chissà chi altro che gli avrà dato una testimonianza vera, di vita basata non sulla parola amore, ma sull'amore vero, vissuto, donato, crocifisso… allora magari ricorderanno qualcosa che gli sarà rimasta nel cuore, magari in fondo in fondo, che salirà su al momento giusto, e sapranno che magari nella vita c'è qualcosa che può colmare quel vuoto che hanno sempre sentito, ma che hanno tentato inutilmente di riempire con cose sbagliate.
Non si può sperare di cambiare le cose in un attimo, di vedere subito i frutti, ma possiamo fare quel poco che riusciamo, cominciando da noi stessi.
E se crediamo sia inutile perché poco, pensiamo alle parole di madre Teresa di Calcutta:
Tutto ciò che facciamo
non è che una goccia nell'oceano,
ma se non la facessimo
l'oceano avrebbe una goccia in meno per sempre…
Laura
Dal blob: www.paolocurtaz.it/2009/06/i-ragazzi-del-kebab/

 

12-Un parroco ci parla dei gruppi familiari
COME UNA TORTA SALATA...
Un piatto semplice, facile da preparare, sempre diverso, sempre nuovo

di Natale Castelli*
Per esprimere come io parroco vivo la presenza dei gruppi familiari in parrocchia userò un paragone non molto nobile, ma certamente molto noto: la torta salata. Non si sa se sia nato prima il gruppo familiare o la torta salata, ma certamente con il diffondersi dei gruppi familiari si è diffusa la consuetudine della torta salata...
Essa è l'alimento base che eleva la qualità della cena frugale nella serata di gruppo.
Anche il parroco se ne nutre, della torta e della spiritualità familiare. La possiamo considerare come specchio del gruppo familiare, viste le caratteristiche, o meglio le sue virtù che, secondo il più classico degli schemi, sono sette:
1. Innanzitutto gli ingredienti principali della torta salata sono semplici: farina e acqua, gli elementi che fanno il pane e le ostie e aiutano a far comunione. Così nel gruppo familiare c'è un sovrappiù di comunione rispetto a una catechesi o ad un Consiglio pastorale: parlando del Vangelo o di un testo spirituale si parte dalla vita, si condivide un'esperienza, non si programma qualcosa "per dopo".
Il gruppo familiare non è funzionale ma è gratuito.
Il Vangelo non è mirato a un risultato ma è irrigazione a pioggia, è arare la terra. Poi, che il contadino vegli o dorma, il seme cresce da sé. Come quando si fa la Comunione a Messa, non la si fa per ottenere questo o quel risultato (a questo è adibita l'accensione della candela): ci pensa Gesù a procurare i frutti.
Quindi nel gruppo familiare ci si prende cura di sé, delle relazioni. Si impara a lasciar parlare, ad ascoltare.
Il parroco lo fa nella Confessione, ma attraverso il gruppo familiare impara a farlo anche nella comunità.
2. Poi, come per la pizza, sulla torta salata ci si mette di tutto.
Così nel gruppo familiare c'è arricchimento tra vocazioni che intervengono alla pari, quella sponsale e quella sacerdotale. Si lascia spazio alla vocazione degli altri.
Il parroco non è il fulcro degli equilibri, né è tenuto a intervenire per ultimo, quasi a riassumere il senso del tutto o a pronunciare il motto risolutivo.
Anzi spesso si ritrova la predica già pronta e una coppia di sposi ascolta volentieri, la domenica a Messa, una propria intuizione spacciata dal parroco come propria.
3. La torta salata è agile da preparare. Analogamente il parroco partecipa senza sforzo al gruppo familiare perché non è un impegno in più di cui caricarsi, anzi per una volta si riposa.
Per questo non fa la sua apparizione a salutare per poi correre a occuparsi di cose più importanti, ma si ferma tutta la sera. È bello ritrovarsi. Non è un incontro tecnico, quindi non si litiga su questioni parrocchiali o liturgiche.
4. La torta salata si presenta integra, poi si taglia. Il parroco sogna la parrocchia come una torta intera e non a fette, comunità di relazioni familiari e non fucina di iniziative, casa di famiglie e non azienda di specialisti.
Il potere sulle fette non è concupiscenza solo dei politici, ma anche dei parrocchiani stagionati.
Così la cura della famiglia non è una fetta della pastorale, da amministrare accanto o contro altre, la cura della famiglia è icona della cura della parrocchia, è il clima della Chiesa. E il gruppo familiare è il climatizzatore.
Il parroco vede nel gruppo familiare un inizio di questo sogno.
5. La torta salata è il piatto costante e essenziale nella varietà dei menù: ogni gruppo ha la sua torta. Ogni gruppo è contento di come è perché ha l'essenziale quindi non invidia gli altri. Così il problema non è se i gruppi siano aperti o chiusi, ma se ci si aiuta a farne nascere di nuovi.
Un nuovo gruppo non ruba spazio a un vecchio gruppo (mentre quando si gestisce gelosamente un incarico si ha paura di essere derubati da un nuovo venuto).
È un modo per imparare a gioire con chi gioisce; in fondo, piangere con chi piange non richiede particolari doti.
Il parroco è felice quando nasce un nuovo gruppo e lo presenta ufficialmente alla parrocchia. Anzi lo inserisce nel calendario parrocchiale per non far mancare la sua presenza.
6. La torta salata rivaluta gli avanzi della settimana, promuovendoli al rango di ingredienti.
Nel gruppo familiare si lascia spazio al vissuto del mese, al racconto. Il parroco raccoglie tutte queste briciole preziose nella sua bisaccia e impara a essere lì come ospite perché lui è di passaggio nella parrocchia mentre le famiglie la abitano. Il parroco riassapora nel gruppo l'accoglienza dei primi tempi in cui i parrocchiani lo hanno introdotto in una storia che lo precedeva e che rimarrà dopo di lui. Non aveva ancora preso possesso degli spazi, sottraendo responsabilità: nel gruppo familiare si ricorda che ritraendosi può lasciar crescere, come un papà fa con il figlio.
7. Infine le massaie attestano che con l'esperienza la torta salata si arricchisce in creatività: allo stesso modo il gruppo familiare non ha scadenza (come, del resto, il matrimonio).
Il parroco non teme il dimezzamento del numero a ogni riunione, come quando fa le sue catechesi: nel gruppo familiare sa che troverà sempre una casa abitata.
*parroco di Solbiate Arno (VA)
Tratto dal sito: www.famiglieronco.genteinrete.net
(per gentile concessione di Ascoltiamoci.it, dal 2001 dialogo e cultura cattolica)

13-I FIGLI NEI GRUPPI FAMIGLIA
Anche loro si sentono protagonisti dei GF!

Appena ci capita tra le mani una rivista cattolica, ci piace scorrere le pagine per curiosare le proposte per incontri, week end e settimane estive di spiritualità coniugale. A conclusione del trafiletto che presenta l'incontro, oltre ai temi, relatori, date, luogo e referenti viene solitamente specificato se ci sarà un servizio di baby sitter, o animazione bambini; ma a volte capita di trovare specificato: senza figli!
A noi dei gruppi famiglia questa sottolineatura suona un po' stonata, proprio perché il nostro incontrarci è appunto della famiglia, il più possibile al completo, anche se a volte i più piccoli “sembrano” dar fastidio... ma fastidio a chi? La maggior parte dei partecipanti prima o poi hanno avuto l'esperienza dei figli piccoli! Ecco allora che la presenza dei figli diventa occasione di arricchimento per tutti: anche i figli conoscono le coppie che condividono i momenti di ascolto e di confronto con mamma e papà; sono i figli che a volte legano nuove amicizie coinvolgendo anche i genitori.
I bambini poi, si sa, sono una fonte di simpatia e spontaneità, per cui là dove i grandi sembrano “timidi” o faticano a relazionarsi tra gente nuova (è il caso dei campi estivi, dove a volte non si conosce nessuno), i figli riescono a rompere il ghiaccio prima ancora che noi ce ne rendiamo conto e, se noi ci sentiamo ancora un po' persi, loro sono già lì che chiedono: “Il prossimo anno veniamo ancora!?”.
Quando poi i figli non sono più piccoli, ma entrano nella fascia scolastica, per loro il giorno fissato per l'incontro del gruppo è il momento di ritrovare gli amici, di stare con gli animatori, di fare giochi, canti, bans, di inventare e costruire qualcosa da regalare a mamma e papà, insomma anche loro si sentono protagonisti dei gruppi famiglia!
Cos'altro possiamo dire… pensiamo che quello che abbiamo raccontato di ciò che si fa nei gruppi famiglia sia sufficiente per comunicare l'idea fondante: crediamo nella famiglia formata dalla coppia e dai figli, nati dal suo amore!
famiglia Brambilla

 

14-Un modello per ogni famiglia
Maria, Giuseppe e l’educazione di Gesù
... e quella dei nostri ragazzi

di Giovanni Giavini*
"Gesù ascoltava, interrogava, rispondeva... e i suoi stessi genitori restavano sta in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini" (Lc 2,46c.48a.51b.52).

Un Pierino ebreo a Nazaret
Partiamo da queste meravigliose frasi del vangelo di Luca su Gesù dodicenne per orientare genitori ed educatori nell'arduo ma gioioso impegno di far crescere ragazzi/e come uomini, come discepoli, come testimoni di qualcosa di grande e di bello innanzitutto proprio in famiglia, ma anche in parrocchia e, nel rispetto delle sue finalità, anche a scuola.
Immaginiamoci nella casa di Nazaret un sabato. Il ragazzetto Jehòshua chiede a papà e mamma perché si sta festeggiando il sabato, perché si va alla sinagoga a leggere certi rotoloni "sacri" e a pregare e a cantare insieme con altra gente del villaggio.
O a pasqua: perché l'agnello pa-squale, le uova, il pane azzimo, meno buono di quello solito del fornaio, e addirittura le erbe amare? E perché si spezza il pane?
Era prescritto dalla legge che i ragazzini domandassero e i genitori rispondessero (Es 12-13): così si rinfrescavano tutti insieme la memoria delle mirabili opere del loro Dio, che con quei riti essi rivivevano e rilanciavano verso un futuro sabato eterno e verso una pasqua di alleanza nuova, per loro e per tutto il popolo. In tal modo i figli crescevano non solo in età ma anche in sapienza e grazia.
Pagine simili si ritrovano anche altrove nell'Antico Testamento e ci permettono di avere un'idea abbastanza concreta della vita di casa di quei tempi, anche della casa di Nazaret.
Lasciamo invece in soffitta i vangeli apocrifi con le loro mirabolanti fantasie su Gesù bambino.

Ma un Pierino fuori serie
Ma a Nazaret c'era qualcosa di più. Certo, ogni figlio/a è sempre anche un mistero da rispettare, scoprire, educare; ma Gesù era mistero-super, per gli stessi Giuseppe e Maria.
Possiamo immaginare quante volte quei genitori si saranno stupiti, dopo averlo visto ascoltare le sacre storie, a sentire le sue interrogazioni e le sue risposte. E si saranno scambiati impressioni e domande: "Ma chi è questo ragazzino? Maria, tu dovresti saperne più di me che c'entro solo come padre adottivo. Quando ci parla di Dio, sembra più esperto del nostro pur bravo rabbino. Se accenna al suo futuro, ci lascia molto perplessi... Ma nemmeno lui dimostra di conoscere già tutto... Allora?... Mah, stiamo a vedere, rispettiamone mistero e vocazione, aiutiamolo a crescere come Dio vorrà... Intanto insegniamogli anche a lavorare, a leggere e scrivere, a trattare con la gente, specialmente con i poveracci del nostro paesello".
Intanto Gesù cresceva a poco a poco, passo passo comprendeva o intuiva il suo rapporto specialissimo con il Dio di Israele, che percepiva sempre più come "Padre mio"; e intuiva di giorno in giorno la sua missione, quella che sarebbe stata la sua "ora".

Noi e i nostri Pierini/e
Analogamente tutto ciò vale per ogni figlio/a e per i loro genitori ed educatori. Si tratta di crescere e far crescere in sapienza, età, grazia e amore; scoprendo e aiutando a scoprire per ognuno il proprio posto nella vita, nella famiglia, nella società, nella chiesa: il proprio "carisma", il proprio mistero, la propria vocazione.
Per ognuno: come uomo tra altri uomini più o meno poveracci e bisognosi, ma anch'essi aiuto indispensabile per la crescita; come uomo dentro un mondo ricevuto e da migliorare; come cristiano dentro una chiesa che è, pur peccatrice, "corpo (mistico) di Cristo" vivente e alimentato dalla parola di Dio, dal "corpo (eucaristico) di Cristo" e dal suo "Spirito".
In questo cammino ogni Pierino/a va aiutato a tener viva la "memoria" di una storia umana e religiosa (come quella della sua famiglia, del suo paese, di altri popoli, della parrocchia...), a saper riflettere sulla realtà che lo circonda e di cui gode (per esempio: aiutarlo a scoprire che cosa stia dietro a un computer o anche solo a un bicchier d'acqua o a un piatto di pastasciutta!), a saper individuare le sue doti e i suoi difetti, le sue qualità e i suoi bisogni (con il contributo di insegnanti, allenatori, compagni di scuola o di gioco, di qualche buon prete, di qualche perspicace religiosa o catechista...).
Insuccessi e delusioni non mancheranno mai in ogni progetto educativo ma con quelli ci sarà anche una buona dose di speranza di riuscita: di essere riusciti a portare un figlio o un alunno ad essere sempre più uomo, ad essere capace di amare sul serio, come il bambino cresciuto a Nazaret 2000 anni fa. E là certamente si pregava anche molto lo Spirito del Padre celeste.
* biblista
Sintesi da Settimana n.20/2009 p.4; www.dehoniane.it

 

15-Sette regole per educare in famiglia
La lettera del vescovo di Fano alle famiglie della diocesi

"La famiglia è la principale protagonista dell'educazione. [...] L'influenza della famiglia è decisiva perché in essa il bambino, fin dai suoi primi anni, struttura la propria coscienza, si forma il suo equilibrio [...]. La famiglia è il luogo dell'appartenenza dove si sviluppa e si ricerca la propria identità che sarà premessa all'identità adulta".
Inizia con queste parole la lettera dal titolo La famiglia che educa del vescovo di Fano-Fossombrone-Cagli-Pergola, Armando Trasarti, e inviata a tutte le famiglie della diocesi.
Il vescovo pone un interrogativo: "È possibile imparare ad educare? I genitori dovrebbero imparare che il miglior investimento di tempo è quello dei momenti che trascorrono con i loro figli. L'educazione delle virtù umane è alla base dell'educazione cristiana". Da qui sette punti da mettere in agenda per "educare".
1. Il senso dell'autorità. "Una delle principali caratteristiche del rapporto educativo è senz'altro l'esercizio dell'autorità intesa come autorevolezza. Un genitore è autorevole nei confronti del figlio quando, con doti di maturità, di coerenza e di fascino, incarna in sé i valori umani e di fede della tradizione in cui vive. L'autorevolezza, frutto di esperienza e di competenza, consiste nell'affascinare e nel rassicurare l'altro con la propria esistenza adulta, matura e coerente".
2. Dire "sì" e dire "no". "L'amore non consiste in un buonismo vago e indifferenziato, ma in un'autentica ricerca del bene dell'altro. Ma il bene dell'amato si raggiunge anche dicendo dei "no". Le regole che costituiscono dei "no" ad alcuni comportamenti ci ricordano la presenza del limite in noi. Occorre imparare a dire dei "no", cioè trovare il modo e il momento più opportuno per insegnare il limite".
3. Parlarsi in famiglia. "La famiglia dovrebbe essere il luogo della confidenza e dell'accoglienza, dove nessuno ha paura di esternare i propri sentimenti, dove ognuno si sente importante per ciò che è e per quello che dice.
Parlarsi in famiglia vuol dire ascoltare, incoraggiare, valorizzare, coinvolgere".
4. Condividere l'interiorità. "La condivisione della propria vita interiore costituisce uno degli aspetti più profondi e costruttivi del dialogo in famiglia. La comunicazione, se vuol essere completa e autentica, non può limitarsi a ragionamenti, opinioni, notizie da dare all'altro, ma deve arrivare ad essere un "dire se stessi", chi sono io, ciò che provo, quello che sento di fronte a fatti ed avvenimenti".
5. Educare alla fatica. "In un mondo che esalta il benessere e assolutizza il piacere, parlare di educazione alla fatica può sembrare fuori luogo. In che cosa consiste l'educazione alla fatica? Sostanzialmente in questo: porre davanti ai figli obiettivi realistici, sostenerli nella volontà di raggiungerli, confermare i risultati raggiunti, trasformare le sconfitte in acquisizioni positive aiutandoli ad un sano recupero dell'insuccesso".
6. Educare all'autonomia. "Uno degli obiettivi primi e fondamentali del compito educativo dei genitori è proprio quello di aiutare i figli a diventare adulti, cioè ad essere autonomi e autosufficienti... Chi si sente accettato e desiderato costruisce dentro di sé un solido nucleo di personalità che gli permette una sufficiente autonomia e indipendenza di fronte al mondo".
7. Trasmettere la fede in famiglia. "Un cristiano non può dimenticarsi di educare i propri figli alla fede. È triste vedere che anche dei buoni genitori cristiani si fanno in quattro perché ai loro figli non manchi niente delle cose materiali, ma non si curano di dar loro l'unica realtà vera ed eterna, quella che sarà la forza della loro vita. Da qui nasce il fondamentale compito affidato alla famiglia di trasmettere la fede cristiana... Non si tratta semplicemente di insegnare preghiere, di imparare i comandamenti; non è una trasmissione astratta o teorica di un sapere religioso. La trasmissione della fede è un qualcosa di molto più radicale e profondo perché fa parte integrante della comunicazione affettiva. Un figlio che cresce respirando un sano ambiente affettivo si apre fiducioso alla vita, agli altri, a Dio: in una parola, impara la fede. Infatti, la fede non è semplicemente un contenuto, ma è primariamente una relazione, un rapporto vitale, un legame amoroso con Dio padre".
Giangiacomo Ruggeri
Sintesi da da Settimana n. 12/2009 p.4; www.dehoniane.it , www./www.fanodiocesi.it/?m=200902

 

16-COME SONO ANDATI I CAMPI ESTIVI?
Le impressioni della nuova coppia responsabile

Durante il mese di agosto abbiamo avuto il piacere di visitare ben tre campi estivi per famiglie, una giornata per ogni campo ed è risultata per tutti noi un'esperienza molto arricchente e piacevole. L'unico rammarico è quello di non essere riusciti a visitare più campi durante le nostre vacanze.
Ci siamo immersi fin da subito, nel clima di "famiglia allargata" molto partecipe e conviviale, dove si raggiunge una comunione di intenti e di cuori che difficilmente ed in così poco tempo si può sperimentare in altri ambienti. Insieme ai relatori, esperti e competenti, abbiamo approfondito temi vari di spiritualità familiare che fanno nascere il desiderio e l'esigenza di conoscere di più il Mistero e la Grazia del sacramento matrimoniale e la voglia di pregare maggiormente.
Abbiamo respirato e vissuto un gran desiderio di condivisione, di mettersi in gioco, di prendere spunti e confrontarsi con altre famiglie che affrontano situazioni e problemi diversi dai nostri.
Un grande esempio di servizio e gratuità sono stati per noi gli organizzatori, gli animatori e le cuoche, che con premura ed attenzione costante hanno fatto sì che tutto funzionasse per il meglio.
Abbiamo incontrato e conosciuto sacerdoti, completamente a loro agio nel clima di festa e di raccoglimento, che guardano con fiducia alle famiglie come ad una grande risorsa della Chiesa.
Ogni componente familiare, dai più piccoli ai più grandi, ha dato il suo personale ed unico contributo per la riuscita del campo!
Per una famiglia l'esperienza dei campi è sicuramente la più completa e coinvolgente: momento di ricarica che de-v'essere poi condiviso nei gruppi famiglia locali, mettendo a servizio degli altri lo spirito e l'entusiasmo vissuti.
Anche quest'anno le richieste di adesione ai campi sono state superiori alla disponibilità delle case per cui ci auguriamo che sempre più diocesi prendano in considerazione per il futuro l'opportunità di avviare nuovi campi, in modo da soddisfare le richieste di quanti non sono ancora riusciti a vivere questa vacanza "alternativa" e formativa.
Peccato aver condiviso solo alcuni frammenti dei campi estivi, ma sicuramente questo "tour" ha reso speciali le nostre vacanze, permettendoci di co-noscere sempre più realtà locali e nuo-vi amici, ai quali va di cuore il nostro più affettuoso ringraziamento per l'accoglienza e l'ospitalità dimostrateci.
Nicoletta e Corrado Demarchi

17-CAMPO CHE VAI… AMICI CHE TROVI!

Quest'anno abbiamo vissuto un'esperienza un po' speciale, infatti siamo andate insieme ai nostri genitori a visitare alcune realtà dei campi estivi per famiglie.
Avevamo già partecipato a dei campi quando eravamo più piccole, ma questa volta è stato diverso: siamo state un giorno al campo di Spello in Umbria, il giorno seguente a Pollenza nelle Marche e infine anche in Veneto a Col Perer.
È stato interessante vedere come in tutti i campi ci siano elementi comuni: i turni per lavare i piatti, apparecchiare, le merende "nutellose", l'immancabile inno, i contenitori in cui poter lasciare messaggini, e naturalmente quel clima speciale di accoglienza e disponibilità. Di ogni campo ti porti dietro un ricordo o un'esperienza particolare, dovuta agli organizzatori ed ai mitici animatori!
Tornate a casa avevamo una gran confusione di nomi e di visi che neanche immaginate, ma la felicità di aver fatto nuove amicizie o di aver rafforzato le vecchie, era enorme: è stata per noi una avventura unica!
Elisabetta, Emanuela e Elena Demarchi

 

18-Leggere la Bibbia
Chi ti ha detto che eri nudo?

a cura di Franco Rosada
Se è importante la creazione dell’universo, per le Scritture è decisivo l’ingresso dell’uomo tra le creature.
Non per nulla il capitolo 1 di Genesi colloca la creazione dell’uomo al vertice, in un sesto giorno, come ottava, suprema opera divina. Eppure un limite in questo capolavoro di Dio c’è: l’uomo è l’essere del sesto giorno e il sei è la cifra dell’imperfezione (cfr. Ap. 13,18).
La componente che permette all’uomo di varcare la prigione del sesto giorno è l’essere “immagine e somiglianza di Dio” (Gn 1,26). Dio, con l’uomo, s’accorge di aver creato il suo capolavoro (cfr. Sal 139,13-16, Gb 10,10-11).
I due capitoli seguenti sono collocati dagli esegeti nel genere “eziologico metastorico sapienziale”.
Ci troviamo di fronte ad un’apparente narrazione storica che ha però valore teologico-filosofico e quindi “sapienziale”. Lo scopo non è spiegare cosa sia successo alle origini, ma individuare chi è l’uomo nel contesto della creazione, ieri come oggi e come domani: è una “metastoria”.
Il cuore drammatico del racconto è il peccato dell’uomo: egli sceglie di essere l’arbitro della morale, respingendo il progetto di Dio (Gn 3,5).
L’uomo così, separato da Dio, si trova in solitudine davanti alle due vie: il bene e il male (cfr. Sir 15,11-17).
La consapevolezza della nudità che ne consegue è la raffigurazione quasi visiva del limite della creaturalità (cfr. Gb 1,21, Qo 5,14).
Sintesi da: Ravasi G., Il racconto del cielo. Le storie, le idee, i personaggi dell'AT, Mondadori, Milano 1995, p. 33-53.

 

19-Assistere gli anziani in casa
Non è un dovere ma un atto d’amore

Sono ormai anziana, non riesco più a camminare da sola e vivo a casa di mia figlia.
Però, a volte, mi sento mortificata per il fastidio che reco ai miei figli, mi sembra di essere di peso.
Ma poi mi chiedo: la vita non consiste nell’accompagnarsi a vicenda nelle sue diverse fasi, i malati non hanno diritto di disturbare?  In che cosa consiste la vita se quando dai fastidio devi sparire?
Elena

Risponde padre Giordano Muraro, docente di Teologia Morale
La sua lettera mi permette di affrontare un problema che si pone sempre più frequentemente: esiste nei genitori un diritto di esigere dai figli le cure necessarie quando si trovano in difficoltà, e nei figli il dovere di prestarle?
La risposta è “no”, anche se questo “no” può lasciare l'amaro in bocca e può sollevare la giusta reazione dei genitori: “dopo tutto quello che abbiamo fatto per te ci abbandoni e non ti prendi cura di noi?”. Lo stupore è legittimo. Per questo mi sembra giusto dire subito che il “no” non è il rifiuto di chi non vuole assumersi le sue responsabilità ma è un “no” ispirato dall’amore. Il genitore non ha diritto di essere curato, ma ha bisogno di essere amato.
Qui il discorso si fa lungo...
In estrema sintesi: mettere la domanda di aiuto da parte dei genitori nell’ambito dei diritti e dei doveri significa trasferirlo dall’ambito dell’amore e del dono all’ambito della giustizia.
Così si fa perdere alla famiglia tutta la sua originalità e si annulla la differenza che esiste tra la famiglia e qualunque altra struttura assistenziale umana.
È vero che i figli possono giungere al punto di abbandonare i genitori. E allora interviene la legge. Ma un’assistenza fatta per legge non basta, perché manca l’elemento più importante che i genitori si aspettano dai figli, cioè l’affetto. I genitori non hanno solo bisogno di essere assistiti, ma soprattutto di essere amati.
La legge obbliga a fare, ma non ad amare. Si passa così dalla logica del dono a quella del servizio, dove manca quel calore umano e quella modalità che accompagna l’atto e lo trasforma in amore.
Per questo tra genitori e figli non esistono diritti e doveri, ma bisogni di vita e risposta a questi bisogni. È questa la dinamica che regge la famiglia e la rende unica e originale rispetto a qualunque altra struttura umana.
Sintesi da: Costruire in due, periodico del Punto Familia, Torino, n.1 /2009; www.puntofamilia.it/index_cu.htm

20-I MIEI NON VOGLIONO...
Quando i genitori ostacolano le nozze

Ho 34 anni e vivo ancora con i miei genitori. Da circa due anni sono fidanzato e ora abbiamo deciso di sposarci. Ma i miei stanno creando molte difficoltà arrivando perfino, con le loro critiche, a metterci l'uno contro l’altro.
Come posso fare per evitare una rottura completa con i miei genitori?
Luca

Caro Luca,
La tua lettera tocca un tema molto sentito tra le coppie giovani: il rapporto con le famiglie d’origine.
Non è sempre facile trovare un equilibrio tra la nuova famiglia che nasce, e che ha bisogno della sua autonomia, e l’amore per i propri genitori.
Non si tratta di non tener conto dei consigli che ti danno; vanno ascoltati con attenzione, con amore, senza pregiudizi, ma poi alla fine devi decidere assumendoti le tue responsabiltà e, per quel che riguarda la coppia, insieme con la tua ragazza.
La data del matrimonio, per esempio, va decisa dai due fidanzati - pur tenendo conto del parere dei genito-ri -, così la scelta della casa e il resto.
Bisognerebbe che tu parlassi chiaramente con i tuoi genitori, con fermezza, ma senza aggressività.
Capisco che ha volte è difficile, ma ne va del futuro della tua nuova famiglia.
D’altra parte, amare i genitori non significa approvare tutto ciò che dicono o fanno: amare è prima di tutto volere il bene dell’altro. E questo a volte può anche significare essere decisi e dire dei no, senza permettere interferenze.
Ciò che conta di più è il rapporto con la tua futura moglie; che queste difficoltà con i tuoi non ti tolgano la possibilità di continuare a costruirlo con impegno e a vedere con sempre maggior chiarezza il modello di famiglia che volete realizzare.
Ciò non significa che i genitori vadano messi da parte. Bisogna soltanto scoprire nuove modalità d’amore, che tengano conto dell’autonomia e dell’intimità della nuova famiglia. Ma questo sarà sempre più facile, man mano che crescerà il vostro rapporto di coppia.
a cura di Noris Bottin
Sintesi da Città Nuova, n.15/16 2009; www.cittanuova.it

 

21-LETTERA APERTA AGLI ADULTI
Come facciamo ad andare via da casa se non lavoriamo?

Siamo la generazione dei figli di genitori che hanno vissuto, o subìto, o ignorato le grandi contestazioni, quelli che si ritrovavano nella non-violenza di Gandhi, nella nuova frontiera di J. Kennedv, nel mito di Che Guevara.
Siamo gli stessi figli , oggi, di genitori stressati e disorientati in una società, che si è risucchiata ideologie politiche, ideali e sicurezze esistenziali.
I loro traguardi sociali, economici sono ormai svalutati e non ereditabili e ciò crea in loro tanto disagio, e lo respiriamo ogni giorno, tra le stesse pareti domestiche, che ci stanno terribilmente strette... Ma non ce ne possiamo andare!
Si dice sempre che siamo a spasso e vi assicuro che non si fa riferimento a salutari passeggiate…
Fino a qualche anno fa tutto era "giovane": dalla moda, ai comportamenti; adesso siamo ignorati perché non siamo più merce appetibile.
Sempre più cresce il numero dei disoccupati e dei sottoccupati in una fascia di età continuamente dilatata. Si celebra la famiglia, la gioia della genitorialità, ma sono tutte per noi realtà irraggiungibili, perché non si vive di sogni e non si ha nessun diritto a prendere impegni che non si possono mantenere.
Una volta, nell'ambito della famiglia tradizionale, il padre era quello che gli psicologi definivano "il principio della legge" e la madre si identificava con il piacere rasserenatore dell'affetto, del cibo, della presenza stabile. Poi è stato tutto un correre per raggiungere più possibile un benessere economico, che si è rivelato con il tempo molto fatiscente.
Ci hanno garantito le scuole migliori, le università più prestigiose, ma solo pochissimi si sono garantiti un posto al sole; tutti gli altri, invece, sono stati risucchiati da una crisi, che solo pochi incoscienti ottimisti definiscono per niente preoccupante.
Siamo ricchi di tanto entusiasmo, siamo il motore trainante di tante associazioni di volontariato, perché mai, come adesso, è vero che far del bene aiuta chi lo fa. "Prendi la vita al volo! ..e fai volare chi ti sta accanto".
Tutto il bene che si compie, non si perde mai: è la nostra forza per correre, sebbene... perché non possiamo smettere di sognare che un giorno i riflettori possano finalmente essere puntati su di noi, sulle nostre problematiche giovanili, ma non soltanto in periodi elettorali.
Caro mondo degli adulti, ricordati di noi.
Giada De Bonis
Tratto dal mensile Oggi Famiglia, al servizio della famiglia in Calabria, anno XXI, n.5-6-7, p.11. http://www.centrobachelet.it/f_testo_file/oggif/08/aprile_maggio_2008.pdf

 

22-LA GATTA CHE CAMBIÒ NOME
I grandi complicano sempre tutto!

Vivevamo in un'isola della Grecia con mamma, papà, il nonno, la zia Despina, sorella del nonno, e Stamina, la domestica.
Tutti mi chiamavano Melia, ma il mio vero nome è Melissa, che era il nome della nonna. Mia sorella era di due classi più avanti di me e si chiamava Myrto.
Era il 1936 ed era un periodo strano per il mio Paese. Infatti, non capivo che cosa avevano tutti i grandi che continuavano a dire: "L'orizzonte è scuro". Tutte le sere, quando papà rientrava dal lavoro, il nonno gli domandava: - cosa c'è di nuovo?
- L'orizzonte è scuro, - rispondeva papà.
- Chissà se ci stiamo avviando verso una dittatura? - si domandava il nonno.
- È molto, molto, scuro, - diceva papà - Ve lo dico io.
- Il re non lo permetterà, - diceva zia Despina intromettendosi nel discorso.
In questi casi i grandi cominciavano a discutere e a gridare più forte di noi quando bisticciavamo per vedere a chi toccava "stare sotto" a nascondino.
Quando chiedemmo al nonno cosa volesse dire "l'orizzonte è scuro", ci rispose che significava: "la democrazia è morta", non quella del secolo d'oro di Pericle, a cui lui era molto affezionato, ma quella di oggi.
Tant'è vero che quando la nostra gatta ebbe due micini, uno scuro scuro, e l'altro bianco, Myrto e io li chiamammo Scuro e Democrazia.
Il nonno rise moltissimo quando glielo dicemmo ma la zia Despina si arrabbiò:
- È colpa nostra. Parliamo troppo davanti ai bambini!
I grandi ci complicavano tutto (d'altronde è quasi sempre così). Non supponevo che la nostra gattina, prestissimo, avrebbe cambiato nome.
Papà arrivò una sera a casa dal lavoro di pessimo umore; montava in collera per un nonnulla. Ad un certo punto mi alzai un minuto da tavola per far rientrare dal giardino Scuro e Democrazia, perché Stamina aveva appena detto che stava cominciando a piovere. Trovai subito Scuro, ma Democrazia no.
Allora mi misi a gridare: "Democraaaaziiiiaaaa", finché mi sentì e ritornò. Non avevo ancora messo il piede in casa che il papà mi prese per un braccio; pensavo fosse arrabbiato perché mi ero alzata da tavola, invece ce l'aveva con la gattina:
- O sbattete fuori quell'animale o gli cambiate nome! Non voglio perdere il mio posto in banca.
Chiamammo la gatta Crazia, ma quello che avevamo ascoltato ci sembrava il colmo! Sbattere fuori papà dalla banca per un gatto!
Quando fummo a letto Myrto disse:
- Il nonno ha un bel parlare del suo Pericle, a me piacciono i re.
- Sei matta? - risposi furibonda - Il nonno ha detto che tutti i re sono dei cretini.
- Sei piccola e non capisci niente.
Le tenni il broncio per un po' poi non potei fare a meno di chiederle: - COMO? TRIMO?
Questa era la nostra lingua segreta che solo noi capivamo. COMO voleva dire "contenta moltissimo", TRIMO "triste moltissimo". Se non ce lo fossimo chiesto ogni sera, non avremmo potuto addormentarci.
- COMO, COMO, - rispose Myrto quasi cantando.
- TRIMO, TRIMO, - risposi a mia volta.
Liberamente tratto dal romanzo di Alki Zei La tigre in vetrina, Einaudi editore, Torino 1978.

 

23-Preghiera della famiglia

Fa o Signore che nella nostra casa quando si parla sempre ci si guardi negli occhi.
Non si sia mai soli o nell'indifferenza o nella noia: i problemi degli altri non siano sconosciuti o ignorati;
chi abbia bisogno possa entrare e sia il benvenuto.
Il lavoro sia importante: ma non più importante della gioia;
il cibo sia il momento di gioia insieme e di parola, il riposo sia la pace del cuore oltre che del corpo;
la ricchezza più grande sia la gioia di essere insieme: il più debole sia al centro della casa;
il più piccolo e il più vecchio siano i più amati; il domani non faccia paura, perché Dio è sempre vicino.
Si renda grazie a Dio per tutto ciò che a vita offre e che il Suo amore ci ha dato;
non si abbia paura di essere onesti e di soffrire per gli altri;
il crocifisso esposto in casa non sia un portafortuna, ma ricordi tutto questo;
la parrocchia e la chiesa siano sempre l 'orizzonte più ampio;
la volontà di Dio sia fatta, così che ciascuno segua la sua vocazione, la strada indicata dal Signore. Amen.
+ Armando Trasarti, vescovo di Fano-Fossombrone-Cagli-Pergola.
Sito: www./www.fanodiocesi.it/?m=200902