Foglio di collegamento tra
Gruppi Famiglia
GF66 - settembre 2009 - Genitori e figli
1-Un tema che investe famiglie, società e
Chiesa
EMERGENZA EDUCATIVA?
Educare non è mai stato facile, ma oggi sembra diventare sempre più
difficile (Benedetto XVI)
di Franco Rosada
Il filosofo Lyotard, nella sua opera più conosciuta edita nel 1979, definì l'attuale
società postmoderna come caratterizzata dalla fine delle "grandi narrazioni",
cioè dalla fine delle ideologie e, con esse, delle varie visioni totalizzanti ma anche
unificanti della società.
Nel 1991, il crollo del Muro di Berlino ha confermato questa teoria con l'implosione delle
società fondate sul "socialismo reale", mentre l'attuale crisi economica
planetaria ci indica la fine di in certo tipo di capitalismo e di globalizzazione, che
erano rimaste in apparenza le ideologie vincenti.
Tutto ciò ha portato con sé grandi elementi d'incertezza che si sono diffusi a tutti i
livelli della società, compresa la famiglia e il suo ruolo educativo.
Se non si debbono avere rimpianti per i tempi in cui l'educazione si basava su metodi
autoritari e conformisti, l'attuale apparente assenza di educazione a favore dello
"spontaneismo", sembra un rimedio peggiore del male.
Di qui l'espressione "emergenza educativa" che è stato oggetto di diversi
interventi recenti del Santo Padre e anche il tema del Consiglio Permanente della CEI di
fine maggio.
Il cardinal Bagnasco, nella sua prolusione introduttiva, ha affermato, tra l'altro, che
"anche tra le figure tradizionalmente dedite all'impegno educativo, come i genitori e
gli insegnanti, sembra farsi strada un atteggiamento di resa. A molti adulti, oggi, sembra
un risultato già soddisfacente riuscire a trasmettere appena le regole del galateo, come
a scuola le nozioni principali delle singole materie" Ma "l'educazione è molto
più che istruzione".
Come va intesa l'espressione "emergenza educativa"? Come allarme improvviso che
richiede interventi immediati o piuttosto come presa di coscienza che l'intero sistema
educativo è attraversato da una condizione di crisi che, "emergendo" in modo
vistoso, richiede nuove attenzioni e considerazioni?
È questa la via proposta da Bagnasco: "In questa situazione, il pericolo più grande
è rappresentato dalla sfiducia, dal pessimismo, dall'atteggiamento che nulla ormai ci
può salvare. Bisogna invece reagire e avere la consapevolezza della necessità di un
ordine diverso, capace di andare anche controcorrente".
È questa anche la proposta di questo numero che, attingendo a diverse esperienze sul
territorio (GF di Pinerolo, Spazio Genitori di Torino, Gruppo Abele), cerca di toccare in
modo non banale i diversi momenti e aspetti del processo educativo: famiglia e agenzie
esterne, infanzia e adolescenza, vita civile e vita di fede.
formazionefamiglia@libero.it
2-LARTE DI EDUCARE
Per diventare genitori basta mettere al mondo dei figli,
ma di solito nessuno insegna a diventare dei buoni genitori
di Maria Poetto*
I figli oggi hanno tanti riferimenti, tante agenzie educative - tra cui quelle
tecnologiche: televisione e computer - per cui può essere a volte scoraggiante, come
genitore, scoprire di essere solo una "voce" tra tante. Ma c'è uno
"specifico" della famiglia che nessun'altra agenzia può offrire.
Una relazione che aiuti a crescere
Il 65% degli adolescenti dichiara di soffrire di solitudine e vorrebbe i genitori
più presenti. Ciò ci conferma una cosa nota: l'essere umano è costitutivamente un
essere in relazione, l'apprendimento è legato alla relazione con l'altro.
Anche Dio è relazione - così profonda e perfetta che è Uno in tre Persone - e cerca la
relazione con l'uomo; tutta la storia della salvezza è storia di una relazione con gli
uomini, con un popolo. Gesù è il culmine di questa relazione: Dio si fa
"carne" per incontrare l'uomo sulle strade della storia.
La relazione nella famiglia è unica: il bambino è, dalla nascita e per tutta la
crescita, sempre in rapporto con i propri genitori.
La relazione con gli altri è fondamentale perché, in essa, costruiamo la nostra stima
personale, la nostra identità; noi capiamo chi siamo, quanto valiamo attraverso il
rimando, il riflesso di noi che gli altri ci danno.
In questo campo i genitori, pur armati di buone intenzioni, possono compiere errori
educativi. Certi messaggi come: "potresti far meglio", se troppo ripetuti
possono convincere il figlio che non va mai bene come fa e che i genitori non sono
contenti di lui. Questo gli crea insicurezza e ansia, gli impedisce di formarsi
un'immagine di sé positiva.
Qual è l'immagine che Dio restituisce all'uomo nella sua relazione? Un'immagine positiva:
"Dio vide che [l'uomo] era cosa molto buona " (Gn 1,31a); "Tu [Israele] sei
prezioso ai miei occhi, sei degno di stima e per questo ti amo" (Is 43,4a); che tocca
il suo culmine con Gesù: "Vi ho chiamato amici" (Gv 15,15b)".
Questo discorso vale anche nella relazione coniugale: posso restituire all'altro
un'immagine prevalentemente positiva - so ringraziare, apprezzare, ritrovare i motivi
della scelta nonostante le difficoltà - oppure faccio prevalere gli elementi critici.
Curare la relazione emotiva
Fuori della famiglia, al di là degli specialisti, delle emozioni nessuno se ne
occupa.
I bambini, invece, hanno bisogno di comprendere il loro mondo emotivo per farlo diventare
una risorsa. Solo l'adulto può aiutare il bambino a dare un nome a ciò che prova. Il
bambino piccolo usa il pianto come segnale generale di malessere. Di solito è la madre a
comprenderne la causa: hai fame, sei bagnato, sei tutto solo. La madre accoglie il
malessere del bambino e l'aiuta a dargli un nome, a comprenderlo meglio. Così, in
seguito, il bambino potrà capire e accettare ciò che prova.
Un errore che a volte compiono i genitori è quello di fare una "divisione
sessuale" delle emozioni: per i maschi ne sono accettate alcune (p.e.
l'aggressività) e bandite altre (p.e. il pianto) e così, in modo diverso, per le
femmine.
Il messaggio che si invia è: ci sono emozioni buone e altre no, quindi da non
manifestare, da tenere dentro. In realtà ogni emozione contiene un messaggio e va
ascoltata e compresa, poi si valuterà come e se esprimerla. In questo modo si fa
dialogare mente e cuore.
Gesù ha vissuto in pienezza la sua umanità e le sue emozioni: ha pianto (su Gerusalemme,
alla morte di Lazzaro, per la vedova di Nain, nell'Ultima Cena), ha gioito ("esultò
nello Spirito Santo
"), ha provato tristezza, angoscia e paura al Getzemani. Non
si è vergognato di mostrarsi fragile, debole.
I genitori a volte si trovano in difficoltà nell'accogliere l'aggressività,
considerandola negativa. È normale che a volte il bambino si arrabbi, p.e. quando non
riesce in qualcosa o quando la sorellina gli toglie delle attenzioni.
Se i genitori si spaventano e gli dicono: "sei cattivo" o lo colpevolizzano:
"ci fai stare male", il bambino, che è a disagio, pensa che la sua rabbia sia
distruttiva e si sente cattivo (immagine trasmessa dai genitori).
Il bambino va aiutato insegnandogli ad accogliere la sua rabbia come normale e ponendogli
dei limiti su ciò che può fare e non può fare (mordere, pizzicare la sorellina, rompere
degli oggetti
).
Il messaggio che arriva è: "Ti puoi arrabbiare (sentire l'emozione) ma non fare del
male alla sorellina". Lo si aiuta così a differenziare e il bambino può accettare
di essere arrabbiato senza sentirsi in colpa e sapendo cosa può fare e non può fare.
Anche Gesù si è arrabbiato, indignato quando i discepoli gli allontanavano i bambini,
quando la gente lo osservava per vedere se avrebbe guarito di sabato un uomo dalla mano
inaridita, quando ha scacciato i venditori dal tempio.
È sano arrabbiarsi quando vengono calpestati dei valori. "C'è una collera santa
contro l'ingiustizia e l'abbiamo lasciata cadere troppo" (Abbé Pierre).
Coerenza tra dire e fare
La maturità di una persona la si coglie quando è capace di armonizzare ciò che
sente-pensa-vuole e ciò fa. Quindi facciamo in modo che tra il dire e il fare non ci sia
di mezzo il mare!
I ragazzini sono molto abili nel cogliere le nostre contraddizioni: "mi dici di
andare a Messa ma tu
"; "dite di volervi bene ma litigate
sempre"
È inutile dare delle regole se almeno non si cerca di viverle. Il
miglior modo per trasmettere i valori è, infatti, la testimonianza. Gesù lo ricorda
spesso: "Non chi dice: Signore
ma chi fa
" (Mt 7,21), "Dai loro
frutti li potrete riconoscere" (Mt 7,20).
A volte abbiamo il mito della volontà: Basta volerlo! È vero, però se non c'è un po'
di armonia tra emozioni, ragione e volontà il volere diventa una camicia di forza e
l'imperativo: "Devo!" un fardello opprimente.
Allo stesso modo armonia non significa affatto: "Faccio quello che sento" e
quindi a una persona antipatica, se mi fa arrabbiare, tiro un pugno sul naso.
È importante però che non ci sia una contraddizione radicale, come quei genitori che
insegnano a rispettare tutti, poi criticano gli altri quando non ci sono e fingono di
essere contenti nell'incontrarli.
È un classico esempio di "doppio messaggio", di contraddizione tra il dire e il
fare. Se avviene ripetutamente l'adulto non risulta più credibile e il bambino rimane
confuso.
Da questa confusione hanno origine fatti sconcertanti di cronaca come la violenza fisica e
sessuale filmata e mandata su You Tube. La risposta è che "quello che più manca
oggi ai ragazzi è un'educazione emotiva" (Galimberti).
I messaggi non verbali
Davanti a un comportamento che non capiamo (un calo di rendimento scolastico, una
chiusura eccessiva, un episodio di bullismo) dobbiamo chiederci che cosa c'è dietro, in
altre parole decodificare il messaggio non verbale che è sotteso.
Prima di rimproverare o punire bisogna chiederci perché si comporta così. Dopo lo si
potrà anche rimproverare ma il ragazzo si sentirà comunque capito (che è diverso dal
giustificare a priori!).
Così è l'atteggiamento di Dio nei nostri confronti: davanti alle nostre debolezze,
errori, peccati fà verità ma non ci condanna: come il Buon Samaritano fascia le nostre
ferite, si prende cura di noi, ci offre il suo perdono con cui ci rinnova la fiducia,
continua a stimarci. Sappiamo per esperienza quanto questo ci fa del bene, ci aiuta a
crescere. Così possa essere anche per i vostri figli!
* psicologa
Sintesi dellincontro con i GF di Pinerolo (TO) a Buriasco, 25/01/09.
Brani per la Lectio:
Si può scegliere uno dei brani citati nel testo.
Domande per la R.d.V.:
Quale immagine ho di me stesso e rifletto ai figli e al coniuge?
Quanto sono coerente tra ciò che sento-penso-voglio e faccio?
Mando doppi messaggi?
Com'è il mio ascolto?
3-EDUCARE I FIGLI ALLA FEDE
Educare i figli alla fede! Montagna insormontabile? Frase per specialisti della
Chie-sa? Titolo di un documento scritto da una diocesi? No.
Semplicemente il titolo di un agile libretto che ha l'obiettivo di aiutare a comprendere
che educare i figli alla fede è possibile per ogni famiglia che abita sulla faccia della
terra, perché il desiderio di Dio è presente in ogni uomo e proprio nella famiglia esso
trova il luogo più idoneo per venire alla luce.
Domanda: e quando un figlio la famiglia non ce l'ha, oppure ne ha due per lo stesso fine
settimana, o se uno dei due genitori è tornato in cielo?
Il credere in Dio cresce in un vivere dell'uomo. Il linguaggio di una famiglia, quando si
racconta, ha il sapore del sugo della cucina, delle bollette da pagare, delle medicine da
prendere, dei figli da seguire, del lavoro precario, del genitore anziano che sta cedendo
il passo alla vecchiaia e tutto ciò che esso comporta, delle camicie da stirare, della
spesa quotidiana da fare, meglio se fatta in un centro commerciale con i buoni sconto alla
mano!
In famiglia si ritorni a trafficare di più Dio.
G. Ruggeri, Educhiamo i figli alla fede, Editrice Tau, Todi (PG), pag. 24, Euro
0,75.
Tel. 075-8980433, info@editricetau.com
4-LINFANZIA INTERROGA IL MONDO ADULTO
I nostri figli hanno bisogno di essere soddisfatti,
ma hanno anche bisogno di realizzare delle cose, di sentirsi utili
di Giovanni Capello*
Come sta la famiglia? Nonostante tutti i profeti di sventura che la davano per
"morta", nonostante le molte separazioni, la famiglia oggi, pur non godendo di
ottima "salute", continua ad essere un punto di riferimento per molti, giovani
compresi.
Dalla famiglia normativa alla famiglia affettiva
Però, rispetto a qualche decina di anni fa, è cambiato il modo di fare
famiglia. Abbiamo assistito al passaggio dalla famiglia "normativa", quella, per
intenderci dove al primo posto vi solo le regole e il loro rispetto, alla famiglia
"affettiva".
Oggi il compito dei genitori sembra dover essere quello di rendere i figli felici, ma
questo non è facile e non è neanche così chiaro che cosa significhi.
Infatti, bisogna distinguere tra felicità e soddisfazione.
Essere soddisfatto (letteralmente: fatto sazio) è aver avuto un bel voto, ricevuto un
regalo, un complimento. Per essere soddisfatto devo ricevere qualcosa dall'esterno. Essere
soddisfatti non è una cosa cattiva: ma se i regali, i complimenti non arrivano che
faccio?
Essere felice (letteralmente: essere fertile) vuol dire che io sono utile a qualcun altro.
Per essere felice devo dare qualcosa di me all'esterno, agli altri.
Se ricevo un regalo sono soddisfatto, se faccio un regalo con il cuore sono felice! Sono
due cose opposte!
I nostri figli hanno bisogno di essere soddisfatti, ricevere complimenti, ma hanno anche
bisogno di realizzare delle cose, di sentirsi utili. È nel loro DNA e noi, sovente, per
evitare perdite di tempo soffochiamo questi loro bisogni. Un bambino piccolo può
impiegare cinque minuti a legarsi le scarpe, noi lo facciamo in trenta secondi e meglio:
ma impediamo a nostro figlio di realizzarsi.
Un mondo individualista
In un recente rapporto Censis De Rita, parlando della società italiana, ha
affermato: "siamo come tanti coriandoli, accanto ma non insieme".
In Italia oggi nessuno pensa più che la "piazza" sia un luogo educativo, dove
la gente si incontra, si scambiano e si confrontano opinioni. Ci sentiamo italiani solo
quando gioca la Nazionale di calcio
e vince!
Lo vediamo sul lavoro: in molti contesti lavorativi non c'è più collaborazione tra
colleghi, non c'è traccia di lavoro di gruppo. E questo vale anche per i nostri ragazzi,
che hanno difficoltà a lavorare insieme, ciascuno è un "coriandolo".
Così abbiamo le famiglie "coriandolo": ognuno vive per proprio conto, ha la sua
vita, non si pranza neppure più insieme. Serve quindi lavorare sulla famiglia perché, se
non lo si fa, la famiglia si rompe. Uno è coppia perché coltiva la coppia, non perché
dorme sotto lo stesso tetto, uno è famiglia perché coltiva la famiglia. È il momento di
impegnarsi per la coppia e la famiglia, riconoscendo che le figure genitoriali sono in
crisi.
Il ruolo della madre
Alla mamma interessa la vita del figlio, al padre i suoi risultati. Così, quando
il figlio torna da una partita di calcio la madre chiede: "ti sei stancato? ti sei
fatto male?"; il padre invece domanda: "avete vinto? come hai giocato?"
Oggi le mamme fanno di tutto per rendere ai figli, soprattutto quelli piccoli, la vita
comoda, sentono il bisogno di essere perfette e vanno in crisi.
Ma ai figli servono delle mamme non proprio perfette, che si sappiano fare desiderare e
non precedano sempre i desideri del figlio, mamme che sappiano anche sbagliare perché
solo così il bambino può crescere.
Fino a cinquant'anni fa si richiedevano due cose alla donna: essere moglie e d essere
madre. Oggi per la donna è tutto più complicato: deve essere moglie, madre e
lavoratrice. Lavorare serve non solo per avere un secondo stipendio ma anche per
realizzarsi. Conciliare maternità e lavoro è difficile, l'inconscio fa fatica a superare
il vecchio modello e, comunque, ci sono sempre le suocere che ricordano che una volta non
si faceva così. Questo fa nascere sensi di colpa, si fa sovente un solo figlio che viene
trattato come un imperatore. Il rischio è che a 25 anni questo figlio non sia autonomo,
non riesca a finire gli studi , a mantenere una relazione sentimentale, ecc..
Il ruolo del padre
Il padre è il terzo, che si interpone tra madre e figlio. È compito del padre
dare dispiaceri al figlio perché deve dire dei NO. Questo è un compito tipicamente
paterno, lo può fare anche la madre, ma è contro la sua natura. È un compito che inizia
quando il figlio ha tre, quattro anni: la moglie affida al coniuge il compito di giudice e
secondino. In questo modo il padre aiuta il figlio a prendere distanza dalla madre e a
crescere.
Ma anche per i padri, come le madri, c'è stato un cambiamento. Oggi sono molto più
soggetti ai ricatti dei figli, dire di no p.e. al motorino può sembrare rendere il figlio
lo sfigato di turno. Questo accade perché i padri oggi sono narcisisti, hanno bisogno di
sentirsi dire che sono bravi. Così la valutazione dei genitori sembra finita nelle mani
dei figli.
Il ruolo di entrambi
I nostri figli colgono l'idea che abbiamo sul modo con cui l'altro/a fa il
genitore.
Se io penso che il coniuge fa bene o fa male il suo mestiere in qualche modo lo manifesto
all'esterno e i figli lo colgono e lo fanno loro.
Per crescere un bambino è necessario che la madre salvi comunque un pezzo del padre e
viceversa.
A questo punto può servire un esempio. È tratto dal romanzo autobiografico di Gabriel
Garcia Marquez "Vivere per raccontarla". Narra, fra l'altro, di un episodio
della sua fanciullezza in cui ritorna a casa fradicio dalla testa ai piedi e trova ad
aspettarlo la mamma. E continua: "alla fine mi aiutò a togliere i pantaloni zuppi e
li gettò nell'angolo con il resto degli indumenti. - Tutti voi diventerete uguali a
vostro padre - mi disse all'improvviso con un sospiro profondo mentre mi massaggiava la
schiena con un asciugamano (e questo sembra un rimprovero) e finì con tutta l'anima - e
Dio voglia che siate pure dei mariti come lui" (che bel giudizio!).
Suggerimenti
Se è vero che oggi è molto difficile fare il genitore serve ricordare che ci
sono dei modi molto interessanti per affrontare queste difficoltà.
Uno di questi è raccontare le nostre storie, quelle della nostra famiglia, della nostra
coppia, come ci siamo conosciuti, innamorati, ecc. Non siamo più abituati a queste cose
perché oggi le storie le racconta la televisione. Forse servirebbe tenere più spenta
quella "scatola di illusioni" e parlare di più: ai bambini piace ascoltare
storie.
E poi, perché non sfogliare gli album di foto con le nostre fotografie (non quelle dei
figli!) e raccontare: dove la foto è stata fatta, chi c'è nella foto, qualche
particolare curioso?
Raccontare serve perché nella nostra storia c'è il loro futuro.
* psicologo e psicoterapeuta
Tratto da "Scuola di famiglia", organizzato dall'ass. Spazio Genitori
di Torino, incontro del 18 gennaio '08.
Sito: www.spaziogenitori.org
5-NOSTRO FIGLIO STEFANO
Stefano ha diciassette anni ed è il nostro secondogenito.
Stefano è un ragazzo bellissimo, occhi azzurri, un sorriso che attira simpatia,
affettuosissimo, anche troppo, perché le sue manifestazioni sono un po' troppo irruente
(pizzicotti, morsi e schiaffi al posto di baci e carezze). Questo perché Stefano è un
ragazzo diversamente abile, è epilettico e autistico, non comunica verbalmente ed ha un
grave ritardo mentale, che lo porta a non rendersi conto dei pericoli; deve essere tenuto
sotto controllo tutto il giorno.
La nostra vita, con il suo arrivo, è stata completamente stravolta. Le altre famiglie
attendono le ferie estive come la manna, sapendo di potersi finalmente riposare o svagare,
per noi le vacanze sono sempre più un corso di sopravvivenza.
Abbiamo avuto aiuto, in maniera considerevole, soprattutto dai nonni e dalla scuola. La
scuola è attualmente il nostro partner privilegiato sia a livello educativo che
supplettivo. A questi si affianca una rete di amici, parenti e conoscenti, che ci danno
una mano con Stefano, dandoci modo di uscire qualche volta come coppia alla sera, e
permettendoci, tra l'altro, di partecipare al gruppo famiglia parrocchiale.
Questo ci ha aiutato a non chiuderci come coppia nei nostri problemi e di poter contare su
una bella rete di amici sia per momenti di svago e ricreazione, sia in termini di crescita
personale e di coppia, nella vita di fede come nella crescita umana.
Comunque per me Stefano non è una "croce", ma un adoratissimo figlio. Io guardo
a Stefano come se fosse un messaggero dell'Invisibi-le, perché le persone come lui ci
fanno riflettere un po' di più sul senso della vita e su ciò che facciamo.
Alcuni mi dicono: "ma come puoi credere in Dio dopo che ti ritrovi in questa
situazione?". E invece, per assurdo, è proprio questa situazione che fa crescere la
fiducia e la speranza che ho in Lui: non ho mai sentito, come adesso, di fare parte di un
progetto più grande, che non comprendo ora, ma che in futuro si spiegherà.
Marianna
6-LADOLESCENZA INTERROGA IL MONDO
ADULTO
Come adulti siamo responsabili non solo di come facciamo funzionare il mondo
ma anche di come lo presentiamo ai nostri ragazzi
di Giovanni Capello*
Parlare di adolescenti significa parlare soprattutto degli adulti che li circondano.
Trattando dell'infanzia ho tralasciato un altro errore che possono commettere le madri,
legato al ruolo che ha assunto la donna nel mondo del lavoro: quello di voler rendere al
più presto autonomi i figli, per potersi impegnare in carriera senza provare sensi di
colpa. Si vuole che i figli diventino grandi in fretta e loro ci riescono benissimo. Ma
quando sono adolescenti hanno esigenze e atteggiamenti da adulti che i genitori e gli
insegnanti non riescono più a gestire.
Il bullismo
Ricordate certo lo scandalo sollevato dal filmato apparso su You Tube in cui si
mostravano alcuni adolescenti che maltrattavano un loro compagno di scuola handicappato.
Interrogati in provveditorato gli interessati hanno risposto: "ma cosa abbiamo fatto
di male?". Non c'era in loro alcuna percezione del male compiuto, delle sofferenze
procurate.
Questo non è un modo di pensare isolato, molti giovani sono incapaci di mettersi nei
panni dell'altro, pur senza arrivare a compiere così grosse sciocchezze. Questa
incapacità non dipende solo da loro ma anche da come noi adulti - e qui intendo tutti i
soggetti interessati: genitori, insegnanti, educatori, TV, ecc. - li abbiamo educati.
I nostri ragazzi vivono lo stessa realtà che viviamo noi, i loro valori sono quelli che
noi viviamo. Se sono così è perché noi adulti, per primi, facciamo fatica a cogliere il
punto di vista dell'altro, siamo individualisti. Infatti, il bullismo è un fenomeno molto
esteso e riguarda anche gli adulti, p.e. l'ambiente di lavoro, anche se non lo chiamiamo
così.
Una questione di giustizia
Il bullismo non è un problema di regole ma di giustizia. Ciò che scatena
l'aggressività nelle persone e le autorizza a fare i propri comodi a scapito degli altri
è un diffuso sentimento d'ingiustizia. Quello che manca oggi è una giustizia che
funzioni e che le regole civili siano rispettate.
Ma per far giustizia bisogna che gli adulti siano giusti, coerenti, affidabili. Che
influenza abbiamo sugli adolescenti? A prima vista nessuna; perché loro fanno di tutto
per farcelo credere. Invece, noi adulti siamo molto importanti per gli adolescenti, le
nostre scelte, il modo con cui facciamo funzionare il mondo, ha una ricaduta sul loro modo
di vedere il mondo e sul loro modo di vivere la giustizia.
Proteggere i figli
Penso che siamo tutti d'accordo se affermo che una delle azioni più importanti
che un genitore possa fare verso i figli sia quella di proteggerli.
Proteggere può voler dire soccorrere, difendere e molti lo intendono così, per cui alla
prima nota che il figlio riceve si va subito è dall'insegnante a protestare.
Proteggere, però, può anche voler dire favorire un'attività cercando di incrementarla.
Cosa va incrementato nei giovani perché diventi un fattore di protezione? L'autonomia!
Dobbiamo insegnare loro ad uscire dalla famiglia, ad avere relazioni esterne, aiutarli a
sentirsi cittadini del mondo.
E la sicurezza?
Ma il mondo è da molti sentito come ostile, pericoloso. Mai come oggi c'è stato
un forte bisogno di sicurezza.
La sicurezza è un bene stabile quando ci si sente in compagnia di amici e non di nemici.
Ma se si popola il mondo di nemici non si potrà che avere più paura e non ci saranno mai
abbastanza poliziotti. I poliziotti possono dare protezione ma la sicurezza è un'altra
cosa. È uscire di casa senza temere di essere aggrediti, rapinati, ecc. Come adulti siamo
responsabili non solo di come facciamo funzionare il mondo ma anche di come lo presentiamo
ai nostri ragazzi.
Le responsabilità degli adulti
Hannah Arendt, una filosofa tedesca, in un libro dedicato agli insegnanti del
1960, fa questa affermazione - che vale per tutti gli adulti che si misurano con dei
giovani: "Gli educatori rappresentano di fronte al giovane un mondo del quale devono
dichiararsi responsabili, anche se non l'hanno fatto loro e anche se lo desiderassero
diverso. Questa responsabilità è implicita nel fatto che gli adulti introducono i
giovani in un mondo che cambia di continuo - figuriamoci oggi! -. L'insegnante si
qualifica per conoscere il mondo e per essere in grado di istruire altri in proposito
mentre è autorevole in quanto di quel mondo si assume la responsabilità".
Quanti si lamentano di non essere più autorevoli, come se questa dote ce la potessero
dare solo gli altri e non dipendesse da noi!
Quello che ci rende autorevoli verso i ragazzi è il farsi carico del mondo degli adulti e
di presentarlo loro.
Mi ricordo, durante i funerali dei bambini dell'asilo crollato a San Giuliano di Puglia di
una donna che alla fine della cerimonia ha preso il microfono e ha detto: "io sono la
mamma di Luigi ma anche la mamma di tutti questi bambini, di tutti i bambini, e queste
cose non devono più succedere".
Questa donna, semplice, ha compiuto un salto di responsabilità notevole, ha parlato non
solo come mamma di Luigi ma come mamma della generazione di suo figlio.
I figli ci ascoltano
Siamo, seppure inconsapevolmente, mediatori tra gli adolescenti e la realtà.
Quando siamo a tavola i figli sembra che non ci ascoltino, ma colgono i nostri commenti su
quanto passa in TV, su quello che diciamo tra noi adulti.
Non si tratta di stare zitti ma di essere più responsabili.
Quando giocano a calcetto in un campo di periferia ascoltano quanto noi diciamo - o
urliamo - ai genitori dellaltra squadra, allallenatore, allarbitro.
Questo sovente è un adolescente che viene apostrofato nei modi peggiori.
Non è una questione etica, ma educativa: attraverso quanto dico e faccio trasmetto ai
giovani il mio modo di intendere il mondo, lo stile dei miei rapporti con gli altri.
Suggerimenti
Cambiare la situazione non è cosa facile ma non impossibile. Il sociologo De
Rita suggerisce: le soluzioni possono venire solo dalle minoranze, e la famiglia è
minoranza.
Quando una famiglia si mette con altre famiglie, di parenti o di amici, non solo per far
festa ma anche per confrontarsi, si creano occasioni.
Coltivare relazioni buone, positive è un vero investimento educativo.
* psicologo e psicoterapeuta
Tratto da "Scuola di famiglia", organizzato dall'ass. Spazio Genitori
di Torino, incontro del 9 febbraio 2008.
Sito: www.spaziogenitori.org
L'autore ha pubblicato, a fine 2009, un libro dal titolo: Guardami negli occhi quando
dici no, edito da Effatà Editrice, in cui i temi trattati in questo articolo sono
sviluppati in modo approfondito.
Per saperne di più sul libro: http://www.effata.it/Libri/Famigliaedintorni/guardaminegliocchi.html
A questo indirizzo troverete la scheda del libro e alcuni dati sull'autore.
Per saperne di più sull'editore: info@effata.it, www.effata.it
7-EDUCARE I FIGLI DEGLI ALTRI
Serve unalleanza tra scuola e famiglia
Sembra un sogno... genitori e insegnanti che si parlano per il bene dei ragazzi: è la
cosa più necessaria al mondo, ma non è così frequente.
Di solito tutto si risolve in comunicazioni del tipo: "tutto bene signora"
oppure nella lista delle cose da fare: "controlli che..." "lo faccia
studiare, altrimenti...". Cose che hanno poco a che fare con il dialogo, con la
consapevolezza che famiglia e scuola sono risorsa l'una per l'altra e che il tempo che i
ragazzi passano in queste due realtà è gran parte della loro giornata.
Cosa impedisce che questo avvenga?
Innanzitutto dobbiamo essere convinti che di mezzo c'è la vita dei nostri figli: senza la
scuola vivrebbero lo stesso ma avrebbero molte meno possibilità di conoscere se stessi e
il mondo che li circonda.
Se così fosse, tutti saremmo disposti a dedicare più tempo a parlare dei nostri figli:
senza dialogo non è mai lo stesso.
Occorre chiedere con insistenza che ciascuno si assuma le proprie responsabilità verso le
generazioni future, occorre perderci tempo, serve pretendere che gli insegnanti dedichino
tempo anche ai genitori.
Ma noi genitori siamo in difficoltà soprattutto perché raramente pensiamo che i nostri
figli non sono solo nostri. Non li cresciamo solo noi ma tutte le persone che incontrano:
ad alcune li affidiamo consapevolmente, ad altre meno. Pensiamo ai nonni e agli amici.
Occorre stringere un'alleanza educativa con gli altri adulti, almeno quelli a cui
intendiamo affidarli e chiedere loro di essere educatori e non solo insegnanti o animatori
o allenatori. Comunque la pensino saranno un modello per nostro figlio, meglio che
sappiano come la pensiamo.
Don Milano ha scritto: Un vero educatore ha sempre delle soddisfazioni piccole o
grandi e sa vedere i segni di speranza e di onestà dove gli altri non vedono.
Antonella e Renato Durante
8-PERCHÉ I SOGNI DEI GIOVANI NON DIVENTINO
UNA TRAPPOLA
Come adulti siamo chiamati ad accompagnare i nostri ragazzi
per aiutarli a passare dal sogno alla responsabilità
di Luigi Ciotti*
Educare è parola sospetta perché ancora nella testa di troppi c'è l'idea che c'è chi
educa e chi è educato.
Educare vuol dire invece fornire gli strumenti, accompagnare, perché i ragazzi non sono
dei contenitori da riempire ma persone che devono essere messe in grado di costruire un
loro percorso di autonomia. Hanno fantasia, creatività, intelligenza, capacità.
Questo modo di educare, accompagnare, è molto più faticoso che limitarsi a trasmettere
le nostre idee, le nostre convinzioni perché sottintende l'esigenza di un'educazione
permanente.
Essere analfabeti
Educare vuol dire innanzitutto conoscere. Sono avvenuti dei cambiamenti attorno a
noi con una velocità impressionante che ci impongono - è paradossale dirlo - di essere
analfabeti. Essere analfabeti significa che nessuno può sentirsi mai a posto, mai
arrivato. C'è il dovere di studiare, di approfondire, di documentarsi. C'è un bisogno di
continue conoscenze, continui stimoli, continui confronti. Non possiamo accontentarci di
quello che si è appreso, dobbiamo sempre sentire dentro di noi la voglia di una sana
curiosità. Ci vuole coraggio e forza da parte di tutti di essere analfabeti: dobbiamo
avere paura di chi ha capito tutto e di chi sa tutto.
Dai sogni alla responsabilità
I ragazzi sono persone attive, ognuno di loro è irripetibile. Con loro è
importante confrontarsi, produrre sapere, imparare a leggere la realtà.
Soprattutto, noi dobbiamo aiutarli a passare dai sogni alla responsabilità.
I sogni sono molto forti nell'età giovanile. Sognare a tutte le età, ma specialmente in
epoca di crescita, è importante. Sognare è utile al vivere, alimenta gli ideali,
l'utopia, ma anche la speranza, il futuro. Il sogno è tensione, è fiducia nelle proprie
possibilità, è voglia di cambiare le cose.
Ma oggi viviamo in una società dove l'informazione, la televisione, la pubblicità spesso
ti vogliono "rubare" i sogni. Perché alimentano un immaginario dove tutto è in
funzione di un mercato che ti fa sognare, desiderare. Ma sono trappole che rendono il
sognare un alibi per scappare dal presente.
Allora il bombardamento di immagini che tutti i giorni entrano in casa nostra - dove ciò
che conta è l'apparire, è il denaro, è la forza, è la bellezza a oltranza, è il
potere, è il possesso - intrappola i sogni perché rischia di allontanarti dalla realtà.
Oggi i nostri ragazzi sono sommersi da un mondo virtuale. Chi li aiuta a calare il
virtuale nel reale?
Siamo chiamati ad accompagnare i sogni dei nostri ragazzi, ad "esserci" per
aiutarli a fare il passaggio dal sogno all'assunzione di responsabilità, ad aiutarli a
leggere le trappole che rischiano di schiacciare i loro sogni.
Dal virtuale al reale
Paradossalmente, anche i suicidi dei 15,16enni riflettono questa confusione tra
reale e virtuale. Quando leggo sui giornali di queste ragazzine che mandano gli sms a
tutte le amiche in cui dicono che si ammazzano mi viene il dubbio che non abbiano la
percezione che quel gesto è per sempre, che non è virtuale.
Una di queste ragazzine ha inviato questo sms agli amici: "Scusate, vivo una vita che
non è la mia, se non fossi nata sarebbe lo stesso. Io ho avuto il coraggio di farlo, poi
si vedrà", poi si vedrà, capite? Non c'è la percezione che è per sempre. Che dopo
non si vedrà più niente!
Dobbiamo aiutare i ragazzi a liberare i veri sogni, da non confondere con tutto
quest'"altro" che ci circonda, e soprattutto con un virtuale che dobbiamo
aiutare a tradurre nella realtà. È una nuova sfida educativa.
Educarci a consumare
Oggi più che mai dobbiamo educarci a consumare perché il rischio è di
consumare noi stessi. Sprechiamo energie, denaro, forze, tempo, si sprecano cibi.
Mi sono reso conto che non basta fare la teoria dell'educazione ambientale, pur
importante, o incoraggiare la raccolta differenziata dei rifiuti, pur necessaria. Non
basta che differenziamo se prima sprechiamo.
Se si dà troppo importanza alle merci, agli oggetti, si finisce per non attribuirne
alcuna a ciò che non è palpabile ma che rimane vitale, anche se non ce ne ricordiamo a
sufficienza: il senso delle cose, la ricerca dei significati, la dimensione spirituale,
gli interrogativi su ciò che c'è prima, dopo e sopra di noi. Riflettere vuol dire
propriamente voltare lo sguardo all'indietro, guardare dentro di sé. Dobbiamo avere la
forza di guardarci dentro e di cercare la verità.
Per questo dico che la dimensione di educarci a consumare è una dimensione di giustizia.
Il consumo tira in ballo i rapporti tra economie, tra lavoratori di diverse nazioni, tra
popoli. Attenzione quindi a quella "libertà totale" che rifiuta il limite
dell'etica e non si pone l'argine del bene comune e della condivisione equa delle risorse.
AIUTARE A CRESCERE
La chiave di tutto sta in pochi elementi, prettamente educativi.
Il primo, che per me è quello fondamentale, è la relazione.
L'ascolto e il confronto
La relazione è il mezzo per crescere, per capire, per progettare insieme ai
nostri ragazzi. Che vuol dire l'ascolto, vuol dire la comunicazione, vuol dire il
confronto fatto nelle piccole cose.
Quando gli insegnanti sanno stimolare l'intelligenza, la creatività, la fantasia,
riescono a far emergere le capacità e le risorse che sono dentro la persona. E i ragazzi
hanno bisogno di trovare degli adulti veri, credibili, coerenti. Non cercano persone senza
difetti, ma persone ricche di passione, capaci di relazione, capaci di scommettere su di
loro.
Riconoscere le competenze
Ma, attenzione, c'è un secondo passaggio. È importante riconoscere ai ragazzi
le loro competenze. C'è il rischio di una società adultocentrica. È sempre un mondo di
adulti che rischia di decidere, di fare. I ragazzi devono essere aiutati a capire che
anche loro possono fare la loro parte, che anche loro possono portare il loro contributo a
un cambiamento. E il cambiamento inizia dagli stili di vita, dalle azioni minori. Non
appartiene solo alla politica.
Dare spazio alle emozioni
Un altro elemento importante in una società come questa è che un educatore deve
dare spazio alle emozioni e ai vissuti. Dobbiamo stimolare, ascoltare, riuscire a entrare
in risonanza con le emozioni e i vissuti dei ragazzi. Che a noi possono apparire banali,
ma quando hai 15 anni sono vitali.
Uno degli aspetti su cui chiedo oggi molta attenzione a tutti sono le domande mute, non
solo quelle espresse. Le domande aggressive le cogli, quelle mute invece non fanno rumore.
Ci sono persone che sono molto silenziose, e tu devi intuire quando dietro quel volto c'è
una fatica.
Ritrovare il senso dell'altro
Ma c'è un altro punto chiave in una società che è ripiegata su se stessa.
Dobbiamo aiutare i ragazzi a vivere la dimensione soggettiva ma anche quella collettiva.
Non ci sei solo tu, i tuoi problemi, le tue sicurezze. Ci sono anche gli altri. È l'altro
che ci misura e ci dà il metro di noi stessi. Non solo come singoli, ma anche come
società.
Questa è una società che lascia alle sue spalle centinaia di migliaia di persone. Una
società dove i ragazzi denunciano la paura di non farcela, dove un'alta percentuale di
persone soffre di depressione. Io non sono un tecnico, non sono un esperto, non sono un
economista, non sono un insegnante, ho una laurea in scienze confuse. Però ogni giorno
credo nell'incontro con i ragazzi, con le scuole, con gli insegnanti, con i genitori.
* presidente del Gruppo Abele e dell'associazione Libera. Sito: www.gruppoabele.org
Tratto da Quaderni di Animazione Sociale, aprile 2006. Sintesi della redazione,
non rivisto dall'autore.
9-QUANDO LA TV CI FA POVERI
In Italia 30 milioni di persone non leggono né un giornale né un libro, e vivono di
sola televisione, che è fatta di intrattenimento e pubblicità, di giochi e giochetti, di
spettacoli ed evasione. Una televisione che stimola, non educa. Ci stiamo impoverendo. Le
stesse fiction, penso a quelle sulla mafia, sono di una pericolosità impressionante
perché hanno in sé tre rischi.
Il primo rischio è che passi il messaggio di una piovra invincibile. Il secondo è di
creare gli eroi. L'eroe ti commuove, ma allo stesso tempo lo senti distante e fa nascere
in te la delega: "combattere la mafia non è compito mio". Il terzo rischio è
che passi il messaggio: "è sempre stato così, ci si deve rassegnare...".
Invece è importante costruire il messaggio di speranza che questi problemi possono essere
affrontati con la responsabilità di tutti.
Sono tre atteggiamenti che devono essere sconfitti. La televisione purtroppo li ha molto
alimentati. Penso che se fosse riempita di contenuti con più attenzione educativa,
potrebbe dare una mano alle persone a crescere e ad assumersi la loro quota di
responsabilità.
Perché la televisione ha una funzione educativa, non ha solo il ruolo di intrattenere,
divertire o vendere prodotti. Oggi abbiamo invece una TV costruita in funzione del
mercato, in cui ciò che conta è la gara tra reti per avere più audience e quindi più
pubblicità. Una televisione nella quale, pur di catturare spettatori, si stanno perdendo
una serie di contenuti, di ricchezze.
Paradossalmente nell'era della grande comunicazione, della grande tecnologia, noi abbiamo
una nuova grande povertà: la povertà dell'informazione, dell'informazione seria. Però
l'informazione ha bisogno di verità, di approfondimento, di linguaggi accessibili per
essere fruita da tutti.
Luigi Ciotti
10-Impegnarsi come coppia fuori casa è
possibile... con qualche aiuto!
PASSARE IL TESTIMONE, DAI GENITORI AI FIGLI
Se torno con la mente ai tempi dell'infanzia, tra i tanti ricordi vi è anche quello
dell'impegno dei miei genitori, attivi in parrocchia, nel movimento di cui fanno parte,
nelle realtà locali. Queste attività fuori famiglia erano vissuti da noi figli a volte
con un po' di fatica - mia mamma ricorda bene il biglietto che le abbiamo messo davanti
durante una telefonata con su scritto "ci siamo anche noi" -, a volte con
entusiasmo.
Questi ritmi di vita sono poi diventati un po' anche i miei e, a partire dall'adolescenza,
la mia vita si è riempita di tante attività. Proprio in una di queste occasioni, nel
2000 ho conosciuto Francesco, ci siamo innamorati, abbiamo deciso di progettare insieme il
nostro futuro e nel 2003 ci siamo sposati.
Francesco non arrivava da un'esperienza familiare come la mia, ma il desiderio di non
"smettere" con quella vita piena e bella che ci aveva fatto crescere ed
incontrare era forte in entrambi.
Ovviamente i ritmi sono diversi a seconda dei vari momenti, soprattutto con l'attesa e la
nascita dei figli, ma le occasioni non sono mai venute meno e il nostro "non tirarci
indietro" ci ha fatto capire che "si può fare" anche con i ritmi
lavorativi impellenti - a cui soprattutto Francesco non è mai venuto meno - e con tutto
ciò che comporta il far crescere ed educare dei figli.
Nel 2007 abbiamo iniziato l'avventura della nascita del Forum delle associazioni familiari
della nostra provincia fino a diventarne Presidenti.
A questo punto l'impegno era serio e il desiderio di viverlo seriamente vero, per cui ci
siamo posti delle domande concrete su come gestire le serate, gli incontri, gli
appuntamenti, le telefonate compatibilmente con la vita di casa, con le nostre bimbe
ancora piccole e con tutto il resto, lavoro, parenti, amici, parrocchia, sport, ecc.
Il ricordo dell'esperienza vissuta nella mia famiglia d'origine è tornato subito alla
mente ed immediato è stato rivolgersi a quei nonni, che fortunatamente abitano vicino,
che sono sufficientemente in salute, e che, soprattutto, condividono lo spirito di
servizio con cui abbiamo deciso di accettare questo incarico.
In questi anni ogni tanto è stato necessario correggere il tiro, come quando abbiamo
deciso di ridurre il mio orario di lavoro per poter dedicare una mattinata intera
all'ufficio del Forum, però fondamentale ha continuato ad essere l'appoggio dei nonni,
che come dicono loro "sono contenti di fare i nonni per poter far andare avanti noi
famiglie giovani", come hanno fatto loro da giovani.
In questo passaggio di staffetta tutto sembra naturale e ci pare che anche i rapporti tra
noi coppia, con i nostri genitori e suoceri, tra i nonni e i nipoti funzionino forse
proprio perché a passare da una generazione all'altra non sono solo gli impegni, ma
soprattutto lo spirito che li accompagna e che forse arriva da più lontano ancora, dai
nonni e bisnonni e che speriamo di trasmettere con lo stesso entusiasmo ai nostri figli e
nipoti.
Paola Loffredo
11-Sovente non serve insegnare, ma dare
lesempio
SAPER FARE LA PASTA IN CASA
Sapete che sono capace di fare la pasta "fatta in casa"?
No, non preoccupatevi, non sono matta!
Riflettevo sul fatto che se sono capace di farlo, non è perché mia madre e mia nonna mi
hanno insegnato come si fa, ma quando ero bambina l'ho visto fare da loro tante volte, e
quando ho avuto una famiglia mi sono ritrovata a saperlo fare, grazie al loro esempio.
È qui che volevo arrivare, l'esempio: è difficile avere riscontro nei ragazzi, difficile
trovare spazio per farsi ascoltare e capire da loro, difficile parlargli di Dio, difficile
che quello che gli arriva di positivo porti i suoi frutti subito
ma possiamo dargli
l'esempio.
Non saranno ragazzi in eterno, e non avranno sempre i timpani del cuore assordati dalla
musica "a palla", e dalla rabbia, arriverà il momento che si fermeranno un
attimo a pensare, e se avranno avuto delle mamme, delle nonne, o chissà chi altro che gli
avrà dato una testimonianza vera, di vita basata non sulla parola amore, ma sull'amore
vero, vissuto, donato, crocifisso
allora magari ricorderanno qualcosa che gli sarà
rimasta nel cuore, magari in fondo in fondo, che salirà su al momento giusto, e sapranno
che magari nella vita c'è qualcosa che può colmare quel vuoto che hanno sempre sentito,
ma che hanno tentato inutilmente di riempire con cose sbagliate.
Non si può sperare di cambiare le cose in un attimo, di vedere subito i frutti, ma
possiamo fare quel poco che riusciamo, cominciando da noi stessi.
E se crediamo sia inutile perché poco, pensiamo alle parole di madre Teresa di Calcutta:
Tutto ciò che facciamo
non è che una goccia nell'oceano,
ma se non la facessimo
l'oceano avrebbe una goccia in meno per sempre
Laura
Dal blob: www.paolocurtaz.it/2009/06/i-ragazzi-del-kebab/
12-Un parroco ci parla dei gruppi familiari
COME UNA TORTA SALATA...
Un piatto semplice, facile da preparare, sempre diverso, sempre nuovo
di Natale Castelli*
Per esprimere come io parroco vivo la presenza dei gruppi familiari in parrocchia userò
un paragone non molto nobile, ma certamente molto noto: la torta salata. Non si sa se sia
nato prima il gruppo familiare o la torta salata, ma certamente con il diffondersi dei
gruppi familiari si è diffusa la consuetudine della torta salata...
Essa è l'alimento base che eleva la qualità della cena frugale nella serata di gruppo.
Anche il parroco se ne nutre, della torta e della spiritualità familiare. La possiamo
considerare come specchio del gruppo familiare, viste le caratteristiche, o meglio le sue
virtù che, secondo il più classico degli schemi, sono sette:
1. Innanzitutto gli ingredienti principali della torta salata sono semplici: farina e
acqua, gli elementi che fanno il pane e le ostie e aiutano a far comunione. Così nel
gruppo familiare c'è un sovrappiù di comunione rispetto a una catechesi o ad un
Consiglio pastorale: parlando del Vangelo o di un testo spirituale si parte dalla vita, si
condivide un'esperienza, non si programma qualcosa "per dopo".
Il gruppo familiare non è funzionale ma è gratuito.
Il Vangelo non è mirato a un risultato ma è irrigazione a pioggia, è arare la terra.
Poi, che il contadino vegli o dorma, il seme cresce da sé. Come quando si fa la Comunione
a Messa, non la si fa per ottenere questo o quel risultato (a questo è adibita
l'accensione della candela): ci pensa Gesù a procurare i frutti.
Quindi nel gruppo familiare ci si prende cura di sé, delle relazioni. Si impara a lasciar
parlare, ad ascoltare.
Il parroco lo fa nella Confessione, ma attraverso il gruppo familiare impara a farlo anche
nella comunità.
2. Poi, come per la pizza, sulla torta salata ci si mette di tutto.
Così nel gruppo familiare c'è arricchimento tra vocazioni che intervengono alla pari,
quella sponsale e quella sacerdotale. Si lascia spazio alla vocazione degli altri.
Il parroco non è il fulcro degli equilibri, né è tenuto a intervenire per ultimo, quasi
a riassumere il senso del tutto o a pronunciare il motto risolutivo.
Anzi spesso si ritrova la predica già pronta e una coppia di sposi ascolta volentieri, la
domenica a Messa, una propria intuizione spacciata dal parroco come propria.
3. La torta salata è agile da preparare. Analogamente il parroco partecipa senza sforzo
al gruppo familiare perché non è un impegno in più di cui caricarsi, anzi per una volta
si riposa.
Per questo non fa la sua apparizione a salutare per poi correre a occuparsi di cose più
importanti, ma si ferma tutta la sera. È bello ritrovarsi. Non è un incontro tecnico,
quindi non si litiga su questioni parrocchiali o liturgiche.
4. La torta salata si presenta integra, poi si taglia. Il parroco sogna la parrocchia come
una torta intera e non a fette, comunità di relazioni familiari e non fucina di
iniziative, casa di famiglie e non azienda di specialisti.
Il potere sulle fette non è concupiscenza solo dei politici, ma anche dei parrocchiani
stagionati.
Così la cura della famiglia non è una fetta della pastorale, da amministrare accanto o
contro altre, la cura della famiglia è icona della cura della parrocchia, è il clima
della Chiesa. E il gruppo familiare è il climatizzatore.
Il parroco vede nel gruppo familiare un inizio di questo sogno.
5. La torta salata è il piatto costante e essenziale nella varietà dei menù: ogni
gruppo ha la sua torta. Ogni gruppo è contento di come è perché ha l'essenziale quindi
non invidia gli altri. Così il problema non è se i gruppi siano aperti o chiusi, ma se
ci si aiuta a farne nascere di nuovi.
Un nuovo gruppo non ruba spazio a un vecchio gruppo (mentre quando si gestisce gelosamente
un incarico si ha paura di essere derubati da un nuovo venuto).
È un modo per imparare a gioire con chi gioisce; in fondo, piangere con chi piange non
richiede particolari doti.
Il parroco è felice quando nasce un nuovo gruppo e lo presenta ufficialmente alla
parrocchia. Anzi lo inserisce nel calendario parrocchiale per non far mancare la sua
presenza.
6. La torta salata rivaluta gli avanzi della settimana, promuovendoli al rango di
ingredienti.
Nel gruppo familiare si lascia spazio al vissuto del mese, al racconto. Il parroco
raccoglie tutte queste briciole preziose nella sua bisaccia e impara a essere lì come
ospite perché lui è di passaggio nella parrocchia mentre le famiglie la abitano. Il
parroco riassapora nel gruppo l'accoglienza dei primi tempi in cui i parrocchiani lo hanno
introdotto in una storia che lo precedeva e che rimarrà dopo di lui. Non aveva ancora
preso possesso degli spazi, sottraendo responsabilità: nel gruppo familiare si ricorda
che ritraendosi può lasciar crescere, come un papà fa con il figlio.
7. Infine le massaie attestano che con l'esperienza la torta salata si arricchisce in
creatività: allo stesso modo il gruppo familiare non ha scadenza (come, del resto, il
matrimonio).
Il parroco non teme il dimezzamento del numero a ogni riunione, come quando fa le sue
catechesi: nel gruppo familiare sa che troverà sempre una casa abitata.
*parroco di Solbiate Arno (VA)
Tratto dal sito: www.famiglieronco.genteinrete.net
(per gentile concessione di Ascoltiamoci.it, dal 2001 dialogo e cultura cattolica)
13-I FIGLI NEI GRUPPI FAMIGLIA
Anche loro si sentono protagonisti dei GF!
Appena ci capita tra le mani una rivista cattolica, ci piace scorrere le
pagine per curiosare le proposte per incontri, week end e settimane estive di
spiritualità coniugale. A conclusione del trafiletto che presenta l'incontro, oltre ai
temi, relatori, date, luogo e referenti viene solitamente specificato se ci sarà un
servizio di baby sitter, o animazione bambini; ma a volte capita di trovare specificato:
senza figli!
A noi dei gruppi famiglia questa sottolineatura suona un po' stonata, proprio perché il
nostro incontrarci è appunto della famiglia, il più possibile al completo, anche se a
volte i più piccoli sembrano dar fastidio... ma fastidio a chi? La maggior
parte dei partecipanti prima o poi hanno avuto l'esperienza dei figli piccoli! Ecco allora
che la presenza dei figli diventa occasione di arricchimento per tutti: anche i figli
conoscono le coppie che condividono i momenti di ascolto e di confronto con mamma e papà;
sono i figli che a volte legano nuove amicizie coinvolgendo anche i genitori.
I bambini poi, si sa, sono una fonte di simpatia e spontaneità, per cui là dove i grandi
sembrano timidi o faticano a relazionarsi tra gente nuova (è il caso dei
campi estivi, dove a volte non si conosce nessuno), i figli riescono a rompere il ghiaccio
prima ancora che noi ce ne rendiamo conto e, se noi ci sentiamo ancora un po' persi, loro
sono già lì che chiedono: Il prossimo anno veniamo ancora!?.
Quando poi i figli non sono più piccoli, ma entrano nella fascia scolastica, per loro il
giorno fissato per l'incontro del gruppo è il momento di ritrovare gli amici, di stare
con gli animatori, di fare giochi, canti, bans, di inventare e costruire qualcosa da
regalare a mamma e papà, insomma anche loro si sentono protagonisti dei gruppi famiglia!
Cos'altro possiamo dire
pensiamo che quello che abbiamo raccontato di ciò che si fa
nei gruppi famiglia sia sufficiente per comunicare l'idea fondante: crediamo nella
famiglia formata dalla coppia e dai figli, nati dal suo amore!
famiglia Brambilla
14-Un modello per ogni famiglia
Maria, Giuseppe e leducazione di Gesù
... e quella dei nostri ragazzi
di Giovanni Giavini*
"Gesù ascoltava, interrogava, rispondeva... e i suoi stessi genitori restavano
sta in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini" (Lc
2,46c.48a.51b.52).
Un Pierino ebreo a Nazaret
Partiamo da queste meravigliose frasi del vangelo di Luca su Gesù dodicenne per
orientare genitori ed educatori nell'arduo ma gioioso impegno di far crescere ragazzi/e
come uomini, come discepoli, come testimoni di qualcosa di grande e di bello innanzitutto
proprio in famiglia, ma anche in parrocchia e, nel rispetto delle sue finalità, anche a
scuola.
Immaginiamoci nella casa di Nazaret un sabato. Il ragazzetto Jehòshua chiede a papà e
mamma perché si sta festeggiando il sabato, perché si va alla sinagoga a leggere certi
rotoloni "sacri" e a pregare e a cantare insieme con altra gente del villaggio.
O a pasqua: perché l'agnello pa-squale, le uova, il pane azzimo, meno buono di quello
solito del fornaio, e addirittura le erbe amare? E perché si spezza il pane?
Era prescritto dalla legge che i ragazzini domandassero e i genitori rispondessero (Es
12-13): così si rinfrescavano tutti insieme la memoria delle mirabili opere del loro Dio,
che con quei riti essi rivivevano e rilanciavano verso un futuro sabato eterno e verso una
pasqua di alleanza nuova, per loro e per tutto il popolo. In tal modo i figli crescevano
non solo in età ma anche in sapienza e grazia.
Pagine simili si ritrovano anche altrove nell'Antico Testamento e ci permettono di avere
un'idea abbastanza concreta della vita di casa di quei tempi, anche della casa di Nazaret.
Lasciamo invece in soffitta i vangeli apocrifi con le loro mirabolanti fantasie su Gesù
bambino.
Ma un Pierino fuori serie
Ma a Nazaret c'era qualcosa di più. Certo, ogni figlio/a è sempre anche un
mistero da rispettare, scoprire, educare; ma Gesù era mistero-super, per gli stessi
Giuseppe e Maria.
Possiamo immaginare quante volte quei genitori si saranno stupiti, dopo averlo visto
ascoltare le sacre storie, a sentire le sue interrogazioni e le sue risposte. E si saranno
scambiati impressioni e domande: "Ma chi è questo ragazzino? Maria, tu dovresti
saperne più di me che c'entro solo come padre adottivo. Quando ci parla di Dio, sembra
più esperto del nostro pur bravo rabbino. Se accenna al suo futuro, ci lascia molto
perplessi... Ma nemmeno lui dimostra di conoscere già tutto... Allora?... Mah, stiamo a
vedere, rispettiamone mistero e vocazione, aiutiamolo a crescere come Dio vorrà...
Intanto insegniamogli anche a lavorare, a leggere e scrivere, a trattare con la gente,
specialmente con i poveracci del nostro paesello".
Intanto Gesù cresceva a poco a poco, passo passo comprendeva o intuiva il suo rapporto
specialissimo con il Dio di Israele, che percepiva sempre più come "Padre mio";
e intuiva di giorno in giorno la sua missione, quella che sarebbe stata la sua
"ora".
Noi e i nostri Pierini/e
Analogamente tutto ciò vale per ogni figlio/a e per i loro genitori ed
educatori. Si tratta di crescere e far crescere in sapienza, età, grazia e amore;
scoprendo e aiutando a scoprire per ognuno il proprio posto nella vita, nella famiglia,
nella società, nella chiesa: il proprio "carisma", il proprio mistero, la
propria vocazione.
Per ognuno: come uomo tra altri uomini più o meno poveracci e bisognosi, ma anch'essi
aiuto indispensabile per la crescita; come uomo dentro un mondo ricevuto e da migliorare;
come cristiano dentro una chiesa che è, pur peccatrice, "corpo (mistico) di
Cristo" vivente e alimentato dalla parola di Dio, dal "corpo (eucaristico) di
Cristo" e dal suo "Spirito".
In questo cammino ogni Pierino/a va aiutato a tener viva la "memoria" di una
storia umana e religiosa (come quella della sua famiglia, del suo paese, di altri popoli,
della parrocchia...), a saper riflettere sulla realtà che lo circonda e di cui gode (per
esempio: aiutarlo a scoprire che cosa stia dietro a un computer o anche solo a un bicchier
d'acqua o a un piatto di pastasciutta!), a saper individuare le sue doti e i suoi difetti,
le sue qualità e i suoi bisogni (con il contributo di insegnanti, allenatori, compagni di
scuola o di gioco, di qualche buon prete, di qualche perspicace religiosa o
catechista...).
Insuccessi e delusioni non mancheranno mai in ogni progetto educativo ma con quelli ci
sarà anche una buona dose di speranza di riuscita: di essere riusciti a portare un figlio
o un alunno ad essere sempre più uomo, ad essere capace di amare sul serio, come il
bambino cresciuto a Nazaret 2000 anni fa. E là certamente si pregava anche molto lo
Spirito del Padre celeste.
* biblista
Sintesi da Settimana n.20/2009 p.4; www.dehoniane.it
15-Sette regole per educare in famiglia
La lettera del vescovo di Fano alle famiglie della diocesi
"La famiglia è la principale protagonista dell'educazione. [...]
L'influenza della famiglia è decisiva perché in essa il bambino, fin dai suoi primi
anni, struttura la propria coscienza, si forma il suo equilibrio [...]. La famiglia è il
luogo dell'appartenenza dove si sviluppa e si ricerca la propria identità che sarà
premessa all'identità adulta".
Inizia con queste parole la lettera dal titolo La famiglia che educa del vescovo di
Fano-Fossombrone-Cagli-Pergola, Armando Trasarti, e inviata a tutte le famiglie della
diocesi.
Il vescovo pone un interrogativo: "È possibile imparare ad educare? I genitori
dovrebbero imparare che il miglior investimento di tempo è quello dei momenti che
trascorrono con i loro figli. L'educazione delle virtù umane è alla base dell'educazione
cristiana". Da qui sette punti da mettere in agenda per "educare".
1. Il senso dell'autorità. "Una delle principali caratteristiche del rapporto
educativo è senz'altro l'esercizio dell'autorità intesa come autorevolezza. Un genitore
è autorevole nei confronti del figlio quando, con doti di maturità, di coerenza e di
fascino, incarna in sé i valori umani e di fede della tradizione in cui vive.
L'autorevolezza, frutto di esperienza e di competenza, consiste nell'affascinare e nel
rassicurare l'altro con la propria esistenza adulta, matura e coerente".
2. Dire "sì" e dire "no". "L'amore non consiste in un buonismo
vago e indifferenziato, ma in un'autentica ricerca del bene dell'altro. Ma il bene
dell'amato si raggiunge anche dicendo dei "no". Le regole che costituiscono dei
"no" ad alcuni comportamenti ci ricordano la presenza del limite in noi. Occorre
imparare a dire dei "no", cioè trovare il modo e il momento più opportuno per
insegnare il limite".
3. Parlarsi in famiglia. "La famiglia dovrebbe essere il luogo della confidenza e
dell'accoglienza, dove nessuno ha paura di esternare i propri sentimenti, dove ognuno si
sente importante per ciò che è e per quello che dice.
Parlarsi in famiglia vuol dire ascoltare, incoraggiare, valorizzare, coinvolgere".
4. Condividere l'interiorità. "La condivisione della propria vita interiore
costituisce uno degli aspetti più profondi e costruttivi del dialogo in famiglia. La
comunicazione, se vuol essere completa e autentica, non può limitarsi a ragionamenti,
opinioni, notizie da dare all'altro, ma deve arrivare ad essere un "dire se
stessi", chi sono io, ciò che provo, quello che sento di fronte a fatti ed
avvenimenti".
5. Educare alla fatica. "In un mondo che esalta il benessere e assolutizza il
piacere, parlare di educazione alla fatica può sembrare fuori luogo. In che cosa consiste
l'educazione alla fatica? Sostanzialmente in questo: porre davanti ai figli obiettivi
realistici, sostenerli nella volontà di raggiungerli, confermare i risultati raggiunti,
trasformare le sconfitte in acquisizioni positive aiutandoli ad un sano recupero
dell'insuccesso".
6. Educare all'autonomia. "Uno degli obiettivi primi e fondamentali del compito
educativo dei genitori è proprio quello di aiutare i figli a diventare adulti, cioè ad
essere autonomi e autosufficienti... Chi si sente accettato e desiderato costruisce dentro
di sé un solido nucleo di personalità che gli permette una sufficiente autonomia e
indipendenza di fronte al mondo".
7. Trasmettere la fede in famiglia. "Un cristiano non può dimenticarsi di educare i
propri figli alla fede. È triste vedere che anche dei buoni genitori cristiani si fanno
in quattro perché ai loro figli non manchi niente delle cose materiali, ma non si curano
di dar loro l'unica realtà vera ed eterna, quella che sarà la forza della loro vita. Da
qui nasce il fondamentale compito affidato alla famiglia di trasmettere la fede
cristiana... Non si tratta semplicemente di insegnare preghiere, di imparare i
comandamenti; non è una trasmissione astratta o teorica di un sapere religioso. La
trasmissione della fede è un qualcosa di molto più radicale e profondo perché fa parte
integrante della comunicazione affettiva. Un figlio che cresce respirando un sano ambiente
affettivo si apre fiducioso alla vita, agli altri, a Dio: in una parola, impara la fede.
Infatti, la fede non è semplicemente un contenuto, ma è primariamente una relazione, un
rapporto vitale, un legame amoroso con Dio padre".
Giangiacomo Ruggeri
Sintesi da da Settimana n. 12/2009 p.4; www.dehoniane.it
, www./www.fanodiocesi.it/?m=200902
16-COME SONO ANDATI I CAMPI ESTIVI?
Le impressioni della nuova coppia responsabile
Durante il mese di agosto abbiamo avuto il piacere di visitare ben tre campi estivi per
famiglie, una giornata per ogni campo ed è risultata per tutti noi un'esperienza molto
arricchente e piacevole. L'unico rammarico è quello di non essere riusciti a visitare
più campi durante le nostre vacanze.
Ci siamo immersi fin da subito, nel clima di "famiglia allargata" molto
partecipe e conviviale, dove si raggiunge una comunione di intenti e di cuori che
difficilmente ed in così poco tempo si può sperimentare in altri ambienti. Insieme ai
relatori, esperti e competenti, abbiamo approfondito temi vari di spiritualità familiare
che fanno nascere il desiderio e l'esigenza di conoscere di più il Mistero e la Grazia
del sacramento matrimoniale e la voglia di pregare maggiormente.
Abbiamo respirato e vissuto un gran desiderio di condivisione, di mettersi in gioco, di
prendere spunti e confrontarsi con altre famiglie che affrontano situazioni e problemi
diversi dai nostri.
Un grande esempio di servizio e gratuità sono stati per noi gli organizzatori, gli
animatori e le cuoche, che con premura ed attenzione costante hanno fatto sì che tutto
funzionasse per il meglio.
Abbiamo incontrato e conosciuto sacerdoti, completamente a loro agio nel clima di festa e
di raccoglimento, che guardano con fiducia alle famiglie come ad una grande risorsa della
Chiesa.
Ogni componente familiare, dai più piccoli ai più grandi, ha dato il suo personale ed
unico contributo per la riuscita del campo!
Per una famiglia l'esperienza dei campi è sicuramente la più completa e coinvolgente:
momento di ricarica che de-v'essere poi condiviso nei gruppi famiglia locali, mettendo a
servizio degli altri lo spirito e l'entusiasmo vissuti.
Anche quest'anno le richieste di adesione ai campi sono state superiori alla
disponibilità delle case per cui ci auguriamo che sempre più diocesi prendano in
considerazione per il futuro l'opportunità di avviare nuovi campi, in modo da soddisfare
le richieste di quanti non sono ancora riusciti a vivere questa vacanza
"alternativa" e formativa.
Peccato aver condiviso solo alcuni frammenti dei campi estivi, ma sicuramente questo
"tour" ha reso speciali le nostre vacanze, permettendoci di co-noscere sempre
più realtà locali e nuo-vi amici, ai quali va di cuore il nostro più affettuoso
ringraziamento per l'accoglienza e l'ospitalità dimostrateci.
Nicoletta e Corrado Demarchi
17-CAMPO CHE VAI AMICI CHE TROVI!
Quest'anno abbiamo vissuto un'esperienza un po' speciale, infatti siamo andate insieme
ai nostri genitori a visitare alcune realtà dei campi estivi per famiglie.
Avevamo già partecipato a dei campi quando eravamo più piccole, ma questa volta è stato
diverso: siamo state un giorno al campo di Spello in Umbria, il giorno seguente a Pollenza
nelle Marche e infine anche in Veneto a Col Perer.
È stato interessante vedere come in tutti i campi ci siano elementi comuni: i turni per
lavare i piatti, apparecchiare, le merende "nutellose", l'immancabile inno, i
contenitori in cui poter lasciare messaggini, e naturalmente quel clima speciale di
accoglienza e disponibilità. Di ogni campo ti porti dietro un ricordo o un'esperienza
particolare, dovuta agli organizzatori ed ai mitici animatori!
Tornate a casa avevamo una gran confusione di nomi e di visi che neanche immaginate, ma la
felicità di aver fatto nuove amicizie o di aver rafforzato le vecchie, era enorme: è
stata per noi una avventura unica!
Elisabetta, Emanuela e Elena Demarchi
18-Leggere la Bibbia
Chi ti ha detto che eri nudo?
a cura di Franco Rosada
Se è importante la creazione delluniverso, per le Scritture è decisivo
lingresso delluomo tra le creature.
Non per nulla il capitolo 1 di Genesi colloca la creazione delluomo al vertice, in
un sesto giorno, come ottava, suprema opera divina. Eppure un limite in questo capolavoro
di Dio cè: luomo è lessere del sesto giorno e il sei è la cifra
dellimperfezione (cfr. Ap. 13,18).
La componente che permette alluomo di varcare la prigione del sesto giorno è
lessere immagine e somiglianza di Dio (Gn 1,26). Dio, con luomo,
saccorge di aver creato il suo capolavoro (cfr. Sal 139,13-16, Gb 10,10-11).
I due capitoli seguenti sono collocati dagli esegeti nel genere eziologico
metastorico sapienziale.
Ci troviamo di fronte ad unapparente narrazione storica che ha però valore
teologico-filosofico e quindi sapienziale. Lo scopo non è spiegare cosa sia
successo alle origini, ma individuare chi è luomo nel contesto della creazione,
ieri come oggi e come domani: è una metastoria.
Il cuore drammatico del racconto è il peccato delluomo: egli sceglie di essere
larbitro della morale, respingendo il progetto di Dio (Gn 3,5).
Luomo così, separato da Dio, si trova in solitudine davanti alle due vie: il bene e
il male (cfr. Sir 15,11-17).
La consapevolezza della nudità che ne consegue è la raffigurazione quasi visiva del
limite della creaturalità (cfr. Gb 1,21, Qo 5,14).
Sintesi da: Ravasi G., Il racconto del cielo. Le storie, le idee, i personaggi dell'AT,
Mondadori, Milano 1995, p. 33-53.
19-Assistere gli anziani in casa
Non è un dovere ma un atto damore
Sono ormai anziana, non riesco più a camminare da sola e vivo a casa di mia
figlia.
Però, a volte, mi sento mortificata per il fastidio che reco ai miei figli, mi sembra di
essere di peso.
Ma poi mi chiedo: la vita non consiste nellaccompagnarsi a vicenda nelle sue diverse
fasi, i malati non hanno diritto di disturbare? In che cosa consiste la vita se
quando dai fastidio devi sparire?
Elena
Risponde padre Giordano Muraro, docente di Teologia Morale
La sua lettera mi permette di affrontare un problema che si pone sempre più
frequentemente: esiste nei genitori un diritto di esigere dai figli le cure necessarie
quando si trovano in difficoltà, e nei figli il dovere di prestarle?
La risposta è no, anche se questo no può lasciare l'amaro in
bocca e può sollevare la giusta reazione dei genitori: dopo tutto quello che
abbiamo fatto per te ci abbandoni e non ti prendi cura di noi?. Lo stupore è
legittimo. Per questo mi sembra giusto dire subito che il no non è il rifiuto
di chi non vuole assumersi le sue responsabilità ma è un no ispirato
dallamore. Il genitore non ha diritto di essere curato, ma ha bisogno di essere
amato.
Qui il discorso si fa lungo...
In estrema sintesi: mettere la domanda di aiuto da parte dei genitori nellambito dei
diritti e dei doveri significa trasferirlo dallambito dellamore e del dono
allambito della giustizia.
Così si fa perdere alla famiglia tutta la sua originalità e si annulla la differenza che
esiste tra la famiglia e qualunque altra struttura assistenziale umana.
È vero che i figli possono giungere al punto di abbandonare i genitori. E allora
interviene la legge. Ma unassistenza fatta per legge non basta, perché manca
lelemento più importante che i genitori si aspettano dai figli, cioè
laffetto. I genitori non hanno solo bisogno di essere assistiti, ma soprattutto di
essere amati.
La legge obbliga a fare, ma non ad amare. Si passa così dalla logica del dono a quella
del servizio, dove manca quel calore umano e quella modalità che accompagna latto e
lo trasforma in amore.
Per questo tra genitori e figli non esistono diritti e doveri, ma bisogni di vita e
risposta a questi bisogni. È questa la dinamica che regge la famiglia e la rende unica e
originale rispetto a qualunque altra struttura umana.
Sintesi da: Costruire in due, periodico del Punto Familia, Torino, n.1 /2009; www.puntofamilia.it/index_cu.htm
20-I MIEI NON VOGLIONO...
Quando i genitori ostacolano le nozze
Ho 34 anni e vivo ancora con i miei genitori. Da circa due anni sono fidanzato e
ora abbiamo deciso di sposarci. Ma i miei stanno creando molte difficoltà arrivando
perfino, con le loro critiche, a metterci l'uno contro laltro.
Come posso fare per evitare una rottura completa con i miei genitori?
Luca
Caro Luca,
La tua lettera tocca un tema molto sentito tra le coppie giovani: il rapporto con le
famiglie dorigine.
Non è sempre facile trovare un equilibrio tra la nuova famiglia che nasce, e che ha
bisogno della sua autonomia, e lamore per i propri genitori.
Non si tratta di non tener conto dei consigli che ti danno; vanno ascoltati con
attenzione, con amore, senza pregiudizi, ma poi alla fine devi decidere assumendoti le tue
responsabiltà e, per quel che riguarda la coppia, insieme con la tua ragazza.
La data del matrimonio, per esempio, va decisa dai due fidanzati - pur tenendo conto del
parere dei genito-ri -, così la scelta della casa e il resto.
Bisognerebbe che tu parlassi chiaramente con i tuoi genitori, con fermezza, ma senza
aggressività.
Capisco che ha volte è difficile, ma ne va del futuro della tua nuova famiglia.
Daltra parte, amare i genitori non significa approvare tutto ciò che dicono o
fanno: amare è prima di tutto volere il bene dellaltro. E questo a volte può anche
significare essere decisi e dire dei no, senza permettere interferenze.
Ciò che conta di più è il rapporto con la tua futura moglie; che queste difficoltà con
i tuoi non ti tolgano la possibilità di continuare a costruirlo con impegno e a vedere
con sempre maggior chiarezza il modello di famiglia che volete realizzare.
Ciò non significa che i genitori vadano messi da parte. Bisogna soltanto scoprire nuove
modalità damore, che tengano conto dellautonomia e dellintimità della
nuova famiglia. Ma questo sarà sempre più facile, man mano che crescerà il vostro
rapporto di coppia.
a cura di Noris Bottin
Sintesi da Città Nuova, n.15/16 2009; www.cittanuova.it
21-LETTERA APERTA AGLI ADULTI
Come facciamo ad andare via da casa se non lavoriamo?
Siamo la generazione dei figli di genitori che hanno vissuto, o subìto, o ignorato le
grandi contestazioni, quelli che si ritrovavano nella non-violenza di Gandhi, nella nuova
frontiera di J. Kennedv, nel mito di Che Guevara.
Siamo gli stessi figli , oggi, di genitori stressati e disorientati in una società, che
si è risucchiata ideologie politiche, ideali e sicurezze esistenziali.
I loro traguardi sociali, economici sono ormai svalutati e non ereditabili e ciò crea in
loro tanto disagio, e lo respiriamo ogni giorno, tra le stesse pareti domestiche, che ci
stanno terribilmente strette... Ma non ce ne possiamo andare!
Si dice sempre che siamo a spasso e vi assicuro che non si fa riferimento a salutari
passeggiate
Fino a qualche anno fa tutto era "giovane": dalla moda, ai comportamenti; adesso
siamo ignorati perché non siamo più merce appetibile.
Sempre più cresce il numero dei disoccupati e dei sottoccupati in una fascia di età
continuamente dilatata. Si celebra la famiglia, la gioia della genitorialità, ma sono
tutte per noi realtà irraggiungibili, perché non si vive di sogni e non si ha nessun
diritto a prendere impegni che non si possono mantenere.
Una volta, nell'ambito della famiglia tradizionale, il padre era quello che gli psicologi
definivano "il principio della legge" e la madre si identificava con il piacere
rasserenatore dell'affetto, del cibo, della presenza stabile. Poi è stato tutto un
correre per raggiungere più possibile un benessere economico, che si è rivelato con il
tempo molto fatiscente.
Ci hanno garantito le scuole migliori, le università più prestigiose, ma solo pochissimi
si sono garantiti un posto al sole; tutti gli altri, invece, sono stati risucchiati da una
crisi, che solo pochi incoscienti ottimisti definiscono per niente preoccupante.
Siamo ricchi di tanto entusiasmo, siamo il motore trainante di tante associazioni di
volontariato, perché mai, come adesso, è vero che far del bene aiuta chi lo fa.
"Prendi la vita al volo! ..e fai volare chi ti sta accanto".
Tutto il bene che si compie, non si perde mai: è la nostra forza per correre, sebbene...
perché non possiamo smettere di sognare che un giorno i riflettori possano finalmente
essere puntati su di noi, sulle nostre problematiche giovanili, ma non soltanto in periodi
elettorali.
Caro mondo degli adulti, ricordati di noi.
Giada De Bonis
Tratto dal mensile Oggi Famiglia, al servizio della famiglia in Calabria, anno
XXI, n.5-6-7, p.11. http://www.centrobachelet.it/f_testo_file/oggif/08/aprile_maggio_2008.pdf
22-LA GATTA CHE CAMBIÒ NOME
I grandi complicano sempre tutto!
Vivevamo in un'isola della Grecia con mamma, papà, il nonno, la zia Despina, sorella
del nonno, e Stamina, la domestica.
Tutti mi chiamavano Melia, ma il mio vero nome è Melissa, che era il nome della nonna.
Mia sorella era di due classi più avanti di me e si chiamava Myrto.
Era il 1936 ed era un periodo strano per il mio Paese. Infatti, non capivo che cosa
avevano tutti i grandi che continuavano a dire: "L'orizzonte è scuro". Tutte le
sere, quando papà rientrava dal lavoro, il nonno gli domandava: - cosa c'è di nuovo?
- L'orizzonte è scuro, - rispondeva papà.
- Chissà se ci stiamo avviando verso una dittatura? - si domandava il nonno.
- È molto, molto, scuro, - diceva papà - Ve lo dico io.
- Il re non lo permetterà, - diceva zia Despina intromettendosi nel discorso.
In questi casi i grandi cominciavano a discutere e a gridare più forte di noi quando
bisticciavamo per vedere a chi toccava "stare sotto" a nascondino.
Quando chiedemmo al nonno cosa volesse dire "l'orizzonte è scuro", ci rispose
che significava: "la democrazia è morta", non quella del secolo d'oro di
Pericle, a cui lui era molto affezionato, ma quella di oggi.
Tant'è vero che quando la nostra gatta ebbe due micini, uno scuro scuro, e l'altro
bianco, Myrto e io li chiamammo Scuro e Democrazia.
Il nonno rise moltissimo quando glielo dicemmo ma la zia Despina si arrabbiò:
- È colpa nostra. Parliamo troppo davanti ai bambini!
I grandi ci complicavano tutto (d'altronde è quasi sempre così). Non supponevo che la
nostra gattina, prestissimo, avrebbe cambiato nome.
Papà arrivò una sera a casa dal lavoro di pessimo umore; montava in collera per un
nonnulla. Ad un certo punto mi alzai un minuto da tavola per far rientrare dal giardino
Scuro e Democrazia, perché Stamina aveva appena detto che stava cominciando a piovere.
Trovai subito Scuro, ma Democrazia no.
Allora mi misi a gridare: "Democraaaaziiiiaaaa", finché mi sentì e ritornò.
Non avevo ancora messo il piede in casa che il papà mi prese per un braccio; pensavo
fosse arrabbiato perché mi ero alzata da tavola, invece ce l'aveva con la gattina:
- O sbattete fuori quell'animale o gli cambiate nome! Non voglio perdere il mio posto in
banca.
Chiamammo la gatta Crazia, ma quello che avevamo ascoltato ci sembrava il colmo! Sbattere
fuori papà dalla banca per un gatto!
Quando fummo a letto Myrto disse:
- Il nonno ha un bel parlare del suo Pericle, a me piacciono i re.
- Sei matta? - risposi furibonda - Il nonno ha detto che tutti i re sono dei cretini.
- Sei piccola e non capisci niente.
Le tenni il broncio per un po' poi non potei fare a meno di chiederle: - COMO? TRIMO?
Questa era la nostra lingua segreta che solo noi capivamo. COMO voleva dire "contenta
moltissimo", TRIMO "triste moltissimo". Se non ce lo fossimo chiesto ogni
sera, non avremmo potuto addormentarci.
- COMO, COMO, - rispose Myrto quasi cantando.
- TRIMO, TRIMO, - risposi a mia volta.
Liberamente tratto dal romanzo di Alki Zei La tigre in vetrina, Einaudi editore, Torino
1978.
23-Preghiera della famiglia
Fa o Signore che nella nostra casa quando si parla sempre ci si guardi
negli occhi.
Non si sia mai soli o nell'indifferenza o nella noia: i problemi degli altri non siano
sconosciuti o ignorati;
chi abbia bisogno possa entrare e sia il benvenuto.
Il lavoro sia importante: ma non più importante della gioia;
il cibo sia il momento di gioia insieme e di parola, il riposo sia la pace del cuore oltre
che del corpo;
la ricchezza più grande sia la gioia di essere insieme: il più debole sia al centro
della casa;
il più piccolo e il più vecchio siano i più amati; il domani non faccia paura, perché
Dio è sempre vicino.
Si renda grazie a Dio per tutto ciò che a vita offre e che il Suo amore ci ha dato;
non si abbia paura di essere onesti e di soffrire per gli altri;
il crocifisso esposto in casa non sia un portafortuna, ma ricordi tutto questo;
la parrocchia e la chiesa siano sempre l 'orizzonte più ampio;
la volontà di Dio sia fatta, così che ciascuno segua la sua vocazione, la strada
indicata dal Signore. Amen.
+ Armando Trasarti, vescovo di Fano-Fossombrone-Cagli-Pergola.
Sito: www./www.fanodiocesi.it/?m=200902