L’ARTE DI EDUCARE
Per diventare genitori basta mettere al mondo dei figli,
ma di solito nessuno insegna a diventare dei buoni genitori

di Maria Poetto*
I figli oggi hanno tanti riferimenti, tante agenzie educative - tra cui quelle tecnologiche: televisione e computer - per cui può essere a volte scoraggiante, come genitore, scoprire di essere solo una "voce" tra tante. Ma c'è uno "specifico" della famiglia che nessun'altra agenzia può offrire.

Una relazione che aiuti a crescere
Il 65% degli adolescenti dichiara di soffrire di solitudine e vorrebbe i genitori più presenti. Ciò ci conferma una cosa nota: l'essere umano è costitutivamente un essere in relazione, l'apprendimento è legato alla relazione con l'altro.
Anche Dio è relazione - così profonda e perfetta che è Uno in tre Persone - e cerca la relazione con l'uomo; tutta la storia della salvezza è storia di una relazione con gli uomini, con un popolo. Gesù è il culmine di questa relazione: Dio si fa "carne" per incontrare l'uomo sulle strade della storia.
La relazione nella famiglia è unica: il bambino è, dalla nascita e per tutta la crescita, sempre in rapporto con i propri genitori.
La relazione con gli altri è fondamentale perché, in essa, costruiamo la nostra stima personale, la nostra identità; noi capiamo chi siamo, quanto valiamo attraverso il rimando, il riflesso di noi che gli altri ci danno.
In questo campo i genitori, pur armati di buone intenzioni, possono compiere errori educativi. Certi messaggi come: "potresti far meglio", se troppo ripetuti possono convincere il figlio che non va mai bene come fa e che i genitori non sono contenti di lui. Questo gli crea insicurezza e ansia, gli impedisce di formarsi un'immagine di sé positiva.
Qual è l'immagine che Dio restituisce all'uomo nella sua relazione? Un'immagine positiva: "Dio vide che [l'uomo] era cosa molto buona " (Gn 1,31a); "Tu [Israele] sei prezioso ai miei occhi, sei degno di stima e per questo ti amo" (Is 43,4a); che tocca il suo culmine con Gesù: "Vi ho chiamato amici" (Gv 15,15b)".
Questo discorso vale anche nella relazione coniugale: posso restituire all'altro un'immagine prevalentemente positiva - so ringraziare, apprezzare, ritrovare i motivi della scelta nonostante le difficoltà - oppure faccio prevalere gli elementi critici.

Curare la relazione emotiva
Fuori della famiglia, al di là degli specialisti, delle emozioni nessuno se ne occupa.
I bambini, invece, hanno bisogno di comprendere il loro mondo emotivo per farlo diventare una risorsa. Solo l'adulto può aiutare il bambino a dare un nome a ciò che prova. Il bambino piccolo usa il pianto come segnale generale di malessere. Di solito è la madre a comprenderne la causa: hai fame, sei bagnato, sei tutto solo. La madre accoglie il malessere del bambino e l'aiuta a dargli un nome, a comprenderlo meglio. Così, in seguito, il bambino potrà capire e accettare ciò che prova.
Un errore che a volte compiono i genitori è quello di fare una "divisione sessuale" delle emozioni: per i maschi ne sono accettate alcune (p.e. l'aggressività) e bandite altre (p.e. il pianto) e così, in modo diverso, per le femmine.
Il messaggio che si invia è: ci sono emozioni buone e altre no, quindi da non manifestare, da tenere dentro. In realtà ogni emozione contiene un messaggio e va ascoltata e compresa, poi si valuterà come e se esprimerla. In questo modo si fa dialogare mente e cuore.
Gesù ha vissuto in pienezza la sua umanità e le sue emozioni: ha pianto (su Gerusalemme, alla morte di Lazzaro, per la vedova di Nain, nell'Ultima Cena), ha gioito ("esultò nello Spirito Santo…"), ha provato tristezza, angoscia e paura al Getzemani. Non si è vergognato di mostrarsi fragile, debole.
I genitori a volte si trovano in difficoltà nell'accogliere l'aggressività, considerandola negativa. È normale che a volte il bambino si arrabbi, p.e. quando non riesce in qualcosa o quando la sorellina gli toglie delle attenzioni.
Se i genitori si spaventano e gli dicono: "sei cattivo" o lo colpevolizzano: "ci fai stare male", il bambino, che è a disagio, pensa che la sua rabbia sia distruttiva e si sente cattivo (immagine trasmessa dai genitori).
Il bambino va aiutato insegnandogli ad accogliere la sua rabbia come normale e ponendogli dei limiti su ciò che può fare e non può fare (mordere, pizzicare la sorellina, rompere degli oggetti…).
Il messaggio che arriva è: "Ti puoi arrabbiare (sentire l'emozione) ma non fare del male alla sorellina". Lo si aiuta così a differenziare e il bambino può accettare di essere arrabbiato senza sentirsi in colpa e sapendo cosa può fare e non può fare.
Anche Gesù si è arrabbiato, indignato quando i discepoli gli allontanavano i bambini, quando la gente lo osservava per vedere se avrebbe guarito di sabato un uomo dalla mano inaridita, quando ha scacciato i venditori dal tempio.
È sano arrabbiarsi quando vengono calpestati dei valori. "C'è una collera santa contro l'ingiustizia e l'abbiamo lasciata cadere troppo" (Abbé Pierre).

Coerenza tra dire e fare
La maturità di una persona la si coglie quando è capace di armonizzare ciò che sente-pensa-vuole e ciò fa. Quindi facciamo in modo che tra il dire e il fare non ci sia di mezzo il mare!
I ragazzini sono molto abili nel cogliere le nostre contraddizioni: "mi dici di andare a Messa ma tu…"; "dite di volervi bene ma litigate sempre"… È inutile dare delle regole se almeno non si cerca di viverle. Il miglior modo per trasmettere i valori è, infatti, la testimonianza. Gesù lo ricorda spesso: "Non chi dice: Signore… ma chi fa…" (Mt 7,21), "Dai loro frutti li potrete riconoscere" (Mt 7,20).
A volte abbiamo il mito della volontà: Basta volerlo! È vero, però se non c'è un po' di armonia tra emozioni, ragione e volontà il volere diventa una camicia di forza e l'imperativo: "Devo!" un fardello opprimente.
Allo stesso modo armonia non significa affatto: "Faccio quello che sento" e quindi a una persona antipatica, se mi fa arrabbiare, tiro un pugno sul naso.
È importante però che non ci sia una contraddizione radicale, come quei genitori che insegnano a rispettare tutti, poi criticano gli altri quando non ci sono e fingono di essere contenti nell'incontrarli.
È un classico esempio di "doppio messaggio", di contraddizione tra il dire e il fare. Se avviene ripetutamente l'adulto non risulta più credibile e il bambino rimane confuso.
Da questa confusione hanno origine fatti sconcertanti di cronaca come la violenza fisica e sessuale filmata e mandata su You Tube. La risposta è che "quello che più manca oggi ai ragazzi è un'educazione emotiva" (Galimberti).

I messaggi non verbali
Davanti a un comportamento che non capiamo (un calo di rendimento scolastico, una chiusura eccessiva, un episodio di bullismo) dobbiamo chiederci che cosa c'è dietro, in altre parole decodificare il messaggio non verbale che è sotteso.
Prima di rimproverare o punire bisogna chiederci perché si comporta così. Dopo lo si potrà anche rimproverare ma il ragazzo si sentirà comunque capito (che è diverso dal giustificare a priori!).
Così è l'atteggiamento di Dio nei nostri confronti: davanti alle nostre debolezze, errori, peccati fà verità ma non ci condanna: come il Buon Samaritano fascia le nostre ferite, si prende cura di noi, ci offre il suo perdono con cui ci rinnova la fiducia, continua a stimarci. Sappiamo per esperienza quanto questo ci fa del bene, ci aiuta a crescere. Così possa essere anche per i vostri figli!

* psicologa
Sintesi dell’incontro con i GF di Pinerolo (TO) a Buriasco, 25/01/09.

Brani per la Lectio:
• Si può scegliere uno dei brani citati nel testo.

Domande per la R.d.V.:
• Quale immagine ho di me stesso e rifletto ai figli e al coniuge?
• Quanto sono coerente tra ciò che sento-penso-voglio e faccio?
• Mando doppi messaggi?
• Com'è il mio ascolto?