Foglio di collegamento tra Gruppi Famiglia
GF67 extra - dicembre 2009 - Noi e gli "altri"

1-PERCHE' QUESTO NUMERO ON-LINE

Quando si affitta o si compera un DVD, oltre al film classico è possibile trovare anche commenti del regista e degli attori, scene tagliate, finali alternativi, provini, corti promozionali, ecc.: sono i cosi detti extra.
Ciò vale anche per questo numero della nostra rivista. La sua realizzazione ha comportato una lunga fase preparatoria in cui si sono raccolti molti materiali. Solo una parte di questi sono stati utilizzati nella stampa della rivista ma questo non significa che ciò che è stato, per ragioni di spazio, omesso non sia valido. In questa edizione elettronica vogliamo quindi proporvelo.
Ma c'è anche un altro motivo: vent'anni fa, durante le feste di Natale, vedeva la luce il primo numero di questa rivista. Questo numero extra è anche un modo per ricordare quell'evento.
I testi appartengono a diverse categorie: ricevuti ma pubblicati con tagli, non pubblicati, preparati o trovati dalla redazione e non usati. Sono stati ordinati secondo un sommario che ripercorre in gran parte quello del numero appena pubblicato.
Gli articoli a cui è possibile accedere tramite Internet son riportati solo in parte.
Per visionare il primo numero della rivista cliccare qui!

IL FENOMENO MIGRATORIO

2-CITTADINI DI DOVE?
Presentato il XVIII dossier Caritas/Migrantes sull'immigrazione

di Federica Bello
Sono 352.020 gli stranieri residenti in Piemonte: 187.761 in Torino e Provincia. Rispetto al 2006 l'incremento degli immigrati in regione è stato di 53.740 unica, aumento che in particolare per la nostra città e la sua provincia è stato di 33.346 persone. Sono alcuni dei dati evidenziati venerdì 31 ottobre presso il Teatro Murialdo alla "presentazione torinese" del XVIII rapporto nazionale sull'immigrazione curato da Caritas Migrantes e intitolato "Lungo le strade del futuro". Il volume analizza la situazione degli stranieri nel nostro paese e, regione per regione, mette in luce peculiarità e risorse della presenza dei migranti - ormai 4 milioni in Italia - per aiutare operatori delle istituzioni, del mondo ecclesiale e del volontariato a individuare le risposte più efficaci per favorire integrazione e sviluppo nelle comunità in cui sono inseriti.
Il rapporto rileva in particolare per il Piemonte un incremento di minori stranieri rispetto al 2007 di 8.967 unità, di cui circa la metà residenti in Torino e provincia. Nella nostra regione gli immigrati hanno inciso in media per il 9,6% sul totale degli studenti piemontesi, un valore che raggiunge 1'11,4% tra gli iscritti alla scuola elementare, il 10,8% tra gli iscritti alla scuola media inferiore e il 10,1% tra gli allievi della scuola per l'infanzia.
Proprio per quanto riguarda l'ambito dei minori stranieri, alla presentazione del dossier per la nostra città è stata anche associata quella del volume "Generazioni in movimento", curato da don Fredo Olivero direttore dell'Ufficio di Pastorale dei Migranti e da Roberta Ricucci, ricercatrice dell'Università di Torino. Un ulteriore strumento per approfondire le trasformazioni che l'immigrazione vive nella nostra città e che si riflettono in particolare sui giovani che sono stranieri d'origine ma ormai si sentono italiani e vivono spesso in maniera problematica questa dualità.
" L'immigrazione - spiega don Fredo Olivero - come viene evidenziato dai dati del Dossier - inizia ad essere un fenomeno consolidato in Italia- Eppure appare ancora debole e frammentata l'attenzione dedicata a un particolare aspetto del fenomeno migratorio: quello dei bambini e degli adolescenti di origine immigrata". "Questo studio - prosegue - nasce dall'esigenza di affrontare in modo articolato e secondo un approccio integrato, il fenomeno emergente della crescita della popolazione minorile straniera e dell'affacciarsi sulla scena delle seconde generazioni. In questa direzione la variegata realtà dell'immigrazione a Torino rappresenta un interessante esempio di come si evolve e gestisce il tema dei minori stranieri".
L'attenzione ai minori significa impegno sul fronte dell'integrazione scolastica, degli interventi educativi, ma non può prescindere da azioni nel campo lavorativo e nel campo dell'accesso alla cittadinanza, che il Dossier illustra ampiamente nelle due sezioni che anticipano la parte dedicata ai contesti regionali.
Nel 2007 - si legge nel rapporto - i nuovi assunti nati all'estero, registrati in Piemonte sono circa 35 mila: il 58.4% di origine rumena, seguiti da albanesi 6,6% e marocchini 6%. La fascia di età 30-39 anni è quella in cui si colloca la maggior parte degli occupati in Piemonte (il 36,5%) seguita da quella dei quarantenni (il 24,5%). E ancora: alla fine del 1 ° semestre 2007 il Piemonte contava 15.842 imprese attive costituite da persone nate all'estero (erano poco più di 6 mila 5 ani fa): pari al 3,8% del totale regionale e all'11,3% delle imprese straniere presenti in Italia. Nella sola provincia di Torino le imprese gestite da stranieri sono 9.567 e rappresentano oltre il 60% di quelle presenti in Regione; il 17% degli imprenditori stranieri è donna.
Lavoro che produce reddito, ma che spesso deve "emergere dal nero", essere condotto in situazioni di sicurezza e, come gli altri ambiti che riguardano gli immigrati, "non può - ha sottolineato alla presentazione il direttore della Caritas diocesana Pierluigi Dovis - essere affrontato solo in situazioni emergenziali o con un approccio buonista o assistenzialista". "I minori immigrati - ha proseguito Dovis - ad esempio devono essere aiutati a sentirsi corresponsabili del bene comune e del futuro che vivranno nel nostro paese insieme a noi, così gli adulti nei nostri quartieri e nelle politiche cittadine devono sentirsi protagonisti e non ospiti. Va dunque riaffrontato il tema della cittadinanza senza contrapporlo sempre a quello della sicurezza, ma arrivando a soluzioni di reale giustizia sociale che pongano le basi per un reale futuro di integrazione".
Il Dossier immigrazione e "Generazioni in movimento" possono essere richiesti all'Ufficio Migranti: tel. 011.2462092; www.migranti.torino.it.
Tratto da: La Voce del Popolo, settimanale della diocesi di Torino, 9 novemvbre 2008, p.7 http://www.lavocedelpopolo.torino.it/

3-RICORDATI CHE SEI STATO STRANIERO
Torino. Quaresima di Fraternità con il Terzo Mondo 2009

Cari Lettori,
avete fra le mani una pubblicazione snella, interessante, frutto di riflessioni pertinenti di persone direttamente coinvolte o particolarmente attente ad una realtà, quella dell’immigrazione da altri Paesi, che tocca nel profondo la nostra società, le nostre relazioni quotidiane e provoca lo stile della nostra vita cristiana.
Il flusso migratorio è sempre stato presente nella nostra storia, in particolare di questo ultimo secolo, … solo che a volte corriamo il rischio di avere la memoria corta e dimenticare quello che fa parte delle nostre radici storiche e culturali, cristiane. L’aiutarci a ricordare tutto ciò è certamente cosa non da poco.
Un altro aspetto importante che ritorna spesso in queste pagine è il richiamo diretto e non al cammino che come cristiani siamo chiamati a costruire e percorrere durante la nostra esistenza umana, cammino verso Dio che è la sorgente e la meta della nostra vita e cammino verso i fratelli, con i fratelli.
L’idea e l’esperienza del cammino, del pellegrinare, che ritorna sovente nella Bibbia, ci rimandano ad alcuni atteggiamenti fondamentali del nostro essere umani, cristiani: la necessità, la capacità di capire la situazione di chi è in difficoltà, di non giudicare guidati da luoghi comuni o dall’apparenza, mettendoci invece nei panni di chi è spaesato, straniero, aprendo il nostro spirito, il nostro cuore all’accoglienza…
Da tutto questo nascono domande inquietanti: come umano e cristiano, come singolo o comunità su un territorio, come vivo questa situazione, come affronto questa realtà? Chiudendomi in me stesso, costruendo barricate psicologiche, ideologiche dettate dalla paura, da una immaturità che è spinta a crescere da una mentalità sempre meno capace di pensare? O riappropriandomi della nostra storia di popolo migrante, di cristiani pellegrini, per aprirmi ad un atteggiamento costruttivo di ricerca di idee e azioni affinché queste situazioni umane abbiano una lettura e una risposta umana, cristiana?
A me e a tutti voi un sincero augurio che, leggendo questo fascicolo, la risposta sia la seconda.
don Bartolo Perlo (direttore Ufficio missionario Diocesi di Torino)
La pubblicazione: http://www.sdtm.it/quaresima2009.php
Il sito del Servizio Diocesano Terzo Mondo: http://www.sdtm.it/index.php

4-ACCOGLIENZA: PAROLA CHIAVE DEL VANGELO
Questa parola è il cuore della nostra fede

di mons. Antonio Riboldi
Si è fatto duro lo scontro dopo il decreto legge sulla immigrazione e, in particolare, su quanti noi consideriamo 'clandestini', ossia coloro che sono tra noi senza i dovuti e giusti permessi di residenza.
Se vogliamo, è giusto che, chi viene tra noi, sia riconosciuto, in modo da evitare che ci sia chi viene, non per motivi di sopravvivenza, ma per impiantare il crimine.
Ma è anche vero che considerare tutti i clandestini come 'un attentato alla legalità' è davvero un atto ingiustificabile.
Nasce così la 'caccia' al clandestino, addebitando loro tutti i reati che si commettono sul nostro suolo e, quindi, correndo il pericolo di considerare tutti, a cominciare dai rom, un 'pericolo pubblico', che mette paura.
Non solo, ma, per 'liberarci' di loro, si ricorre alla violenza gratuita, come succede con i fratelli rom, che si vedono cacciati, inseguiti.
Viene da chiederci la ragione del perché, tanti, soprattutto dall'Africa, sopportino un lungo estenuante viaggio nel deserto, rischiando la morte per fame e sete, per raggiungere le sponde del Mediterraneo, per poi affidarsi a gente senza scrupoli, che li sfrutta ulteriormente, facendo pagare il tragitto, ammucchiandoli su barche, che sono una sfida alla sicurezza, approdando così - quando tutto 'va bene' - sulle nostre coste, sfiniti, messi in centri di accoglienza provvisoria e, infine, rimandati di nuovo alla propria terra, ossia a morire di fame!
Si parla di costruire in Italia, come a Lampedusa, tanti centri di accoglienza provvisoria, ma con sopra la spada di Damocle di essere rimandati ai loro paesi.
Sarà un problema di ordine e sicurezza - non c'è nulla da eccepire - ma vi è anche un'altra via: metterli in regola e accoglierli alla tavola della nostra abbondanza.
Tutti dovremmo sapere che, nella Chiesa, famiglia di Dio che non conosce emarginazioni, la parola ACCOGLIENZA è il cuore della nostra fede.
Noi vescovi dicevamo, tanti anni fa, 'occorre accogliere con amore e condividere, ma nello stesso tempo, pur rispettando le fedi di ciascuno e la civiltà in cui sono cresciuti, fare opera di mediazione, informazione e crescita, in modo che convivere significhi conoscerei, rispettarci e amarci'.

Quale la ragione dell'emigrazione?
Vorrei ricordare a tutti che gli italiani, tuttora emigrati e che vivono onoratamente nel mondo, sono cinque milioni. E sono cittadini provenienti dal Sud al Nord, in modo speciale dal Veneto.
Si emigrava perché da noi non c'era spazio per il lavoro e, quindi, per la vita.
Parroco a S. Ninfa, di cui metà della popolazione (seimila abitanti) era emigrata, ho capito che cosa significhino le famiglie 'spezzate'.
All'emigrato non interessava tanto garantirsi i diritti necessari, quanto cercare un lavoro, per mandarne il frutto in famiglia. Vivevano ammucchiati in baracche, confinati, tante volte, ai margini delle città, senza servizi o in piccoli appartamenti sovraffollati all'inverosimile, per risparmiare.
C'è differenza tra i nostri emigrati di ieri e quelli di oggi, che giungono nel nostro Paese, compresi i Rom? Senza contare che tanti 'cosiddetti clandestini' fanno comodo a molti datori di lavoro, che li assumono in nero, evadendo il fìsco e la giustizia, considerandoli solo 'mercé privilegiata', senza offrire la minima garanzia di sicurezza. Ciò che conta è solo il profitto che ricavano 'usandoli'.
Chi viene meno alla giustizia? Di chi avere paura? dei poveri sfruttati o dei loro 'padroni'?
Voglio riportare quanto scrivevo nel 1965, visitando i miei emigrati in Germania e Svizzera, negli USA, per mostrare come nulla è cambiato. Ieri toccava a noi l'emarginazione e il disprezzo, ora tocca ad altri. "Respiravo, vivevo a pieni polmoni, senza paura, anche nelle più profonde pieghe; tutti i disagi dell'emigrazione. A volte dormivo nelle loro stesse baracche: sempre incontrando la difficoltà di vivere in Paesi di cui non conoscevo gente, lingua, costumi, come fossi io pure un emigrato, condividendo a volte con loro il disprezzo.
Quante volte passeggiando con loro venivo investito dall'epiteto 'zingaro' (oggi diventato 'rom'.). Ebbi a volte la tentazione di ribellarmi, ma come emigrato tacevo, perché l'emigrazione, ieri e oggi, è come una necessità per un pezzo di pane per sé e la famiglia.
In quegli incontri - che duravano due mesi - raccoglievo la nostalgia della propria terra, della propria famiglia, molte volte espressa in modo straziante, sempre mescolando lacrime e racconti, facendo rivivere persone e luoghi e, in quei momenti di ricordi ed emozioni, era come se si fosse tornati a casa.
E quante volte, da solo, per non aumentare il già grande dolore, piangevo non solo se per dolore o per ribellione a questo oceano di sofferenza.
Guardavo le chiese che incontravo e domandavo disperatamente a quelle mura che cosa avevano da dirmi a proposito di emigrazione. Là dentro, sicuramente, si parlava di accoglienza, di carità, ma fuori da quelle mura c'era gente tenuta lontana dalla carità, anzi così poco 'uomini-fratelli presso Dio', da essere considerati merce per il progresso economico.
Avrei voluto poter guardare negli occhi tutti quei fratelli che ascoltavano la Parola di Dio. Avrei voluto sentire le parole che indirizzavano a Dio, Padre di tutti gli uomini, dopo aver incontrato sulle strade i fratelli stranieri che li infastidivano persino con la loro presenza alla celebrazione della S. Messa.
Come mi capitò di constatare negli Stati Uniti, a Brooklyn, luogo di tanti emigrati: non potevano celebrare in Chiesa, ma per le celebrazioni liturgiche veniva destinato un altro locale, per gente diversa, considerata di seconda categoria.
Si parlava di 'conquistata civiltà del lavoro' e, dentro di me, esigevo una risposta di chiarificazione per gli emigrati cacciati in luride baracche, molte volte senza neppure la possibilità di una necessaria pulizia: troppo lusso per chi emigra per sostenere la famiglia in patria!
E mi nasceva una smorfia terribile dell'anima, come se il mondo si reggesse sulla menzogna.
Mi chiedevo: Ma che civiltà è mai questa?"…
Tratto da: Famiglia in Dialogo, anno VIII, n.3, p.7-8
Il sito dell'autore: http://www.vescovoriboldi.it/
Il sito della rivista: http://www.famiglieincontro.org/content.asp?c=691

5-UNA STORIA DI ORDINARIA IMMIGRAZIONE
Quando "gli altri" venivano da un'altra regione (italiana)

di Massimo Tagliati
Giovedì 1 ottobre col senno del poi posso dire di  "festeggiare" quarant'anni da immigrato. All'inizio è stata dura, ma ero io che avevo cercato il Piemonte, non loro me. Arrivo il primo ottobre 1969, avevo 8 anni, partenza in piena notte dal Polesine, catapultato chissà dove, ma poche ore dopo lo scoprivo, arrivo a Torino, primo ricordo un deposito pieno d'automobili, che belle, mai viste così tante tutte insieme. Secondo ricordo l'ascensore, mai visto prima su e giù per ore quasi fosse una giostra. Si va a scuola, primi giorni di rodaggio, ma una mattina un altro ricordo indelebile, la maestra chiama il bidello, e gli ordina: "Porti fuori questi due selvaggi", io e il mio compagno avevamo la colpa di non saper parlare italiano, ma il dialetto veneto, che oggi forse sarebbe un valore aggiunto, non una gogna.
Oggi se un alunno venisse cacciato con quella frase, il giorno dopo i telegiornali documenterebbero il fatto, allora successe semplicemente che mio padre parlò con l'insegnante, lei vide che non avevamo l'anello al naso e pubblicamente fini lì; privatamente mio padre mi obbligò a parlare italiano in casa, per accelerare l'apprendimento della lingua, avevamo capito che eravamo noi a doverci adattare, possibilmente in fretta...
Per continuare la lettura: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=273&ID_articolo=91&ID_sezione=627&sezione=

6-PICCOLI E SCURI, PUZZANO E RUBANO
Uno stereotipo di immigrato che esiste da tempo

Non amano l'acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri.
Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti.
Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l'elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti.
Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti...
Per continuare la lettura:  http://www.bumerang.it/index.php?Pg=Scritto+da+Ispettorato+del+Congresso+Americano+sugli+immigrati+italiani+negli+USA%2C+1912+
Segnalato da Gigi Agostinis

IMMIGRATI IN ITALIA: TRA ACCOGLIENZA E RIFIUTO

7-LA PARTITA IVA DEI MURATORI MAGHREBINI PAGATI IN NERO
Hassan sulle impalcature ci va come datore di lavoro di sé stesso.

Di Roberto Giovannini
Che mondo. È un mondo tremendo". Il nome vero non lo dice, ha troppa paura: "Se mi riconoscono ho chiuso, non lavorerò mai più". Lo chiameremo Hassan: ha quarant'anni, viene da un paese del Maghreb ed è laureato in biologia. Naturalmente qui in Italia, in Val di Magra, tra Sarzana e La Spezia, dove vive dal 2005, fa tutt'altro: il muratore. Ma sulle impalcature - quasi sempre senza casco o altre misure di sicurezza - Hassan non ci va da lavoratore dipendente, e se per questo nemmeno da precario. Ci va come "imprenditore", come datore di lavoro di sé stesso, con tanto di partita Iva.
E anche se a fine mese il padroncino che lo fa lavorare - se tutto va bene - gli avrà dato al massimo 1.000, 1.100 euro, Hassan è costretto ad emettere fatture da due, tremila euro ogni mese. Fatture fasullissime, ovviamente, come è fasulla e terribile la condizione di dover accettare di lavorare da "imprenditore di sé stesso" (senza tutela dagli infortuni, senza contributi, sottoposto a un ricatto continuo) pur di avere attraverso quel pezzo di carta la possibilità di conquistare l'agognato permesso di soggiorno...
Per continuare la lettura: http://archivio.lastampa.it/LaStampaArchivio/main/History/tmpl_viewObj.jsp?objid=9662247

8-IL LAVORO CHE NON C'È PIÙ
"Disoccupato, rischio l'espulsione dall'Italia"

"Perdi il lavoro e rischi pure di essere cacciato dall'Italia". Capita, nell'anno 2009, con la crisi che morde e picchia duro su tutto il paese. Per un immigrato extracomunitario è un pericolo reale: "Senza contratto di lavoro addio permesso di soggiorno", racconta Jamal Kolli. E non è l'unico ostacolo: "Senza lavoro non riesci a pagare l'affitto e corri il rischio che il tuo padrone di casa ti mandi via. Non puoi far fronte alle bollette, ma così dopo qualche mese ti staccano tutto: luce, gas, acqua. Come fai a versare la quota per la mensa scolastica di tuo figlio?".
Paure e interrogativi che di questi tempi agitano molti, italiani e stranieri. Ma sugli immigrati pesa l'incubo dell'espulsione dall'Italia, e non solo quello. "Io sono l'unico della mia famiglia qui in Italia. Fino a poco tempo fa ero una speranza.
Mandavo soldi in Marocco e aiutavo i miei parenti. Ma adesso? Come tanti miei connazionali rischio di dover chiedere io un aiuto per avere una boccata d'ossigeno. Quest'anno sta mandando al macero tutte le nostre speranze".
Tratto da: La Stampa, Torino 4 novembre 2009, p. 56
Per approfondire il tema: http://archivio.lastampa.it/LaStampaArchivio/main/History/tmpl_viewObj.jsp?objid=9670183

9-Una sfida per la comunità ecclesiale
LE FAMIGLIE IMMIGRATE

Quando mi hanno chiesto di presentare una mia testimonianza sul tema delle migrazioni per questa rivista rivolta a gruppi famiglie sono stata molto contenta perché ho molto a cuore l’impegno per i migranti e da diverso tempo sto cercando di promuoverlo nelle realtà in cui mi sono trovata, prima a Roma, da dove provengo, a Modena, dove ho vissuto per 18 anni, e di nuovo a Roma dove sono tornata da 5 anni.
Ho pensato, quindi, che potevo portare qualche stimolo frutto della mia esperienza in primo luogo come madre di famiglia, anche io emigrata per 18 anni da Roma a Modena, nell’Emilia così ricca di attenzioni al "sociale", sposata con un modenese (spesso affermo che anche io faccio parte di una coppia mista, a cavallo tra due culture anche se all’interno dell’Italia). In secondo luogo come membro, insieme a mio marito, del Movimento laici missionari scalabriniani, realtà ecclesiale che si occupa da diverso tempo di migrazioni, e in terzo luogo come formatrice interculturale, professione che è cresciuta con lo sviluppo della realtà multietnica in Italia, prima paese di emigrazione e ormai da almeno 30 anni paese di immigrazione. Ma come esprimere in una pagina ciò che ho imparato in queste ricche esperienze e che è diventato l’impegno della mia vita? Ho appena iniziato a dire chi sono e fra breve dovrei finire.
Ci proverò…
"Tu dirai: Io sono un simbolo per voi; infatti quello che ho fatto a te, sarà fatto a loro; saranno deportati e andranno in schiavitù." (Ez.12,11)
In un mio scritto del 1994 parlavo della nuova evangelizzazione e dell’immigrazione come "sfide di oggi per la comunità ecclesiale" . Vorrei ribadire ancora oggi, nel 2009, quanto le sfide di cui parlavo ormai 15 anni fa rimangono ancora tali e sono state raccolte da pochi. Sottolineavo, infatti allora, come la realtà migratoria è per la nostra comunità ecclesiale un segno dei tempi e una grossa occasione di conversione e rinnovamento e dovremmo saperla cogliere particolarmente in questo periodo in cui si discute tanto di accoglienza e respingimenti ma, proprio perché tale, è difficile accoglierla pienamente.
La realtà delle migrazioni è una ricchezza
"Emigra l’uomo, sempre strumento di quella Provvidenza che presiede agli umani destini e li guida, anche attraverso a catastrofi, verso la meta, che è il perfezionamento dell’uomo sulla terra e la gloria di Dio nei cieli" (Scalabrini)
Abbiamo affermato che la realtà migratoria è una grossa occasione di conversione e una ricchezza per la comunità ecclesiale ma come potrà esserlo se non la conosciamo e non la facciamo conoscere, non creiamo occasioni di incontro e scambio stimolante da ambedue le parti?
Quanto conosciamo la realtà delle famiglie immigrate presenti nella parrocchia , nel quartiere, nella Diocesi in cui viviamo? E fino a che punto la conosciamo? La conosciamo perché vediamo qualcuno di loro per strada o magari in chiesa o perché i dati statistici affermano che ci sono molti immigrati nella nostra zona ? O, magari, perché alcuni di loro vengono al nostro centro d’ascolto per cercare lavoro o per risolvere altri problemi economici ? Quanto influiscono su questo le immagini negative presentate dalla cronaca nera?
Mi rendo conto di aver dato solo qualche spunto, posto e suscitato interrogativi ma forse c’è bisogno anche di questo oggi…
Cinzia Sabbatini
Per conoscere il movimento laici missionari scalabriniani: http://www.cem.coop/rivista

10-IL DIRITTO DI MARTINA
Per ottenere l’indennità di accompagnamento è necessario possedere la Carta di Soggiorno,
che è rilasciata solo a chi possiede un reddito

di Sofia Zamboni
Un percorso travagliato e lungo ma a lieto fine. È la storia di Martina e di Caterina. Una storia che inizia in Cile, in una situazione di estremo disagio, e termina in Italia, in un'aula di Tribunale, tra i cavilli della burocrazia. Una burocrazia che spesso si dimentica dei "casi speciali", delle "eccezioni" per le quali basterebbe il buon senso, troppo spesso soffocato dalla fretta e dal grigiore di pratiche ed uffici.
Martina nasce in Cile 20 anni fa, affetta dalla Sindrome di Binder, che le causa ritardo mentale e grave ipoacusia. Viene abbandonata, come spesso accade, in un centro per minori. Nel 1992 arriva in Italia per cure mediche, affidata alla Comunità Papa Giovanni XXIII. Ad aspettarla al1'aeroporto di Roma c'è Caterina Balocco, che si è offerta di prendersi temporaneamente cura della bambina. A Caterina vengono consegnati un sacchetto con poche cose e Martina, 4 anni, completamente spaesata dopo essere stata trasportata da un giorno all'altro in un nuovo continente.
Dopo 3 mesi Caterina sceglie di tenere con sé la bimba. I primi anni sono difficili. Martina vive un mondo tutto suo. È irrequieta, sempre in movimento, non capisce la lingua, fatica a sentire i suoni, a riconoscere ambienti e persone. A questo si aggiungono i vari interventi chirurgici nel corso dei quali vengono ricostruiti a Martina il dorso nasale, con innesto osseo, nel 1994, e le narici, con prelievo di cartilagine dall'orecchio, nel 1995. Nel corso degli anni successivi, fino al 2005, viene sottoposta ad altri piccoli interventi. Il percorso che viene intrapreso agisce su più fronti, dall'inserimento scolastico alle visite dal foniatra, dalla neuropsichiatria alla psicomotricità.
Oggi Martina frequenta la scuola alberghiera, seguita da un’insegnante di sostegno, ed ha sviluppato un metodo di comunicazione particolare che le permette di farsi capire mediante la gestualità. Si tratta di strategie comunicative cresciute nel tempo, con un lungo lavoro di interazione ed accompagnamento. Caterina è riconosciuta a tutti gli effetti da Martina come la sua mamma, una persona presente con la quale ha creato una relazione stabile.
"Il nostro rapporto - spiega - è stato sempre in crescendo, nel dare e nel ricevere. Martina ha imparato a conoscermi, sa che io sono lì per lei i contraccambia. È gratificante". A Martina era stata riconosciuta l’invalidità al 100% e di conseguenza il costante bisogno di assistenza. Caterina è stata nominata sua tutrice ed ha fatto domanda nel 2006 per l’indennità di accompagnamento in favore di Martina.
A questo punto sono iniziati i problemi. Per ottenere l’indennità è necessario possedere la Carta di Soggiorno, che però viene rilasciata solo se l’interessato dimostra di avere un reddito. Ovviamente Martina non possiede reddito. La sua unica entrata potrebbe essere proprio l’indennità legata all'invalidità. Nonostante Caterina, in quanto tutrice, ricopra tutte le responsabilità genitoriali e provveda al sostentamento di Martina, il suo reddito non è stato preso in considerazione. Si è quindi creato un circolo vizioso che riconosce a Martina l'invalidità e il diritto all’indennità, ma non le permette di fatto di ottenerla. A chi si chiede perché Caterina non abbia optato per l'adozione, lei risponde che questa scelta deve essere dettata da motivazioni profonde ed interiori, non certo dalla necessita di documenti. Dopo che i vari tentativi per richiedere la Carta di Soggiorno si sono rivelati vani, Caterina ha deciso di ricorrere all'assistenza di un avvocato. Per un anno la battaglia per i diritti di Martina è stata aperta e nel 2008 il processo è andato buon fine. È stato dichiarato il diritto di Martina a percepire l'indennità di accompagnamento, con gli interessi legali dal 121° giorno successivo alla domanda amministrativa fatta nel 2006. Inoltre sono state poste a carico dell'INPS le spese di lite, in quanto ente deputato all'erogazione del beneficio risultato soccombente. E una volta presentata la sentenza, la Questura ha concesso la Carta di Soggiorno. Un conquista ed una buona notizia per tutti i tutori di ragazzi disabili stranieri.
Tratto da: "Sempre, mensile fondato da Don Oreste Benzi", Febbraio 2009, Anno XXXII N° 2
http://www.apg23.org/la-comunicazione/sempre-comunicazione/mensile-sempre
Inviato da Matteo Fadda

10B-LE FATICHE DELLA REGOLARIZZAZIONE
Documenti, documenti e poi ancora documenti: un circolo vizioso senza uscita

Siamo un’associazione del cuneese costituita da alcuni anni che cerca di portare avanti iniziative in campo educativo che hanno come filo conduttore la cura di se stessi, degli altri e dell’ambiente. Tra le nostre priorità ricopre un notevole interesse il discorso di una sana alimentazione.
Per questo dopo alcuni tentativi "fai da te" di gestione di un orto biologico comunitario, dallo scorso anno abbiamo deciso di inserire una persona che svolgesse a livello lavorativo quest’attività coadiuvandola come volontari.
La scelta è ricaduta su un giovane immigrato con esperienze in questo campo, disponibile a dedicarsi in modo continuativo a questo progetto. Purtroppo trattandosi di uno straniero proveniente da un paese extracomunitario che soggiornava in modo irregolare in Italia da alcuni anni, pur avendo svolto numerose attività lavorative, era impossibile inquadrare la posizione lavorativa che intendevamo proporgli.
Nella consapevolezza di aver trovato la persona giusta, pur coscienti dei rischi che correvamo, decidemmo di partire ugualmente col progetto avviando in contemporanea le azioni per tentare di giungere alla regolarizzazione di Hassan.
Dopo alcuni tentativi ci sembrava di aver trovato la strada giusta, anche se molto tortuosa. C’erano, infatti, ancora disponibili alcuni posti nei flussi degli immigrati da destinare in campo agricolo ad attività stagionali. Ciò comportava di fare in tempi brevissimi una domanda di assunzione nominativa, per terminare la pratica però Hassan doveva rientrare in Marocco per ritirare il nulla osta dalle autorità competenti.
Il tutto era assai complicato e vessatorio, però fattibile, se non ché bisognava subito allegare copia di un documento in corso di validità. Su questo ci arenammo.
Infatti, più volte Hassan cercò invano di farsi rinnovare il passaporto al Consolato Marocchino di Torino. Questo ci scoraggiò notevolmente anche perché ci rendemmo conto di trovarci alle prese con un circolo vizioso al quale non si poteva porre rimedio in modo legale.
Intanto il progetto è continuato positivamente, Hassan si è distinto per la sua bravura, impegno e serietà pur trovandosi a gestire un’attività alquanto complessa.
Finalmente con la possibilità di regolarizzare badanti e collaboratori domestici già presenti sul nostro territorio forse anche noi riusciremo a far emergere questa situazione che ormai si protrae da quasi due anni. I tempi sono ancora lunghi ma, con 500 € versati all’INPS, abbiamo comprato un "pezzo di carta" che permette a Hassan di circolare senza più la paura di incappare nella polizia.
Nino

MATRIMONI "DISPARI"

11-DOSSIER DI: "NOI, GENITORI E FIGLI"

Il numero di novembre 2009 del periodico di vita familiare: "Noi, genitori e figli", supplemento mensile del quotidiano "Avvenire", ha dedicato il suo Dossier al tema dei matrimoni misti tra islamici e cattolici.
Grazie alla disponibilità della redazione, nelle persone di Antonella Mariani e Luciano Moia, che ringraziamo, ci è stata data la possibilità di pubblicare gran parte del Dossier.
Il sito di "Noi, genitori e figli": http://www.avvenire.it/shared/noi/index.html
Il sito di "Avvenire": http://www.avvenire.it/

MATRIMONI MISTI. E FRAGILI
Matrimoni tra islamici e cattolici in crescita in Italia. Ma aumentano anche i fallimenti. L’accompagnamento della Chiesa, gli ostacoli contro i quali si scontra la coppia

di Antonella Mariani
Un matrimonio ogni dieci celebrato in Italia nel 2007 è "misto". Lo sposo italiano, la sposa straniera. O viceversa. Segno di una società ormai multietnica, ma non certo un indicatore di buona integrazione. Perché i matrimoni "misti" sono fragili. Come e più ancora dei matrimoni tra italiani, che si disfano a più non posso.
Le difficoltà nel matrimonio tra persone con passaporti diversi sono tante: usi, tradizioni, diverse impostazioni nell’educazione dei figli e nel ruolo della famiglia d’origine, nel considerare gli spazi di autonomia e di lavoro femminile…
Se nel 2007 ci sono stati complessivamente oltre 50 mila divorzi e più di 80 mila separazioni, un decimo ha riguardato coppie miste. La percentuale è in crescita, perché l’anno prima separazioni e divorzi tra coppie miste costituivano l’8 per cento del totale e nel 2000 appena il 6 per cento.
Quanto alla nazionalità preferita da chi sposa uno/a straniero/a, ci sono differenze considerevoli a seconda che il coniuge italiano sia il marito o la moglie. Tra i 17.663 uomini italiani che nel 2007 hanno sposato una straniera, il 40 per cento ha scelto una est-europea (nell’ordine di frequenza: rumene, ucraine, polacche, russe e moldave), il 10 per cento una brasiliana, il 4,2 per cento un’albanese e il 3,8 per cento una marocchine.
Completamente diverse le preferenze delle italiane: 3 su 10 scelgono un marocchino, un tunisino o un egiziano e una su 10 un albanese, per restare solo alle nazionalità più presenti nelle classifiche dell’Istat.
Ma perché le italiane vogliono dividere la loro vita con un marocchino e una marocchina invece raramente desidera lo stesso con un italiano? Il motivo di questa differenza è la religione: se per un uomo musulmano è possibile sposare una donna cristiana, una donna musulmana non può che sposare un musulmano. Se si innamora di un cristiano, questi si deve convertire, altrimenti niente nozze.
Così molti amori tra maghrebine e italiani vengono scoraggiati dai parenti di lei, consapevoli delle difficoltà. Talvolta queste situazioni sfociano in un dramma, come insegna la recente vicenda di Sanaa Dafani, la 18enne marocchina uccisa a metà settembre dal padre in provincia di Pordenone perché era andata a convivere con un italiano. Casi rari, fortunatamente, ma le unioni tra persone di religione diversa non sono mai semplici.
"Non è tempo di sposarsi a scatola chiusa", riflette l’avvocato matrimonialista Anna Galizia Danovi. Non lo è per chi sposa un connazionale, vista la fragilità dei matrimoni, non lo è a maggior ragione per chi sposa una persona con usi, tradizioni, concezioni di vita e religione profondamente diversi. La Chiesa offre a chi desidera contrarre un matrimonio "di mista religione" un accompagnamento mirato (vedi altri articoli nel dossier). Ma anche per chi sceglie il rito civile Anna Galizia Danovi, che è presidente del Centro per la Riforma del diritto di famiglia, fa presente la necessità "di approfondire il più possibile la cultura dell'altro e della sua famiglia, le sue idee, le aspettative che ha sul coniuge e sulla famiglia che va a formare".
Insomma, è necessaria una presa di coscienza dei problemi connessi a questa unione. Si può anche pensare a "uno strumento come il patto prematrimoniale, purché sia elaborato con un esperto; il patto non è riconosciuto dalla legge italiana, ma gli impegni che i due sposi prendono vengono senz'altro valutati nel corso di un eventuale procedimento di separazione". Nelle prossime pagine cercheremo di fare il punto sulle difficoltà che sopravvengono nei matrimoni misti tra cattolici e islamici.

12-I DATI DEI MATRIMONI MISTI

13-MATRIMONI MISTI: LE STORIE
di Paola Abiuso

"VANGELO E CORANO PER I NOSTRI BAMBINI"
MILANO - Lei giovanissima e italiana. Lui più grande e senegalese. "Ci rispettiamo e abbiamo deciso tutto prima di sposarci: i figli che verranno decideranno da soli quale sarà la loro fede"

Elisabetta così giovane, già con la fede nuziale al dito. E un marito che più diverso da lei non si potrebbe.
Lei pallida ed esile, appena 20enne, lui muscoloso e nero come l’ebano, di 7 anni più grande. Lei cattolica convinta, lui musulmano praticante.
Lei cresciuta da genitori che fanno parte della Fraternità di Comunione e Liberazione, lui che ha concordato con la moglie che i loro figli, quando arriveranno, conosceranno sia il Vangelo sia il Corano ma non saranno battezzati né frequenteranno scuole coraniche.
In casa B., alla periferia di Milano, tutto si è svolto apparentemente senza drammi ma, certo, con profonde riflessioni. "Il matrimonio è stato deciso in fretta, giusto un anno fa - racconta la mamma di Elisabetta, sfogliando un album di fotografie in cui compaiono una ragazzina raggiante, vestita a festa ma con grande semplicità, accanto a un giovane africano con gli occhi lucidi, anche lui elegante, anche lui emozionatissimo -. Lui aveva da poco perso il lavoro e avrebbe di conseguenza visto andare in fumo anche il permesso di soggiorno. Per avere un futuro dovevano sposarsi in tempi brevi".
Poi la donna racconta di Elisabetta, della sua amica del cuore africana, con la quale ha condiviso gli anni delle medie e del liceo, tante amicizie adolescenziali, i primi amori.
"Dai 15 anni in poi Elisabetta ci ha portato a casa diversi ragazzi africani. Erano i suoi amici, ci diceva, frequentava anche le loro famiglie nei momenti di festa, ci raccontava delle loro usanze, del ramadam, delle preghiere cinque volte al giorno... Poi tutt’a un tratto, stop, la comunicazione si è chiusa. Diceva che aveva capito che noi genitori non apprezzavamo le sue amicizie, che aveva visto l’ombra del giudizio nei nostri sguardi. Ma davvero, a noi non sembra di essere stati chiusi nei confronti dei suoi amici".
Un’estate arriva una telefonata allarmata dalla casa al mare, in Liguria. È la nonna, molto agitata: "Elisabetta ha invitato qui un suo amico africano, credo che siano fidanzati".
E difatti. Ser è del Senegal, è arrivato in Italia da pochi anni, ha lavorato saltuariamente, viene da una buona famiglia della capitale Dakar ed è molto innamorato di Elisabetta. Così lei finalmente lo dice ai suoi, rimasti a Milano. Al ritorno Ser comincia a frequentare la casa.
"Elisabetta ci aveva detto che era musulmano, ma ci aveva spiegato che era molto rispettoso della sua libertà, personale e religiosa. Gliel’abbiamo voluto chiedere anche noi, al primo incontro, e gli abbiamo detto che noi eravamo cattolici. Lui sudava, era in grande imbarazzo ma ci ha rassicurati.
Man mano che lo conoscevamo, ci è apparso come un ragazzo sensibile, buono, intelligente, rispettoso", dicono oggi i genitori. Sul tavolo della cucina della famiglia B. c’è una bottiglia di vino, Elisabetta sfoggia una scollatura che è una specie di arma impropria e, proprio al centro, un vistoso crocifisso d’oro.
Il giovane marito, dal canto suo, il vino non lo tocca, prega cinque volte al giorno, osserva il ramadam ma non chiede alla moglie di coprirsi di più, sostiene il suo desiderio di studiare, di laurearsi e poi di lavorare. Elisabetta legge il Vangelo tutti i giorni, ed è stato lui, con la sua assiduità con il Corano, a incitarla a farlo.
"Ne abbiamo parlato a lungo, ci siamo confrontati su cosa sarebbe successo di noi una volta sposati - racconta Elisabetta -. Sono andata anche dal mio parroco che ci ha spiegato cosa vuol dire il matrimonio per la Chiesa e per l’Islam. Io te lo sconsiglio, mi ha detto, però voi avete già deciso. È stato accogliente, pur nella chiarezza: mi ha anche detto che se mi fossi sposata civilmente, come poi ho fatto, non avrei avuto accesso ai sacramenti, e che c’è la possibilità di un rito cattolico per me. Ho intenzione di proseguire su questa strada e Ser è d’accordo".
Consapevoli di quello a cui vanno incontro, dunque, Elisabetta e Ser lo sono senz’altro. Sanno che i momenti più difficili arriveranno con i bambini, perché il figlio di un musulmano non può che essere musulmano.
"Ma noi ci siamo fatti una promessa - risponde Elisabetta -: io non chiederò che i nostri figli siano battezzati, né lui vorrà che frequentino scuole coraniche. Parleremo loro del Vangelo, lo faranno senz’altro anche i miei genitori, ma conosceranno pure il Corano. Quando saranno grandi, decideranno loro".
Ma sarà davvero tutto così semplice? Ser non avrà la tentazione di educare i figli all’islam, la religione che è quella di suo padre e della sua famiglia rimasta in Africa?
La mamma di Elisabetta, pacata e saggia, non nasconde che qualche preoccupazione c’è: "Oggi la famiglia è sempre fragile, anche quella tra persone appartenenti alla stessa cultura. Ci abbiamo pensato a lungo, a me e a mio marito sembra che Ser sia davvero una persona di cui fidarsi.
Ci rassicura il fatto che proviene da una famiglia in cui il ruolo della donna è paritario e in cui il padre va fiero del fatto di avere una sola moglie. Confesso che ogni tanto penso a quando avranno figli e mi preoccupa il momento in cui lui andrà in Senegal a farli conoscere alla sua famiglia, temo che possa subire pressioni o condizionamenti. Ma cosa posso fare? Solo pregare che Dio tenga una mano sopra le loro teste".

14-LA PROMESSA DI RISPETTARSI SCRITTA PRIMA DELLE NOZZE
PADOVA – Lei annunciò che si trasferiva in Egitto per amore. I genitori convinsero i fidanzati a stipulare un contratto prematrimoniale con gli accordi su studi, libertà ed educazione della prole

Con l’avvocato presero appuntamento i due genitori. Raccontarono di essere molto in ansia per la figlia.
Lei, studentessa universitaria, famiglia dell’alta borghesia padovana, si era perdutamente innamorata di un commerciante egiziano.
Lui riforniva la boutique dell’hotel a cinque stelle di Sharm el Sheik nel quale lei e un gruppo di amiche avevano trascorso una settimana di vacanza.
"E’ tornata a casa e non pensa ad altro che a sposarsi, ma lui vuole che lei si trasferisca in Egitto. Dice che è benestante e che può mantenerla", dissero i genitori all’avvocato.
Ed ecco la domanda cruciale. "Nostra figlia in questo momento farebbe tutto quello che lui gli chiedesse. Noi, per quanto sia sgradevole, vogliamo farle capire che deve coprirsi le spalle. Noi vorremmo almeno che lei finisse gli studi e che, anche in Egitto, avesse la garanzia di poter mantenere la sua religione".
L’avvocato dovette spiegare alla coppia che non aveva alcun diritto di opporsi alla decisione di una figlia maggiorenne. "Il mio consiglio fu di prendere qualche informazione sul futuro genero e di convincere la ragazza a stipulare con lui un contratto prematrimoniale, che, benché non riconosciuto dalla legge italiano, ha almeno il vantaggio di mettere nero su bianco alcuni impegni che in caso di separazione vengono presi in considerazione dal giudice", racconta l’avvocato milanese Anna Galizia Danovi, che ha seguito il caso.
La figlia non fu molto felice della proposta dei genitori e anche il fidanzato egiziano non la prese bene, anzi cercò in tutti i modi - lungaggini, richieste di traduzioni, di interpreti… - di ostacolare l’iniziativa. Ma alla fine il contratto fu stipulato.
"Tra le condizioni che consigliai di inserire c’era la libertà della moglie di studiare e di svolgere un’attività lavorativa in Egitto confacente alle sue aspettative, il mantenimento della sua fede religiosa, il rispetto reciproco, la garanzia che lei potesse entrare in Italia portando con sé i figli minori di 12 anni in caso di contrasti nella vita familiare e che i figli non fossero iscritti alle scuole coraniche ma in una scuola inglese.
L’idea è che avrebbero scelto loro a quale religione aderire una volta cresciuti", continua l’avvocato Danovi. Il matrimonio fu celebrato in Italia con il rito civile.
"Sono trascorsi 2 o 3 anni - ricorda l’avvocato -. I genitori mi hanno informato che la figlia si è laureata all’Università italiana del Cairo, che lavora e che tutto va bene". Il contratto prematrimoniale è ancora lì, firmato e controfirmato, nello studio dell’avvocato.

15-IN FUGA DAL MARITO-PADRONE
TRENTO – Lei, italiana, conosce il marito in Costa d’Avorio. Dopo le nozze lui diventa dispotico e violento, lei chiede aiuto e scappa in Italia. Lui sparisce per sempre, il figlio non l’ha mai conosciuto

Questa è la storia di una fuga. Drammatica, ma a lieto fine.
Laura conosce il suo futuro marito in Costa d’Avorio. Lui è del posto, un bel giovanotto che ci sa fare con le straniere. Lei si è trasferita da Trento e gestisce un ufficio di import-export per conto di una ditta del settore ortofrutticolo.
Il fidanzamento è un’avventura romantica, con quel pizzico di mistero che rende tutto più passionale. Si sposano in Costa d’Avorio con il rito civile.
Poche settimane dopo lui le chiede di diventare musulmana. Lei non è particolarmente religiosa, ma comunque rifiuta. Non ne avevano mai parlato prima, perché esigerlo adesso?
Passano alcuni mesi e il marito pian piano cambia volto: da gentile e premuroso diventa scostante e oppressivo.
Nasce un figlio e la pressione diventa più forte. Lui le impedisce di tornare a lavorare, limita la sua libertà in tutti i modi, accentua il controllo su di lei.
Un giorno lei lo affronta e lui la picchia. Passa ancora del tempo, lui è sempre più dispotico e le vessazioni ogni giorno più pesanti. Lei capisce che la separazione legale è fuori discussione e non c’è alternativa alla fuga: con uno stratagemma si rifugia al consolato italiano e chiede il rimpatrio per lei e il suo bambino.
Arrivata in Italia con il piccolo, promuove una causa si separazione, lui si rende irreperibile tanto che l’avvocato non è nemmeno riuscita a notificargli gli atti. Alla fine viene emanato un divorzio in contumacia. Oggi il bambino ha 10 anni e nessun ricordo di suo padre.

16-Due Centri diocesani per aiutare le coppie "dispari"
MAI NOZZE A "SCATOLA CHUSA"

Centro ambrosiano di documentazione per le religioni (Milano) http://www.cadr.it/home.html
Consultorio per famiglie interetniche: http://www.chiesadimilano.it/or4/or?uid=ADMIesy.main.index&oid=890234

Centro Federico Peirone per lo studio e le relazioni con l'Islam (Torino): http://www.centro-peirone.it/home.htm
Centro mediazione familiare: http://www.centro-peirone.it/centromediazione.html

17-"I MATRIMONI TRA CATTOLICI E MUSULMANI IN ITALIA"
Indicazioni della Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana

Negli ultimi anni in Italia ha assunto una certa rilevanza la richiesta di celebrare nella forma religiosa il matrimonio fra una parte cattolica e una musulmana. Il fenomeno, determinato tra l’altro dalla tendenza di immigrati musulmani a trasferirsi nel nostro Paese e dal più generale aumento dei matrimoni interreligiosi, esige una specifica attenzione da parte della comunità cristiana e dei suoi pastori, anche al fine di indivi-duare un indirizzo omogeneo nella verifica dei casi e nell’eventuale concessione della dispensa dall’impedimento dirimente di disparitas cultus, che invalida il matrimonio fra una parte cattolica e una non battezzata….
Per continuare la lettura: http://www.chiesacattolica.it/cci_new/documenti_cei/2005-07/05-4/MatrimCattol_Musulm.pdf

TESTIMONIANZE

18-Scoprire che a tavola le distanze si accorciano
I PRANZI MULTIETNICI

Nella nostra città è attiva un'associazione culturale che cerca di avvicinare e fare integrare persone provenienti da tutto il mondo anche attraverso un laboratorio di cucina dove un gruppo di signore di diverse nazionalità (rumene, marocchine, indiane, brasiliane, ecc...) si incontrano per cucinare insieme piatti dei loro paesi d'origine. In parrocchia abbiamo già organizzato con loro tre "pranzi multietnici" che sono stati molto apprezzati perché danno l'opportunità di sperimentare cucine così diverse e varie e di constatare che a tavola le distanze si accorciano!
Così, tra uno scambio di ricette ed un brindisi noi ci sentiamo più cittadini del mondo e queste persone sono gratificate dal poter fare apprezzare la loro cultura anche a tanti chilometri da casa. È ammirevole lo sforzo che fanno non solo per preparare questi piatti, ma anche per descriverli a noi con dettagliate indicazioni sugli ingredienti e la preparazione.
Durante questi pranzi a volte ci viene da immaginare se ci trovassimo noi in Pakistan o in Libano a spiegare come si cucina un piatto di spaghetti, ovviamente nella lingua del posto!
Il ricavato dei pranzi di solito viene devoluto ad un'opera missionaria ma il grande valore di questi momenti è vedere quanto si sentono gratificate dal nostro desiderio di condivisione e dalla nostra curiosità verso le loro culture.
Paola e Fernando Longo

19-Nuclei familiari interi, donne sole o con bambini, uomini in cerca di lavoro
TESTIMONIANZE DAL "CAMPO"

Al centro Caritas Parrocchiale di Trecate si tocca con mano il forte aumento del fenomeno dell’immigrazione, tanto da poterlo considerare uno specchio della situazione che esiste a livello nazionale. Nuclei familiari interi, donne sole o con bambini, uomini che hanno lasciato la loro famiglia nel paese di origine, provenienti da svariate parti del mondo, si rivolgono ogni sera al Centro di Ascolto o di distribuzione degli indumenti: tante storie, una diversa dall’altra ma che hanno in comune una cosa sola, e cioè la speranza di migliorare la propria esistenza e quella della propria famiglia, garantendo almeno il minimo indispensabile per sopravvivere.
Tante storie, che ogni sera i volontari che prestano il loro servizio in Caritas accolgono, anche solo donando loro un momento di attenzione.
Storie che raccontano di situazioni alcune davvero difficili e altre che hanno avuto un lieto fine come quella di quell’ingegnere pakistano che circa quattro anni fa lascia la sua terra con la moglie e i loro quattro figli perché non trova lavoro e arrivato chissà come a Trecate, si rivolge alla Caritas per essere aiutato con generi alimentari e indumenti. Nel frattempo trova un lavoro, anche se non definitivo, ma alla fine riesce a sistemarsi con un’occupazione sicura che gli permette di mantenere in maniera decorosa la propria famiglia.
La cosa straordinaria di questa storia sta nel fatto che, una volta raggiunta una certa stabilità economica, questo signore si è preso l’impegno di donare mensilmente alla nostra Caritas generi alimentari a lunga scadenza per un valore pari al 3% del suo stipendio mensile, impegno che puntualmente viene rispettato e imitato anche dal figlio maggiore che, per non gravare totalmente sul bilancio familiare per i suoi studi, ogni tanto riesce a svolgere qualche lavoretto e, come il padre, offre una parte del suo guadagno.
Storie di coraggio, forse il coraggio della disperazione, e di desiderio e impegno per superare le avversità, come quella di una ragazza madre proveniente dall’Africa con un bambino, sola perché il padre non ha riconosciuto il figlio, residente a Trecate ma che lavora a Milano in una casa di riposo: ogni mattina prende il treno alle 5,50 e ritorna a casa nel pomeriggio, ma il problema è che non ha nessuno a cui affidare il bambino dalle 5,30 alle 8 quando passa lo scuolabus per portarlo a scuola.
La Caritas di Trecate è intervenuta qualche volta sostenendo la spesa di una baby-sitter per questo intervallo di tempo, ma purtroppo tale contributo non può essere protratto nel tempo. Storie di fatica, di sofferenze, di speranze, di coraggio, di distacco e di riavvicinamento, storie che ci possono toccare o lasciare indifferenti, storie che rischiano di passare inosservate ai nostri occhi, ma che agli occhi di Dio sono le più preziose.
Antonio Banfi (a nome dei volontari del Centro Caritas di Trecate)

19B-L'esperieza di una famiglia aperta e accogliente
UNA PICCOLA COMUNITÀ MULTI-ETNICA

Siamo Andrea e Chiara Marino ed abitiamo in provincia di Savona.
Dal 2001 condividiamo la nostra vita con gli "ultimi" e collaboriamo con l'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII fondata da Don Oreste Benzi anche per il reinserimento sociale delle ragazze vittime del racket della prostituzione.
In questi anni hanno vissuto con noi circa una decina di ragazze nigeriane, chi per 3-4 mesi e chi anche per 4 anni, condividendo con noi la vita quotidiana. Insieme ai nostri tre bimbi piccoli e agli altri accolti (bambini, madri in difficoltà....), si è quindi formata una piccola comunità multi-etnica.
Le ragazze vengono avvicinate in strada da alcuni volontari, viene loro proposto di salire in macchina, e subito accompagnate presso una delle (troppo poche) famiglie che si sono rese disponibili. Poiché il racket le ha private dei documenti, ci occupiamo di procurare il permesso di soggiorno e il passaporto. Nel frattempo cerchiamo un lavoro dignitoso (pulizie, aiuto-cucina, lavapiatti).
In casa, con loro, la convivenza è impegnativa perché sono persone ferite, non hanno fiducia nel prossimo, hanno vissuto con espedienti e bugie e tendono a continuare questo comportamento anche in famiglia. Inoltre tendono ad isolarsi in camera molto spesso, facendo fatica a relazionarsi con le altre persone della casa, e molte non riescono ad accettare la nostra cucina.
Le aiutiamo ad accettare le difficoltà di un vero lavoro, ad essere puntuali, a rispettare le altre persone, e abbiamo notato che di fronte ai rimproveri o a qualche "no" hanno reazioni piuttosto esagerate. Non si tratta solo di un certo modo di fare "africano", ma crediamo che molto dipenda dalle ferite psicologiche che hanno subito. Infatti molte ragazze che sono da alcuni anni schiave in Italia fanno fatica a fare amicizia e ad aprirsi rispetto alle altre che invece sono scappate subito dal racket.
Inizialmente è stato difficile trovare il giusto equilibrio in casa. Da alcuni anni abbiamo capito che hanno in realtà solo bisogno di sentirsi libere di gestirsi il tempo e i pasti in modo autonomo e questo le rende molto più serene e disponibili ad aiutare in casa. D'altra parte il carattere solare facilita molto la convivenza con le loro risate contagiose e la loro voglia di scherzare. Sono anche molto nostalgiche della loro terra, ascoltano volentieri la loro musica e questo le aiuta a sopportare la lontananza.
Spesso con l'arrivo dei documenti il percorso da noi si conclude e vanno a lavorare nelle fabbriche del triveneto, in qualche caso invece hanno preferito restare a lungo con noi, per poi andare in autonomia nei dintorni: lavoro, patente, casa e anche amicizie locali.
È una esperienza di vita che dà tantissimo a noi e ai nostri figli e ci ha aiutato a superare anche alcuni nostri limiti e paure.

20-UN EPISODIO DI VERA ONESTÀ
ringraziamento ad un ambulante di colore

Ci sono ancora delle persone oneste. Il 2 settembre ho avuto conferma che molti, diversi per colore, da noi non hanno niente da invidiare al nostro modo civile ed onesto di vivere.
Era mercoledì, un giorno di mercato ad Oulx (TO) e girando tra i banchi mi soffermavo per acquistare una borsa da un ambulante, che da molto tempo lavora nei mercati di Oulx, Susa e Bussoleno.
Pagando l'acquisto, avevo riposto malamente il borsellino con documenti e 205 euro, non accorgendomi che era scivolato fuori dalla mia borsa, e ringraziando il mercante per lo scontrino, saluto e torno a casa.
Nel tardo pomeriggio, avendo bisogno della borsa, mi accorgo della mancanza del portafoglio.
Subito ho pensato, come molto spesso avviene, di essere stata scippata al mercato.
Non avendo più alcun documento (patente, carta d'identità, tesserino sanitario ecc.) mi sono recata dai carabinieri. I quali, gentilissimi, m'hanno mandata all'anagrafe del Comune, in quel momento chiusa al pubblico, per rifarmi la carta d'identità e un documento per guidare la macchina. Alle 22 ricevo una telefonata da mio nipote, che mi chiede se avevo perso dei documenti, e mi dà un numero di telefono, dicendomi di non conoscere il titolare di tale numero.
Chiamando il numero, scopro che questa persona ha trovato il mio borsellino, ed è proprio l'ambulante del mercato che - con tantissime telefonate a numeri trovati sulla guida del telefono - era riuscito a scoprire chi fossi. A questo punto aspetto la settimana successiva, e mi reco al mercato di Oulx per ringraziare Kante Ousmane, ambulante africano, per la sua grande onestà e gentilezza.
E pur non essendo più giovane, e avendo tanta esperienza nella vita, ho imparato da questo episodio che ci sono tante persone ingiustamente considerate "diverse" per la lingua, la nazionalità ed il colore della pelle, ma che invece diverse non lo sono affatto. Anzi, sono più oneste di tanti altri, e ci possono insegnare ancora di più. Grazie Kante, non ti dimenticherò'
Maria Reymond Nicolas
Tratto da: La Valsusa, settimanale della val Susa e val Sangone, 17 settembre 2009
Sito del gornale: www.lavalsusa.it

21-CHI HA IL CONTANTE PER IL PARCHEGGIO?
Storia di zingare e di signore progressiste

di Benedetta Ciampi
"Lo ammetto, vorrei che questa storia piccola, piccola fosse resa pubblica forse anche per lenire il senso di colpa che provo per non essermi ancora liberata (io, brava signora progressista dr sinistra!) dei pregiudizi su alcune "categorie umane". La storia comincia e finisce nel parcheggio di Eataly (luogo in cui le brave signore progressiste e non solo di sinistra, vanno a fare la spesa, qualche volta…).
Alle macchinette per il pagamento del pedaggio avvisto due zingare ed immediatamente penso ad una "exit strategy". La soluzione è presto trovata: non ho un euro in tasca, ho pagato tutto col bancomat e noto con piacere che posso pagare con la tessera magnetica anche il parcheggio! Alla petulanza delle zingare rispondo a mezza voce "Non ho soldi... anche questo lo devo pagare con questa" e gli sventolo sotto il naso il magico pezzo di plastica. Ma ecco che l'imprevisto si verifica! il pagamento non viene accettato...
Per continuare la lettura: http://archivio.lastampa.it/LaStampaArchivio/main/History/tmpl_viewObj.jsp?objid=9572656

SECONDE GENERAZIONI

22-LASCIATE DECIDERE I BAMBINI
La rivolta dei genitori: via i figli dalle classi con troppi stranieri

di Massimo Gramellini
Per la prima volta nella storia, il Comune e le autorità scolastiche di una città italiana hanno tenuto una riunione congiunta con il seguente ordine del giorno: "Strategie di trattenimento degli alunni italiani sul territorio". Che tradotto dal burocratese significa: come faccio a tutelare i miei cittadini a casa loro? E' un evento abbastanza assurdo e sicuramente epocale. perché non si trasformi non si trasformi nella sindrome dell'indiano accerchiato vanno messi da parte i due umori estremi che si scontrano, talvolta all'interno della stessa persona, quando si parla di integrazione: il razzismo mascherato da sdegno e l'esaltazione acritica della convivenza in ogni sua forma. La città pilota è Torino, dove nelle scuole di Porta Palazzo i figli di italiani rappresentano un'esigua minoranza, schiacciata dalla prole delle altre etnie.
Una situazione limite, ma che comincia ad andare in replica anche altrove...
Per continuare la lettura: http://archivio.lastampa.it/LaStampaArchivio/main/History/tmpl_viewObj.jsp?objid=9026868

23-LE CLASSI DELLE NOSTRE SCUOLE SONO "A COLORI"
Chi è nato qui non va trattato da straniero

5 domande a Vinicio Origini
Vinicio Origini lavora presso l'Ufficio integrazione del Ministero dell'Istruzione. Ha inventato le biblioteche multiculturali e pubblicato con Claudia Nosenghi il libro "Una classe a colori" (Edito da Vallardi), un "manuale per l'accoglienza e l'integrazione degli alunni stranieri.
Senza accorgercene siamo diventati un Paese multicurturale?
"Quest'anno scolastico abbiamo 700 mila alunni di origine straniera. Provengono da 180 paesi e parlano un centinaio di lingue diverse. C'è il mondo intero seduto sui banchi di scuola. In altri paesi come Francia e Inghilterra, la situazione è identica. Ma noi ci siamo arrivati troppo in fretta rispetto agli altri".
Qual è la percentuale degli stranieri nelle scuole?
"In 15 mila scuole su 58.000 la percentuale degli stranieri supera il 10%, in 500 il 50%".
E dalle percentuali nasce il disagio.
"Le classi composite creano ansie, timori, allarmi. Nei genitori italiani. Ma anche in quelli immigrati, che magari vorrebbero una scuola diversa e più severa. C'è una psicosi diffusa dell'invasione. E non ha senso che i politici parlino di "ponti" o di "tetti" astratti, per ridurre il presunto impatto negativo degli stranieri".
Ci sono differenze nella galassia "alunni stranieri"?
"La differenza fondamentale, soprattutto nelle elementari, è tra i ragazzini nati in Italia, gli stranieri di seconda generazione, che sono la maggioranza, e chi è appena arrivato dai Paesi d'origine. I primi padroneggiano quasi perfettamente la nostra lingua, inserendosi senza problemi nelle scuole, conseguendo anche ottimi risultati".
È ottimista, nonostante tutto?
"A Luzzara, come a Torino, o in decine di altri paesi, la scuola a colori s'è dimostrata laboratorio di buona integrazione e nuova cittadinanza. Ma l'integrazione è una strada tutta in salita, faticosa. Non abbiamo formule magiche, ma non ci servono nemmeno astratte parole d'ordine".
Tratto da: La Stampa, 22 novembre 2009, p. 8
Per approfondire il tema: http://archivio.lastampa.it/LaStampaArchivio/main/History/tmpl_viewObj.jsp?objid=9712139

24-GENITORI E FIGLI IMMIGRATI: FILMOGRAFIA
Il conflitto tra prima e seconda generazione di immigrati

Rapporti genitori/figli di immigrati: protagonisti maschili
Film dove il conflitto intergenerazionale è tra ragazzi e padri
Saimir di Francesco Munzi, Italia, 2004
Un bacio appassionato (Ae Fond Kiss...) di Ken Loach, GB, Germania, Spagna, Italia, 2004
Un tocco di zenzero (Politiki Kouzina) di Tassos Boulmetis, Grecia/Turchia, 2003
Jalla! Jalla! (id.) di Josef Fares, Svezia, 2000
East is East (id.) di Damien O’Donnel, GB, 1999
Mio figlio il fanatico (My Son the Fanatic) di Udayan Prasad, GR, 1997
Il grido del cuore (Le cri du cœur), di Idrissa Ouedraogo, Francia/Burkina Faso, 1993
Pelle alla conquista del mondo (Pelle erobreren) di Bille August, Danimarca, 1988
My Beautiful Laundrette (id.) di Stephen Frears, GB, 1985
Rapporti genitori/figli di immigrati: protagoniste femminili
Film dove il conflitto intergenerazionale vede come protagoniste le ragazze
La sposa turca (Gegen Die Wand) di Fatih Akin, Germania/Turchia, 2003
Sognando Beckham (Bend it Like me) di Gurinder Chada, GB/Germania/USA, 2002
Le donne vere hanno le curve (Real Womes Have Curves) di Patricia Cardoso, USA, 2002
Terza generazione (Looking for Alibrandi) di Kate Woods, Australia, 2000
Samia di Philippe Faucon, Francia, 2000
Mississippi Masala (id.) di Mira Nair, Usa/GB/India, 1990
Relazione immigrati/"indigeni"
Quando il conflitto generazionale/culturale coinvolge immigrati e non immigrati
Quando sei nato non puoi più nasconderti di Marco Tullio Giordana, Italia/Francia/GB, 2005
Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano (Monsieur Ibrahim et le fleurs du Coran) di François Dupeiron, Francia, 2003
Cose di questo mondo (In This World) di Michael Winterbottom, GB, 2002
Il mio grosso grasso matrimonio greco (My Big Fat Greek Wedding) di Joel Zwik, Usa, 2002
Tutta colpa di Voltaire (La faute à Voltaire) di Abdellatif bechiche, Francia, 2000
Tratto dal sito: http://www.minori.it/?q=node/1127
 

CHIESA E MIGRANTI

25-QUANDO UN FORESTIERO BUSSA ALLA PORTA
Fin dall’Antico Testamento la categoria dello straniero è stata quella che meglio raffigura il bisognoso

di Enzo Bianchi
"Ero straniero e mi avete ospitato", oppure no?
È questo l’interrogativo che non cessa di risuonare da quando l’evangelista Matteo l’ha posto in bocca a Gesù nella sua descrizione del giudizio finale, descrizione che non mira tanto a raccontare quanto accadrà alla fine dei tempi, ma piuttosto a plasmare l’atteggiamento quotidiano dei discepoli e a fornire loro un criterio di giudizio sul proprio e l’altrui comportamento.
Del resto, fin dall’Antico Testamento, la categoria dello straniero era quella che meglio raffigurava il bisognoso: lontano dalla propria casa, lingua e cultura, privo dei diritti legati all’appartenenza a un popolo, sovente lo straniero finiva per cadere ben presto nelle altre situazioni di emarginazione e sofferenza: malato, carcerato, affamato..., condizioni non a caso citate anch’esse da Gesù nel suo racconto sul giudizio.
Nella tradizione veterotestamentaria la cura e il rispetto per lo straniero si fondavano su una memoria esistenziale prima ancora che storica: l’invito "amate il forestiero perché anche voi foste forestieri nel paese d’Egitto" (Deuteronomio 10,19) risuona pressante e attuale anche per generazioni ormai da tempo insediate nella terra promessa.
A questa consapevolezza si aggiunge nei Vangeli l’inattesa identificazione di Gesù con lo straniero che attende accoglienza e che incontra rifiuto: ciò che si fa o non si fa al "più piccolo", al più indifeso, è dono elargito o negato a Gesù, come se egli fosse presente e recettivo ogni giorno al nostro agire.
In questo senso un dato complementare emerge con forza dalle pagine del Nuovo Testamento: Gesù stesso, il Gesù storico che ha abitato tra gli uomini come uno di loro, è percepito e narrato come uno straniero, in quanto ha vissuto "altrimenti", manifestandosi come "altro" agli occhi di chi lo ha incontrato e ne ha poi raccontato l’esistenza...
Per continuare la lettura: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/07/12/quando-un-forestiero-bussa-alla-porta.html
Segnalato da Carlo Miglietta

26-E LE NOSTRE COMUNITÀ CRISTIANE?
molte di queste sono variopinte e multiculturali

di Mario Bandera
Nel dibattito sollevato da Silvio Berlusconi con l'affermazione che l'Italia non sarà mai una società multietnica, molti sono stati coloro che, stigmatizzando la sua presa di posizione, hanno dimostrato (dati alla mano) come l'Italia da tempo è già una società multietnica. In tal senso si è espresso in termini perentori il segretario della Cei, mons. Mariano Crociata, il quale ha ricordato quanto sia fondamentale per il nostro paese, non tanto creare barriere o innalzare muri, ma piuttosto individuare quei cammini che portino ad una serena integrazione e ad una pacifica convivenza.
Sembra quasi scontato, ma oggi non solo nelle grandi città o negli ambiti lavorativi è radicata la presenza degli immigrati, ma anche nei paesi più sperduti troviamo persone provenienti dall'Africa, dall'Asia e dall'America Latina, tranquillamente inserite in attività e mansioni fino a pochi anni fa svolte dagli italiani.
Per rimanere in ambito ecclesiale, le nostre comunità da diversi anni a questa parte sono diventate molto "variopinte" grazie alla partecipazione di cristiani provenienti da altri paesi; non è raro vedere chierichetti bianchi e neri che servono messa con la gioiosa goffaggine delle generazioni precedenti; in tanti cori parrocchiali certe voci dai toni squillanti rivelano accenti e parlate di altri lidi, così come nei consigli pastorali di tante parrocchie troviamo esponenti di cristiani provenienti da altre parti del mondo; anche negli oratori gli animatori sono sempre più multietnici e tanti giovani del Sud del mondo li troviamo impegnati in attività sportive accanto ai nostri ragazzi.
Inoltre, sempre più va prendendo piede l'inserimento di sacerdoti che arrivano da altri paesi che si pongono al servizio di comunità che altrimenti non avrebbero preti per celebrare l'eucaristia. Questo fenomeno, quasi impercettibile in alcune diocesi italiane, in altre assume proporzioni vistose, tanto che in alcune di esse il corpo presbiterale è composto dal 30/40 in certi casi oltre il 50% da sacerdoti africani, latinoamericani o provenienti dai paesi dell'Est Europa. Per non parlare degli istituti religiosi, in modo particolare di quelli femminili, la cui componente etnica è ormai a stragrande maggioranza di uomini e donne nati in terre ben lontane dalla nostra. Questo travaso di migranti fa sì che la comunità ecclesiale stia acquisendo consapevolezza della propria cattolicità e dell'universalità della fede celebrata.
Si racconta che un cristiano proveniente dall'Africa, recatesi in parrocchia per chiedere il battesimo per il suo bambino si sia sentito dire che per prepararsi bene doveva fare 3-4 incontri. Questi, stupito, disse: "Come mai in Africa abbiamo fatto percorsi di catechesi per prepararci al battesimo che sono durati più di un anno, e qui in Italia vi limitate a pochi incontri; non sarà che la vostra fede è ormai ridotta al lumicino?".
E proprio il caso di dire che la multiculturalità, per non dire la multiforme ricchezza di vita di fede, è garanzia di integrazione, tolleranza e rispetto. Nei ghetti e nelle sette, accoglienza, attenzione e amore verso gli altri hanno sempre fatto fatica ad attecchire nel cuore di chi, chiudendosi dentro, escludeva gli altri. Un rischio che la comunità cristiana non intende assolutamente correre.
Tratto da: Settimana n.20/2009 p.4
Il sito della rivista:  http://www.dehoniane.it/riviste/riv_ew_page.php?CODE=SET

UOMINI E DONNE NELLA BIBBIA

27-PAOLO IL METICCIO?
Ebreo per nascita, greco di cultura, cittadino romano, uomo universale

di Tony Piccin
"Non dite menzogne gli uni agli altri: vi siete svestiti dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine di Colui che lo ha creato. Qui non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti" (Col 3,9-11).
Nel racconto della conversione di San Paolo (At 9,4 e ss) è facile evidenziare il fatto straordinario: la luce abbagliante, la caduta da cavallo, la cecità e la voce di Gesù che rimprovera e chiama. Dunque una conversione che segue un evento straordinario, miracoloso.
Paolo però, a partire da quel momento illuminante, deve fare i conti con un cammino interiore difficile e radicale. Si trattava di abbandonare un tipo di ideologia e di accoglierne un’altra completamente diversa. Tutti conosciamo la difficoltà di cambiare le proprie idee, specie se radicate e ragionevolmente motivate. Si trattava di passare dall’idea di un Gesù indemoniato - bestemmiatore - condannato ad una morte infamante, la croce appunto, a quella invece che Gesù era il Cristo-Messia.
Paolo, così orgoglioso e sicuro di sé, una volta accecato negli occhi, deve accettare tutti i suoi limiti: non riuscendo a vedere, deve farsi aiutare a rialzarsi e a farsi accompagnare a Damasco. È una nascita ideologica forzata e violenta come un aborto (cfr 1 Cor 15,8).
Sappiamo che Paolo (Saulo) era stato discepolo di Gamaliele, un rabbino fariseo tutt’altro che sprovveduto. Ne abbiamo la conferma in At 5, 34 e ss: "Si alzò allora nel sinedrio un fariseo, di nome Gamaliele, dottore della Legge, stimato da tutto il popolo. […] disse: "Uomini d’Israele, badate bene a ciò che state per fare a questi uomini. Tempo fa sorse Tèuda, infatti, che pretendeva di essere qualcuno, e a lui si aggregarono circa quattrocento uomini. Ma fu ucciso, e quelli che si erano lasciati persuadere da lui furono dissolti e finirono nel nulla. Dopo di lui sorse Giuda il Galileo, al tempo del censimento, e indusse gente a seguirlo, ma anche lui finì male, e quelli che si erano lasciati persuadere da lui si dispersero. Ora perciò io vi dico: non occupatevi di questi uomini e lasciateli andare. Se infatti questo piano o quest’opera fosse di origine umana, verrebbe distrutta; ma, se viene da Dio, non riuscirete a distruggerli. Non vi accada di trovarvi addirittura a combattere contro Dio!".
Anche per il focoso Paolo aver avuto un maestro che insegnava a ragionare onestamente e a fare discernimento sugli avvenimenti non deve essere stato ininfluente.
Le successive scelte di Paolo avranno la stessa apertura di mentalità e, nello stesso tempo, una uguale precisione logica consequenziale. In quei tre giorni di cecità egli comincia a ragionare e, ragionando, vede tutto con occhi nuovi. Se Gesù gli aveva parlato, allora egli era vivo; se era vivo, era risorto; se era risorto vincendo la morte, era il Messia; se era il Messia, era Figlio di Dio, cioè Dio; se era Dio, era "la luce per illuminare le genti", cioè tutti i popoli, non solo i Giudei. Ma perché allora Egli era morto in quel modo vergognoso? La risposta era una sola: per amore.
La morte di Gesù diventa la pietra sulla quale Paolo costruisce tutta la sua esistenza e la sua dottrina. Non si trattava più di obbedire alla "Legge", ma di avere un rapporto con il "Vivente".
Paolo viene aiutato da Anania che lo battezza e lo inserisce nella comunità dei credenti. Sentendosi amato personalmente scrive: "Gesù mi ha amato e ha dato sé stesso per me" (Gal 1, 15-16).
La chiesa di Antiochia di Siria era tra le più fiorenti tra quelle fondate da Paolo e si espanse presto anche ai pagani. Questo destò perplessità tra gli apostoli al punto che inviarono Barnaba a osservare. "Paolo e Barnaba rimasero insieme un anno intero in quella chiesa e istruirono molta gente. Ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani" (At 11, 26).
Antiochia divenne la base operativa per l’opera evangelizzatrice di Paolo. E proprio qui sorsero i contrasti con Pietro sul fatto che i nuovi discepoli non Ebrei dovessero passare attraverso l’ebraismo (essere circoncisi) per ricevere il battesimo. Paolo aveva le idee molto chiare. Egli aveva visto quella luce e in essa Dio stesso. La fede dunque è luce per tutti: Ebrei e non ebrei. Il suo compito era quello di aprire gli occhi a tutti affinché nella vita di tante persone entrasse la luce vera. "Guai a me se non annunciassi il Vangelo!" (1 Cor 9,16). La bella-buona notizia (vangelo) era appunto che Gesù, come il sole, trasmette luce e calore a tutti, così Dio non fa altro che amare. Per Paolo il cristiano, da qualunque esperienza arrivi, da ogni popolo e nazione, "non cammina più nelle tenebre": illuminato da Cristo (cfr Ef 5, 14; 2 Cor 4,6) cammina sicuro con la luce, è figlio della luce (1 Ts 5,5, indossa "le armi della luce", può "gettare via le opere delle tenebre" (Rm 13,12), è sveglio e non vive da addormentato (Ef 5, 14).
Nel giro di 15 anni per opera di Paolo il centro della nuova fede si trasferisce da Gerusalemme a Roma, la capitale del mondo di allora. Nei suoi viaggi attraverso Asia Minore, Grecia, Cipro, Creta, Malta, Italia, tra molte fatiche e peripezie (fame, freddo naufragi, …cfr 2 Cor 11, 24 e ss) sopportate per la causa del Vangelo vengono poste le basi della nuova dottrina: la salvezza viene data da Gesù per mezzo del Vangelo e della fede suggellata dal battesimo.
Il popolo eletto resta sempre incluso nel disegno di Dio, tuttavia la promessa data ad Abramo si è attuata in Cristo "costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti" (Rm 1, 4) "per apportare la salvezza a chiunque crede" (Rm 1, 16).
Paolo è un Giudeo e tale rimane, lo dimostra il voto di nazireato fatto a Corinto nel 52 d.C. Egli è profondamente attaccato alla religione giudaica, tuttavia se ne distacca per quanto riguarda Gesù Cristo, il Messia mandato a salvare l’umanità intera. "Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero: mi sono fatto come Giudeo per i Giudei, per guadagnare i Giudei. Per coloro che sono sotto la Legge – pur non essendo io sotto la Legge – mi sono fatto come uno che è sotto la Legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono sotto la Legge. Per coloro che non hanno Legge – pur non essendo io senza la legge di Dio, anzi essendo nella legge di Cristo – mi sono fatto come uno che è senza Legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono senza Legge. Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io" (1 Cor 9, 19-22).
"…guardatevi da quelli che si fanno mutilare! I veri circoncisi siamo noi, che celebriamo il culto mossi dallo Spirito di Dio e ci vantiamo in Cristo Gesù senza porre fiducia nella carne, sebbene anche in essa io possa confidare. Se qualcuno ritiene di poter avere fiducia nella carne, io più di lui: circonciso all’età di otto giorni, della stirpe d’Israele, della tribù di Beniamino, Ebreo figlio di Ebrei; quanto alla Legge, fariseo; quanto allo zelo, persecutore della Chiesa; quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della Legge, irreprensibile" (Fil 3, 4 e ss).

28-AGATA
Un racconto di Lucia Panzieri

È agosto, è caldo, è l’estate del 2006.
I bambini sono sudati e hanno sete, abbiamo appena fatto cinquecento chilometri di autostrada per tornare a casa dal mare di Pesaro. A Pesaro ci sono nata, là c’è la mia famiglia, e la mia infanzia. La donna che sono diventata, invece, abita qui.
Parcheggiamo in cortile e dalla macchina scendono indistintamente bambini, sabbia, sandali, giornalini, giochi e conchiglie. E altra sabbia ancora. Ogni anno da Pesaro ne portiamo a casa un mucchio di sabbia, senza volerlo, e me la ritrovo per settimane nelle borse del mare, sul fondo delle valigie, tra i fili degli asciugamani. Come se quel posto mi inseguisse delle volte, e anche se scuoto e sbatto e mi giro di notte dall’altra parte, al mattino lo ritrovo sempre lì, con me e i miei fratelli da piccoli che mi sorridono dalle foto sul comodino.
D’un tratto sento urlare, piangere, sento una voce forte di donna, che conosco. È Agata, la mia vicina, con il suo Federico in braccio: urla disperata, corre e urla. Io non capisco cosa dice, parla il suo inglese africano, e scappa, a piedi nudi, gridando.
Cerco di andarle incontro e lei allora, con la coda dell’occhio, si accorge che siamo tornati e si avvicina, mi fissa con due occhi enormi e infuriati e mi dà il bambino.
Io abbraccio Federico, e per un attimo mi chiedo in quale girone infernale siamo venuti a parcheggiare la macchina quest’anno. Eppure è il nostro cortile, la nostra via tranquilla, l’afa umida dell’estate: sono io, sono qui...
Per continuare la lettura: http://www.salonelibro.it/it/documenti/doc_view/145-agata-lucia-panzieri-italia.raw?tmpl=component
Segnalato da Giancarlo Marcone

29-Siti Internet "orientati" per approfondire l'argomento

Centro di ascolto e servizi per stranieri (Torino): http://www.migrantitorino.it/
Per chi non si accontenta di giudizi sommari: http://www.lavoce.info/articoli/-immigrazione/
Uno spazio per raccontare la vita dei movimenti sociali antirazzisti: http://clandestino.carta.org/
News quotidiane ed approfondimenti su immigrazione, asilo, cittadinanza: http://www.immigrazioneoggi.it/index.html
Dar voce a chi non viene mai ascoltato: http://www.misna.org/misna2009/chi_ita.asp?IDLingua=2
Dedicarsi alla pastorale tra gli immigrati: http://www.neroebianco.org/magazine.asp
Per la promozione dei diritti di cittadinanza: http://www.meltingpot.org/