Foglio di collegamento tra Gruppi Famiglia
GF67 extra - dicembre 2009 - Noi e gli "altri"
Quando si affitta o si compera un DVD, oltre al film classico è possibile trovare
anche commenti del regista e degli attori, scene tagliate, finali alternativi, provini,
corti promozionali, ecc.: sono i cosi detti extra.
Ciò vale anche per questo numero della nostra rivista. La sua realizzazione ha comportato
una lunga fase preparatoria in cui si sono raccolti molti materiali. Solo una parte di
questi sono stati utilizzati nella stampa della rivista ma questo non significa che ciò
che è stato, per ragioni di spazio, omesso non sia valido. In questa edizione elettronica
vogliamo quindi proporvelo.
Ma c'è anche un altro motivo: vent'anni fa, durante le feste di Natale, vedeva la luce il
primo numero di questa rivista. Questo numero extra è anche un modo per ricordare
quell'evento.
I testi appartengono a diverse categorie: ricevuti ma pubblicati con tagli, non
pubblicati, preparati o trovati dalla redazione e non usati. Sono stati ordinati secondo
un sommario che ripercorre in gran parte quello del numero appena pubblicato.
Gli articoli a cui è possibile accedere tramite Internet son riportati solo in parte.
Per visionare il primo numero della rivista cliccare
qui!
IL FENOMENO MIGRATORIO
2-CITTADINI DI DOVE?
Presentato il XVIII dossier Caritas/Migrantes sull'immigrazione
3-RICORDATI CHE SEI STATO STRANIERO
Torino. Quaresima di Fraternità con il Terzo Mondo 2009
Cari Lettori,
avete fra le mani una pubblicazione snella, interessante, frutto di riflessioni pertinenti
di persone direttamente coinvolte o particolarmente attente ad una realtà, quella
dellimmigrazione da altri Paesi, che tocca nel profondo la nostra società, le
nostre relazioni quotidiane e provoca lo stile della nostra vita cristiana.
Il flusso migratorio è sempre stato presente nella nostra storia, in particolare di
questo ultimo secolo,
solo che a volte corriamo il rischio di avere la memoria
corta e dimenticare quello che fa parte delle nostre radici storiche e culturali,
cristiane. Laiutarci a ricordare tutto ciò è certamente cosa non da poco.
Un altro aspetto importante che ritorna spesso in queste pagine è il richiamo diretto e
non al cammino che come cristiani siamo chiamati a costruire e percorrere durante la
nostra esistenza umana, cammino verso Dio che è la sorgente e la meta della nostra vita e
cammino verso i fratelli, con i fratelli.
Lidea e lesperienza del cammino, del pellegrinare, che ritorna sovente nella
Bibbia, ci rimandano ad alcuni atteggiamenti fondamentali del nostro essere umani,
cristiani: la necessità, la capacità di capire la situazione di chi è in difficoltà,
di non giudicare guidati da luoghi comuni o dallapparenza, mettendoci invece nei
panni di chi è spaesato, straniero, aprendo il nostro spirito, il nostro cuore
allaccoglienza
Da tutto questo nascono domande inquietanti: come umano e cristiano, come singolo o
comunità su un territorio, come vivo questa situazione, come affronto questa realtà?
Chiudendomi in me stesso, costruendo barricate psicologiche, ideologiche dettate dalla
paura, da una immaturità che è spinta a crescere da una mentalità sempre meno capace di
pensare? O riappropriandomi della nostra storia di popolo migrante, di cristiani
pellegrini, per aprirmi ad un atteggiamento costruttivo di ricerca di idee e azioni
affinché queste situazioni umane abbiano una lettura e una risposta umana, cristiana?
A me e a tutti voi un sincero augurio che, leggendo questo fascicolo, la risposta sia la
seconda.
don Bartolo Perlo (direttore Ufficio missionario Diocesi di Torino)
La pubblicazione: http://www.sdtm.it/quaresima2009.php
Il sito del Servizio Diocesano Terzo Mondo: http://www.sdtm.it/index.php
4-ACCOGLIENZA: PAROLA CHIAVE DEL VANGELO
Questa parola è il cuore della nostra fede
di mons. Antonio Riboldi
Si è fatto duro lo scontro dopo il decreto legge sulla immigrazione e, in particolare, su
quanti noi consideriamo 'clandestini', ossia coloro che sono tra noi senza i dovuti e
giusti permessi di residenza.
Se vogliamo, è giusto che, chi viene tra noi, sia riconosciuto, in modo da evitare che ci
sia chi viene, non per motivi di sopravvivenza, ma per impiantare il crimine.
Ma è anche vero che considerare tutti i clandestini come 'un attentato alla legalità' è
davvero un atto ingiustificabile.
Nasce così la 'caccia' al clandestino, addebitando loro tutti i reati che si commettono
sul nostro suolo e, quindi, correndo il pericolo di considerare tutti, a cominciare dai
rom, un 'pericolo pubblico', che mette paura.
Non solo, ma, per 'liberarci' di loro, si ricorre alla violenza gratuita, come succede con
i fratelli rom, che si vedono cacciati, inseguiti.
Viene da chiederci la ragione del perché, tanti, soprattutto dall'Africa, sopportino un
lungo estenuante viaggio nel deserto, rischiando la morte per fame e sete, per raggiungere
le sponde del Mediterraneo, per poi affidarsi a gente senza scrupoli, che li sfrutta
ulteriormente, facendo pagare il tragitto, ammucchiandoli su barche, che sono una sfida
alla sicurezza, approdando così - quando tutto 'va bene' - sulle nostre coste, sfiniti,
messi in centri di accoglienza provvisoria e, infine, rimandati di nuovo alla propria
terra, ossia a morire di fame!
Si parla di costruire in Italia, come a Lampedusa, tanti centri di accoglienza
provvisoria, ma con sopra la spada di Damocle di essere rimandati ai loro paesi.
Sarà un problema di ordine e sicurezza - non c'è nulla da eccepire - ma vi è anche
un'altra via: metterli in regola e accoglierli alla tavola della nostra abbondanza.
Tutti dovremmo sapere che, nella Chiesa, famiglia di Dio che non conosce emarginazioni, la
parola ACCOGLIENZA è il cuore della nostra fede.
Noi vescovi dicevamo, tanti anni fa, 'occorre accogliere con amore e condividere, ma nello
stesso tempo, pur rispettando le fedi di ciascuno e la civiltà in cui sono cresciuti,
fare opera di mediazione, informazione e crescita, in modo che convivere significhi
conoscerei, rispettarci e amarci'.
Quale la ragione dell'emigrazione?
Vorrei ricordare a tutti che gli italiani, tuttora emigrati e che vivono onoratamente
nel mondo, sono cinque milioni. E sono cittadini provenienti dal Sud al Nord, in modo
speciale dal Veneto.
Si emigrava perché da noi non c'era spazio per il lavoro e, quindi, per la vita.
Parroco a S. Ninfa, di cui metà della popolazione (seimila abitanti) era emigrata, ho
capito che cosa significhino le famiglie 'spezzate'.
All'emigrato non interessava tanto garantirsi i diritti necessari, quanto cercare un
lavoro, per mandarne il frutto in famiglia. Vivevano ammucchiati in baracche, confinati,
tante volte, ai margini delle città, senza servizi o in piccoli appartamenti
sovraffollati all'inverosimile, per risparmiare.
C'è differenza tra i nostri emigrati di ieri e quelli di oggi, che giungono nel nostro
Paese, compresi i Rom? Senza contare che tanti 'cosiddetti clandestini' fanno comodo a
molti datori di lavoro, che li assumono in nero, evadendo il fìsco e la giustizia,
considerandoli solo 'mercé privilegiata', senza offrire la minima garanzia di sicurezza.
Ciò che conta è solo il profitto che ricavano 'usandoli'.
Chi viene meno alla giustizia? Di chi avere paura? dei poveri sfruttati o dei loro
'padroni'?
Voglio riportare quanto scrivevo nel 1965, visitando i miei emigrati in Germania e
Svizzera, negli USA, per mostrare come nulla è cambiato. Ieri toccava a noi
l'emarginazione e il disprezzo, ora tocca ad altri. "Respiravo, vivevo a pieni
polmoni, senza paura, anche nelle più profonde pieghe; tutti i disagi dell'emigrazione. A
volte dormivo nelle loro stesse baracche: sempre incontrando la difficoltà di vivere in
Paesi di cui non conoscevo gente, lingua, costumi, come fossi io pure un emigrato,
condividendo a volte con loro il disprezzo.
Quante volte passeggiando con loro venivo investito dall'epiteto 'zingaro' (oggi diventato
'rom'.). Ebbi a volte la tentazione di ribellarmi, ma come emigrato tacevo, perché
l'emigrazione, ieri e oggi, è come una necessità per un pezzo di pane per sé e la
famiglia.
In quegli incontri - che duravano due mesi - raccoglievo la nostalgia della propria terra,
della propria famiglia, molte volte espressa in modo straziante, sempre mescolando lacrime
e racconti, facendo rivivere persone e luoghi e, in quei momenti di ricordi ed emozioni,
era come se si fosse tornati a casa.
E quante volte, da solo, per non aumentare il già grande dolore, piangevo non solo se per
dolore o per ribellione a questo oceano di sofferenza.
Guardavo le chiese che incontravo e domandavo disperatamente a quelle mura che cosa
avevano da dirmi a proposito di emigrazione. Là dentro, sicuramente, si parlava di
accoglienza, di carità, ma fuori da quelle mura c'era gente tenuta lontana dalla carità,
anzi così poco 'uomini-fratelli presso Dio', da essere considerati merce per il progresso
economico.
Avrei voluto poter guardare negli occhi tutti quei fratelli che ascoltavano la Parola di
Dio. Avrei voluto sentire le parole che indirizzavano a Dio, Padre di tutti gli uomini,
dopo aver incontrato sulle strade i fratelli stranieri che li infastidivano persino con la
loro presenza alla celebrazione della S. Messa.
Come mi capitò di constatare negli Stati Uniti, a Brooklyn, luogo di tanti emigrati: non
potevano celebrare in Chiesa, ma per le celebrazioni liturgiche veniva destinato un altro
locale, per gente diversa, considerata di seconda categoria.
Si parlava di 'conquistata civiltà del lavoro' e, dentro di me, esigevo una risposta di
chiarificazione per gli emigrati cacciati in luride baracche, molte volte senza neppure la
possibilità di una necessaria pulizia: troppo lusso per chi emigra per sostenere la
famiglia in patria!
E mi nasceva una smorfia terribile dell'anima, come se il mondo si reggesse sulla
menzogna.
Mi chiedevo: Ma che civiltà è mai questa?"
Tratto da: Famiglia in Dialogo, anno VIII, n.3, p.7-8
Il sito dell'autore: http://www.vescovoriboldi.it/
Il sito della rivista: http://www.famiglieincontro.org/content.asp?c=691
5-UNA STORIA DI ORDINARIA IMMIGRAZIONE
Quando "gli altri" venivano da un'altra regione (italiana)
di Massimo Tagliati
Giovedì 1 ottobre col senno del poi posso dire di "festeggiare"
quarant'anni da immigrato. All'inizio è stata dura, ma ero io che avevo cercato il
Piemonte, non loro me. Arrivo il primo ottobre 1969, avevo 8 anni, partenza in piena notte
dal Polesine, catapultato chissà dove, ma poche ore dopo lo scoprivo, arrivo a Torino,
primo ricordo un deposito pieno d'automobili, che belle, mai viste così tante tutte
insieme. Secondo ricordo l'ascensore, mai visto prima su e giù per ore quasi fosse una
giostra. Si va a scuola, primi giorni di rodaggio, ma una mattina un altro ricordo
indelebile, la maestra chiama il bidello, e gli ordina: "Porti fuori questi due
selvaggi", io e il mio compagno avevamo la colpa di non saper parlare italiano, ma il
dialetto veneto, che oggi forse sarebbe un valore aggiunto, non una gogna.
Oggi se un alunno venisse cacciato con quella frase, il giorno dopo i telegiornali
documenterebbero il fatto, allora successe semplicemente che mio padre parlò con
l'insegnante, lei vide che non avevamo l'anello al naso e pubblicamente fini lì;
privatamente mio padre mi obbligò a parlare italiano in casa, per accelerare
l'apprendimento della lingua, avevamo capito che eravamo noi a doverci adattare,
possibilmente in fretta...
Per continuare la lettura: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=273&ID_articolo=91&ID_sezione=627&sezione=
6-PICCOLI E SCURI, PUZZANO E RUBANO
Uno stereotipo di immigrato che esiste da tempo
Non amano l'acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte
settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città
dove vivono, vicini gli uni agli altri.
Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti.
Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni
diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili,
probabilmente antichi dialetti.
Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l'elemosina ma sovente davanti alle chiese
donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e
petulanti.
Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che
siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti...
Per continuare la lettura: http://www.bumerang.it/index.php?Pg=Scritto+da+Ispettorato+del+Congresso+Americano+sugli+immigrati+italiani+negli+USA%2C+1912+
Segnalato da Gigi Agostinis
IMMIGRATI IN ITALIA: TRA ACCOGLIENZA E RIFIUTO
7-LA PARTITA IVA DEI MURATORI MAGHREBINI PAGATI
IN NERO
Hassan sulle impalcature ci va come datore di lavoro di sé stesso.
Di Roberto Giovannini
Che mondo. È un mondo tremendo". Il nome vero non lo dice, ha troppa paura: "Se
mi riconoscono ho chiuso, non lavorerò mai più". Lo chiameremo Hassan: ha
quarant'anni, viene da un paese del Maghreb ed è laureato in biologia. Naturalmente qui
in Italia, in Val di Magra, tra Sarzana e La Spezia, dove vive dal 2005, fa tutt'altro: il
muratore. Ma sulle impalcature - quasi sempre senza casco o altre misure di sicurezza -
Hassan non ci va da lavoratore dipendente, e se per questo nemmeno da precario. Ci va come
"imprenditore", come datore di lavoro di sé stesso, con tanto di partita Iva.
E anche se a fine mese il padroncino che lo fa lavorare - se tutto va bene - gli avrà
dato al massimo 1.000, 1.100 euro, Hassan è costretto ad emettere fatture da due, tremila
euro ogni mese. Fatture fasullissime, ovviamente, come è fasulla e terribile la
condizione di dover accettare di lavorare da "imprenditore di sé stesso" (senza
tutela dagli infortuni, senza contributi, sottoposto a un ricatto continuo) pur di avere
attraverso quel pezzo di carta la possibilità di conquistare l'agognato permesso di
soggiorno...
Per continuare la lettura: http://archivio.lastampa.it/LaStampaArchivio/main/History/tmpl_viewObj.jsp?objid=9662247
8-IL LAVORO CHE NON C'È PIÙ
"Disoccupato, rischio l'espulsione dall'Italia"
"Perdi il lavoro e rischi pure di essere cacciato dall'Italia". Capita,
nell'anno 2009, con la crisi che morde e picchia duro su tutto il paese. Per un immigrato
extracomunitario è un pericolo reale: "Senza contratto di lavoro addio permesso di
soggiorno", racconta Jamal Kolli. E non è l'unico ostacolo: "Senza lavoro non
riesci a pagare l'affitto e corri il rischio che il tuo padrone di casa ti mandi via. Non
puoi far fronte alle bollette, ma così dopo qualche mese ti staccano tutto: luce, gas,
acqua. Come fai a versare la quota per la mensa scolastica di tuo figlio?".
Paure e interrogativi che di questi tempi agitano molti, italiani e stranieri. Ma sugli
immigrati pesa l'incubo dell'espulsione dall'Italia, e non solo quello. "Io sono
l'unico della mia famiglia qui in Italia. Fino a poco tempo fa ero una speranza.
Mandavo soldi in Marocco e aiutavo i miei parenti. Ma adesso? Come tanti miei connazionali
rischio di dover chiedere io un aiuto per avere una boccata d'ossigeno. Quest'anno sta
mandando al macero tutte le nostre speranze".
Tratto da: La Stampa, Torino 4 novembre 2009, p. 56
Per approfondire il tema: http://archivio.lastampa.it/LaStampaArchivio/main/History/tmpl_viewObj.jsp?objid=9670183
9-Una sfida per la comunità ecclesiale
LE FAMIGLIE IMMIGRATE
Quando mi hanno chiesto di presentare una mia testimonianza sul tema delle migrazioni
per questa rivista rivolta a gruppi famiglie sono stata molto contenta perché ho molto a
cuore limpegno per i migranti e da diverso tempo sto cercando di promuoverlo nelle
realtà in cui mi sono trovata, prima a Roma, da dove provengo, a Modena, dove ho vissuto
per 18 anni, e di nuovo a Roma dove sono tornata da 5 anni.
Ho pensato, quindi, che potevo portare qualche stimolo frutto della mia esperienza in
primo luogo come madre di famiglia, anche io emigrata per 18 anni da Roma a Modena,
nellEmilia così ricca di attenzioni al "sociale", sposata con un modenese
(spesso affermo che anche io faccio parte di una coppia mista, a cavallo tra due culture
anche se allinterno dellItalia). In secondo luogo come membro, insieme a mio
marito, del Movimento laici missionari scalabriniani, realtà ecclesiale che si occupa da
diverso tempo di migrazioni, e in terzo luogo come formatrice interculturale, professione
che è cresciuta con lo sviluppo della realtà multietnica in Italia, prima paese di
emigrazione e ormai da almeno 30 anni paese di immigrazione. Ma come esprimere in una
pagina ciò che ho imparato in queste ricche esperienze e che è diventato limpegno
della mia vita? Ho appena iniziato a dire chi sono e fra breve dovrei finire.
Ci proverò
"Tu dirai: Io sono un simbolo per voi; infatti quello che ho fatto a te, sarà
fatto a loro; saranno deportati e andranno in schiavitù." (Ez.12,11)
In un mio scritto del 1994 parlavo della nuova evangelizzazione e
dellimmigrazione come "sfide di oggi per la comunità ecclesiale" . Vorrei
ribadire ancora oggi, nel 2009, quanto le sfide di cui parlavo ormai 15 anni fa rimangono
ancora tali e sono state raccolte da pochi. Sottolineavo, infatti allora, come la
realtà migratoria è per la nostra comunità ecclesiale un segno dei tempi e una
grossa occasione di conversione e rinnovamento e dovremmo saperla cogliere
particolarmente in questo periodo in cui si discute tanto di accoglienza e respingimenti
ma, proprio perché tale, è difficile accoglierla pienamente.
La realtà delle migrazioni è una ricchezza
"Emigra luomo, sempre strumento di quella Provvidenza che presiede agli
umani destini e li guida, anche attraverso a catastrofi, verso la meta, che è il
perfezionamento delluomo sulla terra e la gloria di Dio nei cieli" (Scalabrini)
Abbiamo affermato che la realtà migratoria è una grossa occasione di conversione e una
ricchezza per la comunità ecclesiale ma come potrà esserlo se non la conosciamo e non la
facciamo conoscere, non creiamo occasioni di incontro e scambio stimolante da ambedue le
parti?
Quanto conosciamo la realtà delle famiglie immigrate presenti nella parrocchia , nel
quartiere, nella Diocesi in cui viviamo? E fino a che punto la conosciamo? La conosciamo
perché vediamo qualcuno di loro per strada o magari in chiesa o perché i dati statistici
affermano che ci sono molti immigrati nella nostra zona ? O, magari, perché alcuni di
loro vengono al nostro centro dascolto per cercare lavoro o per risolvere altri
problemi economici ? Quanto influiscono su questo le immagini negative presentate dalla
cronaca nera?
Mi rendo conto di aver dato solo qualche spunto, posto e suscitato interrogativi ma forse
cè bisogno anche di questo oggi
Cinzia Sabbatini
Per conoscere il movimento laici missionari scalabriniani: http://www.cem.coop/rivista
10-IL DIRITTO DI MARTINA
Per ottenere lindennità di accompagnamento è necessario possedere la
Carta di Soggiorno,
che è rilasciata solo a chi possiede un reddito
di Sofia Zamboni
Un percorso travagliato e lungo ma a lieto fine. È la storia di Martina e di Caterina.
Una storia che inizia in Cile, in una situazione di estremo disagio, e termina in Italia,
in un'aula di Tribunale, tra i cavilli della burocrazia. Una burocrazia che spesso si
dimentica dei "casi speciali", delle "eccezioni" per le quali
basterebbe il buon senso, troppo spesso soffocato dalla fretta e dal grigiore di pratiche
ed uffici.
Martina nasce in Cile 20 anni fa, affetta dalla Sindrome di Binder, che le causa ritardo
mentale e grave ipoacusia. Viene abbandonata, come spesso accade, in un centro per minori.
Nel 1992 arriva in Italia per cure mediche, affidata alla Comunità Papa Giovanni XXIII.
Ad aspettarla al1'aeroporto di Roma c'è Caterina Balocco, che si è offerta di prendersi
temporaneamente cura della bambina. A Caterina vengono consegnati un sacchetto con poche
cose e Martina, 4 anni, completamente spaesata dopo essere stata trasportata da un giorno
all'altro in un nuovo continente.
Dopo 3 mesi Caterina sceglie di tenere con sé la bimba. I primi anni sono difficili.
Martina vive un mondo tutto suo. È irrequieta, sempre in movimento, non capisce la
lingua, fatica a sentire i suoni, a riconoscere ambienti e persone. A questo si aggiungono
i vari interventi chirurgici nel corso dei quali vengono ricostruiti a Martina il dorso
nasale, con innesto osseo, nel 1994, e le narici, con prelievo di cartilagine
dall'orecchio, nel 1995. Nel corso degli anni successivi, fino al 2005, viene sottoposta
ad altri piccoli interventi. Il percorso che viene intrapreso agisce su più fronti,
dall'inserimento scolastico alle visite dal foniatra, dalla neuropsichiatria alla
psicomotricità.
Oggi Martina frequenta la scuola alberghiera, seguita da uninsegnante di sostegno,
ed ha sviluppato un metodo di comunicazione particolare che le permette di farsi capire
mediante la gestualità. Si tratta di strategie comunicative cresciute nel tempo, con un
lungo lavoro di interazione ed accompagnamento. Caterina è riconosciuta a tutti gli
effetti da Martina come la sua mamma, una persona presente con la quale ha creato una
relazione stabile.
"Il nostro rapporto - spiega - è stato sempre in crescendo, nel dare e nel ricevere.
Martina ha imparato a conoscermi, sa che io sono lì per lei i contraccambia. È
gratificante". A Martina era stata riconosciuta linvalidità al 100% e di
conseguenza il costante bisogno di assistenza. Caterina è stata nominata sua tutrice ed
ha fatto domanda nel 2006 per lindennità di accompagnamento in favore di Martina.
A questo punto sono iniziati i problemi. Per ottenere lindennità è necessario
possedere la Carta di Soggiorno, che però viene rilasciata solo se linteressato
dimostra di avere un reddito. Ovviamente Martina non possiede reddito. La sua unica
entrata potrebbe essere proprio lindennità legata all'invalidità. Nonostante
Caterina, in quanto tutrice, ricopra tutte le responsabilità genitoriali e provveda al
sostentamento di Martina, il suo reddito non è stato preso in considerazione. Si è
quindi creato un circolo vizioso che riconosce a Martina l'invalidità e il diritto
allindennità, ma non le permette di fatto di ottenerla. A chi si chiede perché
Caterina non abbia optato per l'adozione, lei risponde che questa scelta deve essere
dettata da motivazioni profonde ed interiori, non certo dalla necessita di documenti. Dopo
che i vari tentativi per richiedere la Carta di Soggiorno si sono rivelati vani, Caterina
ha deciso di ricorrere all'assistenza di un avvocato. Per un anno la battaglia per i
diritti di Martina è stata aperta e nel 2008 il processo è andato buon fine. È stato
dichiarato il diritto di Martina a percepire l'indennità di accompagnamento, con gli
interessi legali dal 121° giorno successivo alla domanda amministrativa fatta nel 2006.
Inoltre sono state poste a carico dell'INPS le spese di lite, in quanto ente deputato
all'erogazione del beneficio risultato soccombente. E una volta presentata la sentenza, la
Questura ha concesso la Carta di Soggiorno. Un conquista ed una buona notizia per tutti i
tutori di ragazzi disabili stranieri.
Tratto da: "Sempre, mensile fondato da Don Oreste Benzi", Febbraio 2009, Anno
XXXII N° 2
http://www.apg23.org/la-comunicazione/sempre-comunicazione/mensile-sempre
Inviato da Matteo Fadda
10B-LE FATICHE DELLA REGOLARIZZAZIONE
Documenti, documenti e poi ancora documenti: un circolo vizioso senza uscita
Siamo unassociazione del cuneese costituita da alcuni anni che cerca di portare
avanti iniziative in campo educativo che hanno come filo conduttore la cura di se stessi,
degli altri e dellambiente. Tra le nostre priorità ricopre un notevole interesse il
discorso di una sana alimentazione.
Per questo dopo alcuni tentativi "fai da te" di gestione di un orto biologico
comunitario, dallo scorso anno abbiamo deciso di inserire una persona che svolgesse a
livello lavorativo questattività coadiuvandola come volontari.
La scelta è ricaduta su un giovane immigrato con esperienze in questo campo, disponibile
a dedicarsi in modo continuativo a questo progetto. Purtroppo trattandosi di uno straniero
proveniente da un paese extracomunitario che soggiornava in modo irregolare in Italia da
alcuni anni, pur avendo svolto numerose attività lavorative, era impossibile inquadrare
la posizione lavorativa che intendevamo proporgli.
Nella consapevolezza di aver trovato la persona giusta, pur coscienti dei rischi che
correvamo, decidemmo di partire ugualmente col progetto avviando in contemporanea le
azioni per tentare di giungere alla regolarizzazione di Hassan.
Dopo alcuni tentativi ci sembrava di aver trovato la strada giusta, anche se molto
tortuosa. Cerano, infatti, ancora disponibili alcuni posti nei flussi degli
immigrati da destinare in campo agricolo ad attività stagionali. Ciò comportava di fare
in tempi brevissimi una domanda di assunzione nominativa, per terminare la pratica però
Hassan doveva rientrare in Marocco per ritirare il nulla osta dalle autorità competenti.
Il tutto era assai complicato e vessatorio, però fattibile, se non ché bisognava subito
allegare copia di un documento in corso di validità. Su questo ci arenammo.
Infatti, più volte Hassan cercò invano di farsi rinnovare il passaporto al Consolato
Marocchino di Torino. Questo ci scoraggiò notevolmente anche perché ci rendemmo conto di
trovarci alle prese con un circolo vizioso al quale non si poteva porre rimedio in modo
legale.
Intanto il progetto è continuato positivamente, Hassan si è distinto per la sua bravura,
impegno e serietà pur trovandosi a gestire unattività alquanto complessa.
Finalmente con la possibilità di regolarizzare badanti e collaboratori domestici già
presenti sul nostro territorio forse anche noi riusciremo a far emergere questa situazione
che ormai si protrae da quasi due anni. I tempi sono ancora lunghi ma, con 500
versati allINPS, abbiamo comprato un "pezzo di carta" che permette a
Hassan di circolare senza più la paura di incappare nella polizia.
Nino
MATRIMONI "DISPARI"
11-DOSSIER DI: "NOI, GENITORI E FIGLI"
Il numero di novembre 2009 del periodico di vita familiare: "Noi, genitori e
figli", supplemento mensile del quotidiano "Avvenire", ha dedicato il suo
Dossier al tema dei matrimoni misti tra islamici e cattolici.
Grazie alla disponibilità della redazione, nelle persone di Antonella Mariani e Luciano
Moia, che ringraziamo, ci è stata data la possibilità di pubblicare gran parte del
Dossier.
Il sito di "Noi, genitori e figli": http://www.avvenire.it/shared/noi/index.html
Il sito di "Avvenire": http://www.avvenire.it/
MATRIMONI MISTI. E FRAGILI
Matrimoni tra islamici e cattolici in crescita in Italia. Ma aumentano anche i
fallimenti. Laccompagnamento della Chiesa, gli ostacoli contro i quali si scontra la
coppia
di Antonella Mariani
Un matrimonio ogni dieci celebrato in Italia nel 2007 è "misto". Lo sposo
italiano, la sposa straniera. O viceversa. Segno di una società ormai multietnica, ma non
certo un indicatore di buona integrazione. Perché i matrimoni "misti" sono
fragili. Come e più ancora dei matrimoni tra italiani, che si disfano a più non posso.
Le difficoltà nel matrimonio tra persone con passaporti diversi sono tante: usi,
tradizioni, diverse impostazioni nelleducazione dei figli e nel ruolo della famiglia
dorigine, nel considerare gli spazi di autonomia e di lavoro femminile
Se nel 2007 ci sono stati complessivamente oltre 50 mila divorzi e più di 80 mila
separazioni, un decimo ha riguardato coppie miste. La percentuale è in crescita, perché
lanno prima separazioni e divorzi tra coppie miste costituivano l8 per cento
del totale e nel 2000 appena il 6 per cento.
Quanto alla nazionalità preferita da chi sposa uno/a straniero/a, ci sono differenze
considerevoli a seconda che il coniuge italiano sia il marito o la moglie. Tra i 17.663
uomini italiani che nel 2007 hanno sposato una straniera, il 40 per cento ha scelto una
est-europea (nellordine di frequenza: rumene, ucraine, polacche, russe e moldave),
il 10 per cento una brasiliana, il 4,2 per cento unalbanese e il 3,8 per cento una
marocchine.
Completamente diverse le preferenze delle italiane: 3 su 10 scelgono un marocchino, un
tunisino o un egiziano e una su 10 un albanese, per restare solo alle nazionalità più
presenti nelle classifiche dellIstat.
Ma perché le italiane vogliono dividere la loro vita con un marocchino e una marocchina
invece raramente desidera lo stesso con un italiano? Il motivo di questa differenza è la
religione: se per un uomo musulmano è possibile sposare una donna cristiana, una donna
musulmana non può che sposare un musulmano. Se si innamora di un cristiano, questi si
deve convertire, altrimenti niente nozze.
Così molti amori tra maghrebine e italiani vengono scoraggiati dai parenti di lei,
consapevoli delle difficoltà. Talvolta queste situazioni sfociano in un dramma, come
insegna la recente vicenda di Sanaa Dafani, la 18enne marocchina uccisa a metà settembre
dal padre in provincia di Pordenone perché era andata a convivere con un italiano. Casi
rari, fortunatamente, ma le unioni tra persone di religione diversa non sono mai semplici.
"Non è tempo di sposarsi a scatola chiusa", riflette lavvocato
matrimonialista Anna Galizia Danovi. Non lo è per chi sposa un connazionale, vista la
fragilità dei matrimoni, non lo è a maggior ragione per chi sposa una persona con usi,
tradizioni, concezioni di vita e religione profondamente diversi. La Chiesa offre a chi
desidera contrarre un matrimonio "di mista religione" un accompagnamento mirato
(vedi altri articoli nel dossier). Ma anche per chi sceglie il rito civile Anna Galizia
Danovi, che è presidente del Centro per la Riforma del diritto di famiglia, fa presente
la necessità "di approfondire il più possibile la cultura dell'altro e della sua
famiglia, le sue idee, le aspettative che ha sul coniuge e sulla famiglia che va a
formare".
Insomma, è necessaria una presa di coscienza dei problemi connessi a questa unione. Si
può anche pensare a "uno strumento come il patto prematrimoniale, purché sia
elaborato con un esperto; il patto non è riconosciuto dalla legge italiana, ma gli
impegni che i due sposi prendono vengono senz'altro valutati nel corso di un eventuale
procedimento di separazione". Nelle prossime pagine cercheremo di fare il punto sulle
difficoltà che sopravvengono nei matrimoni misti tra cattolici e islamici.
12-I DATI DEI MATRIMONI MISTI
13-MATRIMONI MISTI: LE STORIE
di Paola Abiuso
"VANGELO E CORANO PER I NOSTRI BAMBINI"
MILANO - Lei giovanissima e italiana. Lui più grande e senegalese. "Ci
rispettiamo e abbiamo deciso tutto prima di sposarci: i figli che verranno decideranno da
soli quale sarà la loro fede"
Elisabetta così giovane, già con la fede nuziale al dito. E un marito che più
diverso da lei non si potrebbe.
Lei pallida ed esile, appena 20enne, lui muscoloso e nero come lebano, di 7 anni
più grande. Lei cattolica convinta, lui musulmano praticante.
Lei cresciuta da genitori che fanno parte della Fraternità di Comunione e Liberazione,
lui che ha concordato con la moglie che i loro figli, quando arriveranno, conosceranno sia
il Vangelo sia il Corano ma non saranno battezzati né frequenteranno scuole coraniche.
In casa B., alla periferia di Milano, tutto si è svolto apparentemente senza drammi ma,
certo, con profonde riflessioni. "Il matrimonio è stato deciso in fretta, giusto un
anno fa - racconta la mamma di Elisabetta, sfogliando un album di fotografie in cui
compaiono una ragazzina raggiante, vestita a festa ma con grande semplicità, accanto a un
giovane africano con gli occhi lucidi, anche lui elegante, anche lui emozionatissimo -.
Lui aveva da poco perso il lavoro e avrebbe di conseguenza visto andare in fumo anche il
permesso di soggiorno. Per avere un futuro dovevano sposarsi in tempi brevi".
Poi la donna racconta di Elisabetta, della sua amica del cuore africana, con la quale ha
condiviso gli anni delle medie e del liceo, tante amicizie adolescenziali, i primi amori.
"Dai 15 anni in poi Elisabetta ci ha portato a casa diversi ragazzi africani. Erano i
suoi amici, ci diceva, frequentava anche le loro famiglie nei momenti di festa, ci
raccontava delle loro usanze, del ramadam, delle preghiere cinque volte al giorno... Poi
tutta un tratto, stop, la comunicazione si è chiusa. Diceva che aveva capito che
noi genitori non apprezzavamo le sue amicizie, che aveva visto lombra del giudizio
nei nostri sguardi. Ma davvero, a noi non sembra di essere stati chiusi nei confronti dei
suoi amici".
Unestate arriva una telefonata allarmata dalla casa al mare, in Liguria. È la
nonna, molto agitata: "Elisabetta ha invitato qui un suo amico africano, credo che
siano fidanzati".
E difatti. Ser è del Senegal, è arrivato in Italia da pochi anni, ha lavorato
saltuariamente, viene da una buona famiglia della capitale Dakar ed è molto innamorato di
Elisabetta. Così lei finalmente lo dice ai suoi, rimasti a Milano. Al ritorno Ser
comincia a frequentare la casa.
"Elisabetta ci aveva detto che era musulmano, ma ci aveva spiegato che era molto
rispettoso della sua libertà, personale e religiosa. Glielabbiamo voluto chiedere
anche noi, al primo incontro, e gli abbiamo detto che noi eravamo cattolici. Lui sudava,
era in grande imbarazzo ma ci ha rassicurati.
Man mano che lo conoscevamo, ci è apparso come un ragazzo sensibile, buono, intelligente,
rispettoso", dicono oggi i genitori. Sul tavolo della cucina della famiglia B.
cè una bottiglia di vino, Elisabetta sfoggia una scollatura che è una specie di
arma impropria e, proprio al centro, un vistoso crocifisso doro.
Il giovane marito, dal canto suo, il vino non lo tocca, prega cinque volte al giorno,
osserva il ramadam ma non chiede alla moglie di coprirsi di più, sostiene il suo
desiderio di studiare, di laurearsi e poi di lavorare. Elisabetta legge il Vangelo tutti i
giorni, ed è stato lui, con la sua assiduità con il Corano, a incitarla a farlo.
"Ne abbiamo parlato a lungo, ci siamo confrontati su cosa sarebbe successo di noi una
volta sposati - racconta Elisabetta -. Sono andata anche dal mio parroco che ci ha
spiegato cosa vuol dire il matrimonio per la Chiesa e per lIslam. Io te lo
sconsiglio, mi ha detto, però voi avete già deciso. È stato accogliente, pur nella
chiarezza: mi ha anche detto che se mi fossi sposata civilmente, come poi ho fatto, non
avrei avuto accesso ai sacramenti, e che cè la possibilità di un rito cattolico
per me. Ho intenzione di proseguire su questa strada e Ser è daccordo".
Consapevoli di quello a cui vanno incontro, dunque, Elisabetta e Ser lo sono
senzaltro. Sanno che i momenti più difficili arriveranno con i bambini, perché il
figlio di un musulmano non può che essere musulmano.
"Ma noi ci siamo fatti una promessa - risponde Elisabetta -: io non chiederò che i
nostri figli siano battezzati, né lui vorrà che frequentino scuole coraniche. Parleremo
loro del Vangelo, lo faranno senzaltro anche i miei genitori, ma conosceranno pure
il Corano. Quando saranno grandi, decideranno loro".
Ma sarà davvero tutto così semplice? Ser non avrà la tentazione di educare i figli
allislam, la religione che è quella di suo padre e della sua famiglia rimasta in
Africa?
La mamma di Elisabetta, pacata e saggia, non nasconde che qualche preoccupazione
cè: "Oggi la famiglia è sempre fragile, anche quella tra persone appartenenti
alla stessa cultura. Ci abbiamo pensato a lungo, a me e a mio marito sembra che Ser sia
davvero una persona di cui fidarsi.
Ci rassicura il fatto che proviene da una famiglia in cui il ruolo della donna è
paritario e in cui il padre va fiero del fatto di avere una sola moglie. Confesso che ogni
tanto penso a quando avranno figli e mi preoccupa il momento in cui lui andrà in Senegal
a farli conoscere alla sua famiglia, temo che possa subire pressioni o condizionamenti. Ma
cosa posso fare? Solo pregare che Dio tenga una mano sopra le loro teste".
14-LA PROMESSA DI RISPETTARSI SCRITTA PRIMA DELLE NOZZE
PADOVA Lei annunciò che si trasferiva in Egitto per amore. I genitori
convinsero i fidanzati a stipulare un contratto prematrimoniale con gli accordi su studi,
libertà ed educazione della prole
Con lavvocato presero appuntamento i due genitori. Raccontarono di essere molto
in ansia per la figlia.
Lei, studentessa universitaria, famiglia dellalta borghesia padovana, si era
perdutamente innamorata di un commerciante egiziano.
Lui riforniva la boutique dellhotel a cinque stelle di Sharm el Sheik nel quale lei
e un gruppo di amiche avevano trascorso una settimana di vacanza.
"E tornata a casa e non pensa ad altro che a sposarsi, ma lui vuole che lei si
trasferisca in Egitto. Dice che è benestante e che può mantenerla", dissero i
genitori allavvocato.
Ed ecco la domanda cruciale. "Nostra figlia in questo momento farebbe tutto quello
che lui gli chiedesse. Noi, per quanto sia sgradevole, vogliamo farle capire che deve
coprirsi le spalle. Noi vorremmo almeno che lei finisse gli studi e che, anche in Egitto,
avesse la garanzia di poter mantenere la sua religione".
Lavvocato dovette spiegare alla coppia che non aveva alcun diritto di opporsi alla
decisione di una figlia maggiorenne. "Il mio consiglio fu di prendere qualche
informazione sul futuro genero e di convincere la ragazza a stipulare con lui un contratto
prematrimoniale, che, benché non riconosciuto dalla legge italiano, ha almeno il
vantaggio di mettere nero su bianco alcuni impegni che in caso di separazione vengono
presi in considerazione dal giudice", racconta lavvocato milanese Anna Galizia
Danovi, che ha seguito il caso.
La figlia non fu molto felice della proposta dei genitori e anche il fidanzato egiziano
non la prese bene, anzi cercò in tutti i modi - lungaggini, richieste di traduzioni, di
interpreti
- di ostacolare liniziativa. Ma alla fine il contratto fu
stipulato.
"Tra le condizioni che consigliai di inserire cera la libertà della moglie di
studiare e di svolgere unattività lavorativa in Egitto confacente alle sue
aspettative, il mantenimento della sua fede religiosa, il rispetto reciproco, la garanzia
che lei potesse entrare in Italia portando con sé i figli minori di 12 anni in caso di
contrasti nella vita familiare e che i figli non fossero iscritti alle scuole coraniche ma
in una scuola inglese.
Lidea è che avrebbero scelto loro a quale religione aderire una volta
cresciuti", continua lavvocato Danovi. Il matrimonio fu celebrato in Italia con
il rito civile.
"Sono trascorsi 2 o 3 anni - ricorda lavvocato -. I genitori mi hanno informato
che la figlia si è laureata allUniversità italiana del Cairo, che lavora e che
tutto va bene". Il contratto prematrimoniale è ancora lì, firmato e controfirmato,
nello studio dellavvocato.
15-IN FUGA DAL MARITO-PADRONE
TRENTO Lei, italiana, conosce il marito in Costa dAvorio. Dopo le
nozze lui diventa dispotico e violento, lei chiede aiuto e scappa in Italia. Lui sparisce
per sempre, il figlio non lha mai conosciuto
Questa è la storia di una fuga. Drammatica, ma a lieto fine.
Laura conosce il suo futuro marito in Costa dAvorio. Lui è del posto, un bel
giovanotto che ci sa fare con le straniere. Lei si è trasferita da Trento e gestisce un
ufficio di import-export per conto di una ditta del settore ortofrutticolo.
Il fidanzamento è unavventura romantica, con quel pizzico di mistero che rende
tutto più passionale. Si sposano in Costa dAvorio con il rito civile.
Poche settimane dopo lui le chiede di diventare musulmana. Lei non è particolarmente
religiosa, ma comunque rifiuta. Non ne avevano mai parlato prima, perché esigerlo adesso?
Passano alcuni mesi e il marito pian piano cambia volto: da gentile e premuroso diventa
scostante e oppressivo.
Nasce un figlio e la pressione diventa più forte. Lui le impedisce di tornare a lavorare,
limita la sua libertà in tutti i modi, accentua il controllo su di lei.
Un giorno lei lo affronta e lui la picchia. Passa ancora del tempo, lui è sempre più
dispotico e le vessazioni ogni giorno più pesanti. Lei capisce che la separazione legale
è fuori discussione e non cè alternativa alla fuga: con uno stratagemma si rifugia
al consolato italiano e chiede il rimpatrio per lei e il suo bambino.
Arrivata in Italia con il piccolo, promuove una causa si separazione, lui si rende
irreperibile tanto che lavvocato non è nemmeno riuscita a notificargli gli atti.
Alla fine viene emanato un divorzio in contumacia. Oggi il bambino ha 10 anni e nessun
ricordo di suo padre.
16-Due Centri diocesani per aiutare le coppie
"dispari"
MAI NOZZE A "SCATOLA CHUSA"
Centro ambrosiano di documentazione per le religioni (Milano) http://www.cadr.it/home.html
Consultorio per famiglie interetniche: http://www.chiesadimilano.it/or4/or?uid=ADMIesy.main.index&oid=890234
Centro Federico Peirone per lo studio e le relazioni con l'Islam (Torino):
http://www.centro-peirone.it/home.htm
Centro mediazione familiare: http://www.centro-peirone.it/centromediazione.html
17-"I MATRIMONI TRA CATTOLICI E MUSULMANI IN
ITALIA"
Indicazioni della Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana
Negli ultimi anni in Italia ha assunto una certa rilevanza la richiesta di celebrare
nella forma religiosa il matrimonio fra una parte cattolica e una musulmana. Il fenomeno,
determinato tra laltro dalla tendenza di immigrati musulmani a trasferirsi nel
nostro Paese e dal più generale aumento dei matrimoni interreligiosi, esige una specifica
attenzione da parte della comunità cristiana e dei suoi pastori, anche al fine di
indivi-duare un indirizzo omogeneo nella verifica dei casi e nelleventuale
concessione della dispensa dallimpedimento dirimente di disparitas cultus,
che invalida il matrimonio fra una parte cattolica e una non battezzata
.
Per continuare la lettura: http://www.chiesacattolica.it/cci_new/documenti_cei/2005-07/05-4/MatrimCattol_Musulm.pdf
TESTIMONIANZE
18-Scoprire che a tavola le distanze si
accorciano
I PRANZI MULTIETNICI
Nella nostra città è attiva un'associazione culturale che cerca di
avvicinare e fare integrare persone provenienti da tutto il mondo anche attraverso un
laboratorio di cucina dove un gruppo di signore di diverse nazionalità (rumene,
marocchine, indiane, brasiliane, ecc...) si incontrano per cucinare insieme piatti dei
loro paesi d'origine. In parrocchia abbiamo già organizzato con loro tre "pranzi
multietnici" che sono stati molto apprezzati perché danno l'opportunità di
sperimentare cucine così diverse e varie e di constatare che a tavola le distanze si
accorciano!
Così, tra uno scambio di ricette ed un brindisi noi ci sentiamo più cittadini del mondo
e queste persone sono gratificate dal poter fare apprezzare la loro cultura anche a tanti
chilometri da casa. È ammirevole lo sforzo che fanno non solo per preparare questi
piatti, ma anche per descriverli a noi con dettagliate indicazioni sugli ingredienti e la
preparazione.
Durante questi pranzi a volte ci viene da immaginare se ci trovassimo noi in Pakistan o in
Libano a spiegare come si cucina un piatto di spaghetti, ovviamente nella lingua del
posto!
Il ricavato dei pranzi di solito viene devoluto ad un'opera missionaria ma il grande
valore di questi momenti è vedere quanto si sentono gratificate dal nostro desiderio di
condivisione e dalla nostra curiosità verso le loro culture.
Paola e Fernando Longo
19-Nuclei familiari interi, donne sole o
con bambini, uomini in cerca di lavoro
TESTIMONIANZE DAL "CAMPO"
Al centro Caritas Parrocchiale di Trecate si tocca con mano il forte aumento del
fenomeno dellimmigrazione, tanto da poterlo considerare uno specchio della
situazione che esiste a livello nazionale. Nuclei familiari interi, donne sole o con
bambini, uomini che hanno lasciato la loro famiglia nel paese di origine, provenienti da
svariate parti del mondo, si rivolgono ogni sera al Centro di Ascolto o di distribuzione
degli indumenti: tante storie, una diversa dallaltra ma che hanno in comune una cosa
sola, e cioè la speranza di migliorare la propria esistenza e quella della propria
famiglia, garantendo almeno il minimo indispensabile per sopravvivere.
Tante storie, che ogni sera i volontari che prestano il loro servizio in Caritas
accolgono, anche solo donando loro un momento di attenzione.
Storie che raccontano di situazioni alcune davvero difficili e altre che hanno avuto un
lieto fine come quella di quellingegnere pakistano che circa quattro anni fa lascia
la sua terra con la moglie e i loro quattro figli perché non trova lavoro e arrivato
chissà come a Trecate, si rivolge alla Caritas per essere aiutato con generi alimentari e
indumenti. Nel frattempo trova un lavoro, anche se non definitivo, ma alla fine riesce a
sistemarsi con unoccupazione sicura che gli permette di mantenere in maniera
decorosa la propria famiglia.
La cosa straordinaria di questa storia sta nel fatto che, una volta raggiunta una certa
stabilità economica, questo signore si è preso limpegno di donare mensilmente alla
nostra Caritas generi alimentari a lunga scadenza per un valore pari al 3% del suo
stipendio mensile, impegno che puntualmente viene rispettato e imitato anche dal figlio
maggiore che, per non gravare totalmente sul bilancio familiare per i suoi studi, ogni
tanto riesce a svolgere qualche lavoretto e, come il padre, offre una parte del suo
guadagno.
Storie di coraggio, forse il coraggio della disperazione, e di desiderio e impegno per
superare le avversità, come quella di una ragazza madre proveniente dallAfrica con
un bambino, sola perché il padre non ha riconosciuto il figlio, residente a Trecate ma
che lavora a Milano in una casa di riposo: ogni mattina prende il treno alle 5,50 e
ritorna a casa nel pomeriggio, ma il problema è che non ha nessuno a cui affidare il
bambino dalle 5,30 alle 8 quando passa lo scuolabus per portarlo a scuola.
La Caritas di Trecate è intervenuta qualche volta sostenendo la spesa di una baby-sitter
per questo intervallo di tempo, ma purtroppo tale contributo non può essere protratto nel
tempo. Storie di fatica, di sofferenze, di speranze, di coraggio, di distacco e di
riavvicinamento, storie che ci possono toccare o lasciare indifferenti, storie che
rischiano di passare inosservate ai nostri occhi, ma che agli occhi di Dio sono le più
preziose.
Antonio Banfi (a nome dei volontari del Centro Caritas di Trecate)
19B-L'esperieza di una famiglia aperta e accogliente
UNA PICCOLA COMUNITÀ MULTI-ETNICA
Siamo Andrea e Chiara Marino ed abitiamo in provincia di Savona.
Dal 2001 condividiamo la nostra vita con gli "ultimi" e collaboriamo con
l'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII fondata da Don Oreste Benzi anche per il
reinserimento sociale delle ragazze vittime del racket della prostituzione.
In questi anni hanno vissuto con noi circa una decina di ragazze nigeriane, chi per 3-4
mesi e chi anche per 4 anni, condividendo con noi la vita quotidiana. Insieme ai nostri
tre bimbi piccoli e agli altri accolti (bambini, madri in difficoltà....), si è quindi
formata una piccola comunità multi-etnica.
Le ragazze vengono avvicinate in strada da alcuni volontari, viene loro proposto di salire
in macchina, e subito accompagnate presso una delle (troppo poche) famiglie che si sono
rese disponibili. Poiché il racket le ha private dei documenti, ci occupiamo di procurare
il permesso di soggiorno e il passaporto. Nel frattempo cerchiamo un lavoro dignitoso
(pulizie, aiuto-cucina, lavapiatti).
In casa, con loro, la convivenza è impegnativa perché sono persone ferite, non hanno
fiducia nel prossimo, hanno vissuto con espedienti e bugie e tendono a continuare questo
comportamento anche in famiglia. Inoltre tendono ad isolarsi in camera molto spesso,
facendo fatica a relazionarsi con le altre persone della casa, e molte non riescono ad
accettare la nostra cucina.
Le aiutiamo ad accettare le difficoltà di un vero lavoro, ad essere puntuali, a
rispettare le altre persone, e abbiamo notato che di fronte ai rimproveri o a qualche
"no" hanno reazioni piuttosto esagerate. Non si tratta solo di un certo modo di
fare "africano", ma crediamo che molto dipenda dalle ferite psicologiche che
hanno subito. Infatti molte ragazze che sono da alcuni anni schiave in Italia fanno fatica
a fare amicizia e ad aprirsi rispetto alle altre che invece sono scappate subito dal
racket.
Inizialmente è stato difficile trovare il giusto equilibrio in casa. Da alcuni anni
abbiamo capito che hanno in realtà solo bisogno di sentirsi libere di gestirsi il tempo e
i pasti in modo autonomo e questo le rende molto più serene e disponibili ad aiutare in
casa. D'altra parte il carattere solare facilita molto la convivenza con le loro risate
contagiose e la loro voglia di scherzare. Sono anche molto nostalgiche della loro terra,
ascoltano volentieri la loro musica e questo le aiuta a sopportare la lontananza.
Spesso con l'arrivo dei documenti il percorso da noi si conclude e vanno a lavorare nelle
fabbriche del triveneto, in qualche caso invece hanno preferito restare a lungo con noi,
per poi andare in autonomia nei dintorni: lavoro, patente, casa e anche amicizie locali.
È una esperienza di vita che dà tantissimo a noi e ai nostri figli e ci ha aiutato a
superare anche alcuni nostri limiti e paure.
20-UN EPISODIO DI VERA ONESTÀ
ringraziamento ad un ambulante di colore
Ci sono ancora delle persone oneste. Il 2 settembre ho avuto conferma che molti,
diversi per colore, da noi non hanno niente da invidiare al nostro modo civile ed onesto
di vivere.
Era mercoledì, un giorno di mercato ad Oulx (TO) e girando tra i banchi mi soffermavo per
acquistare una borsa da un ambulante, che da molto tempo lavora nei mercati di Oulx, Susa
e Bussoleno.
Pagando l'acquisto, avevo riposto malamente il borsellino con documenti e 205 euro, non
accorgendomi che era scivolato fuori dalla mia borsa, e ringraziando il mercante per lo
scontrino, saluto e torno a casa.
Nel tardo pomeriggio, avendo bisogno della borsa, mi accorgo della mancanza del
portafoglio.
Subito ho pensato, come molto spesso avviene, di essere stata scippata al mercato.
Non avendo più alcun documento (patente, carta d'identità, tesserino sanitario ecc.) mi
sono recata dai carabinieri. I quali, gentilissimi, m'hanno mandata all'anagrafe del
Comune, in quel momento chiusa al pubblico, per rifarmi la carta d'identità e un
documento per guidare la macchina. Alle 22 ricevo una telefonata da mio nipote, che mi
chiede se avevo perso dei documenti, e mi dà un numero di telefono, dicendomi di non
conoscere il titolare di tale numero.
Chiamando il numero, scopro che questa persona ha trovato il mio borsellino, ed è proprio
l'ambulante del mercato che - con tantissime telefonate a numeri trovati sulla guida del
telefono - era riuscito a scoprire chi fossi. A questo punto aspetto la settimana
successiva, e mi reco al mercato di Oulx per ringraziare Kante Ousmane, ambulante
africano, per la sua grande onestà e gentilezza.
E pur non essendo più giovane, e avendo tanta esperienza nella vita, ho imparato da
questo episodio che ci sono tante persone ingiustamente considerate "diverse"
per la lingua, la nazionalità ed il colore della pelle, ma che invece diverse non lo sono
affatto. Anzi, sono più oneste di tanti altri, e ci possono insegnare ancora di più.
Grazie Kante, non ti dimenticherò'
Maria Reymond Nicolas
Tratto da: La Valsusa, settimanale della val Susa e val Sangone, 17 settembre
2009
Sito del gornale: www.lavalsusa.it
21-CHI HA IL CONTANTE PER IL PARCHEGGIO?
Storia di zingare e di signore progressiste
di Benedetta Ciampi
"Lo ammetto, vorrei che questa storia piccola, piccola fosse resa pubblica forse
anche per lenire il senso di colpa che provo per non essermi ancora liberata (io, brava
signora progressista dr sinistra!) dei pregiudizi su alcune "categorie umane".
La storia comincia e finisce nel parcheggio di Eataly (luogo in cui le brave signore
progressiste e non solo di sinistra, vanno a fare la spesa, qualche volta
).
Alle macchinette per il pagamento del pedaggio avvisto due zingare ed immediatamente penso
ad una "exit strategy". La soluzione è presto trovata: non ho un euro in tasca,
ho pagato tutto col bancomat e noto con piacere che posso pagare con la tessera magnetica
anche il parcheggio! Alla petulanza delle zingare rispondo a mezza voce "Non ho
soldi... anche questo lo devo pagare con questa" e gli sventolo sotto il naso il
magico pezzo di plastica. Ma ecco che l'imprevisto si verifica! il pagamento non viene
accettato...
Per continuare la lettura: http://archivio.lastampa.it/LaStampaArchivio/main/History/tmpl_viewObj.jsp?objid=9572656
SECONDE GENERAZIONI
22-LASCIATE DECIDERE I BAMBINI
La rivolta dei genitori: via i figli dalle classi con troppi stranieri
di Massimo Gramellini
Per la prima volta nella storia, il Comune e le autorità scolastiche di una città
italiana hanno tenuto una riunione congiunta con il seguente ordine del giorno:
"Strategie di trattenimento degli alunni italiani sul territorio". Che tradotto
dal burocratese significa: come faccio a tutelare i miei cittadini a casa loro? E' un
evento abbastanza assurdo e sicuramente epocale. perché non si trasformi non si trasformi
nella sindrome dell'indiano accerchiato vanno messi da parte i due umori estremi che si
scontrano, talvolta all'interno della stessa persona, quando si parla di integrazione: il
razzismo mascherato da sdegno e l'esaltazione acritica della convivenza in ogni sua forma.
La città pilota è Torino, dove nelle scuole di Porta Palazzo i figli di italiani
rappresentano un'esigua minoranza, schiacciata dalla prole delle altre etnie.
Una situazione limite, ma che comincia ad andare in replica anche altrove...
Per continuare la lettura: http://archivio.lastampa.it/LaStampaArchivio/main/History/tmpl_viewObj.jsp?objid=9026868
23-LE CLASSI DELLE NOSTRE SCUOLE SONO "A
COLORI"
Chi è nato qui non va trattato da straniero
5 domande a Vinicio Origini
Vinicio Origini lavora presso l'Ufficio integrazione del Ministero dell'Istruzione. Ha
inventato le biblioteche multiculturali e pubblicato con Claudia Nosenghi il libro
"Una classe a colori" (Edito da Vallardi), un "manuale per l'accoglienza e
l'integrazione degli alunni stranieri.
Senza accorgercene siamo diventati un Paese multicurturale?
"Quest'anno scolastico abbiamo 700 mila alunni di origine straniera. Provengono
da 180 paesi e parlano un centinaio di lingue diverse. C'è il mondo intero seduto sui
banchi di scuola. In altri paesi come Francia e Inghilterra, la situazione è identica. Ma
noi ci siamo arrivati troppo in fretta rispetto agli altri".
Qual è la percentuale degli stranieri nelle scuole?
"In 15 mila scuole su 58.000 la percentuale degli stranieri supera il 10%, in 500
il 50%".
E dalle percentuali nasce il disagio.
"Le classi composite creano ansie, timori, allarmi. Nei genitori italiani. Ma
anche in quelli immigrati, che magari vorrebbero una scuola diversa e più severa. C'è
una psicosi diffusa dell'invasione. E non ha senso che i politici parlino di
"ponti" o di "tetti" astratti, per ridurre il presunto impatto
negativo degli stranieri".
Ci sono differenze nella galassia "alunni stranieri"?
"La differenza fondamentale, soprattutto nelle elementari, è tra i ragazzini
nati in Italia, gli stranieri di seconda generazione, che sono la maggioranza, e chi è
appena arrivato dai Paesi d'origine. I primi padroneggiano quasi perfettamente la nostra
lingua, inserendosi senza problemi nelle scuole, conseguendo anche ottimi risultati".
È ottimista, nonostante tutto?
"A Luzzara, come a Torino, o in decine di altri paesi, la scuola a colori s'è
dimostrata laboratorio di buona integrazione e nuova cittadinanza. Ma l'integrazione è
una strada tutta in salita, faticosa. Non abbiamo formule magiche, ma non ci servono
nemmeno astratte parole d'ordine".
Tratto da: La Stampa, 22 novembre 2009, p. 8
Per approfondire il tema: http://archivio.lastampa.it/LaStampaArchivio/main/History/tmpl_viewObj.jsp?objid=9712139
CHIESA E MIGRANTI
25-QUANDO UN FORESTIERO BUSSA ALLA PORTA
Fin dallAntico Testamento la categoria dello straniero è stata quella
che meglio raffigura il bisognoso
di Enzo Bianchi
"Ero straniero e mi avete ospitato", oppure no?
È questo linterrogativo che non cessa di risuonare da quando levangelista
Matteo lha posto in bocca a Gesù nella sua descrizione del giudizio finale,
descrizione che non mira tanto a raccontare quanto accadrà alla fine dei tempi, ma
piuttosto a plasmare latteggiamento quotidiano dei discepoli e a fornire loro un
criterio di giudizio sul proprio e laltrui comportamento.
Del resto, fin dallAntico Testamento, la categoria dello straniero era quella che
meglio raffigurava il bisognoso: lontano dalla propria casa, lingua e cultura, privo dei
diritti legati allappartenenza a un popolo, sovente lo straniero finiva per cadere
ben presto nelle altre situazioni di emarginazione e sofferenza: malato, carcerato,
affamato..., condizioni non a caso citate anchesse da Gesù nel suo racconto sul
giudizio.
Nella tradizione veterotestamentaria la cura e il rispetto per lo straniero si fondavano
su una memoria esistenziale prima ancora che storica: linvito "amate il
forestiero perché anche voi foste forestieri nel paese dEgitto" (Deuteronomio
10,19) risuona pressante e attuale anche per generazioni ormai da tempo insediate nella
terra promessa.
A questa consapevolezza si aggiunge nei Vangeli linattesa identificazione di Gesù
con lo straniero che attende accoglienza e che incontra rifiuto: ciò che si fa o non si
fa al "più piccolo", al più indifeso, è dono elargito o negato a Gesù, come
se egli fosse presente e recettivo ogni giorno al nostro agire.
In questo senso un dato complementare emerge con forza dalle pagine del Nuovo Testamento:
Gesù stesso, il Gesù storico che ha abitato tra gli uomini come uno di loro, è
percepito e narrato come uno straniero, in quanto ha vissuto "altrimenti",
manifestandosi come "altro" agli occhi di chi lo ha incontrato e ne ha poi
raccontato lesistenza...
Per continuare la lettura: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/07/12/quando-un-forestiero-bussa-alla-porta.html
Segnalato da Carlo Miglietta
26-E LE NOSTRE COMUNITÀ CRISTIANE?
molte di queste sono variopinte e multiculturali
di Mario Bandera
Nel dibattito sollevato da Silvio Berlusconi con l'affermazione che l'Italia non sarà mai
una società multietnica, molti sono stati coloro che, stigmatizzando la sua presa di
posizione, hanno dimostrato (dati alla mano) come l'Italia da tempo è già una società
multietnica. In tal senso si è espresso in termini perentori il segretario della Cei,
mons. Mariano Crociata, il quale ha ricordato quanto sia fondamentale per il nostro paese,
non tanto creare barriere o innalzare muri, ma piuttosto individuare quei cammini che
portino ad una serena integrazione e ad una pacifica convivenza.
Sembra quasi scontato, ma oggi non solo nelle grandi città o negli ambiti lavorativi è
radicata la presenza degli immigrati, ma anche nei paesi più sperduti troviamo persone
provenienti dall'Africa, dall'Asia e dall'America Latina, tranquillamente inserite in
attività e mansioni fino a pochi anni fa svolte dagli italiani.
Per rimanere in ambito ecclesiale, le nostre comunità da diversi anni a questa parte sono
diventate molto "variopinte" grazie alla partecipazione di cristiani provenienti
da altri paesi; non è raro vedere chierichetti bianchi e neri che servono messa con la
gioiosa goffaggine delle generazioni precedenti; in tanti cori parrocchiali certe voci dai
toni squillanti rivelano accenti e parlate di altri lidi, così come nei consigli
pastorali di tante parrocchie troviamo esponenti di cristiani provenienti da altre parti
del mondo; anche negli oratori gli animatori sono sempre più multietnici e tanti giovani
del Sud del mondo li troviamo impegnati in attività sportive accanto ai nostri ragazzi.
Inoltre, sempre più va prendendo piede l'inserimento di sacerdoti che arrivano da altri
paesi che si pongono al servizio di comunità che altrimenti non avrebbero preti per
celebrare l'eucaristia. Questo fenomeno, quasi impercettibile in alcune diocesi italiane,
in altre assume proporzioni vistose, tanto che in alcune di esse il corpo presbiterale è
composto dal 30/40 in certi casi oltre il 50% da sacerdoti africani, latinoamericani o
provenienti dai paesi dell'Est Europa. Per non parlare degli istituti religiosi, in modo
particolare di quelli femminili, la cui componente etnica è ormai a stragrande
maggioranza di uomini e donne nati in terre ben lontane dalla nostra. Questo travaso di
migranti fa sì che la comunità ecclesiale stia acquisendo consapevolezza della propria
cattolicità e dell'universalità della fede celebrata.
Si racconta che un cristiano proveniente dall'Africa, recatesi in parrocchia per chiedere
il battesimo per il suo bambino si sia sentito dire che per prepararsi bene doveva fare
3-4 incontri. Questi, stupito, disse: "Come mai in Africa abbiamo fatto percorsi di
catechesi per prepararci al battesimo che sono durati più di un anno, e qui in Italia vi
limitate a pochi incontri; non sarà che la vostra fede è ormai ridotta al
lumicino?".
E proprio il caso di dire che la multiculturalità, per non dire la multiforme ricchezza
di vita di fede, è garanzia di integrazione, tolleranza e rispetto. Nei ghetti e nelle
sette, accoglienza, attenzione e amore verso gli altri hanno sempre fatto fatica ad
attecchire nel cuore di chi, chiudendosi dentro, escludeva gli altri. Un rischio che la
comunità cristiana non intende assolutamente correre.
Tratto da: Settimana n.20/2009 p.4
Il sito della rivista: http://www.dehoniane.it/riviste/riv_ew_page.php?CODE=SET
UOMINI E DONNE NELLA BIBBIA
27-PAOLO IL METICCIO?
Ebreo per nascita, greco di cultura, cittadino romano, uomo universale
di Tony Piccin
"Non dite menzogne gli uni agli altri: vi siete svestiti delluomo vecchio
con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza, ad
immagine di Colui che lo ha creato. Qui non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o
incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti" (Col
3,9-11).
Nel racconto della conversione di San Paolo (At 9,4 e ss) è facile evidenziare il fatto
straordinario: la luce abbagliante, la caduta da cavallo, la cecità e la voce di Gesù
che rimprovera e chiama. Dunque una conversione che segue un evento straordinario,
miracoloso.
Paolo però, a partire da quel momento illuminante, deve fare i conti con un cammino
interiore difficile e radicale. Si trattava di abbandonare un tipo di ideologia e di
accoglierne unaltra completamente diversa. Tutti conosciamo la difficoltà di
cambiare le proprie idee, specie se radicate e ragionevolmente motivate. Si trattava di
passare dallidea di un Gesù indemoniato - bestemmiatore - condannato ad una morte
infamante, la croce appunto, a quella invece che Gesù era il Cristo-Messia.
Paolo, così orgoglioso e sicuro di sé, una volta accecato negli occhi, deve accettare
tutti i suoi limiti: non riuscendo a vedere, deve farsi aiutare a rialzarsi e a farsi
accompagnare a Damasco. È una nascita ideologica forzata e violenta come un aborto (cfr 1
Cor 15,8).
Sappiamo che Paolo (Saulo) era stato discepolo di Gamaliele, un rabbino fariseo
tuttaltro che sprovveduto. Ne abbiamo la conferma in At 5, 34 e ss: "Si
alzò allora nel sinedrio un fariseo, di nome Gamaliele, dottore della Legge, stimato da
tutto il popolo. [
] disse: "Uomini dIsraele, badate bene a ciò che state
per fare a questi uomini. Tempo fa sorse Tèuda, infatti, che pretendeva di essere
qualcuno, e a lui si aggregarono circa quattrocento uomini. Ma fu ucciso, e quelli che si
erano lasciati persuadere da lui furono dissolti e finirono nel nulla. Dopo di lui sorse
Giuda il Galileo, al tempo del censimento, e indusse gente a seguirlo, ma anche lui finì
male, e quelli che si erano lasciati persuadere da lui si dispersero. Ora perciò io vi
dico: non occupatevi di questi uomini e lasciateli andare. Se infatti questo piano o
questopera fosse di origine umana, verrebbe distrutta; ma, se viene da Dio, non
riuscirete a distruggerli. Non vi accada di trovarvi addirittura a combattere contro
Dio!".
Anche per il focoso Paolo aver avuto un maestro che insegnava a ragionare onestamente
e a fare discernimento sugli avvenimenti non deve essere stato ininfluente.
Le successive scelte di Paolo avranno la stessa apertura di mentalità e, nello stesso
tempo, una uguale precisione logica consequenziale. In quei tre giorni di cecità egli
comincia a ragionare e, ragionando, vede tutto con occhi nuovi. Se Gesù gli aveva
parlato, allora egli era vivo; se era vivo, era risorto; se era risorto vincendo la morte,
era il Messia; se era il Messia, era Figlio di Dio, cioè Dio; se era Dio, era "la
luce per illuminare le genti", cioè tutti i popoli, non solo i Giudei. Ma
perché allora Egli era morto in quel modo vergognoso? La risposta era una sola: per
amore.
La morte di Gesù diventa la pietra sulla quale Paolo costruisce tutta la sua esistenza e
la sua dottrina. Non si trattava più di obbedire alla "Legge", ma di avere un
rapporto con il "Vivente".
Paolo viene aiutato da Anania che lo battezza e lo inserisce nella comunità dei credenti.
Sentendosi amato personalmente scrive: "Gesù mi ha amato e ha dato sé stesso per
me" (Gal 1, 15-16).
La chiesa di Antiochia di Siria era tra le più fiorenti tra quelle fondate da Paolo e si
espanse presto anche ai pagani. Questo destò perplessità tra gli apostoli al punto che
inviarono Barnaba a osservare. "Paolo e Barnaba rimasero insieme un anno intero in
quella chiesa e istruirono molta gente. Ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono
chiamati cristiani" (At 11, 26).
Antiochia divenne la base operativa per lopera evangelizzatrice di Paolo. E proprio
qui sorsero i contrasti con Pietro sul fatto che i nuovi discepoli non Ebrei dovessero
passare attraverso lebraismo (essere circoncisi) per ricevere il battesimo. Paolo
aveva le idee molto chiare. Egli aveva visto quella luce e in essa Dio stesso. La fede
dunque è luce per tutti: Ebrei e non ebrei. Il suo compito era quello di aprire gli occhi
a tutti affinché nella vita di tante persone entrasse la luce vera. "Guai a me se
non annunciassi il Vangelo!" (1 Cor 9,16). La bella-buona notizia (vangelo) era
appunto che Gesù, come il sole, trasmette luce e calore a tutti, così Dio non fa altro
che amare. Per Paolo il cristiano, da qualunque esperienza arrivi, da ogni popolo e
nazione, "non cammina più nelle tenebre": illuminato da Cristo (cfr Ef
5, 14; 2 Cor 4,6) cammina sicuro con la luce, è figlio della luce (1 Ts 5,5, indossa "le
armi della luce", può "gettare via le opere delle tenebre" (Rm
13,12), è sveglio e non vive da addormentato (Ef 5, 14).
Nel giro di 15 anni per opera di Paolo il centro della nuova fede si trasferisce da
Gerusalemme a Roma, la capitale del mondo di allora. Nei suoi viaggi attraverso Asia
Minore, Grecia, Cipro, Creta, Malta, Italia, tra molte fatiche e peripezie (fame, freddo
naufragi,
cfr 2 Cor 11, 24 e ss) sopportate per la causa del Vangelo vengono poste
le basi della nuova dottrina: la salvezza viene data da Gesù per mezzo del Vangelo e
della fede suggellata dal battesimo.
Il popolo eletto resta sempre incluso nel disegno di Dio, tuttavia la promessa data ad
Abramo si è attuata in Cristo "costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo
Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti" (Rm 1, 4) "per
apportare la salvezza a chiunque crede" (Rm 1, 16).
Paolo è un Giudeo e tale rimane, lo dimostra il voto di nazireato fatto a Corinto nel 52
d.C. Egli è profondamente attaccato alla religione giudaica, tuttavia se ne distacca per
quanto riguarda Gesù Cristo, il Messia mandato a salvare lumanità intera.
"Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per
guadagnarne il maggior numero: mi sono fatto come Giudeo per i Giudei, per guadagnare i
Giudei. Per coloro che sono sotto la Legge pur non essendo io sotto la Legge
mi sono fatto come uno che è sotto la Legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono
sotto la Legge. Per coloro che non hanno Legge pur non essendo io senza la legge di
Dio, anzi essendo nella legge di Cristo mi sono fatto come uno che è senza Legge,
allo scopo di guadagnare coloro che sono senza Legge. Mi sono fatto debole per i deboli,
per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno.
Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anchio" (1 Cor
9, 19-22).
"
guardatevi da quelli che si fanno mutilare! I veri circoncisi siamo noi,
che celebriamo il culto mossi dallo Spirito di Dio e ci vantiamo in Cristo Gesù senza
porre fiducia nella carne, sebbene anche in essa io possa confidare. Se qualcuno ritiene
di poter avere fiducia nella carne, io più di lui: circonciso alletà di otto
giorni, della stirpe dIsraele, della tribù di Beniamino, Ebreo figlio di Ebrei;
quanto alla Legge, fariseo; quanto allo zelo, persecutore della Chiesa; quanto alla
giustizia che deriva dallosservanza della Legge, irreprensibile" (Fil 3, 4
e ss).
28-AGATA
Un racconto di Lucia Panzieri
È agosto, è caldo, è lestate del 2006.
I bambini sono sudati e hanno sete, abbiamo appena fatto cinquecento chilometri di
autostrada per tornare a casa dal mare di Pesaro. A Pesaro ci sono nata, là cè la
mia famiglia, e la mia infanzia. La donna che sono diventata, invece, abita qui.
Parcheggiamo in cortile e dalla macchina scendono indistintamente bambini, sabbia,
sandali, giornalini, giochi e conchiglie. E altra sabbia ancora. Ogni anno da Pesaro ne
portiamo a casa un mucchio di sabbia, senza volerlo, e me la ritrovo per settimane nelle
borse del mare, sul fondo delle valigie, tra i fili degli asciugamani. Come se quel posto
mi inseguisse delle volte, e anche se scuoto e sbatto e mi giro di notte dallaltra
parte, al mattino lo ritrovo sempre lì, con me e i miei fratelli da piccoli che mi
sorridono dalle foto sul comodino.
Dun tratto sento urlare, piangere, sento una voce forte di donna, che conosco. È
Agata, la mia vicina, con il suo Federico in braccio: urla disperata, corre e urla. Io non
capisco cosa dice, parla il suo inglese africano, e scappa, a piedi nudi, gridando.
Cerco di andarle incontro e lei allora, con la coda dellocchio, si accorge che siamo
tornati e si avvicina, mi fissa con due occhi enormi e infuriati e mi dà il bambino.
Io abbraccio Federico, e per un attimo mi chiedo in quale girone infernale siamo venuti a
parcheggiare la macchina questanno. Eppure è il nostro cortile, la nostra via
tranquilla, lafa umida dellestate: sono io, sono qui...
Per continuare la lettura: http://www.salonelibro.it/it/documenti/doc_view/145-agata-lucia-panzieri-italia.raw?tmpl=component
Segnalato da Giancarlo Marcone
29-Siti Internet "orientati" per approfondire l'argomento
Centro di ascolto e servizi per stranieri (Torino): http://www.migrantitorino.it/
Per chi non si accontenta di giudizi sommari: http://www.lavoce.info/articoli/-immigrazione/
Uno spazio per raccontare la vita dei movimenti sociali antirazzisti: http://clandestino.carta.org/
News quotidiane ed approfondimenti su immigrazione, asilo, cittadinanza: http://www.immigrazioneoggi.it/index.html
Dar voce a chi non viene mai ascoltato: http://www.misna.org/misna2009/chi_ita.asp?IDLingua=2
Dedicarsi alla pastorale tra gli immigrati: http://www.neroebianco.org/magazine.asp
Per la promozione dei diritti di cittadinanza: http://www.meltingpot.org/