LINFANZIA INTERROGA IL MONDO ADULTO
I nostri figli hanno bisogno di essere soddisfatti,
ma hanno anche bisogno di realizzare delle cose, di sentirsi utili
di Giovanni Capello*
Come sta la famiglia? Nonostante tutti i profeti di sventura che la davano per
"morta", nonostante le molte separazioni, la famiglia oggi, pur non godendo di
ottima "salute", continua ad essere un punto di riferimento per molti, giovani
compresi.
Dalla famiglia normativa alla famiglia affettiva
Però, rispetto a qualche decina di anni fa, è cambiato il modo di fare
famiglia. Abbiamo assistito al passaggio dalla famiglia "normativa", quella, per
intenderci dove al primo posto vi solo le regole e il loro rispetto, alla famiglia
"affettiva".
Oggi il compito dei genitori sembra dover essere quello di rendere i figli felici, ma
questo non è facile e non è neanche così chiaro che cosa significhi.
Infatti, bisogna distinguere tra felicità e soddisfazione.
Essere soddisfatto (letteralmente: fatto sazio) è aver avuto un bel voto, ricevuto un
regalo, un complimento. Per essere soddisfatto devo ricevere qualcosa dall'esterno. Essere
soddisfatti non è una cosa cattiva: ma se i regali, i complimenti non arrivano che
faccio?
Essere felice (letteralmente: essere fertile) vuol dire che io sono utile a qualcun altro.
Per essere felice devo dare qualcosa di me all'esterno, agli altri.
Se ricevo un regalo sono soddisfatto, se faccio un regalo con il cuore sono felice! Sono
due cose opposte!
I nostri figli hanno bisogno di essere soddisfatti, ricevere complimenti, ma hanno anche
bisogno di realizzare delle cose, di sentirsi utili. È nel loro DNA e noi, sovente, per
evitare perdite di tempo soffochiamo questi loro bisogni. Un bambino piccolo può
impiegare cinque minuti a legarsi le scarpe, noi lo facciamo in trenta secondi e meglio:
ma impediamo a nostro figlio di realizzarsi.
Un mondo individualista
In un recente rapporto Censis De Rita, parlando della società italiana, ha
affermato: "siamo come tanti coriandoli, accanto ma non insieme".
In Italia oggi nessuno pensa più che la "piazza" sia un luogo educativo, dove
la gente si incontra, si scambiano e si confrontano opinioni. Ci sentiamo italiani solo
quando gioca la Nazionale di calcio
e vince!
Lo vediamo sul lavoro: in molti contesti lavorativi non c'è più collaborazione tra
colleghi, non c'è traccia di lavoro di gruppo. E questo vale anche per i nostri ragazzi,
che hanno difficoltà a lavorare insieme, ciascuno è un "coriandolo".
Così abbiamo le famiglie "coriandolo": ognuno vive per proprio conto, ha la sua
vita, non si pranza neppure più insieme. Serve quindi lavorare sulla famiglia perché, se
non lo si fa, la famiglia si rompe. Uno è coppia perché coltiva la coppia, non perché
dorme sotto lo stesso tetto, uno è famiglia perché coltiva la famiglia. È il momento di
impegnarsi per la coppia e la famiglia, riconoscendo che le figure genitoriali sono in
crisi.
Il ruolo della madre
Alla mamma interessa la vita del figlio, al padre i suoi risultati. Così, quando
il figlio torna da una partita di calcio la madre chiede: "ti sei stancato? ti sei
fatto male?"; il padre invece domanda: "avete vinto? come hai giocato?"
Oggi le mamme fanno di tutto per rendere ai figli, soprattutto quelli piccoli, la vita
comoda, sentono il bisogno di essere perfette e vanno in crisi.
Ma ai figli servono delle mamme non proprio perfette, che si sappiano fare desiderare e
non precedano sempre i desideri del figlio, mamme che sappiano anche sbagliare perché
solo così il bambino può crescere.
Fino a cinquant'anni fa si richiedevano due cose alla donna: essere moglie e d essere
madre. Oggi per la donna è tutto più complicato: deve essere moglie, madre e
lavoratrice. Lavorare serve non solo per avere un secondo stipendio ma anche per
realizzarsi. Conciliare maternità e lavoro è difficile, l'inconscio fa fatica a superare
il vecchio modello e, comunque, ci sono sempre le suocere che ricordano che una volta non
si faceva così. Questo fa nascere sensi di colpa, si fa sovente un solo figlio che viene
trattato come un imperatore. Il rischio è che a 25 anni questo figlio non sia autonomo,
non riesca a finire gli studi , a mantenere una relazione sentimentale, ecc..
Il ruolo del padre
Il padre è il terzo, che si interpone tra madre e figlio. È compito del padre
dare dispiaceri al figlio perché deve dire dei NO. Questo è un compito tipicamente
paterno, lo può fare anche la madre, ma è contro la sua natura. È un compito che inizia
quando il figlio ha tre, quattro anni: la moglie affida al coniuge il compito di giudice e
secondino. In questo modo il padre aiuta il figlio a prendere distanza dalla madre e a
crescere.
Ma anche per i padri, come le madri, c'è stato un cambiamento. Oggi sono molto più
soggetti ai ricatti dei figli, dire di no p.e. al motorino può sembrare rendere il figlio
lo sfigato di turno. Questo accade perché i padri oggi sono narcisisti, hanno bisogno di
sentirsi dire che sono bravi. Così la valutazione dei genitori sembra finita nelle mani
dei figli.
Il ruolo di entrambi
I nostri figli colgono l'idea che abbiamo sul modo con cui l'altro/a fa il
genitore.
Se io penso che il coniuge fa bene o fa male il suo mestiere in qualche modo lo manifesto
all'esterno e i figli lo colgono e lo fanno loro.
Per crescere un bambino è necessario che la madre salvi comunque un pezzo del padre e
viceversa.
A questo punto può servire un esempio. È tratto dal romanzo autobiografico di Gabriel
Garcia Marquez "Vivere per raccontarla". Narra, fra l'altro, di un episodio
della sua fanciullezza in cui ritorna a casa fradicio dalla testa ai piedi e trova ad
aspettarlo la mamma. E continua: "alla fine mi aiutò a togliere i pantaloni zuppi e
li gettò nell'angolo con il resto degli indumenti. - Tutti voi diventerete uguali a
vostro padre - mi disse all'improvviso con un sospiro profondo mentre mi massaggiava la
schiena con un asciugamano (e questo sembra un rimprovero) e finì con tutta l'anima - e
Dio voglia che siate pure dei mariti come lui" (che bel giudizio!).
Suggerimenti
Se è vero che oggi è molto difficile fare il genitore serve ricordare che ci
sono dei modi molto interessanti per affrontare queste difficoltà.
Uno di questi è raccontare le nostre storie, quelle della nostra famiglia, della nostra
coppia, come ci siamo conosciuti, innamorati, ecc. Non siamo più abituati a queste cose
perché oggi le storie le racconta la televisione. Forse servirebbe tenere più spenta
quella "scatola di illusioni" e parlare di più: ai bambini piace ascoltare
storie.
E poi, perché non sfogliare gli album di foto con le nostre fotografie (non quelle dei
figli!) e raccontare: dove la foto è stata fatta, chi c'è nella foto, qualche
particolare curioso?
Raccontare serve perché nella nostra storia c'è il loro futuro.
* psicologo e psicoterapeuta
Tratto da "Scuola di famiglia", organizzato dall'ass. Spazio Genitori di Torino,
incontro del 18 gennaio '08