GRUPPI FAMILIARI E SPIRITUALITÀ CONIUGALE
Di Maria Pia Ghielmi*
I primi Gruppi familiari
I primi "Gruppi di spiritualità coniugale" nascono negli anni Trenta e
Quaranta, ispirati da un'esigenza spirituale fortemente sentita, quella di coppie che,
dopo una giovinezza impegnata nei movimenti giovanili, non intendono rinunciare all'ideale
di una fede viva, attiva, alla ricerca della "santità" cristiana anche nel
matrimonio. Questa esigenza si accompagna al nuovo clima culturale e teologico che andava
definendosi in quegli anni.
Tra i primi e più noti gruppi familiari vanno segnalate le Equipes Notre Dame, sorte a
Parigi nel 1938 per opera dell'abbé Caffarel e di alcune giovani coppie con lo scopo di
aiutarsi a vivere il Vangelo nella vita coniugale e familiare.
Lo sviluppo del movimento e la sua influenza furono rilevanti, cosi da ispirare anche
altri gruppi e associazioni familiari.
In Italia il movimento di spiritualità familiare raggiunse una sua relativa autonomia
intorno agli anni '50: nel 1948 si formarono a Milano i primi Gruppi di spiritualità
familiare, nati nell'ambiente dei Laureati di AC, per iniziativa di don Carlo Colombo.
Alla base vi fu la riscoperta della sacramentalità del matrimonio, idea che consentì di
superarne una visione riduttiva (solo giuridica o moralistica) e di fondare invece proprio
sul sacramento la spiritualità coniugale.
I Gruppi cercarono fondamento alla loro intuizione in una rinnovata concezione teologica,
che considerava il matrimonio come situazione permanente di grazia, grazia che non è
limitata al momento del consenso, ma rende presente continuamente nella vita degli sposi
l'amore tra Cristo e la Chiesa.
Il matrimonio poté così essere compreso come "via alla santità", con un
proprio ruolo e una propria missione specifica nella Chiesa, affidata dal sacramento agli
sposi.
A differenza delle Equipes Notre Dame, i Gruppi di spiritualità familiare, sempre più
diffusi in tutta Italia, hanno quasi sempre rifiutato una rigida strutturazione in
movimento. Talvolta collegati alle parrocchie, i Gruppi hanno preferito non impegnarsi in
quanto tali in attività comuni, anche se le singole coppie trovarono modo di dedicarsi al
servizio ecclesiale (preparazione dei fidanzati, catechesi) o sociale, aprendosi
largamente a esperienze di adozione e affido.
La riflessione dei coniugi trovò ispirazione e sostegno in una letteratura che intendeva
approfondire la spiritualità familiare e ripensare alla teologia del matrimonio. La nuova
prospettiva si basava sull'affermazione della piena santità del matrimonio, fondata sul
sacramento.
La spiritualità coniugale
Alla base della spiritualità coniugale c'è l'idea base, ricavata dalla teologia del
matrimonio, per la quale il sacramento non è più inteso come atto che comunica la grazia
al momento del consenso, ma come sacramento permanente. Tutta la vita cristiana diviene
così sorgente di grazia e i coniugi sono fonte di grazia l'uno per l'altro.
Il dono della carità non si sovrappone né snatura le caratteristiche dell'amore
coniugale, ma lo assume, lo anima, lo trasfigura a misura della carità di Cristo,
rispettandone la struttura e le molteplici dimensioni psicologiche, affettive, sociali.
In questo senso la carità coniugale ha un suo proprio e specifico modo di porsi, che non
può essere costruito a priori, ma viene creato e declinato nella vita degli sposi stessi.
La teologia è oggi più consapevole che solo la vita quotidiana, storica degli sposi,
quindi la loro esperienza cristiana nel matrimonio, può portare a dare volto a una
spiritualità coniugale.
La riflessione sulla carità di Cristo, partecipata a tutti i cristiani nella vocazione
battesimale e culminante nel dono di sé che Cristo compie nell'Eucaristia, conduce a
un'ulteriore osservazione: la sottolineatura della specificità della vocazione
matrimoniale non deve mai portare a dimenticare di inquadrarla nella più universale
vocazione cristiana. Il matrimonio trova il suo senso solo in riferimento all'Eucaristia,
dove Cristo si dona nella carità a tutta la Chiesa: la coppia non può comprendersi che
nel quadro di una comunità più ampia, rischiando altrimenti la chiusura e una sterile
autoreferenzialità.
Partire dal "vissuto"
Se i gruppi di spiritualità coniugale furono all'inizio visti con una certa
diffidenza, il Concilio Vaticano II ne costituì invece un'approvazione e un
incoraggiamento.
La fase post-conciliare costituì una lunga stagione che portò alla nascita di varie e
preziose esperienze, dai gruppi legati ad associazioni e movimenti a quelli parrocchiali.
Importanti documenti del magistero da allora ad oggi hanno incoraggiato la famiglia ad
assumersi un ruolo di testimonianza nella Chiesa.
Mi pare, in conclusione, di poter così sintetizzare alcune linee di riflessione: essere
cristiani oggi comporta anzitutto il discernimento della condizione nella quale ci si
viene a trovare, situazione storica che richiede di essere interpretata con attenzione e
competenza, per poter dire sempre e di nuovo la parola della carità.
"Spiritualità coniugale" significa, a mio giudizio, vivere la carità cristiana
nel matrimonio con un atteggiamento di fedeltà alla Parola, ma anche con la capacità di
comprendere "i segni dei tempi": la spiritualità non consiste dunque in un
insieme di principi da dedurre a tavolino, ma esprime anzitutto il "vissuto" dei
coniugi cristiani.
Un vissuto che, certamente, pur chiedendo risorse di interpretazione alla riflessione
teologica, non potrà essere costruito a priori: la creatività e l'originalità
dell'esperienza di vita degli sposi, guidata dallo Spirito, saprà realizzare e
"inventare" la "spiritualità coniugale".
Senza inoltre dimenticare che, poiché il carisma dei coniugi cristiani è quello di
rappresentare l'amore di Cristo per la Chiesa, il riferimento al sacramento del matrimonio
alimenta una dinamica di apertura che impedisce alle famiglie di chiudersi nella
peculiarità della loro esperienza.
Il rimando fondamentale al Battesimo e all'Eucaristia deve ricordare agli sposi che essi
sono anzitutto cristiani che, nella fede, nella speranza e nella carità, nel riferimento
a una comunità più ampia, cercano di rivivere l'esperienza filiale di Cristo nella
storia e nella vicenda complessiva degli uomini che essi incontrano.
Ogni famiglia ha dunque il suo dono, nessuna esclusa, e può diventare anima del mondo,
anzi lo è già. Ma ancora inespresse appaiono le risorse di umanità che la famiglia può
dispiegare all'interno della Chiesa e della società intera.
E questo appare l'orizzonte entro il quale poter ridefinire fisionomia e compiti di quei
credenti che, in quanto sposi, hanno deciso di attraversare insieme i giorni della propria
vicenda.
* docente di Teologia Spirituale presso la Facoltà Teologica di Milano
SPIRITUALE MA "INCARNATA"
Non spiritualità monastica ma coniugale
La condizione matrimoniale, fino al Vaticano II, era considerata uno "stato di
vita" inferiore rispetto alla via più perfetta rappresentata dal sacerdozio o dalla
vita religiosa.
Non a caso la stessa spiritualità coniugale tendeva generalmente a mutuare i propri
modelli dalla spiritualità monastica. Tale situazione era conseguenza di un retaggio
culturale e teologico antico che considerava con diffidenza la sessualità,
giustificandola solo nella prospettiva della procreazione e considerandola in qualche modo
come un ostacolo alla piena comunione con Dio.
Lo sforzo dei primi gruppi familiari fu orientato proprio nel tentativo di superare questa
concezione riduttiva del matrimonio, giungendo a proporre una dinamica spirituale più
adeguata e autentica. Ma il cammino non era semplice, bisognava superare molti
preconcetti.
Un'ambiguità che segnò i primi passi di questa riflessione concerneva l'accezione di
"spirituale", concepito come sinonimo di "disincarnato" o
"interiore": così che "spiritualità", per gli sposi, veniva a
significare "comunione di anime", sottolineando gli aspetti della preghiera e
dell'interiorità, e tralasciando gli aspetti corporei, sociali, quotidiani della vita.
Una riflessione teologica più attenta ha progressivamente chiarito l'autentico senso
cristiano dei termini "spirituale", "spiritualità", riscoperto in
particolare attraverso san Paolo.
L' "uomo spirituale" non è da interpretare in senso dualista : l'uomo in quanto
spirito in contrapposizione ad un corpo, ma intende descrivere l'uomo che vive secondo lo
Spirito di Cristo e quindi interpreta e costruisce la propria vita in riferimento a Cristo
e alla Sua carità. Questa carità, che è l'universale vocazione di ogni cristiano, si
declina poi nelle diverse situazioni di vita, in tutti i loro aspetti.
In questo modo è possibile leggere e vivere alla luce del Vangelo la concreta situazione
vitale in cui ci si viene a trovare.
Maria Pia Ghielmi
Testi tratti da: Gruppi di spiritualità familiare. Testimonianze ticinesi,
edito in proprio.
Sintesi della redazione, testo non rivisto dall'autore.