1-ANNO NUOVO
Si dice: anno nuovo, vita nuova. È un augurio, un auspicio ma, a prenderlo sul serio,
contiene un desiderio di cambiamento e anche di conversione.
Un piccolo-grande cambiamento lo abbiamo fatto anche noi: vi trovate fra le mani un numero
a colori di 24 pagine che è stato spedito a duemila famiglie. Speriamo, con il vostro
sostegno, di poter continuare.
Non siamo sicuri della qualità della stampa poiché, per ragioni di costo, abbiamo
cambiato tipografia. Confidiamo nella vostra comprensione.
La conversione è poi il tema sotteso a questo numero, anche se il titolo di copertina
può apparire fuorviante: tutti come credenti, laici e consacrati, singoli e famiglie,
siamo chiamati alla conversione per essere testimoni credibili della fede che professiamo.
Grazie alle 24 pagine abbiamo potuto riprendere le rubriche e le lettere che,nello scorso
numero avevamo omesso. Il colore, infine, ci ha permesso di distinguere le varie parti del
giornale, come avrete modo di vedere.
Vi ricordiamo che la rivista ha anche una versione elettronica, che permette di scaricare
in formato testo gli articoli pubblicati. La trovate accedendo al sito
www.gruppifamiglia.it.
Questa versione contiene anche i link per accedere direttamente alle fonti citate o
richiamate negli articoli. Buona lettura!
La redazione
2-SIAMO TUTTI sacerdoti
Questanno pastorale offre loccasione a tutto il popolo di Dio,
e non solo ai sacerdoti, di riflettere sulla propria vocazione
di Franco Rosada
Dopo il Concilio Vaticano I da molti si riteneva che un nuovo concilio non fosse né
possibile, né necessario.
Con queste premesse, il Vaticano II apparve, 50 anni fa, un vero miracolo come anche lo è
stata la genesi del suo documento più importante: la costituzione dogmatica Lumen
gentium.
Le bozze iniziali furono respinte, il documento venne profondamente rivisto e nacque, tra
gli altri, il secondo capitolo sul popolo di Dio.
Il valore di questo capitolo è enorme perché la Chiesa, dopo essersi riconosciuta, per
secoli società perfetta, cambia completamente registro.
La metafora del popolo di Dio serve a superare la dualità clero-laici, non per favorire
una sorta di populismo laico, ma per far risaltare la dignità di ogni membro della
Chiesa.
Questo nuovo popolo non è più fondato sulla carne ma sullo Spirito ed è un
popolo sacerdotale. Tutti i battezzati sono consacrati a formare un tempio
spirituale e un sacerdozio santo (LG10). Il sacerdozio ministeriale e quello comune
sono su due piani diversi, ma ordinati luno allaltro.
Scrive Sartori: il primo è in funzione del secondo, è servizio perché maturi il
sacerdozio comune.
Lesercizio del sacerdozio del popolo di Dio di fonda sui sacramenti e sulle virtù:
senza la virtù i sacramenti resterebbero segni morti, infruttuosi.
Parlando del sacramento del matrimonio qui, per la prima volta, troviamo valorizzata in
chiave ecclesiologica la famiglia come Chiesa domestica (LG11).
A mezzo secolo di distanza, lindizione dellanno sacerdotale da parte del Santo
Padre è unoccasione per riconsiderare la vocazione sacerdotale del popolo di Dio
attraverso i due sacramenti ordinati al servizio nella comunità: lOrdine e il
Matrimonio.
formazionefamiglia@libero.it
Questo articolo è debitore a: Sartori L., La Lumen Gentium, Edizioni Messaggero
Padova, 1994.
Per la Lumen gentium vedi: http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19641121_lumen-gentium_it.html
Per il libro di Sartori vedi: http://www.edizionimessaggero.it/ita/catalogo/scheda.asp?ISBN=978-88-250-1243-9
3-SPONSALITÀ,ORDINE E MATRIMONIO
Assumere una dimensione sponsale nella spiritualità sacerdotale
di Francesco Pilloni*
La tematica della Chiesa sposa - ovvero l'ecclesiologia sponsale - può portare grande
frutto nella consapevolezza e nella spiritualità del sacerdote.
All'interno della Chiesa sposa il vescovo e, secundi ordinis, il presbitero sono immagine
sacramentale di Cristo sposo. In questa semplice affermazione sta racchiusa la conseguenza
per il ministero ordinato di Ef 5,32.
Questo testo rivela il mistero nuziale nascosto nei secoli, venendo ad illuminare non solo
la realtà del sacramento del matrimonio, ma anche la realtà dell'ordine sacro. Entrambi
dipendono dal mistero nuziale, che in loro si attua come prosecuzione del mistero Cristo -
Chiesa, illuminando lo stesso Mistero Trinitario. Mistero che è stato partecipato
all'uomo/donna nel sacramento primordiale della creazione.
La sposa è la Chiesa, ma Cristo - lo Sposo divino - ha voluto che al suo interno vi fosse
il segno sacramentale della sua presenza.
Cè quindi una relazione tra i diversi stati di vita del cristiano, che acquista per
il ministero ordinato una precisa connotazione spirituale in riferimento al sacramento del
matrimonio.
L'ordine sacro trova infatti nel sacramento del matrimonio la forma dell'amore
caratteristica della sponsalità del ministro in forma sponsi / in persona
Christi nei confronti della Chiesa.
E nella forma sponsi del ministero ordinato il sacramento del matrimonio trova il
proprio riferimento al mistero di Cristo e della Chiesa.
Per il sacerdote l'incomprensione del mistero sponsale del sacramento del matrimonio
sfocia nell'incomprensione della stessa identità sponsale del presbitero. Per il gli
sposi l'incomprensione dell'identità sponsale del presbitero sfocia in un impoverimento
soggettivistico della specifica comunione nuziale.
Assumere la reciprocità degli stati di vita
La pienezza della Chiesa sta nella triplice forma dell'ordine sacro, del sacramento delle
nozze e della verginità. Infatti i tre stati di vita dell'ordine sacro, del matrimonio e
della verginità sono in stato di reciprocità, non potendo comprendersi l'uno senza
l'altro, ovviamente nell'orizzonte ecclesiologico e sacramentale.
Il sacramento del matrimonio è simbolo reale della sponsalità della persona umana e
simbolo reale dell'amore di Cristo e della Chiesa.
La verginità consacrata indica, nello stato di simbolo reale della vita dei vergini, che
il Cristo risorto è lo Sposo assoluto verso cui ogni credente cammina. Il ministero
ordinato è l'amore stesso di Cristo sacramentalmente presente nella Chiesa, per la
salvezza di tutti.
Tutti e tre sono chiamati a compiere la sponsalità della Chiesa e, per tutti, il ministro
ordinato realizza l'immagine simbolica dello Sposo della Chiesa. Il presbitero d'altronde,
dal canto suo, trova nel sacramento del matrimonio, cioè nella coppia e nella famiglia,
l'immagine della sponsalità reale dell'uomo/donna, che gli dice in quale riferimento egli
debba comprendere la storicità del suo ministero. Guarderà ancora ai vergini ed alle
vergini (cui tra l'altro appartiene) per comprendere come anch'egli sia chiamato a
compiere - come battezzato - l'orizzonte della propria sponsalità, che ha la duplice
dimensione della sposa e dello sposo (come dice Agostino: "Con voi sono battezzato,
per voi sono vescovo"). Egli quindi realizzerà la pienezza dell'una e dell'altra
dimensione solo integrandole in unum, attraverso la sua soggettività personale assunta
sacramentalmente nel mistero.
Il sacramento del matrimonio guarderà con sguardo di reciprocità alla testimonianza dei
vergini, accogliendo l'annuncio che l'unico Sposo assoluto, anche dell'amore storico, è
Cristo risorto. Parimenti gli sposi guarderanno pure al ministero ordinato come alla
figura sacramentale/simbolica di Cristo sposo, mediante la quale sia la feconda relazione
nuziale degli sposi che l'identità sponsale dei vergini sono generate e tessute
nell'unità della Chiesa, ricevendo alimento e fecondità spirituale, in chiave
sacramentale, per il proprio cammino.
Famiglie e sacerdoti in un'ottica sponsale
È un cambiamento di orizzonte che recupera la verità dell'uomo e la verità simbolica e
sacramentale degli stati di vita ad un tempo.
Il riflesso sulla spiritualità dei sacerdoti è evidente. Se essi si pensano come
sacramento dello Sposo, troveranno nella famiglia lo specchio stesso del loro essere, e
cesserà la paura.
E, viceversa, la famiglia diviene un soggetto attivo, in quanto custode dell'amore
pasquale del Cristo, rimanendo nella sua laicità e, senza bisogno di venire
clericalizzata, troverà in se stessa la sorgente della propria dimensione più specifica.
I riflessi sulla pastorale e sul concreto della "figura di parroco" sono, come
si intuisce, poliedrici e sostanziali. Cambia l'ottica di fondo. Oggi si ha l'impressione
che il clero sia indaffarato, e lo è perché dona le energie migliori all'organizzazione
e non alle relazioni. E questo è dovuto alla comprensione preconscia che il presbitero ha
di essere il vertice organizzativo della piramide ecclesiale.
Così rischia di comprendere, ad esempio, i consigli presbiterali e pastorali come la
versione ecclesiale della democrazia moderna, con cui la Chiesa si è adeguata ad essa. Ma
se provassimo a pensarli come luoghi in cui si compie il concreto comunionale della Chiesa
come sacramento di comunione e coimplicata in tutte le sue componenti come Sposa di Cristo
(come suggerisce anche la Tertio millennio ineunte), entreremmo in uno spazio nuovo.
Non si tratta, è logico, di negare il ruolo di presidenza del ministro ordinato, ma di
recuperare l'asserto, già di san Tommaso, che la potestas sul corpo mistico (la Chiesa)
deriva dalla potestas sul corpo reale (Eucaristia), e non viceversa. Il presbitero
presiede perché consacra e non consacra perché presiede!
Inoltre, questa visione, a mio parere, dice in un linguaggio accessibile alle categorie
culturali di oggi che il prete è in persona Christi, il che coincide con l'essere in
persona Sponsi.
Senza contare che il linguaggio dell'amore nuziale è il linguaggio dell'Unitrino e si
offre come comprensibile ad ogni uomo/donna, che per statuto creaturale lo contiene in
sé.
Davvero esso è il linguaggio della nuova evangelizzazione! Non per niente Giovanni Paolo
II affermava che "l'avvenire dell'umanità passa attraverso la famiglia".
Pensiamo, ai nostri ambienti di Chiesa, ai luoghi nei quali il presbitero esercita in
concreto il suo ministero. Sono in grandissima parte luoghi architettonicamente ispirati
al modello scuola o al modello collegio.
Se sostituissimo questi col "modello famiglia"? Accoglienza, bellezza, ordine,
luoghi di dialogo, di incontro, di distensione... L'esperienza mi insegna che la catechesi
più fruttuosa è quella fatta in salotto. E, d'altronde, il linguaggio e l'incisività
inconscia di tali fattori sono notevoli.
Va da sé che tale pastorale richiede dei contenuti. È questo il nodo ultimo dei rapporti
della pastorale dei fidanzati, della catechesi, della pastorale giovanile e in genere
della formazione con la pastorale familiare.
La chiave è sapere che cosa si vuole comunicare per aiutare i fidanzati e le giovani
coppie ad assumere la serietà cristiana del loro vissuto e del sacramento del matrimonio.
Da qui, dalla consapevolezza teologica, sgorga una spiritualità, che esse non dovranno
più cercare altrove, ma dentro la vita stessa di coppia e la loro vita nella Chiesa.
* sacerdote, docente di teologia e responsabile formativo del Master in Scienze del matr.
e della famiglia
Questo testo è tratto, in sintesi, dal libro dellautore: Ecco lo Sposo,
uscitegli incontro. Percorsi teologici e pastorali sul sacramento del matrimonio,
Effatà Editrice, Cantalupa (TO) 2002, p.41-48.
Per ulteriori informazioni: Effatà Editrice, tel. 0121 353 452, info@effata.it, www.effata.it
Per il libro di Pilloni vedi: http://www.effata.it/Libri/Nuzialita/eccolosposo.html
4-FORMARE CRISTO NEI FEDELI
"II donarsi di Cristo alla Chiesa, frutto del suo amore, si connota di quella
dedizione originale che è propria dello sposo nei riguardi della sposa [...] La Chiesa è
sì il corpo, nel quale è presente Cristo capo, ma è anche la sposa, che scaturisce come
nuova Eva dal costato aperto del redentore sulla croce: per questo Cristo sta
"davanti" alla Chiesa, "la nutre e la cura" (Ef 5,29) con il dono
della sua vita per lei.
Il sacerdote è chiamato a essere immagine viva di Gesù Cristo sposo della Chiesa:
certamente egli rimane sempre parte della comunità come credente, insieme a tutti gli
altri fratelli e sorelle convocati dallo Spirito, ma in forza della sua configurazione a
Cristo capo e pastore si trova in tale posizione sponsale di fronte alla comunità [...].
È chiamato, pertanto, nella sua vita spirituale a rivivere l'amore di Cristo sposo nei
riguardi della Chiesa sposa. La sua vita dev'essere illuminata e orientata anche da questo
tratto sponsale, che gli chiede di essere [...] capace di amare la gente con cuore nuovo,
grande e puro, con autentico distacco da sé, con dedizione piena, continua e fedele [...]
con una tenerezza che si riveste persino delle sfumature dell'affetto materno, capace di
farsi carico dei "dolori del parto" finché "Cristo non sia formato"
nei fedeli (cfr. Gal 4,19)".
Giovanni Paolo II: Pastores dabo vobis n.22 http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/apost_exhortations/documents/hf_jp-ii_exh_25031992_pastores-dabo-vobis_it.html
5-IO,LORO E LARA: un prete e la sua famiglia
La vita odierna a Roma - specchio dell'intera realtà italiana - ha raggiunto livelli
di schizofrenia ormai incontrollabili. È necessario fermarsi un momento e ricominciare da
una nuova etica dei rapporti interpersonali. Anzi, proprio dalla famiglia, che è il primo
nucleo della società.
Va diretto al cuore del problema Carlo Verdone in questo suo nuovo film.
Tornato a casa dallAfrica per ritrovare affetto e serenità, padre Mascolo si vede
assediato in famiglia da una brutta coltre di rancori, avidità, bugie, opportunismi.
Senza che qualcuno, per giunta, si prenda la briga di ascoltare le sue difficoltà.
Calandosi in questo personaggio di sacerdote generoso, disponibile, aperto, forse un po'
ingenuo, Verdone si crea le premesse per gettare sull'Italia contemporanea uno sguardo
amarognolo, fatto di qualche delusione e insieme di molta voglia di riscatto.
La constatazione finale dice che l'Italia è, per motivi opposti all'Africa, scenario di
una differente ma non meno necessaria missione di recupero di valori civili condivisi. E
in questo scenario il ruolo del sacerdote non è certo secondario.
Verdone è bravo a suscitare divertimento di fronte ad argomenti per i quali in fondo c'è
ben poco da ridere.
CEI, Comm. Italiana Valutaz. Film
Per la scheda del film vedi: http://www.db.acec.it/pls/acec/datafilm_cnvf.dati_film?c_doc=5830&origine=0&from_acec=1
6-PARROCCHIA E FAMIGLIA
di Bernardino Giordano*
Il mio primo incontro con la pastorale familiare è avvenuto già ai tempi del seminario a
Saluzzo (CN). Per caso ad un convegno a Loreto sulla pastorale del lavoro ho avuto
l'occasione di incontrare l'allora direttore nazionale della Pastorale Familiare don
Bonetti.
Da qui è nata la proposta di frequentare le prime settimane di studi sulla spiritualità
coniugale e familiare che si svolgevano a Rocca di Papa presso Roma promosse dall'ufficio
nazionale. Siamo negli anni in cui la Chiesa si preparava a festeggiare il giubileo del
2000. Frequentando questi incontri e i seminari che a livello italiano venivano proposti
sempre più è cresciuto in me l'interesse per questo spaccato di Chiesa che è la
famiglia.
Così già durante la formazione in seminario e poi successivamente con gli studi di
Licenza e Dottorato di Teologia Morale ho approfondito il sacramento del matrimonio come
vera risorsa per la chiesa e per la società. Allo studio ho affiancato la conoscenza e il
confronto con gruppi coppie; questo ha contribuito a completare la mia formazione sia
umana che ministeriale.
In questo percorso sia io che gli sposi siamo giunti alla consapevolezza della luminosità
e fecondità dei vissuti sia matrimoniale, sia sacerdotale ed ecclesiale. Così nella
misura in cui si scopre la dignità e la grazia sacramentale, si inizia a cercare di
viverla e si diventa, inevitabilmente, "soggetti attivi".
Il frutto di questo cammino mi ha permesso di vivere la parrocchia con un maggiore senso
di responsabilità perché la sento "propria" e sentendomela propria, con gli
sposi, ci si sente parte di essa e quindi sostenuti.
Il vissuto parrocchiale è molto simile a come si vive in famiglia, con le attenzioni, le
preoccupazioni, le gioie, il senso di gratuità e la tensione verso il perdono proprie del
clima domestico e familiare.
L'amore di coppia - che è specchio di quello di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo - mi ha
fatto scoprire più chiaramente che le coppie erano responsabili delle proprie azioni non
solo reciprocamente ma anche verso Dio.
Sempre più in me vi è stato nel corso di questi anni un vero e proprio cambiamento di
prospettiva nel guardare la famiglia.
Fondamentale, a questo proposito, il passaggio dal considerarla solo nelle sue
problematiche, come fenomeno da osservare e problema da affrontare, all'intuirla come
risorsa restituendole, di fatto e per intero, la sua dignità (di soggetto e non più di
oggetto). Passaggio questo, che ha richiesto il suo tempo e che richiede sempre di stare
in guardia perché non prevalga la tentazione di tornare a vecchi discorsi e modelli.
Certamente sono sorte amicizie grandi e intense instaurando uno stile familiare nelle
relazioni e nella comprensione reciproca.
Questo rapporto con gli sposi ha fatto scattare una partecipazione più intensa a tutta
l'attività pastorale rendendo le famiglie protagoniste non solo là dove di per sé sono
già coinvolte (iniziazione cristiana, preparazione dei fidanzati, educazione all'amore,
ecc.), ma anche in una creatività pastorale in ordine all'essere stesso della Chiesa.
Vorrei sottolineare, infine, un pensiero condiviso anche con alcuni amici preti: il
ministero sacerdotale non è più vissuto come un "lavoro" per gli altri ma come
uno "sposalizio" perché continuamente ci si ritrova a rispondere alle persone
con il cuore e non solo con la professionalità.
Ringrazio il Signore per questo cammino e lo prego che continui a sostenermi perché
questa chiesa sia sempre più "domestica".
* teologo morale, responsabile dell'Ufficio Famiglia di Saluzzo (CN)
Per le attività dell'Ufficio vedi: http://www.saluzzo.chiesacattolica.it/index.php?option=com_content&task=view&Itemid=85&id=110
7-COMUNIONE E COMUNITÀ
Per una Chiesa che viva con autenticità linsegnamento del Concilio Vaticano II
di Franco Rosada
Parlare di comunione e comunità è un argomento sempre attuale nella Chiesa italiana,
legato comè alla difficoltà di realizzare e vivere queste due realtà che
dovrebbero essere a fondamento del nostro essere Chiesa post-conciliare.
Una nuova visione di Chiesa
Scrive il vescovo di Rimini, mons. Lambiasi, nella sua Lettera ai presbiteri
sulla comunione: Quando penso alla Chiesa scaturita dal Concilio per contrasto
mi ritorna davanti agli occhi una pagina del catechismo della mia infanzia: una piramide
con su in alto il papa; poi, un gradino sotto, a destra e sinistra, un cardinale e un
vescovo; quindi un sacerdote e un frate, e in basso tanti laici. Era l'immagine che aveva
prevalso per secoli, quella di una società piramidale sbilanciata sull'aspetto visibile e
sociale, a svantaggio della dimensione interiore e carismatica.
Il Vaticano II ha proposto una visione profondamente nuova della Chiesa, o meglio ha
riproposto la visione profondamente antica, marcando la fondamentale uguaglianza di tutti
i membri del popolo di Dio, in cui la comunione delle persone precede la distinzione dei
ruoli e 'mette in rete' le varie funzioni.
Secondo la Lumen Gentium la Chiesa è 'comunione gerarchica', in cui la dimensione
istituzionale è inseparabile da quella misterica, ma secondo un rapporto ben chiaro: la
struttura è a servizio della comunione, e non viceversa. Pertanto se la comunione senza
l'istituzione sarebbe come un'anima senza il corpo, l'istituzione senza la comunione
sarebbe come un corpo senza l'anima: un inerte, gelido cadavere.
La comunione, allinterno della Chiesa, si struttura a vari livelli: il Popolo di Dio
nel suo insieme, la comunità parrocchiale, la comunità presbiterale, la comunità
episcopale. Proverò a dire qualcosa di più sul presbiterio e la parrocchia, le realtà
che ci sono più vicine.
La comunione presbiterale
Enzo Bianchi, nel suo libro: Ai presbiteri afferma: non si può
essere servi della comunione nella comunità cristiana senza esercitarsi continuamente in
quest'arte della comunione all'interno del presbiterio. Quindi è necessario
rifuggire ogni logica individualistica e ogni forma di singolarità ostentata,
evitare l'isolamento e, soprattutto, la sufficienza.
Ma qual è la sorgente della comunione? È necessario puntare in alto il cuori:
bisogna contemplare la santa Trinità, la fonte prima e il modello insuperabile della
comunione ecclesiale. Nel Dio Uni-trino vediamo i Tre stretti in un rapporto talmente
intenso che è legittimo affermare: ogni persona divina non ha una relazione con le altre,
ma è in relazione - anzi è in se stessa relazione - alle altre due. Il Padre non si
ripiega morbosamente su di sé (non sarebbe vero 'padre '!), ma esce da sé per aprirsi
totalmente al Figlio, e così il Padre e il Figlio si aprono e si incontrano nello Spirito
Santo. Possiamo quindi dire che le tre Persone sono ognuna con le altre, per le altre,
nelle altre. Ecco le preposizioni trinitarie: con-per-in. L 'esatto contrario delle
relazioni anti-trinitarie: gli uni senza-contro-sopra gli altri (Lambiasi, op.
cit.). E questo vale per ogni forma di comunione interpersonale, a partire dalla coppia e
dalla famiglia per arrivare fino ai vescovi e al papa.
La comunione parrocchiale
E siamo alla realtà ecclesiale che ci è più vicina come battezzati: la
parrocchia.
Scrive mons. Masseroni, nella nota pastorale: Preti oggi per servire la speranza,
rivolgendosi ai suoi parroci: il presbitero non ha l'insieme dei carismi, ma
il carisma dell'insieme. (mons. Del Monte). Il prete non deve fare tutto, ma deve
avere gli occhi su tutto. In particolare è chiamato a promuovere un laicato fedele alla
propria vocazione, senza fughe ad intra e ad extra.
Ma, nello stesso tempo, i laici (a livelli e con modalità differenti) sono chiamati
a dare corpo al volto ministeriale della comunità, soprattutto in alcune direzioni: della
catechesi, della liturgia e della carità. Ci sono ministeri particolarmente urgenti per
il futuro delle nostre comunità: come quello educativo per l'animazione della vita
oratoriana; quello coniugale, per un servizio alla pastorale familiare; il ministero
accanto agli ammalati e agli anziani; il ministero per la cura delle piccole comunità
senza parroco residente.
Resta il tema della comunità parrocchiale. Per che è nato o da sempre frequenta una
parrocchia il problema di solito non si pone. Molte giovani coppie restano legate alla
parrocchia di origine al punto di continuare a frequentarla anche se sono andate ad
abitare lontano.
La questione è più spinosa per chi deve fare faccia nuova. Chi arriva ha le
sue idee, le sue esperienze pastorali e trova difficoltà a proporle in un contesto poco
incline al cambiamento perché si è sempre fatto così.
Serve, per chi arriva, umiltà e impegno concreto e, per chi accoglie, apertura al
nuovo.
Questo articolo è debitore ai testi citati e ai n.32,33,45/2009 della rivista Settimana,
EDB, Bologna.
Per la lettera di mons. Lambiasi vedi: http://www.diocesi.rimini.it/downloads/fratelli.pdf
Per la lettera di mons. Masseroni vedi: http://www.arcidiocesi.vc.it/Documents/Preti
oggi.pdf
Per il libro di Bianchi vedi:
http://www.monasterodibose.it/index.php/component/page,shop.product_details/flypage,shop.flypage/product_id,380/category_id,17/manufacturer_id,0/option,com_virtuemart/Itemid,368/lang,it/
Per la rivista Settimana vedi: http://www.dehoniane.it/riviste/riv_ew_page.php?CODE=SET
Brani per la Lectio:
- Gdc 6,25-26 (il sacerdozio del capofamiglia)
- 1 Pt 2,4-5 (un popolo sacerdotale)
Domande per la R.d.V.:
- Sappiamo coltivare, in famiglia e con gli altri, le preposizioni
con-per-in?
- La comunione non è mai un traguardo scontato. Che difficoltà incontriamo?
8-UNA SPIRITUALITÀ DI COMUNIONE
Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande
sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di
Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo.
Che cosa significa questo in concreto? [...]
Spiritualità della comunione significa innanzitutto sguardo del cuore portato sul mistero
della Trinità che abita in noi, e la cui luce va colta anche sul volto dei fratelli che
ci stanno accanto.
Spiritualità della comunione significa inoltre capacità di sentire il fratello di fede
nell'unità profonda del Corpo mistico, dunque, come "uno che mi appartiene",
per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e
prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia.
Spiritualità della comunione è pure capacità di vedere innanzitutto ciò che di
positivo c'è nell'altro, per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio: un "dono
per me", oltre che per il fratello che lo ha direttamente ricevuto.
Spiritualità della comunione è infine saper " fare spazio " al fratello,
portando "i pesi gli uni degli altri" (Gal 6,2) e respingendo le tentazioni
egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo,
diffidenza, gelosie.
Non ci facciamo illusioni: senza questo cammino spirituale, a ben poco servirebbero gli
strumenti esteriori della comunione.
Diventerebbero apparati senz'anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione
e di crescita.
Giovanni Paolo II, Novo millenio ineunte, n. 43
http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/apost_letters/documents/hf_jp-ii_apl_20010106_novo-millennio-ineunte_it.html
9-COME DIALOGARE CON I FIDANZATI
Nel servizio di accompagnamento delle coppie al matrimonio capita sovente di porsi un
problema: le cose vanno dette, le regole vanno date, i concetti chiariti? Certamente!
Senza avere tuttavia la pretesa dell'integralità. L'integralismo non serve a nessuno, né
a chi si sente dalla parte della verità né a chi è nel dubbio. Ognuno arriva dove può
e come può. Il discorso non si pone evidentemente sul piano dell'ortodossia ma sul piano
morale e pedagogico.
Si tratta di una conversione da operare in noi stessi e di uno stile da acquisire nel
rapportarsi con gli altri.
Per quanto riguarda la metodica dell'incontro con i fidanzati è opportuno studiare modi
confidenziali che favoriscono, oltre all'accoglienza, il coinvolgimento delle persone.
In genere i giovani si presentano a questi appuntamenti con l'atteggiamento dello
spettatore, del fruitore di un servizio, ossia con una posizione di negatività. Sempre
più raramente invece arrivano con pretese di autosufficienza e contrarietà. La bravura e
l'umiltà di chi ha il compito di fare da riferimento in questo ambito è quello di
capovolgere la situazione in modo da responsabilizzare il più possibile i partecipanti.
Non rinunciare a lanciare messaggi importanti, purché brevi, semplici,
"sorridenti". Il sano umorismo aiuta molto a sdrammatizzare e invita tutti a
commentare e completare l'argomento mettendovi della propria esperienza di vita.
Creare infine dei momenti informali per una maggiore familiarità di tutto il gruppo. Sono
queste le occasioni in cui si sciolgono dubbi, si manifestano sensazioni,
insomma le
persone si sbilanciano sia sui fatti personali che su quelli comuni.
Forse a qualcuno potrebbe sembrare un segno di debolezza e di cedimento di fronte ad una
realtà tanto fuorviante e piena di contraddizioni come quella contemporanea.
Non si tratta di recuperare qualcosa a qualsiasi prezzo, non è questo che oggi i giovani
cercano. Piuttosto hanno bisogno di riferimenti sicuri, di adulti veri, di persone
umanamente e spiritualmente riuscite
che però esprimano serenità ed insieme
tolleranza e rispetto.
Tony Piccin
Per la sua attività vedi anche: http://www.paolabinetti.it/Materiali/pag14e15.pdf
10-FORMARE ALLA FAMIGLIA I SEMINARISTI
Coltivare l'accoglienza, la comunicazione, l'amicizia, la condivisione, il perdono,
l'obbedienza e la responsabilità
di Carlo Maria Zanotti*
Accompagnare i giovani nel loro cammino di discernimento, di scelta e successivamente di
consolidamento della loro vita vocazionale, è un evento affascinante. Sì, perché ti
trovi accanto ad una persona che cammina, cresce e, maturando, realizza salti di qualità
personale che, molte volte, commuovono e ti portano allo stupore.
"Spirito di famiglia"
È questa l'esperienza che vivo nel mio servizio di formatore dei giovani novizi
salesiani.
Una esperienza che nella tradizione salesiana è chiamata "familiare", perché
don Bosco voleva che nei suoi ambienti ciascuno si sentisse a casa sua.
L'impegno di fedeltà al fondatore è quindi quello di instaurare all'interno delle nostre
comunità quell'inconfondibile stile di rapporti che, nella nostra tradizione di vita,
siamo soliti chiamare "spirito di famiglia".
I salesiani, dovunque vivano, nelle comunità educative - pastorali o in contatto con
altri gruppi e in tutti i rapporti, tendono spontaneamente a instaurare una specie di
"famiglia", ad animare un modello di vita che fa sentire tutti accolti e insieme
responsabili.
Pertanto formare i giovani a vivere in pienezza la loro vocazione religiosa, significa
principalmente educarli a valorizzare quelle caratteristiche di vita familiare che
favoriscono proprio la piena realizzazione di sé. Quali sono queste caratteristiche?
L'affetto e l'accoglienza reciproca, la comunicazione profonda e autentica, l'amicizia
sincera, la condivisione materiale e spirituale di ogni cosa, il rispetto e il perdono
costante, l'obbedienza e la responsabilità da parte di tutti. Un clima appunto
"familiare" dove la vita è regolata dal cuore e dalla fede più che dal ricorso
alle leggi. L'obiettivo è quello di formare giovani pienamente realizzati e quindi
felici. Lo stile e la metodologia è quella, appunto, dello "spirito di
famiglia".
La realtà poi ti porta a operare per consolidare o reintrodurre queste caratteristiche
umane e spirituali che favoriscono la crescita e la maturazione.
Dalla parte della famiglia
L'esperienza di questi anni mi ha fatto registrare due movimenti interessanti: da
una parte giovani con alle spalle una buona famiglia che ha favorito il processo formativo
e, dall'altra, giovani con qualche fatica in più nella loro storia familiare, che ha
rallentato, ma non per questo bloccato, lo sviluppo.
Anzi in questi casi sono stato testimone di una maturazione e di un cammino 'insieme',
giovane e famiglie, verso una piena maturità. Con questo voglio affermare che, in ogni
processo formativo, si cresce sempre insieme ad altri, non si può camminare da soli,
isolati o autonomamente. In particolare la scelta per una vita di donazione, non può
avvenire senza un coinvolgimento della famiglia di origine, senza una seria conoscenza e
una effettiva corresponsabilità.
Se c'è una buona famiglia
Interessanti le dinamiche del primo movimento: partecipazione, sostegno, memoria
che diventa forza e incoraggiamento. Viene immediato il confronto con l'esperienza di S.
Paolo nei confronti di Timoteo: "Mi ricordo infatti della tua fede". S. Paolo
scrive al giovane vescovo di Efeso Timoteo, suo figlio nella fede e fedele compagno
nell'impegno missionario, ricordandosi della sua fede solida, schietta che fu prima della
nonna Loide e poi appresa dalla madre Eunice (2 Tm 1,5; 3,14).
Contempliamo nella figura di Timoteo l'icona della famiglia che ha saputo trasmettere la
fede in Dio Padre misericordioso e in Cristo Gesù suo Figlio. Timoteo ha ricevuto dalla
sua famiglia le condizioni essenziali per una scelta così grande come quella di
consacrare la propria vita totalmente a servizio di Cristo e della sua Chiesa.
Il Signore ancora oggi chiama tanti giovani e la famiglia è il primo luogo dove i figli
imparano ad amare il Signore, ascoltare la sua voce e rispondere con gioia ed entusiasmo
alla sua chiamata.
Se la famiglia vive "fatiche"
Per quanto riguarda il secondo movimento, quello che registro nei confronti di
famiglie che presentano qualche ferita in più nella loro storia, diventano utili le
conoscenze, le comprensioni e le condivisioni di queste fatiche, per rendere più concreto
il cammino, lo sviluppo e la maturazione dei candidati alla vita consacrata.
Dicevo che sono stato testimone di tanti miracoli che, nel momento in cui si trova la
disponibilità a crescere insieme, si manifestano. Miracoli 'ordinari', 'quotidiani',
conquistati grazie al ricupero e al 'governo' degli errori, delle ferite e anche delle
'mediocrità' spirituali.
Un lavoro, quello formativo, che diventa una sinergia capace di creare unità,
coinvolgimento, conoscenza vera e autentica, che a sua volta genera forza, capacità di
nuovi riferimenti e di nuove esperienze. È questa novità il miracolo e la gioia più
grande che permette sviluppo e realizzazione di tanti sogni.
* salesiano, maestro dei novizi
Per la sua attività vedi anche: http://www.donboscoland.it/articoli/articolo.php?id=124586
11-LA SOLITUDINE DEL SACERDOTE
Non si tratta di solitudine "affettiva" ma di un Dono dello Spirito per essere
sempre più conformi al nostro Maestro. È una solitudine che si condivide con tante
coppie e famiglie
Di Roberto Battistin*
Da ragazzo, sono rimasto colpito da una pagina del famoso libro "Preghiere" di
Michel Quoist: "La preghiera del prete la domenica sera". Si parlava di
"solitudine", alla fine di una giornata intensa, tutta dedicata al Signore, nel
servizio alla Comunità. E confesso che non ho mai capito e condiviso fino in fondo quei
sentimenti: come può un prete sperimentare la solitudine, in modo particolare la domenica
sera?
La vera solitudine del sacerdote
Molte altre volte sono ritornato su questo pensiero; ed ora, dopo 36 anni di
Ministero sacerdotale, credo di averci capito qualcosa in più. Non si tratta davvero di
solitudine "affettiva", legata al Dono del celibato: se infatti fosse questo il
problema, significherebbe che questo carisma zoppica, è malato e in pericolo serio di
sopravvivenza!
Si tratta di ben altre solitudini, che vanno considerate un DONO dello Spirito nel cammino
di una sempre più profonda conformazione all'adorabile persona del Signore Gesù e di una
sempre più totale condivisione dell'esperienza di tante coppie e famiglie, che percorrono
lo stesso cammino.
Penso alla solitudine di Gesù, incompreso perfino dai suoi familiari, parenti ed amici; a
Gesù rifiutato dai suoi conpaesani di Nazareth; osteggiato dalle autorità religiose e
civili del tempo; tradito e abbandonato dai Suoi - che si era scelto nello Spirito Santo -
fino al grido di dolore: "Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato"?
Penso alla vicenda di tanti santi e sante, passati per la "notte dello Spirito"
e incompresi e perseguitati perfino all'interno delle loro comunità e della stessa
Chiesa; ricordo l'angoscia di tanti preti che ho conosciuto, definiti "scomodi"
e messi al margine, ma splendenti di fedeltà al Vangelo e di "franchezza
apostolica"!
Penso alla fatica di far crescere la comunità non attorno a "criteri umani" ma
nella sequela di Cristo e dei valori che Egli ha vissuto e testimoniato. E non mi
scoraggia esser definito un "illuso", fuori del tempo, contrario al buon
senso.... Mi preoccupa invece il fatto di essere un servo credibile e fedele del Vangelo,
e nello stesso tempo capace di pazienza, di rispetto dei tempi altrui, delle diversità e
delle fatiche delle persone...
La solitudine della famiglia
Proprio quello che sperimentano le coppie e le famiglie, nei rapporti
interpersonali ove spesso c'è la fatica della comunicazione, la difficoltà dell'ascolto,
talvolta la presunta difficoltà di conciliare le diversità che ci caratterizzano.
A volte anche il servizio ministeriale dei coniugi all'interno della comunità non è
sufficientemente riconosciuto, accolto, sostenuto, incrementato: quante coppie si sentono
"usate" per una sorta di "manovalanza pastorale pratica", senza che
sia dato spazio sufficiente al DONO specifico che lo Spirito ha posto in loro per la
crescita dell'intero Corpo di Cristo!
E non di rado succede che, nel momento della prova, quando il dolore picchia forte alla
porta di casa, si sia tentati di dire: "Ma che cosa abbiamo fatto di male per
meritarci tutto questo? Dov'è il Signore, al quale ci eravamo affidati? Dove stanno gli
amici, che erano sempre con noi e che ora sembrano dileguati come neve al sole?".
L'è dura!... Eppure questi sono momenti di crescita, di purificazione della nostra fede.
Forse in questi eventi, abbiamo giudicato secondo la mentalità di questo
mondo... ci siamo lasciai prendere dalla paura, come gli Apostoli sul lago di
Tiberiade. Ed a noi, come a loro, Gesù ripete: "Perché avete paura? Non avete
ancora fede? Coraggio, Sono IO, non temete!".
E allora si riparte: Sulla sua parola gettiamo le reti! E il risultato non si farà
attendere!
*parroco a Sacile (TV)
Un lavoro di don Roberto per il sito dei GF: http://digilander.libero.it/formazionefamiglia/Sussidi/parrocchia1.PDF
12-IL VALORE DELLA CROCE
Guardando alle crisi nelle coppie e nelle famiglie, anche noi sacerdoti
dobbiamo imparare la necessità della sofferenza, della crisi...
Per me ha un valore simbolico il fatto che il Signore porti per l'eternità le stimmate.
Espressione dell'atrocità della sofferenza e della morte, esse sono adesso sigilli della
vittoria di Cristo, di tutta la bellezza della sua vittoria e del suo amore per noi.
Dobbiamo accettare, sia da sacerdoti sia da sposati, la necessità di sopportare la crisi
dell'alterità, dell'altro, la crisi in cui sembra che non si possa più stare insieme.
Gli sposi devono imparare insieme ad andare avanti, anche per amore dei bambini, e così
conoscersi di nuovo, amarsi di nuovo, in un amore molto più profondo, molto più vero...
Mi sembra, che noi sacerdoti possiamo anche imparare dagli sposi, proprio dalle loro
sofferenze e dai loro sacrifici. Spesso pensiamo che solo il celibato sia un sacrificio.
Ma, conoscendo i sacrifici delle persone sposate - pensiamo ai loro bambini, ai problemi
che nascono, alle paure, alle sofferenze, alle malattie, alla ribellione, e anche ai
problemi dei primi anni, quando le notti trascorrono quasi sempre insonni a causa dei
pianti dei piccoli figli - dobbiamo imparare da loro, dai loro sacrifici, il nostro
sacrificio.
E, insieme, imparare che è bello maturare nei sacrifici e così lavorare per la salvezza
degli altri.
Il Concilio afferma che il matrimonio è un Sacramento per la salvezza degli altri: lo
sposo, la sposa, ma anche dei bambini, dei figli, e infine di tutta la comunità. E,
così, anche il sacerdote matura nell'incontrarsi.
Penso allora che dobbiamo coinvolgere le famiglie. Le feste della famiglia mi sembrano
molto importanti perché in esse appare la bellezza delle famiglie...
Il matrimonio cristiano nasce nelle nozze divine tra Cristo e la sua Chiesa. È, come dice
san Paolo, la concretizzazione sacramentale di quanto succede in questo grande Mistero.
Così dobbiamo sempre di nuovo imparare questo legame tra Croce e Risurrezione...
Preghiamo il Signore perché ci aiuti ad annunciare e vivere bene questo Mistero, ad
imparare dagli sposi come lo vivono loro, ad aiutarci a vivere la Croce, così da giungere
anche ai momenti della gioia e della Risurrezione.
Benedetto XVI. Tratto da: La Sacra Famiglia, Roma, anno XIX, n.5
settembre-ottobre 2006, p. 4-5
http://www.uspi.it/Trova_periodici/Religione_%96_teologia_%96_periodici_parrocchiali.html
13-UN FIORETTO DI DON MAZZOLARI
Essere schietti e, nello stesso tempo, obbedienti
Durante l'anno scolastico 1948/49 gli studenti di teologia di un Seminario ligure
ebbero modo, per una serie di fortuite occasioni, di mettersi in contatto con i loro
colleghi di altri Seminari, non solo d'Italia, ma anche della vicina Francia e della
Svizzera. La fruttuosità di questi contatti portò alla decisione di incontrarsi a fine
anno scolastico.
Qualcuno fece il nome di Don Mazzolari come animatore dell'incontro. I Superiori furono
d'accordo.
Quando l'anno finì si ritrovarono nel Seminario ligure varie decine di giovani che
avevano in comune un impegno con Cristo. Vennero anche alcuni Superiori di Seminario e
qualche Vescovo. Furono giornate esaltanti.
Ma soprattutto furono incontri appassionati con Don Mazzolari. Gli avevano preparato una
cattedra su di un'alta pedana. Lui già grande, appariva gigantesco. In prima fila fra lui
e i ragazzi, c'erano i Superiori e i Vescovi.
Il fatto che vi voglio narrare accadde l'ultimo giorno.
Nell'intervento di chiusura Don Mazzolari più o meno sviluppò questi pensieri. - Tra
qualche anno uscirete dai Seminari. - Fuori vi aspetta la vita. - Qui vi hanno insegnato
l'alfabeto. - Fuori dovrete imparare una lingua nuova. Sarà dura per voi e per gli altri.
Qui vi hanno riempito la testa di carta. - Carta dotta, carta santa. - Di più non
potevano darvi. - Fuori saranno sangue e lacrime, vostre, ma soprattutto degli altri.
Un uragano di applausi coronò le sue parole. Nessuno aveva parlato a quei ragazzi con
tanta lealtà dell'oggi e del domani. Dalla prima fila si alzò una mano ornata da un
anello a chiedere silenzio.
Ottenutolo un Vescovo disse che stessero tranquilli: quando fossero usciti dal Seminario,
avrebbero saputo tutto quello che c'era da sapere per essere buoni preti. Terminò dicendo
che l'oratore era un poeta un po' pessimista.
Don Mazzolari aveva ascoltato in piedi sulla pedana, a testa bassa.
Quando il Vescovo terminò, qualche ragazzo iniziò a scalpicciare. Don Mazzolari alzò di
scatto la testa e con gli occhi impose il silenzio. Poi scese dalla pedana, si
inginocchiò davanti al Vescovo e baciò l'anello. Quindi si alzò e si avviò all'uscita.
Fu un attimo. I ragazzi con un grido gli si strinsero attorno. Braccia, mani lo
avvilupparono in un abbraccio convulso. C'era chi piangeva. Anche lui aveva gli occhi
lucidi.
Qualcuno di quei ragazzi diventato uomo, in momenti difficili della sua vita di prete, è
riuscito a stare in piedi ricordandosi quel gigante in ginocchio.
Sac. Alberto Cavarero
Sintesi da: San Vincenzo - Piemonte e Valle d'Aosta-, febbraio 1985, p.1
Il sito della Società di San Vincenzo De Paoli: http://torino.sanvincenzoitalia.it/
14-I CONSIGLI EVANGELICI:
le misure del nostro amore
Di Nicoletta e Davide Oreglia*
Viviamo in un periodo che tende a misurare, a dare voti a tante manifestazioni dell'amore
umano. Ci siamo chiesti se questo può valere anche per la coppia di sposi.
E ci siamo risposti che c'è una sorta di sistema metrico dell'amore che permette di
misurare l'altezza, la profondità e la larghezza della nostra camera nuziale
sono i
Consigli Evangelici di povertà, castità e obbedienza.
Certo sono temi che con i tempi attuali risultano un po' stridenti. È come se a questi
vocaboli e al loro significato più profondo qualcuno avesse fatto una brutta propaganda.
Eppure non ci può essere abbraccio avvolgente e intimo che non sia in primis casto, non
ci può essere gestione serena e generosa dei nostri beni che non sia anche povera e non
esiste relazione nuziale che non viva nella più intima obbedienza al Sacramento delle
Nozze.
La castità
Per amarsi nella verità dei corpi occorre essere casti. Cioè per ritrovarsi
uniti nell'incontro intimo è necessario che tutti e due abbiamo ben chiaro nel cuore che
c'è in palio per noi non solo un momento di piacere, ma che nell'amplesso ci viene donato
un mattoncino per costruire la nostra comunione profonda.
Intanto è fondamentale che i coniugi si ricordino che la gioia dell'unione fra gli sposi
è un dono che Dio ha fatto alla coppia. Sì, è proprio un regalo, che permette ai due di
vivere nella loro quotidianità momenti di intima unione e di creare una complicità
capace di uscire dalla camera da letto per inondare tutta la loro casa.
Non stiamo pensando alla "sessualità da manuale" quella che riesce sempre bene
e non porta mai con sé dubbi o sofferenze. Noi parliamo della carnalità di ogni coppia
che ha nel suo cammino di conoscenza erotica una scuola di dialogo intenso e profondo,
vera e autenticamente incarnata nel vissuto di entrambi.
In quanto dialogo, l'incontro intimo contiene tutti i termini di una nuova lingua che va
imparata continuamente. Perché il nostro sposo, la nostra sposa sono in continuo
cambiamento. E hanno il grande desiderio di dirci tutto questo, se sappiamo creare spazi
perché ciò accada.
Frequente è il disorientamento delle coppie quando si rendono conto che l'erotismo è una
realtà cangiante e complessa, che non ha nulla a che vedere con le nozioni di
sexi-soft-pornografia che un po' tutti abbiamo imparato dalla cultura
"voyeurista" e volgarmente ammiccante in cui viviamo.
La grandezza dell'amplesso non è dato da parametri esterni ai due, ma proprio
dall'intimità della comunione che riesce a creare. E pazienza se non è sempre tutto
facile, pazienza se non tutto fila sempre liscio.
A volte ci sono abbracci scambiati dopo un amplesso deludente che avvicinano i cuori più
di un orgasmo comune. Ma dobbiamo avere il coraggio di fare l'amore castamente, cioè di
mettere al centro la nostra relazione, facendo attenzione ai desideri di entrambi.
Abbracciare e baciare godendo di ciò e non prendendo per sé e basta. Ascoltare il corpo
nostro e del coniuge, magari facendo il primo passo per andargli incontro. Mettere nelle
sue mani i desideri e i sogni che abbiamo.
Tutto questo lascia ai due la possibilità attingere dall'amplesso il gusto di cui abbiamo
bisogno in quel momento: la gioia dell'incontro, il desiderio di un figlio, la vicinanza
in un momento difficile e molto altro ancora.
La povertà
A volte abbiamo l'idea che il cammino di santità cristiano consista
nell'imparare a privarsi di molte cose senza sentirne troppo il peso. Non è così, è
piuttosto godere della Pienezza e lasciare che questa ci riempia e ci orienti.
Povertà è un termine che sentiamo di frequente in questo periodo. La crisi economica che
ci avvolge ha messo molte famiglie in una situazione economica instabile, con un futuro
molto più incerto di qualche anno fa. Ma era proprio così? Avevamo davvero così tante
certezze da rendere il nostro vivere più sereno? Non lo sappiamo e non vogliamo entrare
in questo ambito.
Ci piace però mettere al centro di questo tema non solo i soldi, i pochi o i tanti che
possediamo, ma piuttosto chi ha il potere su di essi.
Noi controlliamo i nostri soldi o loro controllano noi?
Non sono poveri coloro che hanno pochi soldi, ce lo conferma il contatto con chi se la
passa peggio di noi: raramente sono persone che vivono bene il loro rapporto con le cose.
Il Signore non ci vuole "straccioni"! La miseria abbruttisce, rende la vita
pesante!
Eppure Gesù ci invita ad essere poveri. Cosa ci vuol dire?
Abbiamo soldi e cose, alcune di queste necessarie per noi e per la nostra famiglia, ma
abbiamo anche beni superflui. Dire se sono tanti o pochi non ci è di aiuto, è certo che
quello che abbiamo in più lo possiamo usare per toglierci uno sfizio o per dare a un
nostro fratello bisognoso un aiuto indispensabile per la sua vita
è una scelta che
dobbiamo tenere a mente.
Bene è anche ricordarci che Gesù ha speso parole molto chiare in merito a questo, siamo
chiamati a farci carico di coloro che vivono situazioni di povertà. Senza mai smettere di
ricordarci che l'avidità risiede in tutti i cuori e donare qualcosa di nostro è il solo
modo per ridimensionarla. Anche si tratta di un cammino in salita, in cui si trovano molti
ostacoli davanti!
I nostri beni non sono solo nostri.
Anche se ci sono costati sudore e fatica dobbiamo riconoscere che abbiamo sempre molti
grazie da dire.
Il fatto che ci siano persone meno intraprendenti e volenterose di noi dal punto di vista
economico-gestionale non ci deve far dimenticare la Carità.
Nel nostro bilancio dovrebbe esserci sempre la questa voce per poter essere, con un nostro
gesto, Provvidenza viva per un fratello nel bisogno.
L'obbedienza
Castità e povertà sono possibili solo se siamo liberi? Forti? No, è possibile
solo se siamo nell'obbedienza profonda alla voce del Signore.
In questo anno sacerdotale la figura del Santo Curato di Ars ci da l'occasione di
conoscere la figura di un uomo che viveva costantemente a contatto con Dio, con se stesso
e con i parrocchiani. Egli non sapeva quanto avrebbe giovato alla sua comunità, anzi
aveva sempre davanti a sé i propri limiti.
Il suo sentirsi inadeguato è anche molto presente nel nostro vivere di sposi e genitori.
Non sappiamo tutto e soprattutto oggi non sappiamo se saremo all'altezza di tutti i
compiti che ci sono chiesti, ma a noi è chiesto di essere fedeli alla nostra vocazione,
di non fuggire e di non lasciare ad altri ciò che il Signore chiede a noi.
Restare fermi sostenuti da Lui, con le preoccupazioni vive, ma con la certezza che il
Signore non ci lascerà mai da soli. Dobbiamo essere appassionati della nostra famiglia,
del nostro ruolo di genitori e di sposi.
Ubbidire alla nostra chiamata, è questa l'obbedienza che ci viene chiesta.
Povertà, castità, obbedienza sono consigli evangelici, ci portano cioè sempre di più
sulle orme di Gesù Cristo, ma per viverli occorre chiederli.
Dobbiamo chiedere al Signore ogni giorno luce per la nostra castità, per il rapporto con
i beni, per obbedire alla verità della nostra vocazione. E metterci in ascolto della Sua
Parola che magari giunge a noi anche dalla lettura di una bella e piccola rivista come
questa. Chi lo sa?
* corresponsabili dell'Ufficio Famiglia di Mondovì (CN)
Per le attività dell'Ufficio vedi: http://www.diocesi.mondovi.cn.it/index.php?id=188&id2=92#188
15-Lesempio di san Giovanni Maria Vianney
Il Curato d'Ars seppe vivere i "consigli evangelici" nelle modalità adatte
alla sua condizione di presbitero.
La sua povertà, infatti, non fu quella di un religioso o di un monaco, ma quella
richiesta ad un prete: pur maneggiando molto denaro (dato che i pellegrini più facoltosi
non mancavano di interessarsi alle sue opere di carità), egli sapeva che tutto era donato
alla sua chiesa, ai suoi poveri, ai suoi orfanelli, alle ragazze della sua
"Providence", alle sue famiglie più disagiate. Perciò egli "era ricco per
dare agli altri ed era molto povero per se stesso". Spiegava: "Il mio segreto è
semplice: dare tutto e non conservare niente". Quando si trovava con le mani vuote,
ai poveri che si rivolgevano a lui diceva contento: "Oggi sono povero come voi, sono
uno dei vostri". Così, alla fine della vita, poté affermare con assoluta serenità:
"Non ho più niente. Il buon Dio ora può chiamarmi quando vuole!".
Anche la sua castità era quella richiesta a un prete per il suo ministero. Si può dire
che era la castità conveniente a chi deve toccare abitualmente l'Eucaristia e
abitualmente la guarda con tutto il trasporto del cuore e con lo stesso trasporto la dona
ai suoi fedeli. Dicevano di lui che "la castità brillava nel suo sguardo", e i
fedeli se ne accorgevano quando egli si volgeva a guardare il tabernacolo con gli occhi di
un innamorato.
Anche l'obbedienza di san Giovanni Maria Vianney fu tutta incarnata nella sofferta
adesione alle quotidiane esigenze del suo ministero. È noto quanto egli fosse tormentato
dal pensiero della propria inadeguatezza al ministero parrocchiale e dal desiderio di
fuggire "a piangere la sua povera vita, in solitudine". Solo l'obbedienza e la
passione per le anime riuscivano a convincerlo a restare al suo posto. A se stesso e ai
suoi fedeli spiegava: "Non ci sono due maniere buone di servire Dio. Ce n'è una
sola: servirlo come lui vuole essere servito". La regola d'oro per una vita
obbediente gli sembrava questa: "Fare solo ciò che può essere offerto al buon
Dio".
Benedetto XVI, Dalla lettera di indizione dellanno sacerdotale
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/letters/2009/documents/hf_ben-xvi_let_20090616_anno-sacerdotale_it.html
16-Il lamento di Elia e il disegno di Dio (1Re 17-19)
SIAMO SOLO SERVI INUTILI
di Franco Rosada
Elia, secondo la Tradizione, è il più grande profeta dell'AT: nell'episodio della
Trasfigurazione, riportato dai Vangeli sinottici, lo ritroviamo con Mosè al fianco di
Gesù.
Siamo circa un secolo e mezzo dopo Davide, la Palestina ormai da un secolo è divisa in
due regni: Israele, a Nord, e Giuda, a Sud. In Israele regna Acab che ha sposato Gezabele,
la quale ha introdotto nel regno il culto di Baal.
Questo provoca l'ira di Dio che manda Elia ad annunciare ad Acab la carestia (1Re 17,1).
Ma il profeta ci aggiunge qualcosa di suo: fino a "quando lo dirò io". IO,
questa benedetta parola che impariamo a dire subito dopo MAMMA!
Lesperienza di Zarepta
Alla presunzione del profeta risponde subito Dio: "Vattene di qui".
JHWH spegne le velleità del profeta: Baal non va combattuto con le sue stesse armi ma in
modo diverso. Questa diversità può essere manifestata solo attraverso la diversità
dell'azione profetica.
Così Elia è inviato da Dio a Zarepta per abitare presso una povera vedova. ll profeta
viene affidato alle cure di una donna, vedova con un bambino, intenta a preparare il suo
ultimo pasto prima di morire!
Elia è chiamato a passare dai suoi disegni di potenza - JHWH contro Baal - al servizio
dei più piccoli e deboli. In questo contesto si inserisce la moltiplicazione dell'olio e
della farina della vedova e, soprattutto, la rianimazione del figlioletto morto. Qui
finalmente Elia si dimostra servitore del Dio della vita ottenendo la conversione della
vedova: "Ora so che sei uomo di Dio!" (17,24).
La sfida del Carmelo
Dopo due anni il profeta viene rinviato da Acab per annunciare la fine della
carestia. E, di nuovo, Elia fa di testa sua. Incontra il re e, invece di dargli la buona
notizia, gli propone una sfida sul monte Carmelo. Si tratta di una specie di giudizio di
Dio: andranno preparati due giovenchi da offrire in sacrificio, uno a Baal e l'altro a
JHWH, con la clausola che sarà riconosciuto vero Dio quello dei due che manderà dal
cielo il fuoco sulla vittima. Elia è solo contro 450 profeti di Baal. La posta in gioco
è la conquista del popolo di Israele.
Quanto è lontana Zarepta! Quanto il cuore del profeta è appesantito da una logica di
dominio! Eppure, alla fine vince, il popolo passa dalla parte del profeta e del suo Dio -
sono i più forti!, prende i profeti di Baal perché Elia li possa scannare tutti. Ma JHWH
non aveva ordinato al suo servo di annunciare la fine della siccità? Quando mai aveva
parlato di sfida e dello sterminio dei nemici?
Elia si gode il successo, diventa affabile con Acab, gli annuncia la pioggia, corre
davanti al suo carro
si sente trionfatore! Tutto questo dura pochissimo: appena la
regina Gezabele apprende di quanto avvenuto al Carmelo minaccia di morte Elia e questi
deve fuggire nel deserto.
La teofania delOreb
A questo punto il profeta ha perso ogni illusione e superbia: "non sono
migliore dei miei padri"! È soltanto un uomo spogliato di tutte le sicurezze del
potere ed ora è in grado di accogliere la verità di Dio. Dopo quaranta giorni di cammino
nel deserto, sostenuto da Dio - come Israele al tempo dell'esodo - con un pane e un'acqua
miracolosi, giunge al monte di Dio, l'Oreb.
Qui Dio si manifesta al suo servo, non nella forza, non nella potenza, ma nella "voce
di un sottile silenzio". È un Dio diverso, che non ha niente in comune con il Baal
del fuoco sul monte Carmelo.
Se Dio è diverso, anche tutto il resto deve essere diverso. Il profetismo di Elia e il
concetto di popolo devono essere diversi.
Viene eliminata l'ambiguità di Elia: il suo posto è in mezzo agli uomini e qui dovrà
fare ciò che chiede il Signore e non utilizzarLo per le sue ambizioni di potere.
Un nuovo popolo
Viene eliminata l'ambiguità che riguarda il popolo di Dio; per Elia Israele non
esisteva più: "Sono rimasto solo". Il popolo sta dalla parte del più forte e
il profeta ora è debole, ha perso ogni potere. Ma se Dio è diverso, è anche diverso il
suo modo di radunare i suoi. Il popolo di Dio non è una massa compatta, ordinata e
potente, che ubbidisce al re e al profeta, ma è un "resto", nascosto, anonimo,
che lotta nella debolezza contro un potere fondato su Baal.Questo "resto" non va
inteso come un residuo, una realtà in via di estinzione, ma un nucleo
"germinale", un virgulto.
In questa quaresima, come Elia, siamo tutti chiamati a rifare il cammino dellesodo
per stare, in famiglia, nella comunità ecclesiale, nella società, con spirito di
servizio e non di dominio.
Questo articolo è debitore a: Varone F., Se pensi che Dio ami la sofferenza, EDB
Bologna, 1995, p.29-43; Sacchi A., I libri storici, Paoline Milano, 2000,
p.336-339.
Per il libro di Varone vedi: http://www.dehoniane.it/edb/cat_dettaglio.php?ISBN=40929
Per il libro di Sacchi vedi: http://www.paoline.it/SchedaProdottoEC.aspx?IdP=9788831533324
17-Scontri, sinergie e collaborazioni tra i due
ministeri
FAMIGLIE E SACERDOTE
i Nicoletta e Corrado Demarchi*
La presenza attiva dei laici e delle famiglie all'interno della Chiesa si è sviluppata e
concretizzata soprattutto negli ultimi anni.
È solo dopo il Concilio Vaticano II che si sono elaborati documenti in cui la famiglia
viene riconosciuta come "chiesa domestica", perché in essa convivono le tre
dimensioni fondamentali della Chiesa stessa: l'annuncio, la celebrazione e la
testimonianza.
Sempre più famiglie hanno così raggiunto la consapevolezza di essere loro stesse Chiesa
e dunque, si sono aperte alle responsabilità che ne derivano: il matrimonio viene
vissuto, allora, come vocazione all'amore, all'interno delle comunità ecclesiali.
Da qui sono nate e cresciute esperienze e realtà in cui i sacerdoti, con le famiglie,
hanno concretamente camminato insieme come le prime comunità che ascoltavano con
assiduità l'insegnamento degli apostoli, vivevano insieme fraternamente, partecipavano
alla Cena del Signore e pregavano insieme" (At 2,42).
Infatti le famiglie ed i sacerdoti hanno estremamente bisogno gli uni degli altri.
Entrambi i Sacramenti sono per la costruzione della comunità cristiana e sono
complementari, perché, insieme, contribuiscono alla realizzazione di una autentica
esperienza di Chiesa. Cosa ne sarebbe della Chiesa senza i Sacerdoti che alimentano la
fede del popolo di Dio e ne curano la loro vita spirituale? E senza il dono dei figli e la
testimonianza e l'amore dei coniugi?
Il sacerdote è il primo testimone dell'amore di Gesù: aiuta i peccatori a convertirsi,
sostiene gli sfiduciati incoraggiandoli, perdona i peccati, porta la pace dove c'è odio e
vendetta. La famiglia invece accoglie la vita, dona l'esempio educando all'amore della
giustizia e della carità, scopre i talenti di ogni membro, imparando ad apprezzarli ed a
condividerli e comprende pienamente il dono della sessualità, vivendolo. Inoltre ha il
compito ecclesiale di essere missionaria nella Chiesa, perché è nella famiglia che
cresce e si sviluppa la fede e pertanto anche le vocazioni sacerdotali e religiose.
Questa essenziale collaborazione ha però bisogno di pazienza, di perseveranza e di
premura. La carità deve sempre avere la meglio sul giudizio affinché non ci si fermi
solo di fronte all'apparenza, ma si guardi più profondamente l'altro, con gli occhi del
cuore.
Coltivare nuove relazioni
È necessario trovare nuovi equilibri nelle relazioni tra preti e sposi perché,
senza nascondercelo, sono nate in passato incomprensioni e scontri. I due Sacramenti erano
vissuti come dimensioni troppo distanti tra loro. Quello familiare è uno stile dove la
relazione e l'accoglienza sono alla base ed ognuno viene amato per quello che è.
Quello sacerdotale è invece uno stile di raccoglimento più interiore e di maggiore
solitudine.
I laici devono, quindi, imparare ora a rivolgersi ai presbiteri con più rispetto e meno
superficialità, cogliendo la testimonianza che quotidianamente prestano nella comunità e
tenendo sempre ben presente che, al di là del carattere personale, lì c'è sempre lo
Spirito Santo in azione.
I sacerdoti debbono, d'altro canto, coinvolgere sempre più i laici, responsabilizzandoli
nella loro vocazione, che scaturisce dal Battesimo, impegnarsi a frequentare di più le
famiglie, farsi vicini ai problemi reali della quotidianità, spendere del tempo insieme a
loro, perché questo confronto tra adulti è sano, positivo ed arricchente per loro stessi
e per l'intera comunità.
Diventa perciò urgente adoperarsi al massimo per realizzare la comunione, perché è solo
l'amore che tiene perfettamente uniti.
Quando si riesce ad abbattere la porta che li divide, i frutti della collaborazione sono
immensi: gli sposi comunicano la bellezza del loro matrimonio e la gioia dell'amore e
della speranza e i sacerdoti aiutano le coppie a coltivare la bellezza della preghiera e
della spiritualità.
Anzi, è proprio questo aspetto della preghiera che li deve unire sempre più, aiutandoli
a crescere nell'amore e nel rispetto reciproco.
Non dobbiamo poi dimenticarci che, nel modo in cui ci poniamo, diamo l'immagine della
Chiesa di Cristo ed ognuno di noi ha quindi all'interno di essa una grande
responsabilità. La Chiesa odierna ha quanto mai bisogno di testimoni credibili. È
compito di tutti dare il buon esempio attraverso il perdono, la carità fraterna,
l'umiltà, la gioia e l'entusiasmo, ricordandoci però che siamo uomini, con i nostri
difetti, le nostre fragilità e le nostre manchevolezze; senza scoraggiarci di fronte alle
difficoltà ed alle incomprensioni, ma affidarci ed abbandonarci a Dio, nella fede.
Un grazie di cuore
Nella nostra esperienza di famiglia e di coppia ringraziamo i sacerdoti che con
il loro esempio, la loro testimonianza e la loro preghiera, ci hanno aiutato a superare
momenti personali di difficoltà e smarrimento, portandoci nel cuore e, a volte, nel
breviario, e ci hanno fatto maturare nel nostro cammino di fede attraverso incoraggiamenti
ed ammonimenti.
Nella nostra esperienza pastorale abbiamo conosciuto sacerdoti e Vescovi veramente
"innamorati" delle famiglie. Preti disponibili nell'ascoltare i problemi,
pazienti e comprensivi, premurosi, attenti e preoccupati per la crescita spirituale degli
sposi.
Nell'esperienza, poi, dei Gruppi Famiglia abbiamo incontrato presbiteri che avevano una
vera e propria vocazione (per le famiglie) nella vocazione (sacerdotale). La loro presenza
durante la preghiera e la Lectio divina, con interventi mirati ed illuminati, da padri e
fratelli nella fede e, soprattutto, la dedizione durante i campi estivi dove la
condivisione ed il confronto sono totali e continuati, favoriti dal maggior tempo a
disposizione, ci ha incoraggiato e rincuorato nel guardare al futuro con maggiore
ottimismo.
A tutti loro va la nostra riconoscenza ed il nostro grazie per il bene che hanno fatto e
che continuano a fare, per la loro testimonianza che è l'esempio più vero di una Chiesa
ad immagine di Cristo.
Siamo sicuri che queste positive esperienze e collaborazioni, autentici segni di speranza
per la Chiesa e la società, sono e saranno contagiose per altre famiglie ed altri
confratelli, aiutandoli a non perdere la fiducia di fronte ai primi ostacoli.
Con occhi nuovi auguriamo, quindi, a tutte le famiglie di trovare sacerdoti santi che
siano per loro il "buon pastore" che porta Dio e che porta a Dio ed ai sacerdoti
di trovare famiglie sante consapevoli della loro vocazione e missione, che sappiano
testimoniare l'amore del Vangelo.
* coppia responsabile del Collegamento tra GF
Per contattarli: http://www.gruppifamiglia.it/contatti.htm
18-AVERE UN FIGLIO PRETE
Un bambino vivace con una vocazione precoce
Pochi giorni prima che nascesse mio figlio Mario, andai a confessarmi.
Il sacerdote, che mi conosceva, mi disse: Oggi lei porta la comunione a suo figlio.
Chissà! In un domani lui gliela porterà a lei. Sul momento non ci pensai ma oggi
devo confessare che quelle parole furono profetiche.
Siamo una famiglia che ha sempre frequentato la Chiesa, ma non pensavamo proprio che
nostro figlio, vivace e birbante comera, coltivasse la vocazione al sacerdozio.
Mario a otto anni fece la Prima Comunione. Nonostante il parere di molti, lavevo
vestito con il saio, anche se non si usava ancora.
Alla festa, dopo la cerimonia, avevo invitato, tra gli altri, anche una bambina sua
coetanea e compagna di classe.
Mentre giocavano nel corridoio, questa ragazzina si fermò e gli disse: Mario, sei
proprio bello! Ti voglio sposare. E lui, di rimando: Ma cosa dici! Sei matta?
Io da grande farò il sacerdote!.
Non ci facemmo caso ma, in prima media, ci chiese per Natale un regalo
speciale.
Mio marito ed io non sapevamo cosa aspettarci da quel birichino ma lui venne fuori
dicendo: Regalatemi una settimana di esercizi spirituali!.
Andò a farli presso il seminario minore dellOrdine religioso che già frequentava
in città.
Quando andammo a prenderlo non voleva più venire via. Neanche il Superiore della casa
riusciva a convincerlo. Alla fine ci accordammo: avrebbe finito la prima media in città e
poi avrebbe continuato lì. In quel momento avemmo la conferma che la vocazione di nostro
figlio era quella sacerdotale.
Così egli proseguì gli studi presso quellOrdine e divenne sacerdote. E,
felicemente, lo è ancora. E anche noi siamo stati, e siamo, felici della sua scelta
una mamma
19-LA CHIESA HA BISOGNO DEGLI SPOSI
Per una comunità parrocchiale che valorizzi la nuzialità, cioè la fraternità e la
comunione
di Battista Borsato*
Il Vaticano II, riprendendo un'intuizione dei Padri, definisce il matrimonio "piccola
Chiesa, Chiesa domestica" (LG 11). Questa intuizione si rifà alla Bibbia, dove il
rapporto uomo donna è l'immagine di Dio: "Maschio e femmina li creò, a sua immagine
lo creò" (Gen 1). Dio crea la coppia come essere comunitario, cioè ecclesiale.
LAlleanza nuziale
Se la storia dell'Antico Testamento incomincia con l'amore coniugale, la storia
del Nuovo si apre con il racconto delle nozze di Cana (Gv 2, 1): la coincidenza non è
certo casuale.
Del resto, ogni volta che la Bibbia parla della natura dei rapporti tra Dio e l'umanità,
lo fa in termini nuziali; l'alleanza è di natura nettamente nuziale. Questo vuol dire che
tra coppia e Chiesa vi è un intrinseco legame e sono così associate che l'una si esprime
attraverso i simboli dell'altra.
Per una Chiesa comunità
Se la coppia è all'origine di ogni vita comunitaria, anche la Chiesa dovrà
guardare alla coppia per imparare come essere Chiesa, comunità.
Se la Chiesa pensa di diventare comunità imparando solo le regole dello stare insieme, le
regole dell'associazionismo, le regole dell'organizzazione, non saprà mai cosa vuol dire
essere comunità.
Dovrà osservare, invece, come cresce una comunità sponsale e familiare e imparerà ad
essere comunità.
La Chiesa, dunque, è Chiesa se è segno dì comunione. Quali cambiamenti dovranno
avvenire perché essa diventi questo "segno"?
Tutti notiamo dei rischi presenti nella vita della Chiesa, rischi che si ritrovano pure
anche in altre istituzioni. C'è il rischio dell'organizzazione, cioè la tendenza a fare
"cose" per gli altri, ma non con gli altri. Di conseguenza i rapporti non
possono che essere funzionali ai compiti da svolgere e non personali.
C'è il rischio della prevalenza dei ruoli: l'autorità, di cui il prete è l'espressione
più visibile e quotidiana, è vista e vissuta più come ruolo che come un fatto
personale.
C'è in essa ancora il rischio di guardare al nuovo con paura. Il "nuovo"
scompiglia gli schemi e l'organizzazione. Eppure se la Chiesa non sa vivere nel
cambiamento, non cresce verso il "non ancora", verso il Regno.
La famiglia luogo profetico
Una coppia, una famiglia, dove si vive il sacramento del matrimonio, è un luogo
"profetico", perché si dà il primato alle persone sui ruoli.
I genitori, per capirci, prima di essere genitori sono sposi, i figli prima di essere
figli sono persone.
La logica dei ruoli, invece, è funzionale. Bisogna sbloccare questa logica che nasconde
le persone. E questo può avvenire a partire da dentro il matrimonio.
Nel matrimonio e nella famiglia si vive l'apertura al futuro. L'amore che i due coniugi
vivono è un amore che tende sempre verso il "non ancora" che "si fa strada
facendo".
Il matrimonio riveste la categoria del futuro e quindi della speranza.
La Chiesa nasce dal ricordo, per cui il far memoria di Cristo è importante, essenziale;
ma la Chiesa è anche presenza viva mediante lo Spirito e questa presenza sarà completa
alla fine, nel futuro. Quindi il tempo più vero della fede, della Chiesa è il futuro.
Per una fede incarnata
Da sottolineare, inoltre, che dentro la comunità cristiana è alto il rischio di
una fede disincarnata che passa sopra l'uomo.
Le coppie riducono realmente questo rischio perché hanno una vita molto concreta e vivono
nel quotidiano.
La coppia provoca la comunità a camminare dentro i problemi degli uomini e ad assumere la
concretezza della vita.
Riscoprendo così il matrimonio la comunità parrocchiale saprà valorizzare non tanto
l'autorità, ma la nuzialità, cioè la fraternità, la comunione; non privilegerà il
passato, ma il futuro e proclamerà una fede non evasiva, ma inserita quale
"lievito" dentro ai problemi e prospettive dell'uomo.
Il prete è chiamato, quindi, a guardare con simpatia alla vita della coppia per
lasciarvisi investire e dare così ai suo ministero densità di concretezza e di umanità.
Se manca il ministero presbiterale, la comunità non vive, ma neppure se è assente il
ministero coniugale.
* direttore dell'Ufficio di pastorale familiare della diocesi di Vicenza. Sintesi non
rivista dall'autore.
Per le attività dell'Ufficio vedi: http://www.webdiocesi.chiesacattolica.it/cci_new/s2magazine/index1.jsp?idPagina=7423
20-IL SACERDOTE E I GRUPPI DI SPOSI
In molte parrocchie i gruppi sposi sono una realtà promettente, comunque sempre da
incoraggiare e da rafforzare.
Qui gli sposi riscoprono la loro vocazione, tengono vivo il loro amore, fanno esperienza
di Chiesa e si rapportano ai problemi del territorio.
Come tutte le realtà pastorali essi hanno bisogno della convinzione e della passione del
presbitero, che non deve trasformarsi, però, se non momentaneamente, in guida del gruppo.
Egli solleciterà, invece, la crescita della soggettività del gruppo in modo che esso
progressivamente si dia un progetto e una metodologia.
Però, quando il prete è libero, è consigliabile che egli partecipi à qualche incontro
del gruppo sposi (ritmando la sua presenza in base al numero dei gruppi), non sentendosi
però il maestro che da risposte (spesso sono i gruppi stessi che richiedono questa
modalità di presenza), ma come il "compagno" che tenta di conoscere la
vocazione al matrimonio per assumere una mentalità sponsale nel modo di vivere i rapporti
con la comunità.
Battista Borsato
21-IL GRUPPO FAMIGLIA E IL SACERDOTE
Limportanza del sacerdote per la nascita e la crescita dei GF parrocchiali
di Paolo Albert
Nelle vita ordinaria delle parrocchie, quasi sempre il parroco è determinante per
promuovere un Gruppo Famiglia, anche se, sempre di più, è una famiglia che prende
l'iniziativa e si dichiara disponibile all'impegno.
Il parroco è importante per...
Il parroco ne è il promotore soprattutto nell'aspetto di trovare e motivare le
famiglie a farne parte.
Sovente questo obbiettivo richiede anni di impegno; una missione parrocchiale, il
catechismo, gli incontri di preparazione al matrimonio sono alcune delle tante occasioni
da cui iniziare, per proporre la formazione di un GF.
...convocare le famiglie
Non deve mancare nel parroco la convinzione che un GF non è un di più nel piano
pastorale della parrocchia, ma, come minimo, un importante investimento per il futuro.
La presenza di una coppia più preparata od una chiamata da fuori parrocchia, sono un
elemento decisivo per poter iniziare, ma il gruppo prende forma, inizia il suo cammino,
solo con il consenso attivo del parroco; le famiglie sentono come una chiamata ad essere
più comunità, ad essere in comunione con la loro Chiesa, e questa si incarna nella
figura del parroco.
La chiamata è come una autorevolezza affettuosa che il parroco esprime verso alcune
famiglie della comunità parrocchiale.
L'invito è aperto, non esclude nessuno, ma sappiamo che trova ascolto in una piccola
minoranza che, per formazione, condizioni di vita, ha maggiori possibilità di
accoglierlo. Il parroco e la coppia promotrice, che poi si assume il compito del
pilotaggio del gruppo, hanno assieme questa funzione delicata e determinante di motivare,
creare un'atmosfera di accoglienza e di promozione di un incontro.
I locali, il servizio di intrattenimento dei bimbi che la parrocchia può dare con degli
animatori sono certo importanti, ma ancora di più conta la capacità del parroco di far
sentire alle famiglie che sono le benvenute, desiderate, stimate, in un certo modo scelte.
...sostenerle nel cammino
Deve anche far sentire alla coppia/famiglia che in concreto si assume la guida
del nuovo GF che è apprezzata, stimata, che sta facendo qualcosa di importante per la
comunità parrocchiale.
Infatti, mentre è abbastanza acquisito che la parrocchia "deve" prendersi cura
dei ragazzi, non è altrettanto scontata l'attenzione alle famiglie in quanto tali.
Nonostante l'insistenza dalla CEI prevale ancora una mentalità di azione pastorale per
categorie e l'unità della famiglia come soggetto pastorale tante volte resta in secondo
piano.
...far vivere loro la parrocchia
Non è sempre facile ed automatico passare dalla promozione e formazione di un GF
al suo sviluppo come parte integrante della comunità parrocchiale. Il GF può certo avere
una sua vita anche bella e positiva, ma il parroco ha un ruolo determinante nel farlo
integrare, interagire, almeno con quella parte delle famiglie più vicine al campanile.
Il GF deve sentire che la sua esistenza ha un senso non solo di per sé, o come
potenzialità di servizio per le varie attività parrocchiali.
Il GF ha come il ruolo di rappresentare nel cuore e nella mente del parroco tutte le
famiglie; forse è una pretesa non sempre realizzabile, ma l'atteggiamento ed i discorsi
del parroco possono costruirsi in modo più vicino ad una esperienza sponsale, ad una
visione più incarnata di fede.
Il parroco può fare nel gruppo una migliore esperienza della vita, dei problemi reali
delle famiglie, vissuti nello sforzo di esser cristiani nella vita di ogni giorno.
...donar loro Cristo
Nella realtà di oggi, con parrocchie con un solo sacerdote o un sacerdote
part-time, la presenza del parroco agli incontri delle famiglie è di norma del tutto
eccezionale. Si concretizza una/due volte l'anno, in occasione di una giornata, di un
week-end, di un campo estivo, ma non per questo è di minor importanza.
Non solo è la dimostrazione che la comunità parrocchiale apprezza ed incoraggia, ma è
una reale occasione di indirizzo e di scambio.
Il sacerdote veramente, nella sua donazione di vita a Cristo ed alla Chiesa, porta nel GF
una presenza dello Spirito che parla al cuore delle famiglie. Abbiamo bisogno, ogni tanto,
di staccarci dai problemi quotidiani, dai figli, e vedere meglio le nostre vicende ad una
luce più evangelica.
Il sacerdote ha proprio questo compito, di aiutarci come un fratello maggiore a ritrovare
un senso più profondo di fede nelle vicende di vita. Non è quindi il "capo",
ma colui che rispetta l'autonomia del gruppo, non è l'organizzatore, quello che fa e
disfa.
Il sacerdote dona alle famiglie la presenza di Cristo perché questa è la sua vocazione,
scelta di vita, quello che lui vive ogni giorno nell'Eucaristia e nel contatto con la
Parola. E di ciò noi famiglie abbiamo bisogno, e di cui non possiamo fare a meno.
...farle crescere nella fraternità
Il GF ha una sua programmazione annuale, si da un programma di attività. Penso
che sarebbe molto costruttiva la presenza del parroco nel momento in cui le famiglie si
incontrano per la valutazione dell'attività dell'anno e programmare il successivo.
Le scelte pastorali, in concreto, come dar vita ad un nuovo gruppo oppure continuare con
quelli esistenti, come coordinare le attività dei GF, il loro rapporto con la parrocchia
e la diocesi, devono essere il frutto di un confronto fatto con pazienza, umiltà e tanta
fraternità tra famiglie e sacerdote. La condivisione ed il confronto sincero è ricchezza
nella diversità dei compiti e di vocazioni, è ciò che costruisce e da frutto.
palbert@silvagroup.com
Per approfondire largomento vedi: I GRUPPI FAMIGLIA. Una realtà da vivere e
scoprire.
Per leggere il sussidio: http://digilander.libero.it/formazionefamiglia/Sussidi/opuscolo
dieci.pdf
22-Essere servi della Parola
Quale spazio occupa la Parola di Dio nella nostra vita di cristiani?
Nella nota pastorale: "La Bibbia nella vita della Chiesa" (1995) i vescovi
italiani scrivevano: "I fedeli sono ancora poco stimolati ad incontrare la Bibbia, ma
spesso non c'è chi spezza loro il pane della Parola".
Nei Gruppi Famiglia alla Parola dovrebbe essere riservato uno spazio importante.
I due metodi principali di lavoro che vengono proposti sono la Lectio divina e Revisione
di Vita, ed entrambi si basano sulla Bibbia.
Nel primo caso la Parola è al centro dell'incontro; è una Parola che va capita, fatta
propria, ruminata e che ci chiama ad una risposta di fede.
Nel secondo caso la Parola segna il secondo momento: "giudicare" che è il punto
di svolta dell'incontro; dopo aver visto la realtà nostra e del "mondo" su un
certo tema siamo chiamati dal Vangelo alla conversione, per riorientare la nostra vita
alla luce dell'insegnamento di Gesù e agire di conseguenza.
Ma nei nuovi gruppi, soprattutto di giovani, questa proposta incontra difficoltà: sembra
troppo "alta", fuori portata, si preferisce misurarsi con temi concreti. Si
riscontra, infatti, una scarsa preparazione a misurarsi con la Parola di Dio, come se non
se ne fosse mai fatta una seria esperienza.
E in fondo, quanto si prega con la Parola? Quanto si insegna a pregare con la Parola?
Su questo punto siamo tutti interpellati, genitori, animatori, sacerdoti.
Penso che, su questo tema, valga la pena rileggere ciò che scriveva Enzo Bianchi nel suo
libro: Ai presbiteri (2004), e che vale per tutti i cristiani adulti.
"Non può annunciare la Parola chi non l'ha prima ascoltata con assiduità e col
cuore, chi non l'ha pregata così da suscitare nell'uditore il desiderio di pregare, chi
non si è lasciato portare dalla Parola, chi non l'ha custodita per assimilare il pensiero
di Cristo. Il rischio non è semplicemente l'improvvisazione nell'evangelizzare, ma la
consegna di una Parola senza energia rispetto alla forza del demonio che si oppone alla
predicazione; una Parola che non giunge al cuore dei fedeli o che di fatto si svuota
subito".
Ed ancora: "senza la Parola, voi non siete nulla nella chiesa, non avete nulla da
dire nella chiesa, tutto il vostro impegno non gioverebbe a nulla".
Se il nostro quotidiano non è segnato dallincontro orante con la Parola possiamo
dire tante belle parole ma il nostro agire non riuscirà a mostrare il volto di Cristo
Franco Rosada
Per la nota CEI vedi: http://www.chiesacattolica.it/cci_new/documenti_cei/2010-01/11-54/BIBBIA_VITA_CHIESA.pdf
Per il libro di Bianchi vedi:
http://www.monasterodibose.it/index.php/component/page,shop.product_details/flypage,shop.flypage/product_id,380/category_id,17/manufacturer_id,0/option,com_virtuemart/Itemid,368/lang,it/
23-IL DON AL CAMPO ESTIVO
Unesperienza molto bella e festosa
di Egidio Dal Magro*
Sono trascorsi quasi sette mesi da allora, dalla mia ultima settimana estiva per famiglie
di San Giovanni di Spello. La memoria fatica a ricordare e, guardando indietro vedo molta
nebbia per cui i contorni sono sbiaditi e i personaggi si muovono come dietro ad un
lenzuolo a mo' di ombre cinesi.
Però il cuore ricorda bene e distingue quelle ombre che, piano, piano prendono forma,
prendono volto: sono loro! Sono quel bel gruppo di famiglie
di San Giovanni di
Spello. Ombre, figure, volti di coppie, di famiglie, di bambini e di giovani che si
muovono come ad una festa.
Un'esperienza di festa, quando è genuina e semplice, non può uscire dal cuore; la
memoria può perdere colpi, il cuore no.
Ho vissuto, negli anni, prima una settimana estiva a Castel Tesino, poi altre tre
settimane a San Giovanni di Spello: è bello! Lo dico al presente perché tale lo è
ancora, almeno per il cuore; lo dico con un semplice aggettivo perché è quello che più
risponde alla realtà.
Ma proprio tutto bello? No, no. Ma siccome di cose brutte, mediocri e cattive ne abbiamo
piene le tasche e lo stomaco, allora quando ci si incontra o scontra con qualcosa di
bello, è giusto fermarsi e dire: che bello!
La strada o l'esperienza - come si vuol dire - delle settimane estive per famiglie è
positiva, è una pista da seguire, almeno fino a quando si svolgono in quel modo. Vita
semplice, un po' spartana, sobria, vita insieme, silenzio dai rumori extra famiglia,
relazioni, preghiera e la Santa Messa al centro, giochi e scherzi: cosa si vuole di più?
Giovani disponibili all'accompagnamento dei piccolini, papà e mamme pronti a farsi
piccoli e servi.
La mia esperienza di don? Una vera scuola di cose che fanno bene, che ti ricaricano e
rimotivano. Qualche sacrificio c'è e va bene, ma vale la pena.
Quello che più di tutto mi ha impressionato è stata la pazienza dei genitori e dei
giovani anche nell'accogliere i bambini. I bambini sono sempre bambini anche in una
settimana estiva a San Giovanni di Spello: gridano, urlano, piangono, fanno capricci come
tutti i bambini
eppure ho visto tanta pazienza, non quella passiva e remissiva che
assomiglia tanto alla debolezza.
Buoni anche i rapporti nella coppia e tra le coppie: ho "visto" persone mettersi
veramente in discussione per capire l'altro, persone che si impegnavano a imparare ad
amare.
Del resto il matrimonio non è forse un'officina dove si impara, ogni giorno, ad amare?
La giornata dello spirito, del perdono è il pilastro di tutta la settimana. Si sente,
quasi fisicamente, la presenza di Dio. Il Dio del perdono, il Dio della sorpresa e della
meraviglia è lì; e il suo passaggio lascia il segno.
* Parroco di Farrà di Soligo, diocesi di Vittorio Veneto
Per contattarlo: http://www.diocesivittorioveneto.it/presbiterio/singolo.asp?pers=76
24-CAMPI ESTIVI PER FAMIGLIE 2010
Il calendario provvisorio
23 luglio - 1° agosto S. Giacomo di Entraque (CN)
Relatore: Angelo Fracchia, biblista.
Possibilità di partecipare al solo WE iniziale (23-25 luglio).
Info: Angela e Tommy Reinero, 347 5319786, tommy.angela@libero.it
7-14 agosto Col Perer (BL)
Tema e relatori da definire.
Info: Laura e Valerio Agnolin, 0423 476184, vaagnolin@libero.it
8-15 agosto San Giovanni di Spello (PG)
Relatori vari di alcune comunità umbre.
Info: Ernesta e Gianprimo Brambilla, 039 6079037, ernesta.gianprimo@
virgilio.it
8-15 agosto Voltago Agordino (BL)
Tema e relatori da definire.
Info: Antonella e Renato Durante, 0423 670886, ren-anto@libero.it
15-21 agosto Casteltesino (TN)
Tema e relatori da definire.
Info: Cinzia e Paolo Brugnera, 0438 898032, brugnerapaolo@tele2.it
16-20 agosto Chiappera (CN)
Tema e relatori da definire.
Info: Isabella e Stefano Tomatis, 0174 329404, costacalda@libero.it
18-23 agosto Sauze di Cesana (TO)
Tema e relatori da definire.
Info: Chiara e Elio Grosso, 0121 352265, eliogrosso@libero.it.
Per consultare il calendario aggiornato: http://digilander.libero.it/formazionefamiglia/campi53.htm
25-5x1000: GRAZIE PER LE VOSTRE FIRME!
Il bilancio consuntivo dell'associazione per lanno 2009
Il bilancio dellassociazione Formazione e Famiglia Onlus, editrice di questa
rivista, questanno riporta un attivo significativo.
Questo è merito di voi lettori, che ci avere sostenuti anche lo scorso anno con i vostri
contributi liberali, sovente superiori alla quota minima, e con le vostre firme per il 5 x
1000 nella dichiarazione dei redditi.
A fine anno abbiamo ricevuto dallAgenzia delle Entrate la quota del 5x1000 relativa
allanno fiscale 2007. Si è trattato di una cifra superiore al 40% del nostro
bilancio ordinario.
Poiché lo scopo dellassociazione non è quello di avere bilanci in attivo ma di
promuovere laggregazione tra famiglie attraverso lesperienza dei Gruppi
Famiglia a livello di giunta sono state prese le seguenti decisioni:
una parte contenuta dellattivo verrà utilizzata per
continuare a pubblicare i prossimi numeri della rivista di collegamento a colori;
la parte più significativa verrà invece utilizzata per
sostenere le attività dei campi estivi.
Le modalità con cui si realizzerà concretamente questo sostegno saranno concordate tra
la giunta e gli organizzatori dei campi.
I contributi liberali
Da marzo in poi torna dattualità la dichiarazione dei redditi.
Vi ricordo che quanto avete versato lo scorso anno attraverso il CCP intestato
allassociazione come contributo liberale lo potete portare in detrazione
questanno (p.e. nel modello 730/2010 limporto va riportato al quadro E, rigo
E19-21 specificando il codice 20: Onlus).
Una firma per il 5 x 1000
Sempre nella dichiarazione dei redditi,speriamo che ci sia anche questanno
la possibiltà di devolvere il 5x1000 dellimposta Irpef pagata alla nostra
associazione.
La firma va posta nella prima casella il alto a sinistra (sostegno del volontariato...)
riportando, subito sotto, il codice fiscale 97571710017.
Noris Bottin, presidente ass. Formazione e Famiglia ONLUS
26-I TEMI DI QUEST'ANNO DELLA RIVISTA
Seppure in ritardo, come redazione abbiamo definito i temi che, in linea di massima,
svilupperemo nellanno corrente. Contiamo di uscire con quattro numeri di
ventiquattro pagine, rispettando, se possibile, la cadenza trimestrale.
I temi dei prossimi tre numeri sono:
La famiglia nella Chiesa e nel mondo: il ruolo della famiglia
nella società ecclesiale e civile.
I ventanni della rivista: testimonianze dai gruppi vecchi e
nuovi.
Pace e guerra: siamo divisi, a livello globale, nazionale, locale
e anche familiare. Come essere operatori di pace?
La redazione
27-LEGGERE LA BIBBIA: Lotta con Dio, e ti benedirà
a cura di Franco Rosada
Credere è un atto di fiducia, è rischiare su una persona per molti versi misteriosa come
Dio.
Abramo è nostro padre nella fede perché per primo si è fidato di Dio. Ma non è stato
facile e la sua fede è stata messa più volte alla prova, toccando il culmine con il
sacrificio di Isacco. Qui siamo di frante al tema della fede nuda, che ha come
unico appiglio la Parola di Dio.
Il cammino di tre giorni affrontato da Abramo verso la prova è il simbolo di ogni
itinerario di fede (Gn 22,1-18).
Un secondo personaggio che si misura con Dio è Giacobbe.
Ritornando, dopo anni di lontananza, alla sua terra, egli vive di notte, lungo le rive
dello Jabbok, unesperienza di lotta e di prova (Gn 32,25-30).
È una lotta contro un essere misterioso, che termina con Giacobbe sciancato ma con un
nome nuovo: Israele.
Il grembo di quella notte genera un uomo nuovo, non più quello della lite tribale con
Esaù ma il protagonista della contesa divina. Il nuovo nome indica lintero popolo
ebraico in lui incarnato.
Il terzo personaggio è Giobbe.
Sinonimo della pazienza è diventato nel tempo simbolo della consolazione che segue la
prova. Ma, in realtà, Giobbe è un credente tuttaltro che paziente, diviso tra fede
e ribellione. Perché il dolore?
È Dio il vero protagonista del libro di Giobbe. Egli si presenta alluomo nella sua
miseria come il Nemico per eccellenza e Giobbe non esita a precipitare nella bestemmia
che, a volte, è più gradita a Dio della lode dei benpensanti.
Dio accetta di rispondere alluomo ma la sua risposta è più legata alla dimensione
della contemplazione: ora i miei occhi ti vedono (Gb 42,5).
Giobbe è quindi un libro sullavventura tragica ed esaltante del credere.
Un ultimo personaggio che ingaggia la lotta con Dio è il profeta Geremia.
Nella più celebre delle sue Confessioni (Ger 20,7) il profeta esclama mi hai
sedotto Signore, e io mi sono lasciato sedurre. Non si tratta di seduzione amorosa
ma di circonvenzione di incapace. Di fronte agli insuccessi e alle persecuzioni Geremia
accusa Dio di vigliaccheria e di truffa ma la parola divina lo tormenta (20,9). Da qui il
grido di disperazione: Perché mai sono uscito dal grembo [di mia madre]... per
finire i miei giorni nellinfamia? (20,18). Sorprendentemente, Dio non condanna
la bestemmia del disperato e il profeta riprende con veemenza la sua missione.
Sintesi da: Ravasi G., Il racconto del cielo. Le storie, le idee, i personaggi dell'AT,
Mondadori, Milano 1995, p. 64-92.
28-La preoccupazione di una mamma
Un figlio missionario e lontano
Sono la mamma di un giovane sacerdote missionario e sono preoccupata per lui. Si
dà tutto per la missione, non si tira mai indietro, dice sempre sì.
Così ha accettato di andare a prestare servizio dall'altra parte del globo e quando va
bene lo vedo una volta l'anno. Mio marito mi dice: "non preoccuparti", mai io
non ci riesco.
Mi può dire qualche parola di consolazione?
Giovanna
Risponde don Gianfranco Grandis, dottore in Teologia Morale, vicario episcopale per la
cultura della diocesi di Verona
Ci sono due passi del vangelo, gentilissima Giovanna, che possono essere di consolazione
alla sua preoccupazione per il figlio missionario che vive lontano dagli affetti
familiari, così come il Figlio di Dio, incarnandosi, ha svolto la sua missione a favore
degli uomini lontano dalla relazione con il Padre che egli viveva fin dalla eternità.
Il primo passo, certamente a lei assai noto, riguarda la permanenza di Gesù a Gerusalemme
mentre i suoi genitori stavano ritornando a Nazareth, i quali, una volta accortisi che
Gesù non era con loro, angosciati lo cercavano. Trovatolo al tempio fra i dottori, Gesù
si rivolge a loro con le note parole: Non sapevate che io devo preoccuparmi delle
cose del Padre mio?. Credo che sapere che il figlio sacerdote sta svolgendo la sua
missione a nome di Gesù per obbedire al Padre che lo ha inviato ad annunciare ai fratelli
lontani il Vangelo possa essere di grande consolazione. La sofferenza affettiva rimane, ma
la gioia per avere un figlio missionario dovrebbe prendere il sopravvento.
Il secondo passo riguarda la ricerca di Gesù che una volta fecero la madre e i suoi
parenti. Gesù prende l'occasione per dire che i suoi famigliari sono tutti quelli che
ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica.
Il suo figlio, che penso amatissimo, a corrisposto all'amore di Dio che lo ha chiamato
alla missione; che cosa di più bello per una madre del condividere con il figlio questa
chiamata, anche se costa in termini affettivi?
Le parole di suo marito forse contengono una profonda saggezza: "non
preoccuparti", vale a dire: "getta le tue preoccupazioni in Dio, e Dio ti
consolerà".
Sia fiera, gentile Giovanna, di avere un figlio missionario, e faccia che la sua
sofferenza sia il suo modo di partecipare a questo anno sacerdotale col quale il papa ha
voluto coinvolgere tutta la Chiesa a sostenere e a pregare per i sacerdoti, chiamati ad
agire nella persona stessa di Cristo.
gianfrancograndis@tin.it
29-SONO PROPRIO DELUSO!
Solo lavori precari e sottopagati per un giovane laureato
Mi sono laureato con il massimo dei voti ma non riesco a trovare lavoro, solo
lavoretti precari. Ora mi hanno offerto un tirocinio di 4 mesi a 350 euro al mese: 10 ore
al giorno con spese di viaggio a mio carico.
La signora che accudisce mio nonno prende molto di più! Se penso a tutti i sacrifici che
hanno fatto i miei genitori...
Luca
Il lavoro è un mezzo privilegiato per soddisfare il proprio bisogno di affermazione,
un'esperienza gratificante e significativa. Per il lavoratore impegnato in attività non
coerenti col proprio titolo di studio, che accetta tale occupazione perché non trova
altro, la costruzione dell'identità sociale e personale diventa un problema difficile,
però anche un lavoro precario, pur se sottopagato, può offrire un'esperienza utile
perché il mondo del lavoro è molto diverso dal mondo della scuola e può servire ad
ampliare il proprio campo di coscienza. Le valutazioni che ti pervengono dai colleghi e
dai capi sono un'importante fonte di informazioni che ti possono aiutare ad autovalutarti,
non fosse altro che nella capacità di relazione.
Resta comunque reale la frustrazione che ti trovi a vivere perché certamente sei
consapevole che l'esperienza lavorativa è un fattore di stabilizzazione della persona:
integrazione e autorealizzazione influiscono sul modello di vita che si intende
realizzare.
Se il lavoro non soddisfa è problematico trovare adeguate esperienze sostitutive, capaci
di fornire senso alla vita ed appagare il bisogno di successo e gratificazione. Ogni
persona è portatrice di bisogni che esprimono carenze che devono essere soddisfatte e la
motivazione costituisce la forza che permette di soddisfare tali bisogni: la motivazione
che ti ha retto nel portare avanti gli studi va conservata, anche in condizioni che
sembrano cancellarla.
Sebbene la situazione, a livello mondiale, sia pesante non si può pensare che sia
irreversibile: i tuoi genitori, pur delusi, sanno per esperienza che c'è sempre, nella
vita, un'altra chance! Auguri!
Guido Lazzarini
30-UNA CHIESA CHE PARLI DI PIÙ AI GIOVANI...
...del matrimonio, della vita di coppia, della convivenza
Qualche giorno prima di Natale sono stato invitato da un gruppo di giovani, una dozzina
tra i 20 e i 30 anni, per una serata di fraternità, preghiera e riflessione; dopo una
gustosa cenetta ci siamo seduti nel salotto della casa che ci ospitava.
Un giovane, studente universitario, dopo aver dichiarato di essersi allontanato dalla
chiesa e dalla S. Messa domenicale nel periodo dell'adolescenza, ha espresso una domanda
che mi ha profondamente toccato: mi ha chiesto come mai in parrocchia, nei tanti gruppi
giovanili da lui frequentati, nessuno gli avesse mai presentato una visione positiva della
sessualità; diceva: "perché nessuno mi ha mai spiegato il significato della
castità?".
Nel suo intervento spiegò che solo ultimamente, aveva sentito dire che la castità è
libertà e sincerità, che genera gioia, novità e stupore, che esiste una castità
"prima e dopo" il matrimonio.
Dopo il suo intervento, ha preso la parola una giovane di circa 24 anni, con i capelli
lunghi e neri, anch'essa lamentando che la Chiesa parla poco ai giovani del matrimonio,
della vita di coppia, della convivenza.
Dopo questi interventi tutti i ragazzi, uno dopo l'altro, mi hanno manifestato il
desiderio di ascoltare dai sacerdoti l'insegnamento di Gesù e della Chiesa sulle grandi
questioni della vita dei giovani: lo studio, l'università, il lavoro, gli affetti, l'uso
dei soldi, le fragilità, la vocazione, le ferite psicologiche, il perdono, la
sessualità, il rapporto con il proprio corpo, la malattia, la giustizia sociale, temi che
sono il pane quotidiano della vita di un giovane.
Una ragazza lamentava che talvolta non viene fatta una proposta di Fede capace di dare
speranza alla vita; l'affermazione della stessa presenza di Gesù in mezzo a noi, la più
grande ricchezza che possediamo, è oscurata da discussioni astratte.
Fra le grandi questioni del mondo giovanile voglio ricordare la difficoltà di tanti
ottimi giovani a trovare un compagno o una compagna con cui creare una famiglia ed avere
dei bambini; i ritmi della nostra vita, l'individualismo dilagante spesso rendono
difficile il semplice incontro con altri coetanei.
All'inizio di questo nuovo anno vorrei chiedere a tutti una grande preghiera per i giovani
che cercano la loro strada; vorrei chiedere, in particolare, a tutti i giovani fidanzati
ed alle giovani coppie a non chiudersi in se stesse; nella persona che sta al loro fianco
hanno ricevuto un grande dono da Dio ed è giusto che aiutino i propri amici ad
incontrarsi. Dio ama chi dona con gioia, chi non pensa solo a se stesso ed è attento alle
situazioni difficili della vita degli altri.
Nicolò Anselmi
direttore del Servizio Nazionale della Pastorale Giovanile della CEI, mail: don.nico@libero.it
Per leggere altre riflessioni dell'autore: http://www.oratoriodiferno.it/_Blog/archives/716
31-UNA S CHE FISCHIA E UNA
C CHE NON ESCE
Che problema trovare queste due lettere!
Tutti sanno che i bambini perdono i denti che qualcuno chiama "denti da
latte" quando sotto crescono quelli veri.
I denti sono parecchi e con tutti in fila si possono fare tante cose: mangiare, sciogliere
il nodo dello spago, sorridere, ecc., ecc., ma servono anche per parlare.
Un bel mattino Carletto si svegliò e la lingua gli usciva fuori davanti, gli erano caduti
due denti in una sola volta.
Ecco perché la maestra gli dice sempre: "Tieni la lingua dentro ai denti!",
quando gli scappano le parolacce.
Ma non era questo il problema. Disperato si mise a cercarli per tutto il letto. Li trovò
accanto al cuscino, provò a rimetterli al loro posto ma non ci volevano proprio stare.
Gli disse la baby sitter: - Li metterai sul davanzale, la formica se li porterà via e ti
lascerà qualche soldino!
Il bambino li mise sul davanzale.
I giorni passavano e i due dentini erano sempre lì; poi un giorno sparirono ma la formica
non aveva lasciato proprio niente.
Intanto Carletto, quando parlava, la "S" gli usciva come una "theta"
greca e la "C" non gli veniva per niente.
Gli amici ridevano e lui cominciò a non aprire più bocca. Da quel giorno si mise cercare
disperatamente tante "S" e "C" perché pensava: "Se le metto in
mezzo alle mie parole, nel posto giusto, nessuno più ride!".
Trovò un albero di salice ma la sua "S" e la sua "C" quello non
gliela volle dare:
- Se le do a te mi resta solo "alie" e nessuno poi sa che sono quell'albero
piangente in riva al ruscello.
Così fecero tante altre cose che contenevano la "S" e la "C" come
"salsiccia", "sciocco", "scarafaggio".
Il bambino era sconsolato.
Un pomodoro lo vide e voleva dargli le sue "P", "M", "O",
"D", tanto diceva: - A me rimane sempre l' "ORO".
Ma non servivano neppure a Carletto.
Un giorno, mentre gironzolava senza ben sapere dove andare, entrò in una piccola chiesa e
vide un uomo con un lungo vestito nero che aveva una altrettanto lunga fila di bottoni.
- Come ti chiami?, chiese Carletto.
- Sono un sacerdote.
- Mi dai la tua "S"?
- Volentieri! Ti posso dare anche quella di "sagrato" dove si trova tutta la
gente a parlare, di "sagrestia" dove i chierichetti litigano per portare le
candele, quella di "sogno" perché vivere insieme è bello, quella di
"stupendo" perché le cose belle creano gioia, quella di "sincero"
perché qui non ci si racconta frottole, e tutte quelle altre che vuoi.
- Adesso, disse il bambino, mi manca solo la "C".
- Ma tu i genitori non ce li hai?
- Li vedo qualche volta, poco, sto sempre con la baby.
- Quando li vedi devi chiedere loro di darti la "C" di "coppia",
"carezza", "coccole",
ed anche la "C" di
"carattere".
Chissà se la "C" di Carletto, ora che i denti nuovi sono cresciuti, schiocca
bene, se la sua "S" non fischia più e se c'è un bel sorrisone sulle sue
labbra!
Tony Piccin
32-Il sacerdozio comune dei fedeli
Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque
differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l'uno all'altro,
poiché l'uno e l'altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell'unico sacerdozio di
Cristo.
Il sacerdote ministeriale, con la potestà sacra di cui è investito, forma e regge il
popolo sacerdotale, compie il sacrificio eucaristico nel ruolo di Cristo e lo offre a Dio
a nome di tutto il popolo; i fedeli, in virtù del loro regale sacerdozio, concorrono
all'offerta dell'Eucaristia, ed esercitano il loro sacerdozio col ricevere i sacramenti,
con la preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con
l'abnegazione e la carità operosa.
da: Lumen gentium 10
http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19641121_lumen-gentium_it.html