Foglio di collegamento tra Gruppi Famiglia
GF74 - settembre 2011 - Divorziati e Chiesa
La fine di un matrimonio e le sue conseguenze

EDITORIALE
1-Separati-divorziati-risposati: fuori dalla Chiesa?

Esistono numerose realtà, punti di ascolto, consultori, mediatori familiari, esperienze ad hoc, come il metodo "Retrouvaille", che, con competenza e professionalità possono seguire le coppie in crisi.

di Nicoletta e Corrado Demarchi
Nel nostro cammino di sposi abbiamo sempre cercato di fissare lo sguardo, con particolare attenzione e sensibilità, su coloro i quali hanno visto tramontare il loro disegno d’amore ed hanno voluto o dovuto abbandonare tutto, sopraffatti dalle difficoltà e dalla fragilità della vita di coppia.
Molte di queste situazioni potevano, però, essere recuperate: la consapevolezza che alcuni di loro non erano stati accompagnati sufficientemente al grande passo che li attendeva, ed il non aver trovato strumenti e persone preparate ed attente che potessero aiutarli a gestire le tensioni, per riprendere il loro cammino d'amore con maggiore fiducia, ci dimostrano che molto è stato fatto, ma rimane ancora molto da progettare ed attuare.
I numeri sono impietosi: mediamente una coppia su tre si divide già nei primi anni di matrimonio, alimentando la schiera di coloro che vivono il dramma della separazione e del divorzio.
Ultimamente sono aumentate le proposte pastorali per chi vive questa situazione. Ad esempio il convegno di Salsomaggiore del giugno scorso, organizzato dalla CEI, dal titolo - "Luci di speranza per la famiglia ferita" - è una delle risposte più vere di una Chiesa che non abbandona, ma accompagna in cammino, fra due pilastri importantissimi, quello della verità e della carità.
Vogliamo perciò, con questo numero della rivista, provare a fare chiarezza su argomenti spinosi che riguardano la presenza nella Chiesa dei separati e divorziati, l'accesso ai Sacramenti, la situazione dei divorziati risposati, perché al riguardo vi sono numerose dicerie ed inesattezze che creano confusione e sfiducia, nonché frustrazione: dobbiamo inoltre interrogarci, con molta franchezza, se davvero le nostre comunità stanno facendo tutto il possibile per aiutare le famiglie (figli compresi) coinvolte in questo dramma, con l'atteggiamento misericordioso di chi non giudica, accoglie e lenisce le ferite.
Esistono numerose realtà, punti di ascolto, consultori, mediatori familiari, esperienze ad hoc, come il metodo "Retrouvaille" che, con competenza e professionalità, possono seguire le coppie in crisi, alle quali vengono però richieste due condizioni importanti: l'umiltà e la buona volontà degli sposi nel farsi aiutare e la disponibilità a ripartire su nuove basi, senza pregiudizi, per reimpostare un nuovo rapporto di coppia.
Per quanti invece, nonostante parecchi sforzi, vedono definitivamente naufragare il loro matrimonio, è fondamentale la nostra vicinanza ed il nostro sostegno, in questo difficile momento, per superare il dolore ed il senso di sconfitta che si prova.
Un cammino di gruppo, condiviso con altre persone che vivono la stessa situazione, aiuta a ritrovare un po' di serenità, trasformando lentamente il risentimento in perdono, la rabbia e la paura in forza e coraggio.
Anche la verifica della possibilità di rendere nullo il matrimonio va presa seriamente in considerazione ed i Tribunali Ecclesiastici Regionali competenti andrebbero maggiormente interpellati in tal senso.
Insomma: di fronte ad una coppia in crisi dobbiamo adoperarci per aiutare loro a trovare una soluzione. Il nostro ascolto, la nostra presenza e soprattutto la nostra preghiera, li porteranno a guardare con occhio diverso il loro rapporto, per iniziare a recuperare quella gioia, quella serenità e quell'amore che li ha fatti dire, tempo addietro, "io accolgo te come mio/a sposo/a".
Infine, come coppie cristiane, siamo chiamate, ogni giorno, ed in particolare in questo contesto sociale, a testimoniare nella quotidianità, con più vigore ed entusiasmo, che il matrimonio è un'avventura stupenda da vivere in tre: io, te e Dio!
curra@email.it

2-IL MATRIMONIO "FRAGILE"
Siamo chiamati a testimoniare l’amore di Dio in una società ammalata di calcolo e di efficientismo

a cura della Redazione
Con il nuovo rito del matrimonio, introdotto nel 2002, alcune cose sono cambiate.
I giornali, a suo tempo, avevano dato molto risalto al fatto che il verbo "prendere" era stato sostituito con il verbo "accogliere". Ma i giornali non hanno sottolineato sufficientemente un altro fatto. Non si dice più: "Prometto di esserti fedele per sempre" ma: "Con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele per sempre". Perché questa aggiunta? Perché una lunga esperienza dimostra che l'amore umano, anche quando è sincero e profondo, resta sempre un tesoro in un vaso fragile. Basta poco per mandare tutto in frantumi. Non basta confidare nelle proprie forze (l'amore sembra onnipotente), e non basta neppure appoggiarsi l'uno all'altra (l'altro può sembrare una colonna solida, capace di sostenere e reggere tutta la vita). L'esperienza dimostra che è facile innamorarsi; ma dimostra anche che è difficile amarsi per tutta la vita. Le forze umane non bastano.
È necessario l'intervento di Dio. Si costruisce la casa dell'amore sulla roccia che è Dio (1).
Questa premessa è indispensabile per capire quanto la proposta cristiana nei confronti di un'istituzione naturale quale il matrimonio, sia stata, e continui ad essere, profondamente diversa e "altra" rispetto al modo comune di pensare e di agire.

La radicalità della proposta cristiana
Gesù ha parlato anche del matrimonio, e ne ha parlato con una radicalità tale da sorprendere gli stessi primi discepoli, molti dei quali probabilmente erano sposati.
Gesù afferma che il legame sponsale tra un uomo e una donna è indissolubile (cfr. Matteo 19,1-12), perché nel legame del matrimonio si mostra tutto il disegno originario di Dio sull'umanità, e cioè il desiderio di Dio che l'uomo non sia solo, che l'uomo viva una vita di comunione duratura e fedele. Questa è la vita stessa di Dio che è Amore, un amore fedele, incancellabile e fecondo di vita, che viene mostrato, come in un segno luminoso, nell'amore reciproco tra un uomo e una donna. E così, afferma Gesù, "non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi" (v. 6).
Da quel giorno la parola di Gesù non cessa di provocarci e anche di inquietarci. Già in quel momento i discepoli rimasero scandalizzati dalla prospettiva di Gesù, quasi protestando che, se il matrimonio è una chiamata così alta ed esigente, forse "non conviene sposarsi" (v. 10).
Ma Gesù ci incalza e ci dà fiducia: "Chi può capire, capisca" (cfr. v. 11), capisca che questa esigenza non è fatta per spaventare, ma piuttosto per dire la grandezza cui l'uomo è chiamato secondo il disegno di Dio creatore.
Questa grandezza è esaltata poi quando il patto coniugale viene celebrato nella Chiesa come sacramento, segno efficace dell'amore sponsale che unisce Cristo alla sua Chiesa. Gesù non ci chiede l'impossibile, ci offre se stesso come via, verità, vita dell'amore.
Le parole di Gesù e la testimonianza di come egli ha vissuto il suo amore per noi sono il riferimento unico e costante per la Chiesa di tutti i tempi, che mai si è sentita autorizzata a sciogliere un legame matrimoniale sacramentale celebrato validamente ed espresso nella piena unione, anche intima, degli sposi, divenuti appunto "una carne sola".
Ed è in questa obbedienza alla parola di Gesù la ragione per cui la Chiesa ritiene impossibile la celebrazione sacramentale di un secondo matrimonio dopo che è stato interrotto il primo legame sponsale (2).
Di fronte ad una proposta così esigente, perché tante coppie, sovente cristiane solo per i registri parrocchiali, continuano a sposarsi in Chiesa? Per la bellezza del rito? Per non dare un dispiacere ai genitori? Sono argomenti ormai "deboli". Ci si sposa in Chiesa perché si è convinti del proprio amore, perché si è convissuto mesi o anni e si è convinti di aver "testato" a sufficienza l'unione, perché il sì è "per sempre".
Ma questo "per sempre" non poggia più sul quella rete sociale che, nel bene e nel male, garantiva, fino a poco tempo fa, garantiva una solida rete di protezione alla relazione ed emerge la nostra fragilità di creature.

La fragilità dei rapporti affettivi
Solo recentemente abbiamo scoperto che l'umanità è fragile, che la storia umana è una storia di ferite.
Progressivamente si è accampato, sul nostro orizzonte, il limite creaturale, spesso rimosso dai giovani mediante una sorta di delirio di onnipotenza.
Scopriamo la fatica, la malattia; ci tormenta il pensiero che un piccolo grumo di cellule impazzite nel nostro corpo possa rapidamente segnare la fine della nostra esistenza. Ci sentiamo fragili quando siamo incompresi, emarginati, violentati, disconfermati. Navighiamo tra guerre e logiche di morte. Pensavamo che il sacramento del matrimonio mettesse "al riparo" la nostra unione e sempre più ci rendiamo conto, prima ancora che ce lo confermino i dati Istat, di quanto siano diffusi divorzi e separazioni, anche tra le coppie di amici delle nostre comunità.
Siamo fragili. Questa fragilità interpella sia la nostra ragione che la nostra fede. Come Giobbe cerchiamo risposte e non le troviamo. Come lui, chiamiamo in causa Dio. Sappiamo, certo, dalla rivelazione, che Dio si presenta a noi come "il Dio che ci guarisce" (Esodo 15, 26), ma fatichiamo poi, nella nostra esperienza quotidiana, a sperimentare questa dimensione "terapeutica" del Signore…
Ma a cosa dobbiamo attribuire questa fragilità?
Un pregiudizio oggi ricorrente è quello che questi cambiamenti siano collegati a una decadenza dei valori morali. Il passato viene spesso guardato con grande nostalgia, un po' come se fosse il "paradiso perduto" di John Milton. Ma è proprio così? Scrive il sociologo Franco Garelli: "Ma a quale passato facciamo riferimento? Il passato delle società contadine, delle campagne... era questo il luogo delle virtù? Si poteva avere a che fare con una uniformità di modelli di comportamento e la Chiesa, in quel contesto, poteva avere un'influenza più rilevante di quella di oggi; ma qual era - presso la gente - il livello di interiorizzazione, di riflessività, di consapevolezza delle scelte e dei comportamenti prevalenti? [...] È debole lo sforzo o la propensione a cogliere i tentativi di ricerca, i percorsi di senso che magari in modi discontinui e contorti possono caratterizzare la condizione contemporanea" (3).
Il fatto che il matrimonio sia un'istituzione "naturale" non basta più per garantire la sua durata nel tempo. Come la preparazione alla vita consacrata da molto tempo richiede un lungo cammino di preparazione, così anche la preparazione alla vita a due richiederebbe un analogo cammino. Lo aveva bene intuito il sinodo del vescovi del 1980 le cui riflessioni sono state tradotte dal beato Giovanni Paolo II in quel prezioso documento che è la Familiaris consortio.

Educare all'amore coniugale
Il testo, al n.66, ci ricorda come la preparazione al matrimonio vada vista e attuata come un processo graduale e continuo. Essa, infatti, comporta tre principali momenti: una preparazione remota, una prossima e una immediata.
La preparazione remota ha inizio fin dall'infanzia, all'interno della famiglia.
È questo il periodo in cui va istillata la stima per ogni autentico valore umano. È richiesta, inoltre, specialmente per i cristiani, una solida formazione spirituale e catechetica, che sappia mostrare nel matrimonio una vera vocazione e missione, senza escludere la possibilità del dono totale di sé a Dio nella vocazione alla vita sacerdotale o religiosa.
Su questa base in seguito si imposterà, a largo respiro, la preparazione prossima, la quale - dall'età opportuna e con un'adeguata catechesi, come in un cammino catecumenale - comporta una più specifica preparazione ai sacramenti, quasi una loro riscoperta.
La preparazione immediata a celebrare il sacramento del matrimonio deve aver luogo negli ultimi mesi e settimane che precedono le nozze.
A queste tre fasi della preparazione al matrimonio devono sentirsi impegnate la famiglia cristiana e tutta la comunità ecclesiale.
Sono passati trent'anni e molto di quanto scritto allora è ancora sulla carta. Si parla di parrocchia "famiglia di famiglie" ma la pastorale continua ad essere settoriale: i fanciulli, i giovani, i fidanzati, le coppie, le famiglie, gli anziani. Servirebbe una pastorale integrata, non con attività in più ma con un punto di riferimento diverso: la famiglia. Qualcuno ci sta provando.

Liberamente tratto da:
(1) Giordano Muraro, Prometto di esserti fedele sempre, PIEMME 2006, p.10.
(2) Dionigi Tettamanzi, Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito, Milano 2008.
(3) Luigi Ghia, La fragilità dei rapporti affettivi, in (ibidem), Se un amore muore, Monti 2010, p.15-17.

3-Il consenso matrimoniale

Forse non ce ne ricordiamo più, perché è passato del tempo o perché eravamo così innamorati da prenderlo per un atto formale, ma le domande che il sacerdote pone nel cosiddetto processicolo sono molto serie e possono costituire una piccola catechesi matrimoniale.
• Perché sceglie di sposarsi in chiesa? Ha qualche difficoltà nell'accettare l'insegnamento della Chiesa sul matrimonio? Quale?
• Si sente spinto al matrimonio dai suoi familiari o da quelli del suo fidanzato (della sua fidanzata)?
• Vuole il matrimonio come unico e si impegna alla fedeltà coniugale?
• Accetta il compito della paternità (della maternità), senza escludere il bene della procreazione? Intende dare ai figli un'educazione cattolica?
• Pone condizioni al matrimonio? Quali?
• Ha tenuto nascosto qualcosa che possa turbare gravemente la vita coniugale?
Sintesi della redazione (vedi testo integrale)

4-LA CRISI E LE POSSIBILI VIE D’USCITA
Non avere paura di farsi aiutare, prima di arrivare alla rottura.
L’importanza di saper aiutare nei modi e nei tempi giusti

a cura della Redazione
In un matrimonio ci sono tanti momenti di crisi, in cui i due si considerano estranei, in cui il desiderio cala e non c'è più ricerca dell'altro, né tempo da condividere. È necessario fermarsi, non cedere alla facile tentazione di dire è finita, me ne trovo un altro/a, oppure solo sopportarsi, "per il bene della famiglia".

Quando arriva la crisi
Quando arriva la crisi è importante fermarsi, e annunciare: "crisi in corso". La crisi non assume così solo una valenza negativa, cioè di una possibile rottura, ma di una "scelta", "distinzione", come l'etimologia della parola stessa rivela. È una grossa opportunità di crescita.
È necessario entrare nei tempi dell'attesa, avere il coraggio di ascoltare l'altro, ripartendo dall'emozione dello sguardo che evoca l'amore vissuto insieme, l'amore che ancora c'è, anche se incrostato e non più ben visibile.
Sarebbe rischioso imporsi tempi stretti, avere fretta o peggio timore che troppo tempo debba trascorrere, che intanto si perda la vita che scorre davanti a noi.
Siamo chiamati a vivere nel tempo che ci è stato dato, senza fretta di vedere i risultati: sicuramente non è facile e implica entrare nella sofferenza della precarietà e dell'incertezza, ma non esistono scorciatoie.
Entrare nell'attesa è un processo attivo per riassaporare il gusto di una relazione piena.
Del resto la relazione affettiva fra un uomo e una donna è l'espressione più viva di un ripetersi di momenti di intimità ma anche di distanza: c'è bisogno della distanza per ritrovare l'intimità e l'intimità stessa produce poi momenti di distanza e differenziazione.
Essenziale appare il nutrire costantemente la relazione con un tempo per la coppia che è kairòs, tempo di grazia vivo e palpitante, dove si fa spazio alle fantasie, paure, dubbi, gioia, stati d'animo, anche quelli distruttivi; tutto diventa importante: esprimere l'amore, il bisogno dell'altro, ma anche il rancore, la rabbia, a volte l'odio che, ad una analisi più profonda, altro non è nella storia di tante coppie che un sentimento che non è stato possibile esprimere in positivo; leggerlo in questa chiave aiuta a recuperarne la giusta valenza (1).

E se invece…
Purtroppo, quando oggi due coniugi arrivano alla decisione di separarsi, sono così esasperati, arrabbiati o sfiduciati che non pensano minimamente ad un possibile e futuro ricongiungimento; al contrario intendono la separazione come un passaggio di liberazione da una situazione di vita nella quale non vogliono più tornare. Ma questo avviene perché non si è gestita bene la crisi, fin dai suoi inizi, e si è lasciato dilagare il disagio e poi la sofferenza al punto di non farcela più e magari di giungere ad offese o maltrattamenti difficilmente rimediabili e superabili.
Se invece le crisi coniugali fossero affrontate con spirito diverso e più attento e con il dovuto sostegno da parte di persone esperte, si eviterebbero tante situazioni di conflitto o di violenza; un eventuale periodo di interruzione della coabitazione potrebbe essere una modalità migliore per esaminare e affrontare i problemi, per maturare e crescere anche dentro le difficoltà, anzi proprio attraverso di esse.
Ma questo implica un cambiamento di mentalità, sia nei coniugi che nella società intera; una mentalità che appunto non veda nella separazione l'anticamera del divorzio, ma, come dovrebbe essere, un periodo di seri tentativi di ripensamento della vita coniugale e familiare, e se possibile di riprogettazione di essa.
In realtà, occorre riconoscere che diversi coniugi già attuano periodi di separazione temporanei per poi rimettersi insieme; qualche volta questo porta a una buona ripresa della vita familiare; altre volte, invece, non risolve nulla, anzi peggiora la situazione e alla fine porta a una separazione definitiva.
Questo avviene perché è difficile che i coniugi riescano da soli a capire e risolvere veramente i problemi che li hanno portati all'interruzione della convivenza coniugale: spesso occorre che entrambi i coniugi si affidino con fiducia a un aiuto esterno.
E oggi vi sono centri e organismi, ecclesiastici o civili, che possono offrire un apporto valido e competente, cioè un cammino individuale e di coppia che aiuti ad andare in profondità nell'esame delle situazioni critiche o problematiche vissute dai coniugi, che permetta di discernere con più obiettività i sentimenti" e gli affetti, di instaurare un modo più sereno di guardarsi ed eventualmente di individuare le strategie più opportune per riavviare la vita coniugale.
Alla luce di tanti racconti di persone separate o divorziate, si può affermare, non senza qualche amarezza, che certe situazioni si sarebbero potute risolvere felicemente se ci fossero state la disponibilità e la possibilità di effettuare cammini di questo genere (2).

La prevenzione
Serve quindi una prevenzione che cerchi di intuire il disagio relazionale "sommerso" e offrire un aiuto per risolvere la situazione prima che questa esploda in una crisi irreversibile.
È il caso in cui la coppia non chiede direttamente aiuto, ma è disposta a valorizzare un'offerta di accoglienza e di condivisione qualora venga presentata con discrezione. Per questo tipo di prevenzione occorrono persone sensibili e capaci di riconoscere i "segnali indicatori" che fanno intuire una crisi di coppia.
A questo proposito forse vale la pena osservare che, per scoprire e affrontare il "disagio sommerso", potrebbero essere più efficaci le "reti informali" che costruiscono il tessuto di una comunità, rispetto ai servizi strutturati, che in genere sono pensati allo scopo di risolvere problemi già manifesti.
La persona o la coppia che vive un momento di difficoltà relazionale in genere chiede aiuto quando arriva all'esasperazione, e istintivamente si aspetta che colui che l'accoglie abbia delle soluzioni da proporre e delle strade precise da indicare per superare il problema.
È importante però che chi accosta persone in situazioni simili non abbia né la presunzione di dare ricette facili né troppa fretta di dare consigli, ma abbia anzitutto una buona capacità di ascolto, indispensabile a un ponderato discernimento in situazioni che sono quasi sempre molto complesse.

Quando si arriva tardi
Quando ci si trova di fronte a una situazione praticamente compromessa, con una decisione irreversibile di rompere il legame matrimoniale e con ferite profonde provocate da una esasperante e lunga situazione conflittuale, il primo obiettivo da raggiungere è quello di aiutare la persona a ricuperare un po' di serenità e poi a mettere mano a una ricostruzione di se stessa, della sua personalità, della sua dignità e delle sue relazioni più significative.
Se ci sono dei figli, sarà indispensabile aiutare la coppia a gestire con equilibrio e con saggezza la separazione ponendo molta attenzione soprattutto ai diritti e alle esigenze dei figli, perché paghino il minor prezzo possibile della situazione conflittuale e fallimentare dei genitori. Se chi chiede aiuto è un credente, è importante aiutare a rafforzare la fiducia in Dio che anche nelle situazioni più drammatiche di sofferenza è capace di costruire una storia di salvezza e accendere un futuro di speranza; in ogni caso è urgente creare attorno a questa persona un contesto di accoglienza, di comprensione e di fiducia, in altre parole un contesto di comunione affettuosa.

Quando c’è ancora spazio
Spesso invece la richiesta di aiuto arriva in una condizione in cui la sofferenza è segno di un amore ancora vivo anche se profondamente ferito.
Il primo incontro è molto delicato perché è determinante per continuare la ricerca di aiuto e per creare la disponibilità a rimettere in discussione tutta la relazione di coppia per una vera positiva novità.
Lì dove il disagio della relazione è imputabile a una grave immaturità della persona, l'aiuto può essere fornito soltanto da persone professionalmente preparate. Nei casi in cui la relazione è stata compromessa da una serie di malintesi conseguiti a errori di impostazione del rapporto o da una inadeguata progettazione della relazione di coppia, l'aiuto può essere dato da persone sensibili, esperte nelle relazioni, capaci di mediazione e di empatia. Anche nel secondo caso comunque la relazione di aiuto esige una "competenza" che può essere frutto non soltanto di studio ma anche e soprattutto di esperienza, di chiarezza di vedute e di amore generoso, discreto e paziente.

Serve formazione
La pastorale familiare, oltre a formare operatori per le situazioni "ordinarie" di preparazione al matrimonio e di formazione permanente, è chiamata a formare anche operatori adeguati a questo "ministero" della riconciliazione: ministero tipicamente "pasquale" in ordine alla vita e alla pienezza dell'amore (3).

Liberamente tratto da:
(1) Susanna Fontani, Voglio dirti sì per sempre, Gribaudi 2009, p. 85-86.
(2) Eugenio Zanetti, Dopo l'inverno, Ancora 2005, p. 83-84.
(3) Arcidiocesi di Trento, Commissione diocesana Famiglia, La crisi di coppia, evento fallimentare o occasione di crescita? febbraio 1999, p. 27-30.

5-TESTIMONIANZE

Superare la crisi
La storia di Dina e di suo marito, entrambi operai, di mezza età, è una storia di tradimento e di riconciliazione.
Lei a un certo punto si accorse che qualcosa non andava, sparivano dai cassetti i piccoli ori dei figli: il braccialetto della Prima Comunione, gli orecchini, una medaglietta...
E un giorno aveva trovato nella tasca dei pantaloni del marito una foto che ritraeva due amanti abbracciati: uno dei due era lui.
Dina provò un forte colpo al cuore.
Il marito, messo alle strette, ammette tutto: "l'altra" è una che lavora che lui, ha vent'anni di meno, accettava di buon grado i regali...
E lei, davanti a un caffè, ne ha parlato con un'amica: "Cosa vuoi che faccia? Mi fa compassione, mio marito: io sono entrata in menopausa e lui si è rimbambito dietro a questa. Chissà cosa credeva, pover'uomo".
Nell'umiliazione, nella rabbia, nel dolore, ha prevalso la pietà.
Dina ha riconosciuto la debolezza del marito, l'ha amata, anche.
Pian piano questa coppia ha superato la tristezza del tradimento e ha ripreso a vivere la quotidianità nella pace, accanto ai figli, ai nipoti, agli amici di sempre.
Liberamente tratto da: Noi Genitori e Figli, maggio 2011.

Ricominciare
Durante la nostra separazione, durata circa tre anni, io e mio "marito" a un certo punto abbiamo iniziato a rivederci e a fare qualche piccola cosa insieme, come per esempio festeggiare il compleanno di nostro figlio.
Queste uscite erano improntate a una grande gentilezza tra di noi, ma un conto sono le intenzioni e un altro le parole che non vengono dette perché non si sa da che parte incominciare o si ha paura di fare del male.
A quel punto un mio collega che, lavorando con me, aveva seguito un po' la nostra vicenda, ci ha suggerito e proposto di partecipare a Retrouvaille, dicendoci di non far domande ma di fidarci di lui. In quel momento io ho pensato che nonostante la nostra buona volontà era importante avere un aiuto perché da soli confrontarci su quello che Retrouvaille ha insegnato a dire, senza accuse né recriminazioni, sarebbe stato impossibile.
Quando siamo partiti per il nostro week-end a Vicoforte eravamo timorosi per ciò che ci aspettava e anche un po' scettici, ma posso assicurare tutti che al ritorno la speranza era in me e la sensazione che oltre ai nostri sforzi il Signore ci avrebbe aiutato a mettere in pratica ciò che Retrouvaille ci aveva insegnato.
Il week-end di Retrouvaille stato seguito da un percorso di quindici incontri condotti da alcune "coppie guida". Queste coppie non si sono mai proposte a noi come modelli da seguire e il confronto con loro e con le altre coppie è stato per me molto costruttivo anche se il tutto ha richiesto un grande impegno e un notevole impiego di energie e di tempo", ma ho sempre avuto la sensazione di lavorare per qualcosa di grande per noi e che il Signore ci guardava.
Il percorso non è stato una passeggiata ma ne è valsa la fatica, perché la pena e la sofferenza rielaborate tramite Retrouvaille si possono tramutare in gioia e speranza.
Mi piacerebbe suggerire a tutte le coppie che vivono una crisi, piccola o grande che sia, di provare a "vivere" l'esperienza di Retrouvaille e di provare a perdersi in questo percorso perché esso e l'aiuto del Signore possono aiutarli a ritrovarsi nella vita e nella decisione di amarsi.
Giovanna
Liberamente tratto da: Famiglia Oggi, n.4 2008.

Saper perdonare
Avevo vent’anni quando ho conosciuto mio marito. Dopo cinque anni di fidanzamento decidemmo di sposarci. Frequentammo il corso per fidanzati e ci rivolgemmo anche ad un consultorio prematrimoniale. Gli esiti furono buoni ma con un piccolo neo: per loro lui non era pronto per il passo che doveva affrontare, ma io non volli crederci.
Nei dieci anni del nostro matrimonio le difficoltà furono diverse e di una certa gravità. Dopo aver avuto la prima figlia dovetti abbandonare il lavoro, perché dove abitavamo non c’era l’asilo nido. Ma i problemi seri arrivarono con la seconda figlia: soffriva di fibrosi cistica.
Da allora non vi fu più tempo per curare la nostra relazione: tutte le risorse erano concentrate sulle due figlie. Ci dimenticammo di noi due: i gravi problemi economici legati a cure costose e non mutuabili e la scarsa assistenza del servizio sanitario complicarono il tutto.
Dopo cinque anni la più piccola morì e la nostra vita di coppia subì uno scossone: mio marito non aveva retto la sofferenza vissuta in quegli anni e cercava di evadere da me.
Qui venne fuori la nostra presunzione di saper risolvere tutto da soli, non ci facemmo aiutare e solo alla fine ci accorgemmo che tra noi tutto era finito. Mi ricordai allora delle parole che mi avevano detto al consultorio: è un uomo fragile. In tutti quegli anni per me lui era forte o così mi sembrava.
Con la separazione il rapporto che ci univa si tramutò in odio, lui divenne il mio nemico!
Mi accorsi allora che dovevo cambiare. Fu un cammino lungo ma alla fine mi resi conto dei miei punti deboli e dei miei errori. E quando, otto anni dopo la separazione, lo incontrai e scoprii che aveva bisogno di aiuto, anziché fargliela pagare, lo aiutai e sperimentai la gioia del perdono!
Liberamente tratto da: Dopo l’inverno, Ancora 2005.

6-LA SOFFERENZA DI UNA FINE
Chiamati a scegliere - nonostante il dolore, il malessere, i torti subiti - la tenerezza che si radica in Dio

a cura della Redazione
La fine di un matrimonio non è, per la maggior parte degli sposi, una decisione presa con facilità, tanto meno con leggerezza.
A questo sposi il cardinal Tettamanzi ha dedicato un prezioso documento.

Il Signore vi è vicino
Vorrei mettermi accanto a voi e provare a ragionare con voi sui molti passi e le molte prove che vi hanno condotto ad interrompere la vostra esperienza coniugale.
Posso solo provare a immaginare che prima di questa decisione abbiate sperimentato giorni e giorni di fatica a vivere insieme; nervosismi, impazienze e insofferenza, sfiducia reciproca, a volte anche mancanza di trasparenza, senso di tradimento, delusione per una persona che si è rivelata diversa da come la si era conosciuta all'inizio.
Queste esperienze, quotidiane e ripetute, finiscono con il rendere la casa non più un luogo di affetti e di gioia, ma una pesante gabbia che sembra togliere la pace del cuore.
Si finisce con alzare la voce, forse anche con mancarsi di rispetto, trovare impossibile ogni concordia.
E si sente che non si può più continuare la vita insieme.
No, la scelta di interrompere la vita matrimoniale non può mai essere considerata una decisione facile e indolore! Quando due sposi si lasciano, portano nel cuore una ferita che segna, più o meno pesantemente, la loro vita, quella dei loro figli e di tutti coloro che li amano (genitori, fratelli, parenti, amici).
Questa vostra ferita anche la Chiesa la comprende.
Anche la Chiesa sa che in certi casi non solo è lecito, ma può essere addirittura inevitabile prendere la decisione di una separazione: per difendere la dignità delle persone, per evitare traumi più profondi, per custodire la grandezza del matrimonio, che non può trasformarsi in un'insostenibile trafila di reciproche asprezze (1).
Con la separazione molti vivono una vera e propria esperienza di lutto (vedi riquadro pag. seg.) che va superato. Come? Con il perdono e la tenerezza.

La tenerezza, nonostante...
I separati, sia quelli fedeli al sacramento che quelli ri-accompagnati o risposati, sono chiamati a compiere un passo fondamentale per ritrovare un minimo di serenità: scegliere la tenerezza come progetto di vita che orienti in radice il loro vissuto e la stessa relazione educativa con i figli, scegliere la tenerezza nonostante il dolore, nonostante i torti subiti, nonostante la paura per il futuro, nonostante il malessere sperimentato; una tenerezza che si radica in Dio-Trinità, vive di lui e conduce a lui.
Per arrivare a scegliere la tenerezza servono alcuni passi preliminari.

La "trasposizione emotiva"
Non si tratta di negare quanto è successo o il dolore che ne è derivato, ma di operare per vincerlo, facendo trionfare uno stato d'animo opposto.
Si tratta, in altre parole, di indirizzarsi a un processo di trasposizione emotiva che conduca a sostituire i sentimenti negativi della rabbia e della delusione con un sentimento positivo altrettanto forte come quello di una nuova tenerezza, rendendosi capaci di una compassione in grado di comprendere i limiti propri e altrui e aiuti a maturare in una dimensione di nuova fecondità.

Un processo di sostituzione
Una trasposizione di questo tipo non è per niente scontata e richiede tempo e pazienza con se stessi, ma è l'unico percorso possibile per uscire fuori da un processo distruttivo senza fine. La scelta della tenerezza rappresenta, in questa ottica, un atto di sostituzione, che conduce a rimpiazzare stati d'animo di violenza con uno stato d'animo opposto, come è appunto quello della tenerezza.
Naturalmente, quanto più forte è il sentimento positivo tanto più l'atto di sostituzione ha buone chances di attingere al suo effetto.
Grazie alla via della trasposizione emotiva i separati sono in grado di educarsi a guardare al risentimento o alla frustrazione con occhi nuovi rispetto a quelli della sola reazione emotiva; e quanto più il sentimento della tenerezza è avvertito tanto più si trova la serenità, anche con l'altro coniugo, e la si offre ai figli.
I separati possono essere in grado di realizzare questa trasposizione se sanno fondare il loro perdono su tre ingredienti essenziali: accettazione del sentimento negativo, comprensione verso l'altro, identificazione empatica.
Accettare il sentimento negativo è umano; riconoscerlo è il primo passo per venirne fuori.
Reprimerlo del tutto potrebbe finire con il trasformarlo in un sentimento totalmente distruttivo; ammetterlo, invece, può farlo diventare una tappa intermedia in vista di un riscatto positivo.
La comprensione permette di essere indulgenti, sapendo come la vita di ognuno possa essere segnata da debolezze e lo stesso errore commesso all'interno del vissuto coniugale non sia da attribuire generalmente a una sola parte, e sia quindi indispensabile riconoscere la propria parte di responsabilità.
L'identificazione empatica è il passaggio successivo; grazie a essa ci si mette nei panni dell'altro/a, cercando di ricreare un clima che faccia superare la reazione emotiva di collera e di scontro e di dar vita a nuove condizioni di perdono e d'incontro.Quando si è in presenza di queste tre componenti, la situazione di separazione - per quanto difficile - viene resa meno esplosiva, se non ridimensionata, e si pongono le premesse per la ricerca di una nuova, affettività.
Il rifiuto comincia a essere rimpiazzato da un nuovo sentimento; più adulto e maturo, perché più consapevole e provato nel crogiolo della sofferenza; più vero e profondo, perché vissuto in piena coscienza e lucidità.

Verso un'opzione di tenerezza
Quanto detto lascia intravedere non solo la possibilità, ma la necessità, per i separati, di orientarsi verso un'opzione di tenerezza che li rigeneri e conferisca alla loro vita un nuovo e più alto significato. Il problema decisivo è che essi siano aiutati a realizzare questo passaggio, ricreando in se stessi una nuova capacità di perdono; in caso contrario, i sentimenti negativi finiranno per prendere il sopravvento, facendo del rancore latente o della delusione dei nemici costantemente in agguato, in grado di distruggere del tutto quel che resta della famiglia. L'esperienza di tanti separati che hanno saputo far trionfare la tenerezza sul rancore, l'amore perdonante sull'odio, la speranza sulla disperazione, testimonia come questa via sia praticabile e dice come solo in un orizzonte di questo genere divenga possibile porre le basi per guarire dalle ferite legate alla separazione, senza dimenticare l'aiuto che viene dall'Alto, dall'ascolto della parola di Dio, dalla preghiera e dalla grazia.

Un aiuto dall’Alto
Il problema sta proprio in questa consapevolezza: il non sentirsi soli nella condizione di coniugo separato. Dio rimane presente. La separazione rappresenta, come ben sanno i separati, un trauma, un evento di grande sofferenza, ma può aprire alla riscoperta della fede, alla riscoperta di un Dio-Tenerezza che dà la forza per non lasciarsi distruggere, ricuperando valori talvolta smarriti. Pare che nel 70-80% dei casi il ritorno alla fede sia cominciato proprio dalla crisi del matrimonio e dall'esperienza di separazione che ne è seguita.
Quando ciò avviene c'è un sostegno in più, un supplemento, per affrontare le nuove situazioni: si sa che non si è soli! Lassù Qualcuno ci ama e veglia su di noi e sui figli, con una presenza che ci accompagna in ogni circostanza:
"Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!" (Mt 10,29-31).
Tale è il fondamento della scelta della tenerezza per i credenti: la certezza che la presenza di Dio pervade tutta la nostra vita.
L'opzione fondamentale della tenerezza è possibile nella misura stessa in cui ogni separato sa attingere da Dio-Tenerezza la forza per ricominciare una vita "altra", affidandosi a lui non in maniera fideistica, ma consapevole, e andando a scuola da lui, sorgente, modello e compimento di ogni tenerezza (2).

Liberamente tratto da:
(1) Dionigi Tettamanzi, Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito, Milano 2008.
(2) Carlo Rocchetta, Vite riconciliate, EDB 2009, p.41-45.

7-La separazione come lutto

di Carlo Rocchetta
Jean Monbourquette equipara il dolore della separazione alla perdita di una persona cara, arrivando a dire che - soggettivamente - la separazione può dimostrarsi addirittura più dolorosa. I motivi sono i seguenti:
1. La morte genera una situazione radicale, irreversibile. Tutto è finito: quella persona non sarà più al suo posto! Il separarsi non riveste questo carattere: l'altro lo si incontra, anche di frequente; un incontro che non è mai indolore e può anzi far sanguinare la ferita che si stava cicatrizzando.
2. Dopo la morte di una persona amata, tutto diventa pretesto per ricordarla, facendo prevalere generalmente la dolcezza su ogni altro sentimento negativo. Dopo la separazione invece gli ex-coniugi sono costretti a ritrovarsi per dirimere questioni giuridiche, patrimoniali, conflitti sui figli e altro, con azioni e reazioni pari alle rabbie maturate nel tempo.
3. Dopo la scomparsa di un congiunto, si tende a idealizzare le sue qualità e i momenti belli passati insieme. Dopo la separazione prevale la tendenza contraria, con il desiderio di vendicarsi o comunque la voglia di rimuovere tutto.
Analogamente alla morte, la separazione esige l'elaborazione di un lutto, con la sua durata e le sue tappe tipiche:
• shock iniziale;
• tentativo di negazione;
• esternazione di emozioni e sentimenti;
• progressiva presa di coscienza di quanto è accaduto;
• senso di colpa e/o ricerca di perdono;
• celebrazione dell'evento luttuoso;
• inizio di una nuova vita.
Liberamente tratto da: Vite riconciliate, EDB 2009, p.19.

8-TESTIMONIANZE

Una separata fedele
La mia famiglia ha vissuto il trauma del suo disfacimento dal gennaio ’95 quando, dopo mesi di difficoltà, mio marito ha lasciato la nostra casa per andare a vivere altrove.
La mia prima sensazione è stata di vuoto, confusione e dolore fisico.
Il mio primo pensiero l’indomani mattina fu: "Come farò a vivere senza di lui?", perché quello che ho patito di più è stato il venir meno di una progettualità quotidiana che era parte integrante della mia vita.
E che dire del dolore del ripudio?
Per me è stato un lutto e come tale ho dovuto rielaborarlo. Ho impiegato tanto tempo, ma ora posso dire di non sentire più dolore e di aver capito molte cose. In questo mio percorso sono stata aiutata molto dalla fede: il credere in Gesù, il riscoprirlo attraverso la lettura della sua Parola e tornare ad amarlo, così come lo amavo da ragazza, come Dio e negli altri, è stata la mia salvezza.
Non mi sono più vergognata della mia nuova condizione, ne ho parlato chi mi frequentava non nascondendo nulla e ho ricevuto tanti aiuti.
Ho lasciato da parte ogni forma di rabbia e rancore e ho cominciato a perdonare chi mi aveva e continuava a procurarmi tanto dolore.
E così, dopo mesi durante i quali non avevo più cucinato, ho ripreso a vivere le cose più semplici e quotidiane della mia vita, ma soprattutto della mia famiglia; ho preso di nuovo le redini in mano e ho detto ai miei figli: "Forza, ragazzi, noi tre continuiamo ad essere una famiglia e possiamo continuare a volerci bene".
Questa è la mia storia.
L’errore che io ho fatto è aver dato per scontato la fedeltà e l’indissolubilità del sacramento del matrimonio. Questi valori erano e sono per me fondamentali, parte di me stessa, invece non lo erano per mio marito ed io con lui non ne avevo mai parlato, perché credevo che l’amore non avesse misura e che la fedeltà fosse la più alta testimonianza di questo amore.
Ho poi imparato, a mie spese, che l’amore senza misura non è per tutti se questo amore non è supportato dall’amore infinito di Dio.
Ho provato in parrocchia a cercare altre persone che erano nella mia situazione per fare gruppo, condividere le esperienze ma ho scoperto di essere sola. Quasi tutti, superato il momento del lutto, si cercano un nuovo compagno/a, non riescono a condividere la scelta di una fedeltà "per sempre", anche se il matrimonio è fallito.
Mi sono così resa conto che la mia scelta di vita è "controcorrente" ma non ho nessuna intenzione di mollare: ho scelto infatti di vivere la mia vita rimanendo "fedele" al mio matrimonio, testimoniando, nell’ambito degli ambienti da me frequentati, l’indissolubilità matrimoniale che è alla base dell’amore coniugale e che ha in Gesù Cristo il suo fondamento e la sua forza.
Mariarosaria
Tratto da: GF 43, giugno 2003.

Due separati risposati
Noi siamo divorziati e risposati, in quella condizione che viene definita dalla Chiesa come "situazione irregolare". Ci siamo conosciuti quando eravamo ormai quarantenni con figli e un divorzio alle spalle.
Tutti e due credenti, abbiamo deciso di stare insieme seguendo le regole della Chiesa: "l'esclusione dal sacramento dell’Eucaristia e della riconciliazione".
Non è stato facile accettare questa situazione, la sofferenza di rimanere seduti nel banco mentre gli altri si accostano all’Eucaristia è veramente grande, comunque in quei momenti ci sentiamo ancora più vicini alla croce di Cristo ed abbracciati dalla sua grande misericordia.
Abbiamo così cercato di percorrere le due vie indicate dal Magistero: quella canonica, che prevede il processo ecclesiastico per la dichiarazione di nullità, e quella pastorale, che comporta l’impegno all’interno della Chiesa anche se divorziati risposati.
Entrambi abbiamo intentato una causa di nullità presso il Tribunale Ecclesiastico, un percorso impegnativo e molto pesante ma unica via possibile per uscire dalla condizione di irregolari e poter celebrare il sacramento del Matrimonio.
Mia moglie ha avuto la sentenza di nullità dopo tre anni, io invece ho superato il primo grado ma non il secondo e dovrei affrontare il terzo grado presso la Rota Romana, ma in questo momento siamo esausti e non ce la sentiamo.
Il secondo cammino è stato possibile soprattutto grazie al nostro vescovo, molto sensibile a queste situazioni.
In questi anni abbiamo partecipato a varie iniziative proposte sia a livello regionale che nazionale, riguardanti i separati e divorziati che desiderano fare un cammino di fede e rimanere all'interno della Chiesa.
Ci siamo confrontati con altre persone nella nostra situazione, e abbiamo sempre riscontrato una grande sofferenza che ci accomuna per il fallimento del matrimonio in cui tutti abbiamo creduto ed anche una grande volontà di continuare a vedere la Chiesa come "Madre" e non "matrigna" nei nostri confronti.
In collaborazione con l'Ufficio Famiglia, quattro anni fa è iniziato nella nostra Diocesi un cammino di preghiera con... "separati, divorziati e coppie regolari" che ha coinvolto nel tempo parecchie persone in questa situazione e chi, pur regolare, è molto vicino a queste problematiche.
Ci auguriamo che il cammino che si sta già facendo all'interno della Chiesa per accogliere chi si trova in queste situazioni si possa ampliare ed evolvere sempre più nel rispetto della "Verità" e della "Carità".
Carlo e Maria Grazia
Liberamente tratto da: Se un amore muore, Monti 2010.

9-UNA PASTORALE PER SEPARATI E DIVORZIATI
Come conciliare "carità e verità"? Come essere accoglienti pur nella salvaguardia del principio dell’indissolubilità?

A cura della Redazione
Si chiede una persona divorziata: "Si deve aver vissuto e sofferto in prima persona il disgusto, l'odio, la colpa, l'umiliazione, le ristrettezze economiche, l'ansia per il futuro, il muro di silenzio, la perdita della maggior parte degli amici, per poter comprendere che cos'è successo e cosa succede alle migliaia di coppie che ogni anno divorziano?".

Un'attesa delusa
Questa domanda è un forte richiamo a saper discernere, a comprendere prima che a giudicare. I separati non pretendono facili giustificazioni, non se le danno nemmeno loro; nemmeno si attendono consolazioni di circostanza. Prima che giudizi (o pregiudizi), però, si aspettano partecipazione e ascolto nella prova. Questa attesa spesso rimane delusa.
Si può riconoscere che, fino a quando permane la speranza di salvare un matrimonio, la comunità cristiana impegna molte risorse, ma se questa speranza viene meno, restano solo il commento fuorviante o il silenzio.
In altre parole, la comunità cristiana segue con varie e appropriate iniziative le coppie sposate, si trova invece in difficoltà a raggiungere le diverse situazioni cosiddette irregolari: chi da separato (o divorziato) si avventura in altre storie; chi si risposa; chi si sposa solo civilmente; chi convive.
In riferimento alla parabola evangelica, si può dire che la pastorale della Chiesa segue bene le pecore che sono dentro il recinto; fatica invece a raggiungere quelle che sono fuori, ma che pure le appartengono in forza del battesimo. Ci sono certamente, in controtendenza, lodevoli iniziative, ma ancora rare ed elitarie, nel senso che non fanno parte di una pastorale d'insieme e comunitaria (1).

Carità nella verità
II principio ispiratore generale affermato dal Direttorio di pastorale Familiare è quello della "carità nella verità": come Gesù "ha sempre difeso e proposto, senza alcun compromesso, la verità e la perfezione morale, mostrandosi nello stesso tempo accogliente e misericordioso verso i peccatori", così la Chiesa deve possedere e sviluppare un unico e indivisibile amore alla verità e all'uomo.
"Carità" dice attenzione alla persona: "verità" dice attenzione al valore e al significato di una scelta fondamentale che quella persona ha compiuto consapevolmente.

L'indissolubilità
Cosa comporta la fedeltà alla "verità"? La Chiesa sa che il matrimonio è un sacramento che ha ricevuto per amministrarlo per il bene degli sposi e della comunità, e sa che "non è lecito all'uomo dividere ciò che Dio ha unito".
L'indissolubilità è una prerogativa fondamentale ed essenziale dell'amore umano a prescindere da una sua comprensione di fede; due innamorati non tollerano che la loro condizione possa essere temporanea e corra il rischio di finire. Il vero amore contiene in sé stesso l'anelito e l'esigenza della definitività. Anche oggi quando i giovani si innamorano, sentono dentro di loro che l'amore deve essere "per sempre".
Ma è anche esperienza comune e diffusa che l'amore umano, che nasce con l'esigenza e l'impegno di essere "per sempre", finisce spesso con l'attenuarsi fino al punto di morire. E frequente cioè che un amore umano, che vorrebbe essere indissolubile, in realtà sia soggetto di fatto al fallimento.
L'indissolubilità oggi è comprensibile pienamente solo alla luce della fede e di una interpretazione sacramentale della propria vicenda di amore. Diventare segno sacramentale dell'amore di Dio significa accettare la logica di Dio, che non si ferma nemmeno di fronte all'infedeltà dell'uomo.
Sposarsi "in Cristo e nella Chiesa" non significa semplicemente scambiarsi davanti a Dio una promessa umana di amore per chiedere il suo aiuto e la sua protezione; significa lasciarsi insieme avvolgere dall'amore e dalla fedeltà di Dio fino al punto da impegnarsi a vivere l'amore, con l'aiuto della Grazia perché non è possibile con le sole risorse umane, con la logica della fedeltà di Dio (2).

La misericordia
Al Magistero della Chiesa non sta a cuore soltanto la chiarezza dei principi, ma il bene vero delle persone: i principi sono a servizio delle persone, e il bene delle persone domanda sempre e prima di tutto attenzione, accoglienza, vicinanza, affetto.
Ma che cosa significa accoglienza?
Sarebbe una semplificazione ingenua pensare che l'accoglienza si risolva con l'ammettere ai sacramenti: sarebbe una scorciatoia che favorisce il qualunquismo, la confusione e, alla fine, l'indifferenza.
Tutto sommato è più facile dare una comunione in più che fermarsi ad ascoltare una persona e accoglierla con il cuore. Quali iniziative pastorali, allora, si potrebbero mettere in atto perché queste persone si sentano davvero accolte nella Chiesa?
Anzitutto è necessario che nella Chiesa si maturi un animo accogliente e si formino delle comunità fatte di uomini e donne accoglienti, attenti alle persone. Questa accoglienza domanda un cambio radicale di mentalità da parte dei sacerdoti ma anche da parte delle comunità.
Potremmo allora formulare qualche proposta concreta.

Proposte concrete
• L'atteggiamento fondamentale che dovrebbe caratterizzare tutti gli operatori pastorali, sacerdoti e laici, per crescere e far crescere nell'accoglienza, è quello dell'ascolto.
• È necessario lavorare per una conversione di mentalità nei confronti della crisi di coppia, per arrivare a considerarla non necessariamente un evento fallimentare, ma piuttosto un passaggio naturale del cammino di coppia e un'occasione di crescita.
• È importante formare persone (anzitutto laici e sposi) e mettere in atto strutture capaci di accogliere e accompagnare le coppie in difficoltà.
• È indispensabile assicurare una formazione adeguata dei sacerdoti: una formazione umana che li renda capaci di relazioni autentiche e di amicizia, in grado di capire i bisogni; è importante però anche una formazione specifica che li prepari a capire i problemi della relazione di coppia e della vita familiare.
• Una attenzione maggiore va posta su molte situazioni coniugali per capire dove ci possono essere le condizioni per un riconoscimento di nullità del matrimonio. Spesso infatti la fragilità della relazione ha le sue radici nella mancanza, fin dall'inizio, di uno dei requisiti essenziali del matrimonio (ad esempio la libertà, la maturità necessaria, la disponibilità alla procreazione, ecc.). Gli operatori pastorali devono conoscere quali sono le condizioni più comuni che possono aver reso nullo alla radice il matrimonio.
• Più a monte, va operata, sul piano pastorale generale, una "conversione alla comunione". In una comunità che vive relazioni intense, le difficoltà di coppia o le situazioni particolari possono meglio venire assorbite e trovare risposte di solidarietà, di sostegno e di aiuto.
• Si possono poi creare dei gruppi specifici a sostegno delle persone separate o divorziate, soprattutto di quelle che hanno subito dolorosamente tale condizione.
• Le coppie di divorziati che sono passati a un nuovo matrimonio, se desiderano vivere l'impegno cristiano personale e comunitario vanno invitate a far parte dei gruppi operativi del la comunità. Esse vanno aiutate a capire che la loro esclusione dalla Comunione sacramentale, anche se può essere vissuta dolorosamente specialmente dalle persone più sensibili, non è motivo per escludersi dalla ricchezza delle relazioni e delle attività comunitarie.
• Sono convinto però che, dopo un primo percorso, in un gruppo specifico, i separati, i divorziati, i divorziati risposati, dovrebbero trovare spazio per la loro formazione nei normali gruppi famiglie della parrocchia o nelle altre iniziative per sposi e genitori (gruppi di preparazione al battesimo, percorsi di genitori in parallelo alla catechesi dei figli, gruppi di spiritualità familiare, associazioni e movimenti che curano la formazione di adulti3.
Liberamente tratto da:
(1) Luigi Lorenzetti, Separati… anche dalla Chiesa?, in: Famiglia Oggi, n.4 2008, p.57.
(2) Sergio Nicolli, Una Chiesa che sa accogliere, in: Famiglia Oggi, n.4 2008, p.10-11.
(3) Ibidem, p.16-17.

10-L’ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO
Tanti luoghi comuni, tanti stereotipi ma, in pratica, chi ci può accedere e quanto costa?

di Omar Larios Valencia*
Molte sono le domande o le perplessità che vengono poste sul tema dell’annullamento dei matrimoni religiosi. Vediamone alcune.
- La Chiesa insegna che il matrimonio è indissolubile, allora perché lo dichiara nullo?
- Come è possibile dichiarare nullo un matrimonio se ci sono dei figli?
- La Chiesa non vuole il divorzio ma annulla i matrimoni.
- La Chiesa si è trovata in crisi con il matrimonio e soprattutto con il divorzio e corre ai ripari con la dichiarazione di nullità.
Sono domande tra il serio e l’impertinente ma meritano comunque una risposta chiara.

Il matrimonio sacramento
Innanzi tutto è bene chiarire che quando si parla di annullamento ci si riferisce esclusivamente al matrimonio celebrato con rito religioso, cioè al matrimonio Sacramento.
Trattandosi di un Sacramento non è difficile capire perché sia solo la Chiesa in grado di valutare se quel Sacramento è stato ricevuto validamente o meno: nessun altro potere potrà pronunciarsi sull'esistenza o meno del Sacramento del matrimonio.
Mentre con il divorzio il tribunale civile dichiara la fine di un matrimonio, con l’annullamento il tribunale ecclesiastico dichiara che quel matrimonio non è mai esistito, anche se è stato celebrato solennemente, possono essere nati dei figli e può essere durato parecchio tempo. Questo perché il tribunale riconosce che quel matrimonio Sacramento non è mai nato, cioè che il consenso nuziale è invalido.

Quando un matrimonio è nullo?
Chi ritiene che il suo matrimonio sia nullo, oppure semplicemente desidera fare chiarezza sulla propria situazione matrimoniale precedente, può chiedere informazioni al proprio parroco o alla curia diocesana. Si rivolge poi a un patrono (avvocato) abilitato ad esercitare presso il Tribunale ecclesiastico. Assieme al patrono si analizza in profondità la propria vicenda coniugale (soprattutto nel periodo precedente il consenso matrimoniale). Se emergono motivi che danno fondatezza a una domanda di nullità matrimoniale, si presenta una domanda ("libello") al tribunale ecclesiastico diocesano o a quello regionale.
Una volta presentato il libello, inizia il cosiddetto 'processo', il cui scopo non è quello di attribuire eventuali colpe nell'andamento della relazione, ma piuttosto di cercare la verità della situazione matrimoniale.
Nel corso del processo viene data la possibilità ai due coniugi di dire la loro versione dei fatti circa la vicenda del fidanzamento e del matrimonio.
Vengono interpellati anche dei testimoni (di solito familiari e amici dei coniugi) i quali, con le loro deposizioni, aiutano a fare maggiore chiarezza sulla vicenda che si è chiamati ad esaminare. Data l'importanza e la delicatezza dell'argomento si richiede, da parte di tutti, l'impegno di dire la verità. Inoltre tutto quello che si apprende viene trattato con la dovuta riservatezza, rispettando la privacy delle persone.

Quanto dura una causa?
Si tratta di una questione complessa, in quanto ogni causa che viene esaminata presenta le sue particolarità.
Il primo grado dovrebbe concludersi in un anno, e l'appello in sei mesi. Tuttavia alcune cause possono richiedere tempi più lunghi.
Ciò succede qualora, ad esempio, uno dei due coniugi non voglia intervenire nel procedimento, oppure nei casi in cui siano necessarie perizie psicologiche, o se la causa presenta delle situazioni complesse da esaminare e da accertare. L'impegno comune cui si tende, in ogni caso, è quello di coniugare sempre insieme la ricerca della giustizia con la ricerca della giusta celerità nel dare una risposta alla domanda di nullità presentata.

Quanto costa una causa?
È purtroppo diffusa la diceria che chiedere la nullità del matrimonio sia qualcosa di possibile solo per persone ricche con forti disponibilità economiche. Non c'è nulla di più falso! Infatti dal 1998 è in vigore una normativa della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) che disciplina questa materia con norme comuni per tutta l'Italia.
Il principio fondamentale cui queste norme si ispirano è questo: "la dichiarazione di nullità del matrimonio è un aiuto pastorale, che riguarda la vita cristiana dei fedeli".
Pertanto, la Chiesa si preoccupa che il contributo economico richiesto per le spese processuali e per l'assistenza da parte di un patrono ("avvocato") non allontani i fedeli, che abbiano fondati motivi per avvalersene, da tale strumento, riguardante la loro coscienza e la loro vita cristiana.
Per chi si trovasse in serie (e documentate) difficoltà economiche, sono previsti sia la dispensa totale o parziale dalle spese processuali, sia la possibilità dell'assistenza gratuita da parte del patrono stabile del Tribunale ecclesiastico o da un patrono d'ufficio incaricato dal Tribunale stesso.
Di conseguenza, oggi, nessuno è privato della possibilità di accedere alla dichiarazione di nullità del matrimonio per motivi economici.
Il costo che un fedele deve sostenere per una causa di nullità riguarda comunque due voci: il contributo richiesto dal Tribunale ecclesiastico per le spese processuali e l'onorario per il patrono, cioè l'esperto che lo assiste nell'introdurre la causa e nel corso del processo canonico.
Il primo è fissato in 500 euro, il secondo è fissato a 1500 euro più tasse, salvo casi particolari. Le perizie di parte (p.e. di tipo psicologico) vanno pagate a parte.
* Membro del Tribunale Ecclesiastico Regionale Piemontese e Vicario Giudiziale della diocesi di Pinerolo
Liberamente tratto dal libro dell’autore: Il matrimonio, leggi della chiesa e applicazioni pastorali, Effatà Editrice, Cantalupa (TO), 2007.

11-TESTIMONIANZE

Essere accolti: come?
Sono una divorziata risposata e vorrei dire due parole sulla mia condizione ai laici e ai preti.
Ai laici, perché davvero tante volte ignorano che la Chiesa ha parole di accoglienza nei loro confronti: una Chiesa che li invita ad ascoltare la Parola di Dio e a compiere opere di carità verso poveri che sono anche i divorziati risposati. La Chiesa può servirsi di noi, ma occorre che anche noi contribuiamo affinché essa capisca nella sua complessità il nostro problema e, da quella madre che Dio l'ha costituita per tutti, provveda un pochino anche a noi.
Ai preti, perché io trovo che ci siano tante contraddizioni tra le buone intenzioni dichiarate e la realtà della prassi.
La Chiesa dice che mi accoglie, ma la mia sensazione dominante è che essa è in attesa che io ritorni ad essere "normale". Di fatto non parla con me del mio problema: mi utilizza come occasione di meditazione e di autoconversione per gli altri, i "normali"...
Quando ero solo separata, potevo svolgere attività all'interno della comunità ecclesiale, per esempio, fare catechismo; poi non è stato più possibile, ma anche perché io stessa sapevo che era impossibile...
Attualmente io non servo a nessuno e mi sono proposti, caso per caso, quei servizi che consentono alla comunità di ignorare la mia effettiva realtà. Ma invece è solo da questo che io devo partire, nel momento in cui desidero entrare in una relazione autentica con gli altri, con qualsiasi altro...
Emanuela
Liberamente tratto da: Se un amore muore, Monti 2010.

Sacramenti e S/D/R
Trattando di separati, divorziati e soprattutto di risposati, l'attenzione non può eludere la questione dei Sacramenti, in particolare l'Eucaristia.
Questa, prima che essere una distribuzione di grazia individuale, è ciò che fa la comunità, la Chiesa.
Sul versante "individuale", occorre anzitutto aiutare coloro che non sono in condizione di ricevere i Sacramenti a "recuperare il senso della loro partecipazione ecclesiale", entrare in un'ottica più comunitaria, incoraggiandoli a vivere davvero l'Eucaristia anzitutto come una partecipazione alla comunità di Gesù. È brutto quando si sente dire da alcuni dei S/D/R: "Sono andato in chiesa e mi sentivo gli occhi di tutti su di me; allora sono andato in un'altra chiesa dove non mi conoscevano". Ma che senso ha quell'Eucaristia, se non ti fa partecipare alla comunità di Gesù, se si riduce a qualcosa di individualistico, di intimistico?
Sul versante "comunitario", però, si apre qui un compito importantissimo, quello anzitutto di "fare delle Messe delle vere celebrazioni ecclesiali", con tutta la partecipazione ecclesiale che esse comportano.
Se uno va a Messa e non risponde nessuno, non canta nessuno, vien fatta una predica sbilenca, e magari questi non può neanche fare la comunione in quanto divorziato risposato, che cosa ha potuto vivere in quel tempo e in quel luogo, o meglio in quella assemblea di cristiani?
Quanto diversa sarebbe, invece, un'Eucaristia in cui ci fosse un minimo d'accoglienza, un gruppo che preparasse la liturgia, i canti, le letture, i commenti, un sacerdote che svolgesse una bella omelia, tra l'altro sapendo che potrebbe avere davanti a sé anche delle persone divorziate risposate.
Allora si sentirebbe fortemente il senso di appartenenza a quella comunità!
Liberamente tratto da: Eugenio Zanetti, relazione al convegno: La comunità cristiana e la pastorale per separati e divorziati, Cesena, marzo 2010.

Un cammino di fede
Ho 55 anni ed un figlio di 20, sono separata da 7 anni, lavoro saltuariamente come badante, mi sono separata dal coniuge dopo 30 anni di matrimonio; ho ricevuto un'educazione rigida e mi sono sposata senza nessuna esperienza, volevo l'amore con la A maiuscola e la famiglia era tutto quello che desideravo.
Già dall'inizio il matrimonio è stato caratterizzato da liti furibonde, violenze fisiche in maniera sistematica e costante, violenze psicologiche, umiliazioni, denigrazioni, tradimenti.
Tutto dentro le mura domestiche, perché all'esterno l'immagine era quella di una famiglia felice.
Anche con la nascita del figlio la situazione purtroppo non cambiò. Anzi, la violenza di mio marito si riversava anche su nostro figlio. A quel punto ho affrontato la separazione.
È stata un'esperienza triste e angosciante e mi sono sentita sola con il mondo che mi crollava addosso. L'unico sostegno, gli amici erano tutti spariti, mi è venuto dalla Fede.
Quando ho letto che nella mia città nasceva un gruppo per persone separate e divorziate ho deciso di parteciparvi.
Nei primi incontri non vedevo niente di eccezionale, invece poi, frequentandoli assiduamente mi sono sentita sempre più coinvolta sia dal punto di vista emotivo che spirituale; ho trovato tanti nuovi amici e pian piano ho sentito che il mio cuore iniziava a guarire dalle ferite più profonde, il mio io si rafforzava e il mio cammino di fede si sviluppava sempre di più, mi sembrava di correre verso il Signore che, nonostante tutto, sentivo che non mi aveva mai abbandonato.
Ho scoperto la bellezza della preghiera del cuore che mi ha aiutato ad abbandonarmi nelle mani del Signore piuttosto che a ripiegarmi su me stessa e a rimuginare sulle tribolazioni che ancora oggi vivo; le difficoltà rimangono, ma cerco di affrontarle giorno per giorno e di affidarmi a Gesù.
Marianna

12-IL MAGISTERO E LE SITUAZIONI MATRIMONIALI IRREGOLARI
Imparare a distinguere le diverse situazioni per evitare confusioni ed errori

di Sergio Nicolli
Quando si è di fronte ad un fallimento matrimoniale sovente si "fa di ogni erba un fascio". Ma questo è un atteggiamento poco rispettoso dell’altro perché può portare ad emettere giudizi fuori luogo.

I separati
Iniziamo dalla separazione.
Questa non deve mai essere considerata come una situazione irreversibile, ma come un tempo di ripensamento e di riflessione. Spesso una ragionevole distanza porta a vedere in maniera più obiettiva, e più benevola, il coniuge e a rendersi conto con sofferenza della sua mancanza.
La Chiesa, in certi casi di grave difficoltà a vivere insieme, dopo aver fatto tutto quanto si poteva fare per ricuperare la relazione, ammette la separazione fisica degli sposi e la fine della coabitazione.
I separati sono persone che, avendo attraversato un periodo di intensa sofferenza e spesso portandosi dietro conseguenze di onerose responsabilità, hanno bisogno di attenzione, di affetto, di solidarietà e di aiuto.
Così si esprime la Familiaris consortio (n.83): "La solitudine e altre difficoltà sono spesso retaggio del coniuge separato, specialmente se innocente.
In tal caso la comunità ecclesiale deve più che mai sostenerlo; prodigargli stima, solidarietà, comprensione ed aiuto concreto in modo che gli sia possibile conservare la fedeltà anche nella difficile situazione in cui si trova; aiutarlo a coltivare l'esigenza del perdono propria dell'amore cristiano e la disponibilità all'eventuale ripresa della vita coniugale anteriore".
"La loro situazione di vita non li preclude dall'ammissione ai sacramenti: a modo suo la condizione di separati è ancora proclamazione del valore dell'indissolubilità matrimoniale" (Direttorio di pastorale familiare, n.209).
Non è raro trovare persone, laici e anche preti, convinti che i separati siano esclusi dai sacramenti: si tratta di una intransigenza immotivata e ingiusta. Esistono anzi molte persone separate che, avendo subito la separazione, continuano a dare una testimonianza eroica di fedeltà al proprio coniuge: a queste persone potrebbe esser proposto di esercitare, insieme con qualche coppia, il ministero della preparazione dei fidanzati al matrimonio!
L'esperienza del fallimento e della sofferenza talvolta li rende idonei a essere nella Chiesa una grande risorsa che va valorizzata e che può ridare pienezza alla loro vita. Perché questo avvenga, i separati che intendono restare fedeli al coniuge anche quando non c'è più speranza di un rifiorire della vita familiare, hanno bisogno di un forte sostegno morale e spirituale.

Divorziati non risposati
Consideriamo ora i divorziati non risposati. Nella maggior parte dei casi la separazione, dopo un certo tempo, si trasforma in divorzio: le attuali legislazioni in Europa agevolano sempre più questo passo.
In questo caso è necessario distinguere (per quanto possibile) tra chi ha voluto il divorzio avendolo colpevolmente provocato e chi invece lo ha subito oppure vi ha fatto ricorso costretto da gravi motivi connessi con il bene proprio o dei figli.
In ogni caso il credente è consapevole che il divorzio legale non rompe il vincolo coniugale: cercherà pertanto di non chiudere mai definitivamente, per quanto lo riguarda, la possibilità di una riconciliazione.
Vediamo un primo caso: "Nei confronti di chi ha subito il divorzio, l'ha accettato o vi ha fatto ricorso costretto da gravi motivi, ma non si lascia coinvolgere in una nuova unione e si impegna nell'adempimento dei propri doveri familiari [...] la comunità cristiana esprima piena stima[...] viva uno stile di concreta solidarietà, attraverso una vicinanza e un sostegno, se necessario, anche di tipo economico, specialmente in presenza di figli piccoli o comunque minorenni" (n.211). Per quanto riguarda l'ammissione ai sacramenti, vale per chi ha subito il divorzio quanto detto sopra per i separati.
Nel secondo caso il coniuge che è moralmente responsabile del divorzio, ma non si è risposato o non vive di fatto una nuova unione, "deve pentirsi sinceramente e riparare concretamente il male compiuto" (n.212) per poter accedere alla Riconciliazione e alla Comunione sacramentale.

Divorziati risposati
Passiamo ora ai divorziati risposati, la situazione più problematica che riguarda coloro che, dopo il fallimento del primo matrimonio e dopo aver ottenuto il divorzio, passano a nuove nozze.
Molte persone che si trovano in questa condizione, non la ritengono in contrasto con il Vangelo perché, con un ragionamento di "buon senso" umano che non va molto per il sottile, affermano che, dopo la sofferenza che ha accompagnato la fine di un matrimonio, nessuno può impedire di rifarsi una nuova vita affettiva; suppongono che Dio stesso, buono e misericordioso, che perdona ogni genere di peccati, anche i più gravi, possa essere d'accordo.
Altre persone invece dopo il divorzio ritrovano la possibilità di una vita serena e passano a una nuova unione civile (non potendo risposarsi in chiesa).
Queste persone, "pur sapendo di essere in contrasto con il Vangelo, continuano a loro modo la vita cristiana, a volte manifestando il desiderio di una maggior partecipazione alla vita della Chiesa e ai suoi mezzi di grazia. Sono situazioni che pongono un problema grave e indilazionabile alla pastorale della Chiesa" (n.213).
La Familiaris consortio (n.84) afferma chiaramente che i divorziati risposati non possono essere ammessi alla Riconciliazione sacramentale e alla Comunione, "dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia. C'è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all'Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio".

Carità nella verità
È interessante però quanto affermano i vescovi italiani nel Direttorio di pastorale familiare a proposito di queste situazioni. Pur riaffermando l'impossibilità di accedere ai sacramenti, invitano gli operatori pastorali a un "ponderato discernimento" delle diverse situazioni e affermano: "Ogni comunità cristiana eviti qualsiasi forma di disinteresse o di abbandono e non riduca la sua azione pastorale verso i divorziati risposati alla sola questione della loro ammissione o meno ai sacramenti [...] i divorziati risposati sono e rimangono cristiani e membri del popolo di Dio e come tali non sono del tutto esclusi dalla comunione con la Chiesa [...] si mettano in atto forme di attenzione e di vicinanza pastorale. Ogni comunità ecclesiale, di conseguenza, li consideri ancora come suoi figli e li tratti con amore di madre; preghi per loro, li incoraggi e li sostenga nella fede e nella speranza [...] ci si astenga dal giudicare l'intimo delle coscienze, dove solo Dio vede e giudica" (n.215).
Liberamente tratto dall’articolo dell’autore: Una Chiesa che sa accogliere, in Famiglia oggi, n.4 2008, p.12-14.

13-CONVIVENZE E MATRIMONI CIVILI

Da qualche tempo a questa parte, anche nel nostro paese tendono ad aumentare le convivenze...
Anche se la cultura contemporanea tende a legittimare queste convivenze, la Chiesa non può non riaffermare che esse sono in contrasto con il senso profondo dell'amore coniugale: esso, oltre a non essere mai sperimentazione e a comportare sempre il dono totale di sé all'altro, richiede per sua intima natura un riconoscimento e una legittimazione sociale e, per i cristiani, anche ecclesiale.
L'individuazione precisa delle vere ragioni che hanno condotto alla semplice convivenza permetterà di offrire contributi più efficaci e mirati per aiutare queste persone a chiarire la loro posizione, a superare le difficoltà incontrate, a spianare la strada verso la regolarizzazione del loro stato: rimane questa, infatti, la meta verso cui tendere.
Anche la crescente diffusione di matrimoni tra cattolici celebrati solo civilmente interpella la Chiesa e le chiede un'urgente e puntuale azione pastorale.
Pur riconoscendo in tale scelta qualche elemento positivo connesso con la volontà di assumerne i diritti e gli obblighi e di chiederne il pubblico riconoscimento da parte dello Stato, si deve innanzitutto riaffermare che si tratta di una situazione inaccettabile per la Chiesa.
Nel prendersi cura di questi suoi figli, la Chiesa, analogamente a quanto è chiamata a fare per i divorziati risposati, li aiuti e li solleciti a partecipare alla vita della comunità cristiana, pur nei limiti dovuti alla loro non piena appartenenza ad essa. Sia anche attenta a discernere i motivi concreti che li hanno portati a scegliere il matrimonio civile e a rifiutare, o almeno rimandare, il matrimonio religioso.
L'individuazione di questi motivi - quali, ad esempio, la perdita della fede, la non comprensione del significato religioso del matrimonio, la critica del matrimonio concordatario, la pressione dell'ambiente culturale o di alcune rivendicazioni ideologiche, la tendenza a vivere l'unione civile quasi come un "esperimento" - permetterà, infatti, di calibrare e precisare meglio gli interventi pastorali per aiutare i singoli interessati a superare la loro situazione.
CEI, Direttorio di pastorale familiare, 1993, n.227-228.221

14-EDUCARE ALLA VITA BUONA DEL VANGELO IN UNA FAMIGLIA SPEZZATA
Per il figlio la rottura della coppia è inimmaginabile

Quali sono le conseguenze sui figli di questa scelta operata o subita dagli adulti che sono responsabili della educazione delle giovani generazioni?
Quali i compiti dei genitori separati per salvaguardare la crescita dei figli?

di Raffaella Iafrate*
È da queste domande che occorre partire per capire quale specificità di scelte educative richiede la situazione della famiglia separata.
In generale da tutte le ricerche condotte soprattutto in ambito internazionale, si rileva che l'evento separazione, in quanto imprevedibile e traumatico per i figli (poiché psichicamente inatteso e stravolgente l'ordine familiare), comporta sempre una quota significativa di sofferenza e una necessità di cambiamento a livello affettivo ed organizzativo, anche quando, nella migliore delle ipotesi, non si rilevano effetti di conclamato disagio o patologia.

Non basta la resilienza
Nonostante la recente enfasi attribuita oggi dalle ricerche al concetto di resilienza dei figli del divorzio, ossia a quella capacità non solo di resistere e di far fronte ad eventi traumatici, ma addirittura di uscirne rafforzati, è innegabile come sia di fatto impossibile censurare il tema della sofferenza di chi sperimenta la separazione dei genitori: anche i contributi che sottolineano la capacità di resilienza dei figli del divorzio non parlano affatto di una "forza" simile all'invulnerabilità di cui tali figli sarebbero dotati grazie all'esperienza vissuta, quanto piuttosto del risultato di un comunque lungo e faticoso processo di gestione del dolore che può effettivamente consentire di rilanciare la fiducia nel legame, ma che deve fare inevitabilmente i conti con la perdita e la sofferenza.

Cosa desiderano i figli
Proviamo a calarci nella mente dei figli: qual è il loro più grande desiderio? Il bene dei figli è - permettetemi di usare una bella immagine del prof. Cigoli - portare in salvo gli dei.
Gli dei sono ovviamente i genitori. Il bene del figlio corrisponde ad un'operazione in cui gli dei vengono portati in salvo.
Quindi la prima cosa è portare in salvo gli dei perché sappiamo che nella mente del bambino è data per scontata una presenza divino-genitoriale, ma è addirittura dato per scontato il fatto dell'unità degli dei.
Non è per niente pensabile alla mente infantile una separazione tra il padre e la madre, perché non ci sta. Se poi questo avvenga nella vita concreta è un altro discorso, ma nella mente infantile non ci sta assolutamente.
Possiamo quindi cominciare ad intuire il dramma profondo che comunque la generazione successiva viene ad affrontare con la separazione dei genitori.
Per il figlio la rottura della coppia dei genitori è inimmaginabile, e facilmente, all'inizio, lo fa cadere in preda all'angoscia. Se loro si separano a lui cosa succederà?
Il divorzio assume per i figli il significato di una rottura di un'unità originaria dalla quale proviene e di cui è il segno.
A fronte di una rottura, il bisogno di un figlio è che i genitori siano comunque messi in salvo. Comunque.

I figli adolescenti
La ricerca e la pratica clinica mostrano inoltre che se l'evento separazione si accavalla ad altri eventi critici (anche normativi e prevedibili come l'adolescenza del figlio o la sua transizione all'età adulta) le conseguenze sulle giovani generazioni possono divenire ulteriormente problematiche: ecco perché occorre prestare particolare attenzione alle conseguenze che la separazione esercita sui figli adolescenti e giovani adulti che vivono queste transizioni.

Salvare i legami familiari
A fronte di tali risultati delle ricerche possiamo dunque interrogarci su quali strade possano essere percorse oggi per cercare di "portare in salvo i legami familiari" anche in queste situazioni di crisi e di frattura. Come cioè riuscire a realizzare quella "vita buona del Vangelo" anche in situazioni di famiglie spezzate.
In sintesi, l'indispensabile impegno richiesto ai genitori separati sembra essere quello di "salvare la genitorialità". Ciò implica da parte degli ex-coniugi, portare in salvo qualcosa di buono del legame coniugale, mantenendo anche una "quota" di coniugalità la cui funzione, come si è visto, non è senza effetti anche sull'esercizio della genitorialità stessa. È utopico ed astratto pensare che si tratti solo di una modificazione di ruoli. Gli anni passati insieme come coniugi, con il loro carico di speranze e delusioni, fanno comunque parte della propria storia e inoltre una almeno minimale stima e comprensione dell'altro è la base per attuare una collaborazione educativa.

Uno spazio per l'assente
In conclusione, i genitori separati, in particolare il genitore affidatario, sono prima di tutto chiamati a consentire al figlio l'accesso alla "parte mancante", intendendo con questo sia la possibilità di accesso reale all'altro genitore, sia quella di accesso simbolico alla sua storia. Il "monogenitore" ha cioè il compito di rispettare le radici del proprio figlio che è sempre frutto di due storie e di una molteplicità di legami familiari e sociali.
"Creare uno spazio per l'assente" e garantire l'accesso all'altro genitore, può significare allora aprire una porta sul dolore o sul conflitto, ma anche consentire al figlio di appropriarsi realisticamente della propria storia, accostando la speranza al dolore e cercando di dare un senso alla trasformazione alla quale sono stati sottoposti i suoi legami.
È noto che nel divorzio l'accesso all'altro è messo fortemente a rischio dalla conflittualità tra ex-coniugi: il problema è estremamente grave perché solo se un figlio ha la possibilità di accedere alla sua storia e alle sue stirpi, avrà la possibilità di trattarle.
Se ciò non avviene, sia perché i padri si distaccano, si disimpegnano, sia perché le madri - e con loro le famiglie d'origine - se ne appropriano, le cose si fanno molto pericolose. L'esproprio nel tempo si sconta e a pagarne le conseguenze sono gli stessi figli, per non dire addirittura le generazioni successive.

Garantire la genitorialità
Per i figli è a rischio - come abbiamo visto - la speranza nel legame e la fiducia nel percepirsi capaci di creare legami duraturi. In tal senso può essere messa a dura prova anche la concezione stessa di persona come potenzialmente generativa di legami benefici.
Risulta pertanto di fondamentale importanza garantire, al di là della frattura coniugale, la cura della continuità del legame genitoriale, garantendo al figlio un accesso ad entrambi le stirpi di appartenenza, rispettando il suo diritto a confrontarsi con le proprie origini, che sono -ricordiamolo- al tempo stesso familiari e sociali. La negazione di questo diritto è uno dei più grandi gesti di ingiustizia che un genitore solo possa compiere contro il proprio figlio, travolgendolo nel fallimento del rapporto coniugale e non salvaguardando il suo diritto a godere della dimensione simbolica del legame genitoriale del quale egli resta comunque il segno indissolubile.
* Professore Associato di Psicologia Sociale, Università Cattolica di Milano
Liberamente tratto dall'intervento dell'autore al convegno: Luci di speranza per la famiglia ferita, Salsomaggiore (PR), 22-26 Giugno 2011.

15-LA SCATOLA DEI SEGRETI

Cosa scrivono i bambini
• Non pensate comunque che noi bambini non capiamo quello che sta succedendo, anzi i bambini hanno il sesto senso, quindi potrebbero sapere quello che voi pensate, grazie alle vostre espressioni e alla nostra forza dell'immaginazione.
• Anche se voi potete pensare che noi non soffriamo, magari mentre voi strillate, noi siamo in cameretta con la testa sotto il cuscino per non sentirvi, gli occhi chiusi, che singhiozzano, ma hanno le mani sulla bocca per non farci sentire da voi, ma comunque con le grida e con i vostri pensieri non ci sentireste comunque, i vostri pensieri comunque non saranno mai così gravi e seri come i nostri. Non pensate che noi siamo ingenui e non capiamo, anzi!…
• Papà, io non voglio che la tua fidanzata venga a vivere con te per una serie di motivi. Sì, mi sta molto simpatica, ma se viene a vivere con noi, tu sarai sempre al lavoro e sarà lei a rimanere a casa con noi e a dirci cosa fare come se fosse nostra mamma. Ed io non voglio che questo accada, anche se so che non potrà mai prendere il posto di mamma. Perciò non voglio che venga a vivere con noi.

Cosa rispondono i genitori
• Certo è che le vostre parole sanno veramente colpire forte e duro!! È chiaro che state soffrendo e la colpa è solo e ripeto solo nostra. L'unica parola che mi viene da dirvi è "non preoccupatevi". Anche se in forma strana o solo diversa dalle altre famiglie, ci siamo e saremo sempre al vostro fianco.
• Cari bambini, avete ragione a non volere sentire noi grandi litigare. È una cosa che non dovrebbe mai accadere, perché i problemi che esistono tra gli adulti, anche tra mamma e papà, non dovrebbero coinvolgere voi ragazzi.
Testi raccolti da Costanza Marzotto nell'ambito dei Gruppi di Parola.
Liberamente tratto dalle slides dell'autore al convegno: Luci di speranza per la famiglia ferita, Salsomaggiore (PR), 22-26 Giugno 2011.

16-I GRUPPI FAMIGLIA E LE COPPIE IN DIFFICOLTÀ
I suggerimenti della Commissione Famiglia di Trento

Una crisi di coppia matura ed esplode più facilmente quando la famiglia è isolata rispetto alle altre: ci si trova soli di fronte ai problemi della vita e di fronte ai problemi educativi, e perciò è facile enfatizzare i problemi e ingigantirli al punto da avvertirli come insopportabili; molti problemi si risolvono facilmente al loro nascere perché ci si confida con qualcuno e si trova la soluzione o si scopre che non era poi così grave…
La comunità cristiana dovrebbe essere caratterizzata soprattutto da una rete fittissima di relazioni interpersonali di aiuto, di ascolto vicendevole, di solidarietà… in altre parole di comunione; se la Chiesa è luogo di comunione e di condivisione, anche la piccola comunità familiare si trova aiutata a condividere e, quando arriva il momento di una difficoltà particolare, sa dove chiedere aiuto perché si sente circondata da amici, anzi da fratelli e sorelle.
Un gruppo-famiglie non deve essere chiuso rispetto al resto della comunità: esso può essere una grande risorsa che dà un contributo determinante alla costruzione della comunità come realtà di comunione.
Ma il gruppo-famiglie può essere anche un luogo di formazione a un ministero particolare in ordine alla "riconciliazione" delle coppie in difficoltà. La relazione di particolare confidenza che si stabilisce tra le coppie di un gruppo consente, infatti, anche di condividere, oltre alle esperienze positive, anche le difficoltà che ogni coppia attraversa nella sua storia; la condivisione e la riflessione, alla luce della Parola e dell'esperienza, può far crescere negli sposi una particolare sensibilità, capace di comprendere a fondo la complessità della vita familiare e le difficoltà e le fatiche che caratterizzano la vita di ogni famiglia.
Da un gruppo-famiglie perciò potrebbero essere formate alcune coppie o persone particolarmente adatte ad accompagnare nella comunità gli sposi in difficoltà o capaci di farsi presenti con discrezione là dove si manifestano dei segnali indicatori di una situazione di difficoltà relazionale.
Arcidiocesi di Trento, Commissione diocesana Famiglia, La crisi di coppia, evento fallimentare o occasione di crescita? Approfondimenti, febbraio 1999
Testo non disponibile in rete.

Per il lavoro di gruppo
• Avete mai pensato di invitare, con le dovute attenzioni, una coppia in difficoltà a far parte del gruppo?
• Come vi comportereste se una coppia del vostro gruppo entrasse in un momento particolare di difficoltà nella relazione?
• Tra gli argomenti affrontati in un programma di gruppo vengono affrontati anche i temi legati al disagio relazionale con un taglio di concretezza e di attenzione alle situazioni quotidiane, o vengono privilegiati argomenti ideali collegati al "dover essere"?
• L'esperienza del vostro gruppo matura almeno in qualche coppia una particolare sensibilità, "competenza" e disponibilità nei confronti di coppie della vostra comunità che vivono una situazione di disagio?

17-IMPARARE AD AVERE FIDUCIA
Una pastorale per separati, divorziati e risposati

di Eugenio Zanetti
Sviluppando una pastorale per i separati o divorziati, potrebbe essere mossa un'accusa di questo genere: "Ma la Chiesa aprendosi anche ai divorziati risposati allora non crede più nel matrimonio, anche lei sta cambiando?". Può sembrare sorprendente, ma la risposta a tali obiezioni è proprio il contrario: proprio attraverso l'accostamento, il coinvolgimento e la collaborazione di persone separate o divorziate risposate la Chiesa può riscoprire il vero senso del sacramento del matrimonio!
Infatti, nessuna persona separata è contenta di ciò che è avvenuto. Quando le persone soffrono per quello che non hanno potuto realizzare, attestano precisamente che è bello il matrimonio, è qualcosa di importante, proprio perché ne hanno provato la privazione, per non parlare poi dei problemi e della sofferenza dei figli. Allora la pastorale per persone separate o divorziate risposate viene a collocarsi dentro la generale pastorale della famiglia, per poter essere di giovamento alla stessa pastorale del matrimonio e della famiglia.

Per le persone coinvolte
Sul versante "individuale", ciò significa che queste persone possono essere opportunamente "chiamate a collaborare nella pastorale familiare", certo con la dovuta preparazione e cautela. Ma prima di pensare ad attività extrafamiliari, occorre preoccuparsi alle esigenze intrafamiliari che possono permanere anche dopo una separazione e cioè al tema dei "figli".
Un buon cammino su di sé dovrebbe portare il coniuge S/D/R anche ad essere più corretto e ben disposto nei confronti degli eventuali impegni genitoriali che continuano anche dopo una separazione. Il primo frutto che una pastorale per S/D/R può e deve arrecare alla pastorale familiare è, infatti, proprio quello di favorire un miglior rapporto fra coniugi separati nella gestione dei propri figli.
La collaborazione dei S/D/R si allarga poi all'ambito comunitario; da una parte potrebbe rendere le iniziative in ambito di pastorale familiare più concrete, incisive e coinvolgenti; dall'altra, potrebbe offrire a queste persone la possibilità di far rifluire il frutto della rielaborazione spirituale fatta sul proprio vissuto nella pastorale verso chi è nelle loro stesse condizioni, ma anche verso chi sta affrontando la scelta matrimoniale.

Per la comunità cristiana
Sul versante "comunitario" si richiede allora "fiducia in queste persone", evitando di guardarle sempre con sospetto: se esse hanno fatto davvero un cammino di elaborazione e di discernimento, è importante poter poi mettere in circolo la loro esperienza come potenza, come forza, come possibilità anche per altre persone; non bisogna averne paura e magari escluderle anche dalle attività parrocchiali che possono tranquillamente svolgere.
È comunque fondamentale che il coinvolgimento pastorale di queste persone (come d'altra parte di tutti i fedeli) va fatto dentro un progetto spirituale serio; un coinvolgimento che tuttavia sembra oggi sempre più necessario, visto il grande aumento delle separazioni e la forte crisi che il matrimonio sta attraversando.
È importante che la comunità cristiana sappia valorizzare la testimonianza di persone che stanno facendo un cammino serio, proprio in vista di rafforzare il suo vangelo sul matrimonio.
Da una persona separata o divorziata che, nonostante tutto, sta scegliendo di vivere nella fedeltà al suo matrimonio va riconosciuta e messa in circolo una forte attestazione di come nel matrimonio si dia il segno e la presenza dell'amore fedele ed eterno di Dio. Da un divorziato risposato, che accetta con umiltà il digiuno sacramentale, la comunità può raccogliere una testimonianza che, sia pur in modo indiretto, di nuovo indica nel matrimonio cristiano un valore grande e primario rispetto ad altri tipi di unione.
Nell'uno e nell'altro caso proprio la sofferenza vissuta (di solitudine affettiva per il separato, di non piena comunione ecclesiale per il divorziato risposato) paradossalmente può dare in comunità un forte segnale di riconoscimento della promessa di bene e di felicità insita nel sacramento del matrimonio.
Liberamente tratto da: Attenzione pastorale alle situazioni matrimoniali difficili o irregolari, relazione al convegno: La comunità cristiana e la pastorale per separati e divorziati, Cesena, 27 marzo 2010, p.18-19.

18-TESTIMONIANZE

L’esperienza di Retrouvaille
a cura di Retrouvaille Italia
Ritrovarsi. Continuare a parlarsi. A formare una famiglia. In una parola: perdonarsi. Parola difficile di questi tempi, in cui si vedono matrimoni sfasciarsi in tempo record, senza appello, senza una seconda possibilità.
C'è però chi non si arrende alla fine di un amore, e crede che la forza del sacramento sia superiore a tutto, che abbia una potenza tale da guarire le ferite e risanare i cuori. Proprio per questo da qualche tempo in Italia sta crescendo "Retrouvaille", un programma per riavvicinare i coniugi in gravi difficoltà matrimoniali.
Anche quando c'è una profonda sofferenza e sembra che la situazione sia senza speranza, Retrouvaille offre un percorso per fare chiarezza, per rivalutare se stessi e il proprio coniuge, per ridare dignità alla relazione.
Retrouvaille è un'esperienza cristiana, aperta a tutte le coppie, senza differenza di appartenenza religiosa, che abbiano una relazione matrimoniale che li fa soffrire, siano esse semplicemente in crisi, o separate in casa o di fatto già separate o divorziate. Unico requisito comune, indispensabile è il desiderio e la disponibilità all'impegno per ritrovare se stessi e una relazione di coppia chiara e stabile.
Il programma consiste in un fine settimana (week-end) e in un percorso seguente (post week-end) fatto di dodici incontri, la cui durata complessiva è prevista di tre mesi realizzati nella regione di appartenenza.
Il week-end non è una convivenza spirituale, un ritiro, un seminario o una seduta collettiva di analisi. Non è richiesto alle coppie di raccontare agli altri i propri affari privati, né di condividere i problemi. Si chiede però di non fermarsi sul passato, per poter vedere al di là del dolore e delle offese, per potersi ritrovare in una forma nuova e positiva.
La dimensione in cui si entra è quella della ricerca del dialogo, dell'affrontare i conflitti in modo costruttivo, della comprensione reciproca che poi sfocia nella maggioranza dei casi nel perdono e nell'inizio di un cammino per il rinnovamento del matrimonio.
I week-end sono animati da tre coppie e da un sacerdote. Le stesse coppie presentatrici sono a loro volta passate attraverso un percorso di dolore, di rabbia e conflitto. La loro testimonianza offre speranza e in genere i partecipanti ritrovano da questi incontri il coraggio di andare avanti insieme e la forza che deriva anche dal fatto di non sentirsi soli.
Il post week-end è un cammino di conferma e sostegno in gruppi più piccoli nella regione di appartenenza. È una fase importante del processo che motiva al recupero dei valori della relazione. Il dolore e le ferite spesso protratte per anni, non possono essere sanate nello spazio di un solo week-end.
Questa fase del programma di Retrouvaille offre un ambiente più comodo e rilassato per approfondire i temi già affrontati al week-end riguardanti la vita matrimoniale e l'amore, per poter così rinnovare l'impegno a sviluppare nuova comprensione e nuove capacità.
Dalla casistica a disposizione di Retrouvaille, da 7 a 9 coppie su 10 che partecipano al programma decidono di investire ancora sul proprio matrimonio.
www.retrouvaille.it,
info@retrouvaille.it
Num. verde: 800 123 958, da cell.: 34622258-96, rispondono Laura e Antonio, 8.30- 14, 16-21, Lun-Ven.

GF e coppie in crisi: che fine ha fatto quel progetto?
di Franco Rosada e Mariella Piccione
A fine 2007 dalle pagine di questa rivista parlammo ampiamente di un’iniziativa dell’Ufficio Famiglia della diocesi di Torino per l’accompagnamento delle coppie in crisi.
L’idea di partenza era questa: si proponeva a coppie di volontari di fare un percorso formativo per acquisire un minimo di strumenti per poter essere disponibili da un'attività di accompagnamento. L’equipe formativa era costituita da esperti del "Punto Familia", un’istituzione torinese da sempre al servizio della coppia e degli sposi.
Un primo percorso è stato proposto a Torino ed è stato poco dopo riproposto a Carmagnola. In entrambi i casi, gli esiti sono stati pressapoco gli stessi: buona la partecipazione dei volontari (non tanto per il numero, ma per la qualità), riscontri di interventi di aiuto quasi nulli. Sicuramente resta il frutto di una sensibilizzazione più ampia i cui esiti non sono misurabili ma certamente ci sono.
La proposta in pillole
• Contattare un certo numero di coppe disponibili ad impegnarsi all'ascolto e all'accompagnamento delle coppie in crisi.
• Pubblicizzare l'iniziativa e fornire un numero di telefono che possa ricevere le chiamate.
• Chi risponde deve prendere i dati della coppia e contattare direttamente una delle coppie disponibili all'accoglienza e all'ascolto.
• La coppia che si rende disponibile deve contattare il chiamante e fissare un appuntamento presso il proprio domicilio.
• Nell'incontro si accoglie e si ascolta la coppia (sperando che vengano tutti e due).
• In base a quanto ascoltato e condiviso la coppia disponibile propone:
a) ulteriori incontri di condivisione e, in subordine:
b) incontro con un esperto,
c) contatti con un'associazione in grado di aiutarli meglio.

Uomini e donne nella Bibbia
19-AMARSI NELL’IMPERFEZIONE
La minestra risanata di Eliseo: la sapienza nella crisi

di Lidia Maggi
"Amarsi nell'imperfezione" è un tema suggestivo soprattutto per la prospettiva che apre.
Per accennare a questo tema mi sono fatta aiutare da una storia poco nota che si trova nel secondo libro dei Re, conosciuta come la storia della minestra risanata. Prima di continuare è meglio leggere il brano (2Re 4,38-41).
Questa è una storia per tempi di carestia. La narrazione allude non soltanto ad una carestia di beni, ma anche ad una carestia di senso, di parole.
A me sembra interessante, per parlare di "imperfezione", porre attenzione a questo strano miracolo della minestra risanata; un racconto che sembra dirci che in tempi di carestia, di difficoltà, perfino il profeta (che siamo abituati a vedere come l'uomo delle parole nette, che obbligano a scegliere) diventa saggio e non si permette sprechi per non lasciare a pancia vuota l'umanità.
Qui il miracolo non è la moltiplicazione dei pani, ma è semplicemente l'arte culinaria, la capacità di rimediare ad una minestra riuscita male.
La situazione è ben delineata: sono tempi di carestia in cui anche i discepoli intorno al maestro sperimentano la fame. Come si fa a nutrirli?
Il maestro dice: andate a procurarvi gli ingredienti per preparare insieme una zuppa. E la risposta dei discepoli è diversificata: c'è il discepolo che rimane in attesa; c'è quello che sceglie solo le bacche che conosce, ma c'è anche quel discepolo che osa superare il limite e prendere delle bacche che non conosce.
Il risultato è devastante perché raccoglie, involontariamente, delle bacche velenose. È il rischio di chi osa avventurarsi per nuovi sentieri. Se ne riempie la veste sperimentando, finalmente, l'abbondanza, ma si tratta di un'abbondanza di veleno.
La verifica tuttavia, può essere fatta solo a posteriori; una volta cotta, è unanime il giudizio da parte di quelli che l'assaggiano: c'è la morte nella minestra! È immangiabile!
Ci aspetteremmo che Eliseo intervenga prendendo la minestra e gettandola via. E invece il profeta non si permette uno spreco che, in tempi di abbondanza, sarebbe stato legittimo. Egli non getta e neppure trasforma magicamente la minestra; prova semplicemente a correggerla con un ingrediente comune, quotidiano, come della farina. Un ingrediente che permette di rendere valido il lavoro di tutti e la minestra diventa mangiabile, capace di nutrire coloro che patiscono la carestia, una minestra per molti.
Questa storia ci ricorda che, innanzi tutto, si corregge aggiungendo e non sottraendo.
Io credo che noi, nello sperimentare l'imperfezione, nel momento della crisi affettiva, normalmente tendiamo a fare il contrario: quando qualcosa non va, cerchiamo di eliminare, di togliere quello che non funziona. Il problema è che, spesso, quello che non va non può essere tolto in una coppia. A volte quello che non funziona è proprio la nostra umanità, il nostro carattere, così radicato nella vicenda affettiva. Intendo dire che il nostro sguardo è spesso uno sguardo moralistico che di fronte alle difficoltà ci porta a dire: così non si può andare avanti, dobbiamo eliminare quello che non va.
Invece la storia della minestra risanata sembra suggerirci che nell'imperfezione, nella carestia, nella vulnerabilità è importante provare a correggere, aggiungendo qualcosa a quello che non va, imparando l'arte della correzione.
Questa storia fa leva sulle capacità di ognuno di ascolto e di lettura e ci dice anche: tu puoi correggere la situazione, anche là dove tu dai un giudizio mortale sulla tua storia.
Insisterei su quest'aspetto perché noi sperimentiamo la carestia affettiva e le difficoltà delle coppie, però tendiamo sempre a non prenderci la responsabilità di discernere, prima di tutto, cosa non va per poi provare ad aggiungere, a modificare, correggendo quello che non funziona.
Insieme al giudizio secco, l'altra tentazione è quella di rivolgersi agli esperti. Questo ricorso agli esperti produce una specie di cultura della delega in cui desideriamo che siano gli altri a risolvere i nostri problemi. In realtà gli altri non li possono risolvere per noi. Possono accompagnarci, suggerirci percorsi, interagire con noi, facilitarci il dialogo nella coppia, ma i problemi li deve affrontare e risolvere chi li ha!
Ritornando alla storia della pentola, questa ci dice che di fronte al dono prezioso dell'amore noi non possiamo permetterci di buttare via tutto; è una storia così seria da rendere paziente perfino il profeta che siamo abituati a sentire parlare con toni radicali.
Liberamente tratto da: Matrimonio, n.4 dicembre 2007, p.7-16.

20-PER APPROFONDIRE IL TEMA

Libri consigliati
Eugenio Zanetti, Dopo l'inverno, Ancora Editrice, Milano 2005.
Un testo molto ampio, curato da un canonista esperto anche di accompagnamento spirituale per separati e divorziati.
Da leggere per farsi un'idea chiara su questa problematica dal punto di vista canonico e pastorale. Alle spalle dell’autore c’è, infatti, la sua esperienza concreta di animatore del gruppo "La Casa" di Bergamo.

Una Chiesa che sa accogliere. Pastorale per separati, Famiglia oggi, San Paolo, Milano n.4 2008.
Un mensile che affronta i temi della famiglia in modo serio e rigoroso. L'argomento è trattato dal punto di vista pastorale, sociologico e canonico. Due ampi articoli sono dedicati all'esperienza delle Famiglie Separate Cristiane e di Retrouvaille. In ogni numero, oltre al tema monografico, vi è ampio spazio per le rubriche.

Carlo Rocchetta, Vite riconciliate, La tenerezza di Dio nel dramma della separazione, EDB, Bologna 2009.
Questo è il testo più pastorale tra quelli presentati. Il tema di fondo è la tenerezza. La tenerezza è prima di tutto una caratteristica di Dio e che siamo chiamati a vivere, anche nelle situazioni familiari compromesse. L’autore, già docente di sacramentaria, è ora molto impegnato nel centro familiare "Casa della Tenerezza" di Perugia.

Luigi Ghia (a cura di), Se un amore muore, La Chiesa e i cristiani divorziati, Editrice Monti, Saronno (VA) 2010.
Questo è uno dei testi più recenti sull'argomento. Il tema è affrontato da più angolature, in base alla specializzazione dei diversi autori.
Il volume non nasconde la volontà di riaprire un discorso teologico e pastorale su questo tema, da parecchio tempo in stallo, nella speranza che si possa aprire qualche nuovo spiraglio.

CEI, Ufficio Nazionale per la Pastorale della Famiglia, Luci di speranza per la famiglia ferita, Salsomaggiore, 22-26 giugno 2011.
Questo è stato il primo convegno CEI interamente dedicato alle famiglie che vivono la separazione. Il tema è stato trattato coniugando carità con verità, in modo da evitare certe ambiguità che nascono dalla faciloneria o dall’ignoranza. Gli atti del convegno sono in gran parte reperibili su Internet.

Testi magisteriali
Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, 1981.
Insieme col Sinodo, esorto caldamente i pastori e l'intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita…
La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati (n.84).

CEI, Direttorio di pastorale familiare per la Chiesa in Italia, 1993.
Spesso con vera sofferenza spirituale, non poche persone in situazione coniugale difficile o irregolare ci interpellano con precise domande sulla loro appartenenza alla Chiesa e sulla possibilità della loro ammissione ai sacramenti. Ai loro occhi la prassi della Chiesa appare severa, esigente, scarsamente comprensiva delle diverse situazioni e delle inevitabili debolezze dell'uomo (n.190).

Commissione Famiglia di Trento, La crisi di coppia: evento fallimentare o occasione di crescita?, febbraio 1999.
Se di fronte alle evidenti conseguenze di sofferenza generate dal fallimento coniugale la comunità si muove e sa inventare mille iniziative, non sarebbe molto più "economica" un'intelligente prevenzione che agisse per tempo sul fattore principale che scatena queste situazioni di sofferenza? (p.37).

Dionigi Tettamanzi, Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito, Milano 2008.
Voi, per la Chiesa e per me Vescovo, siete sorelle e fratelli amati e desiderati… Certo, alcuni tra voi hanno fatto esperienza di qualche durezza nel rapporto con la realtà ecclesiale...
La prima cosa che vorrei dirvi, sedendomi accanto a voi, è dunque questa: "La Chiesa non vi ha dimenticati! Tanto meno vi rifiuta o vi considera indegni" (p.2).

Eugenio Zanetti, relazione al convegno: La comunità cristiana e la pastorale per separati e divorziati, Cesena, 2010.
In questo ambito è in gioco un'immagine di Chiesa che sa evangelizzare nella verità accettando la sfida della complessità; una comunità cristiana che, proprio per la continua fiducia in una Verità che ha in sé una potenza della salvezza, accetta il dialogo e il confronto con le istanze culturali del tempo, in paziente discernimento (p.4).

21-CONCLUSIONE

Le ossa aride
Nel capitolo 37 del libro di Ezechiele viene descritta la visione di una distesa di ossa secche, disperse, ma su cui aleggia lo Spirito del Signore; uno Spirito che rivitalizza le ossa e dona loro una nuova vita, come un'inedita risurrezione.
"Mi disse: "Figlio dell'uomo, potranno queste ossa rivivere?" Io risposi: "Signore Dio, tu lo sai". Egli mi replicò: "Profetizza su queste ossa e annunzio loro: 'Ossa inaridite, udite la parola del Signore. Così dice il Signore Dio a queste ossa: Ecco, io faccio entrare in voi lo spirito e rivivrete. Metterò su di voi i nervi e farò crescere su di voi la carne, su di voi stenderò la pelle e infonderò in voi lo spirito e rivivrete: Saprete che io sono il Signore' " (37,3b-6).
Tale è la promessa messianica che troverà la sua piena realizzazione in Gesù risorto e nella comunità nata dalla sua Pasqua. Il protagonista sarà lo Spirito effuso a Pentecoste: ma già l'Antico Testamento annunciava lo Spirito di Dio come Spirito di creazione nuova.
Si fonda su questa promessa la fiducia dei separati?
Quello stesso Spirito creatore che aleggiava sulle acque della creazione come forza di vita (Gen 1,2), effuso sulla Chiesa, è presente e opera in ognuno di loro perché possano rinascere di continuo dalle ceneri del loro fallimento matrimoniale, imparando a perdonare i torti subiti e facendo della tenerezza il loro progetto di vita.
Carlo Rocchetta, Vite riconciliate, EDB 2009, p.86.

 

GF74 EXTRA

A-Consenso matrimoniale
Le domande del processicolo

  1. Perché sceglie di sposarsi in chiesa?
    Crede nel matrimonio come sacramento?
    Ha qualche difficoltà nell’accettare l’insegnamento della Chiesa sul matrimonio? Quale?
  2. Il matrimonio comporta una decisione pienamente libera. Si sposa per sua scelta, liberamente e per amore, oppure è costretto da qualche necessità?
    Si sente spinto al matrimonio dai suoi famigliari o da quelli della fidanzata?
  3. Il matrimonio è comunione di tutta la vita tra un uomo e una donna. Volete il matrimonio come unico e si impegna alla fedeltà coniugale?
  4. È volere di Dio che il vincolo matrimoniale duri fino alla morte di uno dei coniugi. Vuole il matrimonio come indissolubile e quindi escute di scioglierlo mediante il divorzio?
  5. Il matrimonio è di sua natura ordinato al bene dei coniugi, alla procreazione ed educazione della prole. Accetta il compito della paternità, senza escludere il bene della procreazione?
    Intende dare ai figli un’educazione cattolica?
  6. Pone condizioni al matrimonio?
    Quali?
  7. La sua fidanzata accetta il matrimonio-sacramento come unico e indissolubile, oppure ha qualche riserva in proposito (infedeltà, divorzio)?
    È sicuro che sposa lei liberamente e per amore?
  8. Nel fidanzamento ha avuto motivi per dubitare della riuscita del suo matrimonio?
    Ha tenuto nascosto qualche cosa che possa turbare gravemente la vita coniugale?

B-Le proposte per superare i limiti dottrinali e l'accesso ai sacramenti
Lo stato delle riflessioni sull'argomento

Di Paolo Mirabella
Di fronte alla posizione del Magistero nei confronti dei divorziati vi sono diversi tentativi di soluzione teologica che partono da prospettive diverse.
Queste prospettive, per facilità di analisi, si possono in quattro indirizzi:
1. il primo si preoccupa di non tradire il dato dottrinale, nella ricerca di una soluzione che resti dentro l'ambito giuridico del diritto canonico;
2. il secondo prende a modello la prassi pastorale della Chiesa orientale;
3. il terzo si appoggia sull'ipotesi della potestà della Chiesa sui matrimoni rati e consumati;
4. il quarto indica una strada che superi la contrapposizione tra la verità oggettiva, la norma evangelica, e la coscienza personale nella propria situazione storico-esistenziale.
Non è certo questa la sede per svolgere un'analisi dettagliata e argomentata delle singole posizioni, ma la loro presentazione è motivata dal vantaggio che riteniamo si possa raccogliere dalla percezione di una seria e onesta ricerca in vista del bonum amimarum.

La via del’annullamento
La prima soluzione, - muovendo dall'assoluta indissolubilità del matrimonio - , ricerca la presenza di eventuali cause che non abbiano mai fatto esistere quel determinato matrimonio. Si parla delle cosiddette cause di nullità. Quelle oggi contemplate dal Codice di Diritto Canonico sono più estese rispetto al passato, e questo non a motivo di un allargamento delle maglie, come se si ricercassero dei cavilli per risolvere situazioni difficili, ma grazie al passaggio da una visione primariamente giuridica del matrimonio a quella personalista assunta e sostenuta dalla Gaudium et spes.
In questa linea, senza nulla togliere al valere del "contratto" giuridicamente stabilito dallo scambio del "consenso-reciproco", si aggiunge una comprensione più globale della persona dei contraenti. Così l'attenzione si estende dalle condizioni fisiche a quelle psicologiche ed esistenziali dei due contraenti. Eventuali difetti di tali condizioni costituiscono corrispettive "cause" di nullità del matrimonio.

La prassi ortodossa
Un ulteriore indirizzo è quello di coloro che hanno individuato la soluzione nel modello della prassi della Chiesa Ortodossa.
In essa akribìa (severità) della norma oggettiva viene temperata dall'oikonomia ecclesiastica, cioè da quell'atteggiamento pastorale di misericordia e di benevolenza che si rende disposta a concedere, sebbene in forma penitenziale e non sacramentale, le seconde nozze. Secondo questo modello anche la Chiesa cattolica dovrebbe considerare la fragilità della condizione della libertà umana e, a motivo di questa, ammettere i divorziati, consapevoli del loro stato di imperfezione, ad un nuovo legame coniugale.

La potestà della Chiesa
C'è poi chi, come Basilio Petrà, fa leva sulla potestà che la Chiesa avrebbe sui matrimoni rati e consumati. Tale convinzione è sostenuta dall'autore a partire dalla prassi della Chiesa che, su ispirazione dell'insegnamento paolino (cfr. 1 Cor 7), concede le seconde nozze ai vedovi. Questa ipotesi suggerisce di estendere tale possibilità anche a coloro che, sebbene ancora in vita, si trovino nella condizione di un loro precedente matrimonio irrimediabilmente finito.

Il ruolo della coscienza
L'ultima via che abbiamo segnalato è quella che tiene conto del dato rivelato, garantito dalla Chiesa attraverso il principio dell'indissolubilità del matrimonio-sacramento, e contemporaneamente della coscienza personale del singolo fedele. In questa proposta tali dimensioni non vengono tra loro giustapposte, ma se ne ricerca l'adeguata integrazione. Si conserva pertanto il valore dell'unicità e dell'indissolubilità del matrimonio-sacramento, mentre si riflette sulla possibilità, di per sé già contemplata dal magistero a determinate condizioni (astenersi dagli atti propri dei coniugi ed evitare lo scandalo), che i fedeli divorziati risposati possano accedere agli altri sacramenti.

Il discernimento del Magistero
Se muoviamo dalla convinzione che le scorciatoie in questo campo non conducono alla meta, si fa necessario, a questo punto della nostra riflessione, considerare il discernimento svolto dal magistero della Chiesa rispetto alle suddette soluzioni teologiche.
Delle proposte di soluzione sopra indicate il discernimento del magistero ha riconosciuto, fino ad oggi, solo la legittimità dottrinale della prima. Quella cioè che, ribadendo la natura indissolubile del sacramento del matrimonio, non esclude che all'origine del consenso matrimoniale ci siano motivi (vizi) che rendono inesistente il matrimonio, per cui esso risulta nullo.
Liberamente tratto da: Paolo Mirabella, Quale posto nella Chiesa per i divorziati risposati e conviventi? In Valter Danna (ed,) Separati da chi?, Effatà 2003, p. 42-45

Libri consigliati
Valter Danna (a cura di), Separati da chi?, Effatà Editrice, Cantalupa (TO) 2003.
Si tratta di un'agile libretto che raccoglie gli interventi di un convegno tenuto a Torino alcuni anni fa come inizio di un cammino pastorale sensibilizzando la comunità cristiana e civile su questo tema fino ad arrivare a costituire dei gruppi di auto/mutuo aiuto. Il libro affronta l'argomento dal punto di vista sociologico e morale. Una terza parte offre alcune schede per il lavoro pastorale.

C-Il Tribunale ecclesiastico: non solo burocrazia.
Alla scoperta di un organismo diocesano poco conosciuto

Molte sono le domande o le perplessità che spesso vengono poste o che la gente si pone vuoi per curiosità, vuoi per vero interesse e vuoi, talora, con senso di scandalo e meraviglia:
- La Chiesa insegna che il matrimonio è indissolubile, allora perché lo dichiara nullo?
- Non voglio che il mio matrimonio sia dichiarato nullo perché mi sono sposato (a) con impegno e il matrimonio in Chiesa è unico e indissolubile, per me quello è il vero matrimonio e non voglio annullarlo.
- Come è possibile dichiarare nullo un matrimonio se ci sono dei figli?
- Il mio matrimonio è stato consumato dunque non può essere annullato.
- In fondo il matrimonio c’è stato e non voglio distruggere o cancellare una esperienza di vita che ha avuto anche aspetti positivi.
- La Chiesa non vuole il divorzio ma annulla i matrimoni.
- La Chiesa si è trovata in crisi con il matrimonio e soprattutto con il divorzio e corre ai ripari con la dichiarazione di nullità.
Dunque l'argomento che affrontiamo nel presente numero, vuole far comprendere, con semplicità di linguaggio, almeno si spera, il perché dell'esistenza del Tribunale Ecclesiastico nella nostra Diocesi di Pinerolo, in materia di matrimonio.
Innanzitutto è bene chiarire che parliamo di matrimonio celebrato con rito religioso pertanto parliamo del matrimonio Sacramento.
È opportuno qui ricordare che un matrimonio fra due battezzati cattolici o fra un battezzato cattolico e un’altra persona non cattolica non può non essere Sacramento, il che significa che, per il battezzato, l’unico matrimonio valido è quello che ha la caratteristica del Sacramento e dunque celebrato nella forma prevista dal Codice di Diritto Canonico che generalmente si realizza prestando il consenso nuziale davanti al Parroco o all'Ordinario e a due testi. (cfr. can. 1055 §2 e can. 1108).
Trattandosi quindi di un Sacramento non è difficile capire il perché sia la Chiesa e solo la Chiesa a dover e poter valutare se quel Sacramento è stato ricevuto validamente o meno: nessun altro potere potrà pronunciarsi sulla esistenza o meno del Sacramento del matrimonio.

Differenza tra dichiarazione di nullità del matrimonio sacramento e l’annullamento civile
Detto questo, forse è bene chiarire subito la totale differenza che c'è tra la dichiarazione di nullità del matrimonio Sacramento e l'annullamento civile del matrimonio ossia il divorzio che si estende anche agli effetti civili del matrimonio Sacramento che sorgono dall'unico rito religioso in forza del Concordato tra Santa Sede e Stato Italiano.
Il divorzio o annullamento civile del matrimonio è la sentenza con cui si dichiara da ora in avanti come inesistente il matrimonio ormai fallito senza per altro pronunciarsi sulla validità o meno di quel matrimonio che appunto viene "annullato" ossia esisteva ma ora non esiste più.
Diametralmente diversa è la dichiarazione di nullità che il Tribunale ecclesiastico (nel nostro caso il processo si svolge nel Tribunale ecclesiastico regionale piemontese) emette su un Sacramento che è stato sì celebrato davanti al Parroco e a due testi ma il cui consenso potrebbe non essere valido e pertanto il matrimonio non è mai nato, e se non è mai nato non è mai esistito: la dichiarazione di nullità (che quindi non è annullamento) non fa che prendere atto che quel matrimonio non è mai esistito e lo dichiara in modo pubblico con tutte le conseguenze del caso, ossia che quella coppia non ha mai contratto matrimonio anche se, si ripete, è stato celebrato solennemente davanti al Parroco e possono essere nati anche dei figli e può essere durato anche parecchio tempo.
Dunque già abbiamo risposto all’obiezione ironica della Chiesa che corre ai ripari visto che il matrimonio presenta grosse falle nel mondo contemporaneo mettendosi in concorrenza con lo Stato che offre il divorzio.
Possiamo invece purtroppo affermare che la situazione contemporanea è tale per cui è oggi molto più facile di un tempo che un matrimonio Sacramento non nasca ossia il consenso nuziale sia invalido.
don Omar Larios Valencia
Liberamente tratto dal libro dell’autore: Il matrimonio, leggi della chiesa e applicazioni pastorali, Effatà Editrice, Cantalupa (TO), 2007.

D-Domande e risposte sulle situazioni matrimoniali irregolari
Le domande che molti si pongono sul tema e le precise risposte di un esperto

di Omar Larios Valencia*
"Posso ancora andare in chiesa? Posso fare la comunione? Qual è la mia posizione di cristiano, battezzato, sposato? Il mio fallimento matrimoniale annulla il sacramento? Qual è la differenza tra la situazione di un ‘separato’ e quella di un ‘divorziato? Posso ricevere i sacramenti? Come posso pregare? I miei figli possono essere battezzati? Come li posso educare? Posso partecipare alle attività della mia parrocchia? Ero una catechista, dopo la separazione, come posso partecipare alle attività della parrocchia? Nella chiesa sono ancora ‘figlio di Dio’? Sono scomunicato?..."
Numerosi sono i quesiti dei separati, dei divorziati che spesso si sentono, che vengono rivolti al Tribunale ecclesiastico, al parroco, ai catechisti, a chi ascolta…
Il matrimonio si pone come fondamento della storia umana, personale e sociale, profana e sacra: ‘Il bene della persona e della società umana e cristiana è strettamente connesso con una felice situazione della comunità coniugale e familiare[Gaudium et spes].
Quali sono i problemi più urgenti? Quali gli interrogativi più frequenti che esigono risposte e chiarezza? Ma quali risposte? Quali le norme della Chiesa? Ed ancora, quale pastorale fondata sull’amore, sull’accoglienza, sulla verità?
Senza lasciarci intimorire da affermazioni infondate, da casi di cronaca a volte esasperati, forse anche dalle informazioni eclatanti dei media, analizziamo i problemi più urgenti, poniamoci degli interrogativi, rispondiamo con chiarezza.
È un cammino arduo e complesso! Vi sono situazioni difficili, spesso sofferte che occorre affrontare con serenità e verità, nel rispetto e nell’accoglienza.
I tre articoli che segneranno le tappe del nostro cammino insieme, vogliono essere:

Che cosa s’intende esattamente quando si parla di pastorale specifica rivolta ai divorziati, a chi vive situazioni matrimoniali difficili e irregolari?
Qual è il ruolo del pastore e dei suoi collaboratori?
Un’attenzione articolata riguarda la cura pastorale specifica, sia da parte del pastore sia di quanti, a vario titolo, collaborano con lui nel ministero, specie in quello parrocchiale. In ogni caso è compito del pastore individuare con chiarezza e tempestività le crisi coniugali per offrire gli aiuti possibili; qui è necessaria non solo la buona volontà del pastore, ma anche e soprattutto competenza, discrezione, delicatezza e carità nella verità, per l'organizzazione di un ministero pastorale specifico che sta diventando sempre più urgente.
Un'attenzione particolare andrebbe riservata ai fedeli separati non risposati civilmente, né conviventi; questi, infatti, conservando intatto il vincolo matrimoniale canonico, sono in piena comunione con la Chiesa e pertanto deve essere loro garantita la partecipazione integrale alla vita della comunità ecclesiale.
Per quanti, poi, si trovano in situazioni irregolari vanno predisposte forme di partecipazione consentite dalla loro condizione, forme che possono utilmente diventare occasioni propizie per chiarire o illustrare le norme ecclesiali, per spiegare il loro rapporto con la Chiesa, per porre in risalto la responsabilità verso l'educazione alla fede dei figli. Proprio in ambito educativo un ruolo importante è giocato dai catechisti. Essi devono prima di tutto conoscere la situazione familiare dei ragazzi in modo che, nel dialogo catechetico, sappiano ponderare i loro interventi, evitando espressioni o esempi che potrebbero risultare offensivi; inoltre, devono poter impostare con i genitori, un dialogo costruttivo anche sul piano della fede. Infine, ma non perché meno importante, sempre per quanto riguarda le attenzioni, preme ricordare il fatto che i fedeli in situazioni irregolari vanno considerati non esclusivamente in riferimento alla possibilità o alla proibizione di accostarsi ai sacramenti, ma soprattutto in quanto fedeli battezzati e quindi pur sempre figli della Chiesa; per questo, pur annunciando la verità del Vangelo sul matrimonio e sulla famiglia, non viene meno quella forma di annuncio che si chiama accoglienza delle persone e che invita a difendere la verità nella carità.

Si è soliti considerare in modo generico e poco chiaro le situazioni matrimoniali difficili e irregolari senza conoscere con chiarezza la complessità della situazione.   Che cosa ne consegue?
È importante precisare i termini con i quali siamo soliti indicare le persone che versano in situazioni matrimoniali fallite, si possono distinguere sostanzialmente i fedeli che hanno una situazione matrimoniale irregolare da quelli che si trovano in una situazione difficile.
a) Tra i fedeli che hanno una situazione matrimoniale irregolare rientrano i divorziati risposati, i conviventi e coloro che hanno contratto il solo matrimonio civile.
I divorziati risposati sono quei fedeli che dopo aver celebrato un valido matrimonio canonico hanno tentato un altro matrimonio civile, pur rimanendo valido il primo vincolo.
I conviventi sono quei fedeli che conducono vita comune in una relazione di fatto senza alcun tipo di formalità, pur essendo tenuti, in quanto battezzati alla forma canonica. Nella libera convivenza può darsi anche il caso di due fedeli di cui uno o entrambi hanno un precedente matrimonio valido dal punto di vista canonico, ma sciolto civilmente.
Gli sposati solo civilmente e che convivono senza che la loro unione abbia valore per la Chiesa, in quanto battezzati, sono tenuti al matrimonio canonico, e fondano la loro vita coniugale sul rito civile.
Tutti questi casi che configurano una situazione matrimoniale irregolare implicano, evidentemente, che almeno una delle parti sia cattolica.
b) Nella categoria dei fedeli che si trovano in una situazione matrimoniale difficile rientrano i separati e i divorziati non risposati. Gli uni, pur avendo alle spalle un valido matrimonio canonico, hanno interrotto la convivenza matrimoniale, sia di fatto sia con procedimento legale, civile o canonico. Gli altri si trovano nella medesima situazione dei separati, ma a differenza di essi, dopo la separazione legale si sono avvalsi anche della cessazione degli effetti civili del matrimonio, senza però contrarre una nuova unione civile.
I miei figli possono essere battezzati? Come li posso educare? Posso partecipare alla vita della mia parrocchia? Ero una catechista, dopo la separazione, come posso partecipare alle attività della parrocchia?
Cerchiamo di evidenziare le molteplici forme di partecipazione che comunque i fedeli in situazione matrimoniale irregolare possono continuare a realizzare. Vogliamo così sottolineare anche il fatto che la questione non va ridotta unicamente all'ammissione ai sacramenti, ma va compresa nella più ampia responsabilità della Chiesa, e dei pastori in essa, di prevedere forme di attenzione e di vicinanza a questi fedeli, dato che, come spiega la CEI nel suo Direttorio di Pastorale Familiare: "La comunità cristiana continua ad avere occasioni di incontro con queste persone, i cui figli vivono l'esperienza della scuola, della catechesi, degli oratori, di diversi ambienti educativi ecclesiali". Il DPF ricorda le modalità per prendere ancora parte alla vita della comunità ecclesiale: l'ascolto della Parola, la perseveranza nella preghiera, specie la partecipazione alla S. Messa, l'impegno nelle opere di carità e in particolare il compito di educare cristianamente i figli.
Sono molti i quesiti ai quali dobbiamo ancora rispondere! Il nostro dialogo non viene interrotto ma, in Vita diocesana, daremo ancora spazio ai tanti problemi che esigono di essere affrontati. Continueremo così, il nostro cammino alla luce della fede, attingendo alle fonte della Chiesa, nella ‘verità e nell’amore’.

Sono separato/a, qual è la mia giusta posizione di fronte ai sacramenti? Posso ricevere l’Eucaristia, il sacramento della Riconciliazione? Sono divorziato/a e risposato/a, esiste un impedimento effettivo a ricevere i sacramenti?
La possibilità di ammettere i divorziati risposati ai sacramenti della riconciliazione e dell'Eucaristia è resa inefficace dalla situazione oggettivamente in contraddizione sia con le esigenze di conversione e di penitenza che il sacramento della riconciliazione richiede, sia con l'indissolubilità del vincolo coniugale validamente contratto. Ciò nonostante, la Chiesa ritiene che, al verificarsi di alcune condizioni, si possa aprire la strada ai suddetti sacramenti; questo può avvenire quando i fedeli "siano sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio o con la separazione fisica e, se possibile, con il ritorno all'originaria convivenza matrimoniale, o con l'impegno per un tipo di convivenza che contempli l'astensione dagli atti propri dei coniugi. Infatti, qualora la loro situazione non presenti una concreta reversibilità per l'età avanzata o la malattia di uno o di ambedue, la presenza di figli bisognosi di aiuto e di educazione o altri motivi analoghi, la Chiesa li ammette all'assoluzione sacramentale e alla comunione eucaristica se, sinceramente pentiti, si impegnano ad interrompere la loro reciproca vita sessuale e a trasformare il loro vincolo in amicizia, stima e aiuto vicendevoli. In questo caso possono ricevere l'assoluzione sacramentale ed accostarsi alla comunione eucaristica in una chiesa dove non siano conosciuti, per evitare lo scandalo". (DPF, 220)
Per quanto riguarda i fedeli sposati solo civilmente o che convivono non è prevista l'ammissione ai sacramenti, alle condizioni valide per i divorziati risposati, dal momento che la regolarizzazione della loro condizione può avvenire tramite la sanatoria in radice per gli sposati civilmente e il matrimonio sacramento per i conviventi. A tale riguardo, il Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 1650 recita: "Se i divorziati si sono risposati civilmente, si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la legge di Dio. Perciò essi non possono accedere alla comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione. Per lo stesso motivo non possono esercitare certe responsabilità ecclesiali".

Sono separato/a civilmente, ma non risposato/a civilmente posso ricevere i sacramenti? C’è differenza tra un fedele che ha subito il divorzio non risposato ed un fedele che è moralmente responsabile del divorzio? Nei due casi si può accedere o no ai sacramenti?
La situazione di vita dei fedeli separati "non li preclude dall’ammissione ai sacramenti: a modo suo, infatti, la condizione di separati è ancora proclamazione del valore dell'indissolubilità matrimoniale" (Familiaris consortio, n. 84). Riguardo, invece, ai fedeli divorziati non risposati bisogna distinguere tra chi ha subito il divorzio e chi è moralmente responsabile di esso.
Nel primo caso "circa l'ammissione ai sacramenti, non esistono di per sé ostacoli, se il divorzio civile rimane l'unico modo possibile di assicurare certi diritti legittimi, quali la cura dei figli o la tutela del patrimonio" (DPF, 211).
Nel secondo caso, invece, il coniuge che è moralmente responsabile del divorzio ma non si è risposato "deve far consapevole il sacerdote che egli, pur avendo ottenuto il divorzio civile, si considera veramente legato davanti a Dio dal vincolo matrimoniale e che ormai vive da separato per motivi moralmente validi, in specie per l'inopportunità od anche l'impossibilità di una ripresa della convivenza coniugale" (DPF, 212).

Quando e come si può ottenere la nullità del matrimonio?
Di particolare importanza pastorale, oltre che canonica, si rivela la verifica della nullità del matrimonio canonico di quanti sono irregolari o vivono in situazioni difficili, e desiderano regolarizzare la loro posizione, in coscienza e dinanzi alla Chiesa.
Per fare chiarezza e per amore della verità, una via da percorrere, dopo aver verificato seriamente ogni indizio del singolo caso, sarebbe quella di inoltrare la domanda per ottenere la dichiarazione di nullità del matrimonio, in modo da appurarne la validità o meno.
Evidentemente, questo è possibile quando si è celebrato un matrimonio canonico, e non quando ci si trovi dinanzi a situazioni di convivenza di fatto, o di matrimonio solo civile, cui è seguita una nuova unione di fatto o civile, senza un precedente matrimonio canonico.
In questi ultimi due casi, infatti, i fedeli hanno a disposizione altri strumenti giuridici: la sanatoria del matrimonio, contratto nella sola forma civile, e la celebrazione canonica del matrimonio.
Va inoltre ricordato che, oltre alla validità del matrimonio canonico, ci si può trovare di fronte a casi di matrimoni celebrati e non consumati. Sarà il pastore che, dopo aver verificate le condizioni del caso, dovrà saper indirizzare il fedele per la richiesta di dispensa dal matrimonio rato e non consumato.

Vivo una situazione coniugale irregolare, posso richiedere il battesimo per i nostri figli?
È una questione pastorale molto seria che oggi è diventata abbastanza comune, dovuta al numero crescente di situazioni coniugali irregolari, di matrimoni falliti e di libere unioni; per i figli che nascono, i genitori chiedono il battesimo e i successivi sacramenti.
Occorre precisare che la richiesta di sacramenti per i figli è sempre un’occasione propizia di evangelizzazione anzitutto per i genitori che, mentre chiedono il battesimo per i figli, volendo in tal modo incorporarli a Cristo e alla Chiesa, devono essere aiutati a comprendere che essi stessi, in qualche modo, si sono allontanati dal corpo ecclesiale, sono venuti meno al sacramento del matrimonio o non hanno affatto celebrato un matrimonio sacramentale. Quando il Pastore si trova dinanzi a simili situazioni, come per gli altri sacramenti della iniziazione cristiana, anche per il battesimo che è la ‘porta’ dei sacramenti, non va mai negato ai bambini solo per il fatto che i genitori hanno alle spalle un matrimonio canonico fallito cui è seguito il divorzio e una nuova unione o una convivenza di fatto. In questo caso particolare si deve sottolineare la necessità dell'istituto dei padrini, ai quali va affidato un ruolo educativo di rilievo dato che, potendo venire a mancare la certezza dell'educazione cattolica dei battezzandi a motivo della situazione irregolare o difficile dei genitori, i padrini sono chiamati a garantire la speranza fondata dell’educazione nella religione cattolica (can. 868 § 1, 2°).

In caso di decesso di un fedele che vive in situazioni irregolari, se richiesto, viene concesso il funerale cristiano?
Anche in tale circostanza, è importante richiamare la portata pastorale ed ecclesiale. Celebrare le esequie cristiane significa ringraziare il Signore per il dono della vita nuova ricevuto nel battesimo che il mistero della morte ricorda al cristiano. Il fedele defunto, vissuto in una situazione matrimoniale irregolare, se non ha esplicitamente manifestato di non voler ricevere le esequie ecclesiastiche, purché non costituiscano uno scandalo per gli altri fedeli, la celebrazione delle esequie non è vietata; anzi, può costituire anch'essa un momento di amicizia e di vicinanza verso il coniuge irregolare rimasto vedovo e un’occasione di evangelizzazione per l'intera comunità ai valori del matrimonio cristiano.

Qual è la visione del matrimonio secondo la Chiesa Cattolica?
I documenti del magistero della Chiesa, la teologia e il Codice di Diritto Canonico descrivono il matrimonio come un patto coniugale in cui, un uomo e una donna, stabiliscono tra loro la comunità per tutta la vita, per sua natura ordinato al bene dei coniugi, alla procreazione e all’educazione della prole.
Le proprietà essenziali sono l’unità e l’indissolubilità. Tra due battezzati, il patto coniugale è sacramento. Questa realtà matrimoniale sorge dal consenso delle parti, legittimamente manifestato tra un uomo e una donna, giuridicamente abili. Il consenso è l’atto di volontà con cui l’uomo e la donna, con patto irrevocabile, danno e accettano reciprocamente se stessi per fondare il matrimonio.
Il patto coniugale, espresso con un valido consenso, è indissolubile. Quando si tratta di un sacramento, nessuna autorità umana può sciogliere il matrimonio. Il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1640) esprime in modo chiaro questa realtà: "Il vincolo matrimoniale è dunque stabilito da Dio stesso, così che il matrimonio concluso e consumato tra battezzati non può mai essere sciolto. Questo vincolo, che risulta dall’atto umano libero degli sposi e dalla consumazione del matrimonio, è una realtà ormai irrevocabile e dà origine ad un’alleanza garantita dalla fedeltà di Dio. Non è in potere della Chiesa pronunciarsi contro questa disposizione della sapienza divina".

Esiste l’annullamento del matrimonio?
No, non esiste l’annullamento del matrimonio. Infatti con il termine "annullamento" si indica il togliere valore ed efficacia a un atto che, invece, in se stesso li possiede. In riferimento al matrimonio, questo significherebbe che, di fronte a un consenso matrimoniale valido - dal quale è sorta una realtà indissolubile, come il matrimonio nel suo svolgersi - la Chiesa verrebbe meno al suo compito e non rispetterebbe l’indissolubilità dell’unione.
Quello che comunemente si dice "annullamento del matrimonio", in realtà, è una dichiarazione di nullità del matrimonio: la Chiesa dichiara che un matrimonio non è valido; non scioglie il matrimonio, ma si limita semplicemente a constatare e a dichiarare che il consenso espresso da uno dei due nubendi (o da entrambi), per motivi fondati e provati, non è valido.

La dichiarazione di nullità del matrimonio può coesistere con l’affermazione dell’indissolubilità del matrimonio?
Certamente, anzi, rafforza la consapevolezza della Chiesa e il suo insegnamento circa l’indissolubilità del matrimonio. Infatti il matrimonio celebrato validamente è indissolubile, questa affermazione conserva sempre il suo valore e la sua importanza. Nel caso in cui, però, non ci sia consenso valido, non c’è neppure un valido matrimonio, perché manca la realtà che deve essere indissolubile. Comprendiamo bene, allora, la differenza esistente tra la dichiarazione di nullità del matrimonio e il divorzio civile. Mentre con la dichiarazione di nullità la Chiesa dichiara, dopo un’accurata indagine, che il matrimonio non è mai esistito validamente, perché gravemente viziato all’origine; con il divorzio lo stato riconosce la volontà dei coniugi di sciogliere il loro matrimonio. In altri termini la dichiarazione di nullità non è un "divorzio cattolico", perché non scioglie il matrimonio, ma riconosce soltanto il dato di fatto che un matrimonio non è mai esistito validamente. Dichiarando la nullità dei matrimoni fin dall’origine invalidi, la Chiesa adempie ad un dovere di giustizia: se da un lato essa non può sciogliere ciò che Dio ha unito, dall’altro però non può costringere a rimanere uniti coloro che, dopo un’accurata indagine, risultino essere solo "apparentemente" sposati, perché fin dall’origine esisteva un grave difetto nel loro matrimonio.

Quali sono gli effetti della dichiarazione di nullità del matrimonio?
L’effetto principale della dichiarazione di nullità consiste nella possibilità, che viene data generalmente alle parti, di essere libere di celebrare validamente un matrimonio, qualora lo desiderino. In tale modo, le persone che hanno iniziato una nuova relazione di tipo coniugale, senza essere unite nel sacramento del matrimonio – anche nel caso in cui siano sposate civilmente – hanno la possibilità di accedere ai sacramenti della Confessione e dell’ Eucaristia, e di essere padrini o madrine nella celebrazione del sacramento del Battesimo e della Confermazione.

Ci sono conseguenze per eventuali figli?
I figli che eventualmente sono nati nel corso del primo matrimonio, dichiarato successivamente nullo, non hanno conseguenze da questa decisione della Chiesa. Essi vengono considerati, di fronte ad essa, figli legittimi. Va anche ricordato che nella Chiesa non c’è differenza tra figli nati legittimamente all’interno del sacramento del matrimonio e figli nati al di fuori di questo. La dichiarazione di nullità, inoltre, non può cancellare la storia vissuta da due persone nel corso della loro vita. Anche se il loro matrimonio rimane nullo, continua ad esistere la memoria, lieta e dolorosa, degli eventi vissuti assieme, di quanto insieme si è fatto e/o poteva essere fatto. Non si nega la relazione vissuta, con il carico umano ed emozionale che questo comporta. Non si ricerca neppure la colpa morale, come elemento determinante, della fine della vicenda coniugale. Ci si propone, infatti, con amore per la verità, di valutare se – al di là della stessa consapevolezza dei due nubendi – il loro consenso matrimoniale sia stato valido oppure no.

Cosa deve fare chi ritiene che il suo matrimonio sia nullo?
Chi ritiene che il suo matrimonio sia nullo, oppure semplicemente desidera fare chiarezza sulla propria situazione matrimoniale precedente, può chiedere informazioni al proprio parroco o alla curia diocesana. Si rivolge poi a un patrono (avvocato) abilitato ad esercitare presso il Tribunale ecclesiastico. Assieme al patrono si analizza in profondità la propria vicenda coniugale (soprattutto nel periodo precedente il consenso matrimoniale). Se emergono motivi che danno fondatezza a una domanda di nullità matrimoniale, si presenta una domanda ("libello") al Tribunale Ecclesiastico. Ad esempio per la diocesi di Pinerolo si fa riferimento in un primo momento al Tribunale Ecclesiastico Diocesano, la cui sede attualmente è in via Vescovado n. 1; e in un secondo momento al Tribunale Ecclesiastico Piemontese con sede a Torino. Una volta introdotto il libello, inizia il cosiddetto ‘processo’, il cui scopo non è quello di attribuire eventuali colpe nell’andamento della relazione, ma piuttosto di cercare la verità della situazione matrimoniale. Nel corso del processo viene data la possibilità ai due coniugi di dire la loro versione dei fatti circa la vicenda del fidanzamento e del matrimonio. Vengono interpellati anche dei testimoni (di solito familiari e amici dei coniugi) i quali, con le loro deposizioni, aiutano a fare maggiore chiarezza sulla vicenda che si è chiamati ad esaminare. Naturalmente, vista l’importanza e la delicatezza dell’argomento si richiede, da parte di tutti, l’impegno di dire la verità. Inoltre tutto quello che si apprende viene trattato con la dovuta riservatezza, rispettando la privacy delle persone.

Quanto tempo è necessario per avere una dichiarazione di nullità?
Si tratta di una questione complessa, in quanto ogni causa che viene esaminata presenta le sue particolarità. Il primo grado dovrebbe concludersi in un anno, e l'appello in sei mesi. Tuttavia alcune cause possono richiedere tempi più lunghi. Ciò succede qualora, ad esempio, uno dei due coniugi non voglia intervenire nel procedimento, oppure nei casi in cui siano necessarie perizie psicologiche, o se la causa presenta delle situazioni complesse da esaminare e da accertare. L’impegno comune a cui si tende, in ogni caso, è quello di coniugare sempre insieme la ricerca della giustizia con la ricerca della giusta celerità nel dare una risposta alla domanda di nullità presentata.

È vero che solo i ricchi possono chiedere la nullità del matrimonio?
È purtroppo diffusa la diceria che chiedere la nullità del matrimonio sia qualcosa di possibile solo per persone ricche con forti disponibilità economiche. Non c’è nulla di più falso! Infatti dal 1998 è in vigore una normativa della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) che disciplina questa materia con norme comuni per tutta l’Italia.
Il principio fondamentale, a cui si ispirano le norme della CEI, è il seguente: "La dichiarazione di nullità del matrimonio è un aiuto pastorale, che riguarda la vita cristiana dei fedeli". Pertanto, la Chiesa si preoccupa che il contributo economico richiesto per le spese processuali e per l’assistenza da parte di un patrono ("avvocato") non allontani i fedeli, che abbiano fondati motivi per avvalersene, da tale strumento, riguardante la loro coscienza e la loro vita cristiana. Per chi si trovasse in serie (e documentate) difficoltà economiche, sono previsti sia la dispensa totale o parziale dalle spese processuali, sia la possibilità dell’assistenza gratuita da parte del patrono stabile del Tribunale ecclesiastico o da un patrono d’ufficio incaricato dal Tribunale stesso.
Di conseguenza, oggi, nessuno è privato della possibilità di accedere alla dichiarazione di nullità del matrimonio per motivi economici. La conferma sta nelle molte coppie che hanno ottenuto la sentenza di nullità del matrimonio, usufruendo realmente di tale forma di aiuto. Il costo che un fedele deve sostenere per una causa di nullità riguarda due voci: il contributo richiesto dal Tribunale ecclesiastico (nel nostro caso al Tribunale Ecclesiastico Piemontese a Torino) per le spese processuali e l’onorario per il patrono, cioè l’esperto che lo assiste nell’introdurre la causa e nel corso del processo canonico.
* Membro del Tribunale Ecclesiastico Regionale Piemontese e Vicario Giudiziale della diocesi di Pinerolo

Il testo è tratto dal mensile Vita diocesana pinerolese, nei numeri da agosto a novembre 2010.
Per approfondire i temi trattati vedi il libro dell'autore: Il matrimonio, leggi della chiesa e applicazioni pastorali, Effatà Editrice, Cantalupa (To), 2007.

E-Separazioni e affido condiviso
Se non ci fossero i figli tutto sarebbe più facile perché, in Italia, sovente i figli si contendono

Eravamo alla fine degli anni ’60 e si parlava di introdurre il divorzio anche in Italia (1). Allora avevo vent’anni e con altri organizzavo, il venerdì sera della Settimana Santa, una Via Crucis un po’ particolare. I testi di riflessione erano, infatti, ripresi da temi di attualità. Uno di questi era di una scrittrice (2) francese (3) e in sintesi suonava così: Papa e mamma volevano il frigo ma nessuno dei due voleva la sala da pranzo. Nuovi strilli per i libri, ciascuno pretendeva di averli comprato lui… Gli strilli sono ricominciati con la camera da letto, non per i letti, ciascuno aveva il suo, ma per la cassettiera, un bel mobile scolpito. Quanto alla macchina per cucire, papa la voleva per Sofia, la sua amante… La divisione è continuata, lenzuola, stracci, tovaglie. Nuovo dramma per il cane. Maky è la loro follia, per tutti e due… Alle otto di sera abbiamo cenato insieme. Un vero pasto da funerale. Alla frutta papà disse: "E per i ragazzi ci hai pensato?" Mamma disse, sì. "Io mi prendo Marie-France, tu prenditi Pierre".
Oramai sono quarant’anni che in Italia c’è il divorzio e questi argomenti non sono più di attualità. Le coppie si formano, convivono, si lasciano o si sposano, tirano a campare o si separano. Su quest'ultimo fronte, come regione, ci comportiamo bene: siamo al terzo posto in Italia, dopo Lazio e Valle d’Aosta, con 18,4 separazioni e 15 divorzi ogni 1000 abitanti (4).
E i figli? Ecco, se non ci fossero i figli tutto sarebbe più facile perché, al contrario della Francia, da noi sovente i figli si contendono. Abbiamo un alto concetto di maternità e paternità: i figli sono "cosa" nostra, guai a chi ce li tocca, altro che mobili e cagnolini! E quando la coppia "scoppia" i figli diventano strumento di ricatto.
Se si naviga su Internet nei siti delle donne e dei padri "soli" l’elenco delle inadempienze dell’ex convivente sono lunghe e articolate. I figli, insieme all’assegno di mantenimento, sono il punto dolente di molte separazioni (5). Attenzione: stiamo parlando di separazioni consensuali, non giudiziali!
Per contenere il fenomeno, nel 2006 è stato rivisto l'istituto dell'affido condiviso (6), che ora viene scelto nel 42,2% delle separazioni consensuali (7).
Ma se uno dei due coniugi decide di rovinare la vita al suo ex, non ci sono leggi che tengano. È sufficiente avere soldi, tanto pelo sullo stomaco, un avvocato "in gamba" e l'ex vedrà ben raramente suo figlio, in più riuscirà ad accumulare denuncie e condanne che, nel medio periodo, gli faranno perdere definitivamente il figlio/a.
Quando dico avvocato "in gamba" intendo "nel male". In caso di crisi coniugale, anche se per molti l'avvocato è la prima soluzione, ci sono molti passi da compiere (amici, psicologi, consultori, ecc.) prima di ricorrere alla Legge. Ma se ciò dovesse risultare inevitabile affidatevi ad un avvocato "in gamba" "nel bene", che sappia aiutarvi a separarvi il più serenamente possibile (8). E vi garantisco che ce ne sono (9).
Franco Rosada
(1) Legge n.898/1970, nota a suo tempo come legge Fortuna.
(2) Dal "Libro bianco dei figli del divorzio" di Jeanne Delais.
(3) Introdotto in Francia con la rivoluzione del 1789, messo al bando dalla Restaurazione e reintrodotto nel 1884.
(4) Dati 2005 (tratto da: "100 statistiche per il Paese. Indicatori per conoscere e valutare", Istat, diffuso il 7 maggio 2008).
(5) In 7 coppie su 10 che si separano ci sono dei figli. In oltre la metà delle separazioni c’è almeno un figlio minore (fonte: blog.panorama.it).
(6) Legge n.54/2006.
(7) Fonte: blog.panorama.it.
(8) "Separati da chi?", in: Gruppi Famiglia n.43, giugno 2003, p.4-5.
(9) p.e. l'associazione "Gruppo di studio del diritto di famiglia e dei minori".

F-Uomini di Dio
Un film sugli uomini e su Dio, un film che ha per protagonisti dei religiosi ma che ci tocca tutti da vicino, sposi compresi

La guerra civile in Algeria tra il 1992 e il 1998 è stato un dramma che ha lacerato profondamente il tessuto sociale di quel paese. In questo contesto di violenza e di lotta fratricida si inserisce la storia dei monaci del monastero di Notre Dame de L’Atlas.
Il film ha poche scene di violenza, la situazione viene spiegata attraverso le parole della gente, i gesti di minaccia, il clima nel convento e nel paese vicino.
Ma questo è solo il contesto: il vero tema del film è la scelta che questi uomini sono chiamati a fare: fuggire o morire. Non è una scelta facile quando si è lasciato tutto per seguire la propria vocazione, per mettersi al servizio degli altri.
Anche nel matrimonio, fatte le dovute differenze, ci si può trovare di fronte a scelte così ardue: abbandonare tutto, farsi una nuova vita, o vivere fino in fondo la propria vocazione, "morendo" a se stessi per continuare ad amare l'altro, i figli.
Le autorità chiedono ai monaci di lasciare il convento: non possono più garantire la loro sicurezza. E la risposta dell'abate è: "no!".
Ma gli altri monaci non sono d'accordo: "perché questa risposta? perché non ci hai consultato?". "D'accordo" - risponde l'abate - "mettiamo la decisione ai voti".
Da quel momento in avanti inizia, all'interno della comunità, un cammino di riflessione, di presa di coscienza, di discernimento.
Quante volte diciamo all'altro: "perché hai deciso tutto tu? Perché non mi hai consultato? Cosa conto per te?" e via di questo passo. Serve, invece di recriminare o di rinchiudersi nella propria "torre d'avorio", sedersi intorno ad un tavolo, ragionare, interrogarsi, pregare.
È un cammino faticoso: la voglia di andar via sembra prevalere in molti. Si inizia a pensare al passato, a come avrebbe potuto essere la propria vita se non si fosse scelto il monastero; ci si misura, giorno dopo giorno, con la paura, con il proprio limite, la propria debolezza.
Se non avessi sposato lui/lei adesso chissà… se non fossi così debole, succube, potrei…Urlare tutta la propria amarezza in faccia all'altro che sembra così sicuro, andarsene, sbattere la porta…
I monaci non sono meglio degli altri uomini, fra loro c'è che non ha timore e chi invece esplode, non accetta la situazione. I momenti di preghiera, il lavoro, gli impegni quotidiani sembrano allontanare il problema ma è un illusione.
Nel confronto con gli altri emerge lentamente una scelta condivisa. C'è un impegno che si sono presi, c'è una comunità (musulmana) che ha bisogno di loro, che ha fiducia in loro: come la possono abbandonare? Per andare dove? C'è qualcuno che li aspetta? La loro vita è lì.
Sposandoci ci siamo presi un impegno, ci sono altri - coniuge, figli - che hanno bisogno di noi, che si fidano di noi, come li possiamo abbandonare? Per andare dove?
Allora, la paura diventa patrimonio comune, qualcosa ora unisce anziché dividere.
Chi ha paura muore tutti i giorni, chi non ha paura muore una volta sola.
La loro scelta diventa una scelta di fedeltà.
Fedeltà alla propria vocazione, alle proprie scelte, a chi ci vuole bene, a chi ha bisogno di noi, a chi ha paura come noi. Una fedeltà che porta al martirio, porta al dono della propria vita: "Chi cerca di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà" (Lc 17,33).
Ecco una virtù essenziale anche per il matrimonio: la fedeltà, che è come una porta stretta perché sembra privarmi della mia "libertà", del fare ciò che "sento", di essere "felice".
In realtà, attraversare quella porta significa la fatica di essere liberi: liberi di accettare la vita come la morte.
Un cammino faticoso, anche angoscioso per alcuni, ma che li trova pronti e uniti.
Franco Rosada
La scheda del film

"Di questa mia vita perduta, totalmente mia e totalmente loro, io ringrazio Dio che sembra l’abbia voluta tutta intera proprio per questa gioia, contrariamente a tutto e malgrado tutto. E anche tu, amico dell’ultimo istante, che non saprai quello che starai facendo, sì, anche per te voglio io dire questo grazie, e questo a-Dio, nel cui volto io ti contemplo. E che ci sia dato di incontrarci di nuovo, ladroni colmati di gioia, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, Padre di tutti e due".
Padre Christian de Chergé

 

G-Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni
È la forza della fede, e dei valori che ne conseguono, quella che manca ai protagonisti del film

Woody Allen ha da poco compiuto 75 anni e sugli schermi c'è il suo ultimo film "Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni", commedia ironica e amara sul senso della vita, ambientata nella Londra ordinata e borghese.
Chi immagina di andare a vedere un film comico sbaglia di grosso, l'umorismo dell'autore è feroce e pessimista, nell'insieme una precisa riflessione sui comportamenti umani, perlomeno su quelli che prende in considerazione. Allen è coerente con il suo stile, ribadisce, parlando del film, il suo scetticismo: "Purtroppo continuo a essere un miscredente-ha dichiarato in una recente intervista - da tutti i punti di vista. Per me non c'è differenza tra chi legge il futuro, i biscotti della fortuna o una qualsiasi religione organizzata. Ho un semplice, cupo punto di vista scientifico: ciò che vedi è ciò che hai. Magari potessi credere in un Dio, sarebbe una grande consolazione in certe notti scure, da brividi".
Infatti è la forza della fede, e dei valori che ne conseguono, quella che manca ai suoi protagonisti, che si dibattono incerti tra illusioni, egoismi, solitudine e desiderio d'amore.
Le storie nel film si intrecciano e la voce narrante fuori campo ne scandisce i tempi. Alfìe, maturo benestante, ha il terrore della vecchiaia, vuole essere giovane ad ogni costo per sconfiggere il tempo che passa e l'inevitabile decadenza. Un vecchio immaturo che lascia la moglie dopo 40 anni di matrimonio, cambia vita e addirittura sposa Charmaine, giovane attricetta che si vende a chiunque. Per fare il trentenne e tenerla legata a sé darà fondo ai capitali sino a trovarsi coperto dai debiti e, inevitabilmente, tradito.
Helena, sua moglie, troverà conforto nelle false parole di una chiromante che le fa pagare la speranza a caro prezzo mentre la figlia Sally verrà lasciata dal marito Roy, scrittore fallito che si innamora di una studentessa e cerca la nuova occasione di successo rubando il romanzo di un amico che è finito in coma.
Sally, a sua volta, si innamora del gallerista d'arte per cui lavora, ma lui ha già un'altra storia. Helene, sempre preda della maga che le garantisce un fragile e fasullo equilibrio, trova un compagno di ripiego, tra sedute spiritiche e occultismo da salotto. In più, per quasi tutti, l'unica consolazione è attaccarsi alla bottiglia.
Un bei quadretto, non c'è che dire, tuttavia è un bel film intelligente da non perdere, diretto da un maestro e con ottimi attori, che può suggerire riflessioni a un pubblico maturo.
Beppe Valperga (tratto da: La Voce del Popolo, settimanale della diocesi di Torino, 2010)
La scheda del film

H-Matrimoni in difficoltà: per una cultura dell'accoglienza nella Chiesa
Atti del convegno organizzato dal Centro Diocesano di Pastorale Familiare di Verona, 23 maggio 1998 (selezione della redazione)

Le nuove possibilità per una pastorale delle situazioni matrimoniali difficili e irregolari

Di mons. Mario Spezzi Bottiani
La situazione e la terminologia
Ciò di cui vogliamo parlare è un fenomeno che conosce una larga e preoccupante diffusione. Oggi, infatti, anche nelle nostre comunità, vanno moltiplicandosi le persone che si trovano in situazioni matrimoniali irregolari o difficili.
Ed è un fenomeno che, mentre intacca sempre di più anche le nostre parrocchie, conosce alcuni rischi e comporta alcune conseguenze. Così li richiama il Direttorio di pastorale familiare "non è ne irreale ne lontano il rischio di credere da parte di molti che tutto ciò non crei particolari problemi da un punto di vista etico o che, per lo meno, non sia gravemente contrastante con la nonna morale: ne segue una sorta di assuefazione e tende a diminuire il numero dei credenti che patiscono "scandalo" di fronte a queste situazioni" (n. 190).
Mi preme anche ricordare che con l'espressione situazioni matrimoniali irregolari non si vuole esprimere un giudizio sulle persone, ma indicare lo stato di vita dei battezzati che vivono coniugalmente senza il sacramento del matrimonio (conviventi, sposati solo civilmente, divorziati risposati). Con l'espressione situazioni matrimoniali difficili, invece, si fa riferimento a coloro che, dopo il fallimento del matrimonio, vivono come separati o come divorziati ma senza una nuova unione coniugale: la loro situazione per sé non è in contraddizione con la realtà del matrimonio e con il valore dell'indissolubilità, anche se certamente pone le persone interessate in una situazione nella quale è più difficile riconoscere e vivere la realtà del matrimonio e il valore dell'indissolubilità.

Motivazioni e atteggiamenti
Per un'adeguata e corretta considerazione del fenomeno, così da impostare una reale azione pastorale, è pure indispensabile notare che diverse sono le motivazioni che portano le persone a vivere in situazione matrimoniale irregolare:
- ci sono divorziati che passano a una nuova unione dopo essersi sforzati di salvare il primo matrimonio ed essere stati abbandonati del tutto ingiustamente dal coniuge;
- altri che si risposano dopo aver distrutto con grave colpa personale il proprio matrimonio;
- c'è chi ha contratto una nuova unione in vista dell'educazione dei figli;
- chi l'ha fatto perché soggettivamente certo in coscienza che il precedente matrimonio non era mai stato valido;
- ci sono battezzati sposati solo civilmente perché hanno perso la fede, o per una non comprensione del significato religioso del matrimonio, o per critica al matrimonio concordatario, o per pressione dell'ambiente culturale, o per la tendenza a vivere l'unione civile quasi come un "esperimento";
- ci sono battezzati che convivono per motivi sociali, economici o giuridici, o per motivi di ordine più psicologico, o per cause più propriamente culturali, connesse o con il rifiuto della società e delle sue regole, o con un individualismo esasperato o con la contestazione e il rigetto del matrimonio come istituzione pubblica.
Diversi sono anche gli atteggiamenti di queste persone verso la Chiesa e la vita di fede. In particolare, tra i divorziati risposati c'è chi si distacca totalmente dalla Chiesa e vive in una generale indifferenza religiosa, c'è chi non ha piena coscienza del fatto che la sua nuova unione è contro la volontà del Signore; c'è chi, proprio in questa situazione, si lascia interrogare circa la sua vita di fede e manifesta il desiderio di una maggiore partecipazione alla vita della Chiesa e ai suoi mezzi di grazia'
Questa diversità di motivazioni e di atteggiamenti - qui richiamati solo in modo esemplificativo - deve essere tenuta presente e fatta oggetto di attento discernimento nell'azione pastorale.

La necessità di un'attenzione pastorale
Se questo è il fenomeno che ci interpella, è indubbio che l'esistenza e la diffusione di queste situazioni richiedono e sollecitano una più precisa attenzione e azione pastorale.
La necessità e l'urgenza di questa azione pastorale sono strettamente connesse con la missione evangelizzatrice della Chiesa: essa, infatti, non può non annunciare il Vangelo di Gesù anche con le sue esigenze morali circa il matrimonio. In questo senso è di sempre e per sempre il dovere della Chiesa di porre attenzione alle persone che vivono in queste situazioni. Se ciò non accadesse, ciò che ne patirebbe sarebbe la stessa integrità dell'annuncio del Vangelo.
Ma non c'è dubbio che la necessità e l'urgenza di questa attenzione pastorale appaiono oggi con maggiore evidenza proprio per la diffusione del fenomeno, per i rischi che vi sono connessi e per le conseguenze che ne possono derivare. In questo senso la pastorale delle situazioni matrimoniali difficili e irregolari chiede oggi di farsi più precisa, puntuale, organizzata e strutturata.
Nello stesso tempo, questa necessità e questa urgenza derivano anche dal fatto che la comunità cristiana continua ad avere occasioni di incontro con queste persone in particolare attraverso i loro figli, per i quali vengono chiesti i sacramenti dell'iniziazione cristiana e che vivono l'esperienza della scuola, della catechesi, dell'oratorio, di diversi ambienti educativi ecclesiali.

I criteri fondamentali da seguire
Questa azione pastorale della Chiesa deve comunque essere guidata da alcuni criteri fondamentali, che determinano poi ogni considerazione più specifica e singolare.
Essi consistono fondamentalmente in questi due "compiti-doveri" da parte della Chiesa (cf Direttorio di pastorale familiare, nn. 191-193):
- vivere la sua missione evangelizzatrice e, quindi, "annunciare il Vangelo di Gesù e le sue esigenze morali circa il matrimonio"
- esercitare la sua missione pastorale "sulla misura del Cuore di Cristo", attraverso "un unico e indivisibile amore alla verità e all'uomo".
Dice a questo proposito il Direttorio: "Sposa di Cristo, a Lui totalmente relativa e fedele, la Chiesa riconosce nell'atteggiamento pastorale del Signore Gesù la norma suprema, anzi lo stesso principio sorgivo, della sua vita e della sua opera. Come Gesù "ha sempre difeso e proposto, senza alcun compromesso, la verità e la perfezione morale, mostrandosi nello stesso tempo accogliente e misericordioso verso i peccatori", cosi la Chiesa deve possedere e sviluppare un unico e indivisibile amore alla verità e all'uomo: "la chiarezza e l'intransigenza nei principi e insieme la comprensione e la misericordia verso la debolezza umana in vista del pentimento sono le due note inscindibili che contraddistinguono" la sua opera pastorale".
Questo comporta che ci sia chiarezza nei principi (cf Direttorio di pastorale familiare, nn. 194-199). Essi possono essere riassunti cosi:
- il matrimonio è indissolubile;
- chi è in situazione matrimoniale irregolare continua ad appartenere alla Chiesa (perché tale appartenenza si fonda sul battesimo e si alimenta con la fede che, per sé, non viene negata per la situazione matrimoniale irregolare), anche se non è in piena comunione con essa (perché la sua situazione di vita è in contraddizione con il Vangelo, che propone ed esige un matrimonio indissolubile e fedele);
- di conseguenza, per il limite oggettivo e reale della sua appartenenza ecclesiale, chi permane in questo stato non può essere ammesso ai sacramenti;
- solo il pentimento e la conversione, che devono portare ad un reale cambiamento della condizione di vita, sono premessa insostituibile per la riconciliazione e la piena comunione sacramentale con la Chiesa.
La premura pastorale della Chiesa, nello stesso tempo" deve farsi accogliente e misericordiosa nei confronti di queste persone (cf Direttorio di pastorale familiare, nn. 200-203). In concreto, accoglienza e misericordia devono significare:
- attenta opera di discernimento di ogni situazione e delle sue cause,
- assistenza e prevenzione,
- rinnovamento dell'intera pastorale coniugale e familiare,
- senza mai tralasciare di agire in profonda comunione ecclesiale.

La dottrina e la disciplina della Chiesa
In questa azione pastorale, inoltre, è necessario conoscere con precisione - senza irrigidimenti e senza riduzioni - la dottrina e la disciplina della Chiesa. Cosi la sintetizza il nuovo Catechismo degli adulti La verità vi farà. liberi:" Coloro che si trovano in situazione irregolare, finché non si convertono, non sono in piena comunione con la Chiesa: perciò non possono essere riammessi alla riconciliazione sacramentale e alla comunione eucaristica, né fungere da padrini o essere membri di consigli pastorali o responsabili di attività ecclesiali. Però appartengono ancora alla Chiesa: è importante che preghino, ascoltino la parola di Dio, partecipino alla Messa, compiano opere di carità, educhino cristianamente i figli. I sacerdoti e gli altri fedeli della comunità siano loro vicini, abbiano per loro amicizia e rispetto; preghino per loro e li esortino a confidare sempre nella misericordia del Signore. Da una parte bisogna affermare con chiarezza la verità del matrimonio cristiano; dall'altra evitare di giudicare le coscienze e saper comprendere le difficoltà concrete.
Amore alla verità e amore alle persone devono andare insieme" (n. 737, p. 359).
Ancora più precisamente, occorrerebbe conoscere con precisione e rispettare la dottrina e la disciplina della Chiesa a riguardo dell'ammissione ai sacramenti, con riferimento alle singole situazioni. Non è certo questo il momento per riprenderla e descriverla, ma essa deve essere patrimonio comune e condiviso da parte di tutti e di ciascuno perché si possa fare un'autentica pastorale.
Nello stesso tempo è necessario illustrare le ragioni di questa dottrina e disciplina ecclesiale, educandoci ad accoglierla e a condividerla. A tale proposito, è doveroso sottolineare quanto segue:
a) è necessario educarci al rispetto delle persone e della loro situazione di vita coniugale, anche se irregolare. Pur nel rammarico di non poter riconoscere come legittimo il loro stato di vita, è doveroso accogliere la testimonianza di valori umani e cristiani offerta dalle singole coppie irregolari (educazione dei figli, disponibilità nel servizio dei fratelli, impegno sociale, costanza nelle prove...) e apprezzare questa testimonianza come un segno della bontà di Dio che non abbandona i suoi figli, ma li attrae a sé per vie che solo lui conosce. Ciò significa che la comunità cristiana deve essere stimolata a comprendere e a valorizzare l'appartenenza alla Chiesa delle coppie cristiane irregolari, cosi da promuovere la loro attiva partecipazione alla vita della Chiesa, fin dove è possibile. Si tratta, a questo proposito, di ricordare e di mettere in luce che la situazione matrimoniale irregolare non taglia fuori il cristiano da quel profondo e inalienabile rapporto di "figlio" di Dio createsi con il battesimo. E' quindi nostro compito fare di tutto perché queste persone salvino il loro rapporto con Dio o lo ritrovino: dall'incontro con la Scrittura, alla certezza che la preghiera umile che riconosce i propri errori ottiene grazia dal Signore, alla carità generosa che copre una moltitudine di peccati, c'è spazio sufficiente per rispondere a chi manifesta il pur minimo desiderio di accostarsi a Dio e di esprimere la fede. Si tratta pure di aiutarci e di aiutare a cogliere che queste persone2 fanno parte della Chiesa e, come tali, sono chiamate a vivere e ad esprimere la loro appartenenza alla comunità cristiana.
b) è necessario educarci ad accogliere fedelmente il Vangelo del matrimonio, ossia l'insegnamento del Signore circa l'indissolubilità del vincolo coniugale: è questa una verità da accogliere e custodire con fedeltà Ai fidanzati e ai coniugi cristiani, contro la diffusa mentalità divorzista, occorre risvegliare costantemente la coscienza della indissolubilità, richiamando che essa, nel sacramento del matrimonio, è strettamente legata al dono della presenza del Signore.
c) è necessario educarci a comprendere e a vivere i sacramenti come segni espressivi della fede della Chiesa e della sua adesione al Vangelo, oltre che della piena comunione con Cristo e con la Chiesa. Di conseguenza la Chiesa non può offrire i sacramenti a chi è in situazione irregolare senza cadere nella contraddizione di celebrare i misteri dell'unità della fede tollerando uno stato di vita in contrasto con il Vangelo e, quindi, con la fede stessa.
Come pure offrire i sacramenti a chi non è in piena comunione ecclesiale e non intende entrarvi non è espressione di bontà misericordiosa, ma una specie di inganno. Si tratta piuttosto e nello stesso tempo - senza sminuire in nulla l'importanza dei sacramenti - di aiutare a capire che la grazia e la misericordia del Signore conoscono anche altre vie.
d) è necessario aiutare a discernere e ad affrontare correttamente i casi di coscienza. Ciò riguarda, ad esempio, il caso dei divorziati risposati che, riconoscendosi nella condizione di non sposati, non intendono più vivere come coniugi, anche se, per gravi ragioni continuano a stare insieme: essi possono essere riammessi ai sacramenti, con l'attenzione ad evitare lo scandalo. Altro caso da considerare attentamente è quello di coloro che sono "soggettivamente certi che il loro precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido" (cf Familiaris consortio, n. 84). A tale riguardo - ricordando che il caso di vera certezza soggettiva non dimostrabile in "foro esterno" è eccezionale e difficilmente verificabile; tenendo presente il significato del giudizio di coscienza; valutando e riconoscendo il carattere pubblico del matrimonio; non dimenticando che l'attuale disciplina della Chiesa offre anche nuove vie connesse con la forza probante delle dichiarazioni delle parti per dimostrare la nullità della precedente unione - vanno aiutate le persone interessate a rivolgersi al Tribunale ecclesiastico, anche istituendo un qualificato servizio di consulenza per verificare la possibilità di avvio di una eventuale causa di nullità matrimoniale.

Un'azione pastorale più ampia
L'azione pastorale, in ogni caso, non può limitarsi alla pur importante questione dell'ammissione ai sacramenti; anzi - come si può vedere da quanto detto finora - la considerazione di questa stessa questione chiama in causa attenzioni pastorali più ampie e complesse. È necessaria, quindi, un'azione più ampia, complessiva e articolata. In una vita pastorale che ruotasse esclusivamente sui sacramenti, chi si trova in situazione matrimoniale irregolare si sentirebbe escluso. II dibattito, e ancora di più l'azione pastorale cadrebbe in un vicolo cieco se si concentrasse esclusivamente sulle eventuali possibili ammissioni ai sacramenti Occorre invece spostare l'attenzione su che cosa sappiamo e possiamo offrire loro di partecipazione alla vita della comunità perché possano, se lo vogliono sinceramente, esprimere e vivere la loro partecipazione. Scriveva in proposito qualche anno fa don Gianfranco Fregni:
"Non è forse l'occasione di rivisitare quelle forme antiche di pietà popolare che permettono a tutti, in tutte le situazioni, di prendervi parte esprimendo cosi sia il proprio potenziale religioso che il bisogno di appartenenza e di poter contare sulla fede della Chiesa? Oltre alle forme di pietà popolare, oggi sono da offrire anche quelle altre forme di preghiera liturgica quali "le liturgie della Parola", le celebrazioni comunitarie della penitenza, e incontri biblici nelle case. Le case sono luogo ecclesiale di incontro e vanno riconsiderate molto seriamente: sono dette, e lo sono realmente, "santuari domestici della Chiesa". Sono luoghi privilegiati di accoglienza per coloro che si sentono "esclusi" ed emarginati La Chiesa comunione, fatta visibile nell'istituzione, si manifesta anche nella solidarietà di tutta una comunità. L'incontro di queste persone e famiglie con la Chiesa non può limitarsi alla persona del presbitero, del religioso "conoscente e amico",- ma deve avvenire con la Chiesa, con la comunità. Quale luogo od occasione più evangelica che l'esercizio della solidarietà e della carità? Si tenga anche conto che in alcuni casi queste coppie hanno necessità materiali e vanno aiutate specie nell'adempimento dei loro compiti genitoriali. Ma oltre a essere oggetto di solidarietà, occorre considerare che queste stesse coppie vanno incoraggiate a divenire soggetti della carità della Chiesa".
Che cosa può comportare allora questa ampia e articolata azione pastorale?
Comporta di essere vicini a queste persone con interventi ispirati dall'amore e dal buon senso maturato con l'esperienza, per aiutarle a portare il peso della sofferenza e per risolvere le loro necessità spicciole e quotidiane, con la parola di conforto, il consiglio, l'aiuto materiale... Questo intervento deve vedere impegnata l'intera comunità: proprio perché si sforza di rispondere ai bisogni di questi fratelli in ogni momento della vita e nelle più diverse circostanze, è necessaria una capillarità di presenza e di interventi, che può essere affrontata solo dalla comunità nel suo insieme.
Ma comporta anche di creare iniziative di aggregazione, gruppi in cui queste persone possano pregare, ascoltare la Parola, confrontarsi, discutere, scambiarsi esperienze, proporre soluzioni, anche se queste iniziative non devono essere tali da emarginare e ghettizzare. Dovrebbero, quindi, essere solo dei momenti in una iniziativa più vasta volta a inserirli nel diversi gruppi ecclesiali.
Comporta pure la messa in atto di strumenti e luoghi appositi e competenti di sostegno e di aiuto - centri di ascolto, consultori ... - in cui accogliere le persone e seguirle nei diversi problemi che richiedono una particolare competenza, attraverso forme adeguate e specifiche di sostegno o di accompagnamento.
In modo ancora più descrittivo, seppure solo per accenni, questa più ampia azione pastorale comporta, tra l'altro: un attento discernimento delle diverse situazioni e delle loro motivazioni, la valorizzazione delle diverse occasioni che permettono un accostamento di queste persone (nascita di un figlio; richiesta dei sacramenti dell'iniziazione cristiana; visita alla famiglie; momenti di sofferenza o di lutto familiare...); una sincera e matura preoccupazione evangelizzatrice; la vicinanza e il dialogo, soprattutto personale, non solo da parte dei presbiteri, ma anche di coppie, parenti, amici, vicini di casa; la preghiera e la penitenza da parte della comunità cristiana per questi suoi figli.
Nello stesso tempo, è necessario trovare i modi per sollecitarli e invitarli ad ascoltare la Parola di Dio, a perseverare nella preghiera, a partecipare fedelmente alla Messa, a riscoprire il valore della comunione spirituale, a chiedere il perdono dei propri peccati, a vivere opere di carità e di giustizia.
A questo proposito, mi preme sottolineare come questi inviti non cadranno nel vuoto se Finterà azione pastorale sarà attenta a non porre premesse che rendono incomprensibili, se non addirittura contraddittori, questi stessi inviti.
E ciò rimanda alla complessiva azione educativa oltre che alla concreta prassi pastorale. Vorrei portare solo due esempi che mi sembrano illuminanti. Il primo si riferisce al modo con cui si parla della partecipazione alla Messa domenicale. Se si va predicando che la vera partecipazione è quella di chi si accosta anche alla comunione eucaristica e che se ciò non avviene non varrebbe quasi la pena di partecipare alla Messa, come sarà poi possibile richiamare il diritto-dovere di partecipare alla Messa domenicale a chi non può accostarsi alla Comunione? L'altro esempio riguarda la prassi pastorale in ordine alla celebrazione della penitenza: se, infatti, in una comunità parrocchiale non si da spazio anche alle celebrazioni penitenziali senza assoluzione sacramentale sarà certamente più difficile invitare quanti non possono ricevere l'assoluzione a compiere gesti di penitenza e a invocare la misericordia del Signore.
Né si può tralasciare di offrire loro aiuto e collaborazione perché possano vivere pienamente il loro compito educativo nei confronti dei figli e di valorizzare quelle realtà (come i consultori familiari di ispirazione cristiana) che sappiano offrire consulenza e sostegno adeguati e competenti.
Una particolare attenzione va al problema dei figli, soprattutto in ordine alla loro educazione alla fede e alla loro ammissione ai sacramenti dell'iniziazione cristiana. È un'attenzione fatta di grande apertura pastorale, di accoglienza e di disponibilità nei loro confronti, oltre che di capacità di vivere questi momenti come occasione di evangelizzazione per i genitori stessi (Dir. di past. fam.nn 231-233).

Conclusione
Avviandomi alla conclusione, vorrei fare un cenno alla "figura di Chiesa" che la messa in atto di questa azione pastorale, come di tutta la pastorale familiare, presuppone e insieme aiuta a crescere.
È una Chiesa che riconosce nell'odierna convivenza sociale ed ecclesiale la presenza di situazioni e mentalità non sempre disponibili e coerenti con l'annuncio del Vangelo e che, anche per questo, intende dare maggiore spazio alla dimensione e all'urgenza missionaria, impegnarsi per una "nuova evangelizzazione", facendo della comunicazione della fede agli adulti uno dei suoi cardini fondamentali. Una Chiesa, in altri termini, che sa riconoscere e vivere il primato dell'evangelizzazione in corretto rapporto con la celebrazione dei sacramenti.
Una Chiesa accogliente e misericordiosa, nella quale ciascuno possa sentirsi amato e aiutato, una Chiesa che non emargina nessuno e sa accompagnarsi al passo di ogni persona per aiutarla a camminare verso l'accoglienza piena del Vangelo e delle sue esigenze. Una Chiesa, però, che non fa dell'accoglienza e della misericordia un ingannevole atteggiamento di indifferenza verso la verità e un esercizio di "buonismo" deleterio e inaccettabile. Una Chiesa, piuttosto, che sa conciliare accoglienza e misericordia con la fedeltà al Vangelo e con il rispetto della verità, convinta che la gelosa custodia della verità è già forma autentica di accoglienza, di misericordia e di carità.
Una Chiesa che accetta la fatica e la gioia di un'azione pastorale davvero educante e per questo, pur volendo continuare a far crescere un popolo intero si fa. carico del cammino di ogni persona e mentre ha il coraggio di proporre cammini adeguati a ciascuno, sa dotarsi anche di quelle strutture e di quelle realtà o iniziative organizzate che sono di aiuto per tutti.
Una Chiesa, infine, che sa valorizzare tutti i ministeri e perciò, mentre guarda al prete come ad autentica guida e a vero pastore e gli permette di essere tale, sa "investire sui laici" e in particolare sugli sposi, perché siano innanzitutto e soprattutto questi a "farsi prossimo" di chi è in situazione matrimoniale difficile o irregolare.
Una Chiesa così - ne sono certo - saprà individuare e vivere sempre più e sempre meglio, nel rispetto e nella condivisione delle indicazioni della Chiesa, nuove possibilità per una pastorale delle situazioni matrimoniali difficili e irregolari.

L-IL BILANCIO DEL CONVEGNO
la verità senza la carità condanna, la carità senza la verità inganna, la carità nella verità salva

di don Giancarlo Grandis
Più che una vera e propria conclusione, le considerazioni che seguono vorrebbero solo attirare l'attenzione su alcuni punti che sono emersi in questo convegno e che potrebbero costituire, per gli operatori di pastorale familiare, cui esso è stato in modo particolare rivolto, una prima guida orientativa per attuare nelle nostre comunità parrocchiali una pastorale di accoglienza e di accompagnamento per quei fratelli che vivono, spesso nella sofferenza e nel dolore, un'esperienza di fallimento del loro matrimonio.
I due imprescindibili alvei di attenzione sono certamente da un lato i valori che il Vangelo del Matrimonio e della Famiglia contengono e che non possono essere messi in discussione in quanto sono si valori rivelati, ma essi si radicano nel tessuto della nostra umanità; dall'altro lato la situazione culturale del nostro tempo che su non pochi aspetti si mostra ostile alla possibilità di vivere tali valori umani e cristiani.
Le due relazioni iniziali hanno avuto lo scopo di segnalare questi due alvei dentro i quali deve scorrere la cosiddetta "Pastorale delle Famiglie in situazione difficile o irregolare" descritta nel capitolo VII del Direttorio di Pastorale Familiare (nn. 189-234), la quale però stenta non poco a trovare un suo specifico spazio nell'azione pastorale delle nostre comunità pur avvertendosi tutti i fattori di emergenza che la rendono necessaria.
Un primo dato che può essere messo in risalto è che la pastorale delle famiglie che vivono il dramma di un matrimonio fallito deve essere elaborata a partire dai valori del Vangelo del Matrimonio e della Famiglia. Esso, con i suoi valori di umanità, totalità, fedeltà e fecondità rimane vero comunque e tali valori non possono essere smentiti nella loro rilevanza umana dalla pastorale della accoglienza. Come, allora, poter affermare questi valori anche di fronte a chi si trova in una situazione che sembra impedirgli di poterli vivere nella loro pienezza e senza che questo suoni un giudizio e condanna sulla persona e sull'impegno personale e, tanto meno, un'emarginazione? È, questo, un primo interrogativo di carattere pastorale che non può essere eluso, in quanto i contenuti della Parola di Dio hanno sempre un significato salvifico.
La necessità, poi, di conoscere gli indirizzi fondamentali della cultura secolarizzata del nostro tempo e soprattutto le complesse sfumature della varie situazioni personali è un secondo dato che emerge prepotentemente come capacità e attitudine dell'operatore pastorale che si inette a servizio, a nome della comunità, di questi fratelli. Non si tratta di fare sconti o di svendere spezzoni di Vangelo, ma di trovare insieme le strade che conducono a Cristo il quale, nella sua opera di rivelazione dell'amore del Padre, non ha trovato l'uomo in una situazione ideale, ma di più o meno lontananza. La situazione non modifica le esigenze del Vangelo, ma costituisce soltanto il luogo dove il Vangelo risuona, nella profonda convinzione che non ci può essere nessuna situazione che possa pregiudizialmente negare la possibilità di essere vissuto nella sua integrità. Non ci sono situazioni in cui Dio non sarebbe più, per l'uomo, il Dio dell'amore e della speranza.
Da tempo, inoltre, i pastori hanno segnalato alle comunità la necessità, o meglio, l'urgenza di trovare soluzioni pastorali per le non poche situazioni matrimoniali difficili e irregolari che l'odierna realtà socioculturale presenta.
Già alla fine degli anni '80 i Vescovi italiani, nel contesto di un'incipiente cultura divorzista, che si sarebbe sempre più diffusa anche in Italia, tramite la legge sul divorzio, avevano fornito preziose indicazioni dottrinali al riguardo, trovando esse una costante risonanza anche negli altri documenti fino al Direttorio di Pastorale Familiare. La traduzione pastorale di tali indicazioni, però, - e questo è un terzo dato da rilevare - stenta a trovare attuazione. I motivi di tale difficoltà, a tradurre in prassi pastorale la sollecitudine della Chiesa per quei cristiani che si trovano alle spalle un matrimonio fallito, sono certamente molteplici, complessi, difficili da monitorare. Certamente c'è ignoranza nella conoscenza della prassi della Chiesa, c'è pigrizia, ritardi pastorali.
Questo convegno forse è riuscito, pur nella sua brevità, a metterne in luce qualche aspetto.
Un ultimo dato da segnalare è il problema della prevenzione. La pastorale delle situazioni difficili e irregolari chiama in causa tutta la pastorale della preparazione al sacramento del matrimonio. La pastorale familiare, in tutte le sue implicazioni, non sembra avere ancora nelle nostre comunità un apparato istituzionale, come lo hanno altri sacramenti - si pensi a quelli della iniziazione cristiana - che la renda capace di rispondere alla attuale situazione in cui versa la famiglia.
Quale bilancio può essere fatto di questo convegno? Richiamando in maniera riassuntiva quanto esposto possiamo mettere in evidenza:
1. L'importanza dell'aggancio dottrinale: l'unità e l'indissolubilità del patto coniugale, al di là di ogni situazione socio-culturale, rimangono punti di riferimento imprescindibili dell'annuncio cristiano dell'amore coniugale;
2. La necessità di una lettura sempre più attenta delle singole situazioni: il contributo delle scienze umane è elemento imprescindibile dell'azione pastorale in questo settore;
3. La prevenzione: queste situazioni chiamano in causa la pastorale della preparazione del matrimonio,
4. Un maggior investimento della pastorale parrocchiale al settore della pastorale familiare: l'odierna cultura chiama in causa un ripensamento della progettazione pastorale delle nostre comunità, in cui gli adulti non ne sono ancora gli interlocutori principali;
5. La cultura della accoglienza come risposta adeguata alla centralità della persona nella pastorale: è proprio la centralità e il bene della persona che devono sollecitare le nostre comunità a trovare soluzioni pastorali che rispondano al criterio della "carità nella verità", che sappiano cioè coniugare insieme la fedeltà al Vangelo, non oscurandone la verità, e la fedeltà all'uomo, non abbandonandolo nella sua fragilità e nella sua povertà.
Chiarezza nei valori che sono in gioco per il bene delle persone e accoglienza e misericordia, caratteristiche fondamentali dell'azione pastorale della Chiesa, sono allora i due argini dentro i quali poter far camminare la pastorale delle famiglie in situazione difficile o irregolare e che il Direttorio di Pastorale Familiare ha indicato come idee-guida (cfr. 194-203). Il Direttorio parla di "carità nella verità". Tener insieme questi due grandi valori evangelici è ciò che costituisce la sfida che tali situazioni pongono alla pastorale familiare, nella consapevolezza che "la verità senza la carità condanna, la carità senza la verità inganna, la carità nella verità salva".
Forse è poco, ma è più del quasi niente presente oggi in non poche comunità parrocchiali!

M-Le situazioni matrimoniali irregolari: tra teologia, prassi pastorale ed esperienze
Atti degli incontri formativi organizzati dal Centro Diocesano di Pastorale Familiare di Verona, 18 e 25 ottobre 2008
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