Foglio di collegamento tra Gruppi Famiglia
GF77 - giugno 2012
Felici in famiglia? Vivere le beatitudini
1-Lettere alla rivista: Le beatitudini: meravigliose ma
difficili
Sono il fine delluomo, pienezza di felicità
Le beatitudini sono un invito meraviglioso ma estremamente impegnativo. Mi sento in
qualche modo in grado di praticarne alcune ma altre sono estremamente al di fuori della
mia portata. Così archivio questo invito e mi accontento di rispettare i dieci
comandamenti.
Federico
Risponde don Giancarlo Grandis, vicario episcopale per la cultura della diocesi di Verona
La vita buona del Vangelo, di cui le beatitudini sono il manifesto programmatico e il
compimento dei dieci comandamenti (le dieci parole), appare certamente da un lato
meravigliosa e dall'altro impegnativa, quasi irraggiungibile alle nostre possibilità
umane.
Ciò è dovuto alla nostra natura umana segnata dalla fragilità e dalla distorsione della
nostra volontà a volere il nostro bene.
San Paolo descrive questa distorsione con una lucidità disarmante: "in me c'è il
desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo" (Rm 7, 18).
Le beatitudini sono certamente la 'misura alta' della vita cristiana. La loro meditazione
è istruttiva almeno su tre precise prospettive.
Esse ci dicono innanzi tutto che la beatitudine è il fine dell'uomo, e la beatitudine
dice pienezza di felicità. Le beatitudini, quindi, rispondono al desiderio fondamentale
della nostra natura umana, che tende al bene-essere integrale.
Esse inoltre sono rivolte all'uomo storico. Storia indica cammino progressivo. Quindi le
beatitudini, pur essendo percepite come una meta che pare irraggiungibile, tengono conto
che noi cresciamo verso il bene attraverso tappe progressive.
Il cammino morale che le beatitudini propongono, allora, non può essere percepito come
mortificante per l'uomo che per natura è spinto verso il bene. La cima non umilia lo
scalatore, ma al contrario lo stimola a superare tutte le difficoltà per raggiungere la
meta agognata.
Infine esse, mentre fanno emergere che l'uomo non può salvarsi da solo perché la sua
volontà vede il bene ma non ha la forza di compierlo, presuppongono che egli si convinca
che senza la grazia di Dio, elargita dai sacramenti, non potrà andare lontano e troverà
sempre delle scuse per sottrarsi all'impegno.
Luomo, in questo caso, si comporta come la volpe della favola di Fedro che, siccome
non arriva a raggiungere l'uva, afferma che non é matura.
giancarlo.grandis@tin.it
2-Dialogo tra famiglie: Come si può essere miti con un
adolescente?
La mitezza non è debolezza, essere accomodanti
Beati i miti? Come si può essere mite con un figlio adolescente che "una ne pensa
e cento ne fa"? Con un marito che lascia correre e, praticamente, gli dà sempre
ragione? La mitezza non fa per me!
Adriana
Chi è il mite? Gesù dice di sé di essere "mite e umile di cuore" e ci dice
di imparare da Lui.
Imparare da Lui credo significhi innanzi tutto imparare dalla Sua vita: ha preso i suoi
discepoli lì dove erano, nel loro percorso concreto di vita, coi loro limiti e i loro
entusiasmi, le loro gelosie e la loro "durezza di cuore", i loro dubbi e le loro
ribellioni, e che ha fatto?
Li ha "accompagnati" per tre anni, giorno dopo giorno, gratificandoli e
rimproverandoli, fino a portarli in un percorso di responsabilità e libertà, a per
arrivare a prendere consapevolezza che dovevano fare come Lui: dare la vita per i
fratelli.
Non c'è altra ricetta e ogni credente, ogni genitore lo percorrerà in modo diverso
certi che mitezza non è debolezza, non è essere accomodanti.
Si può solo ribadire che la nostra vita di genitori è un percorso fatto assieme ai
figli. A noi è chiesto di essere guide, non fantasmi o bancomat, non guidati dai nostri
desideri o progetti su di loro: siamo chiamati ad accompagnarli, accettandoli e
correggendoli, con mitezza certamente, ma con chiarezza esigente, affermando e
testimoniando ciò che è bene e ciò che è male, ciò che fa crescere e ciò che fa
deperire e/o morire.
Nello stesso tempo siamo chiamati a sopportare pazientemente le loro stravaganze e
prepotenze così come vorremmo che loro sopportassero le nostre "prediche" o le
nostre ripicche di fronte ad atteggiamenti che ci offendono. Poi sbaglieremo tante volte e
chiederemo misericordia.
Anna Lazzarini
3-Editoriale: VIVERE LE BEATITUDINI IN FAMIGLIA
Unutopia o via maestra per vivere in pienezza?
di Franco Rosada
Il tema delle Beatitudini è già stato proposto diverse volte nei campi estivi, mai sulla
rivista.
È per questo motivo, confortato anche dal gradimento da voi espresso sul tema, che questo
numero, eccezionalmente di ventotto pagine, è interamente dedicato a loro. Il mio vuole
essere, più che un editoriale, un primo approfondimento di questo brano del Vangelo, che
corrisponde al primo punto della Lectio divina: "cosa dice il testo in sé".
Fare una Lectio senza che qualcuno del gruppo si sia prima preparato su questo punto vuol
dire rischiare interpretazioni personalistiche e far "dire" al testo cose fuori
luogo. Mentre dunque leggevo il testo di Matteo, per preparare questo articolo, la mia
attenzione si è focalizzata sulla parola "giustizia".
Vivere la "giustizia"
La giustizia umana, adesso come ai tempi di Gesù, non gode di buona fama: è più facile
coglierne i limiti dei pregi. Anche la parola giustizia, applicata a Dio, suscita
diffidenza: ci è stata, in passato, proposta per troppo tempo limmagine di un Dio
"giudice" per farla nostra.
Una risposta soddisfacente lho trovata nella traduzione in lingua corrente del
Vangelo: Beati quelli che desiderano ardentemente quello che Dio vuole: Dio esaudirà i
loro desideri.
Per Matteo, e più in generale per la tradizione biblica, praticare la giustizia è fare
la volontà di Dio.
Scrive Dupont: "Il discorso della montagna si presenta come un insegnamento sulla
"giustizia" che Gesù esige dai suoi discepoli [
] La giustizia è definita
come compimento della volontà divina".
Uno sguardo dinsieme
Siamo abituati a pensare alle beatitudini seguendo il testo di Matteo, ma anche Luca
le riporta, seppure in modo diverso (Lc 6,20 ss).
Le beatitudini, per Luca, hanno come centro la povertà, vista nel suo aspetto sociale,
mentre Matteo ne sottolinea l'aspetto religioso. Infatti, il centro delle beatitudini è,
per questo evangelista, la giustizia.
Matteo ci presenta otto beatitudini, le prime quattro che riguardano un particolare
atteggiamento verso Dio, le seconde quattro che riguardano il nostro modo di farci
"prossimo".
Linsieme ha una sua solennità, rilevabile anche dal modo con cui sono riportate nel
testo. Si aprono e si chiudono con la stessa affermazione: "Perché di essi è il
regno dei cieli" che forma una sorta di inclusione (v. 3.11) in cui è contenuta
tutta la pericope.
Le altre beatitudini
Tutto il numero è dedicato a passare in rassegna ad una ad una le singole beatitudini
da varie angolature, privilegiando la lettura in chiave di coppia e di famiglia. In questa
sede faccio solo un rapido cenno a ciascuna di esse attingendo ad alcuni commenti.
I poveri in spirito. Il motivo della beatitudine - scrive Fausti - non è la povertà ma
il perché: al povero Dio dona se stesso. Infatti, Dio è essenzialmente povero, non
possiede nulla, perché è tutto dell'altro, è solo amore.
Gli afflitti. Non sono tanto coloro che piangono - sottolinea Dupont - ma coloro che si
affliggono davanti a Dio rifiutando di venire a patti con le false gioie di un mondo
peccatore.
I miti. Sono le persone che non vogliono dominare. Aggiunge Fausti: chi ama è sempre mite
ed avrà in eredità la terra, simbolo dello Spirito. La terra promessa è la promessa
dello Spirito.
I misericordiosi. Gesù - ci ricorda Poppi - ci invita ad essere "misericordiosi,
come è misericordioso il Padre vostro". Siamo chiamati ad esercitare la misericordia
e il perdono in modo illimitato.
I puri di cuore. Un cuore puro - scrive Fausti - è un occhio trasparente che vede Dio, e
lo vede in tutte le cose. Chi in tutto cerca solo Dio, lo trova in tutte le cose.
Gli operatori di pace. Portare pace tra gli uomini significa renderli fratelli, questa è
opera del Padre e di chi è già figlio (Fausti).
I perseguitati. Chi ama il Padre e i fratelli si scontra con il male; trova ostilità e
persecuzione in sé e fuori di sé. Il regno dei cieli promesso - aggiunge Fausti - qui
sulla terra rimane sotto il segno della croce.
La via per la felicità
Tutti gli uomini aspirano ad essere felici ma quello che propone il mondo è sempre un
surrogato della felicità.
Le beatitudini rappresentano un atteggiamento del cuore, un modo di agire che, se
praticato assiduamente, crea nella persona un animo virtuoso.
È proprio nella pratica della virtù che luomo ha la possibilità di fare
concretamente esperienza di felicità.
Spero che le riflessioni di questo numero possano aiutarci in tal senso.
formazionefamiglia@libero.it
Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. (Mt
5,3-12)
4-LA GIOIA CRISTIANA
Beati voi... perché...
Gesù, con le beatitudini, ci fa sapere che Dio vuol darci qualcosa di bello e di buono per noi; qualcosa che serve per farci felici.
Quando diamo ai nostri figli le indicazioni di vita, non dovremmo dare soltanto dei comandi, ma anche fare in modo che essi li capiscano come qualcosa di buono per loro.
della Comunità di Caresto
Il ''genere spirituale'' delle Beatitudini è uno stile caratteristico del Nuovo
Testamento, anche se già presente e ben diffuso anche nell'Antico.
Gesù ama presentare il suo messaggio non come una dottrina o come un codice di leggi, ma
come un 'Buon annuncio' (in greco eu-anghèlion, in Italiano evangelo o Vangelo), ossia
una bella notizia da parte di Dio.
Egli ci fa sapere che Dio vuol darci qualcosa di bello e di buono per noi; qualcosa che
serve per farci felici.
Per Gesù, Dio vuole la nostra gioia: "Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in
voi e la vostra gioia sia piena" (Gv 15,11).
E quando vorrà presentare il suo programma non userà il tono moraleggiante o giuridico,
ben conosciuto per esempio anche nei Dieci Comandamenti "Non fare... Non
dire..."; ma userà lo stile delle 'Beatitudini': cioè "Beati voi... che siete
miti, beati voi che portate la pace; beati voi quando riuscirete a perdonare...".
Beati solo in Paradiso?
La nostra non è che la partecipazione della gioia di Dio il quale fin dal principio
ha guardato la sua creazione e se ne è compiaciuto.
Come è diversa la convinzione di quei cristiani che vedono il mondo solo nero o
pericoloso; che hanno parole di luce solo fissando l'aldilà; non sanno trovare un
consiglio, una via di consolazione se non trovandolo nel Paradiso futuro; che vedono nel
Cristianesimo una serie di precetti pesanti da osservare... per andare in Paradiso. Per
queste persone, i cristiani sono degli infelici, quasi invidiano gli atei o quelli delle
altre religioni: "Loro possono essere disonesti, avere più mogli, essere infedeli;
loro sì che si godono la vita; noi invece abbiamo tante limitazioni, tanti
sacrifici...".
Ma Dio non vuole la tristezza del suo fedele, perché "Dio ama chi dona con
gioia" (2Cor 9,7). Il migliore non è chi fa più sacrifici, ma chi ha capito che
donare è un valore grande, perché il dono (agape) è Dio stesso (1Gv 4,8).
S. Alfonso, il maestro dei moralisti, amava ripetere "La gloria di Dio è l'uomo
felice".
Testimoniare la vera gioia
Per noi genitori è vitale vivere e testimoniare la vera gioia per educare alla gioia
i nostri figli. Talvolta ci viene meglio testimoniare il sacrificio ("Vedi quanti
sacrifici faccio per tè?"). Testimoniamo più facilmente il senso del dovere e altri
valori, considerati importanti. E lo sono certamente, se non sono disgiunti dal senso
della gioia. Ci viene più facile testimoniare il valore del denaro col quale si possono
comprare i piaceri.
La gioia cristiana però si sente nell'animo, è differente dai piaceri e agiatezze, che
sono legate al corpo; è diversa dalla risata; la gioia è gratis, viene da Dio e ha la
dimora nello spirito, non si compra; il piacere invece si paga: o con i soldi o con una
moneta analoga.
La gioia è diversa dai piaceri
La gioia sta nella gratuità (fare le cose senza aspettarsi il contraccambio); è
nell'amore (fare le cose con amore e per amore); è nella libertà (cioè non fare per
obbligo, mugugnando o costretto, ma come atto della mia scelta); è nel servizio
(procurare gioia o sollievo ad altri come dice la Bibbia: "C'è più gioia nel dare
che nel ricevere"); è nella condivisione (quando c'è gusto a partecipare ad altri
le proprie esperienze, fare insieme, gioire insieme, piangere insieme).
Quando si condivide la gioia, si fa contento l'altro senza impoverire chi dona la sua
gioia. La gioia è andare a letto sereni la sera; è avere la pace nel cuore.
La gioia è un dono spirituale di Dio, cioè si sente nell'anima; il piacere invece è
collegato al corpo ed è causato da qualche stimolo ed è quindi passeggero, volubile.
Non sempre la gioia cristiana avrà questi sentimenti di pienezza ("Sono pervaso di
gioia..." 2Cor 7,4); talvolta può assomigliare a un sentimento di serenità e pace.
Altre volte, soprattutto nella sofferenza o difficoltà grande, la gioia cristiana mi si
presenta come consolazione, oppure speranza; oppure come forza d'animo che mi aiuta a non
entrare nel panico, ma ad affrontare bene e con coraggio le difficoltà che incontro.
Sappiamo vivere la gioia?
Noi sappiamo bene cosa fare per avere i piaceri pur legittimi, come quelli della gola,
quelli del benessere fisico (mare, divertimenti, musica, una visita turistica, una casa
confortevole...), i consumi così pubblicizzati dalla nostra società opulenta ecc.
Dovremmo essere altrettanto capaci di educare alla gioia dell'animo. Facciamo invece
fatica a sapere e sperimentare e trasmettere la gioia. Ma questo spesso è una vera
tragedia perché condanniamo noi stessi e i nostri figli ad essere perennemente scontenti.
Ed è una realtà.
Il danno è duplice. Se non si conosce e non si vive la gioia, si andrà dietro ai
piaceri, con l'illusione di trovare la gioia, mentre si trova solo una momentanea
soddisfazione. Perciò noi e i nostri figli saremo sempre infelici; cercheremo sempre
altro; saremo sempre inquieti e scontenti.
Inoltre, mentre la gioia è gratis (perché appunto viene da Dio ed è nell'anima), i
piaceri invece costano, occorre pagarli in qualche modo! Stiamo parlando dei piaceri anche
buoni e legittimi.
La festa cristiana
La festa cristiana non è certamente un 'festino' o semplicemente un bagordo; ma
nemmeno un pesante e serioso dovere. La festa cristiana suppone che uno abbia capito che
cosa è la gioia e vuole riempirsene attingendo alla sorgente della nostra gioia.
Nelle nostre parrocchie si dovrebbe sperimentare la gioia.
Le nostre liturgie dovrebbero essere fonte di gioia. Come mai certe celebrazioni
domenicali sono talvolta così tetre o comunque austere? Il bravo fedele appare quello
serioso che deve dare a tutti l'impressione che lui ha capito il mistero divino e quindi
è serio; non vuoi dare l'impressione di essere un superficiale ...lui!
Quanto è ricco di significato invece quell'invito del celebrante alla fine della Messa
"La gioia del Signore sia la nostra forza, andate in pace!".
Forse anche i nostri giovani si allontanano da certe espressioni di Chiesa anche perché
sembra che a loro si voglia togliere la gioia.
Una morale di divieti?
La stessa morale è tante volte presentata come insieme di regole o continuo divieto!
Sarebbe importante presentare la stessa morale e i relativi doveri, come qualcosa che è
necessario e sommamente utile per noi. Dovremmo scoprire che i comandamenti di Dio, prima
di essere delle leggi e doveri, sono delle necessità, fanno parte dei nostri bisogni.
La preghiera, il perdono, lo spirito di sacrificio, le virtù, i sacramenti ecc... non
sono soltanto dei precetti cui obbedire, ma sono anche dei bisogni per stare bene, cioè
per essere nella gioia cristiana. E chiaro comunque che in questa vita, essa non sarà mai
completa, ma grazie alla virtù della speranza sappiamo che potremo raggiungerne la
pienezza in quella futura.
Uno stile per educare
Il metodo educativo di don Bosco è 'preventivo': cioè aiuta prima, dando giusti e
pratici indirizzi e aiuta a realizzare. Evita il metodo repressivo e punitivo, che avviene
dopo!
Quando diamo ai nostri figli le indicazioni di vita, non dovremmo dare soltanto dei
comandi, ma anche fare in modo che essi li capiscano come qualcosa di buono per loro.
Occorre perciò un buon allenamento perché prima dobbiamo riuscire noi genitori a entrare
in questa ottica; poi riusciremo più facilmente a testimoniarla e proporla ai figli.
Anche nelle situazioni difficili, nei momenti di sofferenza in cui sembra che la vita ci
blocchi e ci impedisca di realizzare il nostro sogno, anche in quei momenti è possibile
non lasciare spegnere la gioia. E necessario, con la fiducia in Dio, ricercare il positivo
che anche in quel momento non si è perso, il filo d'oro di Dio che non si è spezzato;
perché Dio è sempre fedele anche qualora noi non lo fossimo.
Non a caso Gesù ci parla di beatitudine proprio nelle situazioni di difficoltà e
sofferenza (poveri, afflitti, perseguitati...).
Liberamente tratto dal libro: La
casa delle otto felicità, Gribaudi, Milano 2008, p. 13-19.
Per il lavoro di coppia e di gruppo
Proviamo a capire meglio la distinzione tra i piaceri e la gioia: proviamo
a confrontarci.
Nel mio modo di educare mi succede di non aver tempo per la 'prevenzione' (dando
giusti e pratici indirizzi e aiutando a realizzarli) e di ridurmi spesso soltanto alla
repressione 'dopo'?
Quanto è importante vivere, sperimentare questa gioia cristiana ed educare ad essa
noi e la nostra famiglia?
5-LUNICA VERA RIVOLUZIONE
Guardatevi intorno quanto volete: non troverete nulla di più originale delle
Beatitudini
di Italo Alighiero Chiusano*
Gesù è salito sul "monte". Una collinetta, certo. Ma che importa? L'Everest,
in confronto, sembra un nano. Perché su quel monte Gesù pronuncia, il suo discorso
programmatico, cominciando con le beatitudini. Queste poche frasi sono la più grande
rivoluzione mai attuata in terra, anzi l'unica.
Il mondo ha quasi sempre predicato il contrario, dall'uomo della strada a Nietzsche.
"Beati i ricchi, beati i forti, beati i duri, beati i ridenti, beati i
bellicosi". E così ancor oggi. E sappiamo con quali frutti. Non solo per le vittime,
ma per gli stessi prevaricatori. Frutti di infelicità, di rovina, di morte. Ma anche i
migliori hanno predicato diverso. "Beati i saggi, beati i distaccati, beati i
filosofi".
E già molto meglio, ma è pur sempre un modo di stare al di sopra delle cose e degli
uomini, di farsi élite privilegiata. Gesù, invece, ci tuffa nel magma del dolore comune,
dell'ingiustizia patita di tutti: uguali tra uguali, perseguitati tra perseguitati. Ma è
proprio così, in quel totale identificarsi con la miseria degli altri, che ci regala una
beatitudine, una pulizia raggiante e comunicativa quale mai è stata concessa a un satrapo
in trono, a un Casanova tra le sue splendide prede, a un genio tra le sue opere immortali.
Il massimo della compassione diventa, grazie a Gesù, il massimo della letizia. Guardatevi
intorno quanto volete: non troverete nulla di più originale. Né di più vero. Né di
più poeticamente radioso anche nella forma con cui è stato espresso. Che Gesù sia
figlio di Dio, mi basterebbero queste poche righe per accertarmene.
*Liberamente tratto da: Breviario familiare, anno A, San Paolo, Milano 1989
6-LO SCANDALO DELLE BEATITUDINI
Siamo, come cristiani, così abituati ad ascoltare le beatitudini che non cogliamo
più la loro paradossalità
Solo quando gli uomini conoscono una ragione per cui vale la pena perdere la vita trovano anche una ragione per spenderla bene ogni giorno e, di conseguenza, essere felici.
Le beatitudini sono atteggiamenti vissuti radicalmente da Gesù Cristo e, come tali, devono diventare lo stile di vita dei suoi discepoli, i cristiani.
di Enzo Bianchi
Che senso ha oggi leggere le beatitudini? Perché meditare su queste paradossali parole di
Gesù?
Innanzi tutto, credo, per una ragione umanissima. Nel contesto socioculturale in cui
viviamo, noi cristiani siamo chiamati, oggi più che mai, a mostrare con la nostra vita
cammini di umanizzazione e di salvezza percorribili da tutti gli uomini.
Una ricerca di senso
Ora, la maniera più efficace per scoprire e percorrere questi cammini consiste nel
praticare la ricerca del senso, esercizio che ai nostri giorni pare sempre più raro: è
diventato difficile, soprattutto per le nuove generazioni, dare senso alla vita e alle
realtà che la costituiscono, tanto che da più parti si levano voci che denunciano la
"crisi del senso".
In questa situazione noi cristiani dovremmo saper mostrare a tutti gli uomini, umilmente
ma risolutamente, che la vita cristiana non solo è buona, segnata cioè dai tratti della
bontà e dell'amore, ma è anche bella e beata, è via di bellezza e di beatitudine, di
felicità.
Chiediamocelo con onestà: il cristianesimo testimonia oggi la possibilità di una vita
felice? Noi cristiani ci comportiamo come persone felici oppure sembriamo quelli che,
proprio a causa della fede, portano fardelli che li schiacciano e vivono sottomessi a un
giogo pesante e oppressivo, non a quello dolce e leggero di Gesù Cristo (cfr. Mt 11,30)?
Certamente la via cristiana è esigente, richiede fatica e sforzo al fine di "entrare
attraverso la porta stretta" (Lc 13,24; cfr. Mt 7,13) ed essere conformi alla
chiamata ricevuta.
Ma, d'altra parte, secondo l'insegnamento di Gesù e, ancor prima, secondo il suo esempio,
la vita di chi si pone alla sua sequela non solo vale la pena di essere abbracciata ma è
causa di beatitudine, è fonte di felicità.
Sì, le beatitudini sono una chiamata alla felicità. Sappiamo bene che solo quando gli
uomini conoscono una ragione per cui vale la pena perdere la vita, cioè morire, essi
trovano anche una ragione per spendere quotidianamente la vita e, di conseguenza, sono
felici. Ebbene, le beatitudini aiutano a scoprire questa ragione e così consentono di
dare un senso alla vita, anzi conducono al "senso del senso":
Gesù proclama beati uomini e donne i quali vivono alcune precise situazioni in grado di
rendere pieno di senso il loro cammino umano sulla terra e, per quanti hanno il dono della
fede, in grado di facilitare il loro cammino verso la comunione con Dio.
Ma il primo e più elementare senso delle beatitudini è la felicità, la gioia di
scoprire che - grazie all'assunzione consapevole di un atteggiamento, di un comportamento
- si può vivere un'esistenza che, pur a caro prezzo, ha i tratti di una vera e propria
opera d'arte: la povertà in spirito, il pianto, la mitezza, la fame e la sete di
giustizia, la misericordia, la purezza di cuore, l'azione di pace, la persecuzione subita
a causa della giustizia, sono situazioni capaci di produrre beatitudine già qui, in
questa vita, e poi nel "mondo che verrà", quello in cui Dio regna
definitivamente.
Tra passato, presente e futuro
Quanto appena detto ci consente di toccare un altro aspetto cruciale delle
beatitudini: esse radicano saldamente nel presente coloro che le ascoltano, aprendoli nel
contempo a un futuro di speranza. Le beatitudini vengono cioè indirizzate a persone che
sono in condizioni umane di prova, di difficoltà, di contraddizione vissuta.
È in tale stato che essi scoprono di essere destinatari di un'azione di Dio, la quale è
già oggi occasione di felicità e poi alla fine dei tempi sarà per loro ricompensa,
ristabilimento di giustizia, pienezza di vita, gioia e pace.
La beatitudine non esclude fatica, sofferenza e sacrificio, ma è tale perché nasce dalla
consapevolezza della situazione in cui si è.
Nello stesso tempo i "beati" sono felici anche a causa della speranza che li
abita.
Detto altrimenti, se essi vivono la loro condizione presente con un'apertura al futuro -
ed è questo il movimento intrinseco a ogni comportamento segnato dall'amore e dalla
comunione - possono nutrire la speranza che l'ultima parola sulla loro vita sarà quella
pronunciata da Dio nel Regno.
Occorre dunque guardarsi dalle interpretazioni delle beatitudini che ne svuotano la
dimensione escatologica, oggi per altro fortemente minata da una cultura dominante che
sembra aver del tutto dimenticato l'esistenza delle "realtà invisibili, quelle
eterne" (cfr. 2Cor 4,18). No, le beatitudini si aprono al futuro, a quel compimento
che ci sarà solo nel Regno, come Matteo ha lasciato intendere attraverso l'inclusione da
lui stabilita tra prima e ottava beatitudine ("di essi è il regno dei cieli").
E proprio Gesù nella parabola del giudizio finale, quella che in Matteo conclude il suo
ultimo grande discorso, ha unito queste dimensioni temporali attraverso parole di una
semplicità disarmante e, nello stesso tempo, fonte di immensa sorpresa per i destinatari;
parole che, ancora una volta, delineano un orizzonte di beatitudine e di salvezza
possibile per ogni uomo (Mt 25,34-37.40).
Lo scandalo delle beatitudini
Siamo, come cristiani, ormai così abituati ad ascoltare le beatitudini che non
cogliamo più la loro paradossalità, il loro essere un pungolo che mette in questione la
nostra fede, la loro dimensione di "scandalo".
E così dimentichiamo che le beatitudini sono anche "linguaggio della croce"
(1Cor 1,18), capace di confondere ogni saggezza umana (cfr. 1Cor 1,19-25)!
In altre parole, a chi scruta con attenzione la realtà quotidiana del nostro mondo, sorge
spontaneo chiedersi come sia possibile proclamare beati, felici, veri pellegrini verso un
futuro di speranza quanti sono poveri e miti, quanti piangono, quanti sono affamati di
giustizia fino a essere perseguitati.
Eppure queste beatitudini sono uscite dalla bocca di Gesù in una cultura e in una
società simile alla nostra, dove vigeva la legge della forza, dove ciò che contava era
la ricchezza, dove la violenza era a servizio del potere.
Occorre ribadire con forza che, ieri come oggi, le beatitudini sono e restano scandalose;
e siccome colui che le ha vissute in pienezza è proprio colui che le ha pronunciate,
Gesù, il quale per la sua rivelazione di Dio è finito in croce, allora - lo ripeto - le
beatitudini sono linguaggio della croce.
E questo anche il motivo per cui le beatitudini non possono essere lette solo come un
testo dall'aura poetica, o solo come un testo dai forti contenuti morali, o ancora solo
come un testo sapienziale, fonte di ispirazione per la ricerca umana. Sono anche tutto
questo ma, più in profondità, esse sono atteggiamenti vissuti radicalmente da Gesù
Cristo e, come tali, devono diventare lo stile di vita dei suoi discepoli, i cristiani.
Insomma, per rendere realtà la buona notizia del Vangelo occorre vivere le beatitudini.
A tale riguardo, lungo i secoli c'è sempre stato chi si è interrogato sull'attuabilità
delle beatitudini, se non fossero altro che semplici parole utopiche, prive cioè di un
"luogo", di una realizzazione storica, a livello personale o comunitario.
Oggi, come in ogni generazione, siamo chiamati a lasciar risuonare la nuda domanda: è
possibile vivere le beatitudini qui e ora? A mio avviso tale interrogativo ha sempre
ricevuto e può ancora ricevere una risposta positiva, non però in modo trionfale o
sovraesposto, non attraverso forme eclatanti che si impongano agli occhi degli altri
uomini, bensì nelle vite quotidiane, sovente nascoste, di tanti uomini e donne: persone
che, nonostante le loro contraddizioni e il loro peccato, hanno cercato e cercano di
seguire il Signore Gesù vivendo il suo stesso stile di vita, lo stile
"scandaloso" delle beatitudini. Sì, è sempre stato e sempre sarà possibile
vivere le beatitudini: è in questo orizzonte "pratico" che siamo chiamati a
riflettere su di esse.
Liberamente tratto dal libro: Le
vie della felicità, Rizzoli, Milano 2010, p. 11-18
7-CHI HA RAGIONE: IL MONDO O DIO?
È difficile vivere il Vangelo, è difficile vivere nella storia il sogno di Dio che
è la Chiesa
di Paolo Curtaz
Il Dio che ci svela Gesù è un Dio povero, un Dio misericordioso, un Dio mite, un Dio che
ama la pace, un Dio che, per amore, è pronto a soffrire per luomo.
Dio non dona a ciascuno il suo, ma a ciascuno secondo quanto ha bisogno, privilegiando chi
ha meno: un cuore povero, un cuore affranto riceve molta più attenzione e tenerezza di un
cuore sazio che non ha bisogno di nulla. La beatitudine non consiste nel dolore, nella
miseria, ma nel fatto che l'intervento di Dio colma il cuore di chi è affranto.
Gesù dice: se, malgrado la sofferenza, la persecuzione, il pianto tu sei sereno, beato,
significa che hai riposto in Dio la tua fiducia, è lui il tuo unico sostegno; stai
felice: hai trovato Dio, la felicità che non ti è tolta, la risposta grande alla vita.
Le gioie che viviamo sono dono suo, e vanno vissute, Dio ci chiederà conto di tutte le
gioie che non avremo vissuto. Ma quanta più gioia c'è nel tuo cuore se, nel dolore, tu
resti saldo in lui, l'unico bene che non ti può essere tolto!
Conoscere Dio, sapere che in lui soltanto riposa il tuo cuore, sovverte l'ordine delle
cose.
Il mondo è aggressivo, ci vuole grinta per sfondare? Devi sempre dimostrare che vali? Al
lavoro sei misurato e pesato continuamente? Tu resta mite, costruisci la pace, vivi nella
giustizia, tu stai dalla parte di Dio.
Non c'è santo: o ha ragione il mondo, o ha ragione Dio.
Le Beatitudini sono promessa di un mondo nuovo, diverso, di una logica che siamo chiamati
a scrivere nella piccola vita delle nostre piccole comunità radunate intorno al pane di
Dio.
È difficile vivere il Vangelo, lo so bene, difficile vivere nella storia il sogno di Dio
che è la Chiesa.
Ma la fatica che faccio nel restare tassellato al Vangelo, lo sforzo eroico che compio
nella conversione alla logica del Regno, anticipa e realizza le Beatitudini.
E se avesse ragione Dio?
Liberamente tratto dallomelia del 3 febbraio 2008, www.tiraccontolaparola.it
8-BEATI I POVERI IN SPIRITO perché di essi è il regno
dei cieli
Felici sono le famiglie che pongono la loro fiducia in Dio anziché nei propri mezzi e
forze, le famiglie che non hanno sicurezze all'infuori di Lui, che sanno di essere
radicalmente dipendenti da Dio.
di Letizia e Livio
Bisognosi di Dio: è la condizione in cui ci siamo sentiti nella nostra non lunga
esperienza di coppia e di famiglia, di fronte alla sproporzione avvertita tra le nostre
capacità umane e la missione a cui siamo chiamati - vivere il sacramento del matrimonio e
custodire le vite sbocciate dalla nostra unione. Con la chiara consapevolezza, non solo
teorica, ma nella pratica quotidiana, che senza il Suo aiuto non saremmo andati da nessuna
parte, non avremmo potuto fare nulla di buono, né come sposi né come genitori. E proprio
la fede-certezza in questo sostegno dall'Alto ci ha liberato e ci libera dalle nostre
paure e insicurezze e ci ha permesso di superare i momenti di difficoltà.
Affidarsi a Dio e a Maria...
Sin dall'inizio ci ha guidati l'intuizione che affidandoci a Dio sarebbe stato Lui a
portare avanti il nostro matrimonio e il nostro compito genitoriale, senza con questo
voler sminuire l'importanza del fare la nostra parte con impegno. Abbiamo espresso ciò,
consacrando il nostro matrimonio - in un apposito momento nel rito religioso - e
successivamente i nostri figli alla Madonna, Regina della pace e della famiglia.
Possiamo testimoniare che grazie a questo atto di fede, da rinnovare e vivere ogni giorno,
abbiamo sperimentato e continuiamo a sperimentare una particolare premura del Signore,
attraverso Maria, nelle vicissitudini della nostra vita di coppia e familiare, nonostante
ciò non faccia venire meno le inevitabili fatiche di cui essa è tessuta.
Ci sono stati alcuni momenti importanti del nostro cammino, in cui abbiamo avuto la grazia
di vivere in modo particolare questo atteggiamento di fiducia, e ad alcuni di essi
volevamo accennare.
... per il matrimonio
Dopo un breve fidanzamento, accompagnato da un percorso di discernimento con il nostro
Padre spirituale, abbiamo deciso di sposarci in un periodo in cui non avevamo né casa né
lavoro: ma in breve tempo una parrocchia ci ha offerto di vivere in una casa che non
veniva utilizzata ed abbiamo così potuto fissare la data del matrimonio. Successivamente
è arrivato anche il lavoro, seppur all'inizio precario.
... per il primo figlio
Dopo un periodo di qualche anno, durante il quale avevamo cercato di posticipare
l'arrivo dei figli (usando i metodi naturali), stavamo cercando il primo bambino,
nonostante la situazione non fosse particolarmente "stabilizzata" in termini di
sicurezze umane. Ci accompagnava un certo timore a diventare genitori, e, avendone già
perso uno, un po' di paura aggiuntiva.
Alla fine di un pellegrinaggio, appena prima di lasciare Medjugorje, Livio è entrato in
una libreria ed è rimasto colpito da un libro, sentendo quasi un impulso a prenderlo
dallo scaffale e aprirlo: dopo una certa titubanza, facendo ciò, è venuto fuori un
paragrafo dal titolo Non abbiate paura di avere figli! In esso veniva riportato questo
messaggio della Madonna: "Avete pochi figli, fate figli, non abbiate paura di avere
figli! Prima di essere i vostri figli sono i miei figli. onsacrateli al mio Cuore
immacolato" (agosto 1984).
Siamo rimasti colpiti da questa strana "coincidenza". E da quel momento è
venuta meno la paura. E dopo pochi giorni abbiamo saputo che Letizia era di nuovo incinta.
Quella parola ci ha guidato nell'atteggiamento di fondo verso il nostro primo figlio e poi
verso il secondo.
... e per la secondogenita
Dopo circa 9 mesi dalla nascita del primogenito, infatti, abbiamo scoperto di
aspettare una bambina. La cosa ci ha colto di sorpresa ed era completamente fuori dai
nostri programmi. Soprattutto Letizia all'inizio non ha preso molto bene la cosa ma poi è
prevalso l'affidamento e la certezza che, se ci veniva fatto un dono così grande come
quello della vita, era per il nostro bene e Dio ci avrebbe aiutato. E infatti abbiamo
potuto costatare, con stupore, questo aiuto concreto, al di là di quello che potevamo
immaginare: gestire i due bambini è stato più facile di quello che ci aspettavamo.
Adesso siamo contenti di averne due, quasi della stessa età, e ci diciamo che se fosse
stato per noi, in attesa delle condizioni ottimali, forse non avremmo più fatto il
secondo figlio.
Come dicevamo, li abbiamo consacrati sin da subito alla Madonna e a Lei, che è Madre, li
affidiamo ogni giorno, certi che se ne farà carico molto più e meglio di quanto possiamo
riuscire noi con le sole nostre forze e che compenserà alle nostre mancanze. E questo ci
dà tanta pace.
Affidarsi ogni giorno
Per concludere, nel nostro oggi, costellato, accanto a gioie e consolazioni, anche da
fatiche, da non molte sicurezze umane, impressioni di fallimenti e cose che non capiamo,
cerchiamo, con semplicità, di abbandonarci a Lui, sapendo che "Tutto concorre al
bene di coloro che amano Dio" (Rm 8,28).
Ci sembra questa la scelta più ragionevole, che richiede un atteggiamento attivo, spesso
non facile, sofferto e si costruisce e custodisce ogni giorno con un impegno costante di
preghiera. Ma il nostro sforzo è soprattutto quello di non mettere troppi ostacoli alla
Sua azione.
Per il lavoro di coppia e di gruppo
Siamo capaci di fidarci ed affidarci a Dio? Cerchiamo il sostegno di Maria in
questo affidamento?
Qual è lo stile della nostra casa riguardo alluso dei beni? In che cosa
Gesù ci interpella oggi?
Riguardo alle nostre "cose" (denaro, casa, attività, beni...) in che
cosa io tengo così più al possesso al punto di esserne geloso se qualcuno invade la mia
competenza?
In questo momento, pur nelle nostre povertà, cosa ci rende beati?
9-FRAMMENTI
Beati voi coniugi, poveri in spirito di tutto ciò che non soddisfa la vostra sete di
verità, perché il Signore vi guarda con amore di predilezione. Camminando insieme, sotto
lo sguardo di Dio, potete gustare ogni giorno la felicità del suo Regno.
R. Henckes
10-MAGISTERO: Nei poveri la Chiesa serve il suo Maestro
Come Cristo è stato inviato dal Padre " ad annunciare la buona novella ai poveri,
a guarire quei che hanno il cuore contrito "
così pure la Chiesa circonda
d'affettuosa cura quanti sono afflitti dalla umana debolezza, anzi riconosce nei poveri e
nei sofferenti l'immagine del suo fondatore, povero e sofferente, si fa premura di
sollevarne l'indigenza e in loro cerca di servire il Cristo.
Concilio
Ecumenico Vaticano II, Lumen gentium 8
11-RIFLESSIONI
Per poveri in spirito si intendono persone veramente povere, misere anche materialmente
(letteralmente, in greco, i "pitocchi").
L'espressione non riguarda solo un atteggiamento dellanimo, semmai il fatto che
vivono questa condizione nellabbandono a Dio, totalmente fiduciosi in lui. Non hanno
nulla e per questo possiedono il regno di Dio: di essi è il regno dei cieli.
Nella Bibbia sono i piccoli, coloro che non possono contare sulle proprie forze, ma si
affidano ad altri per vivere. Tale debolezza diventa la loro forza, poiché il loro
diritto è difeso dal re. Possiedono il Regno, cioè Dio stesso, sino da ora: questo è il
motivo della loro beatitudine, ed è sufficiente!
Perciò, se inizialmente l'espressione "poveri in spirito" indica una condizione
sociale ed economica, per Gesù diviene espressione della fede, il non contare sulle
proprie forze (cfr. Mt 6,26-34). Il discepolo ha fiducia in Cristo e basta: non pone la
sua fiducia nelle sicurezze garantite dal successo.
Non è quanto vediamo guardando un neonato addormentato tra le braccia della madre,
sereno, roseo in viso, totalmente abbandonato?
Dipende totalmente dagli altri, eppure non si angoscia, si fida. Anzi, si affida.
Non è questa la cifra della fede? O la vera povertà vissuta in spirito?
Francesco Scanziani.
Dal libro: Il
fare del cuore, EDB 2010
Non c'è alcuna contrapposizione tra Matteo, che parla dei poveri in spirito, e Luca,
secondo il quale il Signore si rivolge semplicemente ai "poveri".
È stato detto che Matteo ha spiritualizzato il concetto di povertà inteso da Luca
all'origine in senso esclusivamente materiale e reale, e che in questo modo lo ha privato
della sua radicalità. Chi legge il Vangelo di Luca sa perfettamente che proprio lui ci
presenta i "poveri in spirito", che erano per così dire il gruppo sociologico
in mezzo al quale poteva avere inizio il cammino terreno di Gesù e del suo messaggio. Ed
è chiaro, viceversa, che Matteo rimane totalmente nella tradizione della pietà dei Salmi
e quindi nella visione dell'Israele autentico, che in essa aveva trovato espressione.
La povertà di cui lì si parla non è mai un fenomeno puramente materiale [...] ma
neanche un atteggiamento puramente spirituale. Certo, la radicalità a noi proposta dalla
vita di tanti autentici cristiani [...] non è vocazione di tutti. Ma la Chiesa, per
essere comunità dei poveri di Gesù, ha sempre bisogno di persone che sappiano compiere
grandi rinunce [...] e mostrino così la verità delle Beatitudini per scuotere tutti
affinché intendano il possesso solo come servizio.
Joseph Ratzinger, Gesù
di Nazareth, Rizzoli 2007, p. 100-101
12-BEATI GLI AFFLITTI perché saranno consolati
Beate quelle famiglie che sanno mettere la propria spalla sotto la croce di coloro che
sono nell'afflizione, senza la pretesa di capovolgere le situazioni di oppressione ma per
condividerle assieme.
di Cinzia e Paolo Brugnera
Hai un bel dire caro Gesù: "Beati gli afflitti!" come si fa ad essere beati
quando un macigno ti cade sulla testa, stordendoti? Come si fa a pensare che una malattia
di un figlio possa essere motivo di gioia?
Come può l'infermità di un genitore diventare motivo di serenità? Come può la perdita
del lavoro lasciarti tranquillo?
Come le separazione dal coniuge ti può dare conforto? Come la morte di una persona cara
può diventare motivo di consolazione?
Gesù e lafflizione
Eppure, se ci pensiamo, ci ritorna alla mente la tua compassione per la vedova di Nain
(Lc 7,11-17), il pianto per Lazzaro (Gv 11), la sollecitudine con cui ti accostavi a
malati nel corpo e nello spirito da Cafarnao (Mc 1,22 ss) a Gerusalemme passando per
Gerico (Lc 18,35), il tuo pianto per la città santa Gerusalemme (Lc 19, 41-44), il
presentimento per ciò che ti sarebbe capitato (Lc 12, 49), la solitudine angosciante di
non essere capito (Mc 8,32-33; 9,32; 10,35-40), o dell'essere abbandonato (Gv 6,67)
La tua vita pubblica è costellata di incontri con la sofferenza, il pianto, il dolore, la
solitudine, l'angoscia, la morte. Anche tu come noi.
Scusa, Gesù, l'impertinenza; perdona la nostra provocazione, ma per noi è veramente
difficile entrare nella tua logica, abbiamo difficoltà ad accettare la vita per quello
che è: soffio di Dio.
Vorremmo darci noi questo soffio, ancora ci illudiamo di bastare a noi stessi.
Alla tua sequela, tu ci aiuti a comprendere che ci sono due tipi di afflizione: una che
può far disperare la persona, la può portare alla morte fisica, morale o spirituale;
l'altra è quella di cui parla la Bibbia e che provoca la visita di Dio (Es 4,31; 14,31),
del Signore (Gv 2,11) che induce a credere nella sua provvidente bontà.
Lafflizione nella coppia
Anche nella vita a due questo si realizza: c'è l'afflizione che fa perdere alla
coppia o ad uno dei coniugi ogni speranza, per cui non ci si fida più dell'amore e della
verità; questa afflizione distrugge la persona o la coppia dal di dentro a volte fino a
condurre all'annientamento.
Ma c'è anche un'afflizione che deriva dalla scossa provocata dalla verità, dall'aver
aperto gli occhi grazie al dolore che si è provato e può portare ad un rinnovamento
profondo nella coppia. È un'afflizione che insegna alla giovane famiglia ad amare e
sperare di nuovo. Lo sguardo nuovo che la fede ci dona consente di ricominciare da capo e
di rinnovarci nel rapporto di coppia e verso i figli.
Anche un momento di sbandamento di uno dei coniugi preso in tempo, guardato con gli occhi
di Dio, pur se comporta molta sofferenza, diventa occasione per volersi più bene tra
sposi.
Probabilmente il segreto è vivere tutto ciò che accade sia nella vita di ciascuno sia
nella vita di coppia, nell'ottica dell'amore irriducibile, quello che Dio riserva per
ciascuno di noi, così da sperimentare quella serenità radicale nella gioia e nel dolore,
nella salute e nella malattia
Perché tu, Signore Gesù, hai vinto la morte, una volta per tutte e hai dato un senso
alla nostra vita, anche se turbata e travagliata.
Sapersi consolare a vicenda
Certo noi saremo consolati. Beati noi se accetteremo di lasciarci consolare.
Anche in coppia, abituamoci a consolare e a lasciarci consolare a vicenda, in modo che
l'altro diventi strumento di azione di Dio nella nostra vita.
Consolando e consolati potremmo affrontare le difficoltà e le prove con uno spirito
nuovo: non nascondendole né anestetizzandole ma entrandovi dentro, parlandone apertamente
con franchezza e coraggio e trasformandole in esperienze di crescita umana e di
liberazione.
Le tribolazioni affrontate con uno spirito nuovo diventano doglie di parto e consolano e
danno nuova fecondità alla coppia.
E Dio sarà con noi e veglierà sulla nostra vita di singolo e di coppia. La sua presenza
farà sì che l'uno per l'altra, e i due per il mondo possano essere balsamo che
cicatrizza (Ger 8,22) e che profuma tutt'intorno perché cresce nel loro giardino (cfr. Ct
5,1;6,2).
Essere beati
Allora anche l'afflizione può diventare strumento di con-passione: sono beate
quelle famiglie che sanno mettere la propria spalla sotto la croce di altri che sono
nell'afflizione, senza la pretesa di capovolgere le situazioni di oppressione ma per
condividerle assieme.
È una sorta di sofferenza passiva come quella delle donne sotto la croce di Gesù, un
soffrire sotto il potere del male per proclamare che il male, la morte, sarà vinta e
l'ultima parola sarà la gioia e la consolazione.
Beata l'afflizione che nasce dal non conformismo, dal guardare il mondo con gli occhi di
Dio, promuovendo la fedeltà della coppia, la generosità nell'accogliere i figli, la
domenica come giorno del Signore, la difesa della vita sempre e comunque, un senso forte
di legalità e di giustizia, la denuncia dell'ingiustizia e dell'oppressione.
Beata l'afflizione che pone un limite al potere del male, che sopporta l'incomprensione o
il disprezzo di chi non accoglie la vita, di che rinuncia alla fedeltà, di chi vede solo
problemi e mai risorse, di chi non apprezza la sobrietà e l'uso consapevole dei beni.
Beata l'afflizione che dà un senso alla vita, al dolore, alla solitudine, alla morte,
all'abbandono.
Per il lavoro di coppia e di gruppo
Avere più beni, un migliore tenore di vita rende più felici?
In chi, in che cosa poniamo la nostra fiducia?
I rovesci che capitano nella vita di una famiglia sono solo eventi maligni?
Quanti malati possiamo andare a trovare, persone sole e di tutte le età: dai nonni
a qualche amico...
Chi riesco a vedere afflitto e quale consolazione posso portargli?
Quale consolazione possiamo dare noi due insieme?
13-FRAMMENTI
Siete beati come coppia anche quando mille problemi e fatiche vi affliggono e
nell'unità vi comunicate i dubbi e li deponete insieme ai piedi del Signore, perché Egli
stesso si farà carico dei vostri problemi, impegnandosi a dare ad essi la migliore
soluzione e a consolarvi. Nessuno potrà riuscire a soffocare la gioia interiore che vi
procura l'amore reciproco e la benedizione del Signore.
R. Henckes
14-RIFLESSIONI
Beati gli afflitti non perché soffrono: non avrebbe senso, sarebbe solo consolatorio o
persino offensivo. Piuttosto, anche dentro la sofferenza Gesù osa aprire uno spiraglio.
Per questo è una beatitudine "al futuro": perché saranno consolati.
Non è l'esaltazione della sofferenza, semmai della virtù della consolazione. Gesù non
chiede il miracolo di togliere il dolore, ma di consolare chi soffre, condividendone le
lacrime, facendo sì che non sia più solo. Ne fu l'incarnazione viva Madre Teresa di
Calcutta, con quello sguardo asciutto e penetrante con cui accompagnava chiunque, anche
fino all'ultimo passo.
Quanti malati possiamo andare a trovare, persone sole e di tutte le età: dai nonni a
qualche amico...
Francesco Scanziani
Dal libro: Il
fare del cuore, EDB 2010
È bene essere afflitti e chiamare beata l'afflizione? Ci sono due tipi di afflizione:
una di chi ha perso la speranza, che non si fida più dell'amore e della verità e quindi
insidia e distrugge l'uomo dall'interno; ma c'è anche l'afflizione che deriva dalla
scossa provocata dalla verità e porta l'uomo alla conversione, alla resistenza di fronte
al male. Questa afflizione risana, perché insegna all'uomo a sperare e ad amare di nuovo.
Un esempio del primo tipo di afflizione è Giuda che - colpito dallo sgomento per la sua
caduta - non osa più sperare e si impicca in preda alla disperazione. Al secondo genere
appartiene l'afflizione di Pietro che, colpito dallo sguardo del Signore, scoppia in
lacrime risanatrici: solcano il terreno della sua anima. Ricomincia da capo e diventa un
uomo nuovo. [
]
Unimmagine di afflizione risanatrice è quella di Maria che sta sotto la croce con
Maria di Magdala e Giovanni. In un mondo pieno di crudeltà e cinismo o di connivenza
dettata dalla paura ci troviamo di fronte ad una piccola schiera di persone che restano
fedeli; non possono ribaltare la sventura ma nel loro con-patire si schierano dalla parte
del condannato, e con il loro con-patire si trovano dalla parte di Dio, che è Amore.
Joseph Ratzinger, Gesù
di Nazareth, Rizzoli 2007, p. 89-90
15-MAGISTERO: Cristo ci fa scoprire perché la sofferenza
Per poter percepire la vera risposta al " perché " della sofferenza,
dobbiamo volgere il nostro sguardo verso la rivelazione dell'amore divino, fonte ultima
del senso di tutto ciò che esiste. L'amore è anche la fonte più ricca del senso della
sofferenza, che rimane sempre un mistero: siamo consapevoli dell'insufficienza ed
inadeguatezza delle nostre spiegazioni. Cristo ci fa entrare nel mistero e ci fa scoprire
il " perché " della sofferenza, in quanto siamo capaci di comprendere la
sublimità dell'amore divino.
Giovanni
Paolo II, Lettera apostolica Salvifici doloris, 13
16-BEATI I MITI perché erediteranno la terra
La mitezza non è un esercizio d'orientale imperturbabilità, ma è segno di
quellamore, che solo Cristo, il modello dell'Amore, ci può insegnare. Così potremo
ereditare la terra.
Di Stefania e Joram Gabbio
Come vivere la mitezza nella coppia? Quali i requisiti, quali gli ingredienti? Prima
ancora: cos'è la mitezza? E da ultimo: quali i suoi frutti?
Mettiamo ordine. Mitezza è innanzitutto, secondo noi, accoglienza dell'altro.
È mitezza il saper ascoltare, cedere negli scontri, pazientare nelle attese. Insomma:
accorgersi che l'altro è importante, e che non posso permettermi di aver la fretta di
inondarlo di parole, o di averla vinta in fretta (e furia), o di ottenere tutto (e
subito).
E allora lascio spazio, lascio tempo, perché il mio sposo e la mia sposa sono preziosi.
Non posso bruciare o agghiacciare chi è di fronte a me, debbo creare il clima mite che
gli permetterà di sbocciare non quando lo decido io, ma quando sarà tempo.
Insomma: mitezza è mettere da parte l'orgoglio e l'egocentrismo.
Maturano, i frutti più gustosi, solo con la calma opportuna: il calore eccessivo accorcia
i tempi ma li rende di plastica.
E l'estremo opposto? Qual è la gradazione dalla parte inversa del bruciore? Certo la
freddezza, cioè la passività, l'arrendevolezza, che comportamento mite non è. Gesù fu
un mite, un arrendevole no di certo.
Proviamo a incarnarci nel concreto. Ti accorgi o sei convinta che il tuo parere è
migliore per la nostra famiglia, ma io proprio non lo voglio capire.
Sai aspettare: mi stai dicendo, non a parole, che io sono più importante di quel parere.
Sei stanca ma ce la metti tutta, e invece di sventolare la tua fatica lavi ancora i
piatti, accudisci ancora la nostra bimba.
Sai mettere noi, non te al primo posto. Ascolti per l'ennesima volta quel mio parente
noioso, o offensivo.
Grazie: sai oscurare le tue ragioni, peraltro buone, per dar priorità alla mia gioia.
La mitezza è pazienza
Certo, mitezza è pazienza. Solo che il termine pazienza è imparentato con il termine
patire. E patire è imparentato con compatire. Bisogna imparare a con-patire
l'altro, cioè ad essere capaci di soffrire un po' con lui, dargli una mano a portare la
croce. Abbiamo provato a dire cosa è mitezza, e siccome le idee non incarnate sono
colorate, ma scoppiano come bolle di sapone, c'è venuto un po' naturale dire e dirci in
cosa consiste, nella coppia.
L'ingrediente è l'amore. Non quello entusiasta, non quello euforico, non quello tre metri
sopra il cielo.
Quello che sta invece nel cielo con la testa, ma con le radici per terra.
La mitezza che non è potata dalla prova rischia gli abbagli della finzione, o
dell'arrendevolezza, appunto.
Poi arrivano le prove, così il galateo va a farsi benedire, nel senso che necessita di un
aiuto potente, soprannaturale, qualcosa di anche più che una benedizione. Sì, un
sacramento. Con la grazia di Cristo.
La mitezza non è esercizio d'orientale imperturbabilità, ma segno dell'amore, che solo
il modello dell'amore ci può insegnare. Solo così erediteremo la terra, ma una terra
rigogliosa, quella del paradiso terrestre che Adamo ed Eva, cioè noi, abbiamo perso per
orgoglio. Eva ed Adamo non si sono fidati di Dio, ma si sono fidati della loro fretta
precipitosa e precipitante. Lasciamo stare la loro, la nostra mela, per parlare di frutti
più succulenti allora.
I frutti della mitezza
Al termine delle giornate che viviamo insieme sapremo ripensare alle pretese che
l'altro non ha avuto verso di noi, a tutti i tempi e gli spazi in cui lui o lei non è
stato protagonista, per amore.
Ci viene in mente la mite ma appassionata trepidazione delle vergini savie che attendono
lo sposo: loro non hanno preteso arrivasse subito, e neanche a breve; si sono preparate,
ponendo i tempi dello sposo al primo posto, e non la loro pretesa di fretta.
Chiediamo, come marito e moglie, diventare miti. L'agricoltura ci presta unimmagine,
quella del terreno arato, smosso, accogliente. Non duro e secco, non impantanato e
fangoso. Lì, in un terreno di mitezza, preghiamo che germinino i nostri figli.
Speriamo possano crescere in un terreno accogliente che li riceva avvolgente, ma che offra
a questi frutti la solidità indispensabile per radicare radici. Anche così, forse, si
può disegnare la mitezza che costruita nella coppia guarda ai figli.
Lesempio di Nazareth
Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore, dice il Signore. Lui non ha asfaltato
la terra per rifarla.
Forse gli sarebbe stato più conveniente buttare tutto giù e ricostruire da zero; così
ragioneremmo noi di fronte ad un edificio fatiscente.
E invece Cristo non ha ragionato così, non ha fatto conti di economia ed ha pazientato
trent'anni. Creatore del mondo non l'ha disfatto, ma in punta di piedi se n'è fatto
parte. Con dolcezza, mitezza, se n'è incarnato: ha atteso trent'anni per cambiare il
mondo con la sua predicazione, e ancora anni per salvarlo con la Sua Pasqua.
Noi reclamiamo di cambiare l'altro subito, di imporre la nostra idea, di avere in tasca la
risposta. Se così avesse fatto duemila anni fa un falegname chiamato Giuseppe la storia
narrata nei vangeli sarebbe stata un'altra. Invece ecco un mite.
Mite fu Maria, non arrendevole né aggressiva di fronte all'intrusione dell'angelo. Già,
Giuseppe e Maria, a Nazareth: uno sposo ed una sposa miti, una famiglia. Se i figli sono i
frutti dell'amore il frutto più bello di quella famiglia di miti lo conosciamo.
Per il lavoro di coppia e di gruppo
Quale educazione passa nella nostra famiglia? Che cosa insegniamo ai nostri
figli? Mitezza evangelica o dominio?
Nel dialogo-relazione con il coniuge, quando mi succede di avere uno stile
'violento', o uno stile di mitezza evangelica?
E nella educazione dei figli?
E per la salvaguardia del creato quali scelte concrete di economia domestica
riusciamo a fare (risparmio idrico ed energetico; raccolta differenziata dei rifiuti; uso
responsabile dei mezzi privati e pubblici...?)
17-FRAMMENTI
Beati quelli che non sono violenti: Dio darà loro la terra promessa. Beati voi quando
avrete abbandonato il linguaggio prepotente dell'offesa, della rivendicazione dei meriti,
del giudizio o della spartizione fredda dei compiti, per assumere la veste della mitezza,
della tenerezza, dell'attesa umile, del consenso.
R. Henckes
18-RIFLESSIONI
La mitezza è virtù dimenticata, talvolta persino disprezzata. Confusa con debolezza e
buonismo, equivocata come fosse sottomissione, arrendevolezza. No! Se non altro perché
Gesù non era così.
I miti sono coloro che assomigliano a Gesù: non ricorrono alla malizia, anche nelle
situazioni disperate, perché affidano la loro difesa a Dio; credono nella verità e nella
giustizia. Più che deboli, sono coraggiosi.
Essi lottano - e duramente - contro il male, ma non con le sue stesse armi (propagandolo),
ma con le sole che lo sconfiggono: il bene!
Questa è la vera risposta al male. Per questo avranno in eredità la terra: è la sola
forza che vince il mondo (cfr. Mt 5,23-24).
Gesù non esonera dal "reagire" al male, semmai dice "come" è
possibile farlo.
Francesco Scanziani
Dal libro: Il
fare del cuore, EDB 2010
Gli umili, i semplici sono, anche dal punto di vista puramente storico, più durevoli
dei violenti. Ma vi è di più.
La graduale universalizzazione del concetto di terra a partire dai fondamenti teologici
della speranza corrisponde anche all'orizzonte universale che abbiamo trovato nella
promessa di Zaccaria: la terra del Re della pace non è uno Stato nazionale: si estende
"da mare a mare".
La pace mira al superamento dei confini e a un mondo rinnovato mediante la pace
proveniente da Dio. Il mondo appartiene alla fine ai "mansueti", ai pacifici, ci
dice il Signore. Dovrà diventare la "terra del Re della pace".
La terza Beatitudine ci invita a vivere in questa prospettiva.
Per noi cristiani, ogni assemblea eucaristica è il luogo in cui il Re della pace esercita
la sua signoria.
La comunità universale della Chiesa di Gesù Cristo è così un progetto anticipatore
della "terra" di domani, che dovrà diventare una terra della pace di Gesù
Cristo.
Anche in questo punto la terza Beatitudine è in grande consonanza con la prima: nella sua
prospettiva diviene fino a un certo punto evidente che cosa significhi "regno di
Dio", anche se questa espressione ha una portata che va al di là della promessa
della terra.
Joseph Ratzinger, Gesù
di Nazareth, Rizzoli 2007, p. 108-109
19-MAGISTERO: Chiesa e mondo: nel segno della mitezza
Il colloquio [tra Chiesa e mondo] è un modo d'esercitare la missione apostolica; è
un'arte di spirituale comunicazione
[Suo] carattere è la mitezza, quella che Cristo
ci propose d'imparare da Lui stesso: Imparate da me che sono mansueto e umile di cuore; il
dialogo non è orgoglioso, non è pungente, non è offensivo.
La sua autorità è intrinseca per la verità che espone, per la carità che diffonde, per
l'esempio che propone; non è comando, non è imposizione. È pacifico; evita i modi
violenti; è paziente; è generoso.
Paolo
VI, enciclica Ecclesiam suam, n.83
20-BEATI QUELLI CHE HANNO FAME E SETE DELLA GIUSTIZIA
perché saranno saziati
Se non diamo per scontato che è inevitabile che le cose vadano in un certo modo e ci
mettiamo in ricerca, scopriremo realtà che ci erano nascoste e saremo in grado di
condividerle con i nostri figli.
di Nicoletta e Davide Oreglia
Si potrebbe forse dire, leggendo questa beatitudine, che ci siano delle persone al mondo
che non hanno fame e sete di giustizia?
Non si tratta di un desiderio presente nel cuore di tutte le persone?
Di un piatto ricco di nutrimento, indispensabile per la crescita personale e per quella di
tutti?
Sarà che a qualcuno risulta indigesto? E a chi? Ai furfanti?
Tra dire e fare
Nelle intenzioni, ognuno di noi dice di avere fame e sete di giustizia per sé e per
gli altri, ma nelle azioni quotidiane non è così scontato comportarsi di conseguenza. La
giustizia ci fa paura quando la viviamo come una realtà che può sottrarci sentimenti,
affetti, cose.
C'è un'idea di giustizia ingiusta e crudele che alberga nei nostri cuori e nasce quando
pensiamo di esserci fatti da soli, di avere conquistato noi nostra moglie/marito, di avere
"fatto" solo noi i nostri figli
allora nasce la ha paura di Dio, il
desiderio di stargli lontano e con esso la voglia di tenere gli altri distanti tenendo
chiuse le proprie mani.
Ci sentiamo padroni di noi stessi ed anche di coloro che amiamo e, dopo aver sperimentato
con stupore di non poter comandare ad un solo capello del nostro capo di cadere o
spuntare, iniziamo a guardarci attorno con timore.
Emerge il bisogno di tutelare se stessi, i figli, il coniuge e lo si fa nell'unico modo
che si conosce quando ci si ritiene artefici di noi stessi: la difesa ad oltranza da
tutto, buono e brutto che sia.
C'è un solo modo per uscire da questa trappola asfissiante, ed è quello di riconoscere
che tutto ciò che siamo e abbiamo dipende solo in parte da noi, ma molto di più da Lui.
Nostro o di Dio?
Abbiamo ricevuto tantissimo e, se ci poniamo da questo punto di osservazione, allora
diventiamo esperti nello scovare i doni ricevuti da Dio, che è un generoso e discreto
benefattore.
La vita, la salute, la fede, coloro che amiamo ci sono stati donati (consegnati e
affidati) ed il Signore è il primo a desiderare e a fare di tutto perché nulla e nessuno
vada perso ("Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di
questi piccoli" Mt 18,14).
Da questo monte delle beatitudini potremo allora scorgere un'umanità che non è fatta di
super eroi che abbattono i sistemi del male con i loro super poteri, ma uomini e donne
mossi innanzitutto dalla riconoscenza per ciò che hanno avuto da Dio. Quindi desiderosi
di essere canali perché la forza, la grazia, la tenerezza di Dio possano raggiungere il
maggior numero di fratelli.
Diventare canali e non sorgente perché si scopre presto la presenza del limite in noi e
negli altri, ma non in Dio che ci sostiene.
La giustizia secondo Dio
Rivestiti di questa armatura il passo successivo sarà quello di aprire ulteriormente
gli occhi e guardarsi attorno per vedere e sentire cose nuove e chiedersi "Cosa si
può fare? Cosa posso fare io con la mia famiglia?".
Il modo di Dio di andare incontro ai fratelli è proprio questo, mettere dei semi di amore
nel cuore degli uomini. E se inizi a farti delle domande del tipo: "Ma perché
capitano certe cose nel mondo del lavoro? E nelle famiglie? E nelle scuole?" allora,
oltre al cuore, si apre anche la mente e inizi a diventare uno che cerca le risposte e non
si accontenta più di quello che gli viene raccontato.
Inizi a diffidare di quei TG che parlano solo di cronaca nera, perché esiste anche la
cronaca bianca e noi la vediamo dal vivo, possibile che non si possa mai raccontare? Basta
servizi sui saldi, i cenoni di Natale o Pasqua
quando a pochi km da noi si muore
ancora per le carestie, la carenza di acqua, le condizioni igieniche primitive
Servono testimoni
Poi si cercano testimoni credibili che ci sappiano raccontare il mondo vicino e
lontano e si inizia a serbare queste relazioni che abbiamo scoperto nel cuore.
Ci vuole un po' di tempo per rendersi conto che le cose non stanno come le credevamo. Poco
alla volta poi si raccontano; prima di tutto ai nostri figli perché anche loro possano
stare sul monte delle beatitudini con noi!
Da lì potranno vedere l'amore di Dio che avvolge tutti, scoprire il mistero della
sofferenza e della consolazione, della morte e della Risurrezione, sapere che nulla e
nessuno va perduto.
Così scopriranno di avere mani che sanno aiutare e piedi che possono camminare con, verso
e per i fratelli senza piedi o senza energie.
Capiranno che molto può dipendere da loro ma che tutto dipende da Dio. Ecco, giustizia è
stata fatta, abbiamo ridato al Dio della vita la vita di tutti, anche la nostra!
Solo Lui misurerà
Da Lui ora possiamo accogliere le fatiche e le povertà di chi vive vicino o lontano
da noi. Fame e sete di giustizia viene a chi non si sente sazio di se stesso ma pieno dei
doni di Dio.
Per tenere nel cuore ben impresso il testo delle beatitudini bisogna notare che i beati
sono coloro che cercano, non si fermano e non si arrendono, ma non si specifica mai se i
loro sforzi saranno appagati da frutti che l'uomo può misurare con le sue categorie.
Allora camminiamo ancora più leggeri perché possiamo lasciare i metri e le tabelle di
verifica a casa
Qualcuno misurerà ma non saremo noi.
Per il lavoro di coppia e di gruppo
Noi quanto desideriamo la giustizia?
Ci capita di scendere a compromessi, di praticare silenzi e omertà che finiscono
per danneggiare qualcuno, spesso i più indifesi?
Il nostro parlare è sempre: Sì, si, No, no?
In che misura, nel nostro ragionare, ci adeguiamo al pensiero comune e non
sosteniamo i valori cristiani?
21-FRAMMMENTI
Beati voi tutte le volte che voltate le spalle alla superficialità, ai pettegolezzi,
alla ricerca spasmodica del denaro e della carriera e sentite sorgere in voi, potente, la
fame e la sete delle realtà essenziali e giuste, perché è lo stesso Signore, il Giusto,
che vi ha messo quella fame e che viene a voi per saziarvi abbondantemente. Riceverete il
centuplo sin da questa terra e il cielo in eredità.
R. Henckes
22-RIFLESSIONI
Giustizia è una parola troppo di moda, oggi. Abusata, rivendicata. Ma non è più
intesa come virtù. Quella di cui parla Matteo non è altro che "la volontà di
Dio", la sintesi del vangelo, non tanto una categoria giuridica!
Questa beatitudine esprime il desiderio che il Regno venga (come preghiamo nel Padre
nostro), che si viva il vangelo, attendendolo come si desiderano il cibo e l'acqua. Che
forza ha questa sintesi di Gesù, che evoca i bisogni elementari, vitali, per dire di Dio.
La giustizia di Dio è la vita dell'uomo.
Francesco Scanziani
Dal libro: Il
fare del cuore, EDB 2010
Questi beati sono persone che non si accontentano della realtà esistente e non
soffocano l'inquietudine del cuore, quell'inquietudine che rimanda l'uomo a qualcosa di
più grande e lo spinge a intraprendere un cammino interiore - come i Magi dall'Oriente
che cercano Gesù. Sono persone dotate di una sensibilità interiore, che le rende capaci
di udire e vedere i deboli segnali che Dio manda nel mondo e che in questo modo rompono la
dittatura della consuetudine.
Chi non penserebbe qui agli umili santi con i quali l'Antica Alleanza si dischiude alla
Nuova e si trasforma in essa?
A Zaccaria ed Elisabetta, a Maria e Giuseppe, a Simeone e Anna i quali, ognuno a suo modo,
attendono con animo vigile la salvezza di Israele e con la loro umile pietà, con la
pazienza della loro attesa e del loro desiderio "preparano le vie" al Signore?
Ma come non pensare anche ai dodici Apostoli - a uomini di origini spirituali e sociali
molto diverse, che però, nel mezzo del loro lavoro, della loro quotidianità, avevano
conservato il cuore aperto, che li predispose alla chiamata di Colui che è più grande?
O anche allo zelo appassionato di san Paolo per la giustizia, uno zelo male indirizzato,
ma che lo prepara a essere gettato a terra da Dio e così condotto a una nuova
perspicacia?
Joseph Ratzinger, Gesù
di Nazareth, Rizzoli 2007, p. 116
23-MAGISTERO: Dio vuole un mondo di giustizia
[Il Signore] ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili.
Queste parole [Lc1, 51-53] dicono che il mondo voluto da Dio è un mondo di giustizia. Che
l'ordine che deve reggere i rapporti tra gli uomini si fonda sulla giustizia.
Che quest'ordine deve essere continuamente realizzato nel mondo ed anche che deve ogni
giorno essere realizzato di nuovo, in rapporto alla crescita e allo sviluppo delle
situazioni e dei sistemi sociali, in rapporto alle nuove condizioni e alle possibilità
economiche, alle nuove possibilità della tecnica e della produzione e nel contempo alle
nuove possibilità e necessità di distribuzione dei beni.
Giovanni
Paolo II, Omelia del 31 maggio 1980 a Parigi
24-BEATI I MISERICORDIOSI perché troveranno
misericordia
Riconciliandosi con se stesso, con il/la proprio/a amato/a, con il prossimo, con Dio
costituiscono un unico atteggiamento possibile se ci lasciamo toccare dallamore di
Dio.
La misericordia tiene aperta la porta di casa al mondo, ai bisogni di quanti soffrono e per i quali il nostro aiuto può risultare davvero prezioso.
di Valeria e Mauro Bellini*
Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui
non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare
il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui (Gv 3, 16-17).
Con queste parole Gesù ci rivela ad un tempo la sua missione, il disegno di salvezza per
l'umanità voluto dal Padre, e l'essenza stessa di Dio: la Misericordia. Ce le riferisce
l'apostolo Giovanni (il cui nome vuol dire proprio "Dio è Misericordia").
"Misericordia" in ebraico è tradotta con un termine che evoca le viscere
materne, a richiamare l'atteggiamento materno, uterino, di compassione e attenzione verso
l'altro: il cuore e le viscere si commuovono per prendersi cura dell'altro. Misericordia
è avere a cuore i miseri, muoversi a pietà verso le miserie del nostro stesso essere,
ciò che ci accomuna gli uni gli altri.
È da qui che discende la compassione, il cum-patire, il vivere assieme lo stesso
pathos, il portare assieme la stessa Croce
Atteggiamenti di misericordia
Nella celebrazione dei riti pasquali di quest'anno, le meditazioni della Via Crucis
del Venerdì Santo per la prima volta sono state affidate ad una famiglia, i coniugi
Danilo e Anna Maria Zanzucchi, iniziatori del movimento "Famiglie Nuove",
nell'ambito del più ampio movimento dei Focolari.
Essi hanno sottolineato, assieme a papa Benedetto XVI, il cammino faticoso e difficile,
specie in questi tempi di crisi economica e precariato a tutti i livelli, che le famiglie
si ritrovano a vivere; le "incomprensioni, divisioni, preoccupazioni per il futuro
dei figli, malattie e disagi di vario genere". In esse si riflette la Croce di
Cristo. Se prendiamo consapevolezza di questa presenza, se viviamo in essa la compassione
gli uni verso gli altri, allora realizziamo atteggiamenti di misericordia.
Camminare con speranza
Essere misericordiosi in famiglia, vivere il perdono tra coniugi, tra genitori e
figli, è dunque possibile se si assume la Croce di Cristo: "lì troviamo il coraggio
per continuare a camminare (
) Ed è a questo amore di Cristo che dobbiamo rivolgerci
quando gli sbandamenti umani e le difficoltà rischiano di ferire l'unità della nostra
vita e della nostra famiglia. Il mistero della Passione, morte e Risurrezione di Cristo
incoraggia a camminare con speranza: la stagione del dolore e della prova, se vissuta con
Cristo, con fede in Lui, racchiude già la luce della risurrezione, la vita nuova del
mondo risorto, la pasqua di ogni uomo che crede alla sua Parola", afferma il
pontefice.
Sentieri di misericordia
Non si tratta di impegnarci in uno sforzo volontaristico, psicologico, in funzione di
una serenità di medio-lungo termine, all'interno della coppia, della famiglia, ma di un
programma di vita che parte da noi e va oltre. Per quanti sono cristiani è il cammino e
la missione stessa inaugurata da Gesù.
Ciascuno, in prima persona e assieme all'altro, deve impegnarsi a costruire sentieri di
misericordia.
Riconciliandosi con se stesso, con il/la proprio/a amato/a, con il prossimo, con Dio. Non
sono momenti separati da realizzarsi uno alla volta, per poi tirare le somme alla
fine
no, si tratta di un unico atteggiamento possibile se apriamo il cuore alla
Misericordia, se ci lasciamo toccare dall'amore di Dio.
Saper perdonare
Solo se facciamo esperienza della Misericordia di Dio, possiamo annunciarla agli
altri. Perdonare, vuol dire donare al massimo di se stessi: un dono che si rinnova e si
moltiplica. La gioia del perdono è indescrivibile, specie se a prezzo di un duro braccio
di ferro con se stessi.
È gioia che riflette la vittoria del Risorto. La misericordia ci fa creature nuove, ci
risorge a vita nuova!
Per questo occorre guardare a Cristo, alla sua Passione, unirci alla sua offerta d'amore.
Se amiamo solo quelli che ci amano, dice il Signore, quale merito ne abbiamo?
Dobbiamo essere come il sole che sorge sui buoni e sui cattivi, perfetti come il Padre
Celeste (cfr. Mt 5, 43-48). Essere cioè capaci di allargare il cuore, anche se questo ci
costa, per comprendere la realtà. La compassione si fa comprensione, conoscenza profonda
della vita. Non si conosce bene, se non con il cuore.
Del resto, senza il perdono, non è possibile una vita di comunione piena. La vita comune
è la continua rivelazione dei nostri limiti, dei nostri difetti, e solo con un grande
perdono è possibile ricominciare dopo ogni conflitto.
Aperti alla Misericordia
La misericordia vissuta tra gli sposi si fa luce, non solo per chi la vive. Si diventa
testimoni di un Amore che salva. Si diviene fratelli con quanti incontriamo sulla nostra
strada.
La posta in gioco è sempre la stessa: una vita autentica nell'amore, nella conoscenza del
nostro essere comune, per cui il destino di ognuno ci riguarda.
La misericordia tiene aperta la porta di casa al mondo, ai bisogni di quanti soffrono e
per i quali il nostro aiuto può risultare davvero prezioso.
Una famiglia che sa vivere della Misericordia, sa entrare in contatto con le proprie
dinamiche, le conosce e sa che siamo tutti come vasi di creta che sfiorandosi si fanno
male, ma soprattutto che Dio è più grande del nostro cuore, e che a Lui possiamo
affidarci per accoglierci, riconciliarci e vivere ogni giorno la nostra pasqua, il nostro
passaggio dalla morte alla vita...
Coppie di sposi che vivono così, alla fine contribuiscono a costruire la pace. Una
beatitudine chiama l'altra. In fondo i costruttori di pace, i poveri in spirito, i puri di
cuore, non sono forse donne e uomini di misericordia?
* Mauro Bellini è collaboratore di Missio Famiglie, uniniziativa della Pontificia
Opera Propagazione della Fede: www.famiglie.missioitalia.it
Per il lavoro di coppia e di gruppo
Quando io do il mio perdono, lo faccio davvero 'gratis' come un dono, oppure
pretendo, chiedo garanzie? Quali sono le mie difficoltà al momento di perdonare?
Perché mi succede di dire 'scusami' invece che 'perdonami'? Che effetto fa in me
quando l'altro/a cerca di scusarsi invece che riconoscere il proprio errore e chiedere
perdono?
Tra noi c'è chi solitamente prende l'iniziativa di riconciliarsi? Perché questo,
avviene? Si crea qualche inconveniente da questa situazione?
Quando è il momento di perdonarti, quanto pesano i sentimenti di rabbia che ho con
te? Mi succede di restare intrappolato dentro il mio dolore?
25-FRAMMENTI
Beati voi che avete appreso da Lui l'arte della misericordia, perché avete trovato il
segreto della felicità e della freschezza del vostro amore.
R. Henckes
26-RIFLESSIONI
È la virtù di Dio, di cui anche gli uomini devono rivestirsi (Mt 5,23-24.38-48). Il
passaggio introduce la seconda parte delle beatitudini, prevalentemente rivolta verso gli
altri e caratterizzata dall'aspetto più attivo: la carità.
Ecco l'unica arma che fa sparire il male dalla storia: il perdono.
Possibile a coloro che il male lo hanno ricevuto davvero, sulla propria pelle. Essi hanno
la forza di cancellare la violenza e la cattiveria dalla terra, perché non la
restituiscono, ma la annullano in sé.
Costoro hanno il potere stesso del Padre!
Francesco Scanziani
Dal libro: Il
fare del cuore, EDB 2010
Ed ecco ora apparire il samaritano. Che cosa farà? Egli non chiede fin dove arrivino i
suoi doveri di solidarietà e nemmeno quali siano i meriti necessari per la vita eterna.
Accade qualcos'altro: gli si spezza il cuore; il Vangelo usa la parola che in ebraico
indicava in origine il grembo materno e la dedizione materna.
Vedere l'uomo in quelle condizioni lo prende "nelle viscere", nel profondo
dell'anima.
"Ne ebbe compassione", traduciamo oggi indebolendo l'originaria vivacità del
testo.
In virtù del lampo di misericordia che colpisce la sua anima diviene lui stesso il
prossimo, andando oltre ogni interrogativo e ogni pericolo.
Pertanto qui la domanda è mutata: non si tratta più di stabilire chi tra gli altri sia
il mio prossimo o chi non lo sia. Si tratta di me stesso.
Io devo diventare il prossimo, così l'altro conta per me come "me stesso".
Joseph Ratzinger, Gesù
di Nazareth, Rizzoli 2007, p. 234
27-MAGISTERO: Nei poveri la Chiesa serve il suo Maestro
La misericordia diviene elemento indispensabile per plasmare i mutui rapporti tra gli
uomini, nello spirito del più profondo rispetto di ciò che è umano e della reciproca
fratellanza.
È impossibile ottenere questo vincolo tra gli uomini se si vogliono regolare i mutui
rapporti unicamente con la misura della giustizia.
Questa, in ogni sfera dei rapporti inter-umani, deve subire, per così dire, una notevole
"correzione" da parte di quell'amore il quale - come proclama san Paolo -
"è paziente" e "benigno" o, in altre parole, porta in sé i caratteri
dell'amore misericordioso tanto essenziali per il Vangelo e per il cristianesimo.
Giovanni
Paolo II, Dives in misericordia, n.14
28-BEATI I PURI DI CUORE perché vedranno Dio
Come famiglia e come sposi ci auguriamo e auguriamo a tutti di essere almeno
sufficientemente puri di cuore: desideriamo davvero vedere Dio, anche se magari non
proprio dalla prima fila
di Elisabetta e Mauro Lucchi
Cosa può significare questa beatitudine per una coppia del terzo millennio, o meglio, è
possibile essere in qualche misura puri di cuore senza vivere fuori dal mondo, isolati da
ciò che ci circonda?
Coerenti nelle scelte
A noi sembra che questa beatitudine sia una sorta di richiamo alla limpida coerenza
delle proprie scelte con la fede, col Vangelo. Dio conosce il nostro cuore, apprezza il
disinteresse, la sincerità, la generosità, il rifiuto delle apparenze nel nome
dell'autenticità.
Essere puri di cuore non riguarda quindi solo la purezza intesa come castità, che è data
per scontata, ma anche un atteggiamento interiore a tutto campo, che comprende l'impegno a
non mentire, non scendere a compromessi, vivere e educare alla verità, anche quando
sarebbe più comodo cedere.
Vivere la castità
In merito alla castità la morale della Chiesa è assai prodiga di consigli e
indicazioni, in tempi passati si insisteva molto su questo aspetto della vita della
coppia, anche in maniera fin troppo tecnica e fastidiosa.
Da fidanzati eravamo sospettosi e diffidenti, soprattutto sull'argomento della
contraccezione: pazienza la castità prima del matrimonio, ma almeno dopo, che nessuno
mettesse il naso nella nostra camera da letto!
Abbiamo imparato il metodo Billings solo per curiosità e grazie alla pazienza di una
nostra cara amica, che lo insegna in consultorio; abbiamo iniziato ad usarlo quasi per
scommessa, per dimostrare che non avrebbe funzionato
Dopo vent'anni di matrimonio possiamo garantire che il metodo funziona benissimo sul piano
tecnico e, incredibile a dirsi, l'alternanza di giorno fecondi e infecondi ci ha regalato
un corteggiamento reciproco perenne, un ritmo naturale di attesa e appagamento che ancora
oggi ci coinvolge e ci salva dalla routine e dalla noia.
Affidarsi allaltro
Come si diceva, però, la purezza del cuore non può ridursi alla fedeltà e alla
castità coniugali in senso stretto. Nella coppia non può mancare la trasparenza,
l'affidarsi totalmente all'altro, senza riserve.
Il mio cuore per te è un libro aperto, ed io, a mia volta, posso leggere nel tuo, perché
fra noi non ci sono barriere, infingimenti, trucchi o bugie. Se qualche volta, o in certi
periodi anche spesso, c'è la necessità di discutere, di chiarirsi, magari litigare,
pazienza.
Essere limpidi significa anche questo: non sempre la famiglia può assomigliare a quella
della pubblicità del Mulino Bianco.
Noi siamo cinque, con tre figli adolescenti, i nostri caratteri sono forti e combattivi,
nessuno cede con facilità; sicuramente i nostri vicini hanno sentito più di una volta
alzare la voce in casa nostra, ma pazienza.
Non ci importa tanto preservare la facciata, quanto affrontare alla radice e con coraggio
i problemi con la scuola, col rientro del sabato sera, con l'uso del denaro, eccetera.
Evitare lipocrisia
Un po' più complicato è confrontarsi col mondo esterno. È difficile a volte non
essere ipocriti senza apparire troppo duri, o addirittura scostanti e maleducati.
Coltivare rapporti autentici, soprattutto fra adulti, non è sempre facile.
Spesso più che l'ipocrisia nuda e cruda si incontra la vuota formalità, il rifiuto di
mettersi in gioco, di affrontare percorsi di amicizia e condivisione.
È più divertente il pettegolezzo superficiale fatto alle spalle dei diretti interessati,
piuttosto che parlare di sé e rispettare la sfera privata del nostro collega, vicino di
casa, amico vero o presunto. La purezza del cuore, però, comporta anche questo, il
rifiuto di rapporti superficiali, banali, di comodo; il presentarsi agli altri nella
propria interezza, con un atteggiamento aperto, generoso, sincero; essere persone su cui
si può contare, e non solo per le quattro chiacchiere al bar.
Essere "fratelli"
Noi siamo convinti che qualsiasi azione, parola, contatto con l'altro debba sempre
venire dal cuore.
Non significa essere persone melense, né facilone né buoniste ad oltranza: significa
piuttosto essere onesti prima con se stessi e poi con gli altri, misurare il rapporto con
l'altro non il base alle convenzioni o, peggio, alla convenienza, ma in base ad un
sentimento profondo di fratellanza e di comprensione. Questo atteggiamento espone talvolta
a delusioni anche abbastanza cocenti, pazienza.
Se essere, o almeno sforzarsi di essere puri di cuore, fosse sempre facile e ben ripagato,
Gesù non l'avrebbe inserito nelle Beatitudini.
Per il lavoro di coppia e di gruppo
Beati i puri di cuore: qual è il desiderio che mi guida ora? Come è il mio
"cuore"?
Come viviamo, nella nostra coppia, la castità evangelica?
In quale misura siamo aperti alla vita? Come la manifestiamo?
Ci capita di dire bugie a "fin di bene" al coniuge ai figli? Ci rendiamo
conto che così giustifichiamo il mentire?
Riusciamo a pensar bene degli altri fino a prova contraria o siamo portati a
giudicare secondo i limiti del nostro cuore?
29-FRAMMENTI
Beati voi se vi amerete nel rispetto reciproco, se sconfiggerete ogni giorno l'egoismo,
divenendo sempre più trasparenti, se sarete l'uno verso l'altro come bimbi, capaci di
giocare e abbracciarvi con tenerezza, se come tali vi consegnerete a Dio, se
glorificherete nei vostri corpi il tempio dello Spirito, perché niente e nessuno potrà
impedirvi di entrare in contatto con Dio.
R. Henckes
30-RIFLESSIONI
Una beatitudine che parla non tanto di purezza nel senso di castità - non perché la
escluda -, quanto piuttosto del cuore che, secondo la Bibbia, indica la sintesi della
persona: tutte le facoltà dell'uomo, mente, volontà e affetti, si unificano nel cuore.
È il motore della vita, il luogo delle decisioni. Che sia puro, indica che è libero,
significa che la capacità di decidere è rettamente orientata.
È la condizione per una buona scelta. In definitiva, il "cuore puro" è un
cuore unificato, è l'integrazione di tutte le facoltà dell'uomo, del mondo interiore,
desideri, emozioni e affetti attorno a Dio (cfr. Mt 5,27-30).
Per questo ha come meta il "vedere" Dio: non annuncia un'astratta visione
divina, bensì la comunione col Padre.
Si può comprendere facilmente pensando il suo opposto (che non è un cuore
"impuro" nel senso comune del termine!): è una persona doppia, che all'esterno
appare in un modo, ma all'interno è in un altro. È il rischio terribile dell'ipocrisia.
Francesco Scanziani
Dal libro: Il
fare del cuore, EDB 2010
Come diventa puro l'occhio interiore dell'uomo? Come può sciogliere la cataratta che
annebbia il suo sguardo o alla fine lo acceca del tutto?
[...] Leggendo le Beatitudini nel contesto biblico, lì incontriamo il tema soprattutto
nel Salmo 24, espressione di un'antica liturgia di ingresso al santuario: "Chi
salirà il monte del Signore, chi starà nel suo luogo santo? Chi ha mani innocenti e
cuore puro, chi non pronuncia menzogna, chi non giura a danno del suo prossimo" (v.
3s). [...] Il Salmo spiega in modi molteplici il contenuto di questa condizione per
l'accesso alla dimora di Dio.
Una premessa indispensabile è che gli uomini che vogliono entrare nella casa di Dio
devono chiedere di Lui, cercare il suo volto (v. 6): appare quindi come condizione di
fondo lo stesso atteggiamento che prima abbiamo visto descritto dalle parole "fame e
sete della giustizia". Chiedere di Dio, cercare il suo volto - è questo il
presupposto basilare per l'ascesa che conduce all'incontro con Dio. Ma già prima, come
contenuto del concetto di mani innocenti e cuore puro, viene indicata l'esigenza che
l'uomo non pronunzi menzogna e non giuri a danno del suo prossimo: quindi l'onestà, la
sincerità, la giustizia nei confronti del prossimo e della società - quello che noi
potremmo definire ethos sociale, ma che in realtà arriva a toccare il fondo del cuore.
Joseph Ratzinger, Gesù
di Nazareth, Rizzoli 2007, p. 118-119
31-MAGISTERO: Essere casti per difendere lamore
...Tra le condizioni necessarie rientra anche la conoscenza della corporeità e dei
suoi ritmi di fertilità.
In tal senso bisogna far di tutto perché una simile conoscenza sia resa accessibile a
tutti i coniugi, e prima ancora alle persone giovani, mediante un'informazione ed
un'educazione chiare, tempestive e serie, ad opera di coppie, di medici e di esperti. La
conoscenza poi deve sfociare nell'educazione all'autocontrollo: di qui l'assoluta
necessità della virtù della castità e della permanente educazione ad essa. Secondo la
visione cristiana, la castità non significa affatto né rifiuto né disistima della
sessualità umana: significa piuttosto energia spirituale, che sa difendere l'amore dai
pericoli dell'egoismo e dell'aggressività e sa promuoverlo verso la sua piena
realizzazione.
Giovanni
Paolo II, Familiaris consortio, n.33
32-BEATI GLI OPERATORI DI PACE perché saranno chiamati
figli di Dio
Se non ho un collegamento diretto con Dio, posso anche sperare in una riconciliazione
ma non la so cercare e trovare, perché prima devo portare la Pace nel mio cuore.
di Maria Rosa e Franco Fauda
Quando nasce una nuova famiglia i due sposi sono pieni del loro amore e capiscono che
l'amore di Dio che li accoglie in Chiesa è così immenso che straripano di gioia e di
Grazia.
Da quel momento siamo noi sposi a testimoniare il suo Amore per l'umanità, è la nostra
relazione che si rende visibile, che incarna il nostro matrimonio. Quindi il vivere nella
Pace del Signore e creare la Pace in famiglia e nel nostro microcosmo dipende solo da noi.
Vivere il Vangelo
Ai cristiani non mancano le prove, le "defaillance" personali o di coppia, i
dubbi o le difficoltà: tutti sperimentiamo, in questa epoca di crisi, di fatica e di
disillusioni, un crescente pessimismo che dobbiamo combattere ad ogni costo.
Se vogliamo vivere come tali dobbiamo vivere il vangelo: Gesù non si è mai tirato
indietro davanti agli ostacoli, né di fronte all'incomprensione, il nostro punto fermo è
Lui.
Non per niente in Matteo 4,5 si legge: "beati i pacificatori perché saranno chiamati
figli di Dio!".
Quindi noi possiamo diventare Suoi Figli se sapremo rinunciare alle critiche, più o meno
fondate, più o meno feroci, oppure sapremo trovare la forza per ricucire strappi magari
decennali con i parenti, anche i più stretti.
Abbiamo una vita da passare insieme e ce la giochiamo su delle futilità che a volte non
hanno senso; gli interessi economici o sgarbi inveterati producono i muri d'incomprensione
che a volte è proprio difficile abbattere.
Cercare la pace
Forse quando capita un fatto imprevisto, sia esso triste o luttuoso oppure felice:
come una nascita o un matrimonio, possiamo sperare di modificare il terreno emotivo che
circonda la nostra famiglia e con l'aiuto di Gesù trovare la forza per fare il primo
passo.
Ogni famiglia ha il suo fardello di tristezza, legato a divisioni tra genitori e figli, o
tra fratelli o tra coniugi.
Non si possono divulgare le proprie personali sofferenze, primo perché ogni persona
reagisce alla stessa provocazione in modo differente, secondo perché ciò che per me è
risolvibile in un modo semplice non lo è affatto per altri.
Ma l'invito che ci fa il Signore è comunque chiaro per tutti: prevede un ruolo attivo, la
Pace va ricercata, non ci piove addosso!
Amare i nemici
Non possiamo sentirci salvati solo perché non facciamo del male a nessuno, Gesù non
ci invita ad offendere i nemici ma ad amarli, a porgere l'altra guancia, a trovare in ogni
persona il buono che il Padre Suo vi ha messo.
Certo che dalla teoria alla pratica c'è una bella differenza. Proviamo ad immaginare la
nostra famiglia in certe giornate no: la nostra stanchezza, forse accompagnata da una
bella delusione lavorativa, e qualche figlio che, in piena crisi adolescenziale, sbatte la
porta, uscendo come un fulmine ed urlandoci contro qualche frase ad effetto. Anche il
genitore più pio ha un momento di rabbia, se non di sconforto.
Dove ho sbagliato con mio figlio? Se non riesco a creare la Pace nella mia famiglia come
posso sperare che ce ne sia al di fuori?
O.K. può succedere e succede, iniziamo col calmarci, facciamo qualcosa che ci rilassi:
leggiamo un libro, facciamo le parole crociate, andiamo a farci una passeggiata,
preghiamo...
Imparare a pregare
Quando vissi un'esperienza analoga e la raccontai a mia madre, allora novantenne e da
13 anni affetta da Alzheimer, quindi assolutamente devastata dalla malattia, che da oltre
un anno ormai non parlava più, ricordo che mi afferrò il braccio, mi fece voltare per
guardarla e mi disse: "Allora prega!"
Santa donna! Così malata eppure m'insegnò che se non avevo un collegamento diretto con
Dio, potevo anche sperare in una riconciliazione ma non la sapevo cercare e trovare,
perché prima non avevo portato la Pace nel mio cuore.
In fondo a ben pensare e meditando la Parola è proprio vero che anche Gesù, nel momento
in cui assunse la sua natura umana, dovette cercare il modo di riunirsi al Padre, quante
volte si ritirò a pregare!
In disparte, sul monte, coi suoi discepoli o da solo, dall'inizio della sua predicazione
alla fine nell'orto degli ulivi: Lui pregava. E noi?
Ci permettiamo di suggerirvi una breve preghiera:
Signore Gesù Cristo,
tu che conosci la profondità del nostro cuore,
la capacità di bene e di male che è in ogni uomo,
insegnaci a perdonare e a chiedere perdono,
ad avere pietà di noi stessi e degli altri.
Ricordati delle nostre famiglie, benedette dal tuo amore,
ma spesso segnate dalle divisioni, dai risentimenti e dall'odio.
Signore Gesù Cristo,
dona alle nostre case pace e risurrezione,
custodiscile nel tuo Cuore,
e mantienile unite con la forza del tuo amore.
Amen.
Per tutti un augurio fraterno di Pace personale, di coppia ed in famiglia!
Per il lavoro di coppia e di gruppo
La famiglia deve essere scuola di pace. Ne siamo consapevoli?
La competizione è qualcosa di cui si parla in casa, a cui vengono spinti i figli?
Il fine giustifica i mezzi? Per uno scopo buono posso (a fin di bene) fare il male?
Rimproveriamo i figli sono quando siamo stanchi e arrabbiati oppure tutte le volte
che se lo meritano? Diamo ragione del nostro rimprovero?
Siamo capaci a chiedere perdono? Siamo capaci a dare il perdono?
33-FRAMMENTI
Beati voi tutte le volte che sarete capaci di portare la pace nella vostra famiglia,
nel condominio, tra i parenti, nei luoghi del vostro lavoro. Lo potrete fare se grazie al
vostro matrimonio, nel cammino di apprendimento delle vie dell'amore, sarete diventati
degli esperti dell'arte della riconciliazione. Sarà manifesto a tutti che siete figli di
Dio e i vostri passi saranno sacri.
R. Henckes
34-RIFLESSIONI
Si tratta di un agire concreto, attivo, anche scomodo. Per l'AT la pace è lo shalom,
sintesi delle promesse messianiche, l'aspirazione dei membri dell'alleanza: la
realizzazione di quel rapporto di piena comunione che Dio vuole con gli uomini.
Dunque, la pace è ancora una volta un tema anzitutto teologico, non politico. Per questo
ha come risvolto il venir chiamati figli di Dio, non è solo una "metafora", ma
semplicemente l'agire dei figli di Dio.
È da lui che la pace si diffonde nel mondo, come in un benefico effetto a catena che
plasma le relazioni tra gli uomini. Essere riconosciuti suoi figli è essere nel giusto
rapporto con lui, vivere effettivamente a sua immagine.
Per questo l'essere operatori di pace non allude a un passivo "stare in
panciolle", bensì indica un concreto "fare la pace".
E un agire concreto, attivo, anche scomodo: chi si dà da fare per attuare la pace, non
può "stare in pace" finché questa non sia realmente attuata.
Francesco Scanziani
Dal libro: Il
fare del cuore, EDB 2010
La discordia con Dio è il punto di partenza di tutti gli avvelenamenti dell'uomo; il
suo superamento costituisce il presupposto fondamentale della pace nel mondo.
Solo l'uomo riconciliato con Dio può essere riconciliato e in armonia anche con se stesso
e solo l'uomo riconciliato con Dio e con se stesso può portare la pace intorno a sé e in
tutto il mondo.
L'eco del contesto politico che si percepisce sia nel racconto lucano dell'infanzia di
Gesù sia qui, nelle Beatitudini di Matteo, mostra però l'intera portata di questa
parola.
Che vi sia pace sulla terra (cfr. Lc 2,14) è volontà di Dio e così è anche un compito
affidato all'uomo. Il cristiano sa che il perdurare della pace è legato al fatto che
l'uomo si trovi nell'eudokía di Dio, nel suo "beneplacito".
L'impegno per stare in pace con Dio è una parte imprescindibile dell'impegno per la
"pace sulla terra"; di lì derivano i criteri e le forze necessari per questo
impegno.
Laddove l'uomo perde di vista Dio, anche la pace decade e la violenza prende il
sopravvento con forme di crudeltà prima inimmaginabili: lo vediamo oggi in modo fin
troppo chiaro.
Joseph Ratzinger, Gesù
di Nazareth, Rizzoli 2007, p. 110
35-MAGISTERO: Non c'è pace senza giustizia
Molte volte mi sono soffermato a riflettere sulla domanda: qual è la via che porta al
pieno ristabilimento dell'ordine morale e sociale così barbaramente violato?
La convinzione, a cui sono giunto ragionando e confrontandomi con la Rivelazione biblica,
è che non si ristabilisce appieno l'ordine infranto, se non coniugando fra loro giustizia
e perdono.
I pilastri della vera pace sono la giustizia e quella particolare forma dell'amore che è
il perdono.
Giovanni
Paolo II, messaggio per la XXXV Giornata mondiale della pace, n.2
36-BEATI I PERSEGUITATI PER LA GIUSTIZIA perché di
essi è il regno dei cieli
Anche in famiglia è facile strattonare i diritti dalla propria parte in nome di una
pseudo giustizia che giusta non è!
La giustizia di Dio è fatta di cuore ed ha il colore e il profumo dell'amore: si chiama misericordia.
di Valeria e Tony Piccin
I Vangeli di Matteo e Luca riportano, seppure in modo diverso uno dall'altro, le
"Beatitudini".
Conoscendo la difficile situazione che stavano vivendo le comunità degli scrittori di
questi due Vangeli è facile immaginare come le Beatitudini siano state per loro la magna
carta su cui si basa tutto il messaggio evangelico.
Una comunità perseguitata
In esse vi troviamo elencate le gravi difficoltà che vivono a causa della fede in
Cristo Signore: la povertà, la tristezza, la violenza,
tutte situazioni dovute
all'emarginazione - persecuzione contro le prime comunità. Ma troviamo anche per ognuna
la spinta redentiva che le proietta in una dimensione tutta nuova di salvezza.
Si tratta di veri e propri paradossi, inconcepibili alla mentalità terrena, ma che
entrano in un progetto nuovo, annunciato da Cristo Gesù, dove il cambiamento del mondo
non è affidato alla forza, al potere, alla scaltrezza ma alla povertà, mitezza,
sofferenza
Molti sono i riferimenti nei Vangeli a questo nuovo, originale progetto:
- la missione come agnelli in mezzo ai lupi (Mt 10,16),
- l'offerta della tunica oltre al mantello (Mt 5,40),
- il perdono dei nemici (Mt 5,44).
E, più di ogni altra raccomandazione, l'offerta che Gesù fa di sé stesso sulla croce
che rappresenta il massimo dell'impotenza, ma che diventa lunico
"strumento" di salvezza.
In questo ottavo enunciato della nuova legge dell'amore ci imbattiamo in due termini che
si confrontano l'uno con l'altro: persecuzione - giustizia.
Verità e giustizia
Poiché applicare la giustizia può essere scomodo conviene addomesticarla con
qualsiasi mezzo lecito o meno lecito; dall'altro lato si tratta di una persecuzione ben
mirata contro qualcuno ma soprattutto contro qualcosa che può risvegliare la verità.
Viene spontaneo l'accostamento con le parole che Pilato pronuncia in modo altero e
dispregiativo: "Che cos'è la verità?!". La verità era per lui la legge del
più forte, del più astuto, è la ragione della spada.
Potremmo riproporre la stessa ambigua affermazione circa la giustizia: "Che cos'è la
giustizia?!".
Oggi circolano molte battute sulla giustizia: non serve avere ragione o torto, basta un
buon avvocato.
La giustizia in famiglia
Guardando allorizzonte familiare, vediamo testamenti manomessi o fatti sparire,
di beni mobili e immobili arbitrariamente posseduti da qualcuno al posto di qualcun altro.
A chi appartiene la casa dei due coniugi? A chi appartenevano i soldi messi insieme per
comperarla?
Gli esempi potrebbero continuare all'infinito, ma possiamo parlare anche di ingiustizie
morali, di omissioni, di tradimento di impegni assunti. Restando in famiglia, a che punto
siamo con la parità di diritti e doveri tra uomo e donna, con la fedeltà matrimoniale,
con l'impegno educativo dei figli e la relativa testimonianza? Solo come battuta, se è
giusto dire che i figli hanno diritto ad avere un padre ed una madre ma non viceversa,
questi benedetti genitori ci "sono" o non ci "sono"?
È troppo facile strattonare i diritti dalla propria parte e sbandierare una pseudo
giustizia che giusta non è!
Gesù stesso dice al servo del Sommo Sacerdote: "Se ho parlato male, dimostrami
dov'è il male, ma se ho detto il vero, perché mi percuoti?" (Gv 18,23).
Giuseppe: uomo giusto
Nei Vangeli troviamo un uomo definito "giusto": Giuseppe, sposo di Maria. Un
uomo che in tutti i racconti del Vangelo non dice una sola parola, eppure è giusto, quasi
a dirci che la giustizia non ha bisogno di tante arringhe quando è saldamente insediata
nel profondo del cuore.
Non ha nemmeno bisogno di tante legge e decreti, perché proprio questi corrono il rischio
di snaturarla. È la giustizia di Dio, Lui solo è il Giusto.
Confrontare la nostra povera e imperfetta giustizia - che spesso fa soffrire e ci fa
soffrire - con la sua è la cosa più saggia.
La giustizia di Dio
Come è fatta la giustizia di Dio? Che colore, che "profumo" ha? È fatta di
cuore ed ha il colore e il profumo dell'amore: si chiama misericordia.
Non è certo quella pretesa da Giuda: "Perché questo spreco di profumo? Si poteva
venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri" (Mc 14,4-5). Non si poteva
vendere quel profumo per ristabilire un po' di eguaglianza - giustizia con i poveri?
Se a noi interessa veramente il povero, colui che soffre, che sta male, che ha bisogno di
attenzione, che chiede il perdono, dobbiamo ascoltare imparare di Gesù:
- il figlio che ritorna pentito alla casa del padre (Lc. 15,11-32),
- la pecora smarrita che non rientra a sera all'ovile (Mt.18,12-14),
- l'operaio che lavora una sola ora ma ha la stessa fame e sete di tutti gli altri
(Mt.20,1-16)?
I martiri di oggi
"Beati quelli che sono perseguitati per aver fatto la volontà di Dio: Dio darà
loro il suo regno" (Mt.5,10).
In questi ultimi decenni, un po' in tutto il mondo, abbiamo avuto un consistente numero di
cristiani che hanno testimoniato la carità fino al martirio.
Essi dovrebbero scuotere la nostra fede stanca, dovrebbero ricolorare la tinta smarrita
del nostro abito battesimale per un cristianesimo nuovo, più autentico e credibile.
Per il lavoro di coppia e di gruppo
Ci adoperiamo per avere i complimenti, le lodi in famiglia, sul lavoro, nella
società? Agendo così, siamo sicuri di fare la volontà di Dio?
Fare la volontà di Dio: quanto ci impegniamo a seguirla? Quanto siamo disposti a
sopportare per esserle fedeli?
Tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra suocera e nuora quanti conflitti
possono nascere! Come li gestiamo?
Il regno dei cieli è per noi qualcosa di astratto o una realtà che si realizza
già ora? In che modo?
37-FRAMMENTI
Beati voi quando sarete perseguitati a causa della giustizia. Non lasciatevi abbattere
e scoraggiare perché quella è la mia stessa strada, segnata sì dalla Croce, ma anche
dalla gloria della Risurrezione. Rallegratevi, perché è il segno che siete riusciti ad
incidere, che siete stati "sale" per quanti ora vi combattono.
R. Henckes
38-MAGISTERO: Essere segno di contraddizione
A coloro che lo seguono, Cristo non promette una vita facile. Annunzia piuttosto che,
vivendo il Vangelo, dovranno diventare segno di contraddizione.
Se egli stesso soffrì persecuzione, essa si compirà anche per i suoi discepoli:
"Guardatevi dagli uomini - egli annunzia - perché vi consegneranno ai loro tribunali
e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe" (Mt 10, 17).
Giovanni
Paolo II, Omelia del 7 giugno 1999 a Bydgoszcz (Polonia)
39-RIFLESSIONI
Il cammino si chiude tornando alla giustizia, ossia alla volontà del Padre. Talmente
desiderata che è l'unica beatitudine tra tutte che Gesù ripete per ben due volte.
Va ricercata con tutte le forze, fino a prepararsi a soffrire e a subire le conseguenze
delle scelte fatte secondo la giustizia di Dio, ossia secondo la sua volontà!
Di qui la conclusione, con l'ultima beatitudine, l'unica diretta, espressa con quel forte
"voi": Beati voi, perseguitati per causa mia. Per causa di Gesù! Seguire Gesù,
costi quel che costi, con tutte le conseguenze connesse, è la virtù ultima per il
cristiano. Il compendio di tutte le beatitudini sta qui: un nome, un volto, quello di
Gesù!
Francesco Scanziani
Dal libro: Il
fare del cuore, EDB 2010
L'afflizione di cui parla il Signore è il non-conformismo col male, è un modo di
opporsi a quello che fanno tutti e che s'impone al singolo come modello di comportamento.
Il mondo non sopporta questo tipo di resistenza, esige che si partecipi. [...] Per questo
gli afflitti diventano dei perseguitati a causa della giustizia.
Agli afflitti viene promessa consolazione, ai perseguitati il regno di Dio; è la stessa
promessa fatta ai poveri in spirito. Le due promesse sono molto vicine: il regno di Dio -
stare nella protezione della potenza di Dio ed essere sicuri nel suo amore - questa è la
vera consolazione.
E dall'altra parte: solo allora la persona che soffre verrà davvero consolata, solo
allora le sue lacrime si esauriranno completamente, quando nessuna violenza omicida potrà
più minacciare lei e le persone impotenti di questo mondo.
Solo allora vi è piena consolazione, quando anche le sofferenze incomprese del passato
saranno elevate nella luce di Dio e portate dalla sua bontà a un significato di
riconciliazione; la vera consolazione si manifesterà solo quando sarà privato del potere
"l'ultimo nemico", la morte (cfr. 1Cor 15,26) con tutti i suoi complici.
Joseph Ratzinger, Gesù
di Nazareth, Rizzoli 2007, p. 112-113
40-Uomini e donne nella Bibbia: MARIA, LA DONNA DELLE
BEATITUDINI
Beata perché ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto (Lc 1,45)
Accettare la consolazione è la sintesi di tutte le beatitudini.
di Vincenzo Salemi IMC
Vorrei ripercorrere le otto beatitudini riportate da Matteo ispirandomi a Maria, che mi
piace vedere come icona delle Beatitudini.
Beata perché povera
Il Magnificat recita: "perché ha guardato l'umiltà della sua serva" (Lc
1,48). Il termine greco usato per umiltà è taipenosune, che significa povertà. Quando
Gesù parla di "poveri di Spirito" pensa a quelli che non hanno altro bene che
Dio. Gli anawin, il popolo che ha fiducia incondizionata in Dio.
Maria ha rinunciato a tutti i suoi progetti, ma lo ha fatto volentieri, perché l'angelo
le ha detto "rallegrati".
Tapeinosis è umiltà e povertà, ma anche semplicità e sobrietà: virtù altamente
considerate dai profeti.
Oggi si parla di sobrietà perché siamo costretti dalla crisi, ma la sobrietà è sempre
stata un valore. La sobrietà è stata apprezzata da santi e filosofi di tutti i tempi e
di tutte le religioni. È il primo passo verso la felicità, la beatitudine.
... perché ha pianto
Già Simeone aveva predetto a Maria che una spada le avrebbe trafitto il cuore, e ai
piedi della Croce Maria ha pianto. Ecco perché è stata consolata. A Torino Maria viene
chiamata "consolata" perché ha accolto la seconda beatitudine. Ha pianto.
Bisogna saper piangere per essere consolati. Il pianto serio non è il piagnisteo di chi
sceglie di essere infelice, non è il pianto degli annoiati, dei malinconici, dei
masochisti, di quelli non cercano consolazione e si crogiolano nella loro infelicità.
Il pianto serio è quello di Gesù sull'amico Lazzaro, su Gerusalemme.....
È il pianto di chi ha fiducia che Dio ci consola. Maria è Beata e Consolata. Questi per
me sono i titoli più belli.
... perché mite
La mitezza è non violenza. Maria con mitezza a ha accolto il messaggio, ha chiesto
spiegazioni, ma non si è ribellata, ha accettato con serenità, fiducia e forza d'animo
tutte traversie della vita.
Quanto è facile essere violenti. Quanto è facile volersi vendicare. Quanto è più serio
e consolante imparare ad essere miti.
... perché desiderosa di giustizia
Maria ha le idee chiare. La giustizia innanzi tutto (Lc 1,51-53). Non c'è carità, se
prima non c'è giustizia.
La prepotenza, l'arroganza, la tirannia non meritano rispetto, saranno gli affamati a
ricevere a mani piene, i ricchi andranno a mani vuote.
Giustizia è innanzitutto mettersi in sintonia con Dio. Vedere con gli occhi di Dio tutti
i suoi figli, e volere equità e benessere per tutti, "bene"-dire tutti.
... perché misericordiosa
Vedo Maria come donna misericordiosa (Lc 1,54-55). A Cana ha implorato un miracolo
forse assurdo, ma ha capito una necessità umana e reale. Il vino è simbolo di
allegrezza, guai se mancasse alle nozze. Certo avrà agito così tante volte, ma la
bellezza del vangelo è che non ci racconta più del necessario, con una pennellata dà il
tono del quadro e dell'insieme.
E poi la parola "Misericordia" in Ebraico ha come radice rhm e queste tre
consonanti si riferiscono al grembo materno.
Perché la misericordia è amare gratis senza aspettarsi niente, come la madre nutre il
figlio nel suo grembo per nove mesi, gratis, senza fagli pagare l'affitto e l'IMU. Dà di
se stessa il meglio e non si aspetta niente in cambio. Mi piace vedere Maria Donna di
misericordia.
... perché pura di cuore
I puri di cuore katharoi tes kardias sono quelli che hanno veramente capito il
nocciolo della rivelazione. La purezza di cuore è innanzitutto: onestà, sincerità e,
come dice S. Paolo a Tito, fede sincera (non ipocrita) (1Tim 1,5).
Gesù si arrabbiava poco e perdonava, ma non sopportava gli ipocriti.
Ecco, i "puri di cuore" sono trasparenti e profondamente sinceri.
La parola sincero in greco suona anypokritos = non ipocrita.
... perché ha agito per la pace
Non vediamo mai Maria reagire, arrabbiarsi, rivendicare diritti. Ha scoperto pian
piano il ruolo di suo figlio e ha cooperato in questa grande impresa per pace.
La sua fame e sete giustizia non ne ha fatto una rivoluzionaria, anche se le parole del
magnificat sono forti e chiare. Maria ha accettato in pieno il messaggio non-violento del
Figlio e con la sua vita ha cooperato al progetto di pace e giustizia.
... perché perseguitata
Certo, l'ottava beatitudine non è mancata bella vita di Maria e nella vita della
Chiesa.
Ha condiviso in pieno col suo figlio la passione e la persecuzione, ma, come poi dopo
tanti secoli San Francesco, ha capito che "ivi è perfetta letizia".
La persecuzione è parte integrale del nostro vivere cristiano perché ognuna delle sette
beatitudini su indicate sono contro corrente e il Giusto sarà preso in giro, e
perseguitato proprio perché fa il bene (Sap 2,12).
vincenzo.salemi@consolata.net
41-PER APPROFONDIRE IL TEMA
Alcuni libri usati per realizzare questo numero
Enzo Bianchi, Le vie della felicità, Gesù e le beatitudini, Rizzoli, Milano 2010.
Per chi ama la Scrittura questo libro è un ottimo strumento per approfondire il
significato delle Beatitudini.
Dopo la presentazione iniziale (da cui abbiamo tratto larticolo di pag. 6-7).
lautore affronta ogni singola beatitudine trattando i vari modi con cui la
beatitudine si può intendere.
Ogni punto è approfondito anche alla luce delle Scritture (Antico e Nuovo Testamento), a
come Gesù lo vive, a come noi cristiani siamo chiamati a viverlo.
"Vivendo le beatitudini, ciascuno di noi può sperimentare, pur con tutti i suoi
limiti e peccati, già qui ed ora la felicità che consiste nel vivere come Gesù e con
lui. È Gesù la nostra beatitudine, è Lui che apre tutti i giorni davanti a noi le vie
della felicità a cui anela ogni essere umano" (dalla quarta di copertina).
Comunità di Caresto, La casa delle otto felicità, Le beatitudini evangeliche vissute in famiglia, Gribaudi, Milano 2008.
I libri della Comunità di Caresto hanno la caratteristica di essere libri
"pratici", centrati per la riflessione di coppia e di famiglia.
Anche questo testo sulle beatitudini non smentisce questa caratteristica: accanto alla
presentazione sintetica del testo di Matteo, ciascuna beatitudine viene ampiamente
approfondita in modo molto concreto, mai dimenticando quali sono i destinatari del volume.
Si tratta di un libro fatto a più mani, frutto della riflessione, nel corso degli anni,
di numerose famiglie che sono passate per Caresto.
Il testo risulta così uno strumento base per il lavoro dei gruppi su questo tema.
Dal libro abbiamo attinto larticolo di p.4-5 e gran parte delle domande per il
lavoro di coppia e di gruppo.
J. Ratzinger - Benedetto XVI, Gesù di Nazaterh, Rizzoli, Milano 2007.
Benedetto XVI affronta, in questo primo volume, la vita di Gesù dal battesimo nel
Giordano alla trasfigurazione. Uno dei primi capitoli del libro è dedicato al discorso
della montagna e la sua prima parte affronta le beatitudini.
Il tema è esaminato sotto diverse angolature: biblica, teologica, ecclesiologica,
culturale.
Proprio per queste sue caratteristiche abbiamo scelto di attingere ad un frammento di
questo testo per commentare ogni singola beatitudine.
"Dietro il Discorso della montagna cè la figura di Cristo, di quelluomo
che è Dio, ma che proprio per questo discende, si spoglia, fino alla morte sulla croce. I
santi, da Francesco dAssisi fino a madre Teresa, hanno vissuto questa opzione
mostrandoci così la giusta immagine delluomo e della sua felicità. In una parola:
la vera morale del cristianesimo è lamore" (p.124).
Francesco Scanziani, Il fare del cuore, Lectio bibliche per coppie e gruppi di spiritualità familiare, Anno A, EDB, Bologna 2010.
Questo libro ci è stato segnalato dagli amici dei gruppi famiglia di Bra (CN).
Lautore, docente presso il seminario di Venegono (VA), opera nella comunità
pastorale della Madonna alla Rovinata (LC). È in questo contesto che nascono le
riflessioni contenute nel libro, riflessioni rivolte alle coppie e alle famiglie della sua
comunità. Si tratta quindi di materiale sperimentato "sul campo" di cui viene
proposto anche un metodo per il suo utilizzo.
Il testo viene presentato come commento alle letture dellanno liturgica A (Matteo)
ma in realtà contiene solo il commento ai brani più importanti del Discorso della
montagna.
Di questo libro abbiamo ripreso i singoli passi del capitolo dedicato alle beatitudini e
li abbiamo proposti come spunti di riflessione.
Segnaliamo inoltre:
L. Guglielmoni - F. Negri, Beatitudini
in famiglia, Elledici, Leumann (TO) 2011.
Si tratta di un agile libretto i cui decaloghi e preghiere possono essere preziosi per gli
incontri con le famiglie.
G.P. Di Nicola - A. Danese, Amore e pane,
Effatà Editrice, Cantalupa (TO) 2000.
Il libro riporta un interessante adattamento delle beatitudini alla famiglia di R.
Henckes, testo che abbiamo utilizzato.
V. Solazzi, Le
beatitudini per le giovani famiglie, nel sito: www.santafamiglia.info
Un grazie a don Vincenzo, parroco della comunità Santa Famiglia di Fano, le cui
riflessioni sono state fonte di ispirazione per questo numero.
42-SAPERSI ASSUMERE LE PROPRIE RESPONSABILITÀ
Il Gruppo Famiglia ha bisogno di un periodico ricambio dei ruoli per non esaurirsi e
smarrire il cammino fatto
di Nicoletta e Corrado Demarchi
Quante volte, tornando da un incontro, da un campo estivo, da una giornata per le
famiglie, ci siamo detti: "che bella esperienza, che bravi i relatori e gli
organizzatori!".
Un aiuto per crescere
Ciascuno ha avuto, infatti, nel suo percorso formativo, la fortuna di incontrare
uomini e donne che, con grande disponibilità e buona volontà, lo hanno fatto crescere e
maturare nella fede.
Anche noi come singoli, dapprima, e come coppia, ora, dobbiamo ringraziare moltissime
persone che ci hanno seguito, custodito ed amato.
Da parecchio, ormai, ci sentiamo "figli" dei Gruppi Famiglia, perché è
attraverso questa esperienza che abbiamo compreso sempre meglio il vero significato del
Sacramento del nostro matrimonio, oltre che l'importanza della preghiera e del continuo
confrontarci con la Parola del Signore.
Inevitabilmente, però, il ciclo della vita ci ha sospinti dall'essere "figli"
al divenire "genitori", pur senza avere la stessa preparazione e competenza dei
nostri predecessori; il tutto nell'ottica che il bene ricevuto deve essere anche
restituito e condiviso in continuità.
Lassunzione di responsabilità
Quello dell'assunzione di responsabilità è un segno di maturità e di consapevolezza
e come cristiani dobbiamo sentirci chiamati a ciò, ogni giorno: siamo infatti esortati,
evangelicamente, nel nostro quotidiano, a divenire lievito e luce per i fratelli.
Per questo motivo rimaniamo rammaricati nel constatare che, talvolta, non vengano
condivisi, a turno, tali doveri ed incombenze, nei gruppi e nelle realtà parrocchiali che
visitiamo.
Una coppia oppure un sacerdote animano, organizzano e trainano tutte le iniziative per le
famiglie e le altre partecipano, pur con viva presenza, ma niente più.
Conosciamo le motivazioni e le scusanti: "Loro sono molto bravi
Fanno tutto
così per bene!.
Ne siamo certi, ma tutti hanno bisogno di ricaricarsi ed essere sostenuti e l'alternanza
contribuisce in positivo al percorso del gruppo, portando giovamento, novità e
freschezza.
Questa ritrosia di fronte allassunzione di impegni può, spesso, mettere a
repentaglio la vita stessa del gruppo.
Per esempio, nel caso in cui gli organizzatori siano impossibilitati, per qualsiasi
motivo, a continuare la loro missione e nessun'altro si faccia carico di sostituirli, si
sprecano e vanificano anni di cammino.
Non vogliamo nel modo più assoluto colpevolizzare nessuno, ma portare a riflettere su
questo rischio sia i responsabili dei gruppi, che dovrebbero educare alla restituzione,
sia i componenti del gruppo.
Operai nella sua Vigna
Siamo tutti operai della Sua vigna, ognuno con i propri limiti e pregi, ma a ciascuno,
personalmente, viene richiesto di fare fruttare i talenti e non nasconderli, per paura di
perderli, come ci ricorda la nota Parabola dell'Evangelista Matteo.
Non importa se non siamo bravi come i nostri responsabili, ciò che conta è che ci
mettiamo a servizio degli altri: la passione e la fiducia nella Provvidenza compenseranno,
poi, ampiamente, tutte le nostre inadeguatezze e le nostre inesperienze.
Vi invitiamo quindi, con affetto e benevolenza, a fare vostre le intenzioni della
preghiera di San Francesco, per divenire voi stessi strumenti della sua pace e comprendere
così, pienamente, che è solo dando che si riceve.
curra@email.it
43-PER CONCLUDERE
Beata la famiglia il cui Dio è il Signore, e che cammina alla sua presenza.
Beata la famiglia fondata sull'amore e che dall'amore fa scaturire atteggiamenti, parole,
gesti e decisioni.
Beata la famiglia aperta alla vita. che accoglie i figli come un dono, valorizza la
presenza degli anziani, è sensibile ai poveri e ai sofferenti.
Beata la famiglia che prega insieme per lodare il Signore, per affidargli preoccupazioni e
speranze.
Beata la famiglia che vive i propri legami nella libertà, preoccupandosi della crescita
dei figli, ma rispettando la loro personalità.
Beata la famiglia che trova tempo per dialogare, svagarsi e fare festa insieme.
Beata la famiglia che non è schiava della televisione e sa scegliere programmi
costruttivi.
Beata la famiglia in cui i contrasti non sono un dramma, ma una palestra per crescere nel
rispetto, nella benevolenza e nel perdono vicendevole.
Beata la famiglia dove regna la pace al suo interno e con tutti: in lei mette radice la
pace del mondo.
Beata la famiglia che è aperta agli altri e s'impegna per la costruzione di un mondo più
umano.
Beata, la famiglia che, pur non ritrovandosi in queste beatitudini, decide che è
possibile percorrerne almeno qualcuna.
http://www.madonnaceleste.com/le-beatitudini-della-famiglia.html
GF77 Extra
A-BEATITUDINI DELLA FAMIGLIA
Beata la famiglia il cui Dio è il Signore e che cammina alla sua presenza.
Beata la famiglia fondata sullamore e che dallamore scaturisce atteggiamenti,
gesti e decisioni.
Beata la famiglia aperta alla vita che accoglie i figli come dono, valorizza la presenza
degli anziani, è sensibile ai poveri ed ai sofferenti.
Beata la famiglia che prega insieme per lodare il Signore, per affidargli preoccupazioni e
speranze.
Beata la famiglia che trova il tempo per dialogare, svagarsi e fare festa insieme.
Beata la famiglia che non è schiava della televisione e sa scegliere insieme programmi
costruttivi.
Beata la famiglia in cui i contrasti non sono un dramma, ma palestra per crescere insieme
nel rispetto, nella benevolenza, nellallegria e nel perdono vicendevole.
Beata la famiglia dove regna la pace: in lei mette le radici la pace del mondo.
Beata la famiglia che vive in sintonia nelluniverso e si impegna per la costruzione
di un mondo più umano.
Beata la famiglia che nella Santa Famiglia di Nazareth, trova il suo modello di vita e di
comportamento.
Beata la famiglia cristiana che è santa come la Famiglia di Nazareth.
http://www.qumran2.net/indice.pax?parole=beatitudini&pag=2
Beata la famiglia dove si prega, perché in essa abita il Signore.
Beata la famiglia dove si tenta ogni giorno di volersi bene, perché in essa ci sarà
uneterna primavera.
Beata la famiglia dove i genitori fanno i genitori e i figli imparano ad essere figli,
perché in essa risplenderà la pace.
Beata la famiglia dove si rispetta e si accoglie laltro nella sua diversità,
perché in essa inizierà il mondo nuovo.
Beata la famiglia dove i genitori fanno crescere il tesoro che cè nei loro figli, e
non li costruiscono ad immagine di se stessi, perché la ricchezza di questo tesoro si
moltiplicherà in felicità.
Beata la famiglia dove i figli onorano il padre e la madre, perché in essa potrà
rivelarsi la bellezza della vita umana, sociale e cristiana.
Beata la famiglia dove la sofferenza e il dolore diventano occasione per maturare e amare
di più, perché in essa non cesserà mai il canto della vita.
Beata la famiglia dove la festa è vissuta e santificata insieme, perché in essa è
incominciato il Regno dei cieli!
http://www.piamarta.org/missioni.c/beatitudin.html
Beata la famiglia aperta alla vita che accoglie i figli come un dono, valorizza la
presenza degli anziani, è sensibile ai problemi di chi è povero e sofferente.
Beata la famiglia che trova il tempo per dialogare, svagarsi e fare festa insieme.
Beata la famiglia che prega insieme e affida a Dio preoccupazioni e speranze
Beata la famiglia in cui i contrasti non sono un dramma, ma una palestra per crescere nel
rispetto, nella benevolenza e nel perdono vicendevole
Beata la famiglia dove regna la pace al suo interno e con tutti: in essa mette radici la
pace del mondo
Beata la famiglia che non è schiava della televisione e seleziona programmi intelligenti
e costruttivi.
Beata la famiglia che vive in sintonia con l'universo e si impegna per la costruzione di
un mondo più umano.
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Beata la coppia che ha scoperto la tenerezza e ne ha fatto il cuore del suo itinerario
di vita: sarà beata perché vive in Dio. Il cuore di Dio infatti è tenerezza e non
esiste felicità più grande che sentirsi dentro quel cuore, accolti e portati da esso
come su ali d'aquila.
Beata la coppia che è fiera di avere scelto la tenerezza come opzione fondamentale
essa porta al centro del suo viaggio quale progetto condiviso, bene superiore e
prezioso: trasformerà lo stesso litigio in un'occasione di crescita e in un
accadimento di maturazione nell'accoglienza e nel dono reciproco.
Beata la coppia che mette al primo posto la Divina Tenerezza: vivrà nella bellezza
e nell'armonia, perché Dio-tenerezza è armonia e bellezza, e niente potrà mai metterla
in crisi. La tenerezza di Dio infatti è forte come la morte; le sue vampe sono vampe di
fuoco (Ct 8,6).
Beata la coppia dove non domina la logica di chi vince o perde, ma la forza dell'umile
amore: i coniugi si sosterranno a vicenda, perdonandosi, ascoltandosi, comprendendosi,
con l'unico scopo di far trionfare la tenerezza, rifiutando ogni atteggiamento di
prevaricazione. Vivrà la sua esistenza nuziale come una "carezza", non come un
"possesso"; il linguaggio della tenerezza avrà sempre il primato su quello del
rifiuto o della violenza.
Beata la coppia che possiede la percezione di essere stata resa partecipe, nel
sacramento nuziale, della benevolenza amante di Cristo-sposo per la Chiesa-sposa: si
lascerà plasmare da essa, rinnovandosi ogni giorno in una dimensione di amorevolezza ove
regna la pazienza, il dialogo sereno e costruttivo, la lealtà, la positività.
Beata la coppia che trasforma il suo cammino in confidenza e purezza di cuore:
saprà difendere la propria intimità da ogni forma di volgarità, avarizia, gelosia,
egoismo e consumismo, rendendosi ospitale e segno trasparente della tenerezza di Dio per
l'umanità.
Beata la coppia che ama la vita e l'accoglie con gioia quando sboccia: saprà
riceverla come un dono e la seguirà con trepidazione quando viene alla luce, mettendosi a
suo servizio, nella consapevolezza che ogni bambino che nasce porta al mondo il lieto
messaggio che Dio - tenerezza infinita - ama il mondo ed è vicino a ogni creatura.
Beata la coppia che vive una forte esperienza di spiritualità ascoltando la parola di
Dio e facendo dell'invocazione del Nome di Gesù l'anima del suo pellegrinaggio: si
rinnoverà ogni giorno nell'amore e nessun conflitto la potrà mai dividere.
Beata la coppia che crede nella forza della riconciliazione e vive l'Eucaristia come
fonte e culmine della propria vita: si sentirà accompagnata dal Signore risorto e
nulla le sarà impossibile, perché la forza dello Spirito sarà con lei e la renderà
nuova ogni mattina.
Carlo Rocchetta, Tratto da: Guglielmoni - Negri: Beatitudini
in famiglia, Elledici, Leumann (TO) 2011, p. 8-9
Oh felicità, quando siete l'uno verso l'altra poveri in spirito, cioè vi affidate
l'uno all'altra senza difese e senza protervia; già da ora realizzate il Regno.
Oh felicità, quando saprete essere forti nella fede e perseveranti nel momento della
sofferenza, della ferita, dell'intoppo; quando il dolore viene a bussare alla vostra
porta, sappiatelo prendere come dalla mano di Dio: perché da Lui sarete consolati.
Oh felicità, quando voi vi accoglierete con mitezza e fate della misericordia il luogo
dove poter sostare; a voi sarà data la terra promessa.
Oh felicità, quando non vi accontenterete di mangiare il vostro pane, ma aprirete le
vostre porte e il vostro cuore alla fame altrui; Dio stesso si incaricherà di saziarvi,
perché lo avete sfamato nei piccoli e nei poveri.
Oh felicità, quando, pur concedendovi la correzione fraterna, vi guardate con occhio di
misericordia; sperimenterete la grande gioia che viene dal perdono.
Oh felicità, quando non consegnate il vostro amore agli idoli del mondo, ma vi amate con
purezza di cuore; nel vostro amore voi vedrete Dio.
Oh felicità, quando fate la pace, non solo perché deponete il litigio, ma perché
operate per costruirla; in quel momento sentitevi figli di Dio.
Oh felicità, quando il mondo non vi capirà, quando deriderà la vostra fedeltà; quando
i furbi vi considereranno 'fuori del mondo'; già ora il Regno dei cicli, affidato alle
vostre mani è vostro; già ora per voi e per il mondo seminate i semi di eternità.
(cfr. Diocesi di Bolzano)
Tratto da: Comunità di Caresto, La
casa delle otto felicità, Le beatitudini evangeliche vissute in famiglia, Gribaudi,
Milano 2008, p. 12
Beata la casa in cui si prega insieme, genitori e figli, perché in essa vi sarà il
Signore.
Beata la casa dove la festa è santificata, perché i suoi abitanti si troveranno alla
festa del cielo.
Beata la casa in cui non si esce per frequentare divertimenti cattivi, perché in essa
regnerà la cristiana letizia.
Beata la casa in cui non entrano le bestemmie, il discorso osceno, la stampa pericolosa,
l'intemperanza, perché sarà colmata di benedizioni e di pace.
Beata la casa dove i bambini ricevono subito la grazia del battesimo, perché in essa
cresceranno cittadini del cielo.
Beata la casa dove si chiama per tempo il sacerdote di Dio accanto agli infermi, perché
in essa l'infermità sarà alleviata e la morte sarà benedetta.
Beata la casa dove si ama e s'impara la dottrina cristiana, perché in essa la fede è
sempre lucente e viva.
Beata la casa dove i genitori sono consolati dai figliuoli amorosi ed ubbidienti e dove i
figliuoli trovano nei genitori l'esempio del timor di Dio; essa sarà nido di pace, asilo
di virtù, tabernacolo di salvezza.
Comunità di Caresto, La
casa delle otto felicità, Le beatitudini evangeliche vissute in famiglia, Gribaudi,
Milano 2008, p. 134
Beati gli sposi che sanno farsi poveri per amore, perché diventano liberi nel
servizio vicendevole
Beati gli sposi che sanno vivere da poveri per amore sperimentando la libertà
dallavere
Beata la coppia che, anche nella fatica di amarsi, sa che erediterà una terra di pace
Beata la coppia che non cerca di far valere il proprio diritto e sa cedere per amore
piuttosto che adirarsi.
Beati quei giovani sposi che sono capaci di un vero perdono scambievole
Beati quegli sposi capaci di misericordia verso quelli che incontrano sulla loro strada
Beata la giovane famiglia che sa tessere al suo interno gesti di pace
Beate le giovani famiglie che diventano tra loro costruttrici di pace
Beata la coppia che è capace di trasformare i motivi di tribolazione in consolazione
Beata la coppia che non segue il branco e non si conforma al male dicendo così fan tutti
Beate quelle giovani famiglie che non soffocano linquietudine del loro cuore
Beate quelle famiglie che si lasciano inquietare dai bimbi che ancora muoiono di fame
Beati i giovani sposi che si dicono con le labbra ciò che hanno nel cuore
Purezza di cuore è cercare di liberarci come coppia da ogni specie di ipocrisia e da ogni
preoccupazione legale o moralistica che impedisce di amare con responsabilità
Beate quelle giovani famiglie cristiane che sanno soffrire qualcosa per il Vangelo
Beate quelle giovani famiglie che non esasperano le persecuzioni che incontrano sulla loro
strada
http://www.santafamiglia.info/2008/04/le-beatitudini-per-le-giovani-famiglie/
B- LA BEATITUDINE DEI CUORI
Quando si è giovani, le beatitudini ci conquistano come un programma di vita;
man mano, però, che gli anni si aggiungono agli anni, la distanza tra le nostre
fragilità e la parola di Gesù aumenta.
di Marcella e Alfio Briguglia
Chi è sceso più in profondità nel cuore dell'uomo? Chi ha rivelato all'uomo la sua
natura profonda?
Di fronte alla proclamazione delle beatitudini i discepoli devono essere rimasti stupiti,
consolati dal primato concesso nel regno dei cieli a povertà di spirito, umiltà,
misericordia... ma, allo stesso tempo, avranno provato un senso di impotenza nell'udire le
beatitudini riservate ad una purezza di cuore irraggiungibile.
Così, ogni volta che ascoltiamo la legge di Mosè reinterpretata e ricondotta dentro il
cuore, siamo presi da sentimenti di gratitudine ma anche di timore. Anche noi ci
chiediamo: "Chi potrà mai entrare a far parte del regno dei cieli?". Come a
Pietro ci viene risposto: "Impossibile agli uomini, ma non a Dio".
Quando si è giovani, le beatitudini ci conquistano come un programma di vita, una sfida
alla quale la poca conoscenza di noi stessi ci porta a rispondere come risposero Giacomo e
Giovanni a Gesù che chiedeva loro di bere il calice che lui avrebbe bevuto: "Lo
possiamo!". Man mano, però, che gli anni si aggiungono agli anni, la distanza tra le
nostre fragilità e la parola di Gesù aumenta.
L'esperienza di tale distanza ha fatto dire ad alcuni che qui Gesù sta parlando della
fine dei tempi o che vuole mettere l'uomo di fronte alla sua strutturale impotenza
rispetto alle esigenze del regno.
Ma Gesù parla ai suoi discepoli di condizioni reali e non ideali. Si rivolge a dei
poveracci come noi sempre alle prese con le urgenze quotidiane, che magari si commuovono
di fronte alle grandi prospettive aperte da Gesù, ma che poi hanno campi, casa, famiglia,
professione...
Il messaggio delle beatitudini ci sembra profondamente umano; ci parla di quello che
abbiamo sempre desiderato dal profondo del cuore. Sì, Gesù che parla sul monte è
l'Uomo, l'uomo riportato all'intenzione creatrice del principio. Ma, per riscoprire in noi
la forza esaltante di questo principio, dobbiamo fare un lungo cammino di conversione e
prendere sul serio le esigenze della vita spirituale, dei gemiti dello Spirito in noi, che
ci conduce giorno dopo giorno verso la povertà, la mitezza, la misericordia, la passione
per la giustizia e per la pace, la purezza di cuore.
Allora le beatitudini possono diventare veramente quasi la trama della vita quotidiana
orientando scelte e comportamenti familiari.
Quando ci siamo sposati, abbiamo progettato la nostra vita scegliendo un lavoro meno
redditizio (l'insegnamento nelle superiori), ma più "a servizio degli altri"
(allora era ancora possibile scegliere il lavoro da svolgere); abbiamo desiderato, fin
dall'inizio, di avere una famiglia numerosa e i nostri quattro figli oggi si domandano
come abbiamo fatto. Era per noi il modo di non cercare la ricchezza e ci è stato donato
"cento volte tanto".
Dedicare spazio e tempo alle esigenze degli altri con attività di volontariato sociale o
con l'impegno nella comunità ecclesiale, aprire la mente e il cuore ai problemi di chi ci
sta vicino può incarnare il modo di vivere la fame e la sete di giustizia che Gesù
chiede ai suoi discepoli; ma si tratta anche di piccoli gesti quotidiani con i quali
possiamo farci carico del futuro del mondo intero: anche un'attenta - ma a volte faticosa
- raccolta differenziata dei rifiuti può divenire, per una famiglia, il modo di vivere la
giustizia.
Così, la mitezza può essere quel clima che si può respirare in una famiglia dove ci sia
accoglienza reciproca, gentilezza, armonia, mansuetudine e si sia capaci di vivere le
differenze e le diversità senza aggressività reciproca.
"Beati coloro che piangono perché saranno consolati". Un pianto misterioso, non
solo quello legato alla sofferenza e alle persecuzioni, un pianto che nasce dal cuore
liberato è testimone della sua trasformazione e arreca consolazione.
Tratto da: Supplemento a Settimana n.1 del
9/01/2011, IV domenica tempo ordinario anno A