Foglio di collegamento tra Gruppi Famiglia
GF79 - dicembre 2012
ECONOMIA E FAMIGLIA
Nuovi stili di vita in famiglia per un nuovo stile di società

1-LETTERE ALLA RIVISTA
Cristianesimo e ricchezze: troppi silenzi? Avere il coraggio di predicare la verità tutta intera

Il Nuovo Testamento è molto duro nei confronti della ricchezza ma soprattutto nelle parrocchie (molto meno negli scritti del Magistero) il tema viene trattato sotto tono. Come si spiega questa differenza?
Giorgio

Risponde don Giancarlo Grandis, vicario episcopale per la cultura della diocesi di Verona
Quella di Giorgio, più che una domanda è un invito a una comunicazione integrale di tutti i contenuti morali del Vangelo, senza enfatizzarne alcuni (è ancora assai diffusa nel sentire popolare la convinzione che la Chiesa sia fissata, se non addirittura ossessionata, sulle tematiche della sfera sessuale) e lasciarne in ombra altri, come per esempio quelli che riguardano il buon uso del denaro, la ricchezza, la giustizia.
Il vangelo – come giustamente si fa notare – ha un giudizio assai severo sull’attaccamento al denaro.
Non si può far convivere nel cuore dell’uomo l’amore per Dio, che opera nella più pura gratuità, e la voglia per la ricchezza: "Nessuno – infatti – può servire a due padroni. Perché o amerà l’uno e odierà l’altro; oppure preferirà il primo e disprezzerà il secondo. Non potete servire Dio e Mammona" (Mt 6,24).
Se si passano in rassegna tutti i temi che la liturgia della parola offre alla nostra riflessione durante tutto l’arco dell’anno liturgico il sacerdote - che ha la responsabilità di spezzare, domenica dopo domenica, il pane della Parola di Dio ai fedeli - non può passare sotto silenzio o lasciare nell’ombra quelli che riguardo il corretto rapporto con la ricchezza.
Più volte questo tema è centrale nella liturgia eucaristica.
E quindi si deve avere anche in questo caso il coraggio della "parresia", vale a dire il coraggio di non tacere nulla del Vangelo e di predicare la verità tutta intera.
Essere attenti a una comunicazione integrale del Vangelo significa essere docili all’azione dello Spirito che è Spirito di verità: "Quando verrà lo Spirito di verità, – dice Gesù – egli vi guiderà alla verità tutta intera" (Gv 16,12-13).
Lo squilibrio nell’esporre la pluralità dei temi contenuti nel Vangelo per uno stile di vita integrale lo si può spiegare solo come poca attenzione a lasciarci guidare dallo Spirito Santo che è la nuova legge interiore del cristiano.
giancarlo.grandis@tin.it

2-DIALOGO TRA FAMIGLIE
Le famiglie di fronte alla crisi economica. Siamo chiamati a costruire reti di solidarietà, ad essere attenti al mondo che lasceremo ai nostri figli

Ormai in molte famiglie si tira la cinghia. Altro che "nuovi stili di vita"!
La sobrietà ci viene imposta. Quando si vedrà la fine del tunnel?
Maria Luisa

Cara Maria Luisa, hai proprio ragione: questa crisi economica ci impone non solo sobrietà, ma anche veri e propri sacrifici... Tanto più dolorosi per noi famiglie, perché ricadono anche sui bambini che difficilmente capiscono le cause, ma subiscono le conseguenze! Se ti può consolare un po’ chiedi a quanti hanno i capelli bianchi: hanno vissuto con molto meno, si sono rimboccati le maniche, non chiedendosi quando finirà, ma cosa fare per convivere con situazioni di difficoltà e superarle col proprio impegno.
Ragionare insieme di nuovi stili di vita, però, è molto importante, proprio oggi! E il motivo è che ci aiutano ad affrontare questa situazione cambiando prospettiva: non solo come crisi, ma anche come sfida!
Forse pochi di noi sarebbero disposti a cambiare abitudini nel consumo se vi non fossimo costretti... oggi invece a chiederci di consumare meno e diversamente sono sia il pianeta che il nostro portafogli!
Sta a noi raccogliere la sfida e provare a cambiare un po' il nostro stile di vita, innanzitutto costruendo reti di solidarietà, che diventano anche reti di consumo critico (pensa ai Gruppi Acquisto Solidale) e poi facendo spazio ogni giorno, nelle nostre case, ad uno sguardo più attento alle risorse naturali da lasciare ai nostri figli...
Anche quelle sono parte della loro eredità, insieme ai pochi risparmi (se ci sono), e anzi sono la parte più importante per la loro vita e salute!
Anna Lazzarini

3-EDITORIALE. ECONOMIA E FAMIGLIA
Sobrietà e gratuità: due virtù da praticare per affrontare e superare l’attuale crisi

di Franco Rosada
Quando voi lettori avete dato, nell’autunno dello scorso anno, la preferenza al tema: "Economia e famiglia", la situazione economica non era brillante, la crisi era in atto da anni, ma la sua percezione da parte dei media e dell’opinione pubblica non era così drammatica come poi si è manifestata nei mesi successivi.

La "grande" guerra finanziaria
Accingendomi, quest’estate, a definire le linee guida del numero, la prima idea che mi è venuta in mente è stata quella della "guerra".
Si parla poco della crisi in questi termini ma qua e là qualche traccia si trova: Monti stesso ha definito tempo fa un Consiglio dei Ministri come un "consiglio di guerra"; in certi articoli di fondo si accenna a macerie, rovine, tracciando un parallelo con i bombardamenti della II Guerra Mondiale; altri predicono che, anche dopo la crisi, il benessere di cui abbiamo goduto fino a poco tempo fa non sarà più ripetibile; ecc. Ma è una via che ho presto scartato perché troppo segnata dal pessimismo, un pessimismo sotto traccia ma molto diffuso e che va combattuto e contrastato.

La virtù della sobrietà
Il problema riguarda le modalità con cui contrastarlo.
Sui media si parla di sobrietà, se ne tesse l’elogio, ma a me non piace una sobrietà "per forza", perché la sobrietà è una virtù e quindi una scelta.
Quale proposta quindi per la sobrietà? Come la sobrietà può incarnare la quotidianità della famiglia?
La proposta è quella che da circa vent’anni circola nel mondo cattolico, e non solo, e va sotto il nome di nuovi stili di vita.
Questi riguardano in primo luogo la persona ma si estendono naturalmente anche alla famiglia.
Molti di noi li praticano già, anzi sono sempre stati praticati - l’ho potuto constatare raccogliendo le testimonianze per questo numero - altri sono poco conosciuti e diffusi. Quelli che presentiamo in questo numero sono i più comuni.
Per lavorare come singoli, come coppie, famiglie e gruppi su questo tema a p.12 vi proponiamo un’ampia serie di spunti per la riflessione.

La virtù della gratuità
L’altro grande tema che ci tocca da vicino è il lavoro. L’argomento era già stato trattato ampiamente sul numero di marzo, cui potete fare riferimento, ma la situazione da allora non è migliorata, anzi.
La parola chiave, su questo tema, si chiama gratuità, tema che si lega con facilità alla famiglia, che dovrebbe essere scuola di gratuità per eccellenza, ma meno al mondo del lavoro.
Eppure sappiamo tutti quanto sia alienante lavorare solo per la busta paga.
Il lavoro ci realizza solo se siamo in grado di aggiungerci qualcosa di nostro, un pizzico di creatività, qualcosa che non è compreso nello stipendio ma che diamo gratuitamente, perché ci fa sentire realizzati.
C’è, allora, bisogno di una nuova-antica cultura del lavoro, che torni a scommettere sulle straordinarie risorse morali presenti in tutti i lavoratori, che si chiamano libertà e dignità, che non possono essere comprate, ma solo donate (gratis) dal lavoratore.
Un nuova cultura del lavoro deve superare la logica del "pezzo di carta": studiare serve, è importante, ma è ancora più importante saper essere creativi, saper valorizzare le proprie qualità, anche se si fa un lavoro inappropriato.
Il cammino da fare è molto lungo, non c’è una risposta immediata a chi è senza lavoro, disoccupato, è precario e sotto pagato, esodato e senza copertura, ma può aprire alla speranza che la crisi porti a superare una concezione del mondo basata solo su consumi e finanza.

In questo numero
Da queste premesse si sviluppa e si articola il numero attuale.
Non è stato facile trovare le fonti cui ispirarci, e queste sono state ricavate in prevalenza dalle rassegne stampa e dalla Rete.
È stata fondamentale, sul tema famiglia-lavoro, la relazione del prof. Luigino Bruni al Congresso in occasione di Milano 2012.
I testi citati in bibliografia riguardano i nuovi stili di vita.
I temi della solidarietà, dell’economia e del lavoro, invece, sono stati e continuano ad essere trattati dal Magistero, a tutti i livelli, ben al di là dai pochi documenti citati.
formazionefamiglia@libero.it

4-NELLA SCUOLA ENTRI L'EDUCAZIONE ALLA SOLIDARIETA'

...Ciò che occorre è più che mai un cambiamento di mentalità e di stili di vita: alla logica egoistica dell'accaparramento bisogna opporre un'educazione alla solidarietà e allo spirito di servizio in vista del bene comune; al consumismo sfacciato e ai falsi modelli che puntano all'avere di più per essere di più, bisogna reagire con una scelta di sobrietà, allenandosi al sacrificio e alla condivisione con i più deboli.
Questo non avverrà senza il concorso di tutti e specialmente senza il concorso dei giovani, nostro futuro.
È l'ora di un sussulto etico e spirituale che parta da uomini e donne dal cuore puro, sinceramente desiderosi di impegnarsi per il bene di tutti.
mons. Bruno Forte
Tratto da: Il Sole 24 Ore, 4 settembre 2011

5-FAMIGLIA E ECOMONIA
Le famiglie subiscono le decisioni, le scelte e soprattutto gli errori che vengono fatti a livello mondiale.
L’effetto perverso dei titoli "derivati" che espongono a rischi enormi tutto il sistema finanziario e bancario.

di Corrado Demarchi
La crisi degli ultimi anni, sia economica sia finanziaria, ha cambiato, decisamente in negativo, i difficili equilibri delle famiglie, coinvolte nel lavoro ed alle prese con i risparmi e i debiti. In tale contesto critico esse si trovano ogni giorno, a dover lottare con un welfare in peggioramento e con l’aumento dei costi della vita.
La mia generazione di adulti, tra i 30 ed i 50 anni, ha goduto di genitori che avevano migliorato considerevolmente il loro benessere e tenore di vita, mentre ora si cerca drasticamente di non perdere questi privilegi e si ha la piena consapevolezza che i figli riceveranno una qualità di vita inferiore e i risparmi della famiglia, se ci saranno ancora, serviranno a tamponarne un drastico ridimensionamento.
L’aumento della disoccupazione, il lavoro precario e sottopagato, non aiutano un sistema economico basato sui soli consumi, anzi, lo deprimono ancora di più, così come l’aumento delle tasse, che stride terribilmente con i troppi sprechi delle istituzioni pubbliche.

Economia globalizzata
Il quadro generale ci presenta un’economia globalizzata, dove il destino di una nazione è legato pericolosamente a quella di un’altra e dove le politiche degli Stati sono sempre meno decise all’interno di essi e sempre più all’esterno facendo, di fatto, perdere la sovranità che ogni paese ha difeso per secoli.
Sono molti i motivi che ci hanno portato a vivere una situazione così drammatica.
Non possiamo indicare questa crisi come ciclica, come sistemica: è una crisi che ha definitivamente messo in discussione il sistema economico capitalista, che vede primeggiare su tutto il profitto.
Le imprese di ogni tipo non fanno più investimenti a lungo termine, ma si limitano al breve termine con le cosiddette "trimestrali", ovvero quanto la società produce ogni tre mesi in termini di utili e di guadagni: così si perde la logica di un sistema che dovrebbe premiare la costanza, la qualità, la serietà, la progettualità e la sicurezza di chi lavora.
La ricerca del profitto a tutti i costi ha portato a degli squilibri incredibili, dirottando la produzione nei paesi emergenti, dove i costi sono di gran lunga inferiori.
Assistiamo quindi ad uno spostamento della ricchezza dai paesi più industrializzati quali USA, Europa e Giappone, che fino a pochi anni fa consumavano 85% della produzione - pur rappresentando solo il 15% della popolazione mondiale - ai cosiddetti BRIC - Brasile, Russia, India e Cina - in grande crescita economica.

I "derivati" finanziari
Questi mutamenti hanno trovato nei mercati finanziari, anche loro alla ricerca di profitti e guadagni facili, un terreno fertile, non solo attraverso strumenti tradizionali quali le azioni (quote di capitali di una società) o le obbligazioni (prestiti emessi dalle imprese o dagli stati), ma attraverso nuovi strumenti, i cosiddetti derivati.
Essi, molto semplicemente, legano il loro andamento ad un sottostante a cui sono ancorati (un indice di borsa, una materia prima, una divisa estera ecc.) replicandone l’andamento.
Questi strumenti sono nati originariamente per limitare i rischi e per dare maggiore stabilità ai mercati; ben presto, però, si sono trasformati e vengono tuttora utilizzati per fare delle scommesse rischiose sui mercati, sugli squilibri e sulla speculazione degli stessi.
Il grave è che i derivati, non solo replicano alla pari, - negozio per uno e rischio per uno -, ma vengono lavorati a leva, ovvero investono uno, ma sono esposti per cinque o anche dieci volte tanto, moltiplicando così i guadagni od in caso contrario le perdite, in modo esponenziale, nel caso dell’andamento non sperato.

Economia "virtuale"
L’aggravante è che la maggioranza di questi strumenti non sono quotati sui mercati regolamentati, quindi non hanno garanzia di trasparenza e di liquidabilità. Le cifre parlano chiaro: sono troppo utilizzati e condizionano pesantemente il presente, le borse, i debiti pubblici, l’andamento delle monete e sono strumenti pericolosissimi che espongono a dei rischi enormi tutto il sistema finanziario e bancario.
Essi raggiungono un volume enorme pari a 700.000 miliardi di dollari (il cosiddetto PIL – prodotto interno lordo – mondiale è di soli 63.000 miliardi di dollari!). L’economia dei derivati è quindi un’economia di gran lunga preferita a quella dei beni o servizi tradizionalmente intesi, dove il "virtuale", per assurdo, supera di gran lunga il reale e se aggiungiamo che le borse ufficiali scambiano ormai un decimo degli strumenti finanziari totali, lo scenario non è dei più rassicuranti.
Il risparmio tradito di molte famiglie dimostra infatti che gli organismi di controllo nazionali ed internazionali non hanno attuato interventi ed azioni che potessero dare equilibrio e trasparenza alle negoziazioni di tutti questi strumenti.
Troppo spesso le authority di ogni tipo non sono intervenute efficacemente di fronte a situazioni di grave irregolarità, condizionate dalla potenza economica delle banche d’affari, facendole godere di immunità e privilegi pesantissimi.
Questo sistema ha così aumentato il loro potere, tanto da condizionare le scelte dei singoli stati. La globalizzazione, poi, ha fatto sì che non ci fosse più un controllo diretto da parte degli Stati nei confronti della propria economia: ogni decisione è strettamente collegata a quelle degli altri Stati, creando ancora più vulnerabilità

E le famiglie?
Le famiglie sono piccole formiche rispetto alla realtà mondiale, però, subiscono in prima persona le decisioni e le scelte e soprattutto il peso degli errori che vengono fatti. Esse stanno portando il carico della speculazione, dell’immoralità dilagante e si trovano ora a mettere in discussione il benessere acquisito.
Sicuramente il loro tenore di vita sarà destinato nei prossimi anni a cambiare. Certi livelli del passato non sono più raggiungibili: erano squilibri che privilegiavano alcuni paesi più fortunati, tra cui anche il nostro, rispetto ad altri e ciò, tutto sommato, è la parte positiva di questa situazione.
Questa crisi ci sta obbligando, infatti, a sperimentare, a valorizzare ed a rivivere valori importanti che il cristiano, nell’individualismo del benessere, aveva un po’ dimenticato. Dobbiamo far sì che il periodo di difficoltà sia un momento che, come cristiani, ci interroghi su quanto possiamo fare per gli altri e con gli altri.
Le nostre coscienze, intorpidite dalla ricchezza, devono aprirsi con maggiore attenzione a nuovi stili di vita, a nuove dinamiche economiche che abbiano maggiore rispetto e dignità delle persone e delle realtà di ognuno. Mi auguro veramente che in questa situazione, tutti noi ed io per primo, sappiamo cogliere l’importanza di testimoniare che una maggiore sobrietà non vuol dire infelicità ma che esiste un’altra economia, piccola e domestica, di cui il mondo ha urgentemente bisogno, fatta di gesti semplici e solidali, che non passa attraverso la ricchezza e ci porta più liberamente alla felicità, quella vera.
curra@libero.it

6-LA "GRANDE GUERRA" FINANZIARIA

Con l’insediamento del governo Monti, molte parole ci sono diventate familiari, una per tutte: spread.
Ma la parola "guerra" resta ancora esclusa dal vocabolario della maggior parte dei media.
Eppure questa che stiamo vivendo da alcuni anni è una e propria guerra, una guerra globale, combattuta con armi non convenzionali, che colpisce pesantemente la popolazione civile.
Come tutte le guerre il suo scopo è quello di ridisegnare i rapporti di forza tra le "potenze": chi vincerà potrà mantenere o migliorare il suo tenore di vita, chi perderà sarà condannato all’indigenza.
In realtà questo è già vero: come Europa e come paesi del Sud Europa siamo da tempo sotto attacco e la disoccupazione, il numero di persone e di famiglie sotto la soglia di povertà è in continuo aumento.
Parlando in termini bellici siamo arroccati in difesa e la fine del tunnel non è vicina.
La società è attraversata da un senso di impotenza, scopriamo che il nostro destino è in mano ad altri, e ciascuno cerca di arrangiarsi come può, p.e. comperando oro.
Come famiglie, come cristiani cosa possiamo fare?
Come possiamo rispondere a questa guerra non dichiarata che ci impoverisce ogni giorno di più, non solo nel portafoglio, ma anche nei valori?
Armandoci!
Indossando "l'armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo" (Ef 6,11a); "cingendo attorno ai fianchi, la verità; indossando, la corazza della giustizia; i piedi, calzati e pronti a propagare il vangelo della pace; afferrando sempre lo scudo della fede, con il quale potremo spegnere tutte le frecce infuocate del Maligno; prendendo anche l'elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio" (cfr Ef 6,14-17).
Credo che l’invito di Paolo agli Efesini sia più che mai attuale.
Grazie a queste "armi", che bisogna imparare ad usare praticandole, potremo "non conformarci a questo mondo, ma rinnovare il nostro modo di pensare, in modo da poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto" (cfr Rm 12,2)
Franco Rosada, formazionefamiglia@libero.it

7-RICCHEZZA DI POCHI, POVERTA’ DI MOLTI
Solo le famiglie e i loro risparmi sono stati il vero ammortizzatore sociale di questi anni
La nostra sta diventando una società a forma di clessidra, dove il ceto medio si assottiglia sempre di più scivolando verso il basso.

Di Annamaria e Franco Quarta
Il Rapporto della Banca d'Italia "La ricchezza delle famiglie italiane 2009:" afferma che il 10% delle famiglie - le più ricche - possiede quasi il 45% dell'intera ricchezza netta, mentre la metà più povera delle famiglie italiane detiene solo il 10% della ricchezza totale.
Anche se le famiglie del nostro Paese sono tra le più ricche del mondo - siamo nelle prime dieci posizioni - ci sono, in Italia, oltre 2 milioni e mezzo di famiglie che non possono spendere più di 900 euro al mese - è il cosiddetto indice di "povertà relativa" - e addirittura oltre un milione sono classificate secondo gli indici della "povertà assoluta".
Tra quasi poveri e poveri conclamati, siamo al di sopra dei 10 milioni di persone e tale cifra negli ultimi anni risulta in lieve ma costante aumento. Si tratta di differenze di una entità tale, che non troviamo in nessun altro Paese a economia avanzata.

La clessidra
Più che ad un Paese ricco, questo livello di concentrazione della ricchezza ci fa pensare alla situazione di Paesi poveri con regimi autoritari ove pochi si appropriano di tutte le risorse disponibili. Anche se altri Paesi ricchi e democratici - gli Stati Uniti, ad esempio - mostrano livelli di disuguaglianza simili a quelli italiani.
Questa è la società detta a forma di clessidra, dove il centro, il ceto medio, si assottiglia sempre più e, come tanti granellini di sabbia, scivola, lentamente ma inesorabilmente, verso il basso.
Si creano, così, due mondi profondamente diversi, anche se, qualche volta, abitano non solo lo stesso paese, ma lavorano per la stessa impresa, come nel caso, sollevato durante la vertenza Fiat, del dottor Marchionne che guadagna oltre quattrocento volte di più degli operai dell'azienda che dirige.

Ingiustizie
Proprio come negli USA, anche da noi si sono scoperte vulnerabili quelle categorie sociali che un tempo erano più sicure: la nuova precarietà ha fatto irruzione dentro il ceto medio.
I contratti atipici dilagano ormai sia negli impieghi sia nelle professioni. I lavori precari coinvolgono circa 4 milioni di italiani, a larga maggioranza giovani.
Tra il 2004 e il 2007 l'incremento del lavoro atipico è stato del 15%, i contratti a tempo determinato sono aumentati del 19%, mentre i posti fissi e tutelati sono cresciuti solo del 2%.
Per la prima volta, dopo tanti anni, capiamo come povertà e lavoro possano tornare a coesistere e come la figura del povero che lavora sia rientrato stabilmente nel nostro mondo occidentale.

Una povertà ereditaria
In Italia, poi, molto più che nella maggior parte degli altri Paesi ricchi, il destino dei figli è in larga misura determinato dalla posizione sociale e dalle risorse dei genitori. La disuguaglianza dei redditi e della ricchezza, è cioè in larga misura ereditaria.
Dobbiamo allora interrogarci, non solo sull'equità e persino sulla tollerabilità di una distribuzione così squilibrata della ricchezza, ma anche sulla sua riproduzione intergenerazionale.
Non sembra esserci limite al peggio: in pochi anni la "generazione 1000 euro" è scivolata sotto ai 750 euro e la disoccupazione giovanile è arrivata al 30%; ci troviamo di fronte a giovani avviliti, che difficilmente riusciranno a guadagnarsi un futuro, e lo hanno capito.
Di fronte al fallimento di una generazione, possiamo solo dire grazie alle famiglie italiane, che sanno trovare nelle pieghe dei loro poveri bilanci dei cuscinetti di riserve accumulate nel tempo, cuscinetti che sono i veri ammortizzatori sociali presenti nel nostro Paese.

Cause scatenanti
Ma che cosa ha determinato questa progressiva polarizzazione della società italiana?
Anche in questo caso siamo costretti a ricorrere alle statistiche, anche se non le amiamo in modo particolare: noi siamo persone, non statistiche; i poveri, soprattutto loro, non sono statistiche. Purtroppo, però, sono le statistiche con tutti i loro limiti, a farci capire determinati fenomeni.
Tanti possono essere stati i fattori scatenanti. Noi ne abbiamo individuato almeno tre: la perdita di potere d'acquisto delle retribuzioni da lavoro dipendente (e relative pensioni), il trasferimento dalle retribuzioni ai profitti e alle rendite della ricchezza prodotta e, infine, i livelli di evasione fiscale ormai insostenibili nel nostro Paese.

Le retribuzioni
Il "Rapporto annuale 2009" dell'ISTAT ci mostra come il livello delle retribuzioni italiane abbia perso drammaticamente, in questi anni, posizioni rispetto alla media europea, cedendo quasi 13 punti percentuali: eravamo più di 4 punti sopra di essa nel 2000, al momento del rapporto eravamo 8 punti sotto.
Questi dati significano, secondo il "Rapporto Ires-Cgil", che, fra il 2000 e il 2010, i lavoratori italiani hanno perso 5.453 euro pro-capite in termini di potere d'acquisto.
Un altro Rapporto, questa volta del Fondo monetario internazionale, arriva alle stesse conclusioni pratiche: negli ultimi 25 anni, una quota molto ampia e sempre crescente di ricchezza prodotta nei principali Paesi industriali sarebbe stata trasferita dai salari ai profitti.

L'evasione fiscale
Per quanto riguarda l'evasione fiscale riteniamo inutile perderci in cifre; basti citare i 300 miliardi di euro di evasione stimata, ogni anno, nelle varie aree dove è presente, o i 50 miliardi di euro di redditi non dichiarati contenuti nel Rapporto Annuale 2010 della Guardia di Finanza.
È sufficiente dire che l'allora Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, in un passaggio a braccio di una sua relazione, ha testualmente dichiarato che gli evasori fiscali sono i responsabili della macelleria sociale in atto nel nostro Paese; aggiungendo che l'espressione macelleria sociale era rozza ma efficace.

Silenzi e profezie
Su tutti questi fattori, dobbiamo purtroppo costatare sia il silenzio della società italiana, chiusa su se stessa e incapace di reagire di fronte ad una miseria che diviene ogni giorno meno sopportabile, sia il silenzio della politica, divisa tra uno sciropposo ottimismo e il bla-bla di chi non riesce a proporre soluzioni concrete a problemi altrettanto concreti.
La Chiesa ha ed ha avuto ben presente questa realtà, ma sconta la sua incapacità di riuscire a smuovere verso un effettivo cambiamento le coscienze dei tanti che, essendo stati battezzati, si professano cristiani.
Questo non toglie nulla al grandissimo lavoro sul campo fatto dalla Caritas e dalle tante associazioni che di povertà si occupano.
Già nel 1981, nell'introduzione alla Laborem exercens, il pensiero di Papa Wojtyla era tutt'altro che ottimista sul nostro futuro e ben lontano dall'euforia degli economisti neo liberali.
Da parte sua, Benedetto XVI nell'enciclica Caritas in veritate scrive:
"L'aumento sistemico delle ineguaglianze tra gruppi sociali all'interno di un medesimo Paese e tra le popolazioni dei vari Paesi, ossia l'aumento massiccio della povertà in senso relativo, non solamente tende ad erodere la coesione sociale, e per questa via mette a rischio la democrazia, ma ha anche un impatto negativo sul piano economico, attraverso la progressiva erosione del "capitale sociale", ossia di quell'insieme di relazioni di fiducia, di affidabilità, di rispetto delle regole, indispensabili ad ogni convivenza civile (32)".

I peccati che gridano vendetta
Certo, ci dobbiamo adattare ad essere più poveri, ad avere meno soldi in tasca; ma, soprattutto, a ricostruire assieme una cultura, magari non della povertà, ma della minore ricchezza, della sobrietà, della lotta allo spreco. Lavorare per ritornare ad un sistema di maggiore solidarietà in una società che ha abbandonato il risparmio, sostituendolo con l'indebitamento.
Come cristiani saremo certamente favoriti in questo cammino di conversione e la speranza ci aiuterà. Ma proprio perché ci sentiamo cristiani, non possiamo non indignarci nel vedere che sono sempre gli "ultimi" a pagare i costi delle crisi, e ai tanti che sopportano con fastidio ogni intervento incisivo della Chiesa in materia sociale ed economica, vorremmo ricordare che è proprio nella tradizione del Vecchio Catechismo, riscontrare come due, tra i quattro peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio, siano l'oppressione dei poveri, e la frode nel salario agli operai.
famquarta1@alice.it
Sintesi della redazione. Tratto da: Famiglia domani, n.4 2011, p.55-59

8-GLOBALIZZAZIONE E MERCATO

Una delle caratteristiche del mondo attuale è la globalizzazione.
Viviamo in un mondo sempre più "piccolo" che tuttavia - come afferma Benedetto XVI nella Caritas in veritate - "ci rende vicini, ma non ci rende fratelli" (n.19).
Per il cristiano questa è una contraddizione non facilmente risolvibile.
Viviamo in un mondo nel quale la finanza, l’informazione, la tecnologia, i sistemi produttivi, il commercio sono globalizzati, eppure stanno sempre più diradandosi i valori condivisi.
C’è una sorta di tacito accordo per mettere tra parentesi l’etica, sottoposta oggi a una vera e propria deregulation e considerata non più una garanzia per il vivere civile, ma solo un impedimento.
Un altro luogo di contraddizione è il mercato. Il mercato è uno strumento meraviglioso in teoria; in pratica ha alcuni difetti. Primo, non è neutrale. Arricchisce i più ricchi e impoverisce i più poveri.
Poi, direi soprattutto, è privo della capacità di autoregolarsi e di correggere le proprie distorsioni.
C’entra tutto questo con la famiglia? C’entra, perché il mercato, privo com’è di regole, non può o non vuole soddisfare tutti i bisogni. Si tratta di bisogni che interessano proprio la famiglia. Pensiamo al problema degli anziani, della scuola, dei migranti, della sanità.
Il mercato, come afferma preoccupato il Papa nell’enciclica citata, "non è, e non deve perciò diventare, il luogo della sopraffazione del forte sul debole". Immagino che sia un augurio. Non è la realtà.
Luigi Ghia
Liberamente tratto dagli atti del convegno dei CPM del 2011

9-ELOGIO DELLA SOBRIETÀ
Una scelta condivisa da molte persone e famiglie è in grado di condizionare il mercato

di Luigi Lorenzetti*
Gli antichi filosofi e teologi affermavano – e non avevano torto – che i desideri (istinti, passioni) sono, per se stessi, senza limite; il loro orizzonte è la dismisura. Occorreva, pertanto, regolarli, e affidavano tale compito alla virtù della temperanza (o della moderazione).
La moderazione del cibo e della bevanda spettava, in particolare, alla virtù della "sobrietà". Il suo rovescio, la "gola" (ingordigia), veniva collocato senza esitazione al quinto posto tra i sette vizi capitali.

La virtù della sobrietà
La sobrietà è attraente, non è severa come l’austerità; non è lassista come il consumismo, non è cattedratica, è discreta, sa farsi apprezzare
Dove si trova oggi questa bella virtù? Certamente non nelle persone e nelle società dell’indigenza. Come si può parlare di sobrietà dove, per mancanza del necessario, si muore o si sopravvive per una breve stagione? Per motivi opposti, non si trova nelle società opulente dell’Occidente che si distinguono per lo spreco, l’eccesso.
È evidente che l’alimentazione occupa un posto di primo piano nella vita economica delle nostre società; si notano, tuttavia, comportamenti in controtendenza alle abitudini alimentari. Sono segnali che non vengono dalla virtù della sobrietà, ma da altri fattori sociali e culturali. Tra questi la dietetica, la medicina preventiva (è meglio prevenire che curare), il culto della linea fisica.
In coda c’è anche un forzato ritorno alla moderazione indotta dal diminuito potere d’acquisto: centinaia di migliaia di famiglie, specie a monoreddito, e milioni di persone si vedono costretti a ridurre la spesa alimentare, e non solo quella.

Una scelta volontaria
Ma la sobrietà per forza non è una virtù, è semplicemente una costrizione.
Al contrario, la sobrietà è una scelta libera, mira a conquistare la persona e la famiglia con nobili motivazioni sia laiche sia cristiane. Si può parlare, infatti, di una virtù laica e, rispettivamente, cristiana, sebbene l’una non sia alternativa all’altra. La virtù cristiana della sobrietà entra volentieri in dialogo con quella laica, la valorizza e la conduce ancora più avanti nelle ispirazioni e nelle realizzazioni.
La sobrietà non ha nulla a che vedere con l’austerità o la rinuncia fine a se stesse. Lo stile sobrio è una scelta volontaria, nasce dalla consapevolezza che l’alimentazione ponga questioni non solo in ordine alla salute ma anche all’etica.
La persona e la famiglia, con motivazioni ragionate, passano dalla critica al consumo, al consumo critico; comprano un prodotto alimentare solamente se ha una storia ambientale e sociale condivisibile, approvabile anche in riferimento del comportamento dell’azienda che ci sta dietro.

Un potenziale rivoluzionario
La virtù della sobrietà è innovativa, addirittura rivoluzionaria: ogni volta che si compra un prodotto, si fa una scelta economica precisa, si favorisce un’impresa e non un’altra. E quando una medesima scelta è condivisa da un grande numero di persone, imprime una determinata direzione alla produzione e al mercato, che sono costretti ad adeguarsi.
In altre parole, con le molteplici scelte quotidiane si esprime consenso o dissenso nei confronti del sistema economico e, quindi, politico. Il consumo può diventare, così, lo strumento in mano ai cittadini per introdurre significative modifiche all’insostenibile situazione esistente.

Consumo critico
In controtendenza allo status quo, per piccoli passi ma creativi di una nuova cultura alimentare, si registrano molteplici e coraggiose iniziative destinate a ottenere crescente consenso. Tra queste, il consumo critico; i cosiddetti bilanci di giustizia, il commercio equo e solidale, la banca etica, i gruppi d’acquisto solidale...

Una virtù cristiana
Cosa aggiunge, di suo, il messaggio cristiano alla virtù laica della sobrietà e alle sue scelte? I cristiani, che vivono nelle società opulente, come possono dire, con convinzione, la preghiera del Padre nostro, specialmente quando arrivano al "dacci oggi il nostro pane quotidiano"? (Mt 6,11).
L’aggettivo quotidiano – si legge in una nota della Bibbia di Gerusalemme – è la versione tradizionale e probabile di una difficile parola greca. Ma il pensiero è chiaro: si deve chiedere a Dio il sostentamento indispensabile della vita, ma non la ricchezza né l’opulenza.

Il pane per il viaggio
Vorrei citare qui due riflessioni del noto critico letterario, Pietro Citati, sul Padre nostro.
Citati anzitutto riconosce che il pane quotidiano che, secondo Gesù, dobbiamo chiedere a Dio, è in primo luogo quello necessario alla nostra esistenza: il pane del bisogno e del sostentamento.
Il Padre nostro ricorda che l’uomo manca di tutto. Se prega, Dio scende e gli dà il pane: la prima grazia della sua esistenza.
Ma c’è una seconda puntualizzazione: il pane quotidiano è quello indispensabile per il viaggio. I cristiani sono ospiti e stranieri sulla terra, sono in perenne viaggio. Almeno nella preghiera, ogni tappa del viaggio è accompagnata dal dono celeste del pane.
Certamente la virtù della sobrietà si sente molto incoraggiata nel riferirsi alla preghiera del Padre nostro, madre e regina di tutte le preghiere; vi trova un orizzonte inedito, ma anche impegnativo.
Come possono, i cristiani delle società ricche, domandare il "pane quotidiano", loro che dispongono non solo del necessario ma anche e abbondantemente del superfluo?
Certo non è male avere anche il superfluo; il male è dimenticare coloro che, nel Primo e Terzo Mondo, non hanno il necessario. Il messaggio cristiano impegna i cristiani, singoli e associati, a farsi provvidenza per quanti sono nell’indigenza.

Carità universale
Al termine della sua vita terrena, quando la maggioranza aveva preso le distanze, perché non corrispondeva alle attese di un Messia potente, Gesù di Nazareth si rivolge a un piccolo gruppo di discepoli che gli erano rimasti fedeli. A loro dice che non devono preoccuparsi di quello che "avrebbero mangiato o bevuto"; men che meno di "accumulare beni su beni".
La vita è dono di Dio e, a maggiore ragione, tutto il resto; devono, invece, preoccuparsi ("stare con l’animo in ansia") di accogliere il Regno che Dio dona loro.
Subito dopo, però, Gesù riprende la questione del mangiare e del bere, ma questa volta per dire ai discepoli di tutti i tempi che devono impegnarsi perché il nutrimento sia una possibilità effettiva per tutti: "Vendete ciò che avete e date in elemosina" (Lc 12, 33).
Il messaggio è chiaro in una duplice e reciproca direzione: affidarsi alla Provvidenza (che non vuol dire fuga dalla laboriosità) e, a propria volta, farsi provvidenza per gli altri.
I confini, così, si allargano e la sobrietà esce dall’orizzonte personale-individuale o di gruppo, si immette dentro l’intera umanità vivente oggi sulla terra, si accorge degli altri e va loro incontro.

Lo scandalo di chi ha troppo
Suscita indignazione il ricco epulone che banchetta lautamente e ignora il povero Lazzaro che sta alla porta, aspettando le briciole, ma nemmeno queste gli vengono date.
Come non avvertire lo scandalo di chi ha troppo (pochi) e di chi (i molti) ha troppo poco o niente? Di fronte ai poveri e ai popoli della fame, l’opulenza degli epuloni (persone e popoli) è un’offesa, una provocazione, un’ingiustizia.
Il diritto ai beni alimentari è universale: non può essere affermato per gli uni (minoranza privilegiata) e negato agli altri (maggioranza) con le azioni e, ancora più, con le omissioni. L’attuale ordine (disordine) mondiale, e i meccanismi economici/finanziari che lo regolano, impediscono ai poveri (singoli e popoli), di uscire dalla spirale della povertà, anzi della miseria.
Ironia della sorte: i popoli ricchi temono per il loro futuro, hanno paura di essere defraudati.
E così, invece di riempire i granai, continuano follemente a riempire gli arsenali militari. Si tratta di risorse e beni rubati alle possibilità di vita per i popoli della fame.
*direttore emerito di "Rivista di Teologia morale"
Liberamente tratto da: Famiglia oggi n.12 dicembre 2004.

Per il lavoro di coppia e di gruppo
Le domande che seguono toccano i temi trattati nel numero.
• Quanto ci spaventa l’attuale crisi economica? Ne sentiamo gli effetti? Come reagiamo?
• I nuovi stili di vita sono una proposta che può fare breccia o resterà una scelta di pochi?
• Riusciamo come coppia a trasmettere ai nostri figli il valore della sobrietà? In che modo?
• Il lavoro che non c’è. Quali idee, quali proposte suggeriamo ai nostri figli?
• Confidiamo nel Signore o ci sentiamo scoraggiati?

10-STILI DI VITA PER UNA SOBRIETÀ FELICE
I nuovi stili di vita sono uno strumento per tornare a essere da consumatori a persone, secondo il Vangelo

Di Luca Lorusso*
Fin dalla nostra nascita viviamo immersi nel flusso comunicativo ininterrotto dei mass-media: Tv, radio, giornali, cartelloni pubblicitari, internet, ecc. Se riflettiamo sul fatto che questi strumenti sono aziende che producono pubblico da vendere alle agenzie pubblicitarie, comprendiamo il motivo per cui ogni giorno subiamo l’aggressione di un "potere simbolico" che ci condiziona e tende a trasformarci da persone in consumatori.
I mass-media creano, alimentano e confermano in tutto il mondo la cultura e gli stili di vita consumistici, che sono al tempo stesso l’effetto e la causa del nostro modello di sviluppo. Un modello che possiamo sintetizzare in quattro domande: di natura, di giustizia, di benessere, di senso.

La domanda di natura
Il nostro modello di sviluppo sta "esaurendo" il pianeta: consumiamo più risorse di quante esso ne possa fornire, e produciamo più rifiuti di quanti esso ne possa assorbire.
Ce lo dicono il nostro buon senso, i risultati di molti summit internazionali, (spesso insoddisfacenti dal punto di vista delle decisioni sul "da farsi"), le notizie, non solo di disastri ambientali clamorosi, ma di territori e popoli che vedono le proprie risorse depredate quotidianamente dal mercato globale.
Ce lo dice l’Impronta Ecologica (IE), un indicatore in grado di quantificare l’impatto ambientale di un individuo, una famiglia, una città, un paese.
Secondo il calcolo dell’impronta ecologica, riportata nel Living Planet Report 2012, se l’intera umanità vivesse con stili di vita italiani, avrebbe bisogno di 2,5 pianeti, se vivesse come gli statunitensi ne avrebbe bisogno di 4.

La domanda di giustizia
Le riflessioni generate dalla IE ci spingono sul terreno della seconda domanda, quella di giustizia, confermandoci che i problemi legati all’ambiente e quelli legati alla giustizia sono sempre profondamente connessi tra loro: non a caso in ambito ecclesiale si parla di "Giustizia, Pace e Integrità del Creato".
Il cosiddetto "sviluppo" allarga la forbice tra i ricchi e i poveri nelle diverse parti del mondo: il 20% più ricco della popolazione mondiale consuma l’80% delle risorse del globo. E questo vale anche per il nostro paese.
Secondo uno studio della Banca d’Italia del dicembre 2011 "alla fine del 2008 la metà più povera delle famiglie italiane deteneva il 10 per cento della ricchezza totale, mentre il 10 per cento più ricco deteneva quasi il 45 per cento della ricchezza complessiva".

La domanda di benessere
Nonostante gli alti livelli di "benessere" nei quali viviamo, spesso non stiamo bene, per i motivi più vari. Forse uno di questi è l’ostinazione con cui chiamiamo "benessere" il semplice "ben-avere", perdendo di vista la qualità della vita.
Oltre un certo limite, infatti, il maggiore possesso di beni non fa migliorare, ma peggiorare, la qualità della vita. Viviamo immersi in una cultura nella quale è socialmente riprovevole non far crescere i consumi, ma consumi sempre più ampi non portano per forza a un benessere sempre più ampio.
Molti prodotti tecnologici richiedono molto tempo per usarli, tempo sottratto a chi ci è vicino, acquistare due chili di frutta o verdura fuori stagione fa aumentare le emissioni di gas serra, di traffico, e non mi garantisce un cibo sano.

La domanda di senso
La domanda di senso è la più profonda e importante, è il centro di questa riflessione, è la domanda da cui dipendono le altre: nei paesi "avanzati" è molto facile trovare persone infelici. C’è un diffuso deficit d’identità, di valori, e relazioni. C’è una diffusa difficoltà a trovare il senso della vita e la speranza.
La nostra vita quotidiana è dominata dal consumo (tendiamo a consumare non solo oggetti, ma anche servizi, informazioni, divertimenti, relazioni, persone, esperienze spirituali, impegni…) e rischiamo di viverla in maniera non consapevole, non libera e non responsabile verso noi stessi, la nostra famiglia, le altre persone, il mondo.
Il modello di vita consumistico ha bisogno di persone insoddisfatte e il mercato è incredibilmente abile a intercettare (spesso a creare) i nostri bisogni e a proporci soluzioni semplici (mentre la conquista della felicità è tanto bella quanto faticosa) che regolarmente ci lasciano ancora più insoddisfatti, in un circolo vizioso che fin da piccolissimi abbiamo imparato a non riconoscere.
Coloro che fondano la propria vita, libertà, identità, felicità in Dio (quello che ci ama per ciò che siamo, non per le nostre prestazioni, per la nostra efficienza - anche nell’essere "santi" - o per ciò che abbiamo), che orientano i propri comportamenti quotidiani verso la condivisione, il bene comune, l’attribuzione di senso alle cose e alla vita… Questi sono i peggiori nemici del consumismo.
Il sistema consumistico fa di tutto perché nessuno si trasformi da consumatore in persona (amata).

Insieme possiamo
Il nostro modello di sviluppo genera squilibrio ecologico, ingiustizia, malessere, vuoto di senso. Vogliamo osare ricercare qualche risposta, senza false modestie, sapendo che uno degli strumenti migliori del mercato e del consumismo è generare la sensazione dell’impotenza insieme ad una versione distorta di umiltà: "non siamo certo noi che possiamo fare cose così grandi e importanti", facendoci dimenticare che se non siamo in grado da soli, ciascuno per sé, insieme possiamo, e soprattutto possiamo con l’aiuto del Signore che ci chiede di osare anche l’impensabile per costruire con creatività il suo Regno.

La risposta fondamentale
Iniziamo dall’ultima domanda: la richiesta profonda di senso che abita in ogni persona.
Restituire senso alla vita è concepirla al centro dell’amore di Dio: "Gli occhi del Signore sono su quelli che lo amano; egli è protezione potente e sostegno vigoroso, riparo dal vento infuocato e dal sole meridiano" (Sir 34,19).
Se il principio e fondamento della nostra esistenza è Dio, possiamo lasciarci illuminare dalla sua Parola e da essa farci guidare nelle scelte concrete, quotidiane della vita.
Chi sperimenta di essere amato per ciò che è, non ha bisogno di nulla, è libero: "Cercate prima il Regno di Dio (la Vita piena in Lui) e tutto il resto vi sarà dato in aggiunta" (Mt 6,33).
Una volta afferrato saldamente il senso della vita possiamo darci degli strumenti per nutrirlo, per tenerci desti e all’erta, per fronteggiare le forme sempre nuove, i modi sempre più sottili, in cui il consumismo cerca di infilarsi nella nostra vita per dominarla.
Per dare una risposta alle domande di senso serve una traccia di riflessione: la troverete a pag. 12.
Però ricordiamoci sempre che le sole pratiche senza un orizzonte di senso rimangono gusci vuoti, utili a qualcosa, ma non a creare umanità. Rischiano di diventare ideologia, magari anche intransigente, per la quale i "moralisti" dei nuovi stili di vita (come i farisei del Vangelo) giudicano chi non esegue alla perfezione la legge della sobrietà, del boicottaggio, del chilometro zero, e così via.

Alcune proposte pratiche
In contro tendenza con la società di oggi, consumare meno e in modo critico (consapevole e responsabile) ci fa guadagnare in qualità della vita.
Proponiamo allora l’elenco dei "magnifici 8" che proveremo a sviluppare nelle prossime pagine.
• Commercio equo e solidale
• Acquisti a km zero
• Gruppi di acquisto solidale
• Banca Etica e investimenti etici
• Rispetto dell'ambiente
• Scambio di beni autoprodotti
• Bilanci di giustizia
• Consumo critico
• Banca del tempo

Otto strumenti pratici tra i molti possibili per vivere la sobrietà felice, che non è austerità o privazione, ma la capacità di disporre del necessario, l’essere radicati su ciò che è veramente centrale nella nostra vita.
"Beati i sobri perché nell’ora più calda del giorno staranno all’ombra - col cuore rinfrancato e pronti a riprendere la strada - presso la tenda di Dio".
* redattore della rivista "Missioni Consolata"

11-DUE DIVERSE LETTURE DELLA REALTÀ

Dal libro del Siracide                                                                                                                                             Dal libro del Consumismo

Beato l’uomo che si dedica alla sapienza e riflette con la sua intelligenza.

Beato l’uomo che non perde tempo in attività non produttive e si affida per le sue scelte
alla scienza del mercato che conosce i suoi bisogni.

Felice chi ha trovato la prudenza.

Felice chi si butta seguendo l’istinto (che il mercato sa bene come nutrire e soddisfare) e non sta a perdersi
dietro inutili considerazioni.

Non darti in balia della tristezza e non tormentarti con i tuoi pensieri.

Guardati allo specchio: sei uno straccio intriso di tristezza! Lo so che non sei tranquillo, e fai bene:
devi renderti conto che la vita così com’è non va, che bisogna cambiare tutto.

La gioia del cuore è la vita dell’uomo, l’allegria dell’uomo è lunga vita.

L’angoscia è la breve vita dell’uomo. Prenditi una pausa, fatti una vacanza, prova un nuovo vestito o una nuova macchina,
o un nuovo partner, o un nuovo farmaco.

Un cuore limpido e sereno si accontenta dei cibi e gusta tutto quello che mangia. Mangia da uomo frugale ciò che ti è posto dinanzi, non masticare con voracità.

Guarda quanto ben-di-dio hai a disposizione, vorrai perdere l’occasione? Non tutti possono avere quello
che puoi avere tu. Mangia tutto quello che c’è, fai veloce.

Travaglio di insonnia, coliche e vomiti accompagnano l’uomo ingordo.

Lo so che soffri d'insonnia, che hai coliche e vomiti: non sai che esistono i digestivi?

Beato colui che teme il Signore. A chi si appoggia? Chi è il suo sostegno?

Beato colui che non teme nessuno, che è padrone assoluto della sua vita (con l’aiutino dei grandi
mezzi del mercato). Meglio soli che male accompagnati!

12-PER CAMBIARE IL NOSTRO MODELLO DI SVILUPPO
Alla ricerca di risposte di senso per nuovi stili di vita

di Luca Lorusso
Ritengo utile completare il mio articolo di pag. 9-10 con una serie di spunti di riflessione pensati per rispondere alle domande di senso che ho prima proposto.
Questi spunti possono essere usati sia a livello personale, sia a livello di coppia e di gruppo.

Risposte di senso
Come mantenersi ancorati nella quotidianità al senso profondo (la roccia di Mt 7, 24) della nostra vita?
• Nutrire la dimensione interiore, spirituale, con la preghiera, il confronto con la Parola di Dio e con una persona spiritualmente matura;
• Lasciarsi rafforzare dai sacramenti;
• Partecipare o creare gruppi di condivisione (della vita, della Parola, della quotidianità…);
• Fare letture spirituali, e anche letture che aiutino a comprendere il mondo complesso nel quale viviamo;
• Fare attenzione all’uso del tempo (cioè della vita): verificare i tempi quotidiani per le varie attività, spostare il tempo su quelle che sono per noi le priorità, con la serenità (la misericordia) di lasciare che molte cose rimarranno "non fatte";
• Favorire le relazioni e la condivisione;
• Riscoprire le nostre radici (familiari, comunitarie, nazionali), le tradizioni, i sapori per sentirsi appartenenti a una storia che viene da lontano e che va lontano;
• Scoprire nuove culture, anche attraverso la storia dei prodotti;
• Esporsi in modo moderato e consapevole a televisione e mass-media.

Risposte di benessere
Come migliorare la qualità della vita?
• Fare attività piacevoli, creative e lente;
• Ridurre (quando è possibile) l’orario di lavoro per aumentare l’orario delle relazioni gratuite, oppure fare un lavoro che dia la possibilità di realizzare le proprie aspirazioni;
• Ridurre il numero di oggetti che ingombrano la casa, il tempo, la mente;
• Mangiare cibi sani, naturali e di stagione;
• Avere un contatto diretto coi produttori, conoscere e influenzare i metodi di produzione;
• Autoprodurre, magari in compagnia.

Risposte di giustizia
Come praticare concretamente la giustizia?
• Porre attenzione alle condizioni di lavoro (sociali e ambientali) nel ciclo di produzione dei prodotti che si acquistano;
• Boicottare quei prodotti che non rispettano i diritti e l’ambiente;
• Informarsi, e informare altri, in modo alternativo ai grandi canali;
• Scegliere i piccoli produttori;
• Impegnarsi in attività politica (partiti, movimenti, associazioni...);
• Fare volontariato;
• Interessarsi e magari impegnarsi nella Cooperazione internazionale;
• Consumare meno risorse e sprecare di meno, per "restituire" più risorse agli altri popoli e alle generazioni future;
• Acquistare prodotti del commercio equo e solidale.

Risposte di natura
Come rispettare l’ambiente e l’eco-sistema?
• Scegliere prodotti locali (meno trasporto, inquinamento, consumo energetico, traffico, incidenti);
• Scegliere prodotti ecologici e biologici, a basso consumo, riciclabili, poco imballati, di materiali naturali, non inquinanti, facilmente riparabili;
• Valorizzare la biodiversità;
• Alimentarsi in modo equilibrato evitando l’eccesso di carni, soprattutto quelle rosse;
• Scegliere la mobilità sostenibile;
• Turismo responsabile.

Per la riflessione di coppia e di gruppo
• Sappiamo pregare insieme? Sap-piamo pregare con i nostri figli?
• Condividiamo quello che leggiamo tra di noi, con i nostri figli, con gli amici?
• Sappiamo darci, come coppia, i "tempi della vita"? Sap-piamo trovare momenti della settimana per noi due soli?
• Come viviamo i rapporti con persone non italiane? Come vivono i nostri figli la presenza in classe di bambini stranieri? Come li educhiamo alla mondialità?
• La televisione è un’ottima baby-sitter. Quanto ne approfittiamo per pigrizia o stanchezza? Abbiamo soluzioni alternative (p. e. libri illustrati)?
• La stanza dei nostri figli è piena di giochi? Insegniamo loro, se ne hanno troppi, a regalarli? Insegniamo loro a condividerli (con il fratellino, gli amici, i compagni di scuola)?
• A tavola si mangia di tutto? Ci sono cibi che i nostri figli non vogliono? Quanto accondiscendiamo ai loro capricci alimentari?
• Insegniamo ai nostri figli la raccolta differenziata? Facciamo loro notare quanto sono ingombranti certi imballaggi? Quanta acqua e luce elettrica riescono a sprecare?
• Usiamo sempre e solo l’automobile o usiamo anche i mezzi pubblici e la bicicletta? Quanto i nostri figli camminano a piedi?
• Proviamo a riparare gli oggetti di casa che si guastano? Sappiamo aiutarci a vicenda con i nostri amici o vicini?

13-TEORIA E PRATICA DEI NUOVI STILI DI VITA

Commercio Equo e Solidale
Il Commercio Equo e Solidale è un approccio alternativo al commercio convenzionale: il suo scopo è promuovere giustizia sociale ed economica e sviluppo sostenibile attraverso il commercio, la formazione, la cultura, l'azione politica. Il Commercio Equo e Solidale vuole riequilibrare i rapporti con i Paesi economicamente meno sviluppati, migliorando l'accesso al mercato e le condizioni di vita dei produttori svantaggiati.
www.commercioequo.org

Compero questi prodotti, la qualità è buona e i prezzi ormai non sono più troppo alti. È un piacere aiutare il prossimo comprando cose di qualità! Elisabetta
Ora che sono a disposizione anche nei supermercati, è più facile acquistare alcuni prodotti, anche se un poco più cari. Noi abbiamo preso l’abitudine di fare cesti con questi prodotti ed utilizzarli per i regali di Natale e compleanni, sono utili e si fa loro pubblicità. Franca
Li acquistiamo in occasioni particolari e soprattutto come regalo per gli altri. Fabrizio
Acquistiamo i prodotti tipici (caffè, tè, cacao, zucchero di canna, banane...) perché sappiamo che dietro ci sono dei progetti rispettosi dell'ambiente e dei lavoratori. Ernesta
Da anni utilizziamo questi prodotti, che compriamo sia nelle "botteghe del mondo" che al supermercato. Nel nostro oratorio 3-4 volte l’anno si organizza la colazione equosolidale, utilizzando esclusivamente i prodotti del commercio equo. Graziano

Acquisti a km zero
Per chilometro zero s'intende la distanza percorsa da un alimento dal luogo di produzione a quello di consumo, valutando l'impatto ambientale che esso comporta, in particolare l’emissione di anidride carbonica che va ad incrementare il livello d’inquinamento.
Secondo la filosofia del chilometro zero risulta vantaggioso consumare prodotti locali poiché accorciare le distanze significa aiutare l’ambiente, promuovere il patrimonio agroalimentare regionale e abbattere i prezzi, oltre a garantire un prodotto fresco, sano e stagionale.
S’interrompe così quella catena che è nata con la grande distribuzione, che lavora con i grandi numeri, a scapito della riscoperta del rapporto consumatore-produttore.
www.wikipedia.org

Ci abbiamo provato con la carne. Il prodotto era buono, ma tutto è finito quando la persona del gruppo che faceva gli acquisti non ha più frequentato quella zona. Giorgia
Questa è una cosa nuova e ancora poco diffusa dalle mie parti. Forse bisognerebbe pubblicizzarla di più, comunque quando individuo un articolo che ha questo requisito lo acquisto senz’altro. Elisabetta
Dove abito i chilometri zero valgono solo per i prodotti degli orti oppure per l’erogatore del latte "fresco di mucca" che c’è nel parcheggio vicino casa, altrimenti c’è solo il mercato del venerdì mattina. Franca
Per me è solo una trovata pubblicitaria. Occorre tempo per controllare effettivamente che siano prodotti a chilometro zero. Fabrizio
Non è sempre possibile acquistare a km zero, lo facciamo soprattutto con quei prodotti che vengono coltivati anche nelle nostre terre (verdura, a volte frutta, formaggi, latte, carne). Ernesta
Abbiamo poco tempo per la spesa e desiderando di avere sempre frutta e verdura fresca in casa, ci siamo associati a una cooperativa che ogni settimana porta a domicilio un paniere di prodotti biologici e a filiera corta. Non costa molto di più di quanto si pagherebbe al mercato, ma ha la garanzia della qualità. Paola
Non abbiamo mai sperimentato questa forma di acquisto, se non per la carne, pollame e uova. Graziano

Gruppi di acquisto solidale
Un gruppo d’acquisto è formato da un insieme di persone che decidono di incontrarsi per acquistare all’ingrosso prodotti alimentari o di uso comune, da ridistribuire tra loro. Ogni GAS nasce per motivazioni proprie, spesso però alla base vi è una critica profonda verso il modello di consumo e di economia globale ora imperante, insieme alla ricerca di una alternativa praticabile da subito. Il gruppo aiuta a non sentirsi soli nella propria critica al consumismo, a scambiarsi esperienze ed appoggio, a verificare le proprie scelte.
www.retegas.org

Nel nostro paese c'è una persona che si occupa dei G.A.S. e ci manda qualche volta una lista di prodotti, ma non abbiamo mai provato ad acquistare, forse perché ci piace vedere e scegliere personalmente ciò che acquistiamo. Però l’idea è buona. Franca
Ne conosco l'esistenza ma non ho mai fatto nulla per cercarli o aderirvi. Giorgia
Come gruppo famiglia ci stiamo riflettendo da un anno anche se non siamo ancora riusciti a concretizzare. Fabrizio
Ne facciamo parte da qualche anno, ci hanno aiutato a conoscere piccoli produttori, privilegiando il biologico ed il sociale e facendoci diventare acquirenti più responsabili, evitando la grande distribuzione e le multinazionali. Ernesta

Banca Etica e investimenti etici
Banca Etica è una banca innovativa, l’unica in Italia - e qualcuno dice nel mondo - ad ispirare tutta la sua attività, sia operativa che culturale, ai principi della Finanza Etica: trasparenza, diritto di accesso al credito, efficienza e attenzione alle conseguenze non economiche delle azioni economiche. Il fine? Gestire il risparmio orientandolo verso le iniziative socio economiche che perseguono finalità sociali e che operano nel pieno rispetto della dignità umana e della natura.
www.bancaetica.com

Stiamo valutando la possibilità di aprire un conto presso Banca Etica. Graziano
Investimenti (intesi come fondi) etici sono ormai offerti da molte banche; il problema è sapere se sono davvero etici; in più hanno rendimenti molto bassi. Giorgia
Abbiamo letto sui giornali di queste Banche ma o non ci sono nella nostra zona o non fanno pubblicità, saremmo lieti di far parte di una banca di cui ci si può fidare. Franca
Ho scelto, per comodità, di diventare socio prestatore in una cooperativa di consumo (la COOP). Il rendimento è basso, ma credo che così il mio denaro non verrà usato a scopo speculativo. Francesco
Bisognerebbe avere un po' di soldi da investire. Banca etica, per chi abita fuori dalle grandi città, è molto scomoda in quanto non ha sportelli nel nostro territorio. Fabrizio
Non c'è una filiale di Banca Etica vicina al nostro paese, questo rende un po' difficile la gestione, quindi per il momento non ce ne serviamo. Ernesta

Rispetto dell'ambiente
(p.e. raccolta differenziata, lampade a basso consumo, agricoltura biologica)
I problemi ecologici e di difesa ambientale rendono sempre più difficile reperire aree per le discariche di tipo tradizionale, nelle quali immettere materiali di tutti i generi, indifferenziati, talvolta inquinanti (come medicinali, batterie, solventi) o più spesso utili come fonte di materie prime (come ad esempio alluminio, carta, plastica, vetro).
Scopo finale delle norme nazionali e regionali in materia di rifiuti è di ridurre quanto più possibile la quantità di residuo non riciclabile da portare in discarica o da trattare con inceneritori o termovalorizzatori, e, contemporaneamente, recuperare, mediante il riciclaggio dei rifiuti, tutte le materie prime riutilizzabili, che divengono così fonte di ricchezza e non più di inquinamento.
www.wikipedia.org

Da anni il nostro Comune promuove una raccolta differenziata meticolosa e capillare, alla quale ci siamo ormai abituati. Acquistiamo regolarmente lampade a basso consumo e prodotti che vengono dall’agricoltura biologica, anche se questi ultimi a volte costano abbastanza. Elisabetta
Come sfuggire alla raccolta differenziata? È obbligatoria sia in città che in montagna e al mare. La luce delle lampade a basso consumo non mi piace, la trovo fredda. Per quanto riguarda l'agricoltura biologica qualche volta l'acquisto. Giorgia
Questo stile è ormai entrato nella nostra quotidianità. Ernesta
Insistiamo con i bambini per la raccolta differenziata, per evitare lo spreco di risorse (dall'acqua al cibo di ogni giorno), per quei piccoli gesti di attenzione al bene comune (non sporcare a terra; non strappare inutilmente fiori o piante...). FabrizioA casa nostra si differenzia meticolosamente tutto e anche i ragazzi sono abituati a chiedere "Questo dove si mette?"; quando sono in dubbio, la discarica fa il resto. Quasi tutte le lampade sono a basso consumo e cerchiamo di usare energia tenendo conto delle fasce orarie, per quanto è possibile. La verdura del nostro orto è sicuramente biologica! Franco
Abbiamo parecchi dubbi sulla serietà degli operatori dell'agricoltura biologica. Graziano

Riuso di beni durevoli (voce non presente sulla rivista cartacea)
(p.e. scambio di abiti, scarpe, ecc. tra famiglie)
Non si più certo parlare, in questo caso, di nuovi stili di vita. Questa pratica è sempre stata attuata da molte famiglie. Serve riparlarne perché ora, con la mania dei capi griffati, in certi contesti si tende a non praticarla più.

Quando i nostri figli erano piccoli esisteva tutto un giro di vestiti e scarpe che andavano e venivano, ora che sono grandi ci pensano da soli a usare le cose fino al giusto grado di consunzione. A volte riusciamo a scambiare tra amici i libri scolastici. Elisabetta
Sempre applicata! Con due figli è stata molto utile questa pratica e continua ad esserlo anche con i miei nipotini. Giorgia
Credo di avere messo abiti usati da quando ero bambina, forse perché ero la più piccola, e c’era sempre qualche cosa che mi andava bene: i nostri figli sono cresciuti così, senza troppi problemi. Naturalmente se si poteva si comprava il necessario ma tutto è sempre passato ad altri: l’importante è far passare l’idea che non si deve buttare ciò che ancora può servire. La sobrietà deve essere uno stile di vita, senza essere sciatti e trasandati ma anche senza esagerare con i marchi e le mode. Franca
Quando i figli erano piccoli c'era un via vai di borse pieni di abiti e scarpe, ora un po' meno, anche se è sempre nostra abitudine scambiarci tra famiglie quello che non serve più. Ernesta
Abbiamo un vasto giro di abiti, scarpe e borse tra famiglie del nostro paese e oltre. Tendiamo anche a riparare in maniera casalinga gli elettrodomestici per non cambiarli subito. Graziano
Prima che nascesse la nostra bimba ci siamo super attrezzati: p.e. culla e trio (passeggino, ovetto, carrozzina). La culla è durata tre mesi, poi la bimba non ci stava più, del trio il passeggino lo usiamo pochissimo. Morale: è meglio aspettare di capire cosa serve davvero e cercare di "ereditare" il più possibile da amici e parenti! Paola

Scambio di beni autoprodotti
(p.e. torte, marmellate, verdure)
Si tratta di sostituire il più possibile le merci (prodotte per essere vendute) con beni autoprodotti o scambiati all’interno di relazioni non mercatili, riportando il mercato alle sue dimensioni fisiologiche (acquisire e diffondere la consapevolezza che il mercato non può essere eliminato, ma, allo stesso tempo, non è l’unico luogo dove poter soddisfare i propri bisogni).
Ciò vuol dire autoprodurre il più possibile: beni alimentari (ad es. yogurt, pane, ortaggi, dolci, liquori, conserve alimentari…) e altri beni (ad es. capi di vestiario, mobili… ).
Questo comporta, tra l'altro, la conservazione e trasmissione del saper fare e la creazione di momenti di nuova socialità.
Movimento-Decrescita-Felice-Milano

Noi siamo alquanto inetti da questo punto di vista, quindi non scambiamo quasi niente… In compenso a volte riceviamo molto volentieri i beni prodotti dai nostri amici! Elisabetta
Ho una vicina di casa meridionale a cui piace cucinare: è lei che ogni tanto mi regala prodotti o cibi della sua terra e mi spinge a ricambiare. Giorgia
Più che scambio, a casa nostra si dona, il nostro orto in estate fa verdura per cinque o sei famiglie e ci mangiamo noi, i nostri figli e alcune famiglie del condominio. Noi non abbiamo il congelatore, per cui ciò che cresce si condivide con chi è in difficoltà economiche. Si condivide anche ciò che si cucina "in più", i dolci, ecc., inoltre la moglie di un nostro vicino (da due anni senza lavoro) ci aiuta nei lavori domestici, così noi possiamo pagarla senza farla sentire a disagio. Questo è scambio di BENE. Franca
Nella nostra famiglia numerosa è difficile che ci sia un'eccedenza di beni autoprodotti; lo scambio, o meglio la condivisione, avviene solitamente quando ci si ritrova per dei pranzi comuni. Ernesta

Bilanci di giustizia
Obiettivo principale della campagna è sperimentare, con un consistente numero di nuclei familiari, le possibilità di "spostamento" da consumi dannosi per la salute, per l'ambiente e per le popolazioni del Sud del mondo, a prodotti più sani, che non incidono in modo irreparabile sulle risorse naturali e che riducono i meccanismi di sfruttamento nelle regioni sottosviluppate.
www.bilancidigiustizia.it

Non facciamo parte delle famiglie che aderiscono stabilmente a questo progetto, lo troviamo troppo vincolante, una specie di Grande Fratello a cui rendere conto di ogni euro speso. Invece pratichiamo da sempre un nostro personale bilancio di giustizia, nel senso che devolviamo regolarmente il 10 % del nostro reddito in varie iniziative caritative a livello locale o internazionale. Elisabetta
Il bilancio di casa mia è per me un mistero! Lo gestisce mio marito. Se ne parla solo quando nel mese andiamo in rosso. Da parte mia cerco di essere attenta negli acquisti: entro nel supermercato con la lista e compero solo quello che vi ho scritto, nient’altro. Giorgia
Per la verità non sappiamo cosa siano, possiamo immaginare cosa possa essere ma non conosciamo associazioni del genere; noi ci comportiamo come crediamo giusto, poi il Signore farà la differenza. Franca
Conosciamo come sono organizzati i Bilanci di giustizia, ma per il momento non riusciamo ad essere troppo fiscali; nella nostra famiglia sono tanti gli imprevisti e le incognite, cerchiamo comunque di evitare gli acquisti inutili e di essere attenti alle iniziative caritative. Ernesta

Consumo critico
Acquisto prodotti di aziende che non sfruttano i lavoratori e rispettano l'ambiente
Il consumo critico è una modalità di scelta di beni e servizi, che prende in considerazione gli effetti sociali e ambientali dell'intero ciclo di vita del prodotto, e determina gli acquisti dando a tali aspetti un peso non inferiore a quello attribuito a prezzo e qualità. Concretamente, il "consumatore critico" orienta i propri acquisti in base a criteri ambientali e sociali, che prendono in considerazione le modalità di produzione del bene, il suo trasporto, le sue modalità di smaltimento e le caratteristiche del soggetto che lo produce.
www.emi.it

Come famiglia ci mettiamo la buona volontà, ma è difficile essere bene informati e dribblare tutti i prodotti sconsigliati. La Nestlè produce di tutto! Elisabetta
Vattelapesca! Ci abbiamo provato anni fa, alla fine ci siamo limitati a scegliere una catena di supermercati che, seppur non limpidissima per la Guida al consumo critico, ci è sembrata la meno peggio. Giorgia
Non è sempre facile capire chi lavora al meglio. Siamo abbonati ad una rivista di consumatori per cui alcune inchieste su questo versante le conosciamo e cerchiamo di ricordarcene al momento della spesa. Da tanti anni proviamo ad evitare i prodotti Nestlè aderendo alla campagna di boicottaggio. Fabrizio
È difficile conoscere la filiera dei prodotti e anche dopo aver letto l’etichetta a volte non si capisce bene da dove vengono e chi c’è dietro veramente. Ci proviamo, ma non sappiamo se sempre compriamo "giusto". Franca
Il GAS favorisce l'acquisto di questi prodotti e ci dà la possibilità di conoscere direttamente i produttori. Ernesta
Poniamo attenzione nell’acquisto di beni provenienti da paesi in via di sviluppo, specialmente per quanto riguarda l’utilizzo della manodopera infantile. Graziano

La Banca del Tempo
Questa iniziativa si fonda sul rapporto di collaborazione alla pari nonostante le prestazioni siano differenti. Poiché il tempo è uguale per tutti!
Un tipico esempio di collaborazione tra soci potrebbe essere l’erogazione di un’ora di cucito parificato ad una di ripetizioni di inglese oppure un’ora di giardinaggio equivalente ad un’ora di informatica ecc…
La Banca del Tempo è un fenomeno rivoluzionario proprio per la loro innovativa concezione del tempo, che non è più solamente quantificabile con il denaro.
www.banchedeltempo.to.it

Onestamente non ho proprio tempo da scambiare! Dedico molto tempo ai nipotini ma è a fondo perduto… anche se ci terrei ad avere un minimo di "ritorno", in termini almeno di riconoscenza. Giorgia
Mio marito fa parte della Banca del tempo perché sa fare molti lavoretti in casa e fuori, inoltre accompagna chi è in difficoltà, quindi conosciamo bene questa associazione che funziona abbastanza bene. Anche il Comune, in cambio della sede, chiede delle ore da dedicare al servizio sociale. In realtà siamo sempre in credito, ma abbiamo avuto bisogno di un idraulico per un rubinetto e di un elettricista per una spina e abbiamo dato ore in cambio. Franca
Non siamo iscritti a nessuna banca del tempo, ma siamo comunque sempre disponibili verso chi ci chiede una mano tra amici o in parrocchia. Ernesta
Abbiamo provato ad attuarla nel nostro paese, ma è stata un fallimento. Graziano

14-LA FAMIGLIA SCUOLA DI GRATUITÀ, LA FAMIGLIA SCUOLA DI LAVORO
La gratuità ha bisogno di un’etica delle virtù

di Luigino Bruni
La famiglia si trova al centro della più grave crisi finanziaria ed economica che il sistema capitalistico (non solo in Europa) abbia attraversato dalla fine della seconda guerra mondiale.
Quando manca il lavoro, o quando è fragile e precario, è sempre e prima di tutto la famiglia che soffre. Poi, paradossalmente, alla famiglia che viene oggi chiesto di consumare di più per rilanciare la crescita; una richiesta curiosa, se non fosse offensiva, come se fosse possibile aumentare i consumi quando non si lavora, o si lavora poco e male.

Famiglia e lavoro
Il lavoro è oggi forse la questione più urgente, che ci chiama ad una riflessione più profonda, e in gran parte nuova (il mondo del lavoro sta evolvendo troppo velocemente in rapporto alle nostre categorie culturali), su che cosa sia veramente lavorare, e su che cosa sia il lavoro all’interno della vita.
Ma per poter dire qualcosa di meno ovvio, rispetto alle tante che sentiamo, sul lavoro e la famiglia nel mondo contemporaneo, alla luce dell’umanesimo cristiano e della Dottrina sociale della chiesa, occorre partire dal grande tema della gratuità e del dono, che è ciò che accomuna, e vedremo perché, la famiglia e il lavoro.
Che ci sia un rapporto forte e fondativo tra famiglia e gratuità non è certamente una affermazione controversa, e in un certo senso ovvia. La famiglia è infatti il principale ambito nel quale una persona apprende tutta la vita, (e non solo da giovani), quella che Pavel Florensky chiamava l’arte della gratuità. Meno ovvie sono le conseguenze di tutto ciò per il lavoro, per l’economia, per la vita civile. Per capire, infatti, il senso e il valore di questa arte, occorre chiedersi "che cos’è veramente la gratuità"?

Gratuito, non gratis
La gratuità, infatti, è oggi troppo spesso associata al gratis, al gadget, allo sconto. A qualche cosa di simpatico, ma in ogni caso molto ai margini della vera vita economica e civile.
In realtà la gratuità è qualcosa di molto più serio, come ci ha spiegato con estrema chiarezza anche la Caritas in Veritate, che rivendica alla gratuità anche lo statuto di principio economico.
Gratuità è senz’altro charis, grazia, ma è anche l’agape, come ben sapevano i primi cristiani, che traducevano la parola greca agape con l’espressione latina charitas (con l’h), proprio ad indicare che quella parola latina traduceva ad un tempo l’agape ma anche la charis.
La gratuità, allora, è uno stile di vita che consiste nell’accostarsi agli altri, a noi stessi, alla natura, alle cose, non per usarli utilitaristicamente a nostro vantaggio, ma per riconoscerli nella loro alterità, rispettarli e servirli.
Per il suo essere un "come" e non primariamente un "che cosa" si fa, non si tratta allora di contrapporre il dono al mercato, la gratuità al doveroso, poiché esistono, invece, delle grandi aeree di complementarietà: il contratto può, e deve, sussidiare la reciprocità del dono (come avviene in molte esperienze di economia sociale e civile, dal commercio equo e solidale all’economia di comunione).
Dire gratuità significa dunque riconoscere che un comportamento va fatto perché è buono, e non per la sua ricompensa o sanzione esterni. Ecco perché non c’è lavoro ben fatto senza gratuità, perché la gratuità ha bisogno non di un’etica utilitaristica fondata sugli incentivi e sulle sanzioni, ma di un’etica delle virtù.

L’etica delle virtù
Quest'etica, che ha dato vita nei secoli anche all’etica delle professioni e dei mestieri, si basava su una regola aurea, una vera e propria pietra angolare: la prima motivazione del lavoro ben fatto si trova dentro il lavoro stesso, non al di fuori di esso.
La risposta alla ipotetica domanda: "perché questo manufatto o questa lezione vanno fatti bene?" è, se prendiamo sul serio l’etica delle virtù, tutta interna, o intrinseca, a quel lavoro, a quella determinata comunità o pratica professionale.
La pur necessaria e molto importante ricompensa, monetaria o di altro tipo, che si riceve in contraccambio di quell'opera, non è la motivazione del lavoro ben fatto, ma solo una dimensione, certamente importante e co-essenziale, che si pone però su di un altro piano: è, in un certo senso, un atto di reciprocità, un premio o un riconoscimento e una riconoscenza che quel lavoro è stato fatto bene, e non il "perché" del lavoro ben fatto.
Per lavorare può bastare la buona motivazione del salario; ma per il lavoro ben fatto occorre anche la gratuità.

Una rivoluzione silenziosa
La cultura economica capitalistica dominante, la sua teoria e prassi economica, sta invece operando su questo fronte una rivoluzione silenziosa ma di portata epocale: il denaro è diventato il principale o unico "perché" del lavorare, la motivazione dell’impegno nel lavoro, della sua qualità e quantità.
È questa la cultura che possiamo chiamare dell’incentivo, che parte dall’ipotesi che i lavoratori non hanno nessuna motivazione intrinseca per svolgere bene il lavoro, e quindi tratta i lavoratori come moderni animali domabili e addomesticabili con bastone (sanzione-controllo) e carota (incentivo). C’è, allora, bisogno di una nuova-antica cultura del lavoro, che torni a scommettere sulle straordinarie risorse morali presenti in tutti i lavoratori, che si chiamano libertà e dignità, che non possono essere comprate, ma solo donate dal lavoratore.

L'importanza del lavoro
Ogni riforma del lavoro e ogni rilancio dell’occupazione non può che ripartire da una nuova fiducia nelle risorse morali e spirituali del lavoratore.
L’uomo, quando lavora bene, prima di obbedire a incentivi e manager obbedisce a se stesso, perché se e quando si lavora male per otto ore al giorno per quarant’anni, è l’intera vita, personale familiare e sociale, che non funziona.
Il lavoro è troppo importante per non far di tutto per cercare di starci bene, e possibilmente felicemente, che non significa assenza di fatica e di dolore, ma presenza di senso e di sviluppo di un progetto di vita: "Eppure, con tutta questa fatica – e forse, in un certo senso, a causa di essa – il lavoro è un bene dell’uomo" (Laborem exercens, n. 9).
Il lavoro dovrebbe stare sempre al centro del patto sociale, perché è il lavoro che dà la giusta misura alle altre relazioni sociali, essendo il lavoro un bene fondativo della possibilità stessa degli altri beni economici e, in un certo senso, civili: non è sufficiente, lo sappiamo, solo avere il riconoscimento dei diritti, ma bisogna essere messi nelle condizioni soggettive di poter esercitare concretamente quei diritti in modo che diventino libertà.

La cultura dell'incentivo
Questa crisi non è, forse, anche creata da lavoratori e managers poco virtuosi, anche quando, o forse proprio quando, escono da scuole di business e da università nelle quali si studia e si cresce alla stessa cultura dell’incentivo, e che poi arrivano nei luoghi di lavoro e non sono capaci di vera cooperazione e di vera gestione delle relazioni complesse?
Il merito non è solo né primariamente una questione di curriculum vitae e di titoli di studio, ma è aver appreso l’arte delle relazioni, che è sempre arte della gratuità, soprattutto in un mondo del lavoro dove il mestiere lo si impara mentre si lavora, se si è capaci, relazionalmente, di farlo.

La cultura della gratuità
La cultura tradizionale insegnava, proprio a partire dalla famiglia, dai rapporti di vicinato, dalla scuola, un modo di stare al mondo basato implicitamente sull’etica delle virtù (mediata in Europa soprattutto dal cristianesimo), che poi si trasmetteva direttamente ai luoghi di lavoro.
Oggi questo patrimonio civile fondamentale di virtù civili e di etica delle professioni è in grave crisi (speriamo non irreversibile), perché le famiglie, e purtroppo non tutte, continuano ad educare alla gratuità e al lavoro ben fatto, ma da sole non ce la fanno più, e avvertono, forte, la fatica e la frustrazione di Sisifo.
"Per crescere un bambino ci vuole l’intero villaggio", ci ricorda la cultura africana, e per imparare l’arte della gratuità ci vuole la famiglia, ma anche la scuola, le comunità, l’intera vita civile, altrimenti è un continuo tessere e disfare la tela della gratuità e del dovere (altra bella parola oggi logora).
È questo un problema grave e serio, perché se non si è capaci di gratuità non si è neanche capaci di capire il contratto, di essere buoni lavoratori né imprenditori (occorre ricordare che anche i veri imprenditori, che non siano solo speculatori, sono anche e prima di tutto lavoratori).

Consumo e finanza
Chi lavora e conosce il mondo del lavoro sa che il lavoro inizia veramente quando andiamo oltre la lettera del contratto e mettiamo tutti noi stessi nel nostro lavoro. Si lavora veramente quando al sig. Rossi si aggiunge Mario, quando al professor Bruni si aggiunge Luigino. Quando invece ci si ferma prima di questa soglia, ci si ferma sull’uscio dell’oikos (casa) dell’umano.
La cultura economica, politica e sociale dominante non capisce il lavoro perché vede troppo altre cose, che stanno riempiendo l’orizzonte delle nostre civiltà. Queste cose, invadenti e ingombranti, si chiamano soprattutto consumo e finanza.
Il centro della scena della società di mercato non è il mondo del lavoro (semmai "il mercato" del lavoro), ma il mondo del consumo e quello della finanza. Ma un mercato del consumo e della finanza che perdono contatto con il mondo del lavoro, con i lavoratori e con la fatica, diventano consumismo edonista e finanza speculativa, perché è sempre il lavoro che dà la giusta misura al nostro rapporto con i beni e con il denaro.

Ragazzi e lavoro
In particolare è preoccupante quanto lontani siano dal mondo del lavoro i ragazzi e i giovani. I bambini e i ragazzi hanno il primo approccio con l’economia incontrando il mondo del consumo, adagiati all’interno dei carrelli dei supermercati, come novelle Alice nel paese delle meraviglie.
Niente di male, ma all’esperienza del consumo, e del consumismo, va affiancato qualche incontro con i luoghi del lavoro, dalle fabbriche agli uffici. Sarebbe importante seguire, ogni tanto, il ciclo dei prodotti, e vedere come e dove nascono quel ci-bo e quei beni che popolano i magici e colorati templi del consumo.
Ragazzi e giovani sempre più lontani dai luoghi del lavoro, fanno e faranno sempre più fatica ad immaginare il proprio futuro lavorativo, un futuro che porti loro quella felicità che, come ci ricorda la cultura classica e la tradizione cristiana, non è il piacere ma il vero frutto delle virtù.
Liberamente tratto dalla relazione dell’autore al Congresso teologico pastorale in occasione del VII incontro mondiale delle famiglie a Milano.
(Il testo completo non è più disponibile su Internet, chi lo desiderasse leggere lo può richiedere a formazionefamiglia@libero.it )

15-ORA ET LABORA

Una breve nota storica può aiutare ad affrontare meglio il tema del lavoro. Nel mondo antico (greco-romano, ma anche in oriente) lavoravano gli schiavi. L’uomo libero, il cittadino, grazie agli schiavi (che lavoravano per lui) poteva affrancarsi dal bisogno di lavorare, e dedicarsi ad attività più degne (si pensava) dell’uomo libero, come la filosofia, la politica o la ginnastica.
Con il cristianesimo il lavoro inizia ad essere visto come espressione di virtù (quindi come attività buona in sé e via di felicità), grazie soprattutto ai carismi monacali e poi alla cultura cittadina e artigiana. I monaci affermarono e affermano (il monachesimo è ancora ben vivo e fertile) la tesi rivoluzionaria che il monaco è anche un lavoratore (anche questo è uno dei significati del benedettino "ora et labora").
Il lavoro inizia così ad emergere, e a conquistarsi il suo spazio etico in un mondo che restava ancora troppo "platonico", assegnando cioè alle attività manuali e lavorative uno status morale e spirituale minore rispetto all’attività intellettuali.
Un vizio culturale grave da cui facciamo ancora fatica a liberarci, perché ancora molto radicato nelle nostre culture, che continuano a vedere i lavoratori manuali sempre in un gradino sociale più basso di coloro che si dedicano ad attività intellettuali: pensiamo, ad esempio, a quanto poco lavoro c’è nei licei, ad esempio.
Abbiamo dovuto aspettare fino a tempi molto recenti (praticamente la fine dell’Ottocento) perché i lavoratori manuali potessero votare e avere accesso a cariche pubbliche.
Luigino Bruni

16-FIGLI E DENARO

Se la famiglia vuole coltivare l’arte della gratuità, deve fare molta attenzione a non importare dentro casa la logica che oggi vige fuori, magari in totale buona fede.
Guai, ad esempio, ad usare la logica dell’incentivo all’interno delle dinamiche familiari.
Il denaro in famiglia, soprattutto nei confronti dei bambini e dei ragazzi (ma con tutti), va usato molto poco, e se usato deve essere un premio o riconoscimento, e mai usato come incentivo.
Se, infatti, un ragazzo inizia ad essere pagato (5 euro) dai genitori per sparecchiare a tavola o togliere l’erba in giardino, il primo effetto che si produce è che quel ragazzo inizia a pensare che quel suo atto vale 5 euro, che è molto poco.
Infatti, quando il denaro arriva all’interno di un rapporto umano tende a diventare la motivazione di quanto si stava facendo prima di essere pagati.
In secondo luogo, in breve tempo c’è un effetto di contagio: quel ragazzo inizierà a chiedere denaro anche per gli altri lavori contigui (p.e. riassettare il letto …).
E se, infine, un giorno questo incentivo monetario venisse tolto, tutti i lavori verrebbero con ogni probabilità interrotti: quando in un rapporto si introduce il denaro non si torna più indietro, poiché il pagamento ha il forte potere di cambiare la natura di una relazione.
Uno dei compiti tipici della famiglia è proprio formare nelle persone l’etica del lavoro ben fatto semplicemente perché… le cose vanno fatte bene, perché esiste nelle cose una vocazione che va rispettata in sé, anche quando nessuno mi vede, mi applaude, mi punisce e mi premia (anche se i premi sono essenziali per rafforzare ogni educazione basata sul valore intrinseco delle cose).
Il letto va riassettato bene perché è bene in sé farlo bene, non per la mancia; i compiti vanno svolti con cura perché è bene farli bene, per ragioni cioè interne a quell’attività, che domani diventerà anche un lavoro, una professione.
Se, invece, si inizia a praticare anche in famiglia la logica e la cultura dell’incentivo, e quindi il denaro (la "paghetta") diventa il "perché" si fanno e non si fanno compiti e lavori, quei giovani da adulti difficilmente saranno dei buoni lavoratori, perché il lavoro ben fatto poggia sempre su questa gratuità che si apprende soprattutto nei primi anni di vita.
Luigino Bruni

17-LAVORO E SINDACATO
Il sindacato è chiamato a superare la logica del "contratto"

di Paolo Frand Pol
L’avvento, nel XIX secolo, della rivoluzione industriale ha portato una novità: la fabbrica, prima inesistente.
La rivoluzione è stata resa possibile dalla grande disponibilità di braccia che l’avvento delle novità tecniche/scientifiche e la meccanizzazione avevano prodotto, specie nel mondo agricolo.
Le famiglie contadine inurbate vivevano in condizioni di estrema indigenza, la manodopera era sfruttata, senza alcuna protezione sociale, chi si ammalava era perduto.
Nascono così le cooperative di mutuo soccorso tra operai, primo passo di quello che sarà il sindacato attuale.
Con il rafforzarsi del sindacato, la dimensione del mutuo soccorso si attenua e si accentua la dimensione contrattualistica: trattare con i "padroni" l’organizzazione del lavoro e la retribuzione, fissandoli nel contratto.
Nella logica del "contratto" i lavoratori sono "forti" in caso di piena occupazione, ma nei momenti di crisi possono risultare così deboli che certi contratti collettivi sono estremamente sfavorevoli ai lavoratori.
Nel contesto attuale ho l’impressione che le organizzazioni sindacali siano rimaste un po’ ferme e continuino a comportarsi su basi ormai anch’esse al tramonto: i paletti tra diritti e doveri dei lavoratori "garantiti", facendo molta fatica ad intercettare i bisogni dei lavoratori meno protetti e trascurando l’esigenza/opportunità/necessità che i più intraprendenti hanno per cercare di esprimere qualcosa di personale, diciamo pure un’affermazione/realizzazione di sé.
Se pensiamo alle attività lavorative precedenti alla rivoluzione industriale, come l’agricoltura, la bottega, l’artigianato, possiamo facilmente capire che l’ingegno e l’impegno concettuale del lavoratore era richiesto ed indispensabile: l’obiettivo era realizzare il prodotto finito e come conseguenza averne un profitto economico. Erano le sue personali decisioni quotidiane a determinare il successo o l’insuccesso.
Ma allora bisogna fare un passo indietro? Direi di no e farei un esempio.
L’indiano Muhammad Yunus nel 2006 ha ricevuto il Nobel per la pace per aver inventato il microcredito moderno, che tanti problemi ha risolto specie presso le famiglie più povere. Se riandiamo al passato scopriremo che questa forma di finanziamento solidale era già stata inventata secoli or sono dai frati francescani, con i Monti di pietà, ma nessuno ha pensato che il microcredito fosse una passo indietro.
D’altra parte non si dice sempre che non si può progettare il futuro se non si conosce il passato? Occorre forse recuperare una maggiore creatività e responsabilità individuale, che comporta dei rischi, ma è una sfida a misura d’uomo.
Io mi augurerei che le organizzazioni sindacali, a cominciare da quelle di matrice cristiana, uscissero un po’ dalla cultura del "contratto", per dare un contributo all’evoluzione dell’organizzazione del lavoro che rimetta al centro l’uomo e le sue esigenze più profonde.

18-FAMIGLIA E LAVORO
Il tempo che le aziende chiedono ai loro collaboratori è spesso sottratto alla vita

a cura della redazione
Lavoro e maternità, lavoro e figli, assenza del padre in famiglia, sono tutti passaggi critici che le famiglie si trovano, oggi più che mai, a dover affrontare.
Senza limiti di orario
Scrive Luigino Bruni: "Negli ultimi tempi le imprese, soprattutto le grandi imprese capitalistiche, non comprano soltanto ore di lavoro ma cercano di comprare la persona, soprattutto i giovani, con un ragionamento di questo tipo: ‘Ti pago molto, ti prometto carriere brillanti, ma non esistono orari’.
L’impresa così pensa che pagando molto si possa comprare la persona, incluso cuore, mente e passione. Ma in questa operazione si nasconde un virus del nostro sistema capitalistico: l’illusione che una volta eliminato il confine fra lavoro e vita (perché il lavoro diventa la vita), quella persona possa continuare a fiorire e a maturare nel tempo.
In realtà, le qualità più importanti di una persona si nutrono e crescono principalmente fuori dell’impresa. E se l’impresa, comprandomi, mi toglie questa possibilità, di fatto sta essiccando i pozzi da cui attingo energia, passione e cuore, ritrovandomi dopo alcuni anni totalmente svuotato, non più utile all’azienda e spesso sommerso di macerie sul fronte familiare e relazionale.
Per questo se un’impresa vuole e deve cercare il meglio che il lavoratore può dare, deve fare in modo che esista sempre un’eccedenza della vita sul lavoro, deve cioè proteggere gli spazi di gratuità, fuori e dentro i luoghi dell’economia".
Buone pratiche aziendali
Per favorire questo, è necessario che l’azienda metta in atto buone pratiche aziendali come asili nido, colonie estive, congedi parentali, assistenza sociale e socio-sanitaria, ecc.
Ma rimanendo sul tema del tempo da dedicare al lavoro ci piace riportare quanto Sara Mazzucchelli scrive in una sua ricerca: "Il programma ‘Ferrero Care’ comprende anche interventi diretti sulla prestazione lavorativa. Infatti, se è vero che i servizi ‘liberano del tempo’, è comunque altrettanto essenziale intervenire in parallelo sul lavoro, specie se questo si rivela altamente invasivo della vita personale.
Più in generale, è importante arrivare a discutere i presupposti di una data cultura del lavoro, che spesso sfocia nel lavorismo consumando il tempo e le risorse psicologiche a disposizione degli individui, senza necessariamente rivelarsi per questo efficiente. Così si esprime, in proposito, un esponente del management: "Abbiamo comunque ridotto i tempi di lavoro. La gente oggi dice: ’Posso andarmene via alle 18.00 tranquillo’. Il problema era che le persone non andavano via alle 18.00, per paura di non fare carriera. Oggi, vanno via alle 18.00 e fanno carriera; è cambiato tutto. Abbiamo avuto una direzione generale illuminata, che ha subito compreso che le persone, se stanno 12 ore in ufficio, sono ‘per natura’ inefficienti. Abbiamo sradicato l’idea o meglio l’alibi per cui stare in ufficio è premiante e non starci è penalizzante".

19-RITAGLI DI GIORNALE

Disoccupati over 40
La Usl di Pieve di Soligo (TV) aprirà un gruppo di sostegno chiamato "Over 40", per offrire sostegno alle persone che perdono il lavoro in età matura. Sono già attivi circa un centinaio di gruppi di "auto mutuo aiuto"...
Ognuno può offrire sostegno umano. Superare l'imbarazzo di non sapere che cosa dire, di affrontare una realtà al di sopra delle nostre forze. Vincere il timore di condividere con un altro - vicino di casa, conoscente, collega - che si trova in serie difficoltà, l'ansia e l'impotenza. Le parole sincere di conforto hanno il loro effetto, ma vale soprattutto la presenza fisica e morale, l'ascolto dello sfogo. Gesti semplici possono alleviare il senso di solitudine. Una telefonata ogni tanto, un invito a mangiare insieme o a un'occasione di svago, una lettera, sensibilizzare e coinvolgere altre famiglie del condominio e del quartiere in cui si vive possono contribuire a rendere più sopportabile un periodo particolarmente duro dell'esistenza.
www.comunicareinfamiglia.com

Guardia giurata con laurea
Emiliano Ceccarelli, 36 anni, fa la guardia giurata a Roma. Si è laureato in Sociologia nel 2004.
Dopo la laurea però Emiliano non ha trovato il lavoro che desiderava, e ha cominciato a fare il mediatore creditizio, come libero professionista.
È andata bene per un certo periodo, poi però è arrivata la crisi: "Il mercato è cambiato, mi sono trovato in difficoltà, soffrivo di ansia, e allora ho preferito fare questo lavoro, la guardia giurata, che mi dà la possibilità di godere di un contratto a tempo indeterminato".
Amareggiato? In fondo al cuore sì: "Questo non è un Paese fondato sui sogni", conclude.
Antonio Fraschilla, Repubblica, 8 aprile 2011

Flessibile o precario?
Cresciuta nella consapevolezza di dover dimenticare il mito del posto fisso, dagli anni 90 la generazione dei flessibili ha imparato invece che il destino più comune è invece quello di precario.
Chi è flessibile passa idealmente da un lavoro all’altro migliorando le proprie competenze e il proprio stipendio.
Fino al 2008, l’anno della crisi, in Italia è cresciuto invece un esercito di lavoratori lontano da questa realtà.
Uomini e donne spesso inchiodati allo stesso lavoro, senza tutele e sempre con lo stesso stipendio, con contratti a tempo reiterati per anni e anni.
Tonia Mastrobuoni, La Stampa, 18 aprile 2011

Welfare aziendale
Le iniziative di conciliazione tra famiglia e lavoro sono scarse, i servizi offerti sono limitati quando non inesistenti, la flessibilità appare a senso unico.
Per comprendere il ritardo basti pensare che le punte oggi considerate più avanzate, come Luxottica o le imprese che si dotano di asili aziendali, fanno la metà di quanto non provvedesse per i suoi operai la Falck negli anni 60-70. Di nuovi assetti contrattuali, dunque, si può discutere, di alternatività pure, ma solo quando gli industriali saranno pronti a mettere sul piatto anzitutto la loro modernizzazione, lasciando almeno intravvedere quali benefici i lavoratori potrebbero ricavarne.
Francesco Riccardi, Avvenire, 21 gennaio 2011

Cercasi vocazioni
In questi tempi è molto forte il problema della disoccupazione o sotto-occupazione giovanile. Nella Chiesa vi è un problema opposto: mancano vocazioni! Quest’anno su 62 nuovi salesiani solo 2 sono italiani.
Diventare sacerdote, consacrarsi al Signore non è certo un mestiere, una professione, serve la vocazione.
Come vorrei che tante famiglie cristiane non avessero paura nell’indicare ai loro figli anche questa strada!
padre Zaverio

Etica dell’operosità
Gli uomini sono esseri creativi, e sarebbe perciò avvilente supporre che un cartellino del prezzo sia l'elemento che distingue il lavoro dal non lavoro, la solerzia dall'indolenza.
Credere che, se non incentivati dal denaro, preferirebbero restare oziosi lasciando inaridire la loro immaginazione, significherebbe avere una bassa considerazione della natura umana.
L'etica dell'operosità potrebbe restituire a quell'istinto dell'uomo la dignità e l'importanza socialmente riconosciuta negategli invece dall'etica del lavoro, così come si è sviluppata e consolidata nella moderna società capitalista.
Zygmunt Bauman

Ammortizzatore sociale
Una famiglia su cinque non arriva a fine mese anche perché in molti casi funziona da ammortizzatore sociale per chi, all’interno del nucleo perde o non trova lavoro. La Banca d’Italia stima che nella tarda primavera del 2009, circa 480 mila famiglie abbiano sostenuto almeno un figlio convivente che aveva perso il lavoro nei dodici mesi precedenti, usando stipendi o pensioni.
Corriere della sera, 5 aprile 2012

Nuova evangelizzazione
"Noi cattolici diciamo che siamo in tempi di nuova evangelizzazione e ci sembra che questa nuova evangelizzazione, che implica la rinascita e il rafforzamento della fede coinvolgendo la persona in tutta la sua totalità, sia anche fondamentale per cambiare quella mentalità che guarda al profitto e al guadagno come un fine e non come un mezzo e che quindi è anche disponibile a trattare le persone come un mezzo.
Credo che per cambiare una mentalità non basta sapere che si sta facendo male ma c’è bisogno della forza dello Spirito Santo che illumina il cuore e la mente".
mons. Duarte da Cunha, segretario generale del Ccee, SIR, 5 giugno 2012

Uomini e donne nella Bibbia
20-BARNABA, UOMO GENEROSO
La sobrietà è anche condivisione dei beni e dei talenti

di Vincenzo Salemi IMC
Barnaba compare per la prima volta nel Libro degli Atti degli Apostoli nella sezione cui normalmente si dà il titolo: "Un cuore solo e un'anima sola" (At 4,32-37)

In famiglia, nella comunità ecclesiale, anche noi dovremmo essere un cuor solo e un’anima sola: cosa ci manca per essere tali?

"La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune… Così Giuseppe, soprannominato dagli apostoli Barnaba, che significa "figlio dell'esortazione", un levita originario di Cipro, padrone di un campo, lo vendette e ne consegnò il ricavato deponendolo ai piedi degli apostoli".

Ci fidiamo degli altri oppure temiamo che la nostra generosità sia scambiata per dabbenaggine?

Si parla di una "moltitudine", ma solo uno viene nominato con nome e soprannome, e questi è Barnaba.
Se il termine "talent-scout" non avesse acquistato una connotazione così frivola e spregiudicata, "cacciatore di talenti" sarebbe la parola giusta per Barnaba. Lui talenti ne aveva, viene descritto in modo lusinghiero "uomo virtuoso, pieno di Spirito Santo e di fede" (At 11,24)

Sappiamo valorizzare i talenti di chi ci è vicino (moglie, figli, ecc.) oppure ci fa più piacere che seguano la nostra strada, condividano le nostre scelte?

Ma il bello di Barnaba è che va sempre a caccia di altri talenti.
Quando sente parlare di Saulo, uomo convertito, va subito a Tarso in cerca di lui (At 11,25). Qui si rende conto che Saulo (poi detto Paolo) ha delle capacità sorprendenti.
È Barnaba comunque che organizza il primo viaggio, è Barnaba che porta con sé Giovanni Marco suo cugino (At 12,25) il quale sarà l’Evangelista Marco.
Durante il curioso episodio in Licaonia (At 14,12) dove volevano adorare Paolo e Barnaba come dei, Barnaba viene creduto "Zeus", il capo degli dei, e Paolo "Hermes", il suo messaggero, perché aveva indubbiamente la parlantina sciolta. Ciò denota che ancora Barnaba era considerato il leader.
Fino al Cap. 13 di Atti si parla di "Barnaba e Paolo", in seguito si incomincerà a parlare di "Paolo e Barnaba".
Barnaba comprende le capacità di Paolo e lo mette in prima fila.

Sappiamo, quando è necessario, fare un passo indietro e riconoscere, senza recriminare, i meriti dell’altro?

Barnaba non è geloso, perché é un uomo generoso e a lui sta bene che Paolo, con i suoi talenti, prenda il sopravvento.
Barnaba scompare dalla circolazione dopo il grande dissidio tra lui e Paolo: "Il dissenso fu tale che si separarono l'uno dall'altro. Barnaba, prendendo con sé Marco, s'imbarcò per Cipro" (At 15,39).
Si trattava di decidere se portare Giovanni Marco nella seconda spedizione.
Barnaba "cacciatore di talenti" sa che Marco ha un potenziale enorme, infatti non solo scriverà il più antico Vangelo, ma sarà un grande evangelizzatore a Roma e in Egitto. Paolo qui ha una visione più limitata, gli sembra che il giovane Marco sia più di impiccio che non di aiuto. Paolo guarda all’efficienza, Barnaba guarda alle potenzialità. La sobrietà è anche una dote di carattere, non mette al primo posto l’utilità e l’efficienza ma la persona e i suoi talenti.

Nel giudicare gli altri in che misura preferiamo l’efficienza trascurando gli specifici talenti delle persone?

Paolo più tardi negli anni riconoscerà che Barnaba aveva ragione e Marco gli sarà "utile", non di impiccio, nel suo apostolato. Bastano le seguenti citazioni per provarlo:
Col 4,10: Vi salutano Aristarco, mio compagno di carcere, e Marco, il cugino di Barnaba, riguardo al quale avete ricevuto istruzioni - se verrà da voi, fategli buona accoglienza -
2Tm 4,11: Solo Luca è con me. Prendi con te Marco e portalo, perché mi sarà utile per il ministero.
Fm 1,24: insieme con Marco, Aristarco, Dema e Luca, miei collaboratori.

Sappiamo riconoscere i nostri errori, le nostre errate valutazioni e porvi rimedio?

È guardando a questi grandi della Bibbia che impariamo come la sobrietà si manifesta anche nella condivisione dei beni e dei talenti, supera la gelosia e l’invidia, e ci mette meglio in armonia con gli altri e con la natura.

21-PER APPROFONDIRE IL TEMA

Libri consigliati:
- Centro Nuovo Modello di Sviluppo, Guida al consumo critico, EMI Edizioni, Bologna 2012.
Il consumo critico consiste nella scelta dei prodotti non solo in base al prezzo e alla qualità, ma anche alla loro storia e al comportamento delle imprese. Scegliere in maniera critica che cosa consumare significa votare ogni volta che facciamo la spesa. Ma per scegliere bisogna informarsi. Perciò questa Guida è la compagna inseparabile del consumatore critico.
- Adriano Sella, Come cambiare il mondo con i nuovi stili di vita, EMI Edizioni, Bologna 2011.
È molto più facile fare assistenzialismo perché non ci richiede di cambiare le nostre abitudini.
Ci mettiamo la coscienza a posto e tutto continua come prima; continuiamo a inquinare, a consumare, a privarci di relazioni umane.
Dobbiamo invece proclamare con forza che i nuovi stili di vita sono figli della giustizia e non vanno a braccetto con l’assistenzialismo.
- Antonella Valer, Bilanci di giustizia, EMI Edizioni, Bologna 2000.
L’esperienza di Bilanci di Giustizia nasce da famiglie che hanno l’obiettivo di diventare "consumatori leggeri", più liberi nei confronti del marcato. Le famiglie che aderiscono attuano scelte di consumo rispettose degli equilibri umani e naturali attraverso l’autoproduzione, la riduzione dei consumi, i consumi "spostati", gli investimenti etici.
- Famiglia domani, Non potete servire due padroni, Editrice Elledici, Leumann (TO), n.4 2011.
Un quadrimestrale, curato dai Centri di preparazione al Matrimonio (CPM), che ogni anno affronta un tema, trattandolo da diverse prospettive. Ogni numero è arricchito da tracce per la revisione di vita, testimonianze, varie rubriche e un dossier di 16 pagine. Lo scorso anno la rivista ha affrontato in chiave familiare il "discorso della montagna", quest’anno il libro di Giobbe.

Segnaliamo inoltre:
- Gianfranco Bologna, Francesco Gesualdi, Andrea Saroldi, Invito alla sobrietà felice, EMI Edizioni, Bologna 2003.
- Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004.
- Giulio Battistella, I Vangeli della Quaresima. La virtù cristiana della sobrietà, Il Segno dei Gabrielli editori, Negarine (VR) 2007.

Testi magisteriali:
- Giovanni Paolo II, Laborem exercens, n.12 1981
Un principio sempre insegnato dalla Chiesa è quello della priorità del "lavoro" nei confronti del "capitale". Questo principio riguarda direttamente il processo stesso di produzione, in cui il lavoro è sempre una causa efficiente primaria, mentre il capitale rimane solo uno strumento o la causa strumentale.
Questo principio è verità evidente che risulta da tutta l'esperienza storica dell'uomo.
- Giovanni Paolo II, Centesimus annus, n.58 1991
Non si tratta solo di dare il superfluo, ma di aiutare interi popoli, che ne sono esclusi o emarginati, ad entrare nel circolo dello sviluppo economico ed umano. Ciò sarà possibile non solo attingendo al superfluo, che il nostro mondo produce in abbondanza, ma soprattutto cambiando gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società.
- Attilio Nicora, vescovo di Verona, La virtù cristiana della sobrietà, n.3 1996
Prima ancora di dare del proprio ai poveri, c'è da mettere in atto uno stile di vita più razionale... Uno stile di vita che persegua il bene di tutti, in particolare dei più deboli, dentro cui soltanto è possibile trovare anche il nostro vero bene... Vero bene che non coincide con il guadagno e il potere, ma con armonie più profonde con se stessi, gli altri, la natura e, soprattutto, con Dio.
- Benedetto XVI, Caritas in veritate, n.32 2009
L'aumento sistemico delle ineguaglianze tra gruppi sociali all'interno di un medesimo Paese... non solamente tende ad erodere la coesione sociale... ma ha anche un impatto negativo sul piano economico, attraverso la progressiva erosione del "capitale sociale", ossia di quell'insieme di relazioni di fiducia, di affidabilità, di rispetto delle regole, indispensabili ad ogni convivenza civile.
- Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, Non stranieri…, p.14 2012
C'è la crisi? Ma il Vangelo è proprio per i tempi di crisi: viverlo ti fa trovare una speranza, viverlo coi poveri apre la strada alla speranza anche per te. Non avere paura di perderti: hai tutto da guadagnare. Sarà più bella la tua vita, non solo quella dei Rom e dei Sinti, ma anche la tua, quella della tua famiglia, dei tuoi amici... E sarà Gesù in mezzo a noi a renderla più bella.

22-LA SOBRIETÀ E I GRUPPI PARROCCHIALI
Il Gruppo Famiglia può essere uno strumento valido per conoscere, praticare e promuovere nuovi stili di vita

di Attilio Nicora*
La sobrietà di vita scelta in ambito familiare non può sussistere se non è sorretta da una "povertà di spirito", cioè dalla coscienza dei propri limiti e della necessità del sostegno del gruppo, per poter continuare nell'impegno assunto.
Siamo troppo esposti alla corrosione prodotta dalla mentalità dominante, consumista e arrivista, per poter resistere a lungo in solitudine.
Se questo è vero per i singoli è ancora più vero per le famiglie, perché difficilmente i figli seguiranno i genitori se non vedranno la sobrietà di questi condivisa e praticata anche da altre famiglie e coetanei amici.

Sostenersi in gruppo
Il primo passo da fare in parrocchia è la costituzione di un piccolo gruppo (due, tre famiglie o sei, sette persone) che comincia a riunirsi e interrogarsi su queste tematiche.
Della promozione dell'iniziativa potrebbe farsi carico la Caritas parrocchiale, rivolgendosi in particolare alle persone già sensibili a queste tematiche.
Può darsi che in parrocchia già esista un gruppetto che lavora in questa ottica; si tratta di accoglierlo ed investirlo di responsabilità parrocchiali di sensibilizzazione.
È bene che l'intero Consiglio Pastorale tratti del problema per valutare e programmare insieme.

Come maturare esperienza
Il primo lavoro del gruppo è uno scambio di esperienze e una ricerca sul territorio di quelle realtà umane che già vivono la sobrietà. Da esse, infatti, si possono imparare nuovi o "vecchi" stili di vita.
In primo luogo i poveri, costretti alla sobrietà. Poi gli anziani, che conservano abitudini o ricordi di un passato in cui l'austerità era una prassi sociale di massa (dallo spegnere la luce quando si esce da una stanza, al riutilizzo dei cibi non consumati, ecc.).
Anche le comunità religiose, che hanno fatto il voto di povertà, dovrebbero essere modelli da prendere in considerazione.
Sarà bene che, per crescere in consapevolezza e competenza, il gruppo prenda contatto con tutti i movimenti, associazioni ed istituzioni locali che già lavorano in questo campo e possono segnalare preziose esperienze.
La competenza dei singoli membri del gruppo cresce anche leggendo libri e partecipando ad incontri e convegni specifici, o seguendo la stampa specializzata.
Gradatamente si potrebbe costituire un piccolo centro di documentazione soprattutto nelle parrocchie meglio organizzate.

Un impegno comunitario
Nella misura in cui il gruppo matura in consapevolezza, competenza ed esperienza, la Caritas parrocchiale passerà a proporre questo impegno a tutta la comunità, programmando con il Consiglio pastorale iniziative concrete, come conferenze, giornate di studio, vendita dei prodotti del "commercio equo e solidale", ecc.. Le stesse attività economiche parrocchiali potrebbero forse diventare più sobrie e razionali.
* Liberamente tratto dalla Lettera Pastorale dell’autore, allora vescovo di Verona, per la quaresima 1996

23-NOTIZIE IN BREVE

SANTO NATALE 2012
Una luce si è levata per il giusto,
gioia per i retti di cuore.
Rallegratevi giusti, nel Signore,
rendete grazie al suo santo nome.
Oggi è nato per noi un salvatore che è il Cristo Signore.

Raccontando i campi estivi
In questi mesi, in collaborazione con tutti coloro che organizzano e gestiscono i campi estivi, stiamo preparando un sussidio sui campi.
Ci auguriamo che possa essere uno strumento utile per tutti coloro che vorranno seguire il nostro modello di campo. Il testo, infatti, fornisce preziose indicazioni su:
• come prepararli,
• come condurli,
• come animarli,
• come gestirli.
Il sussidio, realizzato in collaborazione con il Centro Servizi per il Volontariato VSSP di Torino, sarà inviato, tra aprile e maggio del prossimo anno, a tutti coloro che sostengono la rivista.

I TEMI della rivista PER IL PROSSIMO ANNO
Nel 2013 tratteremo, salvo imprevisti, nei quattro numeri della rivista i seguenti temi:
• Media e famiglia: come sviluppare in famiglia un’educazione ai media.
• I verbi della vita familiare: amare, educare, condividere, pregare.
• La famiglia di fronte al dolore e alla sofferenza.
• Famiglia: speranza e futuro per la società italiana (in via di definizione).

AVVISO IMPORTANTE
Questo è l’ultimo numero della rivista che viene inviato a tutti coloro che hanno sostenuto la rivista per l’ultima volta nell’anno 2009. Lo stesso vale per quanti ricevono la rivista in promozione dal 2010.
Vi invitiamo, per non perdere nessun numero, a sostenere la rivista utilizzando il modulo di Conto Corrente Postale allegato.
In caso contrario, pur continuando a tenere il vostro nominativo nell’indirizzario, ci vedremo costretti, per ragioni economiche, ad inviarvi un solo numero l’anno.

www.gruppifamiglia.it
Nel numero on-line della rivista troverete tutti gli articoli con i link per gli approfondimenti e in più:
• La dittatura della finanza: abbiamo tradito il Vangelo? (Alex Zanotelli)
• La virtù antica della sobrietà (Vincenzo Salemi)
• La sobrietà in famiglia (Lella e Corrado)
• Testimonianze sui nuovi stili di vita (AA.VV.)

24-UN PO’ DI CONTI
Il bilancio dell’associazione Formazione e famiglia è in rosso!
Ma noi proseguiamo nel nostro impegno contando sulla vostra generosità

Qualche anno fa, era il 2009, abbiamo chiuso l’anno con un fondo cassa di oltre 10.000 Euro.
Onestamente era troppo per un’associazione di volontariato il cui scopo non è fare utile ma sviluppare quelli che sono i suoi contenuti statutari: nel nostro caso le famiglie e la promozione dei gruppi di mutuo aiuto familiari.
Così abbiamo utilizzato il fondo cassa per migliorare in primo luogo la qualità del rapporto con voi lettori: abbiamo iniziato a stampare la rivista a colori, stabilizzandoci sulle 24 pagine.
Inoltre, nel corso del 2010 abbiamo organizzato "dignitosamente" il ventennale della rivista, abbiamo rimborsato parte delle spese sostenute dai volontari per alcune "trasferte" di servizio e sostenuto i campi estivi; nel corso del 2011 abbiamo continuato su questa linea riducendo sempre più il fondo cassa.
Il preventivo 2012 che avevamo stilato a inizio anno prevedeva comunque, pur chiudendo in passivo, un fondo cassa residuo di 2000 euro.
Ora, a fine novembre, la cassa è invece a zero.
Cosa è successo? Due cose importanti: non abbiamo ancora incassato i contributi liberali previsti a bilancio (-2000 euro) né lo Stato ci ha erogato la quota del 5x1000 del 2011, frutto delle vostre firme (-2000 euro).
La conseguenza è che questo numero esce senza una preventiva copertura economica.
Vi chiediamo quindi di rinnovare con sollecitudine e generosità il vostro sostegno alla rivista. Lo potete fare usando il CCP allegato o tramite bonifico bancario, utilizzando il codice IBAN riportato sul bollettino.
Da parte nostra vi garantiamo il massimo impegno a contenere le spese senza far venir meno la qualità tecnica e contenutistica della rivista.
Un caro saluto e buon Natale del Signore a voi tutti!
Noris Bottin, presidente dell’Associazione Formazione e famiglia

25-PER CONCLUDERE

E ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che cadranno su di voi!
Le vostre ricchezze sono marce, i vostri vestiti sono mangiati dalle tarme.
Il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si alzerà ad accusarvi e divorerà le vostre carni come un fuoco.
Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni!
Ecco, il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte agli orecchi del Signore onnipotente.
Sulla terra avete vissuto in mezzo a piaceri e delizie, e vi siete ingrassati per il giorno della strage.
Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non vi ha opposto resistenza.
(Gc 5,1-6)

GF79 Extra

A-LA DITTATURA DELLA FINANZA: ABBIAMO TRADITO IL VANGELO?

di Alex Zanotelli
Sento l’urgenza di condividere con voi una riflessione sulla ‘tempesta finanziaria’ che sta scuotendo l’Europa, rimettendo tutto in discussione: diritti, democrazia, lavoro….In più arricchendo sempre di più pochi a scapito dei molti impoveriti.
Una tempesta che rivela finalmente il vero volto del nostro Sistema: la dittatura della finanza.

Il Finanzcapitalismo
L’Europa come l’Italia è prigioniera di banche e banchieri. È il trionfo della finanza o meglio del Finanzcapitalismo come lo definisce Luciano Gallino. Estrarre valore è la parola chiave del Finanzcapitalismo che si contrappone al produrre valore del capitalismo industriale, che abbiamo conosciuto nel dopoguerra. È un cambiamento radicale del Sistema!
Il cuore del nuovo Sistema è il Denaro che produce Denaro e poi ancora Denaro.
Un Sistema basato sull’azzardo morale, sull’irresponsabilità del capitale, sul debito che genera debito.
È la cosidetta "Finanza creativa" , con i suoi ‘pacchetti tossici’ dai nomi più strani (sub-prime, derivati, futuri, hedge-funds…) che hanno portato a questa immensa bolla speculativa che si aggira, secondo gli esperti, sul milione di miliardi di dollari!
Mentre il PIL mondiale si aggira sui sessantamila miliardi di dollari. Un abisso separa quei due mondi: il reale e lo speculativo. La finanza non corrisponde più all’economia reale. È la finanziarizzazione dell’economia.
Per di più le operazioni finanziarie sono ormai compiute non da esseri umani, ma da algoritmi, cioè da cervelloni elettronici che, nel giro di secondi, rispondono alle notizie dei mercati.
Nel 2009 queste operazioni, che si concludono nel giro di pochi secondi, senza alcun rapporto con l’economia reale, sono aumentate del 60% del totale.
L’import-export di beni e servizi nel mondo è stimato intorno ai 15.000 miliardi di dollari l’anno. Il mercato delle valute ha superato i 4.000 miliardi al giorno: circolano più soldi in quattro giorni sui mercati finanziari che in un anno nell’economia reale.
È come dire che oltre il 90% degli scambi valutari è pura speculazione.

Speculazione e Vangelo
Penso che tutto questo cozza radicalmente con la tradizione delle scritture ebraiche radicalizzate da Gesù di Nazareth. Un insegnamento, quello di Gesù, che, uno dei nostri migliori moralisti, don Enrico Chiavacci, nel suo volume Teologia morale e vita economica, riassume in due comandamenti, validi per ogni discepolo: "Cerca di non arricchirti " e "Se hai, hai per condividere."
Da questi due comandamenti Chiavacci ricava due divieti etici: "divieto di ogni attività economica di tipo esclusivamente speculativo" come giocare in borsa con la variante della speculazione valutaria e "divieto di contratto aleatorio".
Noi cristiani d’Occidente dobbiamo chiederci cosa ne abbiamo fatto di questo insegnamento di Gesù in campo economico-finanziario.
Forse ha ragione il gesuita p. John Haughey quando afferma: "Noi occidentali leggiamo il vangelo come se non avessimo soldi e usiamo i soldi come se non conoscessimo nulla del Vangelo".
Dobbiamo ammettere che abbiamo tradito il Vangelo, dimenticando la radicalità dell’insegnamento di Gesù: parole come "Dio o Mammona", o il comando al ricco: "Và, vendi quello che hai e dallo ai poveri".
In un contesto storico come il nostro, dove Mammona è diventato il dio-mercato, le chiese, eredi di una parola forte di Gesù, devono iniziare a proclamarla senza paura e senza sconti nelle assemblee liturgiche come sulla pubblica piazza.
L’attuale crisi finanziaria "ha rivelato comportamenti di egoismo, di cupidigia collettiva e di accaparramento di beni su grande scala - così afferma il recente Documento del Pontificio Consiglio di Giustizia e Pace ( Per una riforma del Sistema finanziario e monetario internazionale). Nessuno può rassegnarsi a vedere l’uomo vivere come ‘homo homini lupus’ ".
Per questo è necessario passare, da parte delle comunità cristiane, dalle parole ai fatti, alle scelte concrete, alla prassi quotidiana: "Non chiunque mi dice: ‘Signore, Signore’ entrerà nel Regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio" (Matteo, 7,21).
Sintesi della redazione

A livello personale ogni cristiano ha il dovere morale di controllare:
- in quale banca ha depositato i propri risparmi;
- se è una "banca armata", cioè investe soldi in armi;
- se partecipa al grande casinò della speculazione finanziaria;
- se ha filiali in qualche paradiso fiscale;
- se ottiene i profitti da ‘derivati’ o altri ‘pacchetti tossici’.

B-SOBRIETA': VIRTU' ANTICA E NUOVI STILI DI VITA

di Vincenzo Salemi IMC
Ho finito di leggere, per la terza volta l’ "utopia" di Tommaso Moro, un libretto prezioso che anche il Moro ha curato a lungo e lo riteneva molto importante. Alla fine pubblicato da Erasmo da Rotterdam, caro amico e collaboratore di Tommaso Moro.
Perché dico questo? Perché in un recente programma di successo diretto da Fabio Fazio e Roberto Saviano si parlava di "quello che (non) ho".
Anche Tommaso Moro nella sua arguzia tutta inglese, con un’ironia non velata, e con molte questioni da proporre alla considerazione dei politici e magistrati, ci scrive di quello che non abbiamo, ma che potremmo avere, o perlomeno se potrebbe parlare.
L’Utopia fu pubblicata nel 1516 in un Latino molto elegante, un anno prima che Lutero pubblicasse le sue 95 tesi a Wittemberg. Moro ci presenta quest’isola che non c’e` (UTOPIA) dove il fiume è Anidro (non ha acqua) dove i capi sono sono "non-capi": un mondo alla rovescia diremmo noi.
Da fervente cattolico e Santo, Moro capisce che il Vangelo ci presenta un Mondo alla Rovescia, ma lui vuole raccontancelo in modo divertente e fantasioso in un’isola che non c’è.
Qual’è la parola chiave per leggere l’Utopia? La Sobrietà!
S. Agostino aveva detto che la sobrietà e l’ancella dell’intelligenza.
Per Gesù oserei dire che la Sobrietà è piuttosto l’ancella della "prudenza". Le due affermazioni si completano.
Qual’è la grande sfida che Moro (d’accordo con Erasmo) fa alla società dei suoi tempi?
Sogna una società solidale e umana, che mette i valori al proprio posto.
Oro e argento a che cosa servono, ... per essere nascosti e far guerre per conquistarli? Tanto vale usarli come metalli comuni.
Che senso ha una Religione ( e quella Cristiana in particolare, come Moro descrive in uno spiacevole episodio di un cristiano fanatico e intollerante) se non forma una persona al rispetto degli altri? Se non dà valore alla dignità umana?
La Sobrietà di Moro sta tutta nella tolleranza, umanità, compassione: uno stile di vita secondo natura, semplice ma felice allo stesso tempo è quello degli Utopiani.
Gente che sa anche fare la guerra se è proprio necessario, ma ha misericordia dei vinti, quella Pietas che poi li spinge ad aiutare anche i "nemici".
Ci sono passi interessanti che propongono temi attualissimi come l’eutanasia e il servizio militare delle donne. Moro mostra come ideale non solo la sobrietà nello stile di vita degli utopiani, ma è aperto e tollerante e pronto a discutere tutto, purché sia per il bene dell’individuo e il bene comune.
Quanti hanno preso in giro l’ "utopia" che poi in lingua corrente è diventato sinonimo di un sogno impossibile per quanto bello!
Eppure Gesù nel Vangelo ci presenta un sogno, possibilissimo e bello allo stesso tempo.
Andando contro corrente ci dice che beati sono i poveri di spirito e i miti, quelli che non si impongono con arroganza e prepotenza, ma fanno valere la propria personalità con la virtù, con l’onestà, con la loro umanità e la fiducia in Dio.
Sempre contro corrente Gesù ci dice che i puri di cuori vedranno Dio, perché i puri di cuore sono onesti con se stessi, con gli altri e con Dio. Quanto è difficile comprendere oggi questa virtù tanto amata dai profeti e dai salmi.
San Paolo ne fa uno splendido riassunto a Timoteo per descrivere lo scopo della Catechesi (riportato sia nel Catechismo della Chiesa Cattolica che in quello di Trento). Traduco letteralmente da:1 Tim 1:5
Lo scopo dell’annuncio (della catechesi) è la bontà, che nasce da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera (non ipocrita).
(La parola "sincera" e` latina, significa "sine cera" la cera che usavano gli attori per fare le maschere. Dire "sii sincero" significa: togliti la maschera, non fare l’attore, mostrati per quel che sei. In greco S. Paolo usa la Parola anypocrite, che è lo stesso "non-ipocrita cioé sincero".)
E poi sono beati i costruttori di pace, che non possono fare la pace andando in guerra, ma che operano da miti e non violenti dal di dentro della società, per trasformarla in una famiglia solidale e attenta a tutti, proprio tutti.
La parola Sobrietà nel Nuovo Testamento può essere traduzione di nefo, verbo che si riferisce quasi esclusivamente dalla sobrietà di chi non beve alcolici e non usa sostanze stupefacenti. C’è un’altra parola nei vangeli che mi è più simpatica: "sofrosune" che in greco significa sobrietà, ma anche prudenza e industriosità. Perché nel vangelo vanno tutte assieme. Sono sobrie perciò le vergini "prudenti" perché hanno saputo calcolare bene l’olio di cui avevano bisogno. Nel vangelo mancano di sobrietà quelle stolte, che si sono mosse senza pensare al futuro.
È sobrio addirittura il servo scaltro, che certo non è lodato per aver imbrogliato il suo padrone, ma ha saputo fare bene i suoi calcoli. Gesù loda la una sobrietà che è industriosa, capace di guardare un po’ più la del proprio naso. Se chi fa il male (il servo scaltro) è capace di questo, tanto più chi vuole fare il bene.
La sobrietà evangelica richiede impegno, fare bene i propri calcoli per il Regno di Dio e la sua Giustizia.
Sobrietà è una virtù che ci invita ad uno stile di vita semplice, fiducioso nella provvidenza, ma prudente e industrioso. Sobrietà è la virtù di chi non vuole distruggere gli altri o la natura che ci circonda per soddisfare desideri inutili e frivoli. La natura è dono di Dio e se noi la maltrattiamo si ribella. Francesco Bacone diceva "naturae non imperatur nisi paretur" (alla natura non si comanda se non le si obbedisce). Anche questa è sobrietà.
Sobrietà è essere attivamente coinvolti nella società per il bene comune e di tutti gli individui. Gesù condanna chi ha nascosto il suo talento.
Sobrietà richiede più sforzo e più impegno che lo spreco, ma dà più gioia.
Lo spreco è fondamentalmente pigrizia, la sobrietà ci tiene svegli e attivi per non finir male noi e con noi gli altri.
La Sobrietà come stile di vita alla fine è a tutto nostro vantaggio, perché se mi do da fare per il bene comune, vivrò meglio anch’io.

C-LA SOBRIETÀ IN FAMIGLIA

di Lella e Corrado
"Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza". In queste poche righe del vangelo di Giovanni c‘è la sintesi delle motivazioni che ci spingono a "cercare" di orientare il nostro stile di vita a scelte giuste e fraterne con l’uomo e con l’ambiente.
Non vogliamo tirare la parola del Signore dalla nostra parte, interpretandola magari in modo sbagliato. Però questa semplice frase ci porta a pensare che la vita, di per sé, non è sufficiente, per essere tale deve essere "in abbondanza".
Non sappiamo cosa intendesse Gesù con "abbondanza", a noi piace dargli il significato di pienezza di gioia, di felicità che, a nostro avviso, si realizza in presenza di giustizia, di amore e di pace.
Abbiamo volutamente messo tra virgolette il verbo cercare, perché come nella vita di fede la santità è la meta che si cerca di raggiungere attuando piccole scelte una dopo l’altra, così anche questo desiderio di giustizia, di pace e salvaguardia del creato, lo vediamo come meta da costruire insieme giorno per giorno.
Vorremmo dire due parole sul significato che diamo agli aggettivi giusto e fraterno, aggettivi che accompagnano spesso il termine stile di vita. Noi vorremmo rileggerli in un linguaggio evangelico. Giusto ovvero orientato a Dio, che corrisponde alla Sua volontà e fraterno per sottolineare la relazione tra le creature (e il creato) con il Creatore.
Un missionario una volta ci fece notare che i racconti nella Bibbia iniziano in un Giardino, dove il creatore aveva collocato tutto in modo armonioso e giusto e si concludono nell’Apocalisse in una città con al centro l’albero della vita dove di nuovo è stata ritrovata quella pace perduta, quasi ad invitare il lettore a sentirsi chiamato/spinto a darsi da fare perché nelle nostre città si ritrovi quella pace, quella giustizia divina in cui si realizza il regno di Dio: essere tutti felici!
Ma se con uno sguardo fraterno oggi si osserva quello che succede al nostro vicino di casa, come alla persona geograficamente più lontana da noi, ci si accorge che quell’abbondanza di cui parla il Signore, non è alla portata di tutti, e se lo sguardo si fa’ sempre più attento, più informato, più partecipe, più consapevole, ci si rende conto che la nostra abbondanza ha a che vedere con l’indigenza dell’altro.
L’altro che con gli occhi della fede, non è "altro e basta", ma è mio fratello.
Allora questa cosa comincia a non lasciarti in pace,… perché tutto quello che avrete fatto ai più piccoli, l’avrete fatto a me….Allora in realtà il nuovo stile di vita dal nostro punto di vista, altro non è che un cercare di rendere "nuovo il proprio cuore". Come?

Come rendere nuovo il nostro cuore
Per prima cosa, non perdere mai il contatto con il motore, l’anima di questo cambiamento: la parola di Dio. E’ da qui che parte il senso di quel che si fa’ e li arrivano i vissuti quotidiani che necessitano di un orientamento.
Ovviamente non deve mancare l’informazione e il confronto con gli altri. Per noi è importante pensare al plurale, pensare a noi famiglia inserita in una comunità cristiana, in una società civile.
Alcune scelte si concretizzano dopo che ci si è informati (ci si è resi conto come le ingiustizie serpeggiano in varie parti del mondo vicino e lontano a noi). Il confronto tra noi (marito e moglie) e gli altri è poi fondamentale per arricchire la comprensione delle diverse situazioni e per trovare soluzioni alternative.
Le possibilità di incontrarsi a volte vengono gratuite (i figli in questo sono un grande aiuto: scuola, sport, parrocchia), a volte bisogna crearle, spingerci fuori di casa per informarsi e pensare insieme.
I Gruppi di acquisto solidale, la Banca Etica, il commercio equo e solidale, gli acquisti a "km zero", il rispetto dell'ambiente (come ad esempio la raccolta differenziata, le lampade a basso consumo, l’agricoltura biologica), il riuso di beni durevoli (per esempio scambio di abiti, scarpe, ecc. tra famiglie), lo scambio di beni autoprodotti (torte, marmellate, verdure), i bilanci di giustizia, l’acquisto di prodotti di aziende che non sfruttano i lavoratori e rispettano l'ambiente, la Banca del tempo, etc si collocano come delle possibili soluzioni, delle possibili strade da seguire.
Certamente non le uniche. Facilmente replicabili? Boh! A giudicare dall’evoluzione che hanno avuto queste proposte, o per lo meno alcune di esse, potremmo dire di si.
Dal nostro punto di vista, forse, valgono più come testimonianza sulla possibilità di fare scelte in modo diverso, che come modo strategico per cambiare il sistema che governa la società (anche se comunque muovono l’economia, quella reale fatta di prodotti, scambi, lavoratori, commercianti ed acquirenti).
Per cambiare il cosiddetto sistema, occorre cambiare il cuore di chi ci governa… ma non vogliamo addentrarci in riflessioni così ardue, almeno per noi.
Cominciamo a cambiare il nostro cuore perché questo contagi chi ci è vicino creando partecipazione, altra impresa non facile perché ci si scontra con una tessuto sociale che si è sfilacciato (tra diffidenza, indifferenza ed individualismo, atteggiamenti comunque comprensibili se ci soffermiamo sui fatti di cronaca e sulle crisi economica, spinti da un sistema che ti spinge a pensare al tuo orticello e a difenderlo).
Vero anche che l’idea di comunità, di fare per il bene comune, è un po’ in crisi. Queste piccole esperienze quotidiane di acquisti collettivi e pensati nella loro totalità di filiera- dal dove sono prodotti, da come sono prodotti, da chi vengono prodotti e perché - diventano pedagogici per riappropriarsi del valore della comunità e del suo territorio e della democrazia.

Il valore della comunità
Facile? No!! La vita di tutti giorni, mette diversi ostacoli alla realizzazione di questo ideale. Alcuni sono ostacoli pratici: il tempo che occorre dedicare, il doversi confrontare, il costo che a volte hanno questi prodotti… (qui sarebbe opportuno aprire una parentesi….forse un po’ retorica, ma che occorre ricordare. Il low cost spesso nasconde "costi occulti" che apparentemente non si pagano ma che di fatto esistono e che in un modo o nell’altro "qualcuno paga". Questo qualcuno a volte è l’ambiente perché si usano materie prime a basso costo, ma ad altissimo impatto ambientale (es. olio di palma… fateci caso tra gli ingredienti di alimenti e di cosmetici, indicato anche come olio vegetale); altre volte questo qualcuno è un lavoratore che riceve uno stipendio non adeguato (come ad esempio gli stagionali nella raccolta della frutta e della verdura) che per arrivare a fine mese si appoggia ai servizi sociali del proprio comune che copre la sua richiesta con le tasse dei contribuenti).
Ci sono poi altri tipi di ostacoli, ad esempio, il trasmettere questi valori ai propri figli. Non è semplice perché vivono nel mondo del tutto disponibile, del "mi piace, lo voglio" quindi " me lo compri?".
Non è un giudizio che facciamo alla società come entità astratta con la quale prendersela, ma che facciamo a noi stessi. Noi siamo parte di questa logica e spesso giustifichiamo le nostre debolezze rivendicando l’impossibilità di fare diversamente perché non vediamo altra soluzione.
E così anche la vita dei nostri figli, come la nostra, pian piano è sommersa di cose, di oggetti che valgono "oggi" perché domani è emerso già il bisogno di altro. E così si accumula, poi l’accumulo diventa pesante da gestire in casa perché lo spazio è quello che è, allora si trova il modo di "liberarsi" delle cose vecchie per far posto a quelle nuove che però diventeranno vecchie nel giro di poco tempo...e così via senza rendersi conto che l’accumulo di cui ci è liberati è di fatto uno spreco. Uno spreco non solo di soldi, ma anche di risorse naturali e se trasformiamo quei soldi in ore di lavoro, ci accorgiamo che l’accumulo è anche uno spreco di tempo.
E allora la domanda vera è: ma davvero tutte queste cose ci rendono felici, rappresentano un elemento di quell’abbondanza di cui si parla nel vangelo di Marco?
Anche in questo caso non abbiamo risposte, ma semplicemente la nostra piccola esperienza. Se pensiamo a perché siamo felici, di sicuro (ma come crediamo risponderebbe la maggior parte della gente) non è certo per quel che abbiamo negli armadi o per la macchina che abbiamo in garage o per quello che mangiamo.
Certo che se non disponessimo di questi beni non sarebbe così tranquilla la vita. Ma i ricordi felici che abbiamo come famiglia sono associati al tempo che trascorriamo insieme, alle emozioni di alcuni avvenimenti che segnano lo scorrere di una normale vita famigliare: i matrimoni, i compleanni, i primi giorni a scuola…etc…momenti in cui "c’erano molti beni" ma questi acquistano valore perché sono condivisi.
Chiudiamo questa riflessione con uno slogan che possiamo trovare digitando semplicemente Banca Etica in Google: "l’interesse più alto è quello di tutti". Una bella sfida che anche Gesù ci ha proposto un bel po’ di anni fa’: "Ama il prossimo tuo come te stesso"!

D-L’economia in famiglia: stile di vita evangelico

di Giampietro Parolin e Elisa Golin

Introduzione
Economia significa in greco governo, amministrazione della casa, per esprimere l’arte di tenere in buon funzionamento la vita della casa e della famiglia. Per tanti secoli l’economia è rimasta una faccenda domestica, cioè parlare di economia significava parlare soltanto di casa, di amministrazione famigliare.
Oggi più che mai l’economia ha assunto connotati pubblici diventando sinonimo di mercato, di competizione, di concorrenza, e sembra aver a che fare con la famiglia soprattutto per la forza di condizionamento che dall’esterno incide sulle dinamiche interne della vita familiare.
Si tratta di quel portato di valori e principi di funzionamento del mondo economico, che se nel mercato ed entro certi limiti hanno un senso positivo, rischiano di essere distorsivi e non più così positivi quando vengono applicati ad altre sfere - alla società, alla politica e alla famiglia-.
Questo fenomeno di invasione dell’economia di mercato in ambiti non propri va sotto il nome di "società di mercato". Cioè i valori del mercato vanno a sostituirsi e a sovrapporsi ai valori della vita civile e familiare dove tipicamente non dovrebbe vigere una logica contrattualistica. Ecco che nel civile il voto diventa uno scambio, e nel familiare si usano forme di contrattazione sugli spazi, sui tempi, oltre che sui beni.
Per fare un altro esempio possiamo considerare come il principio di concorrenza stia entrando nella vita delle famiglie stesse: lo vediamo quando come genitori, pensando di fare un buon servizio ai figli, perché abbiano in un domani una buona posizione, più che la logica del dono, insegniamo loro solo la logica della competizione, e li incentiviamo a competere a scuola come nello sport.
La stessa logica della competizione si estende anche sul consumo di beni di status, che servono a marcare le differenze sociali e creare forme di frustrazione in chi partecipa ma non vince questa competizione consumistica, oltre a creare altrettanta solitudine nei vincitori (una vecchia pubblicità diceva "il successo ha un sapore amaro").
In questo contesto la famiglia sempre più coinvolta, interessata, inondata dal mercato sembra diventare un oggetto (o un soggetto passivo se vogliamo) delle scelte economiche operate all’esterno di essa.
Il tutto avviene in un tempo in cui la stessa scienza economica sta ripensando i propri assunti e non solo per effetto della presente crisi. Ci riferiamo in particolare a tutto quel filone ventennale di studi su economia e felicità che dimostra quanto oltre certi livelli il consumo e la crescita materiale possano addirittura diventare un ostacolo alla felicità delle persone (il c.d. paradosso della felicità).
Oggi proviamo a vedere come, anche riprendendo alcuni spunti evangelici, la famiglia possa tornare ad essere soggetto economico, incidente nel mercato, potenziale motore di rinnovamento dello stesso sistema economico.
Guardiamo i due lati domanda e offerta e vediamo cosa può significare la famiglia come soggetto economico.
Iniziando da quello forse più scontato, il lato della domanda la famiglia è un agenzia di consumo e risparmio.

la famiglia "agenzia" di consumo e di risparmio
Un primo passo che riconosce la famiglia come "soggetto economico", immediato e sotto gli occhi di tutti, consiste nel guardare alla famiglia come principale "agenzia" di consumo: per quanto la famiglia stia attraversando una fase di transizione, e per quanto le tipologie di famiglia cambino molto in base alle culture, è fuori dubbio che la famiglia sia un importante soggetto nelle scelte di consumo, e quindi dell’economia di un paese.
Quando nasce una famiglia, quando due sposi cominciano una vita insieme, uno dei primi aspetti di realizzazione del loro progetto di vita si gioca sulle scelte economiche: dallo stile del matrimonio, della loro casa, dall’investimento su cerimonia e festa di nozze, alle scelte sui doni, sino alla gestione degli stipendi e dei ruoli professionali…

Quando abbiamo deciso di sposarci non avevamo molte risorse economiche disponibili, perché lavoravamo entrambi da poco e da pochi mesi Elisa si era laureata.
Anche se l’appartamento che avevamo trovato in affitto era vuoto, abbiamo deciso di non fare lista di nozze, perchè ciascuno fosse libero di esprimersi nel suo dono, e ci siamo ritrovati, a pochi giorni dalla cerimonia, ad avere tutto, senza doppioni, era arrivato anche un piccolo presepe per la nostra famiglia.
Avevamo pochi soldi, ma tanti amici, con tanti bambini, e desideravamo far festa con tutti, e che nessuno fosse escluso da questo momento importante e di gioia.
Così abbiamo trovato un grande porticato in campagna, con le nostre famiglie abbiamo sistemato e abbellito, organizzando una cerimonia semplice e una vera e propria festa in famiglia, poco più di un pic nic, acquistando direttamente i prodotti per il buffet, chiedendo di fare da camerieri ad un gruppo di giovani che stava sostenendo un progetto per lo sviluppo del Sahel.. alla fine siamo arrivati a contarci in 430, ma forse eravamo di più, e anche chi in un primo momento si era scandalizzato per lo stile della festa si è lasciato pian piano coinvolgere dalla gioia di stare insieme.

Con l’arrivo dei figli poi questo nuovo soggetto economico effettua scelte per conto di altri, consente a consumatori senza reddito di poter acquistare beni e servizi, diventa un’istituzione che ridistribuisce reddito e potere di acquisto: normalmente solo alcuni membri della famiglia percepiscono reddito, ma tutti, in varia misura, consumano.
Ancora, la famiglia è un importante centro di risparmio: destina parte dei redditi correnti ai consumi futuri dei membri della famiglia (soggetti anziani oggi, bambini domani …).
Se è vero che la famiglia è il luogo in cui avvengono importanti scelte di consumo e di risparmio, è anche vero che famiglia è il principale luogo dove si forma la cultura del consumo e del risparmio, gli stili di vita nel consumo e nel risparmio.
Ne derivano due tipi di conseguenze, che sono prima culturali e poi di traduzione concreta.
A livello culturale si tratta di andare a confrontarsi con i valori e i principi culturali che orientano la nostra vita, per fondare su di essi anche la nostra gestione economica.
I ricchi non hanno vita facile nel Vangelo, il che ci suggerisce l’opportunità di confrontarci con un primo tema nelle nostre scelte di consumo e di risparmio, la sobrietà: è la sobrietà infatti che fa sì che il consumo non si trasformi in consumismo, e che il risparmio sia vissuto nella generosità e nella fiducia verso l’(A)altro.
Ne consegue la possibilità di dare un diverso peso ai bisogni, rivendendo l’idea di essenziale e di superfluo, superando le imposizioni sociali e culturali della logica consumistica.
Sobrietà, allora, vuol dire prima di tutto discernere sul significato e sul valore dei beni, perché essi siano sempre strumenti per favorire le relazioni tra le persone e per rispondere positivamente ai bisogni degli esseri umani piuttosto che mezzi per prevalere, per competere, per affermare il valore di sé.
Significa anche prendersi la chance – che è anche prendersi il tempo e la briga – di conoscere la storia dei beni che acquistiamo, ciò che è successo prima e succederà dopo averli portati a casa.
Ci sono beni che raccontano storie di ingiustizie, di sfruttamento, sono frutto di lavoro minorile, ma anche beni che derivano da una catena di impegno equo e dignitoso.
Così come ci sono beni il cui costo ambientale (cioè il consumo di risorse naturali) sia in fase di produzione che di smaltimento è terribilmente alto.
Se siamo chiamati a prestare maggiore attenzione a cosa consumiamo tenendo conto di dove è prodotto, con quali modalità, con quali conseguenze sociali e ambientali, possiamo scoprire la forza e il peso delle nostre scelte valoriali e delle loro ricadute.
Pensiamo come, grazie a certi movimenti culturali, stia cambiando il modo di produrre.
In Inghilterra ad esempio, ormai non si vende più il tonno se nelle scatolette non è scritto "noi mentre catturiamo i tonni non uccidiamo i delfini". Dopo 30, 40 anni di attività di movimenti ecologisti, questa cultura ha "costretto" o sta costringendo i produttori di tonno a orientare la loro produzione in modo diverso.
In Danimarca molte famiglie che acquistano a un prezzo più alto l’energia elettrica se sanno che quell’energia elettrica non inquina. Quell’energia elettrica è esattamente uguale a quella che viene dalla centrale che inquina, quindi non è perché il prodotto è un po’ migliore. E’ lo stesso tipo di energia che arriva dentro casa, però per il solo fatto che quell’energia è prodotta senza inquinare, viene acquistata anche pagando un po’ di più.
Questo per dire la forza che ha la cultura.
Se siamo consapevoli che quando acquistiamo un prodotto al supermercato, diamo un voto a un’azienda, ai suoi valori, al modo di trattare i lavoratori e l’ambiente, o di tutelare la nostra salute, votiamo l’idea di famiglia o di infanzia che trasmette nei suoi messaggi pubblicitari,… allora è evidente che possiamo decidere comprando o meno un prodotto, se sostenere un modo o un altro di fare impresa.
Su questa crescita culturale e di consapevolezza si gioca la possibilità, come famiglie, di condizionare la vita delle imprese.
È una crescita che si condivide e matura dentro le famiglie, anche con i figli, perchè il luogo dove si formano gli stili di vita è la famiglia.
Insieme ad una cultura di pace, o al valore dell’impegno, all’uso critico e consapevole della televisione è altrettanto importante che come genitori possiamo trasmettere ai nostri figli una cultura della sobrietà, perché possano sperimentare che ogni nostra scelta di consumo è mirata e necessaria, che quando ci accompagnano al supermercato non guardiamo solo il prezzo nell’acquisto dei prodotti, ma anche dove è prodotto, come… così come che decidiamo insieme di non acquistare più un prodotto perché inquina l’ambiente.
Potranno allora essere davvero motivati a sapere se il pallone con cui giocano, o il cacao che arriva nelle loro tazze, "incorporano" sfruttamento o rispetto di altri esseri umani.
Su questo fronte l’esperienza delle famiglie del movimento "Beati i Costruttori di Pace", che redigono i "bilanci" di giustizia, è stimolante per tutti dal punto di vista etico e concreto, anche se richiede indubbiamente impegno.
Si tratta di monitorare mensilmente il proprio consumo famigliare, con l’obiettivo di cambiare l'economia dalle piccole cose, dai gesti quotidiani, spostando da consumi dannosi per la salute, per l'ambiente e per le popolazioni del Sud del mondo, a prodotti più sani, che non incidono in modo irreparabile sulle risorse naturali e che riducono i meccanismi di sfruttamento nelle regioni sottosviluppate. Nei bilanci mensili ogni famiglia indica i suoi consumi "normali" e i suoi obiettivi di sostituzione di un prodotto considerato dannoso con un altro meno dannoso o valutato in termini positivi. Per es. prodotti del commercio equo e solidale, detersivi biologici, uso delle biciclette al posto dell’auto, acquisto di elettrodomestici a basso consumo energetico…
Così come non possiamo non considerare stimolante e utile la proposta dei Gas – gruppi di acquisto solidali - , un’esperienza che nasce da una riflessione culturale sulla necessità di cambiare lo stile di vita e di immettere una domanda di eticità nel mercato, riponendo al centro le persone e le relazioni. Consistono in gruppo di persone che decidono di incontrarsi per acquistare all’ingrosso prodotti alimentari o di uso comune, da ridistribuire tra loro, utilizzando la solidarietà come criterio guida nella scelta dei prodotti. Si cercano infatti prodotti provenienti da piccoli produttori locali per avere la possibilità di conoscerli direttamente e per ridurre l’inquinamento e lo spreco di energia derivanti dal trasporto, oltre a prodotti biologici o ecologici che siano stati realizzati rispettando le condizioni di lavoro. Così la solidarietà parte dai membri del gruppo e si estende a produttori che forniscono i prodotti, all’ambiente, ai popoli del sud del mondo...
La solidarietà e la condivisione sono un altro aspetto tipicamente cristiano del rapporto con i beni, dato che i beni avevano un forte valore comunitario nelle prime comunità cristiane.
E d’altro canto è forse un’esperienza tipica della famiglia quella della condivisione, che dalla famiglia può allargarsi ad altre famiglie e all’intera società: infatti famiglia facciamo l’esperienza della condivisione delle risorse, del dono, della gratuità, possiamo sperimentare alcuni aspetti particolari di accoglienza e condivisione che la costituiscono come vera e propria cellula della comunità, come luogo di apprendimento civile oltre che di preparazione a vivere i valori fondamentali anche al suo esterno, nella società, nel lavoro, nella scuola, nel quartiere…e rispondere così alle attese e ai bisogni della nostra società.
È in famiglia che nasce e si accoglie la vita, si sperimentano il dono e la relazione, si vivono l'ascolto, la fiducia, si ricomincia daccapo con la forza del perdono, si affrontano insieme le fatiche, s’impara la responsabilità, si vive il confronto, ci si aiuta, si maturano competenze, s’impara la solidarietà verso chi è più fragile
Una famiglia nasce dalla capacità, che diventa poi impegno, di aprirsi all’altro, di prendersi cura dell’altro, del diverso da sé: è la scelta di donarsi gratuitamente e reciprocamente degli sposi che si apre alle future generazioni e all’intera comunità. Per questo è potenzialmente e naturalmente in grado di rispondere a richieste di aiuto, anche improvvise e inaspettate… in questo senso è chiaro che il valore della solidarietà le appartiene, fonda la famiglia e in essa si concretizza anche nella capacità di far proprie esigenze e bisogni della comunità così come del pianeta.
Ora, quando prevale la logica del contratto, il dono sparisce, le famiglie si distruggono, e le società decadono (con esse l’economia).
Ma il dono vissuto nella reciprocità è la natura stessa della famiglia: essa nasce proprio da incontri di gratuità, così come la reciprocità è la norma nella vita della famiglia, e per questo il dono è pratica ordinaria.
Ad esempio, il dono che i figli ricevono dai genitori e dagli adulti è in molti casi anche la pre-condizione perché un giorno quei bambini possano diventare più facilmente protagonisti nel mercato e nella vita civile. Il sentirsi oggetto dell’amore gratuito di qualcun altro è poi fonte di nuove idee, di creatività, di crescita nel senso più ricco del termine (che sappiamo va molto al di là della crescita di "merci").
La globalizzazione sta estendendo in modo formidabile l’area di applicazione del mercato, e, anche come effetto indiretto, tende a spiazzare l’area di azione della ridistribuzione e del dono: ma un "villaggio globale" costruito attorno al mercato non ha futuro, il mercato infatti non è capace di creare dono e ridistribuzione; anzi, tende a "spiazzarli" (se sono pagato per sorridere ad un bambino o per curare un ammalato tenderò a farlo per i soldi, e non per "dono").
La logica del dono può diventare un antidoto a quella cultura dell’avidità che tanti danni ha provocato anche nel sistema finanziario, come possiamo osservare dalle macerie della crisi finanziaria.
In questo la famiglia, come cellula base della società civile, ha un ruolo fondamentale, quasi due compiti "economici" particolari…
da una parte proteggere dal mercato il dono e la reciprocità, impedendo che la logica del contratto penetri in ambiti non suoi, come appunto quelli della famiglia; dall’altra però "contaminare" il mercato stesso con virus di dono e di reciprocità.
Infine, anche se può essere azzardato oggi, in tempo di crisi, ma non possiamo eludere un tema forte del Vangelo, rispetto all’uso dei beni, che è quello della povertà.
In questo tempo in cui stanno aumentando quelle che nel IX rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia la Caritas e la Fondazione Zancan hanno intitolato "Famiglie in salita", cioè quelle famiglie italiane con "figli da crescere e fragili per mancanza di lavoro e di casa, in affanno nel dare continuità alle relazioni e alle responsabilità genitoriali", possiamo intravvedere nel valore della povertà un percorso per risanare i meccanismi profondi che ci hanno portato alla crisi odierna.
Ci aiuta il politologo Rahnema, nel valorizzare quella povertà conviviale di quanti sanno misurare le esigenze materiali e del loro sistema di vita sulla semplicità, sulla frugalità, sulla reciprocità, sulla solidarietà, sulla condivisione e sul prendersi cura gli uni degli altri.
In quest’ottica il tema sembra aprire ad una prospettiva di profonda libertà, che permette di dare davvero il primato alle relazioni, e guardare ai beni come strumenti per sostenere tali relazioni ma anche da condividere… ed è proprio in questa fase così delicata che possiamo riscoprire quanto abbiamo da condividere: certamente i beni materiali che non ci sono immediatamente necessari, e che invece possono essere utili ai vicini di casa, agli amici, a chi ha meno di noi; ma anche i talenti e le risorse personali, le informazioni e le competenze che possiamo mettere a disposizione di chi desidera apprendere, o ne ha necessità per mantenere o cercare un lavoro; la capacità di ascolto, di accoglienza, di portare i pesi e le fatiche di chi è solo…
Riscoprire la famiglia come soggetto economico attivo permette di superare la visione di essa come luogo di consumo, che offende profondamente la dignità della famiglia, anche rispetto alla tutela e alla promozione della famiglia stessa.
Pensiamo al tema degli aiuti alla famiglia, correlato alla lotta alla povertà e sinora concepiti solo a livello economico finanziario una tantum (dal buono bebé alla social card) con una logica consumistica o in termini di strutture (indispensabili ma non sufficienti, come gli asili nido o il tempo pieno a scuola), esulando il tema dei tempi di lavoro, per esempio, dei ruoli interni alla famiglia, della partecipazione delle famiglie all’elaborazione delle proposte legislative, così come esperienze concrete come il quoziente famigliare, o la valorizzazione dell’impegno delle famiglie a beneficio di servizi pubblici (come l’assistenza agli anziani o ai minori in difficoltà). L’enciclica caritas in veritate invita all’elaborazione di politiche che promuovano la centralità e l’integrità della famiglia umana, prima e vitale cellula della società, e sottolinea la "natura relazionale" di essa (par 44).
Sarebbe un’operazione destinata al fallimento infatti pensare la famiglia solo sulla difensiva, tesa soltanto a proteggersi dall’avanzare dei mercati. Dobbiamo concepirci e diventare sempre più soggetti anche (e non solo) economici, che sanno vivere le dinamiche di mercato coniugando l’efficienza con il dono e con la comunione, pensandoci non come realtà isolata, ma unendoci con altre famiglie, associandosi, divenendo un soggetto civilmente attivo.
La chance delle associazioni familiari è di imparare a fare le loro attività incrementando le relazioni fra i membri della famiglia, quindi favorendo l’incontro tra le famiglie, promuovendo la reciprocità, coinvolgendo tutta la famiglia… dovremo imparare a realizzare momenti come questo accessibili anche ai nostri figli, aiutandoci tra famiglie, mettendoci reciprocamente a servizio l’una dell’altra.

Una famiglia di amici ci ha invitato a questo convegno, e perché con loro condividiamo l’impegno ad essere famiglie attive e reciprocamente solidali, ci è sembrato naturale accettare l’invito.
Ed è l’esperienza che ci ha accompagnato durante l’estate scorsa.
Avevamo a disposizione pochi giorni di ferie, e programmato una settimana in montagna con una famiglia di amici. Poco dopo arriva l’invito a partecipare ad un incontro simile a questo da parte di un gruppo di famiglie di Udine, per il giovedì precedente la nostra partenza. Già ci immaginiamo la situazione: le valige da preparare, il lavoro da concludere, le ultime cose da fare. Ma ci pare anche evidente che non avrebbero chiesto un aiuto se non ne avessero avuto l’esigenza. Così accogliamo l’idea e la comunichiamo loro. Scopriamo così che il pomeriggio di incontro si svolge all’interno di una vacanza, in montagna, non proprio lontano da dove saremmo andati qualche giorno dopo. Diventa possibile così unificare i viaggi, e l’impegno si trasforma in un anticipo di vacanza.

Famiglia come fornitrice di "capitale sociale"
La famiglia ha un ruolo economico attivo anche dal lato dell’offerta.
In particolare la famiglia svolge, in primo luogo, quella funzione essenziale di socializzazione che il mercato del lavoro dà per scontata: immaginiamo quanti talenti relazionali occorre attivare nel mondo del lavoro (perché funzioni), e quanto questi talenti dipendono dalla qualità della vita famigliare. Quante volte le risorse che mettiamo in gioco per risolvere problemi o migliorare una situazione lavorativa, non solo nelle relazioni, ma anche a livello concreto, sono frutto della nostra storia famigliare.
Oggi sperimentiamo con l’economia tecnologica e la cosiddetta new economy, che il fattore decisivo per lo sviluppo economico non sono tanto i capitali (fisici o finanziari) quanto le persone, il capitale umano: ed è nella famiglia che questa risorsa decisiva per l’economia si forma, si sviluppa, si mantiene e cresce.
Un’altra funzione, ancora più tipica e non sempre visibile, è la creazione di un’altra forma di "capitale", quello che gli economisti chiamano "capitale sociale", vale a dire quella "fiducia" di cui ogni sistema economico, ogni mercato ha bisogno per poter funzionare. Nessuna attività economica o produttiva, come lo scambio, il risparmio, il credito potrebbe svolgersi se non attribuissimo un’alta probabilità al fatto che la persona che abbiamo di fronte è capace di rispettare i patti: nessun sistema di sanzioni potrebbe sostituire la mancanza di fiducia generalizzata che le impedisce di dissolversi.
Le Nazioni Unite negli ultimi anni segnalano che il capitale sociale è in forte calo, soprattutto in Occidente, e gli studiosi legano questo calo anche alla crisi della famiglia: le capacità di socializzare, di fidarci e di essere degni di fiducia, si acquistano soprattutto nella vita famigliare, e negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza. Il primo laboratorio dove sperimentiamo la fiducia disinteressata degli altri, ma anche il perdono, la possibilità di ricominciare, dove sperimentiamo anche le sanzioni per la fiducia tradita, per le promesse non rispettate, è proprio la famiglia.
Quando questo laboratorio viene meno, viene a mancare alle persone, ai lavoratori e alla società una risorsa che non ha sostituti efficienti: questo "servizio" svolto dalla famiglia ha quindi un valore anche economico enorme; che possiamo misurare, anche se solo indirettamente: basta guardare ai costi della mancanza di fiducia (quanto sta avvenendo in questi tempi di guerra al terrorismo dà un’idea intuitiva).
Una regione, uno stato, una città, per il suo sviluppo ha solo bisogno solo di capitale fisico, o materiale come i ponti, le strade, i capannoni, i macchinari, i computer … pur necessari,. Non basta neppure il capitale umano, cioè persone ben preparate, ben formate, che pur sono fondamentali. C’è bisogno di una terza forma di capitale che negli ultimi 10 anni è venuta molto in luce, il capitale sociale.
Le reti di fiducia a cui attinge per lo sviluppo, sono reti di rapporti tra persone che non sono solo legate dagli affari. Questo è molto evidente nei paesi in via di sviluppo: un’impresa a Milano, anche se fa la stessa cosa che in un’altra regione del mondo - ad es. nel Centro dell’Africa, oppure nel cuore del Brasile - produce risultati molto diversi, perché il tessuto civile e il tessuto di fiducia che c’è attorno è molto diverso.
C’è tanto bisogno di questo tipo di capitale, che è la fiducia, ma chi lo produce? Dove si forma questo capitale? Dove viene prodotto questo tipo di capitale nuovo?
Se per il capitale fisico e materiale basterebbero le imprese, se per il capitale umano potrebbero essere sufficienti le scuole e le università, la fiducia, in quella forma più limpida che è la gratuità può trovare la luce sono tra persone legate in modo disinteressato e forte. E comincia ad essere chiaro anche nei rapporti socio economici, che il principale luogo che produce questa forma essenziale di capitale è la famiglia.
Ma c’è anche un altro aspetto che la famiglia può e deve curare nel suo compito educativo ed è il valore delle regole osservate per la loro finalità profonda, la diffusione di una morale concreta e forte. Oggi al decadere dell’etica vengono invocate maggiori regole e repressione, ma sappiamo dalla tradizione del diritto romano quanto la buona norma nasca dalla buona consuetudine.
Il Card Tettamanzi invitava, in occasione dell’avvio del fondo di sostegno alle famiglie e al lavoro, a promuovere !una mentalità, una cultura che veda nella legge, cioè in questa prima e insostituibile "misura" delle azioni comuni, non un ostacolo o un limite da oltrepassare a proprio piacimento, ma la guida per un agire sociale ordinato al bene di tutti. Non si tratta di educare a un’osservanza soltanto esteriore, formale della norma giuridica, ma a una responsabilità che faccia comprendere che il primo modo per dare il proprio contributo al bene comune, per dare rilievo all’altro considerato nell’ambito dell’intera società, è proprio osservare le leggi che, fino a che non entrino in contrasto con l’ordine morale, vanno osservate. Anche quelle in materia economica e fiscale. Senza un’appropriata cultura della legalità, infatti, nessun sistema economico né società democratica possono sussistere"
D’altro canto, se volgiamo tornare ad una ragione economica, sappiamo che la buona consuetudine non costa nulla mentre la rettifica di comportamenti sbagliati è molto costosa tanto più sono numerosi i soggetti coinvolti, pertanto una cultura della legalità oltre ad aumentare la giustizia, libera risorse utilizzate per la repressione e rende quindi anche l’economia più efficiente.

Conclusione
L’economia del terzo millennio sarà un’economia che, se vorrà sopravvivere, dovrà riscoprire il ruolo della famiglia: i beni sempre più scarsi, e quindi con maggior valore, sono i rapporti tra le persone, la fiducia, la reciprocità, i cosiddetti "beni relazionali" e nella creazione di molti di questi beni la famiglia è insostituibile.
E come mostra molta letteratura economica sono proprio questi i beni felicitanti. La relazione con i beni può produrre infatti utilità, ma non felicità. E su questo equivoco si gioca la concorrenza tra stili di vita – la vera competizione che sta avvenendo oggi – nella quale la famiglia può svolgere un ruolo essenziale.
La famiglia in quanto soggetto consapevole può essere motore di un circuito virtuoso non solo per sé stessa, praticando nelle scelte e nel modo di pensare e percepirsi i valori che li sono più consoni, ma anche per il sistema economico. Così, come suggerisce l’enciclica più recente alla fine del 3° capitolo, potremo orientare più consapevolmente e velocemente "la globalizzazione dell’umanità in termini di relazionalità, di comunione e di condivisione".
Testo fornito dagli autori in occasione di una conferenza ai GF di Bra (CN)

E-Sussidio Formativo Nuovi Stili di Vita
Arcidiocesi di Torino, ufficio per la pastorale sociale e del lavoro e ufficio missionario diocesano

Il sussidio è composto di cinque schede che affrontano le seguenti tematiche:
Custodia del creato,
Consumo,
Lavoro,
Mondialità,
Risparmio.
L'obiettivo delle schede è duplice:
- promuovere una riflessione costante sui temi in questione all'interno delle comunità cristiane;
- offrire una proposta educativa capace di suscitare l’acquisizione di uno stile di vita più giusto, responsabile e coerente con il Vangelo. I riferimenti alla Scrittura, alla Tradizione, alla Dottrina Sociale della Chiesa sono considerati imprescindibili e fonte di ispirazione per proposte concrete.

Considerati gli specifici ambiti di impegno degli Uffici coinvolti nel progetto, lo stile e l’impostazione della proposta formativa manterrà costantemente aperta sia la prospettiva locale che quella mondiale, in modo distinto e allo stesso tempo inscindibile

Introduzione
Per stile di vita si intende genericamente un insieme stabile e duraturo di comportamenti visibili, di modi di essere che riflettono la gerarchia di valori della persona o del gruppo che li mette in atto. Ciò... clicca qui per continuare!

Sul tema vedi anche il blog della diocesi di Padova