Foglio di collegamento tra Gruppi Famiglia
GF80 - giugno 2013
MORTE E RESURREZIONE
Fede, dolore e lutto in famiglia

1-LETTERE ALLA RIVISTA
C’è qualcuno che va all’Inferno? La volontà di Dio e la libertà dell’uomo

L'inferno esiste e c'è qualcuno dentro? Se ne parla poco o niente eppure è uno dei Novissimi insieme a morte, giudizio e paradiso.
Chiedo lumi.
Antonio

Risponde don Giancarlo Grandis, vicario episcopale per la cultura della diocesi di Verona

L’osservazione che il tema dei Novissimi, vale dire "delle ultime cose", quelle che accadranno all’uomo alla fine della nostra vita terrena, sia trascurato nella predicazione ordinaria purtroppo è vera.
Eppure è un tema di fondamentale importanza perché tutta la rivelazione di Gesù ha carattere, come si dice in gergo tecnico, "escatologico", cioè è finalizzata a rivelare all’uomo il suo destino alla vita eterna, alla beatitudine che consiste nella piena comunione d’amore con Dio.
È sotto questa prospettiva che si può comprendere che cosa intenda la Chiesa con il termine "inferno".
Come afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica, con la parola "inferno" viene designato "questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati" (n. 1033).
Il minimo quindi che si possa dire è che l’inferno esiste almeno come possibilità, perché è nella possibilità dell’uomo di rifiutare liberamente la comunione con Dio. Quindi - è sempre il catechismo ad affermarlo - "La Chiesa nel suo insegnamento afferma l’esistenza dell’inferno e la sua eternità", la cui pena consiste principalmente "nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l’uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira" (n. 1035).
Certamente la riflessione sull’inferno pone non pochi problemi.
Come la dannazione eterna di una creatura di Dio, seppur volontaria e consapevole, può conciliarsi con la sua infinita bontà? Come può Dio, onnipotente, permettere che ci siano delle persone che si dannano per tutta l’eternità?
Quindi è una cosa affermare che l’inferno esiste, un’altra che vi siano in esso delle persone. Non penso che su quest’ultimo punto vi possa essere una risposta da parte della Chiesa.
È vero invece che la Chiesa può affermare che si sono persone che certamente sono in Paradiso (quando beatifica e canonizza dei cristiani che hanno avuto una vista esemplare e santa). Ma non ha mai dichiarato che ci sono persone certamente dannate.
giancarlo.grandis@tin.it

2-DIALOGO TRA FAMIGLIE
La famiglia e la cura degli anziani. Le difficili scelte per aiutare chi non è più autosufficiente

Mia madre sta invecchiando e mi rendo che presto dovrò prendermi cura di lei. E qui nascono i problemi: come conciliare l'assistenza ad un anziano con gli impegni familiari, in particolare i figli, ora pre-adolescenti?
Giovanna

Mi sono trovata ad accompagnare tre persone, in momenti diversi della mia vita. La prima è stata mia nonna, quando non avevamo ancora figli, poi mia mamma, mentre avevamo i bimbi piccoli. Ho lasciato Guido, mio marito, a Torino e mi sono trasferita da lei coi bimbi. Loro hanno certamente sofferto l’assenza di Guido e la mia poca disponibilità in termini di tempo, ma era commovente vedere la loro tenerezza verso una nonna che vedevano pochi mesi all’anno. Anche per loro è stata un’esperienza forte, che ricordano molto bene.
Infine il babbo di Guido. I figli erano adolescenti e hanno condiviso l’assistenza e la tenerezza, in modo più consapevole di come avevano fatto con la mia mamma. Paola era preoccupata di dire ai suoi compagni di scuola che il nonno era morto in casa e non in ospedale, come aveva sempre sentito dire dagli altri!
In tutte tre le situazioni, per quanto diverse, il principio guida è stato l’offrire il nostro calore e farci aiutare per l’assistenza, così da avere tempo anche per i figli che, coinvolti, hanno ricevuto un regalo ben più grande del nostro essere ripiegati solo su di loro.
Mi rendo conto che non sempre ci si può far aiutare, ma di una cosa siamo certi: aver tenuto in casa i nostri cari, è stato un dono per noi e, per i ragazzi.
Forse è anche per questo che i nostri figli, benché lontani tra loro e da noi e raggiungibili solo in aereo, desiderano molto che finiamo i nostri giorni a casa loro.
Anna Lazzarini

3-EDITORIALE: VERRÀ LA VITA E AVRÀ I TUOI OCCHI
Le diverse possibilità con cui si può vivere il lutto e rielaborarlo alla luce della Fede
Impariamo a chiedere a Dio la forza di far emergere il bello e il buono che è stato per noi incontrare quella persona, conoscerla e amarla.
Non si perde nulla dell’amore che ci ha unito, né nella vita dell’Aldilà, né in questa oggi, pur con tutte le limitazioni umane.

di Nicoletta e Davide Oreglia
Lo sguardo passa su di una fotografia che da anni sta nel nostro salotto…
Si direbbe un pezzo dell’arredamento come tutti gli altri che oggi guardiamo con attenzione sofferente. Ritrae una scena in cui c’è qualcuno che oggi non c’è più.
Già, la prima sensazione, anche se sono passati anni è di stupore, come è possibile che la morte ci sorprenda così?
Ma non è solo la morte, è anche il rendersi conto che a volte non sembra vero che il nostro caro non ci sia più, altre invece non sembra vero che ci sia mai stato.
E ci sommergono i sensi di colpa per averlo dimenticato o il rimpianto per il suo non essere più qui con noi.
In entrambi i casi siamo un po’ come un pugile che ha preso un sacco di botte e per un momento è incantonato nell’angolo del ring con la testa che scoppia di dolore e di disorientamento.

Come rielaborare il lutto
Oggi parliamo spesso di rielaborazione del lutto, come di un percorso che tutti dobbiamo compiere, ma dobbiamo essere attenti a non vedere in questo un calmante del dolore.
Rielaborare il lutto per chi ha fede non è chiedere a Dio la forza di dimenticare, neppure di darci buone spiegazioni. Non crediamo ne esistano in una logica umana.
È invece chiedere a Dio la forza di non dimenticare il buono che c’è stato e di trarre da esso nutrimento per le nostre giornate ora.
È andare al cuore delle nostre Eucaristie in cui facciamo memoriale, cioè non solo ricordiamo un gesto passato ma crediamo che con la grazia dello Spirito Santo la Sua forza si riproponga qui sul nostro altare come quella sera nel cenacolo.
Imparare a chiedere a Dio di non anestetizzare nulla ma di far emergere il bello che è stato per noi incontrare quella persona, conoscerla e amarla. E con la forza dello Spirito Santo scoprire che quell’amore cammina ancora in noi con le sue cose belle e anche con le sue fragilità.

Restare come Maria
Per riuscire a compiere questo passaggio occorre imparare a restare, come Maria ai piedi della croce. Il suo stabat aveva un cuore molto vivo, pieno di amore e di desideri verso quel figlio ora appeso in croce, desideri verso il loro rapporto di madre e figlio che così bruscamente si interrompeva.
Ma lei è rimasta, ha scelto di dar fede al Signore anche se non capiva. Restare quando si è nell’occhio del ciclone vuol dire non scappare, non stordirsi.
Certo avrà avuto nel cuore tante emozioni, ma anche una certezza: il Signore non la avrebbe abbandonata e non avrebbe permesso al dolore di annientarla.
Dio non vuole che ci perdiamo, non vuole che nessuno di noi sia strappato dalle sue mani. Anche nel dolore ci resta accanto e ci da la forza per camminare con i nostri tempi e con le nostre forze.

Accogliere la speranza...
La Sua forza ci viene incontro nelle forme che sono più congeniali ad ognuno di noi. C’è chi manifesta una "forza da leone", per un certo periodo e poi torna piano piano al suo passo di sempre, c’è chi invece viaggia al minimo consentito per non imballare il motore e poi piano piano riparte.
Noi dobbiamo chiedere al Signore occhi per vedere questa forza che Lui ci mette nel cuore e poi la saggezza di servircene. Quando non vediamo nessuna via di uscita, quando il dolore ci paralizza dobbiamo chiedere a Dio la Grazia di accogliere nel nostro cuore una piccolissima luce di speranza: verrà il Signore, verrà nella mia vita a riportare un po’ della Sua vita e avrà gli occhi di chi amiamo e ora non c’è più. Non si perde nulla dell’amore che ci ha unito, mai, né nella vita dell’Aldilà ma neppure già su questa terra così limitata e ferita.
La sfida è credere che questo sia vero non solo in noi ma anche in coloro che vivono accanto a noi. Che tutti cammineremo sorretti dalle braccia di Cristo ma ognuno nel suo modo proprio e con i suoi tempi.

...o vivere da vittima
Misurare il dolore è invece una sottile tentazione che abbiamo in alcuni momenti, per stilare una classifica in cui il primo posto spesso spetta a noi, più sofferenti di tutti, e poi agli altri che ci paiono quando va bene più fortunati, quando va male più superficiali di noi. Tutto ciò è una trappola grande che ci possiamo costruire attorno per mettere noi nella condizione di essere risarciti da chi ci vive accanto per un fatto che sì ci ha colpito duramente, ma che spesso non dipendeva da loro.
Il dolore ci ha colpito ci ha tolto tutti i punti di riferimento nel presente e nel futuro e noi pensiamo che se stabiliamo un ruolo fisso per noi questo potrebbe aiutare e allora ci tagliamo i panni di chi ha patito di più, di chi ha sofferto di più, di chi non se lo meritava, di chi deve essere risarcito… da tutti.
Ora entrare in questo tunnel è eliminare la luce dalle nostre giornate ma anche da coloro che ci vivono accanto. Chi è "vittima per definizione" o per "elezione" non si lascia togliere dal ruolo e per far questo parte a priori nel sostenere non solo che non ci sarà mai niente che potrà far cessare il dolore, e questo in parte è vero, ma anche che nulla le porterà più gioia, nemmeno in minima parte.
Chi vive e proietta questo pensiero attorno a sé ha ingabbiato non solo se stesso ma anche gli altri in ruoli che si potranno spezzare solo con la forza dello Spirito.

I tempi di Dio
Altra perla preziosa da cogliere nel cammino del lutto è vedere proprio come Dio sostiene ognuno seguendone modi e tempi propri.
Questa sapienza di Dio può però essere letta in altro modo e divenire un ostacolo nella condivisione con i fratelli. In certi frangenti, infatti, se vediamo atteggiamenti diversi dal nostro nella modalità di vivere e gestire un dolore condiviso ne restiamo spiazzati.
Se per noi sopportare il dolore è restare in silenzio, faremo fatica nello stare accanto a chi ferito come noi trova nella narrazione dell’accaduto una consolazione o chi ha bisogno di essere accolto da altro per non soccombere e cerca in stimoli fuori da sé il coraggio per continuare a camminare.
Pensiamo ad una malattia che ci ha toccato, pensiamo a chi vive un male simile al nostro e lo combatte parlandone spesso o non parlandone mai.
Ma proviamo ad allargare questo ragionamento quando attorno a noi esorcizzano il nostro dolore non parlandone e noi ci sentiamo soli, oppure cercano di fare lo stesso in modo contrario, parlandone con noi e chiedendoci spesso come stiamo e noi ci sentiamo accerchiati.

Alla fine verrà la vita
La grazia della Risurrezione nasce dal sapere che c’è luce in uno e nell’altro modo e se abbiamo la forza di chiedere lo Spirito troveremo un barlume di buono in tutte le modalità restando pur sempre sereni nel dire che preferiremmo altro per essere consolati.
Verrà la vita e avrà gli occhi tuoi che avevi promesso di stare con me per sempre e ora non ci sei più, avrà gli occhi della mia salute che mi dava il messaggio di un corpo quasi indistruttibile e che scopro fragile e mortale. E quando lo Spirito ci invaderà con la Sua forza poco a poco sapremo chiedere e scopriremo che verrà la vita dopo la morte, dopo la malattia e avrà i tuoi occhi, dell’amore, della speranza, della fede.
denoreglia@tiscali.it

4-"VERAMENTE QUEST’UOMO ERA FIGLIO DI DIO"
La croce di Cristo, dono di amore infinito, salvezza dell’uomo nella vita e nella morte
Nel suo spirare Gesù soffia sul mondo lo Spirito di Dio.

di Franco Rosada
Ai tempi di Gesù una corrente di pensiero all'interno di Israele: l'apocalittica, sosteneva che il mondo fosse talmente corrotto che solo l'intervento diretto di Dio sarebbe stato in grado di cambiare le cose. Questo intervento veniva immaginato come la fine del mondo perché Dio avrebbe ricreato dalle sue ceneri un mondo nuovo per i giusti.
Il brano con cui Marco ci descrive la morte di Gesù in croce (Mc 15,33-39) si apre con un'immagine apocalittica: il sole si oscura per tre ore, la terra piomba nell'oscurità.
Non è tanto e non è solo una possibile eclisse di sole ma è il ritorno al caos primordiale, al momento della Creazione quando lo Spirito aleggiava sulle acque. La morte di Dio fa precipitare il mondo nel nulla!
Il grido di Gesù e la sua domanda disperata al Padre (v.34) non è solo il richiamo al salmo 22 ma è anche il grido di Chi si è lasciato cadere nel profondo del caos per salvare l'uomo.
I presenti credono che chiami Elia (v35-26); infatti, Elia era considerato il santo dei miracoli impossibili. Ma non appare alcun Elia: Dio non ci libera dalla morte ma nella morte.
E con un ultimo grido, Gesù muore (v. 37).
È quello il grido del parto: nasce in quel momento il Figlio di Dio, è quello il grido dello Sposo che incontra la Sposa, l'umanità.
Nella morte di Gesù uomo e Dio sono finalmente una carne sola.
La morte, unico nemico che avrebbe potuto separarli, li ha definitivamente uniti.
Segno di questo mistero è il velo del tempio, che si squarcia da cima a fondo (v. 38).
Questo velo separava il Santo dei Santi dal resto del tempio, in essa era custodita prima dell'esilio l'Arca dell'alleanza che, nella tradizione, fungeva da sgabello per i piedi di JHWH. Ora ogni separazione è caduta, Dio si è fatto prossimo all'uomo per farlo prossimo a Sé.
E non solo per Israele, ma per tutta l'umanità. Non importa quanto si è lontani da Dio, serve porsi di fronte a Lui e "vedere" la sua croce, come fa il centurione (v.39).
Serve ancora un miracolo, che il Signore ci dia la vista per riconoscerlo "Figlio di Dio".
Liberamente tratto dal libro di Silvano Fausti: Ricorda e racconta il vangelo, Àncora 1998, p. 522-530.
formazionefamiglia@libero.it

5-LA VITA OLTRE LA VITA
Cosa ci attende dopo la morte? La speranza cristiana dell'incontro con Dio
Ai nostri giorni il concetto stesso di "anima" è diventato sospetto.
L'uomo è relazione: con gli altri, con Dio, con la storia.
Cristo non ci giudica, ci guarda con amore infinito che brucia il nostro peccato e il nostro egoismo.

a cura di Franco Rosada
La speranza di una vita oltre la morte non è stata per molti secoli al centro della fede di Israele.
Questa speranza nasce al tempo dell'esilio in Babilonia sotto forma di resurrezione dei morti. Verrà un tempo, dice Ezechiele, che le ossa aride riacquisteranno vita (Ez 37,1-14).
Si tratta di una speranza collettiva, che riguarda tutto il popolo. È necessario arrivare poco prima della nascita di Gesù per trovare l'immagine di una speranza individuale come quella presentata nel libro dei Maccabei (2Mac 7,23).
Contemporaneamente, nella diaspora egiziana, sotto l'influsso del pensiero ellenista nasce un'altra immagine: quella dell'immortalità dell'anima (Sap 3,1 ss).
Se la fede di Israele, e quindi anche di Gesù, è quella della resurrezione dei morti, nella diffusione del cristianesimo tra i popoli pagani si affianca quella di una vita personale oltre la vita. Si tratta di un'esigenza di inculturazione: nel mondo del tempo, segnato dalla cultura greca, era molto difficile far accettare il concetto di un corpo che torna alla vita, molto più facile quello di una parte dell'uomo che sopravvive al proprio corpo.
Questa dualità di soluzioni ha attraversato la storia della Chiesa fino ai giorni nostri.
Sono visioni conciliabili o del tutto in opposizione?
Ebraismo, Islam e gli stessi Riformati hanno scelto - pur con una serie di sfumature diverse - la strada più semplice: si è morti e basta. Torneremo in vita nell'ultimo giorno, anima e corpo, con il ritorno glorioso del Cristo e il giudizio universale.

L'immortalità dell'anima
Questo dato non è mai stato inteso in senso strettamente platonico. Il pensiero corrente non è quello di un anima che, liberata dal corpo, ritorna là da dove era venuta e perde ogni individualità, quanto che l'anima, intesa come la parte più intima di noi, la nostra parte pensante, sopravviva alla morte.
Questo modo di pensare non ha un grande fondamento scientifico.
Nonostante vi siano libri molto noti che parlano di esperienze di vita oltre la vita questi non sono attendibili.
Le persone che le hanno vissute e le hanno narrate non sono morte ma hanno solo fatto esperienze al confine estremo della vita anche se quanto descrivono - separazione di corpo e anima, corpo trasfigurato, incontro con un essere luminoso irradiante amore, ecc. - hanno forti somiglianze con le immagini della speranza cristiana nell'aldilà.
La scienza e l'esperienza empirica ci dicono che quando l'uomo muore, è morto. Il cadavere rapidamente si decompone, ciò che resta della persona viene meno.
Sempre la scienza ci dice che anche gli animali sono esseri pensanti, provano sentimenti, soffrono, hanno paura. Ma non solo, le nostre capacità intellettive decrescono progressivamente all'approssimarsi del trapasso: è questa l'anima che pensiamo, quando siamo sani, possa sopravvivere alla morte?
Cosa ci distingue dunque dalle altre creature? La nostra capacità di rapportarci con Dio.
È questa, secondo Ratzinger, l'anima dell'uomo, la sua vera peculiarità.
E se Dio è amore e ama le sue creature questo amore non può finire con la morte, il nostro rapporto con Dio continua anche nell'aldilà.
Il superamento parziale del concetto tradizionale di anima è entrato anche nelle liturgie per i defunti, al termine anima si è sostituito quello di "nostra sorella", "nostro fratello", "tuo servo".

La resurrezione dei morti
Sempre partendo dal dato scientifico, la morte è un evento globale, che investe tutta la nostra persona.
Quando moriamo finiamo nel nulla, quel nulla da cui Dio ci ha tratti al momento del nostro concepimento.
Tutto finito? Per la scienza sì, per il credente no!
Come il Padre ha resuscitato il Figlio, così il Figlio trae ciascuno di noi dal caos primordiale in cui la morte ci fa precipitare e ci dona la vita: "Chi crede in me, anche se muore, vivrà" (Gv 11,25)
La scienza, ma non solo, tende a identificare il corpo con il cadavere.
Di qui l'idea, che è stata largamente diffusa nella Chiesa, che la resurrezione consista nella ricostruzione del cadavere. Vi sono dipinti rinascimentali che mostrano animali feroci che vomitano gli arti di coloro che avevano dilaniato perché il corpo possa ricomporsi.
Oggi, a livello della teologia cattolica, si tende a sottolineare una concezione personale del corpo: grazie al corpo siamo riconoscibili agli altri, ci possiamo relazionare con loro, agiamo nella storia.
La resurrezione del corpo significa che tutto l'uomo con tutta la storia della sua vita, con tutte le sue relazioni ha un futuro e che, con il compimento finale dell'uomo, viene portato a compimento anche un frammento del mondo.
La morte va quindi intesa non come liberazione dal mondo ma con il mondo.
Ciò che si è fatto, detto, pensato di buono e di bene non viene perso ma contribuisce al cammino dell'umanità verso la parusia.

Una via di conciliazione
Abbiamo visto come le due classiche e divergenti letture sull'aldilà - immortalità dell'anima e resurrezione dei morti - possano, di fatto, essere superate da visioni più aggiornate del concetto di anima e di corpo.
Entrambe queste visioni si poggiano sul principio relazionale: l'uomo è sì un animale pensante ma è soprattutto un animale relazionale. È dalla relazione con gli altri e con l'Altro che l'uomo si identifica e può conoscere se stesso, è l'altro che rivela il mio volto.
Riassumendo possiamo quindi affermare che nella morte muore tutto l'uomo e non solo una sua parte. E a questo punto entra in azione l'azione salvante e creatrice di Dio.
Nelle profondità degli Inferi l'uomo viene afferrato da Dio e risvegliato ad una nuova vita. Ciò avviene per un dono gratuito di Dio, un Dio che si mostra fedele e benevolo nei confronti della sua creatura.
Questa salvezza riguarda tutto l'uomo, tutta la realtà della sua vita, delle relazioni con gli altri, con Dio e con il mondo.
Ma la sua resurrezione sarà completa solo con il compimento del mondo e della storia.

Il giudizio
Quanto detto finora lascia aperta una questione: quando saremo giudicati? Al momento della morte o alla fine dei tempi? Vi è un solo giudizio o ve ne sono due?
Dal punto di vista teologico, ma anche pratico, sembra più importante concentrarsi su come avviene questo giudizio.
Il pensiero contemporaneo è orientato a concepirlo come "autogiudizio": Cristo non è un giudice che commina una sentenza ma, incontrandoLo, l'uomo coglie pienamente la verità sulla sua vita, il bene e il male che c'è in lui.
In questo incontro con Cristo, attraverso il fuoco del suo Amore, scompare nell'uomo tutto ciò che è male ed egoismo. Questa purificazione beatificante crea sofferenza, perché elimina le scorie del peccato che sono una parte di noi.
Questo è ciò che la tradizione della Chiesa ha chiamato "Purgatorio".

La preghiera per i defunti
Se questo è quanto accade nel giudizio cosa serve pregare per i defunti?
Lo scopo di queste preghiere non è tanto risparmiare loro la sofferenza della purificazione ma di sostenerli in questo passaggio e di contribuire alla sua buona riuscita.
Inoltre non è una preghiera a senso unico: se la vita è relazione quest’ultima non viene meno con la morte.
Siamo tutti uniti, vivi e morti, nella comunione dei santi, noi preghiamo per loro e loro pregano per noi.

Ai lettori
Non vorrei, con questo articolo, aver creato sconcerto o turbamento in qualche lettore.
Quanto fin qua esposto non è verità di fede ma frutto di una riflessione teologica che mi sono limitato a riportare in modo sintetico. La sinteticità mal si concilia con la complessità dell'argomento. Scusandomi per eventuali errori e imprecisioni, rimando alla lettura dei testi che mi sono serviti da guida e che vengono presentati a pag. 21:
Franz-Josef Nocke, Escatologia, Collana: Giornale di Teologia 150, Queriniana, Brescia 20062;
Anselm Grün, Che cosa c'è dopo la morte? L’arte di vivere e morire, Paoline Editoriale libri, Milano 2009.
formazionefamiglia@libero.it

6-QUANDO LA MORTE SI AVVICINA
L’accompagnamento del morente: una questione di relazione
Il morire evidenzia quali devono essere i parametri attorno a cui costruire le scelte quotidiane che animano o hanno animato la nostra esistenza.

di Carmine Arice*
Parlare di "morire" e di "accompagnamento del morente" è problematico, complesso, umanamente drammatico, pericoloso, necessario.
Problematico
Dobbiamo parlare di un’esperienza fondamentale dell’esistenza umana ma che nessuno di noi ha fatto: il morire e la morte. Se già il nostro parlare della sofferenza ci pone qualche difficoltà (soprattutto a volte parlare ai sofferenti), parlare del morente è ancora più difficile e delicato.
Complesso
Poiché l’oggetto in campo - l’uomo - è una realtà complessa, pluriforme e multidimensionale e complessa è anche l’esperienza della morte e di conseguenza di coloro che vogliono stare accanto al morente.
Drammatico
Quando si parla di accompagnamento al morente, si parla di una situazione grave, senza ritorno, umanamente drammatica, dolorosa, a volte lunga e difficile da decifrare da tutti i punti di vista.
Pericoloso
Il morente è una persona viva e da vivo va trattato. Il pericolo di una cura che non ricerchi tutta la qualità di vita possibile nel malato terminale come anche il considerare la vita del morente una vita meno nobile è quanto mai possibile.
Necessario
Quantunque è difficile, è necessario parlare di morte, perché si trasformi "da tabù a sorella morte".
È necessario parlare perché dobbiamo affrontare la nostra morte e a volte per scelta o per necessità, siamo chiamati ad accompagnare altri al momento della morte. Non è un tema su cui si può tacere., al massimo si può fuggire.
È necessario creare attorno al morente un "clima di solidarietà, fiducia e di speranza" perché ogni nostra azione di accompagnamento possa essere credibile ed efficace.

Riconciliarsi con la morte
II tema dell’accompagnamento del morente come quello della verità al malato si inserisce all'interno di un approfondimento più ampio.
È necessaria anzitutto una riflessione che risponda alla domanda: cos'è per me la vita e cos'è per me la morte? Chi è l'uomo che muore? E la sua sofferenza può avere un senso?
"Nella nostra società, nella percezione che ognuno di noi ha della vita, la morte praticamente non esiste. Ci sentiamo immortali. Siamo quasi convinti che la medicina, le tecnologie siano come la tavola di un surf, capace di salvarci, di farci precedere continuamente l'onda della morte. Alla morte siamo impreparati. Nella vita si impara a fare di tutto: si studia, si va a lavorare, si gioca in borsa, si fanno vacanze intelligenti, ma si è impreparati a questo momento ultimo e importantissimo. Si arriva a questo esame senza aver studiato.
II modello di vita che ci viene presentato quotidianamente è sulla salute, il benessere, la giovinezza. Malattia, vecchiaia, morte vengono rimossi, volutamente ignorati" (Piero Angela).
È per questo che sovente nella fase finale si instaura una finzione tra pazienti e familiari, perché il paziente non vuole sapere o si presume che non voglia sapere la verità e i familiari sono contenti dì nascondergliela.

L’accompagnatore e il morente
Non è pensabile dunque accompagnare un morente senza che l’accompagnatore faccia un cammino di elaborazione dei propri sentimenti e reazioni emotive di fronte alla morte. Ne patirebbe la sua umanità quanto a capacità di relazione con il malato e con i parenti del malato, la sua professionalità, nonché la bontà del risultato del suo impegno.
La morte di un altro uomo richiama sempre la mia morte e dunque la mia fede e la mia vita. E quello che affermiamo della morte lo possiamo affermare dell’esperienza del morire, del venire progressivamente meno delle facoltà fisiche, psichiche, relazionali. Anche qui interpella il mio morire con tutta la sua drammaticità e verità.
Di fronte a tutto questo le vie d’uscita sono fondamentalmente due: fuggire al pensiero della morte oppure cercare delle chiavi di lettura che possono illuminare e umanizzare la morte (e dunque anche la mia esistenza),
Tra le chiavi di lettura vi è certamente quella della fede che si fa speranza ed apertura alla trascendenza. La fede non elimina il dramma del morire e della morte, ma permette al credente di interpretare questi fatti, con una luce che viene dall’alto.

Dire la verità al morente
La verità va offerta in un contesto di dialogo fiducioso tra le figure degli operatori (famiglia, medici, infermieri, operatori pastorali...) ed il malato; un dialogo che nasce da un rapporto empatico capace di superare quello "anaffettivo".
Per questo la verità deve essere comunicata in modo progressivo e con attenzione pedagogica, nonché in modo personalizzato. La coscienza che il bene della persona non è solo il massimo benessere possibile qui e ora ci deve accompagnare. Inoltre è necessario non nascondere la verità di fronte alla morte imminente, poiché esiste il diritto - dovere di prepararsi alla buona morte, in una fede sincera nell'opera della grazia.
Può essere utile qui ricordare e tenere presente quanto afferma la psichiatra E. Kubler- Ross, in "La morte e il morire", quando sostiene che il malato di fronte ad una diagnosi infausta vive alcuni sentimenti in sequenza e/o contemporanei: il rifiuto, la rimozione difensiva delle notizie ricevute, la ribellione, il patteggiamento, la depressione, l’accettazione.
Naturalmente il cammino è molto diverso da un individuo all'altro; rimangono costanti però queste stati emozionali sopra descritti che caratterizzano l’evoluzione psicologica e "spirituale" nel decorso della malattia del paziente.

Alla luce della morte di Cristo
In Gesù che affronta la morte il cristiano trova il significato da dare al proprio morire. È dalla Sua morte che può ricevere luce la morte degli uomini.
Gesù è l’uomo - Dio che ha vissuto in comunione con il Padre la sua vita ed ha fatto della morte un dono per tutta l’umanità. In questa comunione con il Padre ha cercato di vivere la morte e con questa forza ha vinto la morte.
Anch’egli davanti alla morte ha provato angoscia e sofferenza, ha pianto per l’amico Lazzaro morto, evento che separa gli uomini tra di loro ed è sconvolto di fronte al sepolcro dell’amico perché ne avverte tutta la forza devastatrice.
Ma Gesù annuncia che la presenza di Dio è più forte della morte ed i miracoli della resurrezione ne sono i segni. La sua vita è stata tutta nel segno della liberazione dell’uomo dal male e dalla malattia; mediante la sua morte e Resurrezione la liberazione per noi l’ha resa definitiva. Gesù si è affidato al Padre ed è stato il Padre a liberarlo.
Ogni uomo che si affida al Padre è liberato, ma ogni uomo come Cristo è chiamato a prepararsi alla morte come Cristo ha vissuto: in un dono incondizionato a Dio ed ai fratelli. Nella logica del dono trova il suo posto, pur nella fatica del mistero, anche la morte.
Solo se i sacramenti, compreso quello dell’unzione degli infermi, si inseriranno in questo cammino acquisteranno il loro significato più profondo: la celebrazione della fede della Chiesa e del credente stesso che li riceve.
*direttore UNPS della CEI
Sintesi dell’intervento dell’autore al Corso base di pastorale sanitaria, 24-26 gennaio 2013, Piccola Casa della Divina Provvidenza, Torino

7-COSA DIRE A COLUI CHE STA MORENDO: ALCUNE ESPERIENZE
Nel servizio di accompagnamento di persone malate nella fase terminale della loro esistenza, mi sono trovato nelle situazioni più diverse.

Franco
In questo momento penso a Franco, con il quale il cammino è stato difficile. Fino alla fine, infatti, è stato circondato dall'amore e dall'affetto della famiglia, ha fatto anche un certo cammino spirituale ricevendo anche i sacramenti della confessione e dell'Eucaristia (dopo decenni che questo non avveniva), ma a lui si è sempre nascosta la verità.
Sono convinto che non gli mancasse la coscienza di essere vicino alla morte. Ma la famiglia non ha mai accettato dì parlarne con lui esplicitamente per paura della sua reazione.

Giovanni
Ma penso anche a Giovanni che due settimane prima di morire, in piena coscienza dopo aver dato disposizioni del suo funerale (semplice, senza fiori e con sepoltura nella terra) mi ha detto: "Don, aiutami a morire bene". Entrambi amavano immensamente la vita, erano circondati da affetti molto forti, ma con una differenza: Giovanni quando ancora era in discreta salute ha avuto la fortuna di fare un cammino forte di fede e con lui si è iniziato a parlare dì morte e di preparazione ad essa quando ancora aveva discrete energie.
Ricordo quando mi disse: "voi preti dovete parlare più sovente della morte e della vita eterna; dovete prepararci a morire".

Gianluca
E penso anche a Gianluca, un caro amico con cui ho potuto fare l'elenco proprio il giorno prima della sua morte, degli amici che presto, gli sarebbero venuto incontro in Paradiso: pochi momenti prima di morire ho ancora potuto affidargli "commissioni per il cielo". Ha vissuto tutta la sua esistenza amando ed è morto amando le infermiere, gli amici, i medici al punto che, il giorno della sua morte, ormai in edema, non voleva disturbare troppo gli operatori sanitari pieni di lavoro, per farsi aiutare a mettersi in una posizione meno difficile per respirare.
II tema della verità al malato si inserisce all'interno di un approfondimento più ampio. Dire o no la verità al malato (a volte inguaribili ma mai incurabili), chi deve dirla e quando bisogna dirla non sono temi trattabili in modo frammentario.
Anche per rispondere a queste domande è necessario anzitutto rispondere alla domanda: cos'è per me la vita e cos'è per me la morte? Chi è l'uomo che muore? E la sua sofferenza può avere un senso?
Carmine Arice

8-TESTIMONIANZE su "accompagnare il morente"

Essere testimone
Ale aveva una grande forza interiore che, unita a una fede salda, l’ha aiutata a affrontare il periodo della malattia.
Nonostante le cure che riceveva fossero molto invasive, non ricordiamo mai di aver sentito un suo lamento, e quando le chiedevamo come stava, lei ci raccontava le sofferenze che stava passando, ma concludeva sempre chiosando: "Se Gesù è morto in croce per me, allora posso anche io sopportare tutto questo e offrirlo a Lui".
Aveva veramente una fede fuori dal comune, e ha avuto anche il coraggio di testimoniarla fino all’ultimo, non ha mai avuto paura di esprimere i suoi giudizi, a costo di apparire sgarbata o di andare controcorrente.
In particolare, è riuscita a portare l’esperienza di Dio in tutti i luoghi di cura dove è stata visitata e ricoverata, a trovare sempre l’occasione propizia per raccontare dei suoi pellegrinaggi, o per commentare un brano delle Sacre Scritture con i medici, gli infermieri o i vicini di camera.
L.M.

Fare il volontario
Il volontario ospedaliero non offre servizi particolari, benché è presente negli orari dei pasti ed aiuta se occorre, è una presenza discreta che invita alla comunicazione. Molti sono i racconti di vita che la persona in difficoltà relaziona spontaneamente e noi volontari ne usciamo edificati.
Con mio marito siamo volontari da circa quindici anni presso l’ospedale e la casa di riposo a Borgomanero e non siamo mai "arrivati" perché le persone ci stupiscono sempre con la loro speranza di vita.
Vi racconto un piccolo aneddoto che mi ha commossa: Gianfranco, ammalato psichico e ricoverato presso la Casa di Riposo, è solito salutarmi sorridente con "t’ammazzo" ma quel giorno mi aspettava con due margheritine colte nel prato…..
Ecco sono stata oggi dall’altra parte della barricata per una visita specialistica, tutto bene da parte del personale sanitario ma mancava di quel tocco di umanità che la persona desidera in quei momenti!
Irene

Cure migliori?
Stiamo vivendo in una società che ha alla base una cultura di morte (vedi aborto, eutanasia) e nel frattempo non vuole parlare di morte e la esclude dalla propria vita, la esorcizza, non si va più a vedere il nonno morto, non si va più al cimitero.
Dico questo perché, nella mia esperienza di medico rianimatore, l’accettazione della morte non la si vede molto, anzi: "Dottore, la prego, salvi mio padre" (107 anni in stadio terminale!).
Ancora meno si vede l’accompagnamento umano e spirituale alla morte.
È difficile trovare parenti che scelgano di portare a casa malati terminali, li portiamo all’Hospice, perché "lì hanno le migliori cure", ma non è forse una scusa perché non siamo più capaci di occuparci dei nostri cari?
Loretta

Dio chiamando abilita
Di fronte alla diagnosi infausta che il medico mi comunicava per mio papà mi sono scoperta debole nella mia fede che credevo inespugnabile.
Allora ho di nuovo scoperto, come in altri momenti di sofferenza che avevano attraversato la mia vita, che Dio chiamando abilita. Abbiamo attivato tutte le nostre riserve di speranza per infondere in papà la voglia di combattere, in mamma la tenacia di starle accanto, di imboccarlo come un neonato quando la chemioterapia gli toglieva l’appetito.
Non ho mai chiesto a Dio il miracolo della guarigione, ma che mi concedesse di essere per papà un piccolo riflesso del suo volto. Se n’è andato il dieci agosto, giorno dell’onomastico del suo amato nipote. Ero là a stringergli la mano, insieme a mamma.
Cinzia

Esserci nell’ora
Mio padre è morto per un tumore al fegato. In sei mesi dalla diagnosi se ne è andato.
Una delle sue ultime sere eravamo in bagno... lo sostenevo mentre si lavava i denti... ero stanca... tanto stanca... fisicamente e moralmente... ed ho pensato: non ce la faccio più!
Questo pensiero è durato un secondo perché subito dopo mi sono detta: quando ti riposerai significherà che lui non c'è più... e allora no... voglio stancarmi fino allo sfinimento... e poi quanti sacrifici ha fatto lui per me ed io devo fermarmi davanti a tutto ciò?
Ho pregato il Signore perché mi desse la possibilità di esserci quando lo avrebbe chiamato a sé... e mi ha esaudito e per questo Lo ringrazio e Lo ringrazierò sempre.
Silvia

Chiamare il prete?
Il papà di mia nuora, ormai anziano, si è ammalato di mesotelioma, un tumore dovuto all’Eternit e connesso con il suo lavoro, e la figlia ha dovuto assumere una badante per assisterlo, mentre noi nonni aiutavamo con i tre ragazzi.
Dopo un anno e mezzo di cure quasi inutili, la figlia ha capito che non ne aveva per molto e ha chiesto l’aspettativa per somministrare personalmente le cure palliative a suo papà.
Noi volevamo suggerirle di farlo incontrare con un Sacerdote ma abbiamo capito che, poiché papà non era un praticante, lei non osava, le sembrava di dirgli: "stai morendo"… Allora abbiamo chiesto a un amico Sacerdote che a Natale andava a benedire la famiglia se poteva andarlo a trovare.
È stato accolto bene e, poiché non poteva più parlare, gli è stato chiesto se voleva i Sacramenti, ha fatto cenno con il capo, e così ha ricevuto l’Unzione e ha fatto la comunione con un poco d’acqua perché non poteva più deglutire. Sembrava aspettasse questo, il giorno dopo se n’è andato in pace.
Franca

9-LE MALATTIE INGUARIBILI E LA FAMIGLIA
Hospice, ospedale o casa propria? Scoprire l’assistenza domiciliare offerta dalle ASL
Interroghiamoci su cosa vuol dire per noi vivere da malati terminali e morire nel proprio letto.

di Maria Rosa Tonda Fauda
Nella nostra società valgono solo i miti positivi: la bellezza più che la bontà, la giovinezza più che la vecchiaia, la ricchezza ostentata più che il decoro familiare.
Noi cristiani viviamo una discrepanza tra ciò che ci propongono i media e ciò che propone il Vangelo; al punto che la nostra vita diventa testimonianza di Fede, se sappiamo ribaltare queste prospettive indotte dal consumismo.

Curare a casa
Come medico di famiglia, in questi tempi di crisi, vedo un lento ritorno all’essenzialità: pochi sprechi, si tende a richiedere medicinali ed esami solo per quanto necessario.
Però spaventa sempre di più sia la malattia in se stessa, sia la sua gestione familiare.
Il mito dell’eterna giovinezza in salute è forse più difficile da combattere perché per decenni ci hanno ingannato, facendoci credere che un malato sia meglio seguito, e quindi si senta più protetto e in definitiva molto meglio in ospedale o negli hospice che a casa, tra i suoi familiari, tra i suoi oggetti, i suoi ritmi di riposo ed attività.
Dobbiamo considerare che per ognuno di noi, nel momento in cui si spalanca una sofferenza, non necessariamente fisica, è più tollerabile combatterla tra le proprie pareti domestiche, dove si può incontrare lo sguardo di chi ci ama.

Dire la verità
Noi medici dobbiamo mediare tra ciò che coscientemente il malato percepisce o sa di se stesso, in rapporto al proprio male, e ciò che i familiari vogliono far sapere al proprio parente: spesso pensano che la cosa migliore sia di nascondere la natura e l’entità della malattia.
A quel punto i congiunti hanno due atteggiamenti opposti: o di allegria forzata, in cui si banalizza o sottovaluta il dolore della persona, facendo apprezzamenti fuori luogo "Oggi sei un fiore! ...Guarda come stai bene!" oppure assumono una "facies funeraria" in cui anche la più innocente domanda, come "Vuoi un budino al cioccolato o un pollo arrosto?", viene pronunciata con un tono comatoso.
Pensiamo che chi è nel letto sia rincitrullito dai medicinali e non si renda conto della farsa recitata ai suoi danni?
Anche la persona meno colta e più dura è degna di verità, senza crudeltà, senza finzioni. Siamo noi a soffrire per primi, quando un nostro parente si ammala in maniera seria e si prospetta una fine certa, se non imminente, almeno in tempi relativamente brevi.
Però abbiamo il dovere di interrogarci su cosa vuol dire per noi vivere o morire, vivere da malati terminali e morire nel proprio letto, garantendo una assistenza familiare e medica pari a quella ospedaliera.

L’assistenza domiciliare
In Italia il Servizio Sanitario Nazionale prevede l’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) e per i casi più specifici l’Unità di Cure Palliative (UCP).
È assolutamente vero che non tutto il territorio italiano è coperto da queste realtà sanitarie, ma dove esiste si percepisce la sostanziale differenza in qualità di servizi e qualità e dignità di vita, che rendono meno doloroso il vivere queste tristi situazioni.
In queste ultime quattro settimane ho accompagnato lungo la malattia e alla morte sia il malato, sia i suoi familiari che erano ben lungi dall’accettare e dal rendersi conto della realtà di fine vita del parente.
Come? Semplicemente, oltre che impegnandomi in un’assistenza quasi giornaliera, facendomi tramite ed artefice di prospettive terapeutiche e assistenziali, dicendo ciò che loro volevano sapere e traducendo dal linguaggio scientifico e burocratico ciò che non capivano, usando il loro linguaggio e le loro esperienze per far capire con tatto e per gradi ciò che stava avvenendo e ciò che presumibilmente poteva avvenire.
Quando mi sono resa conto che queste persone stavano morendo ho fatto chiamare il sacerdote e con loro ho pregato.
francomaria.fauda@libero.it

10-AFFRONTARE LE MALATTIE DEGENERATIVE IN FAMIGLIA
Un fardello invalidante e pesante da portare
Curare un malato in famiglia è qualcosa che isola perché per la nostra cultura la sofferenza è "out".
La differenza tra cure palliative e accanimento terapeutico è molto labile. Quello che oggi sembra utile può rivelarsi, dopo pochi giorni, solo inutile sofferenza.

di Maria Rosa Tonda Fauda
Ogni persona vive la propria vita serenamente, accettando gli alti e bassi della propria salute senza minimamente mettere in conto che, per motivi assolutamente fuori del nostro controllo, ci si possa ammalare seriamente, portandosi appresso un fardello pesante ed invalidante.
Quando questo succede si attraversano diverse tappe psicologiche che in un primo tempo portano alla negazione o al bisogno della conferma della diagnosi, quindi inizia la via crucis degli specialisti più famosi o quotati a livello nazionale se non addirittura internazionale.
Se il malato è una persona equilibrata si accontenta di uno o due pareri, se è una persona ansiosa, o semplicemente non vuole credere che proprio lui debba ammalarsi, rimane in stallo finché la malattia non curata gli porta un conto salato, senza più alcun dubbio.
Le malattie degenerative - nel senso che progressivamente si trasformano in patologie sempre più complesse - spaziano dalla semplice ipertensione al diabete o all’artrite reumatoide, solo per citarne alcune che sono veramente devastanti se non trattate in tempo. Nella mia esperienza di medico di famiglia ho ben presente almeno tre casi eclatanti di cui il primo è Sergio A..

La storia di Sergio
Sergio era stato un pompiere ed era un forte lavoratore nei Mercati Generali di frutta e verdura di Torino, dove lavorava dalle 4 alle 14 ogni giorno. Si ritrovò con un ictus a 40 anni perché non voleva andare dal medico, benché avesse crisi emicraniche violente ed un’ipertensione assolutamente non controllata.
Mi sono sempre chiesta perché una persona con un titolo di studio di scuola media superiore, fosse così ottuso da mandare la moglie dal medico a riferire dei suoi malanni, non andasse mai a farsi un’analisi e tantomeno una visita cardiologica prescritta un’infinità di volte.
Certo doveva lavorare, per costruire un futuro per le sue tre figlie, ma ora che è morto dopo due anni di coma irreversibile e un viaggio della speranza ad Innsbruck, cosa è rimasto alla sua famiglia?

La storia di Raffaella
Il secondo caso di cui voglio parlare è Raffaella B. di 50 anni, ammalata da oltre 25 anni di una forma aggressiva di Artrite Reumatoide. I dolori spaventosi di cui soffre vengono leniti solo dal cortisone, che dopo tanti anni di assunzione ha provocato a sua volta sia una trasformazione fisica che altre gravi patologie: Diabete, Ipertensione, Infarto miocardico, Osteoporosi ecc.
Quando proprio non ne può più il cerotto transdermico di morfina serve per alcune ore, per sopportare e andare avanti. Ormai le sue scorte emotive di resistenza al dolore sono agli sgoccioli, ma tenacemente e con la forza della disperazione lotta contro l’ignoranza della gente, che palpandole l’addome le chiede di quanti mesi sia; o sentendo qualcuno che la critica apertamente dandole della fannullona, perché il suo splendido negozio di articoli raffinati di oggettistica rimane spesso chiuso.
A volte riceve consigli bizzarri anche dai medici: " Ha provato a darsi al Buddismo?... Guardi che Le farebbe molto bene!" ..Intanto Lei con uno sternuto è riuscita a rompersi una costola!

La storia di Filippo
Il terzo caso di cui voglio raccontare è Filippo P. di 76 anni, muratore in pensione ed invalido da 20 anni. Ammalato ed operato di tumore alle corde vocali due volte a distanza di dieci anni.
Negli ultimi mesi aveva passato più tempo in ospedale che a casa, ormai era in fase terminale ed il figlio maggiore e la sua famiglia, lo voleva in casa per assisterlo fino alla fine. Tutte le terapie tentate non avevano sortito alcun risultato anzi, non riusciva più ad alimentarsi e il proporre terapie invasive non mi sembrava proprio il caso.
Bisogna sempre farsi una domanda cruciale: sto veramente cercando soluzioni valide o mi accingo ad un accanimento terapeutico?
Che cosa sarebbe cambiato se i suoi familiari avessero insistito per portarlo in un altro ospedale? Oppure pensiamo veramente che solo la scienza o la tecnica può darci l’immortalità? Quanti di noi pensano alla propria fine, o a quella di un familiare, come ad una realtà ineluttabile?
I media ci convincono che se una persona muore deve essere per forza per colpa di qualcuno, certo a volte succede anche questo, ma per lo più si fomenta il dubbio di non aver fatto abbastanza.
Ringrazio il Cielo che ho un ottimo rapporto con i miei pazienti, quando vedo che non capiscono la situazione clinica, gliela spiego finché anche il meno erudito si rende conto che continuare in terapie senza senso non serve a niente ed a nessuno. Ciò non vuol dire che non si debba alleviare le sofferenze del malato terminale, o non lo si debba nutrire, ma ad un certo punto noi possiamo sì fare qualcosa ma il resto può farlo solo il Signore.
Allora mi sono attivata per garantire a Filippo un’assistenza dignitosa, aprendo una cartella ADI (assistenza domiciliare integrata) con un controllo medico ed infermieristico giornaliero, coadiuvati dalla nuora peruviana, curandolo ma lasciandolo in pace. Così circondato dai figli e dai nipoti, ha atteso la sua fine senza disturbare nessuno, l’ultima mattina ha salutato la nuora che accompagnava i bimbi a scuola ed al suo ritorno si è fatto trovare ormai senza vita, ma disteso e sereno.
È vero che Filippo non aveva mai conosciuto il Signore, anzi non lo cercava nemmeno, tanto che si spaventò non poco quando mi vide in compagnia di Padre Hannibal, che nella Settimana Santa visitava i malati e proprio a lui impartiva l’Estrema Unzione. La situazione era quasi comica con lui che gesticolava e strabuzzava gli occhi, capendo improvvisamente che la fine era assai vicina, mentre noi pregavamo con lui e per lui insieme ai suoi cari.
Dopo la benedizione con l’Eucaristia, essendo impossibilitato ad inghiottirLa, avvenne una trasformazione nel suo volto, da tirato si distese, tanto che il giorno successivo sembrava addirittura che si fosse ripreso.
Nel nostro mestiere è importante pensare non solo ai farmaci da somministrare per curare al meglio i pazienti, ma dobbiamo considerare che la persona che soffre è inserita in un contesto familiare, tutta la cura che diamo a lui la dobbiamo dare anche a tutta la famiglia del malato.
francomaria.fauda@libero.it

11-IL MALATO E LA SUA FAMIGLIA

Come fa una famiglia fronteggiare 25-50 anni di malattia?
È dura, non solo per le inevitabili conseguenze limitative: occorre ripensare funzionalmente il proprio ambiente domestico, che diventa il luogo principale della vita del malato e con essa di tutta la famiglia.
Scordiamoci le scampagnate, i teatri o i cinema in coppia, le cene con gli amici sempre più insofferenti della sofferenza altrui: la sofferenza è out anche se portata con dignità!
Forse la paura tremenda di essere contagiati da tanto dolore ci allontana ulteriormente dalle persone più bisognose di relazioni sociali, allora chiediamoci se veramente la nostra Fede è reale o se è un paravento che ci impedisce di accogliere chi soffre.Gesù cosa ha detto e soprattutto cosa ha fatto di fronte ai malati? Non ha forse toccato e guarito i ciechi, i lebbrosi, gli storpi, l’emorroissa e tanti altri portatori di sofferenze fisiche o mentali o spirituali?
E noi cosa facciamo? Lo sappiamo che verremo giudicati non per i bei discorsi o le nostre abilità ma per ciò, per chi e per quanto avremo amato?
Dobbiamo essere consapevoli che in migliaia di persone si manifesta Gesù, che ci chiede un bicchiere d’acqua, un sorriso, un aiuto, un cappotto e quant’altro!
Maria Rosa

12-LA FIGURA DEL CAREGIVER
Prendersi cura del malato in famiglia

Il termine anglosassone "caregiver" indica "colui che si prende cura" e si riferisce naturalmente a tutti i familiari che assistono un loro congiunto ammalato e/o disabile.
I "caregiver" dei pazienti con demenza sono la grande maggioranza.
Sono in genere donne (74%), di cui il 31% di età inferiore a 45 anni, il 38% di età compresa tra 46 e 60, il 18% tra 61 e 70 e ben il 13% oltre i 70.
Se ti trovi nella condizione di assistere un proprio caro, ricorda che i momenti di difficoltà sono sempre in agguato, il tuo impegno è spesso difficile e gravoso e non mancheranno certo momenti di "stanchezza". Ecco, di seguito, un elenco di consigli che possono essere utili:
1) Non permettere che la malattia del tuo caro sia costantemente al centro della tua attenzione.
2) Rispettati ed apprezzati. Stai svolgendo un compito molto impegnativo e hai diritto a trovare spazi e momenti di svago.
3) Vigila sulla comparsa di sintomi di depressione.
4) Accetta l’aiuto di altre persone, che possono svolgere specifici compiti in tua vece.
5) Impara il più possibile sulla patologia del tuo caro: conoscere aiuta.
6) Difendi i tuoi diritti come persona e come cittadino.
Per saperne di più visita il sito: http://www.caregiverfamiliare.it/

13-TESTIMONIANZE su: le malattie inguaribili

Demenza senile
La nostra esperienza più coinvolgente di assistenza ad un malato è stata nonna Lucia, la mia mamma, che avendo la demenza senile ed essendo venuta a stare con noi quando non è stata più autonoma (90 anni) è stata accudita e curata a vista, fino a che non è finita sulla sedia a rotelle.
Allora ho ringraziato il Signore, perché almeno dove la mettevo stava e non era più pericolosa per lei e per noi...
È stato molto faticoso perché nei tre anni che è durata la malattia, avevamo qualche ora d’aria solo quando veniva qualcuno della Caritas a farle compagnia, oppure i miei figli si davano il cambio per concederci un giorno intero per una gita di riposo mentale.
Devo essere sincera, mi è capitato una volta di scappare per qualche ora e rifugiarmi nella Chiesa dell’ospedale, sempre aperta, lasciando tutto a mio marito Mariano, perché non ne potevo più! Poi alla sera lui mi ha telefonato e sono tornata a casa.
Ho "riposato" due mesi quando è stata ricoverata in istituto, perché Mariano doveva subire un’operazione e io non potevo gestire le due cose. L’altro periodo di "riposo" è avvenuto quando il colpo della strega mi ha bloccato mentre la alzavo per metterla sulla sedia a rotelle, ed è stata ricoverata quindici giorni sempre nello stesso Istituto, nel letto di un’altra nonna che era in ospedale per polmonite (quando si dice la Provvidenza!).
Il lunedì doveva tornare a casa in ambulanza, e la domenica mattina ci ha lasciato. Il dolore c’è stato, ma Mariano ha detto "Ora il Signore ha detto che era l’ora!".
Franca

3 giorni, 2 anni
Un grande esempio di accompagnamento vero, umano e cristiano, io lo ho avuto dalla mia amica Grazia.
Sua mamma, grave diabetica, ha un ictus, la ricoverano in ospedale e dopo tre giorni i medici dicono loro che non c’è più nulla da fare.
La mia amica, in accordo con marito e figli, decide di portarla a casa, perché la mamma voleva morire nel suo letto.
A casa, curata amorevolmente da tutta la famiglia, si è ripresa e per ben due anni, anche se allettata, ha sempre una parola di conforto per tutti e recitava il Rosario.
Non ha mai ripreso a camminare e si è spenta lentamente come un lumicino, ma l’amore della sua famiglia l’ha accompagnata per tutto il tempo, con un grande esempio di fede e di umanità che ancora mi porto dentro.
Loretta

Cancro
Mia madre, a novant'anni, ha scoperto di avere un tumore all'utero, in uno stadio ormai terminale. Grazie al medico di famiglia siamo riusciti a farla prendere in carico dai servizi domiciliari per le cure palliative dell'ASL. Sono stati quaranta giorni molto duri e mi sono trovato a svolgere le funzioni di caregiver: la somministrazione dei farmaci, il cambio delle flebo, il registro delle terapie, ecc.
Ho imparato cosa vuol dire accanimento terapeutico: l'esame, la cura che quattro giorni prima sembrano ragionevoli, quattro giorni dopo si rivelano inutili e controproducenti.
Ho superato questo periodo solo grazie all'aiuto di mia moglie Paola, che ha accudito la mamma come donna, e di mia figlia, che l'ha accudita come infermiera, quale ella è.
Francesco

Sclerosi Laterale Amiotrofica
Negli ultimi mesi di vita di mia moglie Orsolina, alla cui porta otto anni prima aveva bussato una terribile e devastante malattia :" La SLA, Sclerosi Laterale Amiotrofica", la sopravvivenza si era fatta veramente critica a causa del costante progredire del male.
La SLA è una malattia contro la quale non c'erano e non ci sono ancora oggi, cure e medicinali che possano combatterla, chi la contrae è condannato ad una morte lenta e alienante.
Abbiamo lottato contro la devastante malattia con le sole armi a disposizione, cioè il morale, la speranza e la fede. Il male inesorabilmente ha fatto il suo corso, le mani, le braccia, le gambe, la testa, non si muovono più.
Alla fine si respira solo grazie ad un supporto meccanico, e si alimenta tramite una sonda inserita direttamente nello stomaco.
Parole nessuna, per dialogare le restano gli occhi, e con quelli facciamo tutto, comunichiamo, esprimiamo, chiediamo, segnaliamo, dolore, sofferenza, ed esigenze tutte.
Manifestiamo anche i momenti belli e cioè, gioia serenità e soprattutto Amore, quest'ultimo fa si che il malato diventi carne della tua carne per poterne recepire bisogni e necessità.
Diventa indispensabile restarle accanto 24 ore su 24, perché ti ritrovi ad essere la sua unica certezza e sicurezza. Ti accorgi che sei completamente asservito alle sue esigenze, e lo fai volentieri con il sorriso sulla labbra e negli occhi, affinché anche i suoi occhi sorridano.
Quel suo sorridere però vi dona forza, Amore, ed energia e allora si va avanti, chiedendo al Signore di assistervi ma soprattutto di Condividere con voi la situazione.
Con Gesù a fianco, non si è più soli, si è in compagnia, e che compagnia!
Succede allora di sentirti dire da chi viene a trascorrere un po' del suo tempo con noi: "Quando saliamo le scale per venire da voi lo facciamo con la tristezza ed il dispiacere nel cuore, ma quando ne usciamo, abbiamo la pace e la serenità in noi". Possiamo allora dirlo forte: grazie Gesù, grazie Maria.
Giuseppe

14-ELABORARE LA PERDITA
Per un approccio positivo alla perdita e al lutto
La fede non libera dal dolore ma permette di avere un sguardo positivo su di esso.
Una ricetta per superare il lutto: non aver paura di farsi aiutare, sia dagli amici, sia dagli esperti!

di Granger E. Westberg
La perdita di una persona cara ci provoca dolore, può giungere a scuotere le fondamenta della nostra vita e a gettarci nella disperazione.
In genere sappiamo così poco della natura del dolore causato da una perdita che quando ne siamo colpiti cadiamo in preda al panico, e questo provoca ulteriore afflizione.
È allora importante conoscere qualcosa di più del "provetto di elaborazione del lutto" per poterlo meglio affrontare e superare.

Il ruolo della fede
La fede svolge un ruolo di primo piano in qualunque tipo di dolore, ma non nel modo che molti immaginano.
La fede non libera dal dolore ma permette di avere un sguardo positivo su di esso.
Certo, la lotta con i problemi connessi alla perdita induce nel credente anche un ripensamento delle sue convinzioni religiose: può iniziare mettere in discussione aspetti della fede, e spesso attraversa periodi di dubbio, in cui si giunge a mettere in discussione la rilevanza stessa della fede cristiana nella risoluzione dei propri problemi esistenziali.
Se però riesce a mantenere un qualche tipo di relazione con Dio - attraverso la frequenza al culto e la vita comunitaria con altri fedeli realmente partecipi al suo dolore - alla fine riesce a parlare di quella lotta come di un'esperienza di crescita che rafforzato la sua fede.
Tutti coloro che hanno saputo affrontare il dolore nella consapevolezza che Dio non ci abbandona mai, hanno affermato che il dolore può essere annoverato tra le grandi esperienze di crescita della vita.

Gli stadi del dolore
Quando le persone sono colpite da un forte dolore tendono a seguire uno schema comportamentale che si articola in una serie di stadi.
Questi vanno intesi come il normale processo che la maggior parte di noi deve attraversare quando affronta una perdita. Si tratta del cammino che la maggior parte di noi deve percorrere per tornare a vivere normalmente, dopo una perdita.

Lo choc
È quello che può succedere subito dopo aver subito un lutto molto grande: restiamo temporaneamente anestetizzati. Lo choc è una temporanea fuga dalla realtà; nella misura in cui è temporaneo è positivo perché ci permette di affrontare una serie di decisioni urgenti e di prendere delle decisioni.
Serve essere vicini alla persona in lutto, disponibili ad aiutarla se crolla, ma lasciandole ampi spazi di autonomia.

Liberare le emozioni
Quando iniziamo a renderci conto della perdita subita siamo colti dal pianto dirotto, incontrollabile.
È bene che sia così: siamo stati creati con le ghiandole lacrimali e dovremo usarle ogni volta che abbiamo una buona ragione per farlo.
Se provate imbarazzo a manifestare il vostro dolore scegliete un posto in cui isolarvi e sfogatevi nel modo che per voi è più congeniale.

Soli e depressi
Un altra cosa che accade è un senso di profonda depressione e isolamento: ci sembra che nessun altro abbia sofferto come noi. È vero: nessuno ha mai sofferto esattamente come noi, perché non ci sono due persone che affrontino lo stesso lutto allo stesso modo. Ma essere soli e depressi è un fenomeno universale.
Quello che non dobbiamo mai dimenticare è che un giorno tutto questo passerà.
Per alcuni la depressione scompare apparentemente da un momento all’altro. Qualcosa scatta dentro di loro o qualche evento importante innesca il passaggio al successivo stadio di elaborazione del lutto.
Altri necessitano di più tempo, a volte mesi. Per loro la costante attenzione di altre persone nei loro confronti può essere un aiuto inestimabile.

I disturbi psicosomatici
Ho prestato servizio per molti anni come cappellano di un centro medico e mi sono lentamente reso conto del fatto che lo stato patologico di molti pazienti è dovuto a esperienze di dolore non risolte.
Solitamente, il paziente si presenta lamentando un disturbo di tipo fisico. In un crescente numero di casi, queste persone mi raccontano di qualche grave perdita subita negli ultimi mesi o negli ultimi uno-due anni. Parlandone, emerge chiaramente che non hanno ancora elaborato alcune problematiche centrali relative a quella perdita.
Se non li si aiuta a comprendere le problematiche emotive in cui sono bloccati, difficilmente guariranno.

Il panico
Non riusciamo a concentrarci, veniamo assaliti da ogni sorta di pensieri negativi. Quando si inizia a temere di star perdendo la ragione spesso si cade in preda al panico. Si è come paralizzati dalla paura.
Per superare questo periodo dobbiamo aprirci a nuovi rapporti umani anche se non ne abbiamo alcun desiderio. Ma crogiolarci nel nostro dolore non farà altro che prolungare il nostro lavoro di elaborazione.

I sensi di colpa
Quando muore una persona cara, è normale per chiunque di noi che sia vissuto in stretta intimità con lei essere assaliti per sensi di colpa per cose che non sono state fatte o, viceversa, che sono state fatte e hanno ferito.
La colpa irrisolta possono renderci infelici per anni o tradursi in una serie di sintomi psicosomatici. È importante che affrontiamo i nostri sensi di colpa, tanto i reali che i nevrotici. Ma bisogna farsi aiutare da esperti.

Rabbia e risentimento
Quando perdiamo qualcosa di prezioso, inevitabilmente attraversiamo uno stadio in cui siamo ipercritici verso tutto e verso tutti coloro che hanno avuto a che fare con il nostro lutto.
Guardiamo tutti con malevolenza, ce la prendiamo anche con Dio.
Quello che conta è non farsi sopraffare dalla rabbia e combatterla.

Riaffiora la speranza
Il periodo più critico del lutto può durare da qualche settimana a molti mesi.
Abbiamo, in questo periodo, bisogno dell’affetto e dell’incoraggiamento di chi ci sta intorno. Percepire questo affetto ci aiuta a capire che il nostro attuale atteggiamento di chiusura verso il mondo non è realistico.
Così possiamo scoprire che altre esperienze, nella vita, possono avere di nuovo senso.

Dire di sì alla vita
Questo non vuol dire che torniamo ad essere quelli di prima, il lutto ci ha cambiati.
Ho potuto constatare che chi ha una fede matura esce da queste esperienze più capace di aiutare gli altri in situazioni analoghe. Chi ha una fede immatura o infantile tende ad affrontare la perdita in modi malsani.
Una fede matura si fonda sulla certezza che niente e nessuno ci potrà mai privare del rapporto che abbiamo con Dio.
Allora la speranza, basata sulla fede in un Dio fedele, ci permette di tornare a dire di sì alla vita.
Tratto dal libro dell’autore: Elaborare la perdita, Edizioni Messaggero, Padova 2009.

15-I TANTI PICCOLI "DOLORI" DELLA VITA

L'esperienza del dolore è comune a tutti gli uomini, è naturale tanto quanto il respirare.
Se la scomparsa di una persona cara comporta un dolore molto forte, vi sono anche altre circostanza della vita molto dolorose.
Pensiamo al divorzio! Vedere la persona che si continua ad amare volgerci le spalle è un grosso schiaffo morale, un po' una morte in vita, con l’aggravante che continuiamo ad incontrarla.
Un'altra forma di "lutto" può essere costituita dal pensionamento. Non tutti lo attendono con ansia. Non sono pochi quelli che lasciano il loro impiego a malincuore, sentendo di aver perso ogni ragione per vivere.
O pensiamo al "lutto" di chi, a quaranta-cinquant'anni, viene lasciato a casa a tempo indeterminato o licenziato per via della recessione.
Altre situazioni di "lutto" possono riguardare i figli. Per esempio, si perde un figlio fortunatamente non perché muoia, ma perché si sposa. Oppure c'è il figlio che si rivolta contro i genitori e sceglie uno stile di vita diametralmente opposto ai loro insegnamenti. O ancora, una figlia profondamente innamorata, che sta per sposarsi, scopre che il promesso sposo non è la persona che credeva, e tutto va a monte.
Granger E. Westberg

16-LA PREGHIERA DELL’ "ETERNO RIPOSO"

Non mi ha mai convinto la preghiera classica che si recita per i defunti.
Forse perché non l’ho mai capita!
Il riposo di cui parla la preghiera non è il riposo nella tomba, bensì il riposo divino del sabato. Il sabato Dio si riposa dal suo lavoro. Perciò anche noi possiamo riposarci in Dio da tutte le nostre fatiche e tribolazioni.
L'incontro con Dio non è un riposo eterno, bensì una vita straordinaria e mozzafiato, una tempesta di felicità, che ci trascina, ma non in qualche luogo, bensì sempre più a fondo nell'amore e nella beatitudine di Dio.
La seconda immagine è quella della luce che dovrebbe splendere per il morto. Istintivamente associamo la morte all'oscurità. Perciò auguriamo al defunto che risplenda per lui la luce perpetua di Dio; che possa riconoscere la propria vita alla luce di Dio. Gli auguriamo che tutto ciò che era oscuro e imperfetto nella sua vita possa diventare luce.
Gli auguriamo di diventare lui stesso fonte di luce, anche per noi che, dopo la sua morte, abbiamo una visione complessiva della sua vita.
E gli auguriamo che tutto in lui sia permeato della luce e dell'amore di Dio.
Sintesi da: Anselm Grün, Che cosa c'è dopo la morte?, Paoline Editoriale libri, Milano 2009.

17-QUANDO MUORE UN GENITORE
Non c’è un modo "giusto" per vivere il lutto

La perdita di un genitore è un dolore speciale.
Innanzitutto, spezza uno dei legami umani più lunghi e profondi. I genitori sono coloro che ci hanno messo al mondo. In modi di cui non siamo neppure del tutto consapevoli, hanno forgiato la nostra vita - anche quando ci siamo sottratti alla loro influenza o abbiamo scelto di essere diversi da loro -. Nel bene e nel male, resteranno sempre una parte di noi. Quando muoiono subiamo una perdita irreparabile, ed è normale che ci sentiamo vuoti, senza di loro.
La morte di un secondo genitore può per certi versi risultare più facile da sopportare, in quanto abbiamo già vissuto l'esperienza di quel tipo di lutto.
Ma per altri versi risulta più difficile, perché con la morte di entrambi i genitori veniamo a non avere più una casa patema - o forse dovremmo dire "materna", dal momento che ciò si verifica soprattutto alla morte della madre, spesso colei che ci ha creato intorno una "casa", e che resta poi la custode delle tradizioni famigliari nelle grandi feste.
Poiché sentiamo di avere una forte responsabilità verso i nostri genitori, spesso proviamo molti più rimpianti, alla loro morte, il senso di non aver fatto tutto ciò che dovevamo. E questi sentimenti condizionano fortemente il nostro lutto.
E poi la morte di un genitore, come un brusco scrollone, ci ricorda anche la nostra mortalità. Ora siamo noi la generazione "in prima linea". Un giorno anche noi moriremo.
I grandi interrogativi della vita assumono un'urgenza tutta nuova: qual è il senso della mia vita? Che cosa ne sarà di me dopo la morte?
Tratto dal libro di Ron Klug: Quando vi muore un genitore, Edizioni Messaggero, Padova 2009.

18-TESTIMONIANZE su: la morte di un genitore

L’amore che resta
Quando mio padre è morto si è aperto un baratro intorno a noi, tutto parlava di lui, tutto era stato fisicamente fatto dalle sue mani sapienti, le case nelle quali abitiamo, i vigneti che lavoriamo.
È stata dura nei primi giorni, lo è ancora.
Ma c’è un balsamo che lenisce la ferita della perdita di un genitore: la vita che tu hai ancora davanti da vivere corroborata dalla forza di quello che lui ti ha insegnato.
Sono sicura che alla sera della nostra vita saremo giudicati sull’amore, come diceva San Giovanni della Croce.
Papà se n’è andato tra le braccia del Padre portandone davvero una buona scorta. Questo rende lieta la nostra vita anche dopo la sua partenza.
Cinzia

Mio papà
Non pensi mai che possa toccare anche a te, soprattutto quando si è più giovani si parla di sofferenza e di morte in terza persona.. Ma poi il dolore bussa alla tua porta e tu non puoi fare altro che aprire.
Ora che mio papà non c’è più, ogni mattina gli auguro buon giorno ed alla sera buona notte.
So che lui c'è, che mi è vicino ma mi manca tantissimo e la ferita continua a sanguinare... provo molto dolore per la sua scomparsa... ma ciò mi accompagnerà per sempre perché il giorno che non proverò più dolore significherà che l'ho dimenticato... e so che non può succedere.
Qualcuno in parrocchia mi ha detto che gli assomiglio molto... non solo fisicamente ma nel modo di essere: questo è in assoluto il più bel complimento che una persona possa farmi.
Silvia

Un sorriso che manca
Ho impiegato molto tempo a superare il lutto per la morte di mia madre.
Non ho mai pianto né quando stava male né quando è mancata, l'unica volta che è successo ero in chiesa, mi ricordo le lacrime silenziose che hanno bagnato il banco.
Quando è mancata l'ho baciata e ringraziata perché non mi sentivo più di passare un'altra notte ad accudirla. Nella cassa non la riconoscevo più, vedevo solo una persona anziana, molto anziana. Mi sono poi reso conto del perché: mamma sorrideva sempre, aveva un viso radioso, pieno di vita.
Ho superato il lutto, almeno credo, quando qualche mese fa ho dovuto abbattere la mia cagnetta, Kuna, di 15 anni. La veterinaria ci aveva "obbligato" ad assistere all'eutanasia. Quando si è spenta, con tre sospiri, e ho dovuto parlare con il medico per le pratiche mi è venuto un groppo alla gola, ho rivisto mia madre giocare con il cane e ho pensato: "mamma, adesso non sarai più sola, Kuna ti è venuta a tenere compagnia e a mangiare i biscotti con te".
Francesco

Mia mamma
Dopo la morte di papà, ho visto mamma prostrata ma non vinta, la fede è le è stata di grande aiuto e quindi ha dato aiuto anche a noi.
È stato più difficile per me elaborare il lutto dopo la morte di mamma.
Per mesi mi sono svegliata di notte sentendo la sua voce che mi chiamava come faceva sempre, e qualche volta mi sono anche alzata con la forza dell’abitudine per poi scoprire che il letto era vuoto. Poi Mariano ha fatto sparire dalla casa tutte le foto di mamma da vecchia, ha posto foto di lei ottantenne, sorridente e felice, allegra come è sempre stata e io, piano piano ho incominciato a dormire, a ricordare le sue battute, i suoi proverbi, e ho ricominciato a curare il mio corpo di cui mi ero dimenticata, e ad accorgermi di quanto fosse stato duro accettare di non essere riconosciuti dalla propria mamma.
Franca

19-QUANDO MUORE IL CONIUGE
Dire addio può essere estremamente difficile

Il dolore per la perdita di un coniuge è multirelazionale e multidimensionale.
Si soffre la perdita di un marito o di una moglie, di un/a compagno/a, un/a confidente, di un consigliere, un amico/a, a volte di un/un'assistente, di un/un'aiutante, del padre o della madre dei propri figli e di tutti gli altri ruoli che il coniuge ricopriva per voi.
Si soffre anche per tutto ciò che avrebbe potuto essere e che non sarà più.
Il processo di elaborazione del lutto è complesso perché molti sono gli aspetti che la morte di una persona cara ridesta in noi. Può riattivare il dolore di precedenti lutti, ma ci porta inoltre a fare i conti con la nostra mortalità, ad affrontare il fatto che un giorno anche noi moriremo.
Il lutto è un processo. È il processo attraverso il quale poco a poco siamo in grado di congedarci definitivamente dalla persona cara defunta, così da poter tornare a vivere. E dire definitivamente addio a una persona cara può essere estremamente difficile.
Tratto dal libro di Mildred Tengbom: Quando si resta vedovi, Edizioni Messaggero, Padova 2009.

20-TESTIMONIANZE su: la morte del coniuge

Una ferita aperta
Non riesco a scrivere nulla, mi dà ancora troppo dolore scrivere della morte di Paola, la moglie di mio fratello. Ci ho provato ma è la ferita è ancora troppo aperta, più passa il tempo e più patisco la sua mancanza.
Mi ero riproposta di scrivere qualcosa con Mattia, suo figlio diciottenne, ma non ne ho avuto il coraggio: lui è apparentemente tranquillo e non vorrei scoperchiare una pentola che bolle perché poi non saprei come gestirla!
L’unica cosa che posso dire è che non mi rendo conto che è già passato un anno. Non c’è stato giorno che io, nonostante i miei impegni e miei stress quotidiani, non abbia pensato a Lei. Non riesco ancora a darmi pace della sua morte e del vuoto che ha lasciato; forse se fossi credente l’idea di pensarla serena in un aldilà renderebbe anche me più serena.
Ivana

Senza di lui
Mio marito è mancato il 15 luglio 1995, aveva 53 anni ed era ammalato di carcinoma tiroideo con metastasi ossea, la sua malattia è durata 5 anni.
In quei momenti parenti e amici sono tutti intorno a te, poi dopo pochi giorni si ritorna alla normalità e si riparte portando nel cuore il dolore per la perdita dei nostri cari.
Mio marito, Giovanni Gallo, diacono permanente della chiesa torinese, insegnante di Religione al liceo classico di Carmagnola ed ex impiegato bancario, aveva molto a cuore coloro che soffrivano e che si trovavano in difficoltà, aveva sempre un momento per tutti e li ascoltava volentieri senza togliere niente ai figli e alla moglie.
Al suo funerale il Card. Saldarini mi disse: "Giovanni è vivo come è viva la Madonna, come è vivo Gesù".
Queste parole mi sono state di grande aiuto e quando incominciavo a chiedermi e adesso cosa faccio senza di lui? Ecco che le parole del Card. Saldarini mi ritornavano in mente. Tuttavia sovente mi domandavo, ora cosa faccio?
Faccio la nonna ai miei nipoti ed aiuto i miei tre figli, ormai tutti sposati o continuo a fare qualcosa per gli altri, come mi aveva insegnato Giovanni?
La prima risposta è stata, si ma da sola io non sono capace a fare niente di eclatante per gli altri, se ci fosse lui sarebbe diverso, in due sarebbe tutto più semplice.
Poi, come un sussurro che arriva all’improvviso:" ma non sei sola perché c’è Giovanni e c’è anche Gesù che cammina sempre al tuo fianco". Non potevo più nascondermi dietro una scusa o piangermi addosso perché ero "vedova".
No Giovanni era con me come prima, ero io che non lo vedevo fisicamente, ma lui vedeva me e mi avrebbe aiutata in qualsiasi momento. Allora ho pensato che non dovevo fare grandi cose, ma continuare a fare qualcosa di semplice, qualcosa per gli altri., qualcosa che avevo sempre fatto.
Sostenuta dai figli, ho incominciato ad aprire la mia casa a coloro che non avevano casa. Ho ospitato in modo residenziale altre persone a casa mia, ho continuato a fare con molta semplicemente quello che avevo fatto insieme a Giovanni, la mamma! Questa volta però ero una mamma di appoggio per altre persone che non potevano stare nella loro famiglia e non avevano una casa. Tradotto si potrebbe dire: essere missionari là dove si vive, mettersi al servizio di altri.
Amalia

21-QUANDO MUORE UN FIGLIO
Una morte che contraddice l’ordine naturale della vita

La morte di vostro figlio può essere stata un evento che prevedevate, in quanto preceduto da una grave malattia, o può essere giunta totalmente imprevista, a seguito di un incidente o di un suicidio.
Quale che sia il vostro caso, la vostra vita è stata irrevocabilmente cambiata.
La morte di un figlio è stata spesso descritta come la peggiore delle perdite. Il dolore che suscita è profondo - e potenzialmente invalidante - e si dice che duri più a lungo di qualunque altro dolore. Il figlio che tanto avete amato, e di cui vi siete presi cura con tanto amore, è morto. La morte di un figlio contraddice l'ordine naturale della vita; vi ha privati delle speranze e dei sogni che nutrivate per lui.
Come genitori, sentite forse di aver fallito, perché in qualche modo non siete stati in grado di proteggere vostro figlio dalla morte.
Il dolore può essere straziante, e colmarvi di emozioni che rischiano di esaurirvi. Benché il dolore sia vostro e solo vostro, sappiate che nel vostro percorso non siete soli. Ci sono altre persone disponibili a camminare accanto a voi, altre che vogliono aiutarvi a portare il vostro fardello di dolore.
Chiedere il loro aiuto - e accettarlo - è un dono che può contribuire a rimarginare le vostre ferite.
Tratto dal libro di Teresa Huntley: Quando vi muore un figlio, Edizioni Messaggero, Padova 2009.

22-TESTIMONIANZE su: la morte di un figlio

Bella come il sole
In pronto soccorso, si presentano due genitori con una bambina di cinque mesi cardiopatica, bella come il sole, che non respira bene.
La nostra equipe si muove subito, ma capiamo che non c’è molto da fare.
Rianimiamo la bambina per un’ora e nel frattempo i genitori sono presenti e costantemente informati di tutto ciò che stiamo facendo. Ma invano. Tocca a me parlare coi genitori.
Lo stupore mi coglie, quando dico loro che la bimba è morta e loro mi ringraziano, perché hanno potuto stare con lei fino all’ultimo e hanno visto la nostra delicatezza e umanità nell’affrontare quella rianimazione.
In attesa della psicologa (per fortuna nel nostro ospedale abbiamo una equipe di supporto per le morti tragiche) rimango con loro e propongo loro di pregare perché questo nuovo angelo possa aiutare loro e noi a superare questo brutto momento.
Abbiamo pregato insieme la Madonna, la nostra mamma celeste, che prima di noi ha sofferto le nostre pene e una grande pace si è posata su quei volti distrutti dal dolore.
Loretta

Riflettere sulla morte
Alla fine dello scorso febbraio abbiamo saputo che il cuoricino del nostro piccolo nella pancia di mamma non batteva più.
È stata una notizia inattesa e dolorosa: eravamo lieti che arrivasse un fratellino per la piccola Lucia, che tra poco compirà due anni.
Nel raccontare a vari amici e colleghi quanto ci era accaduto abbiamo appreso da molti che avevano portato medesime croci, perdendo, in molti, dei bimbi nelle prime settimane di gravidanza. Questo ovviamente non modifica la sofferenza, ma rende più comprensibile l’accaduto. oprattutto ci ricorda quanto sia importante e consolante la condivisione.
Discrezione e riservatezza custodiscono il giardino segreto della coppia, ma la condivisione suggerisce sentieri e cammini propizi per salire e a volte scalare i percorsi più impervi.
La perdita di piccolino ci ha anche ricordato quanto sia importante riflettere sulla morte, in modo da accoglierla non come una ladra dirompente, ma come sorella morte corporale.
Joram

Perché proprio a noi?
Eravamo in quattro in famiglia: io, mio marito e due figli ormai grandi.
All'Epifania del '97 il maggiore si è impiccato nella cantina dei nonni.
La mia prima domanda, superato lo shock, è stata: come è stato possibile?
Avevo sempre pensato che queste cose capitassero nelle famiglie con i genitori distratti oppure con figli "problematici", invece era toccato a noi, una famiglia dove tutto sembrava perfetto!
Mio figlio era intelligente e molto amato, aveva la stoffa del leader, era un "costruttore" di amicizie, ma forse non era abituato a perdere.
Ho superato questo grave lutto perché ho voluto farlo: sono tornata a lavorare - sono insegnante - dopo pochi giorni, mi sono fatta aiutare da uno psicologo, ho cercato di valorizzare l'esperienza che stavo vivendo perché, da credente, sono convinta che anche dal male può nascere qualcosa di buono.
Un grosso sostegno ci è venuto da un gruppo di mutuo aiuto, formato da coppie che avevano vissuto situazioni analoghe alla nostra.
Il gruppo ti costringe a d aprirti, e poi gli altri ti capiscono quando esprimi le tue emozioni, i tuoi sentimenti, e ti possono aiutare. Anche la fede mi ha aiutata. La mia educazione religiosa era quella giovanile che non avevo più coltivata. Grazie all'incontro con sacerdoti attenti alle mie problematiche ma, soprattutto, con la lettura sistematica di tutto il Vangelo sono "cresciuta" nella fede.
Ho potuto scorgere il passaggio della "provvidenza" nella nostra vita: ogni volta che si manifestava in famiglia una nuova esigenza quasi subito questa veniva soddisfatta, ho colto la rete di solidarietà che ci circondava, ho cambiato il modo di valutare le cose.
Alla fine di questo cammino posso affermare che il bilancio è stato in pareggio.
Agnese

Uomini e donne nella Bibbia
23- LE SETTE PAROLE DI GESÙ IN CROCE
Per una lettura familiare della Passione del Signore

di Vincenzo Salemi, IMC
Mi piace pensare ad una famiglia che, almeno una volta la settimana durante la Quaresima, si raccoglie in preghiera davanti a un crocifisso.
Come san Francesco vorrei guardare alla Croce perché mi parli, mi ripeta le parole che in realtà disse quand’era sulla croce. Sono le parole di Gesù che nasconde la sua divinità per esprimere appieno la sua umanità.

"Padre, perdona loro, poiché non sanno quello che fanno" (Lc 23,34)
Lo hanno schiaffeggiato, gli hanno sputato addosso, lo hanno preso in giro, lo hanno crocifisso e Lui chiede perdono per loro!
Nell’ultima cena aveva detto che il suo sangue è versato non solo per i presenti, ma per tutti, per la remissione dei peccati.
È già difficile perdonare chi si è pentito, ma quant’è difficile perdonare chi è ancora ostinato a farmi del male. Eppure il perdono è il segno più concreto di amore, anche per i nostri nemici (cfr Mt 5,43).

"In verità, ti dico, oggi tu sarai con me in paradiso" (Lc 23,43)
C’è un dialogo che rasenta l’assurdo tra i due delinquenti che sono stati crocifissi con Gesù.
Uno continua a importunare Gesù con parole pesanti, l’altro capisce: Sì, Gesù è innocente. Il suo destino è chiaro, è il Paradiso. Allora, commosso, guardando in un flash tutta la sua vita, non ha nemmeno tempo di chiedere perdono, ma sa chiedere "ricordati di me" (Lc 23,42). La promessa di Gesù è immediata.
In fondo lo aveva detto, non sono venuto per giusti (o almeno quelli che pretendono di essere tali, ma per i peccatori (cfr Mt 9,13). Gesù non ha escluso nessuno.

"Donna, ecco tuo figlio. Figlio, ecco tua madre" (Gv 19,26)
Soltanto San Giovanni ci riferisce queste parole di Gesù. Non ha più niente, sta per morire, ha solo due cose che sono le più preziose: sua madre e uno dei suoi discepoli.
Affida l’uno all’altra. Affida la madre a Giovanni e alla Madre affida il discepolo. Maria nel Vangelo di Giovanni compare alle nozze di Cana, non ha molte parole da dire, solo "fate quello che vi dirà" (Gv 2,5).
Maria resterà in preghiera con i discepoli in attesa della Pentecoste. Così lei che aveva generato Gesù per opera dello Spirito Santo, ora genera la Chiesa per opera dello Spirito Santo. Sì, Maria è giustamente Madre della Chiesa.

"Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mt 27,46)
Gesù è veramente uomo. Come uomo ha conosciuto anche l’esperienza di un Dio che non si fa vedere, non si fa sentire, proprio quando tutto va storto.
Ha incominciato a recitare un salmo, il salmo 22 che incomincia così: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?".... ma continua: "perché egli non ha disprezzato né disdegnato l'afflizione del povero, il proprio volto non gli ha nascosto ma ha ascoltato il suo grido di aiuto" (Sal 22,26).
Nella nostra preghiera abbiamo tutto il diritto di chiedere "perché", di lamentarci con Dio... ma l’invito è di affidare il nostro spirito a Dio, come in questa quarta parola.

"Ho sete!" (Gv 19,28)
Quando si era seduto sul muretto del pozzo di Sicar, in Samaria, Gesù era stanco, aveva sete. Chiese da bere alla Samaritana, ma poi le offrì un’acqua che veramente disseta (Gv 4).
Sulla Croce al sole, la sete doveva essere atroce ma, come in Samaria, Gesù sta per offrire un’acqua che disseta chi si rivolge a lui. Infatti, dal suo fianco uscì sangue ed acqua (cfr Gv 19,34). "A colui che ha sete io darò gratuitamente da bere alla fonte dell'acqua della vita" (Ap 21,6).

"È compiuto" (Gv 19,30)
È una parola solenne. Come un sigillo sulla Nuova Alleanza che Gesù ha fatto tra Dio e l’Umanità intera. Gesù ha riconciliato il mondo con Dio.
Un centurione, un pagano, ha visto tutto. "Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: "Davvero quest'uomo era Figlio di Dio!" (Mc 15,39).
Non sapeva della profezia di Isaia che aveva previsto la passione di Gesù non sapeva dell’agnello che doveva essere immolato, ma ha visto con i suoi occhi che nessuno può morire così se non è veramente il Figlio di Dio.
È un momento che richiede silenzio e rispetto. Ma soprattutto gratitudine.

"Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" (Lc 23,46)
È l’ultima "parola", gridata "a gran voce", perché tutti la udissero.
Questo abbandono fiducioso di Gesù nelle mani di Dio è preludio alla Risurrezione.
Proprio perché ha affidato il suo spirito al Padre, il Padre gli ha dato lo spirito, il soffio della vita. Gesù è risorto, per non più morire. È risorto per donarci il suo Spirito, lo Spirito dell’amore.
vincenzo.salemi@consolata.net

Sul tema vedi anche, nella versione on-line della rivista, la riflessione di madre Anna Maria Canopi.

24-PER APPROFONDIRE IL TEMA
Alcuni libri usati per realizzare questo numero

Franz-Josef Nocke, Escatologia, Collana: Giornale di Teologia 150, Queriniana, Brescia 20062.
Ci troviamo di fronte ad un saggio teologico sul tema del destino ultimo della creazione e dell’uomo. Tutti i temi dell’escatologia cattolica vengono trattati nel libro in modo sistematico.
Un libro da scuola di teologia, dunque?
Senz’altro, ma la caratteristica dell’autore, rispetto ad altri testi analoghi, è quello di esporre i diversi punti di vista sul tema e di prendere posizione su essi cercando, spesso con successo, di giungere a delle conclusioni condivisibili.
Questo saggio è stato pubblicato per la prima volta all’interno dei due volumi del "Nuovo corso di dogmatica" (Queriniana, 1995) ma le sue caratteristiche hanno fatto sì che venisse successivamente pubblicato come opera a se stante.
Il libro merita di essere letto da tutti coloro che sono interessati ad approfondire il tema.

Anselm Grün, Che cosa c'è dopo la morte? L’arte di vivere e morire, Paoline Editoriale libri, Milano 2009.
Un libro serio, eppure scorrevole, che tratta della speranza cristiana della vita oltre la morte.
Così lo presenta l’autore: "Quando tengo qualche conferenza mi sento spesso chiedere che cosa dobbiamo aspettarci noi cristiani dopo la morte e come possiamo immaginare la vita eterna.
Il desiderio di capire che cosa ci succederà quando moriremo è particolarmente intenso perché il modo in cui concepiamo la morte condiziona anche il nostro rapporto con essa.
Ciò che pensiamo della morte può spaventarci o infonderci fiducia e tranquillità.
Soltanto se accettiamo la morte come meta della nostra vita, e non come annientamento, possiamo vivere pienamente la nostra essenza di mortali eppure chiamati alla risurrezione".

Enrico Larghero e Marco Brunetti (a cura di), Percorsi di Pastorale della Salute, Edizioni Camilliane, Torino 2012
Un tomo di 400 pagine non si può considerare un testo da "comodino". Ma non è necessario leggerlo tutto.
Gli argomenti principali (premesse; pastorale della salute; pastorale, medicina e bioetica; accanto al malato) sono trattati in modo molto articolato. Noi ci siamo soffermati sull’ultimo argomento che tratta di: il rapporto medico-paziente; la psicologia del malato, la relazione di aiuto, diagnosi e alleanza pastorale, i gruppi di mutuo aiuto nel lutto, la famiglia nella realtà della sofferenza, il volontariato, la cappellania.
I singoli temi sono trattati con competenza e attingendo ad una pluralità di fonti, utili per approfondire le tematiche stesse.
Ritengo possa essere un testo molto utile per chi opera con i malati e le loro famiglie.

Granger E. Westberg, Elaborare la perdita, Edizioni Messaggero, Padova 2009.
Un bel libro, semplice, scorrevole, ricco di testimonianze e di esperienze di fede. Si coglie nella lettura la cultura americana dell’autore ma questo elemento non pesa più di tanto.
Tutti viviamo esperienze di perdita. Che si tratti della morte di una persona cara, di un divorzio, di difficoltà sul lavoro o di altri tipi di perdite, tutti ci troviamo a dover superare quel dolore che è una naturale reazione a perdite, sofferenze e cambiamenti.
Dalla sua prima edizione, nel 1962, Elaborare la perdita è ormai divenuto un classico per coloro che si trovano ad affrontare l'esperienza di una perdila.
Con sensibilità, saggezza e profonda conoscenza dell'animo umano. Westberg guida il lettore attraverso i "dieci stadi" dell'elaborazione del lutto (dalla quarta di copertina).

Segnaliamo inoltre:
Ron Klug: Quando vi muore un genitore, Edizioni Messaggero, Padova 2009.
Mildred Tengbom: Quando si resta vedovi, Edizioni Messaggero, Padova 2009.
Teresa M. Huntley: Quando vi muore un figlio, Edizioni Messaggero, Padova 2009.
Si tratta di tre libretti della stessa collana: "accompagnare", che possono aiutare sia coloro che vivono l’esperienza del lutto sia coloro che vivono loro accanto.
I tre libretti sono di facile lettura, ricchi di situazioni di vita concrete, aiutano senza annoiare.
Possono essere, visto il loro costo contenuto (6 €), usati per avvicinare, in chiave pastorale, persone che si trovano nella necessità di elaborare un’esperienza di lutto.
Gli autori provengono da formazioni diverse: riescono così a trattare temi tra loro simili attraverso cammini narrativi originali e non sovrapposti.

25-I GRUPPI DI MUTUO AIUTO NEL LUTTO
Il valore del gruppo dei "pari" per superare le ferite e per diventare "guaritori feriti"

Di Arnaldo Pangrazzi
I gruppi di mutuo aiuto sono reti di supporto composto da persone che condividono uno stesso problema e che si incontrano per interagire, offrire supporto e apprendere gli uni degli altri strategie costruttive per far fronte alle crisi della vita.
Il condividere con altri la propria vulnerabilità porta ad attingere forza dal gruppo, alleviare la solitudine, sperimentare nuove forme di appartenenza, crescere nella fiducia in se stessi.

Un rapporto orizzontale
Il rapporto tra i membri di questa rete comunitaria è orizzontale, non verticale: ognuno è potenzialmente un aiutato e un aiutante.
Inizialmente la persona entra nel gruppo per ricevere aiuto, successivamente ci resta per aiutare altri che iniziano il cammino.
Generalmente il sostegno si estende al di là e al di fuori del gruppo, tramite contatti informali che i componenti coltivano tramite contatti telefonici, momenti di relax, appuntamenti culturali e spirituali.

Comunità sananti
La Chiesa, da sempre, fa leva sulla comunità quale luogo di appartenenza, condivisione e guarigione e il modello del mutuo aiuto risponde sicuramente alla realizzazione della missione di essere vicini alle persone più fragili, esprimere solidarietà, creare comunione, promuovere le guarigione. Spesso i locali stessi della parrocchia sono i luoghi in cui le persone si incontrano e, talvolta, il sacerdote o la suora vi sono presenti come animatori.
I gruppo di mutuo aiuto sono ambiti in cui si sperimenta l’ "alleanza nel dolore", "l’università del dolore" e "la terapia del dolore". Ognuno nel gruppo assume il duplice ruolo di aiutato e di aiutante, di ferito e guaritore.
È nel costante dinamismo del dare e del ricevere, dell’avvertire le proprie inadeguatezze e dell’apprendere nuove idee sul come gestire determinate difficoltà, del condividere le ferite e dell’articolare consapevolezze di cicatrizzazione, che si realizza lo scopo del gruppo quale risorsa comunitaria per sanare i cuori feriti.
Nel gruppo ognuno porta il bagaglio delle sue ferite (perdite, sconforto, amarezza, solitudine, insicurezze, problemi), ma anche le miniere (spesso nascoste o ignorate) dei propri tesori.

Compagni di viaggio
Il beneficio del gruppo è, innanzitutto quello di contribuire a un confronto realistico della situazione.
La presenza di altre persone ferite favorisce la riconciliazione con la propria vulnerabilità, invita al realismo, impedisce facili vie di fuga, riconosce che non ci sono risposte facili ai perché della sofferenza.
In secondo luogo, la condivisione con altri, favorisce la "catarsi"; si spurga il dolore mettendo in parole il vulcano di emozioni e considerazioni sperimentate.
In pratica i partecipanti diventano "compagni di viaggio", un viaggio che li accomuna nel dolore e che ora li apre alla fecondità, alla guarigione.
Il gruppo si trasforma così in "comunità sanante" che favorisce il passaggio dal venerdì santo alla guarigione e alla risurrezione della persona.
Molti entrano inizialmente nel gruppo per essere aiutati e poi vi restano per aiutare, per interpretare il ruolo di "guaritore ferito".
Tratto da: Percorsi di Pastorale della Salute, Edizioni Camilliane, Torino 2012, p. 335-337.

26-NOVITÀ: 18-23 agosto Campo estivo a MEDJUGORJE

La proposta di Medjugorje è rivolta a tutte le famiglie che vogliono fare una esperienza di comunione, nello spirito di condivisione dei Gruppi Famiglia, in un luogo denso di spiritualità e raccoglimento: si tratta di un campo/pellegrinaggio per conoscere da vicino i segni di questi ultimi 30 anni nello sperduto paese dell’Erzegovina dove lo Spirito Santo soffia con particolare intensità.
Visiteremo alcune delle innumerevoli Comunità che sono nate lì, prima e dopo la guerra, ed ascolteremo le testimonianze di persone che ci racconteranno la loro vita e di come, scaldate dall’amore di Cristo e dalla materna intercessione della Madonna, si siano convertite ed impegnate per il prossimo.
Per noi, che ci torniamo sovente, ma anche per tutti coloro che vengono a Medjugorje per la prima volta, è sempre una chiamata che chiarisce maggiormente la propria vocazione e aiuta a fare discernimento sulla propria vita spirituale e familiare, soprattutto quando si presentano le difficoltà e le fatiche.
Ringraziamo di cuore padre Valentino Menegatti che ci raggiungerà da Roma e ci guiderà spiritualmente, in modo da poter vivere intensamente questi 5 giorni di ritiro e di preghiera insieme.
L’invito è aperto a tutti, sia a coloro che guardano con favore e sensibilità alle lunghe apparizioni mariane del luogo, sia a coloro che sono scettici e critici, perché entrambi potranno respirare, con le altre famiglie, l’atmosfera di pace e di grande serenità.
Ci vorrà un po’ di pazienza e parecchia essenzialità, per l’organizzazione itinerante, per le strutture ricettive basilari e per il clima del periodo di agosto particolarmente caldo: siamo certi che questo sforzo e questa sobrietà non potranno che farci del bene e ci aiuteranno ad entrare meglio nel clima di raccoglimento. Per queste ragioni consigliamo quindi, a chi avesse bambini molto piccoli, di decidere in modo ponderato e valutare soprattutto se è presente un grande spirito di adattamento.
Ci sarà poi anche l’occasione per fare una gita rinfrescante ed emozionante.
Per motivi logistici, arrivando da ogni parte dell’Italia, il viaggio avverrà con mezzi propri e sarà nostra cura aiutare tutti per trovare una soluzione economica ed ottimale: il costo indicativo, comprensivo di tutti i pasti, sarà di 30 euro al giorno per il pernottamento degli adulti e di circa 18 euro per i bambini, in pensioni a gestione familiare. Vi verrà chiesta, inoltre, un’offerta per l’organizzazione del campo, per coprire le spese degli animatori, dei relatori, della guida locale e del materiale utilizzato: ogni famiglia la farà liberamente, secondo le proprie disponibilità.
Qui di seguito trovate le informazioni sintetiche della proposta ed i recapiti per contattarci per qualsiasi chiarimento e delucidazione.
Le richieste sono già parecchie e, se siete interessati, vi invitiamo a non tardare ad iscrivervi.
Con affetto,
Corrado e Nicoletta

18-23 agosto Medjugorje (BiH)
Tema: "Chiamati ad essere testimoni del Suo amore"
Relatori vari delle comunità locali
Sacerdote: padre Valentino Menegatti
Org.: Collegamento Gruppi Famiglia
Info: Nicoletta e Corrado Demarchi, 0121/77431 o 348/2249952, curra@email.it

27-PER APPROFONDIRE

www.gruppifamiglia.it
Nel numero on-line della rivista troverete tutti gli articoli con i link per gli approfondimenti e in più:
• I Gruppi Famiglia e l’esperienza del lutto
• Proposte di enti e associazioni che offrono servizi ai malati domiciliari e gruppi di mutuo aiuto nel lutto
• Quando e come la rivista ha trattato questi temi

www.gruppifamiglia.wordpress.com
Sul blog dei Gruppi Famiglia, aperto oltre un anno fa, sono presenti più di 130 brevi articoli.
Questi, in qualche modo, precedono e completano i temi trattati sulla rivista.
Ne segnaliamo alcuni:
Sotto la croce (27 marzo 2013)
Meno male che ci sono i figli (9 marzo 2013)
Voglia di morire (2 novembre 2012)
"Sentire" la fine (3 settembre 2012)
Iscrivetevi per leggerli appena vengono pubblicati!

28-CAMPI PER FAMIGLIE 2013
Il calendario definitivo

8-14 luglio Nocera Marina (CZ)
Tema: “Famiglia e Accoglienza: coltivare atteggiamenti di tenerezza, misericordia e servizio”
Org. Gruppi Famiglia di Lamezia Terme
Info: Maria e Nino Bilardi 0968 29185 o 347 6496456 abramo.maria@yahoo.it

28 luglio - 4 agosto Argentera (CN)
Tema: da definire
Relatore: Angelo Fracchia, biblista
Org.: Ufficio famiglia diocesi di Cuneo
È possibile partecipare anche al solo WE conclusivo
Info: Angela e Tommy Reinero, 347/5319786, tommy.angela@libero.it

11-18 agosto San Giovanni di Spello (PG)
Tema: Da Gerusalemme a Gerico. La famiglia e la sfida del servizio
Relatori vari di alcune comunità umbre
Org.: Collegamento Gruppi Famiglia
Info: Antonella e Renato Durante, 0423/670886, ren-anto@libero.it

12-17 agosto Pragelato (TO)
Tema: "Lasciate che i bambini vengano a me". La preghiera e la Bibbia nel tempo della famiglia
Relatori vari delle comunità locali
Sacerdote: don Orlando Aguilar Tobon
Org.: Ufficio famiglia diocesi di Pinerolo
Info: Manuela e Giuseppe Caggiano, 0121/352992 o 339/1381482, manubeppe03@libero.it

15-20 agosto Chiappera (CN)
Tema: “Avere fede è avere una storia”
Relatori: Nicoletta e Davide Oreglia
Sacerdote: don Beppe Viglione
Org. Diocesi di Mondovì
Info: Isabella e Stefano Tomatis 0174 329404, costacalda@libero.it

16-20 agosto Sappada (BL)
Tema: "Come è bello signor stare insieme…Per una vacanza alternativa"
Mini campo di quattro giorni con posti limitati
Org.: Gruppi famiglia in cammino
Info: Daniela e Alessio Alberton, 0423/748379, alessioalberton@gmail.com

18-23 agosto Medjugorje (BiH)
Per tutti i dettagli vedi l’articolo a pag. 22

18-25 agosto Voltago Agordino (BL)
Tema: “La famiglia c’è... ma è cambiata”
Relatore: Sr. Fabiola Dall'Agnol
Org.: Collegamento Gruppi Famiglia
Info: Valeria e Tony Piccin, 0423/748289, segninuovi@alice.it

20-24 agosto Sappada (BL)
Tema: "Come è bello signor stare insieme… Per una vacanza alternativa"
Mini campo di quattro giorni con posti limitati
Org.: Gruppi famiglia in cammino
Info: Pia Maria e Andrea Antonioli, 0423/483032, fam.antonioli@gmail.com

Il calendario, aggiornato in tempo reale, è consultabile sul sito: www.gruppifamiglia.it cercando tra le notizie in evidenza.

29-IL BILANCIO 2012 della nostra associazione

Carissimi,
Come potete leggere nella tabella sottostante, il bilancio del 2012 è in passivo ma l’avanzo di cassa resta positivo.
Questo è stato possibile grazie alla prontezza e alla generosità con cui avete risposto al nostro appello (vedi GF79) e alla disponibilità dei soci.
Ma non tutto è risolto. L’avanzo di cassa - decurtato del 5x1000, destinato al sostegno dei campi estivi - è di soli 1.000 €. Ogni numero della rivista costa, come potete verificare dal rendiconto, circa 1.500 €.
Servono quindi, entro fine anno, altri 3.500 € che possono provenire solo dalla vostra generosità.
Continuate a sostenerci! Grazie,
Noris Bottin
Presidente associazione Formazione e Famiglia

30-PER CONCLUDERE
Pasqua di Resurrezione

Nessuno pianga i suoi peccati,
perché dalla tomba è sorto il perdono;
nessuno tema la morte,
perché la morte del Salvatore ci ha liberati!
Dominato dalla morte egli l'ha spenta;
discendendo negli Inferi l'ha spogliati.
Gli Inferi furono amareggiati
per aver gustato la sua carne.
Lo previde Isaia ed esclamò:
Incontrandoti nelle sue profondità
gli Inferi furono amareggiati!
Amareggiati perché distrutti!
Amareggiati perché giocati!
Amareggiati perché uccisi!
Amareggiati perché annientati!
Amareggiati perché incatenati!
Avevano preso un corpo e si trovarono davanti a Dio,
avevano preso terra e incontrarono il cielo,
avevano preso quel che avevano visto
e caddero per quel che non avevano visto!
Dov'è il tuo pungiglione o Morte?
Dove sono o Inferi la vostra vittoria?
Il Cristo è risorto e voi siete stati precipitati!
Il Cristo è risorto e i demoni sono caduti!
Il Cristo è risorto e godono gli angeli!
Il Cristo è risorto e regna la vita!
Il Cristo è risorto e non c'è più nessun morto nella tomba!
Il Cristo è risorto dai morti ed è divenuto
la primizia dei dormienti!
A lui la gloria e la potenza
per i secoli dei secoli.
Amen.
San Giovanni Crisostomo, dall’omelia per la Pasqua

GF80 Extra

A-PERCHÉ QUESTO NUMERO

Il tema di questo numero doveva essere, secondo le indicazioni dei lettori, "La famiglia di fronte ai momenti difficili della vita".
Questo è però un tema un po' generico; quindi, come redazione, abbiamo pensato di scegliere quello che è, per definizione, un momento difficile per eccellenza: la malattia e la morte di un proprio caro e il conseguente lutto.
Speriamo di aver comunque colto le aspettative dei lettori. Noi pensiamo, con un po' di presunzione, di aver fatto anche qualcosa di più: aver affrontato un tema che la famiglia vive ma che sovente rimuove o sottostima (quando capita agli altri).
Non pensiamo affatto di aver esaurito il tema, pensiamo solo a come i bambini vivono il lutto e a come insegnare loro a viverlo (vedi articolo più sotto).
Per il momento basta così,  non c'erano più pagine a disposizione!
Grazie a tutti coloro che hanno collaborato a questo numero: non è facile tirare fuori e condividere quello che si prova in queste circostanze. Grazie anche a coloro che non se la sono sentita di parlare della loro esperienza.
Alla prossima,
La redazione

B-I GRUPPI FAMIGLIA E IL LUTTO

I Gruppi Famiglia (GF) sono fatti da coppie normali e che vivono situazioni normali. Il problema è definire cosa sia normalità!
Anche la morte, nonostante la sua rimozione dalla cultura attuale, è una "cosa normale".
Può quindi un GF aiutare le persone a sostenere il peso di una malattia inguaribile, all'elaborazione di un lutto?
Diciamolo sinceramente: non è la sua specialità. Per sostenere le persone in certi pasaggi critici della vita servono specialisti e sostegni competenti.
Prima che si alzi un coro di proteste preciso meglio: il gruppo, nella sua attività ordinaria, non può essere condizionato da problemi specifici e prolungati, si snaturerebbe.
Questo non vuol dire che il problema non riguardi le coppie del gruppo: tutto il contrario!
Se avete letto gli articoli e le testimonianze di questo numero avrete colto quanto sia importante la vicinanza, il sostegno discreto, la perseveranza nel rendersi disponibili. Questo è quanto occorre fare: non focalizzare il gruppo su una certa tematica ma offrire disponibilità a livello personale.
Chi soffre non vede altro che la sua sofferenza: il gruppo può aiutare a far uscire la persona da questa gabbia mentale, pur continuando la sua normale attività.
Franco Rosada

C-QUANDO LA RIVISTA HA GIÀ TRATTATO QUESTI TEMI

Anche se è la prima volta che il tema della morte viene trattato in modo così organico, la rivista ha già avuto modo in passato, soprattutto quando non aveva ancora assunto un profilo monotematico, di parlare dell'uomo, del corpo e dell'anima, della malattia e della morte.
Riportiamo di seguito un elenco ragionato di articoli:
GF47: L'ETICA E L'UOMO. L'uomo: spirito incarnato. Da una visione dualistica ad una visione sintetica della persona (Paolo Mirabella)
GF49: IL DRAMMA DELL'EUTANASIA. L'etica cristiana e la fine della vita. In una società che ha rimosso la morte, l'ha ospedalizzata, nascosta, l'uomo è più che mai solo di fronte a questo evento drammatico e risolutivo della sua vita. E qualche volta decide di farla finita. L'eccesso opposto: l'accanimento terapeutico. (Paolo Mirabella e Fabrizio Fracchia)
GF49: La vita e oltre. Versione pdf
p.6 Le cure palliative e l'ospice (Giorgia Rosada)
p.8 Non mettetemi al ricovero! Molti anziani vorrebbero morire a casa propria, ma… (Pastorale familiare)
GF52: Con-dividere. Versione pdf
p.9 Vicino ai malati (Laura Ferrero)
GF59: DI FRONTE AL DOLORE E ALLA SOFFERENZA. Le espressioni più forti della fragilità umana (Tony Piccin)
GF59: Con-dividere. Versione pdf
pag. 7 Ottavia: la forza della fragilità (Rosario e Francesca Dursi)
pag. 8 Fare esperienza di affidamento (Elisabetta e Mauro)
GF61: GLI SNODI DELLA VITA NELLA TERZA ETÀ. …Ma con l'avanzare degli anni la vecchiaia diventa anche tempo di solitudine, malattia, depressione, inutilità, desiderio di morire (Guido Lazzarini)
GF61: Ritrovarsi "da soli". L'esperienza della vedovanza (L.M)

D: PER FARSI AIUTARE

Siti italiani che si occupano di assistenza domicilare al morente
http://www.aimac.it/indirizzi-malato-cancro/associazioni-volontariato_oncoasso_php_1pr.html

Siti italiani che trattano i temi della perdita e del lutto
http://www.gruppoeventi.it/siti-amici-mainmenu-44/28-siti-internet-italiani.html

E-IL LUTTO NEI BAMBINI E NEGLI ADOLESCENTI

La morte di una persona cara, così come investe globalmente la vita dell'adulto, ha profonde ripercussioni nella vita di un minore, soprattutto se a morire è un genitore o un fratello.
Per quanto riguarda gli adolescenti è importante ricordare che per quanto possano apparire "adulti e smaliziati" rispetto all'argomento morte, il decesso di un familiare potrebbe in realtà rappresentare il loro primo grave lutto e quindi potrebbero essere emotivamente impreparati a fronteggiarlo.
I bambini in lutto attraversano gli stessi stati psicologici dell'adulto e il loro equilibrio viene inevitabilmente alterato. Inoltre, essendo particolarmente sensibili e attenti a tutti i cambiamenti, hanno bisogno di capire e di sapere cosa sta accadendo.
È importante non sottovalutare il dolore dei bambini in lutto ed è opportuno prepararli nel caso un congiunto sia in procinto di morire.
I bambini possono elaborare un lutto se correttamente accompagnati in questa esperienza da persone sensibili in grado di incoraggiarli e aiutarli.
I fattori che influenzano l'elaborazione del lutto sono:
- la maturità del bambino
- l'ambiente circostante
- il trascorrere del tempo.
Potrebbe essere necessario un aiuto esterno (psicologo, gruppo di auto-mutuoaiuto, ecc.) per sostenere i familiari di un bambino o di un adolescente in lutto; più raramente è necessario un supporto psicologico rivolto direttamente al minore.

Le reazioni dei bambini e degli adolescenti
Oltre che dalle caratteristiche personali, le reazioni ad un lutto dipendono:
- dall'età
- dalla comprensione che il minore ha della morte
- dalla relazione che aveva con la persona che è morta
- dalla relazione parentale con le persone che se ne prendono cura.
L'idea che i bambini hanno della morte, determina grandemente le loro reazioni all'evento luttuoso. Tuttavia anche bambini molto piccoli (3 -5 anni), per i quali la morte è un fenomeno reversibile (si muore ma poi si ritorna in vita), vivono intensamente il dolore quando la morte coinvolge una persona cara.
La prima volta che i bambini provano l'esperienza di un lutto si trovano impreparati ad affrontarla: infatti non riescono a dare un nome alle loro sensazioni, a comprendere la propria sofferenza, il proprio disagio, né quello delle persone che hanno intorno, a capire le loro stesse reazioni.
Alcuni bambini:
- tornano a fare la pipì a letto
- tendono a mangiar meno o più del solito
- diventano tristi, apatici
- diventano iperattivi o ribelli
- hanno problemi nello studio
- mostrano indifferenza o eccessiva preoccupazione per quanto è accaduto
- diventano iperprotettivi nei confronti delle persone care
- mostrano eccessiva preoccupazione nei confronti della propria morte o della morte dei propri cari
- mostrano indifferenza nei confronti della morte mettendo anche a repentaglio la propria vita
- manifestano desideri di morte.
Gli adolescenti, oltre a quanto descritto sopra, possono:
- "esasperare" comportamenti adolescenziali
- far abuso di alcol o sostanze stupefacenti
- mettere in atto comportamenti suicidi.
Alcuni bambini, nel caso in cui muoia una persona di famiglia (genitore, fratello), non mostrano alcuna tristezza e continuano la loro vita come se niente fosse.
Altri bambini invece mostrano un'eccessiva tristezza e chiusura in sé per diversi anni. Ciò indica che il lavoro di elaborazione del lutto non è mai cominciato o è rimasto bloccato. Nell'uno come nell'altro caso potrebbero esserci, soprattutto durante l'adolescenza, complicazioni e patologie, quali depressione e altri disturbi psicologici, disturbi nelle relazioni, malattie fisiche, tendenza agli incidenti, difficoltà nella vita sentimentale, difficoltà scolastiche.

Come spiegare che una persona cara è morta?
Annunciare la morte di una persona cara non è semplice ed è un compito a cui spesso si è impreparati; in molti casi non si ha la necessaria serenità per parlarne.
Potrebbe allora essere utile chiedere l'aiuto di qualcuno che sappia trovare le parole giuste e il momento opportuno per parlarne al minore e sappia rispondere alle sue domande.
Per i più piccoli può essere utile servirsi di un libro per bambini che affronta l'argomento.
Quando i bambini pongono delle domande hanno bisogno di risposte oneste e comprensibili.
Per evitare che i bambini, soprattutto i più piccoli, possano farsi strane idee sulla morte e su quanto capitato alla persona cara, occorre :
- usare sempre parole semplici (es. morte = assenza di vita)
- usare sempre un linguaggio corretto, evitando frasi del tipo "l'abbiamo perduto", "è partito per un lungo viaggio" che potrebbero creare confusione e fraintendimenti: il bambino potrebbe pensare che prima o poi la persona tornerà oppure provare rabbia per non essere stato salutato o sentirsi in colpa per aver causato con un suo comportamento l'allontanamento della persona cara
- non confondere il bambino dicendo solo parte della verità, ad esempio insinuando in lui l'idea che muoiono soltanto le persone anziane o i cattivi
- chiedere sempre al bambino se ci sono parole che non ha capito (es. sepoltura, cremazione)
- spiegare anche i cambiamenti del proprio comportamento, come eventuali assenze, o i cambiamenti dell'umore che possono procurargli ansie eccessive e preoccupazioni
- parlare con il bambino e consentirgli di condividere le proprie emozioni
- mostrargli i propri sentimenti e le proprie emozioni.
Il bambino deve sapere sin da piccolo che le emozioni esistono e vanno accettate.
Non nascondere ai bambini il pianto o la rabbia, se adeguatamente contenute.
Per quanto concerne gli adolescenti, sarebbe preferibile non fornire dettagli troppo crudi sulle cause della morte e sugli ultimi momenti di agonia: per quanto '"abituati" dai media a situazioni terrificanti, potrebbero non tollerare una realtà tanto dolorosa.

I minori dovrebbero partecipare al funerale?
I bambini dovrebbero partecipare a tutte le occasioni importanti della propria famiglia, anche a quelle tristi, perché, se esclusi, possono pensare di non essere sufficientemente considerati.
Partecipare alla cerimonia, inoltre, li aiuta a rendersi meglio conto di quello che è successo.
È importante spiegare al bambino che il funerale è un evento religioso e/o sociale in cui amici e familiari dicono addio alla persona morta, e spiegargli i rituali e le manifestazioni di cordoglio a cui assisterà e parteciperà.
Ad esempio:
- spiegare com'è un corpo senza vita
- se la bara è chiusa spiegarne la funzione
- dire che è possibile toccare o baciare il morto, ma che non è obbligato a farlo
- dire che potrebbero essere presenti persone che piangono e che anche lui, se si sente triste può farlo senza vergognarsene
- spiegare che il funerale è una funzione seria e solenne, ma che può succedere che qualcuno possa ridacchiare per il nervosismo; se questo accade anche a lui non c'è nulla di cui vergognarsi
- preparare il bambino ad eventuali manifestazioni di cordoglio a cui potrebbe assistere, come urla o svenimenti, e che potrebbero spaventarlo.
Spiegare al bambino che per molte persone il cimitero è il luogo in cui si sentono più vicine alla persona cara e che se anche lui ne sentirà il bisogno potrà chiedere di   andarci; se invece non vorrà, potrà sentirsi vicino alla persona morta in altri modi.
I bambini spesso si rifiutano di assistere al funerale.
Anche in questo caso è importante dedicare loro un'attenzione particolare:
- capire il perché di questa scelta
- scoprire con chi vorrebbero restare a casa
- prendere questa decisione insieme al bambino per prevenire futuri sensi di colpa; sostenere in futuro la decisione presa nel caso dovesse rimpiangere di non avervi partecipato
- rendere il bambino partecipe al rito descrivendo il funerale e proponendogli una visita al cimitero.
I bambini vanno incoraggiati a partecipare al funerale ma mai forzati a farlo.
Gli adolescenti difficilmente rifiutano di presenziare al funerale di un familiare, nel caso ciò accada è importante capirne le ragioni e spiegare che crescere significa anche accettare la dura realtà della vita e le dolorose incombenze che questo comporta.
Tratto da: Arcidiocesi di Torino e Ufficio per la pastorale della salute, Lutto: tra consolazione e speranza, Tavolo diocesano per la Pastorale del Lutto