Foglio di collegamento tra Gruppi Famiglia
GF84 – settembre 2014
EUCARISTIA E FAMIGLIA

Chiesa come famiglia, famiglia come comunità
 

1-LETTERE ALLA RIVISTA
Eucaristia come rendimento di grazie
Com’è difficile dire grazie quando le cose non vanno bene!
Nell’eucaristia noi rendiamo grazie perché, attraverso la sua croce, Gesù continua a liberarci dal male nell'attesa della vittoria finale.

 

La Messa è "rendimento di grazie" ma, onestamente, non mi viene da ringraziare Dio quando un figlio va male a scuola o è qualcuno in famiglia è ammalato. Cosa devo fare?
Tiziana

 

Risponde mons. Giancarlo Grandis, vicario episcopale per la cultura della diocesi di Verona
Lei si chiede: come di fa a ringraziare Dio di fronte al male del mondo, soprattutto di fronte alla sofferenza di persone innocenti? Perché Dio non impedisce il male? Un Dio che permette il male è un Dio credibile?
Nella storia del pensiero umano, la presenza del dolore è sempre stata utilizzata come un argomento contro Dio, contro la sua provvidenza, contro la sua esistenza.
Si argomenta così: se Dio è amore e non toglie il male significa che non è onnipotente, ma se è onnipotente e lascia che il male dilaghi significa che non è buono. Dio, quindi, non sarebbe Dio.
Mi sembra che il suo modo di impostare la domanda risenta di questa argomentazione che porta a mettere in dubbio la provvidenza di Dio. La questione è certamente seria e di non facile soluzione. La via che ci indica la fede per riuscire a penetrare un poco il mistero del male è Cristo stesso.
L'incarnazione del Figlio di Dio è storicamente motivata dalla presenza del male nell'uomo. Egli infatti è venuto a togliere la radice del male che consiste nel peccato. Il Battista così presenta Gesù al mondo: "Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!" (Gv 1,29).
Gesù toglie il male non con un gesto di onnipotenza trionfante, come ci aspetteremo, ma assumendo su di sé il peccato e le sofferenze del mondo con una vittoria umile, quella della croce, che sembra un fallimento.
Ci troviamo di fronte a un mistero sconcertante che la fede ci addita come una vittoria del bene e dell'amore sul male.
Nell’eucaristia noi rendiamo grazie perché attraverso la sua croce Gesù continua a liberarci dal male nell'attesa della vittoria finale. Il male resta ancora nella nostra esperienza come retaggio del peccato che però è già stato vinto.
Sopportandolo siamo invitati a partecipare alle sofferenza di Cristo, ma nella consapevolezza che un giorno saremo totalmente liberati quando entreremo a far parte del regno di Dio. Come ci ha ricordato recentemente papa Francesco "Guardando Gesù nella sua passione troviamo la risposta divina al mistero del male, del dolore, della morte".
grandis.giancarlo@gmail.com

 

2-DIALOGO TRA FAMIGLIE
Lavorare di domenica, ogni domenica
Nei primi tre secoli la domenica era giorno lavorativo

 

Ho una figlia grande che ha trovato con fatica lavoro in un negozio che non chiude mai, neanche la domenica.
Già andava poco a messa, ora non ci va più del tutto. Ma la domenica non era un giorno di riposo?
Gianna

 

La domenica è “Il giorno del Signore” e risponde al comando del Creatore “Il settimo giorno riposerai”: è il giorno dedicato alla preghiera e ai fratelli.
Ognuna delle tre grandi religioni ha il proprio settimo giorno, indipendentemente dalle leggi o consuetudini locali: in Italia, per secoli, la domenica era sinonimo di riposo e ci siamo abituati alla partecipazione alla Messa come precetto normale, spesso, però, privo di anima, di desiderio di incontro, di gioia.
Oggi la società secolarizzata e consumistica detta le regole del gioco e la domenica è diventata lavorativa per incrementare i guadagni dei gestori.
Se pensiamo ai nostri fratelli che, in tante parti del mondo, vanno a Messa pur sapendo che forse saranno uccisi e bruciati è ben piccola cosa evitare di andare a far spesa la domenica, ma molti cristiani non lo fanno.
Chi è obbligato a lavorare, perché dipendente, non ha scelta e dovrà imparare che ogni giorno è “fatto dal Signore” e trovare momenti di preghiera nei giorni feriali, partecipando alla Messa per scelta perché il Signore è lì che ci aspetta ogni giorno.
Anna Lazzarini

 

3-EDITORIALE: PARTECIPARE ALL’EUCARISTIA
Celebrare la Pasqua del Signore: ecco perché vale la pena partecipare alla messa domenicale

 

di Franco Rosada
Questo numero è nato ispirandosi ad un campo estivo che, più di dieci anni fa, avevano tenuto Maria Rosa e Franco Fauda.
Non avevo partecipato a quel campo ma, in compenso, mi erano rimaste le tracce da loro preparate.
Alcune di queste sono state pubblicate sulla rivista tempo fa (GF 61-63) e mi sono servite d’ispirazione quando voi lettori avete scelto come tema Eucaristia e famiglia.

Le fonti usate
Non vi sono molti libri che trattano dell’argomento di questo numero, prevalgono gli articoli.
Ho attinto quindi molto da Internet, da documenti della diocesi di Lucca e di Trento, dal sito dei padri Sacramentini e da quello dell’associazione L’ora di Gesù di Taranto, dalla Sacramentum caritatis di Benedetto XVI.

Questo numero
Lavorando su questi documenti è nata l’organizzazione del numero con la suddivisione dei vari momenti della Messa: il convenire, il perdono, l’ascolto, l’offerta, la consacrazione, la comunione e la missione.
Come vedete, sono tutti temi che rimandano, direttamente o indirettamente, alle nostre realtà di famiglie.
Il numero quindi, pur analizzando i vari momenti della liturgia, si sofferma soprattutto su quanto questa si vive, o si dovrebbe vivere, concretamente in ambito familiare.
La famiglia si rispecchia nell’eucaristia e ricava da essa la Grazia per essere quella pensata nel disegno di Dio.

Andare a messa
Molte delle persone che conosciamo, anche se cristiane, partecipano solo occasionalmente all’eucaristia. Se chiediamo loro il perché ci risponderanno che non ne capiscono l’obbligo, che la trovano ripetitiva, noiosa, che dà loro poco o niente.
È come se, in una relazione di coppia, non si capisse più perché si sta insieme e si decidesse che è meglio separarsi.
Ma prima di un passo simile conviene capire il perché del malessere, farsi aiutare, valutare le conseguenze.
Lo stesso accade per l’eucaristia: non sento più niente, non ci vado più.
Forse anche in questo caso conviene farsi aiutare a riscoprire il suo significato pasquale, fondamento della nostra fede.

Ringraziamenti
Per questo numero un grazie particolare va, per le foto, a don Davide Pavanello, parroco di Sant’Anna in Torino, che le ha autorizzate e alla ditta General Photo, che le ha scattate; per i testi alla casa editrice Effatà e alla professoressa Alessandra Casadei, dal cui libro: Tutto (o quasi) sulla Messa, ho tratto diversi spunti.
Grazie infine a tutte le famiglie che hanno collaborato a questo numero per le loro belle testimonianze.

 

4-DOMENICA: FESTA PRIMORDIALE
Questo è il giorno del signore

 

Secondo la tradizione apostolica, che ha origine dallo stesso giorno della risurrezione di Cristo, la Chiesa celebra il mistero pasquale ogni otto giorni, in quello che si chiama giustamente “giorno del Signore” o “domenica”.
In questo giorno, infatti, i fedeli devono riunirsi in assemblea per ascoltare la parola di Dio e partecipare all’eucaristia e così far memoria della passione, della risurrezione e della gloria del Signore Gesù e render grazie a Dio, che li “ha rigenerati nella speranza viva per mezzo della risurrezione di Gesù Cristo dai morti” (1Pt 1,3).
Per questo la domenica è la festa primordiale che deve essere proposta e inculcata alla pietà dei fedeli, in modo che risulti anche giorno di gioia e di riposo dal lavoro. Non le venga anteposta alcun'altra solennità che non sia di grandissima importanza, perché la domenica è il fondamento e il nucleo di tutto l'anno liturgico.
Sacrosanctum concilium, n.106

 

5-LA GIOIA DEL VANGELO
La Chiesa dev’essere il luogo della misericordia gratuita

 

Mi piacerebbe dire a quelli che si sentono lontani da Dio e dalla Chiesa, a quelli che sono timorosi e agli indifferenti: il Signore chiama anche te ad essere parte del suo popolo e lo fa con grande rispetto e amore!
Essere Chiesa significa essere Popolo di Dio, in accordo con il grande progetto d’amore del Padre.
Questo implica essere il fermento di Dio in mezzo all’umanità. Vuol dire annunciare e portare la salvezza di Dio in questo nostro mondo, che spesso si perde, che ha bisogno di avere risposte che incoraggino, che diano speranza, che diano nuovo vigore nel cammino.
La Chiesa dev’essere il luogo della misericordia gratuita, dove tutti possano sentirsi accolti, amati, perdonati e incoraggiati a vivere secondo la vita buona del Vangelo.
papa Francesco, Evangelii gaudium, n. 114

 

6-VIVERE LA DOMENICA
Dal sabato ebraico alla domenica cristiana. Dall’obbligo del riposo all’incontro con il Risorto. La domenica oggi
Domenica: giorno dell’assemblea, della riconciliazione, della carità.

 

di Enzo Bianchi
Il sabato ebraico e la domenica cristiana hanno punti in comune e punti discordanti.
Una prima cosa da dire è che i primi cristiani erano e si sentivano ebrei: come celebravano insieme l’eucaristia la domenica così frequentavano il tempio o la sinagoga il sabato.

 

Il sabato ebraico
L’osservanza del sabato come comandamento fondamentale per Israele è stato capace di salvaguardare la fede e l’identità comunitaria dell’intero popolo ebraico, soprattutto quando si è trovato a vivere disperso tra i pagani.
Nonostante le diverse tradizioni presenti si può comunque tracciare un quadro di massima di come il sabato viene vissuto da Israele.
Due sono gli ambiti in cui il sabato viene vissuto e celebrato: la sinagoga e la famiglia.
Nella sinagoga ci si ritrova più volte nel periodo di tempo che va dalla sera del venerdì a quella del giorno successivo: per accogliere il sabato, per celebrarlo e per congedarsi da esso.
In famiglia si vivono i pasti, il più solenne dei quali è quello del venerdì sera. In questo contesto avviene la benedizione dei figli da parte dei genitori, l’elogio del marito nei confronti della propria sposa, la benedizione del vino e la frazione del pane, condivisi tra tutti.
Dopo questa parte rituale inizia la cena che deve svolgersi in un clima di comunione e accoglienza reciproca. È consuetudine che al pasto vi sia qualche invitato, in modo che tutti possano godere della gioia del sabato.
La giornata del sabato trascorre tra famiglia e sinagoga, e il tempo libero viene impegnato nella preghiera personale, nello studio della Torah, nel riposo, nella carità fattiva verso i poveri e gli ammalati.
Questo è l’attivo riposo del sabato: fatto di ascolto della parola di Dio e di preghiera, di carità e fraternità, di relazioni pacificate con se stessi, con gli altri e con Dio.

 

Dal sabato alla domenica
L’atteggiamento di Gesù verso il sabato, in base a quanto emerge dai quattro vangeli, non è di opposizione ma di critica verso alcuni atteggiamenti troppo legalistici.
Ma, sempre nel Nuovo Testamento, emerge come centrale per i cristiani il primo giorno dopo il sabato: la Pasqua di Gesù il Cristo.
La domenica diventa così il giorno in cui fare memoria della resurrezione, delle apparizioni del Risorto e del dono dello Spirito.
Nella chiesa di Gerusalemme la frequenza alla sinagoga continua fino al 70 d.c. quando, con l’introduzione nelle Diciotto Benedizioni della maledizione dei cristiani, diventa impossibile ai giudei divenuti cristiani parteciparvi, pena l’espulsione.
Frange minori di etnico cristiani continueranno a praticare il riposo sabbatico fino al terzo secolo.
La chiesa di Roma, invece, non solo privilegia il culto della domenica ma polemizza contro il sabato. Si arriverà a far diventare il sabato giorno di digiuno, in aperto atteggiamento antigiudaico. L’ebraismo, infatti, proibiva assolutamente lutto e digiuno il giorno di sabato.

 

La domenica cristiana
Quali sono le caratteristiche della domenica cristiana?
Anzitutto la domenica è il giorno dell’assemblea, in cui i cristiani si radunano e si riconoscono come Chiesa.
L’eucaristia domenicale, culmine e fonte della vita cristiana, è fin dalle più antiche testimonianze caratterizzata dalla dimensione comunitaria.
La Chiesa è, si manifesta, quando è raccolta nell’assemblea radunata dal Risorto per celebrare l’eucaristia.
Questo riunirsi è innanzi tutto un passaggio dalla dispersione/divisione operata dal peccato alla comunione con Dio e con i fratelli.
Oggi purtroppo si continua a leggere l’assemblea domenicale come un precetto, anziché come questione di identità. Ci si lamenta che l’appartenenza alla chiesa è faticosa e difficile ma poi ci si contraddice non partecipando alla messa.
Né ci si ricorda che nei paesi dove il cristianesimo è diventato minoranza esigua, il primo segno della crisi della fede è stato il disertare il culto o l’eucaristia domenicale.
Perché l’assemblea sia realmente comunità del Signore è necessaria la riconciliazione preliminare e reciproca tra i credenti.
Meglio dunque non partecipare all’eucaristia domenicale che farlo nutrendo rancore o inimicizia verso un fratello. Questa esigenza richiede una tensione costante di conversione, di trasformazione delle nostre relazioni da egocentriche a comunionali.
La domenica, che è giorno di epifania della chiesa, è anche giorno di epifania, manifestazione, della carità.
Questa carità deve manifestarsi in atti di condivisione e di giustizia. Per questo motivo i Padri scrivevano che i doni raccolti durante l’eucaristia non potevano provenire da ricchi e potenti che agivano ingiustamente, sfruttando i poveri.

 

Parola e eucaristia
La chiesa non ha scelto il giovedì, giorno dell’ultima cena, per celebrare l’eucaristia ma la domenica, perché più adatta a celebrare la totalità dell’evento pasquale. Nel primo giorno dopo il sabato, infatti, il Risorto si è fatto presente tra i suoi, spiegando loro le Scritture e spezzando il pane con loro.
Se la domenica è giorno dell’Eucaristia è anche giorno della Parola.
La Parola di Dio è “la manna che il Signore fa cadere dal cielo ogni do-menica” (Origene).
Arrivare in chiesa in ritardo, chiacchierare con i vicini, non ascoltare le letture e l’omelia, ci fa uscire di chiesa ancora più vuoti di come siamo entrati! (cfr. Didascalia apostolorum).

 

Il riposo domenicale
Fin dalla più alta antichità la domenica è sempre stata giorno di gioia per la comunità cristiana. Questa gioia si manifestava non digiunando e pregando non inginocchiati, ma ritti in piedi, da risorti in Cristo.
Non essendo giorno di riposo si celebrava l’eucaristia prima dell’alba, perché le prime ore del mattino erano le uniche disponibili per riunirsi.
Dopo Costantino, quando la domenica divenne giorno festivo per l’intera società romana, aumentarono i problemi: da un lato, anziché santificarla, si iniziò a viverla mondanamente, dall’altro si introdusse una casistica che aveva poco da invidiare a quella giudaica relativa al sabato.

 

Vivere la domenica
L’immagine della domenica presente oggi in gran parte dei fedeli è contrassegnata dall’individualismo e dal legalismo, non si coglie l’appartenenza ad una comunità, si partecipa per obbligo. Si è molto attenuato il legame tra domenica ed evento pasquale, si è accentuato il precetto del riposo e la preoccupazione di evitare il peccato grave di non “santificarla”.
Dire che “la domenica è festa perché non si lavora” significa, dal punto di vista cristiano, stravolgere il senso della domenica. Dal punto di vista della fede cosa serve un giorno domenicale definito non lavorativo dalle leggi dello stato, se poi i cristiani non sanno viverlo come giorno del Signore e giorno della chiesa?
Non dimentichiamoci che sul problema della domenica si gioca molto del futuro della fede e della chiesa!
Liberamente tratto dal libro dell’autore: Vivere la domenica, Rizzoli, 2005.

 

7-IL DECALOGO DELLA DOMENICA
Non andare a messa solo perché è festa

 

Io sono il giorno del Signore, Dio tuo.
Io sono il Signore dei tuoi giorni.
1. Non avrai altri giorni uguali a me. Non fare i giorni tutti uguali.
La domenica sia per te, fratello o sorella cristiana, il giorno libero da tutto per diventare il giorno libero per Dio e per tutti.
2. Non trascorrere la domenica invano, drogandoti di televisione, alienandoti nell’evasione, caricandoti di altra tensione.
3. Ricordati di santificare la festa, non disertando mai l’assemblea eucaristica: la domenica è la pasqua della tua settimana, il sole, l’eucaristia e il cuore è Cristo risorto.
4. Onora tu, padre, e tu, madre, il grande giorno con i tuoi figli! Ma non imporlo mai, neanche ai minori, e non ricattarli. Contagia loro la tua gioia di andare a messa: questo vale molto più di cento prediche.
5. Non ammazzare la domenica con il doppio lavoro, soprattutto se remunerativo: non violarla né svenderla, ma vivila “gratis et amore Dei” e dei fratelli.
6. Considera il giorno del Signore “il momento di intimità fra Cristo e la Chiesa sua sposa”, come ha detto il Papa; se sei sposato o sposata, coltiva l’intimità con il tuo coniuge.
7. Non rubare la domenica a nessuno, né alle colf, né alle badanti, né ai tuoi dipendenti. E non fartela rubare da niente e da nessuno, né dal denaro, né dal culturismo, né dai tuoi datori di lavoro.
8. Non dire falsa testimonianza contro il giorno del Signore.
Non vergognarti di dire ai tuoi amici non credenti che non puoi andare da loro in campagna o con loro allo stadio perché non puoi rinunciare alla messa.
9. Non desiderare la domenica degli “altri”, i ricchi, i gaudenti, i bontemponi.
Desidera di condividere la domenica con gli ultimi, i poveri, i malati.
10. Non andare a messa solo perché è festa, ma fa’ festa perché vai a messa.
† Francesco Lambiasi, vescovo di Rimini

 

8-EUCARISTIA E FAMIGLIA
Ripercorrere la Santa Messa partendo dalla nostra esperienza di coppia e di famiglia
Com’è difficile ascoltare: l’omelia del sacerdote, ciò che dice il nostro coniuge, cosa ci dicono i nostri figli.
Come banalizziamo l’eucaristia così riusciamo a banalizzare anche l’altro.

 

di Franco Rosada
La santa messa è per definizione “rendimento di grazie” ma in essa sono contenute tante altre espressioni della vita relazionale.

 

I riti d’introduzione
Si incomincia con il saluto verso il Signore: il segno di croce entrando in chiesa fatto con l’acqua benedetta, cui risponde, a inizio messa, il saluto del sacerdote.
Dirsi ciao o buongiorno ogni mattina, darsi un bacio, non uscire da casa senza salutarsi: ecco come il saluto va tradotto nella vita della famiglia. Uscire di casa sbattendo la porta non è un buon saluto, tenere il broncio neanche.
Si prosegue con l’atto penitenziale, il riconoscerci peccatori, non solo davanti a Dio ma anche nei confronti dei fratelli.
Chiedere scusa, secondo papa Francesco, è uno degli elementi base su cui si regge il matrimonio, un chiedere scusa incondizionato “per mia grandissima colpa”, gli altri possono avere una parte di torto ma io incomincio a chiedere scusa.
Dio ci perdona: “Dio onnipotente perdoni i nostri peccati”; noi siamo capaci di perdonare, sappiamo accogliere le scuse che l’altro ci porge, riconoscendo la nostra parte di torto?
E siamo al Gloria. Qui siamo chiamati a lodare Dio e la Trinità intera.
Come stiamo a riconoscimento dei meriti dell’altro? Gli/le ricordiamo solo i difetti o sappiamo anche dire “che bravo!”, “senza di te non ce l’avrei fatta!”? Rimproveriamo solo i nostri figli o sappiamo incoraggiarli, facendo loro capire che stiamo dalla loro parte?

 

La mensa della Parola
Inizia ora la Liturgia della Parola: prima e seconda lettura, Vangelo, omelia. In questa prima Tavola del banchetto eucaristico al centro c’è soprattutto l’ascolto.
Qui si apre, per la coppia e la famiglia, lo spazio per un argomento fondamentale: quanto sono capace di ascoltare coloro che mi stanno intorno, mi vogliono bene?
So ascoltare o non vedo l’ora che l’altro taccia per parlare a mia volta? Oppure, peggio, lo interrompo, gli do sulla voce?
Come a messa, nel corso delle letture, ci distraiamo, così nell’ascolto dell’altro sovente la nostra mente vaga altrove. Cosa diceva il Vangelo? Cosa ha detto il sacerdote nell’omelia? Boh! Usciti da messa non ce ne ricordiamo più. Ma mentre il Signore ha pazienza l’altro che ci parla forse no: Te l’avevo detto! Non mi stai mai ad ascoltare!
Poi ci sono le situazioni in cui vorremmo ascoltare ma l’altro non parla: p.e. i nostri figli adolescenti, la difficoltà ad estorcere loro qualcosa che vada al di là di un Sì o un No.
Dio ci parla sempre, apriamo il vangelo alla liturgia del giorno e qualcosa troveremo.
La Liturgia della Parola termina con il Credo e la preghiera dei fedeli.
Il Credo è una bella sintesi di quella che è la fede cristiana – di tutti cristiani – poiché è stato definito prima delle divisioni che conosciamo.
Ecco. In che modo potremmo fare altrettanto della nostra realtà di famiglia? Qual è la sintesi migliore? L’amore, direte voi, ed è vero.
Ma forse vale la pena riflettere su che cosa vuol dire amore. Per Gesù suona così: “amatevi come io vi ho amato”. Serve allora conoscere meglio Gesù. Il suo non è un amore caramelloso, né un amore egoistico o un amore basato sullo scambio – io amo te, tu ami me – ma un amore gratis.
Tutto ciò che è gratis, per il mondo, o non vale niente o nasconde una fregatura. Gratis vuol dire senza contraccambio. Gesù ama e basta. Fino a dare la sua vita per me che sono peccatore, cioè che faccio molta fatica ad amare.
Se il matrimonio è un sacramento è perché amare tutta la vita è un bell’impegno, serve più di un aiutino, e questo è la sua Grazia.
La preghiera dei fedeli presenta, in modo concreto, quali sono i nostri bisogni, le nostre necessità, i nostri desideri. Poco praticata, perché molto impegnativa nella sua preparazione, è la preghiera dei fedeli spontanea, quella che si fa p.e. nella messa ai campi estivi.

 

La mensa eucaristica
Ci accostiamo a questo punto alla seconda Tavola del banchetto eucaristico. Si inizia con l’offertorio in cui vengono preparate le offerte per il sacrificio eucaristico.
Trovo molto bello quando le offerte vengono portate all’altare dai fedeli, ancora più bello quando sono i bambini che portano i disegni che hanno fatto nella prima parte della messa o i loro giocattoli.
Che cosa offriamo? Il pane e il vino. Il pane ci serve per vivere, il vino ci serve per far festa, per stare insieme, per fare comunità, chiesa.
Personalmente cosa abbiamo da offrire? Tutto e niente. Tutta la nostra vita, la nostra famiglia, le cose che vanno e quelle che non vanno, le nostre gioie e le nostre preoccupazioni. Niente se pensiamo a quello che il Signore sta per offrire a noi, il suo corpo, la possibilità di “condividere” la sua divinità.
Possibile? Possibilissimo! C’è una preghiera che dice sotto voce il sacerdote quando versa qualche goccia di acqua nel vino: “questo sia segno della nostra unione con la vita divina di colui che ha voluto assumere la nostra natura umana”. Più chiaro di così!
Siamo al Prefazio, la preghiera che precede il Sanctus.
Se non ci è chiaro perché l’eucaristia è “rendimento di grazie” (derivata dall’analoga parola in greco) leggiamo l’inizio del prefazio: “È veramente cosa buona e giusta… renderti grazie…”. Renderti grazie di che? Di mio figlio che se ne andato di casa? Che si droga? Che convive con una donnaccia? Di mio marito che non mi guarda più, come se non esistessi? Che non ha voglia di lavorare? Che spreca quello che guadagna in sala corse? Di mia moglie che ha un male incurabile, di mio figlio handicappato?
Sì, nonostante tutto questo ti rendiamo grazie, anche quando c’è un funerale. Questo è il colmo, rendere grazie per la scomparsa di una persona cara!
Qui, meglio che negli altri casi, cogliamo il limite della nostra fede. È morto, tutto è finito! Ma siamo cristiani o pagani? Con la morte finisce tutto o inizia tutto?
Abbiamo bisogno di conversione, di riuscire a guardare le cose con gli occhi di Dio e non con quelli di questo mondo.
Con il canto del Sanctus entriamo nel cuore della preghiera eucaristica.
Il cuore di questa preghiera è la consacrazione vera e propria “questo è il mio corpo… questo è il mio sangue”. Quel pane e quel vino, dunque, diventano il corpo e il sangue di Gesù Cristo.
Allora possiamo avere due atteggiamenti: è una bufala, quel pane resta pane, idem per il vino, oppure, anche se non capiamo fino in fondo, lì c’è davvero Gesù.
L’abitudine, una certa banalizzazione del rito, non ci fa cogliere questo fino in fondo. Rimpiango, a volte, il mancato uso del campanello, croce e delizia dei chierichetti, che era però in grado di destare l’attenzione.
Rispetto alla messa in latino quella in volgare è molto più facile da capire, al punto di banalizzarla, al punto da ignorare la profondità delle sue preghiere.
Anche l’altro può essere banalizzato: dice sempre le stesse cose, sembra una radio libera, e così non cogliamo quello che davvero l’altro ci vuole dire.
Facciamo con Gesù, né più né meno, quello che facciamo con gli altri: sappiamo già cosa ci vogliono dire in anticipo, e non è vero! Noris ed io abbiamo fatto almeno una decina di volte la Lectio sul cieco Bartimeo e ogni volta abbiamo scoperto che aveva sempre qualcosa di nuovo da dirci.

 

Riti di comunione
Saltando un po’ arriviamo al Padre nostro. Si può scrivere un trattato su questa preghiera; mi limito ad un passaggio: “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo…”.
Qui si apre un grande tema che ci tocca come coppia e come famiglia: quello del perdono.
Siamo limitati e sovente facciamo pesare i nostri limiti: essere bruschi, scortesi, rispondere male è molto più facile che controllarsi, dominare il nostro malessere interiore. L’altro diventa sovente il parafulmine del nostro malessere interiore.
Come tutti i parafulmini, quando la scarica che arriva è troppo forte, si rompe. E si litiga, e si rinfaccia all’altro tutto quello che si è dovuto ingoiare.
Seguiamo allora il suggerimento di papa Francesco: “La ricetta per un matrimonio felice? Non finire la giornata senza fare la pace. La pace si rifà ogni giorno in famiglia!”
In questa prospettiva lo scambio della pace dopo il Padre nostro ci sta a pennello.
Se c’è qualcosa di anonimo è proprio questo momento liturgico. Eppure, se abbiamo qualcosa contro nostro fratello e non gli chiediamo scusa come possiamo fare la comunione, come possiamo essere in comunione?
La comunione è una cosa seria, cui accostarci solo se ci sentiamo preparati, con il cuore in pace con Dio e con il prossimo. Non per niente preghiamo prima: “O Signore, non son degno…”. Oggi mi sembra tanto un self-service, cui accedono tutti, perché ora si fa così.
Se è una cosa seria, bisogna accostarsi ad essa in modo serio, non chiacchierando, non ridacchiando, col naso per aria, scomposti. E questo lo dobbiamo re-insegnare perché mi sembra che si sia disimparato.
Il Signore non si offende se noi lo riceviamo impreparati ma il fatto è che non ci serve a niente, non ci apre alla conversione.
Dopo la comunione ci dovrebbe essere un momento di silenzio, cosa abbastanza difficile. Alcuni, proprio per l’incalzare del rito, si fermano dopo messa e fanno un momento di adorazione. Queste persone hanno davvero capito cos’hanno ricevuto.
Ci sono notizie, belle e brutte, che ci piombano addosso all’improvviso: è naturale reagire d’istinto ma poi serve fare silenzio, capire davvero il valore della notizia, saper lodare o invocare aiuto.

 

Riti di conclusione
La messa termina con i riti di congedo: la benedizione e la missione.
Dio ci benedice, dice bene di noi, e noi cosa diciamo nei confronti degli altri? Sempre bene o anche male? Mormoriamo dietro il nostro prossimo? In famiglia taciamo ma ci teniamo il rospo dentro? È difficile fare come Dio, che dice sempre bene di noi, anche quando siamo lontani da lui, perché confida nella nostra conversione, ma possiamo provarci: un atteggiamento positivo rende comunque più semplici i rapporti.
Adesso “la messa è finita. Andate in pace”. Davvero è proprio finita o è appena incominciata? Se per noi gli obblighi con Dio sono finiti, almeno per una settimana, è davvero finita, ma non bene: abbiamo buttato via un’ora del nostro tempo.
Adesso invece si tratta di vivere quello che abbiamo ascoltato, mettere a frutto ciò che abbiamo ricevuto: inizia la missione. Una missione segnata da una parola breve ma meravigliosa: pace. Siamo chiamati a portare la pace (che è diversa dall’assenza di guerra) là dove viviamo, a casa, scuola, ufficio, lavoro.
Siamo chiamati a creare un mondo in armonia con Dio. Mission impossible? Se contiamo solo su di noi, sulle nostre forze, sulla nostra buona volontà, sì, se contiamo sulla grazia del Signore qualcosa possiamo fare, al resto ci penserà Lui.

formazionefamiglia@libero.it

 

9-TESTIMONIANZE SULL’EUCARISTIA
La Chiesa è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa

 

Casa di tutti
L’Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli. Queste convinzioni hanno anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia. Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori.
Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa.
papa Francesco, Evangelii gaudium,n. 47

 

Darsi la pace
È bello poter scambiare la pace con qualcuno con cui abbiamo avuto occasioni di conflitto.
È bellissimo quando nostro figlio più piccolo ci viene incontro dal suo posto per abbracciarci.
Luca

 

Modello per la vita
Nella struttura dell’Eucaristia troviamo un modello per la vita concreta: l’accoglienza, la richiesta di perdono, l’ascolto della Parola, l’offerta di Pane e Vino, l’abbraccio di pace, la Comunione eucaristica.
Sono queste tutte realtà che quotidianamente viviamo in famiglia, dove le dinamiche dell’accoglienza, dell’ascolto, dell’offerta di sé e della ricerca di unità sono all’ordine del giorno, o meglio sono l’ordine di ogni giorno.
Così l’Eucaristia si può intendere scuola non solo di contenuti, ma anche di metodo: come si vive?
Ci si accoglie, si ascolta, ci si offre, si fa comunione: proprio come nelle fasi della Messa, che perciò offrono un modello e, al contempo, vengono comprese perché ripropongono i passi della vita.
Eucaristia è intimità, dono completo, dono sponsale di Cristo per la Chiesa. Noi famiglie, e prima ancora noi coppie, dovremmo essere i massimi interpreti del dono totale, e in tal senso dovremmo essere proprio noi a svelarne il senso, e parimenti ad apprenderlo.
Joram e Stefania

 

Come in sala da pranzo
Se come famiglia la casa è la nostra abitazione, come famiglia cristiana la chiesa è la nostra abitazione, e vi troviamo in essa l’Eucaristia, là nella ‘stanza’ principale, come se fosse la nostra sala da pranzo, dove accogliamo gli ospiti, condividiamo pensieri, gesti, cibo, ecc.
L’Eucaristia è l’incontro con Gesù, è mettersi in contatto diretto con Lui, è parlarGli assieme in intimità, soprattutto quando si torna al proprio banco dopo la comunione e inginocchiati si prega in silenzio.
È anche entrare in comunione con tanti altri fratelli perché Gesù è in ognuno di noi.
Marzia

 

Rendere grazie
Stasera, dopo una giornata di discussioni con i figli, ripensavo con un senso di impotenza e di sconfitta, a tanti errori commessi nell’educarli.
Improvvisamente mi sono sentita come catapultata vicino a Gesù, proprio nel momento in cui divide e consegna il pane e il vino, segni del dono della Sua vita, ai suoi discepoli - amati fino al punto di lavare loro i piedi - che nel giro di qualche ora lo abbandoneranno, lo rinnegheranno.
Ah, che sollievo! Persino tu, Gesù, ti sei trovato di fronte al fallimento, almeno in quei giorni, della tua missione educativa!
Allora è proprio evidente che anche l’educare al bene in famiglia non garantisce risultati sicuri perché anche noi genitori, come Lui, siamo di fronte all’incognita della libertà.
Tutto questo mi ha detto, in un momento, quella tavola così “di famiglia”, su cui Gesù si spezza e si dona per uomini così fragili, che solo dopo la potente iniezione di Spirito Santo della Pentecoste riusciranno a vincere voltafaccia, debolezza e incertezze.
Allora come avere paura, con un simile fratello maggiore, compagno nell’avventura educativa? Via lo sconforto, coraggio, si riparte, con un sentito rendimento di grazie: “eucaristia”, appunto!
Elda

 

Bambini ed Eucaristia
Trovo molto discutibile la scelta fatta da alcune parrocchie di chiedere alle famiglie con bambini “rumorosi” di “partecipare” alla messa chiusi in una stanza, molto spesso la cappella per la messa feriale, a volte guardando la messa sullo schermo televisivo, perché alcuni parrocchiani si sono lamentati del “disturbo”.
Questo può essere comodo anche per alcuni genitori, per evitare di “disturbare troppo”, ma allora di quale partecipazione stiamo parlando? E quanto viene perso del significato e del valore di avere i bambini – anche se rumorosi – in chiesa durante le celebrazioni?
Massimo

 

Quel segno di croce
Quando riceviamo la santa comunione curiamoci anche della partecipazione dei bambini che devono ancora ricevere questo sacramento.
Vorrei esprimere un grazie di cuore a quei sacerdoti che scelgono di trovare il tempo per fare un piccolo segno di croce sulla fronte dei bambini che hanno accompagnato i genitori al momento della comunione.
È davvero un bel gesto, significativo, che ci fa capire che Dio vuole incontrare tutti.
Alessandra

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo
          Come ci salutiamo al mattino quando ci alziamo?
          Siamo capaci di perdonare?
          Sappiamo ascoltare l’altro o diamo tutto per scontato?
          In che cosa crediamo?
          Siamo convinti che il nostro matrimonio abbia bisogno della Grazia di Dio per andare avanti?
          Usiamo l’altro come un parafulmine per “scaricarci”?
          Diciamo sempre bene degli altri? Cosa possiamo fare per correggerci?
          Coltiviamo la pace?

 

10-DIVERSI MA CHIAMATI ALL’UNITÀ
La famiglia è un progetto di comunione e di amore
Quando qualcuno ti chiede all'inizio della Messa: “Chi celebra oggi?” tu allora non aver timore di rispondere: “Noi!”.

 

La Messa educa all’accoglienza: a fare spazio nella vita a tutti i fratelli allo stesso modo; non si può dire di amare Dio che non si vede se non ami il fratello nel quale Lui si fa presente.

Padri Sacramentini

 

Per entrare in argomento
Prendiamo lo schema della messa. Cosa succede quando veniamo a Messa? Partiamo da tanti luoghi diversi, siamo tutte persone diverse, abbiamo cammini diversi, percorsi spirituali diversi, eppure ci raduniamo perché una voce, che è quella della fede, ci chiama all’unità.
Noi conveniamo perché Dio ci ha creati con dentro profondamente inscritto, un disegno di unità.
Noi non veniamo a messa seguendo una nostra iniziativa, ma rispondendo a Dio che chiama.
Come la vita familiare è un essere radunati per un progetto di comunione e di amore, così si esprime anche il primo atto della Messa. Questo medesimo movimento lo viviamo nella famiglia, dove siamo radunati in molti, diversi.
Non si tratta di massificarci, ma di rimanere dentro un unico progetto di unione in un amore rispettoso della verità dell’altro. Come Dio ci convoca non per massificarci, ma perché la nostra unicità sia esaltata, glorificata nella comunione.
Nasciamo maschi e femmine, non neutri, già inscritti in un progetto di comunione. Noi nasciamo uomini e donne, con una nostra originalità, perché siamo fatti per un progetto di comunione. Sia nella famiglia, sia nella vita della Chiesa, sia nella vita eucaristica c’è un movimento che unisce, nell’unità di Cristo.
Vi faccio qualche domanda:
Siamo convinti che la diversità dell’altro sia una ricchezza? Sono convinto che la diversità di mia moglie sia per me una ricchezza? Sono convinta che il carattere di mio marito celi i suoi pregi sotto le sue spigolosità? Che il carattere di mia moglie celi la sua bellezza sotto i suoi difetti? Sono convinto di dover amare questa diversità, questa specificità unica che fa sì che l’altro sia se stesso?
Arcidiocesi di Lucca

Queste riflessioni sono state riprese da una conferenza di don Francesco Pilloni

 

Quando inizia la messa?
Qualcuno può rispondere: quando il sacerdote esce dalla sacrestia, altri, invece: no, quando si ode il suono della campanella; altri ancora: quando il celebrante all'altare pronuncia: "Nel nome del Padre, del Figlio...".
Per trovare la risposta giusta possiamo chiederci: quando inizia un matrimonio?
Non certo quando gli sposi arrivano in chiesa o salgono all'altare, ma molto prima; esso, infatti, richiede tutta una preparazione che già immette nella festa e la fa pre-gustare: la scelta del vestito, del regalo, degli invitati, del luogo per il banchetto ecc.
Anche la Messa, o Cena del Signore, è un vero e proprio banchetto nuziale, che vede Cristo Sposo rinnovare il suo patto di alleanza con la sua Sposa, la Chiesa (e ciascuno di noi), e a cui chiede il rinnovamento del suo "Sì".
Ciò che Gesù ha compiuto nell'ultima cena e sulla croce, infatti, si rinnova realmente in ogni Eucaristia, che non è tanto un ricordo, una commemorazione, ma molto di più: è un'attualizzazione nell'oggi del dono che il Signore ha fatto di Se stesso a te, a me, a noi.
Questa "attualizzazione nell'oggi" si chiama memoriale. "Oggi" il Signore vuole donare il suo corpo e il suo sangue per te, per me, per noi; "oggi", desidera far udire a noi la sua Parola.
Come fa, però, il Padre oggi a chiamarci? In due modi: visibilmente e invisibilmente. In mondo visibile chiama per esempio attraverso il suono delle campane; oppure attraverso i fratelli, gli amici, i familiari che ci invitano alla Messa.
Ma il Padre chiama anche in modo invisibile attraverso lo Spirito Santo che illumina la nostra mente, donandoci, per esempio, una comprensione più profonda dell'Eucaristia; oppure accende il nostro desiderio di incontrare il Signore, magari infondendoci la nostalgia di Lui; o rafforza la nostra capacità di combattere e di vincere gli impedimenti che si frappongono al nostro andare alla Messa.
Elisabetta Casadei

 

Famiglia e Accoglienza
Nella famiglia si cerca di "viversi come accolti": tra genitori e figli, nella coppia, con gli “altri” che partecipano a vario titolo alla vita familiare.
Si crea un’atmosfera di stima e ascolto che permette alle persone di sentirsi amate, e sentendosi amate e stimate di porre con coraggio in atto nella propria vita lo stile di accoglienza.
Accoglienza quindi come spiritualità attenta alle attese, ai desideri, alle intuizioni, vincendo il formalismo e la banalizzazione.
I gesti e le parole di accoglienza all’inizio della celebrazione Eucaristica sono i gesti e le azioni della grande famiglia cristiana, la chiesa, radunata per sentirsi accolta dal Padre e per accogliersi reciprocamente.
Ognuno si sente effettivamente accolto come fratello, come membro di una famiglia, come un uomo che ha la sua dignità e merita perciò attenzione e rispetto.
Ne nasce uno stile evangelico che torna poi a riscriversi nei rapporti quotidiani.
Associazione L’ora di Gesù, Taranto

 

11-UN POPOLO SACERDOTALE
Non si può rimanere spettatori in fondo alla chiesa

Il fatto straordinario che accade nel formarsi dell'assemblea è che in chiesa entriamo come sacerdoti, come popolo sacerdotale, perché il Signore "ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre" (Ap 1,5).

Nell'Eucaristia veniamo a esercitare il nostro sacerdozio acquisito nel battesimo (sacerdozio battesimale), per cui la Messa non è celebrata solo dal prete, ma da noi tutti!

Il sacerdote, che ha ricevuto un sacerdozio ministeriale o ordinato, cioè ordinato e a servizio di quello battesimale, presiede l'Eucaristia, così come il maestro del coro dirige i cantori e non canta da solo (e anche quando il prete celebra senza i fedeli, celebra sempre a nome di tutto il popolo!).

Quando qualcuno ti chiede all'inizio della Messa: “Chi celebra oggi?” tu allora non aver timore di rispondere: “Noi!”.

Ciò significa, però, che la tua preghiera non è solo tua, ma è inserita nella preghiera di tutta l'assemblea che celebra con te, per cui non puoi pregare per conto tuo, o solo per le tue intenzioni, o rimanendo spettatore in fondo alla chiesa.

Elisabetta Casadei

 

12-TESTIMONIANZE SUL CONVENIRE
È importante riuscire a partecipare,come famiglia, alla stessa messa

 

E i bambini piccoli?
Nella nostra parrocchia per venire incontro alle coppie giovani con bambini piccoli e permettere di partecipare alla messa tutta la famiglia,alcuni genitori si sono resi disponibili a tenere i bambini fino alla seconda elementare in un locale dell'oratorio.
Lì raccontano il vangelo del giorno con favole, DVD, e disegni; i bambini entrano poi in chiesa al momento della benedizione finale.
Secondo me è molto bello e utile, così i genitori partecipano appieno alla messa senza preoccuparsi dei commenti delle persone perché magari i loro figli disturbano e possono partecipare tutti assieme.
Infatti, per me è importante riuscire ad "andare alla stessa messa" tutta la famiglia, è segno di unità nel Signore e segno per la comunità.
Loretta

 

Un sorriso e un saluto
Arrivare in chiesa ed essere accolti con un sorriso credo sia importante, soprattutto per chi non frequenta molto la parrocchia. Per me lo è molto forse perché, avendo cambiato da poco città, mi sento “sempre fuori posto”. Il saluto del sacerdote è sentirsi un po’ a casa; chissà in quante famiglie non esiste il saluto, ciao, buongiorno, buonanotte, un abbraccio, una carezza. Si da tutto per scontato, anche il "ti voglio bene", mentre invece abbiamo bisogno di sentircelo dire.
Tiziana

 

Salutarsi a vicenda
Una volta ho letto che bisognerebbe sempre salutarsi come se fosse l’ultima volta, cioè con amore, attenzione, esprimendo il meglio di sé. In teoria siamo tutti d’accordo, poi spesso la mattina prevalgono la fretta, l’ansia di non arrivare in tempo, il malumore di una giornata che parte male, e il saluto a volte manca o si riduce a un borbottio inintelligibile… poi magari a metà mattinata mi fermo e mi chiedo: ma se oggi io non tornassi più a casa, cosa lascerei come ultimo ricordo a mio marito e ai miei figli?
Elisabetta

 

Genuflettersi
Quando ci sono bambini bisogna arrivare per tempo e fare le cose con calma.
Così si può far capire ai figli l’importanza del luogo in cui si entra.
Entrando in chiesa due cose non devono mancare: la genuflessione e il segno di croce. Aiutiamo i piccoli a farlo oppure facciamo una piccola croce sulla fronte dei piccolissimi con l’acqua benedetta.
Massimo

 

Invitati alla festa
Durante il cammino di accompagnamento dei nostri figli alla loro Prima Comunione abbiamo trovato un libretto molto simpatico che aiuta i bambini a capire il vero significato dell’”andare a Messa”, poiché la paragona da una festa, a una ricorrenza importante in famiglia, quando parenti e amici sono invitati e attesi p.e. a casa dei nonni per il loro anniversario.
Ernesta e Giamprimo

 

Per i bambini
Quando entri in chiesa bagna la mano nell’acqua benedetta e fai un segno di croce sul tuo corpo: così ricordi il tuo battesimo.
Laura Salvi

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo
          Viviamo la nostra vita di coppia e di famiglia sotto il segno della vocazione?
          Come è arrivata a noi questa chiamata?
          Ci sentiamo chiamati anche all’assemblea cristiana?
          Come si potrebbe esprimere la consapevolezza che è Dio che ci ha messi insieme?
          Mi è facile considerare gli altri come fratelli che Dio mi ha donato?
don Renato Tamarini, Trento

 

13-PERDONARE ED ESSERE PERDONATI

Il primo passo dell’eucaristia è accoglierci, perdonarci

Si impara a perdonare in famiglia non in confessionale, quando si diventa preti.

 

La Messa educa al perdono, a non risolvere ogni cosa o difficoltà con frasi quali: “questo non lo dimentico, prima o poi te farò pagare, da oggi non contare più su di me, me l’ha fatta troppo grossa…”. Gesù dice: “allenati a perdonare non una volta sola, ma settanta volte sette: cioè sempre”. Non riteniamo impossibile perdonare, è magari difficile, ma non impossibile: altrimenti soffochiamo la speranza.
Padri Sacramentini

 

Per entrare in argomento
Una volta che siamo radunati per la messa, la prima cosa che facciamo è quella di metterci davanti alla verità che siamo peccatori, chiedere perdono a Dio e chiederci perdono gli uni gli altri. Il primo passo dell’eucaristia è accoglierci, perdonarci. E sappiamo che la nostra povertà è profonda e radicale. Dobbiamo essere disponibili al perdono.
Perdonare cosa significa? Sopportare l’altro? Giustificarlo? “Non ci posso fare niente, ci rinuncio”.
Questo non è perdonare, è considerare l’altro talmente deficiente da non poter mai cambiare.
Perdonare vuol dire credere che la forza di Dio e la forza dello Spirito in te possono produrre ancora oggi una creatura nuova.
Perdonare è credere che, se anche le ferite che ti porti dentro ti hanno reso così, Dio può intervenire e donarti un’energia nuova che fa di te un uomo o una donna nuova. Non si diventa nuovi se nessuno crede che tu puoi essere nuovo.
Purtroppo noi riduciamo la persona ai peccati che fa. Quello è separato, quello è divorziato, quello è omosessuale, quello è un farabutto.
Ma quello è un figlio di Dio! Tu sei capace di aprire il tuo cuore e dargli fiducia?
Perdonare vuol dire rendere l’altro nuovo con la fiducia che io gli do: vuol dire assumere l’altro, non senza i suoi peccati, ma con essi, dentro di essi, dentro i suoi limiti. Vuol dire che io, cara moglie, non ti porto senza i tuoi peccati, ma con essi. Li porto con te, perché in virtù del sacramento, diventano anche miei. E viceversa.
Il luogo originario dove si esercita il perdono è la famiglia. Non si impara a perdonare in confessionale, quando si diventa preti.
Si impara a perdonare in famiglia, quando ci si scusa e non ci si nasconde o si coprono i peccati. Questa è famiglia autentica, viva, direi anche sana, umana prima che cristiana, una famiglia dove ciascuno può essere se stesso.
Perché c’è un amore più grande, che è la comunione d’amore della famiglia, che assorbe questo. È più difficile ricevere il perdono che darlo, capire che io ho bisogno veramente di essere perdonato, di essere ri-creato da te.
 

Arcidiocesi di Lucca

Queste riflessioni sono state riprese da una conferenza di don Francesco Pilloni

 

Il Magistero
Constatiamo come nel nostro tempo i fedeli si trovino immersi in una cultura che tende a cancellare il senso del peccato, favorendo un atteggiamento superficiale, che porta a dimenticare la necessità di essere in grazia di Dio per accostarsi degnamente alla comunione sacramentale. In realtà, perdere la coscienza del peccato comporta sempre anche una certa superficialità nell'intendere l'amore stesso di Dio.
Giova molto ai fedeli richiamare quegli elementi che, all'interno del rito della santa Messa, esplicitano la coscienza del proprio peccato e, contemporaneamente, della misericordia di Dio.
Si pensi qui al Confiteor o alle parole del sacerdote e dell'assemblea prima di accostarsi all'altare: “Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa ma dì soltanto una parola ed io sarò salvato!”.
Non è senza significato che la liturgia preveda anche per il sacerdote alcune preghiere molto belle, consegnateci dalla tradizione, che richiamano al bisogno di essere perdonati, come ad esempio quella pronunciata sottovoce, prima di invitare i fedeli alla comunione sacramentale: “per il santo mistero del tuo corpo e del tuo sangue liberami da ogni colpa e da ogni male, fa che sia sempre fedele alla tua legge e non sia mai separato da te”.
Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n. 20

 

Famiglia e Perdono
Peccare vuol dire soprattutto, in ambito familiare, rompere quell’unità, quel rapporto d'amore cui siamo chiamati vicendevolmente. Riconciliarsi significa recuperare l’altro e noi stessi alla vera dignità.
La riconciliazione sincera ci permette di sperimentare che la persona è sempre più grande del suo sbaglio. Quante volte la celebrazione dell’Eu-caristia ci propone questo stile di riconciliazione e di perdono?
Basti pensare al gesto del battersi il petto come segno di dispiacere per ciò che è avvenuto, allo scambio della pace o di un abbraccio fraterno, che sigilla la riconciliazione avvenuta. Ma ancor di più nell’atto penitenziale si esprime la ricomposizione di un legame spezzato.
Se tale atto non ha valore sacramentale in senso stretto, e non sostituisce dunque il sacramento della penitenza, ha tuttavia una grande valenza spirituale e pedagogica: associa il senso del peccato a una fiducia sconfinata nella misericordia del Padre.
Se la famiglia ha educato al perdono e alla riconciliazione, non sarà difficile percepire l’inaudito venire incontro di Dio nell’Eucaristia, che ama e quindi perdona.
Associazione L’ora di Gesù, Taranto

 

14-IL CONFITEOR
L'uomo giusto non e colui che è senza peccato, ma colui che riconosce il proprio peccato e si pente

Nella prima parola di questa preghiera c'è già tutto il suo significato: confesso (dal lat. cum-fateor = ammettere con, riconoscere, manifestare).
Io, in prima persona, davanti a Dio confesso che sono un peccatore; ma lo confesso con, insieme a voi fratelli, che siete come me; e anche a voi fratelli, perché ho ferito tutti (anche se nessuno si è accorto di nulla). È in questo momento, quindi, che ci riconciliamo con i fratelli e non durante lo scambio della pace come qualcuno potrebbe pensare.
Questa preghiera, pertanto, non è individuale ma sempre ecclesiale, perché è la manifestazione del peccato di tutta la Chiesa in cui ciascuno (dal Papa all'ultimo battezzato) si riconosce peccatore.
È sempre bene ricordare che nella Scrittura l'uomo giusto non e Colui che è senza peccato, ma colui che riconosce il proprio peccato e si pente. Pertanto, l'assemblea liturgica è santa non perché composta da cristiani giusti, ma perché in mezzo ad essa c’è il Signore risorto!
Non dimentichiamolo mai: il cristiano è santo per vocazione ma peccatore per condizione!
Elisabetta Casadei

 

15-TESTIMONIANZE SUL PERDONO
dovremmo dare molta più importanza al sacramento della riconciliazione

 

Perdonarsi a vicenda
Come coppia, quando nella Messa ci ritroviamo a dire “Confesso…” sappiamo che cosa dover chiedere al Signore, specialmente i peccati di omissione che con l’età crescono.
Riconosciamo però che abbiamo coltivato sempre l’abitudine a non covare rabbia e rancore e chiarire i problemi prima di andare a letto.
Se non è possibile per motivi vari, io scrivo una lettera, facendo presente le mie ragioni e chiarendo le sue.
Così il giorno dopo, quando Mariano l’ha letta, possiamo discutere in pace, senza interromperci. Il giorno dopo tutto è meno drammatico, anche perché la mia arrabiatura si è in po’ decantata: mi sono sfogata scrivendo.
Franca e Mariano

 

Chiedere scusa
Nella nostra famiglia non abbiamo l’abitudine di chiedere scusa, diamo per scontato che gli altri ci accettino per quello che siamo, con tutti i nostri difetti. Fondamentalmente è vero, però a volte sarebbe bello chiedere e ricevere il perdono, specialmente quando succede qualcosa di un po’ più grave dell’ordinaria amministrazione.
Elisabetta

 

Sapersi riconciliare
Chi è in lite con il suo amico, non si riunisca con voi finché non si siano riconciliati, in modo che non sia profanato il vostro sacrificio. Questo infatti ha detto il Signore: “ In ogni luogo e in ogni tempo mi si offra un sacrificio puro, perché io sono un gran re e il mio nome è mirabile tra le genti”.
Didaché

 

Un bacio di pace
Per me è stata sempre di grande aiuto questa frase di S. Paolo appresa durante la preparazione al matrimonio con il Cammino Neocatecumenale: “non tramonti il sole sulla vostra ira” (Ef 4,26). Da quando mi sono sposata, 21 anni fa, non mi sono mai addormentata arrabbiata con mio marito ma gli ho sempre dato il bacio della buonanotte. E così con i miei figli: mai alzare muri di rabbia, perché Dio non passa e i muri diventano sempre più alti e la distanza verso l’altro aumenta.
Tiziana

 

Tempo per riconciliarsi
Voi, vescovi, pronunciate le vostre sentenze il lunedì, affinché, in caso di obiezione alla vostra sentenza, avendo tempo fino al sabato, possiate risolvere il dissenso e riconciliare per la domenica le parti tra di loro.
Didascalia apostolo rum

 

Confessarsi
In famiglia è difficile chiedere perdono perché vuol dire riconoscere i propri limiti, i propri difetti e ammettere che facciamo molta fatica a comportarci come vorremmo.
Parimenti è difficile chiedere perdono a Dio, va bene farlo durante la messa, ma dovremmo dare molta più importanza al sacramento della riconciliazione, approfittando della eventuale presenza di un confessore.
Massimo

 

Per i bambini
Per vivere bene la messa devi esser in pace con tutti. Guarda nel tuo cuore e riconosci i tuoi peccati, i tuoi errori, le parole cattive che hai detto e chiedi scusa.
Laura Salvi

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo
          Come famiglia, quando ci sentiamo bisognosi della misericordia di Dio?
          La coscienza di essere una comunità di persone bisognose di perdono e di conversione si percepisce nella celebrazione Eucaristia?
          Come potremmo migliorare il momento penitenziale nella Santa Messa?
don Renato Tamarini, Trento

 

16-ALLA MENSA DELLA PAROLA
Il nostro volerci bene passa anche attraverso le nostre parole
La Parola di Dio non riguarda il passato ma interpella il nostro presente

 

La Messa educa all’ascolto: ascoltare Dio per essere capaci di ascoltarci tra di noi… non si parla più nelle famiglie se non di calcio, o di macchine o di viaggi… quando torneremo anche a parlare semplicemente di vita, della nostra vita?
Padri Sacramentini

 

Per entrare in argomento
Un altro momento importante della Messa è l’Ascolto della Parola di Dio.
L’uomo, come Dio, si rivela nella parola; se io non dico quello che ho dentro il cuore...
La Parola di Dio narra la storia dei gesti d’amore di Dio.
Noi siamo capaci di comunicarci veramente? Quanta parte della vita passiamo a nasconderci invece che a rivelarci? Cosa cerca la parola?
Lo scopo della parola è incontrarsi. Siamo fatti per la comunione, per l’incontro. Se uno parla da solo è matto. La parola è fatta per la risposta, io parlo per avere risposta. Lo scambio degli affetti passa in buona parte per la parola.
Capita che due persone sul punto di separarsi si dicano: “Ma io ti ho sempre amato”, “Ma non me l’hai mai detto”. Perché tante cose noi crediamo di dirle, ma non le diciamo.
Siccome siamo convinti di agire bene, pensiamo che l’altro se ne accorga. Siccome abbiamo - in fondo, ma molto in fondo - il desiderio di comunicare, pensiamo di averlo fatto. Ma non è automaticamente detto.
Bisogna essere attenti a come comunichiamo e a cosa comunichiamo. L’amore passa per la comunicazione. La comunicazione significa il tempo che do a te, il tempo che passo a dialogare con te.
Perché ci facciamo rubare il tempo della parola, della comunicazione? Perché ce lo facciamo portare via da tutto e da tutti? Televisione, cinema, sport, scuole di danza, mille impegni e poi non abbiamo mai comunicato.
Il tempo della parola significa darsi il tempo per vivere qualcosa che è nostro. Qual è l’ultima volta che abbiamo creato un vero dialogo in famiglia? Intendo dire qual è l’ultima volta che ci siamo seduti e abbiamo dedicato tempo a parlarci?
Quello è il dialogo che edifica. La parola è un atto divino dentro la famiglia, non un atto umano.
Dialogare, comunicare è un atto divino. La religione si manifesta in buona parte in queste cose: nell’accogliersi, perdonarsi, dialogare in casa.
In chiesa abbiamo l’aspetto più divino di questo ascolto-dialogo, Cristo parla con noi, Dio dialoga con noi, ma questo dialogo dovrebbe essere lo stesso dialogo che continua fuori dalla chiesa.
Arcidiocesi di Lucca

Queste riflessioni sono state riprese da una conferenza di don Francesco Pilloni

 

Il Magistero
Raccomando vivamente che nelle liturgie si ponga grande attenzione alla proclamazione della Parola di Dio da parte di lettori ben preparati.
Non dimentichiamo mai che “quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura, Dio stesso parla al suo popolo e Cristo, presente nella sua Parola, annunzia il Vangelo”.
Se le circostanze lo rendono opportuno, si può pensare a poche parole d’introduzione che aiutino i fedeli a prenderne rinnovata coscienza.
La Parola di Dio per essere ben compresa deve essere ascoltata ed accolta con spirito ecclesiale e nella consapevolezza della sua unità con il Sacramento eucaristico.
Infatti, la Parola che annunciamo ed ascoltiamo è il Verbo fatto carne (cfr Gv 1,14) ed ha un intrinseco riferimento alla persona di Cristo e alla modalità sacramentale della sua permanenza. Cristo non parla nel passato ma nel nostro presente, come Egli è presente nell'azione liturgica. In questo orizzonte sacramentale della rivelazione cristiana, la conoscenza e lo studio della Parola di Dio ci permettono di apprezzare, celebrare e vivere meglio l'Eucaristia. Anche qui si rivela in tutta la sua verità l'affermazione secondo cui "l'ignoranza della Scrittura è ignoranza di Cristo".
Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n. 45

 

Famiglia e Ascolto
Comunicare, dialogare ascoltare, è essenzialmente rivelarsi e riconoscersi, è entrare nel mistero dell’altro e lasciare che l’altro entri nel nostro mistero.
È lo strumento di ogni relazione per conoscere le necessità e il pensiero di chi siede dall’altra parte della tavola, la via più economica ed autentica per farsi conoscere.
Per chi si è allenato in famiglia all’ascolto e al dialogo, non sarà difficile entrare nel dialogo che si realizza tra Dio e l’uomo durante la celebrazione eucaristica e riconoscerlo.
Dio parla nelle letture, nella Parola, nell’Omelia, e la famiglia/comunità presente ascolta.
La famiglia comunità risponde attraverso le acclamazioni (rendiamo grazie a Dio, lode a te o Cristo), le affermazioni (Credo!) e le invocazioni (ascoltaci Signore) e Dio la ascolta.
A Dio che ha parlato rivelandosi, i fedeli rispondono.
Non è un monologo, è un vero, profondo dialogo. Un dialogo che si compie nel rito ma che è chiamato ad esprimersi e prolungarsi nella vita di tutti i giorni.
Associazione L’ora di Gesù, Taranto

 

17-L’OMELIA
L'omelia ha un unico scopo: nutrire la vita cristiana

L’omelia ha un unico scopo: nutrire la vita cristiana; vale a dire, "la testa" (la fede) e "la pancia" (l'agire).
L'omelia nutre anzi tutto la fede, perché da una comprensione più piena e profonda della Parola di Dio ascoltata; non è una lezione di esegesi, ma manifesta piuttosto la bruciante attualità della Parola di Dio, "spezzandola" e attualizzandola, affinché penetri nella vita reale e concreta dei fedeli.
Qui il sacerdote è chiamato a mostrare la realtà e i fatti (familiari, economici, sociali, culturali e politici) illuminati dalla luce di Cristo. E in questo frangente che la Parola "tagliente come una spada a due tagli" (Eb 4,12) deflagra la sua potenza nei cuori e penetra nelle fibre della vita: spinge alla conversione, fa vedere sotto nuova luce se stessi, gli altri e i fatti, e sollecita scelte radicali.
L'omelia nutre così anche "la pancia", perché, come accadde agli uditori di Gesù, anche a noi è chiesto di "prendere posizione", fare una "scelta di campo": pro o senza Cristo nelle scelte che ci attendono.
A questo punto l'omelia aiuta i fedeli a entrare "a pie pari" nel Mistero che si celebra: fare della propria vita un'offerta viva al Padre sia sull'altare, sia nella vita quotidiana.
Elisabetta Casadei

 

18-TESTIMONIANZE SULL’ASCOLTO
La Parola è capace di entrare nelle viscere e scavare e rinnovare la nostra vita

 

La preghiera dei fedeli
Non abbiamo mai considerato il Signore come una sorta di supermercato delle Grazie. Sicuramente affidiamo a Lui tutte le situazioni difficili, ma senza la pretesa che le cose vadano come piacerebbe a noi.
A volte certe preghiere dei fedeli domenicali ci fanno sorridere: più che preghiere a Dio Padre sembrano dei promemoria particolareggiati per un nonno un po’ smemorato!
Elisabetta

 

Una lingua da discepolo
Quando faccio il lettore, prima di proclamare la Parola, chiedo in preghiera la grazia al Signore di donarmi lingua da discepolo perché la Parola arrivi nel cuore di chi ascolta. La Parola è capace di entrare nelle viscere e scavare e rinnovare la nostra vita e risuona, e risuona… peccato che noi viviamo nel rumore e nel caos…
Tiziana

 

Parola e dialogo
La parola e il dialogo legano insieme le bevande e il cibo. La parola mette in relazione; i gesti, anche solo il passarsi l’acqua, sono segno di servizio fra noi.
Lo scambio di sguardi con chi si ha di fronte (marito o moglie) diventa per il coniuge complicità, ulteriore dialogo. Solo a tavola lui/lei è di fronte a me, seduto, con gli occhi alla stessa altezza. Il fare posto a Gesù nei nostri pasti, è permettere che, attraverso il Suo stare a tavola tra noi, Lui possa trasformare tutto ciò che è posto sul tavolo e dare a ogni cosa e gesto un valore.
Marzia e Maurizio

 

A ognuno la sua Parola
Prima di andare a Messa noi leggiamo, meditiamo e parliamo tra noi delle letture del giorno, così capiamo meglio l’omelia preparata dal sacerdote.
Questo ci aiuta a comprendere la parola a noi dedicata; infatti, quando torniamo a casa, ci accorgiamo che ricordiamo particolari diversi, perché ognuno ha la sua Parola.
Franca e Mariano

 

Ritornare sull’omelia
La Liturgia della Parola è forse uno dei momenti in cui abbiamo sempre cercato di coinvolgere i nostri figli, da quando sono stati sufficientemente grandi da poterla capire.
A casa riprendendo il brano di Vangelo se ne parla, cercando di ricordare almeno i punti principali dell’omelia (cosa sempre molto difficile) e portarlo poi nella nostra vita.
Anna e Ferruccio

 

Per i bambini
Canta con tutta la gioia che hai dentro di te l’Alleluia. Alleluia è una parola ebraica che significa: Lodate Dio. Pensa a questo significato mentre la canti.
Laura Salvi

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo
          Quale esperienza abbiamo di ascolto in coppia e in famiglia?
          Che cosa rende difficile l’ascolto reciproco?
          Quale esperienza di ascolto della Parola in casa?
          Che cosa può essere importante per dare peso alla Parola nella liturgia?
          A quali condizioni la Parola ascoltata può diventare motivo di lode?
don Renato Tamarini, Trento

 

19-SAPER DIRE GRAZIE DI CIÒ CHE SI HA
Pane e vino sono frutto della terra e del lavoro dell’uomo
Il dono di sé è la cosa più costosa che c’è sulla terra

 

La Messa educa all’offerta: cioè al dono di sé… gratuitamente ho ricevuto: gratuitamente dono. Dono l’amore a mio marito/moglie, ai miei figli, ai parenti, agli amici; ai più sfortunati di me nella vita, sapendo che quello che sono e ho mi chiede di dire grazie e di non essere tenuto gelosamente per me.
Padri Sacramentini

 

Per entrare in argomento
Pensiamo a cosa succede durante l’offertorio: “Benedetto sei tu Signore, Dio dell’universo, dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane, frutto della terra e del lavoro dell’uomo”.
La terra non fa il pane, non esiste l’albero dei panini, e neanche l’albero delle bottiglie. Esistono la vite ed il grano, il pane ed il vino sono frutto della terra e del lavoro dell’uomo.
È ciò che la natura ci ha dato, e che noi abbiamo lavorato.
Non basta che portiamo il grano all’Eucaristia, dobbiamo portare il pane. Il grano impastato da noi.
Non basta dire: “Io sono qui, mi dono a te”. Io devo anche lavorarmi per offrirmi a te.
Offro a te il grano della mia natura che sono, ma con tutto il processo di fatica, di laboriosità, di costruzione del carattere, di ascesi, di sforzo, di impegno, che io ci metto perché questo grano diventi mangiabile.
Perché questo è divino, perché se voglio essere simile a Dio devo essere mangiabile, perché Dio si dà da mangiare, è la cosa più mangiabile che c’è.
L’albero non ha senso senza frutti, un albero sterile si taglia. Dio è un albero che dà frutti dodici mesi l’anno e le cui foglie guariscono le nazioni.
E se noi vogliamo essere simili a Dio dobbiamo diventare mangiabili e questo non può accadere senza sforzo. Quando noi portiamo all’altare il pane ed il vino portiamo quello che Dio ci ha dato e quello che noi abbiamo lavorato su di esso. Il frutto della nostra fatica e del nostro impegno.
Anche nella reciprocità familiare, perché la vita familiare è dono e offerta, cosa portiamo?
Quello che Dio ci ha dato e quello che noi investiamo per diventare gradevoli, capaci di sopportare, di dialogare, di perdonare, di accogliere, di sorridere... Il dono di sé è la cosa più costosa che c’è sulla terra.
Se tu vuoi donarti devi dare te stesso, non soldi. Se ti doni vuol dire che una parte di te non ti appartiene più.
Educare significa insegnare ai bambini, ai ragazzi, a fare questo, man mano che crescono.
Non cresceranno più felici se darete loro più cose, ma se voi, avendo vissuto questo, sarete capaci di trasmettere questo. Lo sappiamo, ma ci fa più comodo pensare che i soldi rendano felici, perché i soldi non ci costano: non sono me, non sono il dono di me stesso. Allora il fatto di offrirsi, di donarsi è importante.
Cristo si è donato, Dio si è donato fino alla morte di croce. Non ha tenuto niente per sé.
Tutto quello che teniamo per noi, nell’amore, è peccato, perché non viene dalla fede.
Arcidiocesi di Lucca

Queste riflessioni sono state riprese da una conferenza di don Francesco Pilloni

 

Il Magistero
Vorrei richiamare l'attenzione anche sulla presentazione dei doni. Non si tratta semplicemente di una sorta di “intervallo” tra la liturgia della Parola e quella eucaristica. Ciò farebbe venir meno, tra l'altro, il senso dell'unico rito composto di due parti connesse.
In questo gesto umile e semplice si manifesta, in realtà, un significato molto grande: nel pane e nel vino che portiamo all'altare tutta la creazione è assunta da Cristo Redentore per essere trasformata e presentata al Padre.
In questa prospettiva portiamo all'altare anche tutta la sofferenza e il dolore del mondo, nella certezza che tutto è prezioso agli occhi di Dio.
Questo gesto, per essere vissuto nel suo autentico significato, non ha bisogno di essere enfatizzato con complicazioni inopportune. Esso permette di valorizzare l'originaria partecipazione che Dio chiede all'uomo per portare a compimento l'opera divina in lui e dare in tal modo senso pieno al lavoro umano, che attraverso la Celebrazione eucaristica viene unito al sacrificio redentore di Cristo.
Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n. 47

 

20-L’OFFERTORIO
Nel pane e nel vino i fedeli offrono la loro vita nelle mani di Cristo

Non so se vi è mai capitato di mangiare “alla portarella”: ognuno porta qualcosa, la pone sulla tavola addobbata e poi si mangia insieme, condividendo cibo e vita. È proprio ciò che facevano i primi cristiani quando si riunivano per fare Eucaristia, è ciò che facciamo ancora oggi, seppure in modo simbolico.
Nell’offrire il pane e il vino e nel consegnarli nelle mani del sacerdote, i fedeli offrono e consegnano la loro vita nelle mani di Cristo, affinché sia offerta e sacrificata al Padre in unione con il sacrificio di Cristo.
In altre parole, nella consegna di questi due elementi la Chiesa-Sposa si consegna nelle mani dello Sposo, affinché la renda santa in Lui, senza macchia, né ruga.
Un gesto quindi di suprema responsabilità, fede e amore (da far tremare le ginocchia!), che necessita di essere preparato con cura.
Solo nel pane e nel vino possiamo mettere tutta la nostra vita, perché solo essi vengono consacrati; tutti gli altri doni, per quanto significativi possano essere per la nostra vita, non ricevono la Preghiera eucaristica e rimangono tali. Pertanto, ogni altro dono è per i poveri o per le necessità della chiesa.
Anche se il pane e il vino sono consegnati materialmente al sacerdote solo da alcuni fedeli, spiritualmente ciascuno è chiamato a portare i doni all’altare, perché come prescrive Mosè e come insegna la tradizione: “Nessuno si presenterà davanti al Signore a mani vuote” (Dt 16,16).
È però diritto e dovere di ogni cristiano non solo unire la propria vita a Cristo morto e risorto, ma anche far passare il mondo e il lavoro umano (simboleggiati appunto dal pane e dal vino) dalle loro mani a Dio, ossia presentarli e ricondurli alla loro Origine e al loro ultimo Fine: quello divino. In questo gesto il sacerdozio battesimale fa essere i fedeli anche “sacerdoti del mondo e del creato”.
Elisabetta Casadei

 

21-TESTIMONIANZE SULL’OFFERTA
Destiniamo circa il dieci per cento delle nostre entrate alla condivisione

 

Cosa offrire
All’offertorio spesso il clima di preghiera è disturbato dalla ricerca delle varie monetine da versare nell’obolo; ma non è questo il vero offertorio.
Il Signore vuole sull’altare la nostra giornata, le nostre fatiche, le lacrime ma anche la nostra gioia, la lode e il ringraziamento per quello che siamo e che ci dona. Ripensare alla settimana trascorsa, al fallimento verso un figlio, alla fatica di dire Sì ogni giorno alla nostra missione.
Tiziana

 

L’elemosina
Quando per strada troviamo qualcuno che chiede qualcosa tendendo la mano, ci mette in crisi perché a tutti non è possibile dare, e quale criterio dobbiamo usare per donare?
All’offertorio offriamo anche le nostre domande, perché ci aiuti ad essere giusti.
Franca e Mariano

 

Condividere con gli altri
Da quando ci siamo sposati destiniamo circa il dieci per cento delle nostre entrate alla condivisione.
Lo consideriamo un gesto di giustizia più che di carità, è diventata un’abitudine e non ci pesa.
Fino ad ora, nonostante siamo due insegnanti, non ci siamo mai trovati alle prese con difficoltà tali da rimpiangere quei soldi.
Elisabetta

 

Mai a mani vuote
Nella santa messa, all’offertorio, portiamo all’altare i frutti del nostro lavoro come ringraziamento.
Rappresenta il nostro offrirci, insieme al sacrificio di Gesù.
Il pane è il frutto del lavoro e della fatica; il vino è il segno della festa, della gioia di ritrovarsi insieme.
Come quando si è invitati a una festa, c’è sempre il dono. Non si va mai a mani vuote ma ognuno porta qualcosa, un pensiero, un piccolo dono, segni del nostro affetto e come ringraziamento per essere stati invitati.
Marzia

 

Le offerte
I doni che, frutto del duro lavoro e della fatica dei credenti, vengono raccolti devono servire per opere di liberazione: riscatto di schiavi, di esiliati, di condannati ai lavori forzati nelle miniere o alla lotta con le belve nei circhi: i diaconi si rechino da costoro e li visitino ripartendo tra loro ciò di cui hanno bisogno.
Didascalia apostolo rum

 

Una sola assemblea
Nell’antichità era consuetudine celebrare un’unica eucaristia presieduta dal vescovo.
Quando a Roma, per motivi pastorale, si comincerà a celebrare più messe domenicali, il senso dell’unicità dell’assemblea sarà mantenuto e manifestato per mezzo del fermentum, un pezzetto di pane eucaristico della messa papale inviato ai presbiteri perché lo infondessero nel calice dell’eucaristia da loro presieduta.
Enzo Bianchi

 

Per i bambini
La messa è il banchetto che Gesù prepara per tutti i suoi fratelli e le sue sorelle.
A un banchetto si sta insieme, si fa festa, ci si ascolta, ma soprattutto si mangia e si beve. Per questo bisogna preparare la tavola!
Laura Salvi

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo
          La famiglia ci aiuta a crescere nella capacità di donare?
          In quale modo cerchiamo di educare i figli alla gioia del donare?
          Di che cosa ci parla il pane sulla tavola? Come preghiamo prima dei pasti?
          Come possiamo ricordare il lavoro dell’uomo e della donna nella celebrazione?
don Renato Tamarini, Trento

 

22-GESU’ CRISTO: PRESENZA VIVA
Il comando che Gesù ci ha lasciato non è: “ricordate”, ma “fate!”
L’amore dei coniugi è segno della presenza di Dio sulla terra

 

Una storia familiare costruita sui ricordi affettivi ha la possibilità di creare legami oltre il tempo e lo spazio abilitandoci alla comprensione del memoriale eucaristico.
Padri Sacramentini

 

Per entrare in argomento
Se noi veramente offriamo il nostro amore agli altri e a Dio, allora Dio lo accoglie, lo fa suo. Qui è il bello, Dio consacra il nostro dono. È ciò che succede a messa.
Dio accoglie questo pane e questo vino che noi abbiamo lavorato con un po’ d’acqua e qualche strumento, con la fatica delle nostre mani, lo accoglie e con il dono del suo Spirito fa in modo che quel pane e quel vino non siano più solo il frutto della vite e del nostro lavoro, ma presenza sua.
Se noi ci doniamo autenticamente agli altri, Dio accoglie questo nostro impegno e fa sì che il nostro amore non sia solo il nostro amore ma la sua presenza.
Il sacramento del matrimonio è quella cosa per cui il tuo amore non è più il tuo amore, ma la presenza di Dio sulla terra. Per cui gli altri vedendoti dovrebbero dire: “Guarda come si amano”. Ma parla dell’amore di Dio, di un amore divino che ha creato l’uomo capace di vivere divinamente, cioè nell’amore. È la forma più semplice di evangelizzazione.
Il diavolo, che è furbo, non va a colpire i teologi, va a colpire le famiglie.
Perché chiuso il rubinetto dell’amore familiare, è chiuso il flusso dell’amore di Dio nel mondo, persa l’immagine di Dio nell’uomo e nella donna, perso l’amore nella natura, il senso del mondo.
E lui diventerebbe davvero il principe di questo mondo, questo è il suo disegno; smascheriamolo e facciamo vedere che non è così. Che ogni famiglia è un luogo di unità e di amore.
Arcidiocesi di Lucca

Queste riflessioni sono state riprese da una conferenza di don Francesco Pilloni

 

Il Magistero
La preghiera eucaristica è “momento centrale e culminante dell'intera celebrazione”. La sua importanza merita di essere adeguatamente sottolineata.
Le differenti preghiere eucaristiche contenute nel Messale ci sono tramandate dalla Tradizione viva della Chiesa e si distinguono per una ricchezza teologica e spirituale inesauribile.
I fedeli devono essere messi in grado di apprezzarla.
L'Ordinamento Generale del Messale Romano ci aiuta in questo ricordandoci gli elementi fondamentali di ogni preghiera eucaristica: azione di grazie, acclamazione, epiclesi, racconto dell'istituzione, consacrazione, anamnesi, offerta, intercessione e dossologia conclusiva.
In particolare, la spiritualità eucaristica e la riflessione teologica vengono illuminate se si contempla la profonda unità nell'anafora tra l'invocazione dello Spirito Santo [epiclesi] e il racconto dell'istituzione, in cui “si compie il sacrificio che Cristo stesso istituì nell'Ultima Cena”.
Infatti, “la Chiesa implora con speciali invocazioni la potenza dello Spirito Santo, perché i doni offerti dagli uomini siano consacrati, cioè diventino il Corpo e il Sangue di Cristo, e perché la vittima immacolata, che si riceve nella Comunione, giovi per la salvezza di coloro che vi parteciperanno”.
Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n. 48

 

Famiglia, Stupore e Memoria
Stupirsi è ammettere il nostro limite, ma soprattutto riconoscere la diversità di coloro che abbiamo accanto e hanno in sé un seme di novità da poter cogliere e in questo saper ringraziare per la loro esistenza, per la loro presenza accanto a noi.
Eucaristia significa rendimento di grazie, ringraziare con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutto il proprio essere.
Educare alla meraviglia, allo stupirsi, al rimanere sbalorditi davanti ai piccoli e grandi eventi che la vita familiare ci regala, abilita al riconoscimento e al ringraziamento delle opere mirabili che Dio compie in noi e intorno a noi e ci rende sensibili al suo operato.
Ricordare significa possedere un patrimonio di comprensione e condivisione che passa attraverso oggetti, fatti, persone, aneddoti che sono a conoscenza di tutti.
Una volta richiamati non devono essere spiegati e contengono di per sé un valore simbolico.
Ogni cosa che crea legami (oggetto, fatto, evento, luogo, etc.) ha un forte potere evocativo e lega il passato al presente e il presente al futuro ricordando che non esiste un passato, ma soltanto una presenza viva, un dialogo mai interrotto.
Il far memoria in famiglia spalanca la porta al memoriale eucaristico dove il passato si attualizza per lasciarci la nostalgia di Lui, e nell’oggi una “Presenza” nascosta nel segno sacramentale.
Associazione L’ora di Gesù, Taranto

 

23-IL MEMORIALE
Il comando che Gesù ci ha lasciato non è "ricordate" o "raccontate" ma "fate"!

Il Racconto dell’ultima cena non è solo un racconto, ma molto di più.
È un memoriale, cioè “una memoria che fa” e che nel linguaggio biblico-ebraico si può spiegare semplicemente così: ciò che Cristo fece nell’ultima cena e sulla croce, lo fa anche oggi, qui e adesso all’altare.
Oggi dona, offre il suo corpo e il suo sangue, ossia tutto Se stesso a te, a noi, per vincere il male e la morte che albergano in ciascuno.
Il comando che ci ha lasciato non è: “ricordate” o “raccontate”, ma “fate!”.
È un comando di una potenza tale che non può essere ridotto alla Sua sola presenza reale nel pane e nel vino: la Consacrazione (racchiusa nel Racconto dell’ultima cena e che avviene alle parole: “Prendete… questo è il mio Corpo/questo è il mio Sangue”) non è questione di rendere presente un assente, quasi fosse una seduta spiritica!
È molto di più: è il Padre che dona il Figlio e il Figlio che dona se stesso a noi per amore del Padre, riducendo all’impotenza il male e la morte, come ben esprimono i testi liturgici del Racconto dell’Ultima Cena.
È un comando di una potenza tale che da atto liturgico è divenuto Parola di Dio attraverso i racconti dell’ultima cena dei Sinottici e di Paolo: proprio l’inverso di quello che comunemente si pensa!
Infatti, queste pericopi bibliche derivano dalle preghiere eucaristiche e gli evangelisti non hanno fatto altro che trascrivere ciò che le loro comunità già “facevano” in obbedienza al comando di Gesù.
Elisabetta Casadei

 

24-TESTIMONIANZE SULLA CONSACRAZIONE
Abbiamo mille motivi per ringraziare, peccato che a volte perdiamo tempo prezioso a mormorare

 

Viene Gesù
Mettersi in ginocchio, se si può e la salute lo permette, il raccoglimento, la preghiera personale davanti a Gesù che si fa presente in mezzo a noi, a volte fa in modo che anche i bimbi si calmino, perché capiscono che sta succedendo qualcosa d’importante se anche la mamma e il papà si mettono in preghiera. Bisogna magari prepararli a casa dicendo quello è il momento più importante nella Messa in cui si deve davvero stare attenti, perché viene Gesù.
Franca e Mariano

 

Pane spezzato
Pensate che Dio meraviglioso abbiamo, non solo è venuto nel mondo facendosi bambino, vivendo in una famiglia, vivendo le nostre stesse fatiche, camminando per le strade della Galilea ma si è fatto pane spezzato…
Tiziana

 

Questa famiglia
All’interno della Preghiera eucaristica III, il sacerdote, a nome di tutti noi, chiede a Dio di ascoltare la preghiera ”questa famiglia”, e domandandoGli poi di ricongiungere a sé tutti i suoi “figli ovunque dispersi”. Quale miglior momento, dati anche i termini usati, per ricordare in particolare i propri familiari (ma anche parenti e amici) lontani dalla fede o dai Sacramenti, e quasi portarli, coinvolgerli nella comunione della Chiesa anche se fisicamente non partecipano alla messa?
Elda e Fabio

 

Ringraziare il Signore
Eucaristia significa rendimento di grazie. Abbiamo mille motivi per ringraziare, peccato che a volte perdiamo tempo prezioso a mormorare.
Ringraziamo e lodiamo Dio per il dono della vita, per la nostra famiglia, per i nostri figli, per il lavoro e la salute ma lodiamolo soprattutto quando sembra non esserci nessun motivo per lodare… la potenza della lode fa miracoli, credetemi!
Tiziana

 

Essere santi
A volte scherzando diciamo che ventitre anni di matrimonio ci hanno resi non tanto santi, quanto martiri.
Ironia a parte, non saprei davvero anticipare che ne sarà di noi in quanto coniugi, genitori, figli a nostra volta…
Cerchiamo di combattere la buona battaglia, ci auguriamo di arrivare vittoriosi alla fine della corsa.
Elisabetta

 

Pregare a tavola
La preghiera di ringraziamento che recitiamo insieme prima dei pasti ha anche il compito di porre equilibrio tra noi e il cibo (non abbuffarsi) e tra noi e le parole che escono dalla nostra bocca (trattenere i nostri istinti non buoni).
Stare a tavola con gli altri è segno di fiducia nell’altro, è manifestare il desiderio di stare assieme per conoscersi meglio: “Ho tanto desiderato mangiare con voi” (Lc 22,15).
Marzia e Maurizio

 

Per i bambini

Il Santo è il canto degli angeli che in cielo stanno alla presenza di Dio: anche tu canti con loro poi ti inginocchi e congiungi le mani. Il tuo corpo si raccoglie per prepararsi al dono di Gesù.
Laura Salvi

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo
          Che cosa chiediamo normalmente nella nostra preghiera in famiglia?
          Nella comunità cristiana c’è consapevolezza di star pregando, di parlare con il Padre?
          È frequente l’occasione di dirsi grazie in casa?
          Di che cosa sentiamo di dire grazie a Dio?
don Renato Tamarini, Trento

 

25-AMORE, PACE E COMUNIONE
La comunione: essere serviti per poter servire
Il Corpo di Cristo è il pane degli ultimi tempi, capace di dare vita, e vita eterna

 

Diamo la giusta precedenza e significato al pranzo domenicale.
È un momento da vivere con calma, senza il condizionamento di orari e ritmi di vita che sovente ci rendono schiavi. Viviamo il momento dell'Eucaristia possibilmente insieme, serenamente, come famiglia che rende grazie per quello che è e per quello che ha.
Padri Sacramentini

 

Per entrare in argomento
L’amore porta alla vera comunione, che fa di due una cosa sola.
Questo è l’amore eucaristico, che celebriamo quando andiamo a mangiare il corpo di Cristo.
Creiamo un’unità d’amore tra noi e Dio fatto carne, nel suo corpo donato per noi, risorto per noi, glorioso. Questo è il vangelo di cui ha bisogno il mondo, di cui ha sempre avuto bisogno.
Per questo ha creato il mistero dell’Eucaristia, perché il segno di questa comunione di amore che accoglie, perdona, lava, dona, consacra, diventa una comunione totale, fa di due uno.
Quando i coniugi si uniscono non sono più due, ma una sola carne, dice la Scrittura.
Fisicamente, psicologicamente, affettivamente e spiritualmente. Dio cerca questa comunità d’amore con l’uomo.
La moglie rimane moglie ed il marito rimane marito, ma più sono uniti, più sono uno. Dio rimane Dio, noi rimaniamo noi, povere creature, ma più siamo uniti, più siamo uno, e più Dio brilla in noi.
Siamo come il roveto ardente di Mosè, su cui il fuoco di Dio si compiace di bruciare.
La gloria di Dio è ardere sopra la nostra povertà ed illuminare il mondo.
Purché noi glielo concediamo.
Arcidiocesi di Lucca

Queste riflessioni sono state riprese da una conferenza di don Francesco Pilloni

 

Il Magistero
L'Eucaristia è per sua natura Sacra-mento della pace.
Questa dimensione del Mistero eucaristico trova nella Celebrazione liturgica specifica espressione nel rito dello scambio della pace.
Si tratta indubbiamente di un segno di grande valore (cfr Gv 14,27).
Nel nostro tempo, così spaventosamente carico di conflitti, questo gesto acquista, anche dal punto di vista della sensibilità comune, un particolare rilievo in quanto la Chiesa avverte sempre più come compito proprio quello di implorare dal Signore il dono della pace e dell'unità per se stessa e per l'intera famiglia umana.
La pace è certamente un anelito insopprimibile, presente nel cuore di ciascuno.
La Chiesa si fa voce della domanda di pace e di riconciliazione che sale dall'animo di ogni persona di buona volontà, rivolgendola a Colui che ”è la nostra pace” (Ef 2,14) e che può rappacificare popoli e persone, anche dove falliscono i tentativi umani.
Da tutto ciò si comprende l'intensità con cui spesso il rito della pace è sentito nella Celebrazione liturgica.
Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n. 49

 

Famiglia e Condivisione
Lavare, stirare, accudire, preparare il pranzo, accompagnare a scuola il mattino presto i figli... attendere per essere ascoltato, sopportare le sfuriate della mamma che a volte non si capisce da dove nascano… non sono atti dovuti, ma piccoli costanti servizi di amore quotidiani.
Nella famiglia lo stile di vita di servizio emerge per simpatia, cioè per “conformità nel sentire”, come dice originariamente il termine greco.
È vivendo insieme che si realizza questa conformità (= convivialità spirituale).
A tavola si sperimenta fino in fondo questa comunione a doppio senso: essere serviti e servire.
Ciò che si mangia insieme e ci nutre è dono e condivisione allo stesso tempo. Il pane da mangiare è condiviso: spezzato perché tutti ne abbiano.
La diaconia ecclesiale procede dunque dall’eucaristia.
È come se ogni comunicante potesse dire al fratello: che cosa ci potrà separare se viviamo tutti del pane spezzato che il Padre ci offre donandoci il suo Cristo?
Nella liturgia i segni parlano; il pane non è fatto solo per essere mangiato: esige anche di essere condiviso.
Quindi il dono ricevuto si iscrive nella vita solo se spinge chi si comunica a farsi commensale di ogni uomo.
Associazione L’ora di Gesù, Taranto

 

26-LA COMUNIONE
L'uomo porta in sé anche fame di vita, di amore, di eternità

Oltre alla fame fisica l’uomo porta in sé un’altra fame, una fame che non può essere saziata con il cibo ordinario. È fame di vita, fame di amore, fame di eternità.
Gesù ci dona questo cibo, anzi, è Lui stesso il pane vivo che dà la vita al mondo (cfr Gv 6,51). Il suo Corpo è il vero cibo sotto la specie del pane; il suo Sangue è la vera bevanda sotto la specie del vino.
Non è un semplice alimento con cui saziare i nostri corpi, come la manna che nutrì Israele nel deserto; il Corpo di Cristo è il pane degli ultimi tempi, capace di dare vita, e vita eterna, perché la sostanza di questo pane è l’Amore.
Se ci guardiamo attorno, ci accorgiamo che ci sono tante offerte di cibo che non vengono dal Signore e che apparentemente soddisfano di più.
Alcuni si nutrono con il denaro, altri con il successo e la vanità, altri con il potere e l’orgoglio. Ma il cibo che ci nutre veramente e che ci sazia è soltanto quello che ci dà il Signore!
Ognuno di noi può domandarsi: e io? Dove voglio mangiare? A quale tavola voglio nutrirmi? Alla tavola del Signore? O sogno di mangiare cibi gustosi, ma nella schiavitù?
Qual è la mia memoria? Quella del Signore che mi salva, o quella dell’aglio e delle cipolle della schiavitù? Con quale memoria io sazio la mia anima?
Papa Francesco

 

27-TESTIMONIANZE SULLA COMUNIONE
Ricevere Gesù e sentirlo operante dentro di noi è un grande privilegio

 

Il Padre Nostro
La messa nella nostra Famiglia è un momento importante ma avendo i bimbi relativamente piccoli non abbiamo mai voluto forzare troppo, anche perché non tutte le parti della messa sono pienamente comprensibili da un bimbo di cinque anni!
Abbiamo però sempre cercato di renderli partecipi dei momenti che sono per loro più chiari e familiari.
Il momento del Padre Nostro in particolare, detto tutti insieme tenendosi per mano, è un momento quotidiano delle nostre preghiere dette insieme alla sera, riviverlo durante la messa significa estendere il senso di famiglia alla comunità parrocchiale riunita per la messa domenicale. Un gesto semplice per far capire che Dio Padre è “nostro” di tutti, non solo della nostra famiglia!
Daniela e Pierpaolo

 

Gli occhi dell’altro
Scambiamoci la pace con cuore umile, con sguardo puro, guardandoci negli occhi. Spesso manca questo incrocio di sguardi, siamo solo in ricerca di mani senza volto…
Tiziana

 

Scambiarsi la pace
Un momento vivo, soprattutto per i bambini e nei giovani, è lo scambio della pace. Alcuni si spostano dal loro posto e vanno a portare la pace ai propri genitori o agli amici.
Forse è un po’ più caotico dello stringere la mano unicamente al proprio vicino, ma ci fa capire che siamo vivi e abbiamo bisogno di relazioni.
Anna e Ferruccio

 

Un grande privilegio
Ricevere Gesù, tenerlo nel cuore, portarlo a casa e sentirlo operante dentro di noi è un grande privilegio.
Possiamo dirgli cosa ci sta a cuore, ringraziarlo, pregare con Lui e poi fare silenzio e ascoltare. Se devi prendere decisioni importanti e stai aspettando delle risposte da Lui, ascolta bene durante la Messa e ogni persona che incontri, chi ti è vicino in famiglia e cerca di capire. Poi ti accorgi che quella persona incontrata per caso ti ha detto le parole che aspettavi, ti ha dato la risposta a ciò che avevi chiesto. Quando succede, è un’emozione che commuove. Non sempre accade subito, bisogna pregare e attendere, ma la risposta arriva. Ne sono testimone.
Franca

 

Non poterlo accogliere
Ho sentito il dolore di non poter ricevere Gesù una volta a Medjugorie.
Eravamo fuori dalla chiesa perché c’era tanta gente alla messa in italiano. La porta davanti a noi non si è mai aperta…
Alla fine della comunione il sacerdote si scusò dicendo che essendo in tanti non erano bastate le particole; a noi, che eravamo rimasti senza ricevere Gesù, ci fu chiesto di unirci alle sofferenze dei coniugi separati o divorziati che non possono riceverlo e di recitare la comunione spirituale.
Caro Gesù come sei grande!
Tiziana

 

Per i bambini
Sei invitato al banchetto: lentamente esci dai banchi e dirigiti al centro della chiesa per ricevere il corpo di Gesù. Apri le tue mani e preparati ad accogliere il dono più grande.
Laura Salvi

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo
          Che valore diamo in famiglia al prendere il pasto insieme?
          Chi invitiamo più facilmente a condividere il pasto con noi?
          Diventare buon pane per i fratelli è la finalità della nostra unione personale con Gesù?
          La comunione eucaristica sostiene ed esprime il nostro impegno di diventare come Gesù?
don Renato Tamarini, Trento

 

28-CONGEDO E MISSIONE

La messa è finita: andate in pace ad annunciare Cristo

Ed essi dissero l'un l'altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme...

 

Essere famiglia non è solo un fatto sociale, ma è una vera e propria missione, è una vocazione da vivere e fare crescere, in un costante confronto e dialogo con Dio, per chiedere il suo aiuto, per dirgli grazie, per arrabbiarsi con Lui, per scusarsi, ecc.
Padri Sacramentini

 

Per entrare in argomento
Ecco da dove scaturisce la missione, alla fine della messa: andate e portate a tutti l’annuncio del Signore risorto. “Andate” vuol dire che quando noi abbiamo comunicato a quel corpo e a quel sangue di Cristo, siamo diventati, in virtù dell’amore, quell’amore di Cristo.
Le mie mani sono quelle di Cristo, i miei piedi quelli di Cristo, il mio cuore, i miei pensieri.
Vuol dire che Cristo, che è nei cieli, ha il suo corpo, la sua pienezza, qui sulla terra, e siamo noi.
Ci viene affidata una missione di vita: portare, testimoniare, annunciare, vivere, dire, incarnare l’amore di Dio nella nostra vita.
Arcidiocesi di Lucca

Queste riflessioni sono state riprese da una conferenza di don Francesco Pilloni

 

Il Magistero
Infine, vorrei soffermarmi sul saluto di congedo al termine della Celebrazione eucaristica.
Dopo la benedizione, il diacono o il sacerdote congeda il popolo con le parole: “Ite, missa est”.
In questo saluto ci è dato di cogliere il rapporto tra la Messa celebrata e la missione cristiana nel mondo.
Nell'antichità “missa” significava semplicemente “dimissione”. Tuttavia essa ha trovato nell'uso cristiano un significato sempre più profondo.
L'espressione “dimissione”, in realtà, si trasforma in “missione”. Questo saluto esprime sinteticamente la natura missionaria della Chiesa.
Pertanto, è bene aiutare il Popolo di Dio ad approfondire questa dimensione costitutiva della vita ecclesiale, traendone spunto dalla liturgia.
In questa prospettiva può essere utile disporre di testi, opportunamente approvati, per l'orazione sul popolo e la benedizione finale che esplicitino tale legame.
Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n. 51

 

Famiglia e Missione
I genitori altro non sono che la spiaggia da cui i figli, con timore, imparano ad allontanarsi, attratti da ciò che ancora non vedono.
Ogni giorno di più si avventurano in acqua, sempre più lontano, a volte scomparendo all’orizzonte.
Rimane però in loro la certezza che quella spiaggia sarà sempre un luogo dove poter ritornare per riposarsi e da cui poter ripartire.
Le famiglie passano, nei loro modi e tempi, qualcosa della propria vita alle nuove generazioni e se queste saranno poi capaci di dare a loro volta quello che hanno ricevuto vorrà dire che il mondo procede.
Il congedo a fine celebrazione eucaristica vissuta con queste consapevolezze, non diventa un mesto e banale “la Messa è finita”, ma invito a fare come Lui ha fatto.
Ritemprati dalla comunione, possiamo portare quello che abbiamo vissuto nel nostro quotidiano: siamo lanciati nel mondo, quasi buttati fuori, ma consapevoli di poter tornare ogni volta che lo desideriamo, per far rifornimento.
Associazione L’ora di Gesù, Taranto

 

29-UNA COMUNITÀ MISSIONARIA
L'evangelizzazione è il fondamento della fede cristiana

Una delle espressioni più correnti per indicare la domenica è il termine inglese week-end.
Così da un fine settimana all'altro entra nella testa della gente una sorta di cifra della vita, come un andare fatale verso la fine, con l'oblio del fine dell'esistenza.
Totalmente altro nella scansione cristiana del tempo, che vede invece nella domenica il giorno del Signore, la nuova aurora dell'umanità, nel mistero radioso del Risorto.
Qui si procede non di fine in fine, ma d'inizio in inizio, di aurora in aurora, di Pasqua in Pasqua.
Solo così la vita conserva la spinta originaria verso una “più vita”; e conserva la sua radiosa verità di vigilia. Solo così, di domenica in domenica, il primo giorno dopo il sabato ebraico, si approda nell' “ottavo giorno” della pasqua eterna.
La settimana cristiana, pertanto, non interpreta la domenica come week-end, ma come primo giorno, con l'incontro dei credenti attorno alla mensa del Risorto nell'Eucaristia: per riascoltare la Parola, per spezzare il pane e per ritornare sulle strade della città con il cuore traboccante di gioia, per comunicare l'unica notizia che ha cambiato la storia del mondo: quella del Cristo vittorioso sulla morte, che ha strappato la maschera beffarda del nichilismo.
L'Eucaristia non esaurisce, pertanto, il compito della comunità che si incontra attorno alle due mense nel giorno del Signore.
“L'evangelizzazione non è una delle tante attività dei cristiani: assieme alla celebrazione dell'Eucaristia è il fondamento della fede cristiana. Tra i due momenti esiste una simbiosi tale che non può esistere l'una senza l'altra”.
La comunità eucaristica esiste per evangelizzare; pertanto la missione non è un aggettivo della comunità ecclesiale bensì un sostantivo: la Chiesa è missione o non è Chiesa.
C'è una consegna dunque alla fine della celebrazione eucaristica: la Messa va vissuta nella vita.
La grazia del Risorto ha bisogno di essere metabolizzata nel seguito dei giorni feriali. La domenica non è cifra della caducità, ma della novità del Cristo vittorioso sulla morte.
† Enrico Masseroni, arcivescovo emerito di Vercelli

 

30-TESTIMONIANZE SULLA MISSIONE

La Messa è vita e inizia dove finisce la celebrazione

 

Stare un po’ con Gesù
Durante il canto finale come famiglia facciamo sempre il bilancio su quanto questa volta hanno disturbato i bambini e un po’ ci si sentiamo sollevati che sia finita la necessità di tenere a bada i figli.
Comunque, per un motivo o per l’altro ci fermiamo ancora per qualche minuto in chiesa, per accendere un lumino alla Madonna o per salutare i nonni, e facciamo fatica a metterci nella testa di quelle persone che vediamo uscire già all’inizio del canto finale.
Forse avranno fretta, ma anche noi siamo di fretta perché, frequentando la messa prefestiva, a casa c’è ancora la cena da preparare, ed è già tardi per i bambini. Se ci attardiamo è perché in chiesa stiamo bene, ci sentiamo un po’ a casa e ci fa piacere stare un po’ con Gesù anche al di fuori della celebrazione.
Massimo

 

Vivere “in pace”
La Messa è vita e inizia dove finisce la celebrazione. Se vogliamo, si può andare d’accordo con tutti, anche con coloro che la pensano diversamente da noi. Dove abitiamo ci sono musulmani, atei, testimoni di Geova e cristiani tiepidi; se si cerca davvero ciò che unisce e si vuole il bene di tutti, si può vivere in pace.
Magari all’inizio è faticoso costruire il rapporto perché c’è un po’ di diffidenza, ma poi cresce davvero una pace duratura.
Franca e Mariano

 

Condividere
In famiglia quando il pranzo o la cena sono pronti dovremmo prestare più attenzione a chi si è prodigato per noi nel metterci a disposizione il cibo e a prepararlo con cura. Questo atteggiamento di gratitudine ci permette di essere più generosi con gli altri, donando anche al di fuori delle mura domestiche, al vicino di casa che ha meno possibilità, alla famiglia che vive nella nostra parrocchia e che sappiamo essere in fatica…
Marzia e Maurizio

 

Dire “bene” degli altri
Viviamo in una piccolissima città, sappiamo bene quanto danno provochi il pettegolezzo malevolo e fantasioso. È altresì utopistico proporsi di bene-dire sempre e comunque di tutto e di tutti. L’impegno è quello di esercitare una serena capacità critica nei confronti delle persone, possibilmente in modo aperto e diretto, senza alimentare insinuazioni e calunnie alle spalle dei diretti interessati.
Elisabetta

 

“Una caro”
Dopo le nozze gli sposi riportavano a casa il pane sacro e lo deponevano sul talamo. Il pane doveva essere consumato prima della domenica successiva.
Vi era dunque un immediato nesso tra consumazione del pane eucaristico e consumazione delle nozze, la prima come realizzatrice dell’ ”una caro” tra Cristo e i suoi e l’altra dell’ ”una caro” tra gli sposi.
Di Nicola – Danese

 

Per i bambini
Sul sacrato della chiesa hai l’occasione di salutare gli amici e di giocare insieme: è bello continuare a volersi bene dopo la messa!
Laura Salvi

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo
          Come si riesce a vivere la missione in famiglia?
          Come genitori vi sentite in missione? E qual è la missione?
          La celebrazione eucaristica vi dà qualcosa da portare con voi?
          In quali momenti la vita familiare si apre all’esterno?
          I figli frenano o spingono in questo senso?
          La comunità eucaristica vive questa dimensione missionaria?
don Renato Tamarini, Trento

 

Uomini e donne nella Bibbia
31-I DUE DISCEPOLI DI EMMAUS
Gli smarrimenti nelle parole e il miracolo della Parola
A volte ci pare che il mondo ci crolli addosso, non sentiamo più Dio, non abbiamo più speranza, siamo circondati da tante parole inadeguate.
La Parola del Signore ci rivela chi è Lui, che si offre a noi nel suo pane, ricrea in noi la comunione e la vita vera, ci apre alla missione.

 

di Enrico Masseroni*
Forse non c'è esperienza più suggestiva per raccontare l'avventura della Parola dell'icona dei due discepoli di Emmaus: là dove la Parola scava nel cuore smarrito dei due pellegrini, illumina di senso la loro storia, rinnova la speranza, fa riconoscere il volto del Risorto e restituisce la voglia di ritorno nella città con il desiderio di comunicare la notizia che cambia il destino del mondo.
C'è un'andata e un ritorno da Emmaus: l'andata sembra tratteggiare l'uomo in balia del non senso, in una storia che ha smarrito i punti luce del cammino; il ritorno racconta invece il percorso della Parola come incontro con il Risorto e annunzio del Risorto nel cuore della città.

 

LO SMARRIMENTO DELLA PAROLA
“Due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia” (Lc 24,13).

Sono due discepoli in fuga da un mondo che è crollato loro addosso, con il suo peso di domande sparite sotto i ruderi dei sogni infranti. Forse questa è l'immagine più significativa dell'uomo che si è smarrito sulla piazza delle parole: i due “conversavano”, “discorrevano”, hanno dimenticato la Parola ascoltata da Gesù.
Ora tutto è chiacchiera, cronaca noiosa. Addirittura le domande di senso sono giudicate patologiche, non hanno senso (Sigmund Freud); la stessa parola di Dio ha smarrito la sua differenza sul mercato delle parole umane che risuonano come “flatus vocis”.

 

L'oblio di Dio
“ Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo” (vv.15-16).
L'eclissi di Dio è palese sui sentieri della cultura dominante. La storia è oggettivamente abitata da Dio, è vicenda di salvezza; ma il credente, come i due di Emmaus, fa fatica ad avvertire il passo di Dio. Talora si parla del silenzio di Dio e talora dell'oblio.
Nei credenti è diffusa una certa miopia: non si sa vedere e si cede alla tentazione del pessimismo storico; manca il discernimento evangelico; si preferisce attardarsi sulla diagnosi delle tenebre che assediano la luce.


La morte della speranza
“Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele” (v. 21). Luca, da vero artista, tratteggia il volto dei due pellegrini con due parole: “il volto triste” e “noi speravamo”. Fuori, nei tratti del volto, hanno la maschera della tristezza; dentro, il crollo di ogni speranza. Anche in loro, come in tanta gente, l'attesa messianica alimentata da sogni di potenza, si è infranta su un colle fuori città. Anche i discepoli di Emmaus sono gli uomini del verbo al passato: “ speravamo”. I due hanno perso il bandolo del futuro.


Le mille opinioni
“Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro... ma lui non lo hanno visto” (v. 24).
Una notizia sembra sconvolgere i due di Emmaus: il sepolcro vuoto. Ma l'evento viene comunicato nel tono di una notizia, di un'opinione che non genera fede.
La parola di Dio annunzia il centro della vita e della storia, la morte e la risurrezione del Signore come genesi della nuova umanità. Ma l'uomo del nostro tempo ha smarrito il centro e conserva la parola solo come espressione di un sapiente che ha consegnato ai suoi seguaci una sublime dottrina morale; solo una dottrina, del tutto inadeguata a cambiare la faccia del mondo.

 

IL MIRACOLO DELLA PAROLA
A questo punto avviene il miracolo. Lo straniero che fino a quel punto aveva fatto solo domande e si era limitato ad ascoltarli incomincia a sua volta a parlare “come uno che ha autorità” (cfr. Lc 4,36).


La Parola dice Gesù
“E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, (Gesù) spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui “ (v. 27).
Nei due discepoli c'è una memoria delusa e confusa; ma Gesù riprende il filo della storia a partire da Mosè e dai profeti. Leggendo l'Antico e il Nuovo Testamento si incontrano tre caratteristiche singolari della Parola: essa illumina di senso la vita e la storia, promette un futuro e, soprattutto, crea efficacemente un mondo nuovo, una vita nuova.
La parola, che passa dalle labbra dello sconosciuto pellegrino di Emmaus ai due discepoli tristi, illumina la storia come attesa messianica e pertanto la parola dice Gesù. Il Risorto diventa la chiave interpretativa di tutta la vicenda umana.
Per questo la centralità della scrittura nella comunità ecclesiale è finalizzata a dire il Cristo, perché “ l'ignoranza delle scritture è ignoranza di Cristo “.

 

La Parola dice l'Eucaristia
“Quando fu a tavola con loro prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro” (v. 30).
La tavola di Emmaus sembra un segno sulla strada: il mettersi attorno alla mensa, il pane, la benedizione, il gesto dello spezzare e del donare evocano un'altra mensa.
Ancora una volta è la Parola, detta e vissuta nei gesti dell'ultima cena, a rivelare Gesù nel grande segno del pane. Dopo il mistero della creazione e il mistero dell'incarnazione, ecco il mistero della presenza del Verbo, viatico per l'umanità in cammino.

 

La Parola ricrea la vita
“Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?” (v. 32).
Il percorso della Parola sulla strada di Emmaus rinnova il miracolo della vita. I due passano dalla condizione di “sciocchi” e “tardi” all'ardore del cuore.
Nel loro mondo interiore si ridesta il desiderio che diventa struggente preghiera: “ Resta con noi perché si fa sera” (v. 29); ma soprattutto “si aprirono i loro occhi e lo riconobbero” (v. 31).
Il miracolo della vita nuova è sempre collegabile con la Parola, come in tutti i segni miracolosi del ministero di Gesù.
È la Parola che restituisce la vista ai ciechi, l'udito ai sordi, la salute agli infermi, la vita ai morti.
Nell’avventura di Emmaus il percorso della Parola è preciso: essa restituisce al mondo interiore ardore e speranza, e diventa forza del desiderio; ma soprattutto diventa incontro nella fede con il Risorto.


DALLA COMUNIONE ALLA MISSIONE
La comunione attorno alla mensa del pane, genera nei discepoli un passaggio importante: dal discepolato all'apostolato. La comunione diventa missione.
In verità non c'è una consegna esplicita, come più volte accade nell'incontro tra Gesù risorto e i suoi.
La spinta verso la missione è una sorta di impulso interiore, un desiderio di comunicazione, l'intuizione che l'incontro con Gesù non possa essere un vissuto intimistico, privato, ma un dono per tutti.
La missione qualifica e definisce il rapporto tra l'incontro con il Risorto e l'incontro con gli altri.
Così il ritorno da Emmaus si chiama “missione”, che viene incisivamente descritta con quattro verbi: “Partirono senza indugio”, “fecero ritorno a Gerusalemme”, “riferirono ciò che era accaduto lungo la via” e “come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane” (vv. 33-35).
Non c'è frattura tra incontro e vita: i due discepoli vivono l'impazienza della comunicazione. Pare che nella loro partenza ci sia una carica di gioia non contenibile e ritornano a Gerusalemme che per i due è un ambiente ostile, come per tutti i discepoli di Gesù. La morte del maestro ha fatto notizia; il venerdì santo è ancora troppo vicino, il potere civile e quello religioso hanno vinto; il processo contro Gesù ha trovato consenso presso la gente. Non si è ancora spenta l'eco di quel tragico grido: “Crocifiggilo!”.
Tuttavia i due di Emmaus non solo fanno ritorno nella città deicida, la città ostile; ma ritornano nel loro gruppo che pure ha già vissuto l'annunzio del Risorto attraverso Simone. Nulla può soffocare il desiderio di comunicazione, nulla può cambiare quello slancio che è sbocciato proprio attorno al pane spezzato.
La speranza infranta e smarrita dei due di Emmaus ritrova se stessa attorno alla mensa eucaristica per diventare slancio nella missione.
* arcivescovo emerito di Vercelli
Tratto dal libro dell’autore: Capire e vivere la messa, Un percorso biblico-liturgico, Edizioni Paoline, Milano 2009.

 

32-PER APPROFONDIRE IL TEMA
I libri usati per realizzare questo numero e approfondire il tema

 

Elisabetta Casadei, Tutto (o quasi) sulla messa, Effatà Editore, Cantalupa (TO) 2014.
Questo simpatico libro ci ha colpito fin dalla copertina, e la sua lettura ci ha dato ragione.
Il testo tocca e descrive in profondità, ma senza pesantezza, le varie parti della messa e non solo.
Coglie, quasi con gli occhi di un bambino, tutti gli elementi che “fanno” liturgia: dall’acquasantiera alla genuflessione, dai paramenti del sacerdote al bacio all’altare, ecc.
È un libro adatto agli adulti che vogliono spiegare la messa ai loro figli e nipoti in modo divertente ma, nello stesso tempo, competente.
L’unico suo neo è trattare solo, per il momento, la liturgia della Parola. Comunque, per fine anno, è previsto un secondo volume che completerà l’opera.
Cogliamo l’occasione per ringraziare l’autrice che ci ha voluto anticipare alcune parti relative alla liturgia eucaristica.

 

G.P. Di Nicola - A. Danese, Amore e pane. Eucaristia in famiglia, Effatà Editore, Cantalupa (TO) 2014.
Non è un libro molto facile questo, perché le competenze degli autori sono molto ampie e si riverberano nel testo.
L’argomento è l’eucaristia, meglio il pane e il vino che, per amore, diventano corpo e sangue di Cristo. Ma è anche quell’eucaristia quotidiana che è il rapporto amoroso tra un uomo e una donna. Due corpi e due cuori che sono sì diversi ma complementari e diventano, nel matrimonio, “una caro”.
È un libro da leggere con calma, per poter cogliere tutte le gemme preziose che gli autori spargono nella narrazione.
Un piccolo esempio: “Amare qualcuno è dirgli: tu non morirai”. Così è per l’eucaristia, con la quale Gesù, che è Dio, dona ai suoi amici una vita bella, piena ed eterna.

 

Enzo Bianchi, Vivere la domenica, Rizzoli Editore, Milano 2005.
La domenica è il contesto temporale in cui si colloca, per la maggior parte dei credenti, la celebrazione dell’eucaristia.
L’autore, muovendosi da questo presupposto, sottolinea in modo autorevole e documentato la differenza di fondo tra il sabato ebraico e la domenica cristiana e come queste due realtà si siano evolute nel tempo.
Se il sabato ha per centro il riposo, la domenica ha per centro l’eucaristia.
Confondere questi due elementi significa sabatizzare la domenica che è, prima di tutto, giorno del Signore, Pasqua settimanale, anche se - e ormai capita a parecchi - non è più un giorno festivo ma lavorativo. Facciamo attenzione perché “là dove il cristianesimo è diventato minoranza esigua, il primo segno della crisi della fede è stato il disertare l’eucaristia domenicale”.

 

Enrico Masseroni, Capire e vivere la messa, Edizioni paoline, Milano 2009.
Questo bel libro di padre Enrico Masseroni, arcivescovo emerito di Vercelli, ripercorre l’intero rito della messa attraverso il metodo della lectio divina. Ogni punto è spiegato sotto il profilo liturgico, evangelico ( la Parola), e la sua ricaduta nella vita.
Si tratta di un testo di spiritualità, con alcuni accenni mistici, e come tale va letto e pregato.
Ma il libro ha anche passaggi concreti come questo: “prima del Concilio la liturgia della Parola era la parte più disertata. Perché la messa fosse valida bastava varcare la soglia della chiesa a predica finita. Dopo il Concilio è diventata la parte più criticata dal popolo della domenica”.
Da questo libro abbiamo tratto le riflessioni dell’autore sull’episodio dei discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35), che ci sembra ben riassuma l’essenza dell’eucaristia.

 

Rino Fisichella, Il sentiero per Emmaus, Lateran University Press, Città del vaticano 2007.

Laura Salvi, Oggi vivo la messa, Edizioni S. Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2009.
Il tema dell’eucaristia è stato molto a cuore agli ultimi due papi, prima Giovanni Paolo II, con Ecclesia de eucharistia - una sorta di autobiografia eucaristica - poi Benedetto XVI con Sacramentum caritatis.
Il libro di mons. Fisichella è un commento teologico-pastorale di questa ultima enciclica.
Il libretto della Salvi è invece un messale domenicale per i ragazzi.
Si tratta di un testo semplice, vivace, ben disegnato, da cui anche noi abbiamo tratto alcuni spunti.

33-ALLA MESSA CON I BAMBINI
In parrocchia e ai campi estivi: esperienze non paragonabili?

 

di Tony Piccin
Vorrei provare a simulare la classica famigliola che va alla messa domenicale in parrocchia e parallelamente la stessa famiglia durante la messa di un qualsiasi incontro che ha a cuore la partecipazione dei più piccoli.
Riporteremo solo piccoli flash per non appesantire lasciando immaginare tutto il resto della celebrazione, ponendo l’attenzione in particolare ai piccoli e piccolissimi. Alterneremo brevissimi dialoghi e riflessioni libere per invitare chi legge a richiamare alla memoria il proprio vissuto.
Dai, prepariamoci per andare in chiesa, dice la mamma.
Dal tic-tac, interrompe Richy mostrando un certo agitato entusiasmo.
Il “tic-tac” sarebbe il campanile che ha quel grande orologio su in alto ma quel linguaggio infantile comprende tutto: anche chiesa, piazza, altri bambini, lumicino da accendere davanti alla statua della Madonna.
Ci sarà anche Marianna, interrompe Aurora?
Speriamo di sì, risponde la mamma.
Aurora ha quattro anni e spera di incontrare le amichette della scuola materna.
Dunque i bambini con i loro genitori si avviano e poi entrano in chiesa.
Le scene tra i banchi le lasciamo immaginare: su e giù, avanti e indietro, in piedi e seduti sull’inginocchiatoio; Aurora è agitata perché l’amichetta non c’è, i genitori di lei frequentano solo raramente.
La mamma estrae dalla borsetta libretti e pennarelli per disegnare in modo da occupare in qualche modo i piccoli. Il papà cerca di zittire il vivace trambusto. Il parroco dall’altare, tra il gentile e il seccato, invita chi ha figli piccoli a partecipare alla messa stando in sagrestia.
Attraverso l’altoparlante, dice, si può seguire ugualmente bene.
Mamma, noi non andiamo in sagrestia, vero? Lì non c’è nessuno, bisbiglia Aurora.
Se state buoni, no!
La presenza di Gesù nell’Eucaristia è discreta e silenziosa. Chissà se proprio Gesù tornasse a parlare forse non direbbe ancora: “Lasciate che i piccoli vengano a me, non glielo impedite perché di essi è il regno dei cieli”?
Già…la messa! Una specie di recita standardizzata, cerimoniosa, assai complicata, “per adulti”.
Giriamo il nostro obiettivo in altra direzione: siamo alla messa di una settimana estiva per famiglie (foto p.4).
C’è una doppia coperta sul pavimento davanti all’altare. Don Florio è già lì che aspetta, seduto a terra anche lui. Il disordine iniziale creato da tutti, piccoli e grandi, si sistema in fretta.
Naturalmente i più piccini in prima fila, poi gli altri sempre seduti con le gambe incrociate e viva via fino agli adulti seduti su normali sedie più comodamente.
Non serve che le mamme procurino libretti per disegnare perché ce n’è già uno bello e grande lì, davanti all’altare: un Gesù sorridente e un albero pieno di foglie con un po’ di fiori di carta marroncino, bruttini e secchi.
Richy, con il suo linguaggio incerto perché ha poco più di due anni esclama ripetutamente: Brrruto, brrruto, brrruto, brrruto!, mentre punta il suo ditino verso l’albero disegnato.
Eh, sì! È proprio brutto, dice il sacerdote, hai ragione ma vedremo di farlo diventare bello.
Intanto incominciamo a salutare, come fanno le persone educate, tutti assieme: Ciao, Gesù! Ciao Maria!, e l’indice del celebrante indica il tabernacolo e la statua della Vergine Maria.
Ora il segno della croce.
Tutti lo ripetono con la doppia formula:
Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Poi di nuovo portando la mano alla fronte, al cuore e alle due spalle:
Gesù sia nei miei pensieri, nel mio cuore e nelle mie azioni.
Beh! Questo è un linguaggio più comprensibile da tutti.
Sull’altare c’è un crocifisso in gesso alabastro tutto particolare: Gesù con le braccia distese come sulla croce ma senza chiodi alle mani e ai piedi. I bracci della croce sono ampi da sembrare ali, ossia crocifissione e risurrezione insieme.
La celebrazione continua con i suoi vari momenti e con la partecipazione attiva di tutti. All’atto penitenziale, mentre si chiede scusa di marachelle, scortesie, piccole e grandi cattiverie, via via si tolgono i fiori secchi del quadro per sostituirli poi, durante ogni preghiera dei fedeli, con un fiore vivace mentre ognuno racconta e ringrazia per le cose buone compiute.
La santa messa procede con tutte le sue parti sempre con l’attenzione di coinvolgere e interessare.
Solo come ultimo esempio, alla comunione, mentre c’è chi si accosta all’Eucaristia, ai piccoli viene distribuito qualche pezzetto di pane che viene mangiato con gusto. Eppure è lo stesso pane che magari rifiutano a tavola, qui però è condito di attenzioni, di amicizia, di simpatica comunione, di vera eucaristia (= rendimento di grazie) a Dio e ai fratelli.
Queste celebrazioni di certo non hanno tanta solennità ma sono vivaci, gradite anche dai piccoli, partecipate e lasciano messaggi profondi che non sempre vengono recepiti nelle messe in parrocchia.
E poi “buon pranzo” o “buona cena” secondo l’ora perché la fede, la fratellanza e l’amore devono continuare ad essere celebrati giorno e notte in tutti i gesti quotidiani.
Non è possibile certo celebrare così ogni domenica, ma qualche volta bisognerebbe provarci.
segninuovi@alice.it

 

34-QUESTIONE DI SOLDI
A malincuore, siamo costretti a rivedere il contributo annuale per la rivista

 

Sono quasi quindici anni che il contributo liberale minimo che suggeriamo a ci sostiene è fermo a 10 euro, Per l’esattezza, nel 1999 era-no 20 mila lire.
Forse era tanto per allora, forse è poco per oggi, con la rivista a colori e quattro numeri l’anno.
Sono questi due punti cui non vorremmo rinunciare e per questo vi chiediamo, se riuscite, di donarci almeno 15 euro l’anno.
Lo potete fare in tanti modi: da quello più semplice utilizzando il bollettino postale allegato alle rivista, al bonifico bancario (codice IBAN IT39 O076 0101 0000 0003 6690 287), al pagamento con carta di credito tramite il circuito PayPal. In questo caso occorre accedere al sito (www.gruppifamiglia.it) e selezionare nella home page, la voce Sostienici.
Grazie di cuore,
Noris Bottin, presidente dell’associazione F&F

 

35- LA SEGRETERIA DEI GF IN CALABRIA, A FINE AGOSTO
Testimoni del Padre misericordioso, per risvegliare nelle nostre parrocchie la “voglia di famiglia

 

In coda al campo famiglie di Nocera Marina (17-24 agosto) si è svolta la segreteria del Collegamento dei Gruppi Famiglia, grazie alla disponibilità di alcune coppie di Lamezia Terme e di Cosenza.
È la prima volta che ci si incontra così lontani dai luoghi dove l'esperienza dei gruppi famiglia è nata, ossia il Pie-monte e Veneto.
Non ce ne voglia Garibaldi, ma questa è tutta un'altra storia.
Sì perché, contagiati dalla vitalità e dall'entusiasmo dei calabresi, i gruppi famiglia hanno realizzato per il secondo anno consecutivo una settimana estiva a Nocera Marina, con partecipazioni da tutta Italia: Veneto, Campania e Calabria ovviamente.
Al coraggio e alla passione di questi amici dobbiamo un grazie, per aver raccolto la sfida di offrire a tutte le famiglie la possibilità di camminare insieme, condividere esperienze e valori, alla sequela di Cristo.
L'occasione di quest'incontro è stata importante per condividere i cammini e le idee delle varie realtà dei gruppi, nonché per scambiare riflessioni sulle tematiche del prossimo Sinodo dei Vescovi sulla famiglia.
È stato un appuntamento per mettersi in ascolto reciprocamente, per contribuire a costruire quelle comunità che sono le parrocchie, mettendo a fuoco le molteplici necessità delle famiglie.
Oggi più che mai sentirsi uniti come famiglie nell'affrontare il quotidiano alla luce della Parola ci sembra una vera e propria sfida.
È una sfida che chiede a noi cristiani di mostrare quanto il Vangelo sia “fattibile” nella storia, quanto con l'aiuto di Dio sia possibile fare comunità e testimoniare nella Chiesa e nel mondo il volto di quel Padre misericordioso della parabola di Luca.
Antonella e Renato Durante

 

36-PER CONCLUDERE
Sequenza per la solennità del Corpus Domini

 

Ecco il pane degli angeli,
pane dei pellegrini,
vero pane dei figli:
non dev'essere gettato.
Con i simboli è annunziato,
in Isacco dato a morte,
nell'agnello della Pasqua,
nella manna data ai padri.
Buon Pastore,
vero pane,
o Gesù, pietà di noi;
nutrici e difendici,
portaci ai beni eterni
nella terra dei viventi.
Tu che tutto sai e puoi,
che ci nutri sulla terra,
conduci i tuoi fratelli
alla tavola del cielo,
nella gioia dei tuoi santi.
Amen.

 

GF83-EXTRA

A-EUCARISTIA E FAMIGLIA
Ripercorrere la Santa Messa partendo dalla nostra esperienza di coppia e di famiglia (versione integrale)

di Franco Rosada
La santa messa è per definizione “rendimento di grazie” ma in essa sono contenute tante altre espressioni della vita relazionale.
Si incomincia con il saluto verso il Signore: il segno di croce entrando in chiesa fatto con l’acqua benedetta, a cui risponde, a inizio messa, il saluto del sacerdote.
Dirsi ciao o buongiorno ogni mattina, darsi un bacio, non uscire di casa senza salutarsi: ecco come il saluto va tradotto nella vita della famiglia. Uscire di casa sbattendo la porta non è un buon saluto, tenere il broncio neanche.
Si prosegue con l’atto penitenziale, il riconoscerci peccatori, non solo davanti a Dio ma anche nei confronti dei fratelli.
Chiedere scusa, secondo papa Francesco, è uno degli elementi base su cui si regge il matrimonio, un chiedere scusa incondizionato “per mia grandissima colpa”, gli altri possono avere una parte di torto ma io incomincio a chiedere scusa.
Dio ci perdona: “Dio onnipotente perdoni i nostri peccati”; noi siamo capaci di perdonare, sappiamo accogliere le scuse che l’altro ci porge, riconoscendo la nostra parte di torto?
E siamo al Gloria. Qui siamo chiamati a lodare Dio e la Trinità intera.
Come stiamo a riconoscimento dei meriti dell’altro? Gli/le ricordiamo solo i difetti o sappiamo anche dire “che bravo!”, “senza di te non ce l’avrei fatta!”? Rimproveriamo solo i nostri figli o sappiamo incoraggiarli, facendo loro capire che stiamo dalla loro parte?
La colletta passa per lo più inosservata. Il mio vecchio parroco la riportava sul foglietto che stampava in proprio ogni domenica e ci invitava a recitarla insieme a lui.
Questa è una preghiera che conclude i riti di introduzione e ci apre ai momenti successivi. Si tratta di una preghiera volutamente generica, ma radicata nel tema delle letture del giorno (ogni giorno ha una sua colletta). Al contrario della preghiera dei fedeli in cui esprimiamo i nostri bisogni, anche materiali, il suo contenuto è esclusivamente spirituale è un invito a guardare alle “cose del cielo”.
Anche noi preghiamo: per il coniuge, per i nostri figli, per i nostri cari, per gli altri; quanto è presente, nel nostro pregare, la dimensione spirituale? Signore fa che cresca “in sapienza, età e grazia”, che non perda la fede, che faccia battezzare il nipotino, che sappia ritrovare la strada per tornare a Te…
Inizia ora la Liturgia della Parola: prima e seconda lettura, Vangelo, omelia.
In questa prima Tavola del banchetto eucaristico al centro c’è soprattutto l’ascolto.
Qui si apre, per la coppia e la famiglia, lo spazio per un argomento fondamentale: quanto sono capace di ascoltare coloro che mi stanno intorno, mi vogliono bene?
So ascoltare o non vedo l’ora che l’altro taccia per parlare a mia volta? Oppure, peggio, lo interrompo, gli do sulla voce?
Come a messa, nel corso delle letture, ci distraiamo, così nell’ascolto dell’altro sovente la nostra mente vaga altrove. Cosa diceva il Vangelo? Cosa ha detto il sacerdote nell’omelia? Bho! Usciti da messa non ce ne ricordiamo più. Ma mentre il Signore ha pazienza l’altro che ci parla forse no: Te l’avevo detto! Non mi stai mai ad ascoltare!
Poi ci sono le situazioni in cui vorremmo ascoltare ma l’altro non parla: p.e. i nostri figli adolescenti, la difficoltà ad estorcere loro qualcosa che vada al di là di un Sì o un No.
Dio ci parla sempre, apriamo il vangelo alla liturgia del giorno e qualcosa troveremo.
C’è ancora a mio avviso, una considerazione: dare il giusto peso a quello che l’altro mi dice. Partiamo dalla Parola di Dio: non si proclama “è Parola di Dio” ma solo “Parola di Dio”.
È una sottile distinzione: significa che quello che abbiamo ascoltato contiene sì il pensiero di Dio ma questo è segnato dal limite del redattore, da colui che fisicamente l’ha scritto: un uomo, influenzato dalla cultura del suo tempo e dalla sua esperienza.
Se la liturgia fa questa distinzione perché non dovremmo farla anche noi nei confronti dell’altro? Sono tutte vere quelle parole terribili che mi dice quando litighiamo o sono soprattutto espressione della sua rabbia, del suo rancore, della sua gelosia?
Oppure: anche l’altro sbaglia, anche l’amica del cuore può non dare il suggerimento giusto, aver frainteso. Serve fare discernimento. Se anche la Parola di Dio non va presa alla lettera figuriamoci le parole degli uomini!
La Liturgia della Parola termina con il Credo e la preghiera dei fedeli.
Il Credo è una bella sintesi di quella che è la fede cristiana – di tutti cristiani – poiché è stato definito prima degli scismi e delle divisioni che conosciamo.
Ecco. In che modo potremmo fare altrettanto della nostra realtà di famiglia? Qual è la sintesi migliore? L’amore, direte voi, ed è vero.
Ma forse vale la pena riflettere su che cosa vuol dire amore. Per Gesù suona così: “amatevi come io vi ho amato”. Serve allora conoscere meglio Gesù. Il suo non è un amore caramelloso, né un amore egoistico o un amore basato sullo scambio – io amo te, tu ami me – ma un amore GRATIS.
Tutto ciò che è gratis, per il mondo, o non vale niente o nasconde una fregatura. Gratis vuol dire senza contraccambio. Gesù ama e basta. Fino a dare la sua vita per me che sono peccatore, cioè che faccio molta fatica ad amare.
Se il matrimonio è un sacramento è perché amare tutta la vita è un bell’impegno, serve più di un aiutino, e questo è la sua Grazia.
Il nostro amore, per quanto bello e grande, è segnato dal limite, dalla fragilità del nostro essere creature. Godiamo del nostro amore e non giudichiamo chi non ce la fa, cerchiamo invece di aiutarlo.
La preghiera dei fedeli presenta, in modo concreto, quali sono i nostri bisogni, le nostre necessità, i nostri desideri. Poco praticata, perché molto impegnativa nella sua preparazione, è la preghiera dei fedeli spontanea, quella che si fa p.e. nella messa ai campi estivi.
Ai quando ero giovane studente la mattina, prima dell’inizio delle lezioni, si passava a salutare il Signore e allora si pregava: fa che non m’interroghi! Fa che il compito in classe vada bene! Fa che XX si accorga di me!
Non credo che, in generale, le cose siano cambiate molto: preghiamo quando ne abbiamo bisogno, quando non sappiamo più a quale “santo” votarci, quando “affoghiamo”.
La preghiera vera dovrebbe essere: “parla Signore, il tuo servo ti ascolta”. Eppure, restando alla Bibbia, se apriamo il libro dei Salmi troviamo tante preghiere simile alle nostre. In cosa differiscono? Nel finale!
L’orante ringrazia Dio che è venuto in suo soccorso. Forse una preghiera che dovremmo sempre fare è questa “Signore, aiuta la mia incredulità”. Quello che a noi manca, rispetto al salmista è la fede, la certezza che Dio interviene, non per esaudire i nostri desideri, ma per donarci ciò di cui abbiamo veramente bisogno.
Inizia a questo punto la seconda Tavola del banchetto eucaristico.
Si inizia con l’offertorio in cui vengono preparate le offerte per il sacrifico eucaristico.
Trovo molto bello quando le offerte vengono portate all’altare dai fedeli, ancora più bello quando sono i bambini che portano i disegni che hanno fatto nella prima parte della messa o i loro giocattoli.
Che cosa offriamo? Il pane e il vino. Il pane ci serve per vivere, il vino ci serve per far festa, per stare insieme, per fare comunità, chiesa.
Personalmente cosa abbiamo da offrire? Tutto e niente. Tutta la nostra vita, la nostra famiglia, le cose che vanno e quelle che non vanno, le nostre gioie e le nostre preoccupazioni. Niente se pensiamo a quello che il Signore sta per offrire a noi, il suo corpo, la possibilità di “condividere” la sua divinità.
Possibile? Possibilissimo! C’è una preghiera che dice sotto voce il sacerdote quando versa qualche goccia di acqua nel vino: “questo sia segno della nostra unione con la vita divina di colui che ha voluto assumere la nostra natura umana”. Più chiaro di così!
Durante l’offertorio si raccolgono anche le offerte per la parrocchia o per altre particolari iniziative. Questo apre una riflessione sull’elemosina, sulla nostra attenzione ai bisogni materiali degli altri. Nell’Islam l’elemosina è uno dei cinque pilastri della pratica religiosa, quando si fa festa un piatto è sempre destinato ai poveri (si faceva così un tempo anche nelle nostre campagne). Educare all’elemosina, a donare qualcosa di nostro agli altri, non ciò che non ci serve più ma qualcosa che ci sta a cuore, può essere un ottimo antidoto all’egoismo dilagante. È aprire il nostro cuore alla gratuità in un mondo in cui tutto è monetizzato.
Siamo al Prefazio, la preghiera che precede il Santus.
Se non ci è chiaro perché l’eucaristia è “rendimento di grazie” (derivata dall’analoga parola in greco) leggiamo l’inizio del prefazio: “È veramente cosa buona e giusta… renderti grazie…”
Renderti grazie di che? Di mio figlio che se ne andato di casa? Che si droga? Che convive con una donnaccia? Di mio marito che non mi guarda più, come se non esistessi? Che non ha voglia di lavorare? Che spreca quello che guadagna in sala corse? Di mia moglie che ha un male incurabile, di mio figlio handicappato?
Si, nonostante tutto questo ti rendiamo grazie, anche quando c’è un funerale. Questo è il colmo, rendere grazie per la scomparsa di una persona cara!
Qui, meglio che negli altri casi, cogliamo il limite della nostra fede. È morto, tutto è finito! Ma siamo cristiani o pagani? Con la morte finisce tutto o inizia tutto?
Abbiamo bisogno di conversione, di riuscire a guardare le cose con gli occhi di Dio e non con quelli di questo mondo.
Con il canto del Santus entriamo nel cuore della preghiera eucaristica.
Non c’è una solo preghiera eucaristica, ce ne sono, nel messale che ho sottomano, quattro: di solito sento recitare la seconda o la terza.
Il cuore dei questa preghiera è la consacrazione vera e propria “questo è il mio corpo… questo è il mio sangue”.
Quel pane e quel vino, dunque, diventano il corpo e il sangue di Gesù Cristo.
Allora possiamo avere due atteggiamenti: è una bufala, quel pane resta pane, idem per il vino, oppure, anche se non capiamo fino in fondo, lì c’è davvero Gesù.
L’abitudine, una certa banalizzazione del rito, non ci fa cogliere questo fino in fondo.
Rimpiango, a volte, il mancato uso del campanello, croce e delizia dei chierichetti, che era comunque in grado di destare l’attenzione.
Il rito di Pio V (quella che era la messa in latino) aveva in sé tutta una sacralità che manca sovente al nuovo rito. Ecco: sacralità, sacro. Cosa vuol dire sacro? Separato, altro, diverso. Dio ha questa caratteristica di alterità, ma un Dio che si incarna è ancora un Dio “lontano” dall’uomo?
Incredibilmente la categoria del sacro la applichiamo anche alle cose, alle persone. Pensiamo p.e. alla retorica legata alla Patria, al sacro suolo da difendere dallo straniero. Anche in famiglia corriamo il rischio di sacralizzare l’altro: non disturbarlo, ha lavorato tutto il giorno! Cosa ti ha detto papà? Ubbidisci! Oppure di dissacrarlo: non c’è niente di peggio di quando un idolo (si chiami Zeus o Stalin o nostro marito) cade dal piedistallo! Quando scopriamo che la persona che avevano accanto, e che abbiamo mitizzato, si rivela in tutta la sua miseria!
Preferisco quindi un'altra categoria: quella di santo. Il Dio d’Israele è il tre volte Santo, i primi cristiani si chiamavano vicendevolmente santi, tutti siamo chiamati alla santità. Noi siamo chiamati a santificare nostro marito, nostra moglie, i nostri figli. Siamo chiamati a farli diventare migliori, non solo a livello comportamentale, intellettuale, ma soprattutto spirituale.
Diciamolo: la messa in latino non si capiva e questo aumentava l’alterità del rito, la messa il volgare la capiamo bene, al punto di banalizzarla, al punto da ignorare la profondità delle sue preghiere.
Anche l’altro può essere banalizzato: dice sempre le stesse cose, sembra una radio libera, e così non cogliamo quello che davvero l’altro ci vuole dire.
Facciamo con Gesù, né più né meno, quello che facciamo con gli altri: sappiamo già cosa ci vogliono dire in anticipo, e non è vero! Noi abbiamo fatto almeno una decina di volte la Lectio sul cieco Bartimeo e ogni volta abbiamo scoperto che aveva sempre qualcosa di nuovo da dirci.
Saltando un po’ arriviamo al Padre nostro.
Si può scrivere un trattato su questa preghiera; mi limito ad un passaggio: “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo…”.
Qui si apre un grande tema che ci tocca come coppia e come famiglia: quello del perdono.
Siamo limitati e sovente facciamo pesare i nostri limiti: essere bruschi, scortesi, rispondere male è molto più facile che controllarsi, dominare il nostro malessere interiore. L’altro diventa sovente il parafulmine del nostro malessere interiore.
Come tutti i parafulmini, quando la scarica che arriva è troppo forte, si rompe. E si litiga, e si rinfaccia all’altro tutto quello che si è dovuto ingoiare.
Seguiamo allora i suggerimento di papa Francesco: “La ricetta per un matrimonio felice? Non finire la giornata senza fare la pace. La pace si rifà ogni giorno in famiglia!”
In questa prospettiva lo scambio della pace dopo il Padre nostro ci sta a pennello.
Se c’è qualcosa di anonimo è proprio questo momento liturgico. Si da la mano a persone che non si conoscono, ci da fastidio se qualcuno si muove dal proprio banco per andare a stringere la mano ad un amico lontano, e poi il rito incalza.
Eppure, se abbiamo qualcosa contro nostro fratello e non gli chiediamo scusa come possiamo fare la comunione, come possiamo essere in comunione?
La comunione è una cosa seria, a cui accostarci solo se ci sentiamo preparati, con il cuore in pace con Dio e con il prossimo. Non per niente preghiamo prima: “O Signore, non son degno…”. Oggi mi sembra tanto un self-service, a cui accedono tutti, perché ora si fa così.
Se è una cosa seria, bisogna accostarsi ad essa in modo serio, non chiacchierando, non ridacchiando, col naso per aria, scomposti, se non ci si riesce è meglio lasciar perdere. E questo lo dobbiamo re-insegnare perché mi sembra che si sia disimparato.
Ma ci rendiamo conto: riceviamo il corpo di Cristo, non solo un pezzo di pane! Partecipiamo della sua divinità! Il Signore non si offende se noi lo riceviamo impreparati ma il fatto è che non ci serve a niente, non ci apre alla conversione.
Dopo la comunione ci dovrebbe essere un momento di silenzio, cosa abbastanza difficile. Alcuni, proprio per l’incalzare del rito, si fermano dopo messa e fanno un momento di adorazione. Queste persone hanno davvero capito cos’hanno ricevuto.
Ci sono notizie, belle e brutte, che ci piombano addosso all’improvviso: è naturale reagire d’istinto ma poi serve fare silenzio, capire davvero il valore della notizia, saper lodare o invocare aiuto.
La messa termina con i riti di congedo: la benedizione e la missione.
Dio ci benedice, dice bene di noi, e noi cosa diciamo nei confronti degli altri? Sempre bene o anche male? Mormoriamo dietro il nostro prossimo? In famiglia taciamo ma ci teniamo il rospo dentro? È difficile fare come Dio che dice sempre bene di noi, anche quando siamo lontani da lui, perché confida nella nostra conversione, ma possiamo provarci: un atteggiamento positivo rende comunque più semplici i rapporti.
Adesso “la messa è finita. Andate in pace”. Davvero è proprio finita o è appena incominciata? Se per noi gli obblighi con Dio sono finiti, almeno per una settimana, è davvero finita, ma non bene: abbiamo buttato via un’ora del nostro tempo.
Adesso invece si tratta di vivere quello che abbiamo ascoltato, mettere a frutto ciò che abbiamo ricevuto: inizia la missione. Una missione segnata da una parola breve ma meravigliosa: PACE. Siamo chiamati a portare la pace (che è diversa dall’assenza di guerra) là dove viviamo, a casa, scuola, ufficio, lavoro.
Siamo chiamati a creare un mondo in armonia con Dio. Mission impossible? Se contiamo solo su di noi, sulle nostre forze, sulla nostra buona volontà, sì, se contiamo sulla grazia del Signore qualcosa possiamo fare, al resto ci penserà Lui.

 

B-È COME ANDARE AD UNA FESTA
Oggi è come se fosse l’anniversario di matrimonio dei nonni!

 

Negli incontri dei nostri gruppi, come nelle settimane estive, capita spesso di sentire esprimere da parte di qualche genitore, la difficoltà della partecipazione alla Messa domenicale con i figli piccoli, perché disturbano. E, se ci pensiamo bene, tutti noi abbiamo provato disagio, almeno una volta, quando i nostri figli continuavano a salire e scendere dalle panche, volevano accendere la candelina all’altare della Madonna, oppure uscivano dalla chiesa, costringendoci ad abbandonare la Messa nel momento centrale, lasciandoci poi nel dubbio se avesse valore un’Eucaristia vissuta in quel modo.
Ragionando in questo modo, forse non ci siamo mai accorti che diamo all’Eucaristia solo un valore di riti, di gesti, che però rischiano di rimanere vuoti.
In questi ultimi anni, durante il cammino di accompagnamento dei nostri figli alla loro Prima Comunione abbiamo trovato un libretto molto simpatico che aiuta i bambini a capire il vero significato dell’ “andare a Messa”, poiché la paragona da una festa, a un anniversario importante in famiglia, quando parenti e amici sono invitati e attesi a casa dei nonni; allo stesso modo il suono della campana ci ricorda che siamo invitati e attesi nella casa di Gesù e così, ogni momento dell’Eucarestia ci rimanda ai vari momenti e passaggi di una festa in famiglia.
Arrivati a casa dei nonni, ci salutiamo con gioia, felici di incontrarci e dimenticando i litigi che possono esserci stati tra parenti, perché questo è un momento di gioia, così anche il sacerdote, che ci accoglie alla festa in nome di Gesù, ci invita a chiedere perdono a Dio e ai fratelli.
I nonni sono contenti di accogliere i loro ospiti e lo dimostrano con le cose belle che hanno preparato per loro e di questo li ringraziamo; anche il canto del Gloria esprime la nostra riconoscenza per la bontà e la misericordia di Dio.
Ai nonni abbiamo tante cose da raccontare, vogliono sapere come va la scuola, com’è andata la partita di basket o il saggio di ginnastica, ma la cosa più bella è ascoltarli quando ci raccontano di loro: abbiamo tanto da imparare e noi li ascoltiamo con attenzione! Nella Liturgia della Parola è Dio che ci parla, ci racconta la storia della salvezza iniziata nell’Antico Testamento; questa Parola diventa Parola Viva quando nel Vangelo ascoltiamo quello che Gesù ha detto e ha fatto: abbiamo tanto da imparare da Gesù, è importante quindi ascoltarlo con attenzione!
Per esprimere il nostro affetto e la nostra gratitudine offriamo ai festeggiati dei regali, che loro accolgono con gioia. Celebrare la Messa significa dire “grazie” a Dio per tutti i doni del suo amore. L’amore esige gesti concreti, e poiché amare significa donare, i doni che portiamo all’altare al momento dell’offertorio sono il segno visibile dei nostri sentimenti di gratitudine.
È ora di mettersi a tavola! Ora i nonni ci ricordano le tappe importanti della loro vita. Il ricordo di quei fatti è così forte che essi li rivivono come se avvenissero in quel momento!
Anche nella Messa, prima di accostarci alla mensa, il sacerdote ci ricorda il momento più importante della vita di Gesù: l’Ultima Cena con gli apostoli. Nella consacrazione il sacerdote ripete le stesse parole di Gesù ed è proprio in quel momento che il pane e il vino diventano il Corpo e il Sangue di Gesù: Gesù è presente vivo sull’altare!
Ascoltare il racconto delle tappe più importanti della vita dei nonni ci fa sentire una famiglia unita.

Anche Gesù ci rende fratelli e figli dello stesso Padre, ci abbracciamo con gioia e recitiamo insieme la preghiera che Gesù stesso ci ha insegnato: il Padre nostro.
In una bella festa in famiglia non può mancare la condivisione del cibo, che ci fa sentire uniti.
Terminato il pranzo, chiacchieriamo ancora un po’, infine ci salutiamo e ciascuno ritorna a casa, ma l’amicizia e l’affetto continuano tutti i giorni.
Mangiare alla tavola di Gesù è l’impegno a essere una famiglia unita: egli si è trasformato in cibo donato per noi e noi diventiamo dono per gli altri. Gesù è venuto nel nostro cuore e lo ringraziamo per averci invitati alla sua festa. Il sacerdote ci dà la benedizione, ci salutiamo e torniamo a casa: sappiamo che la Messa continua durante tutta la settimana nella nostra vita quotidiana.
Se impariamo a vivere la celebrazione Eucaristica con questi sentimenti di invitati alla Festa, con la gioia di ritrovarci con gli amici e i parenti, sicuri di venir perdonati per poter condividere la Parola e il Pane di vita vera, allora anche i nostri bambini un po’ chiassosi, saranno segno di gioia e gratitudine verso chi ci invita alla sua mensa.
Ernesta e Gianprimo

 

C-ANDARE A MESSA CON UN FIGLIO DISABILE
E pregare per il più grande che non ci va più

 

Partecipare alla Messa domenicale, per noi è diventata veramente un’impresa, se si pensa alla classica idea di andare insieme: padre, madre e figli e sedersi allo stesso banco.
Quando la domenica siamo a casa, e questo succede per una metà delle domeniche in un anno, cerchiamo di andare in chiesa con il figlio disabile di 22 anni, affetto da autismo ed epilettico.
Ma la sua capacità di attenzione è pressoché nulla e l’iperattività costringe mio marito soprattutto a passeggiate all’interno e fuori della chiesa, che per fortuna è molto grande. Purtroppo questo ci impedisce di seguire come si deve e come si vorrebbe, le varie fasi dell’Eucarestia, diciamo che ci siamo, punto.
Durante lo svolgimento può capitare che si metta a battere le mani, a vocalizzare, oppure batte i piedi per terra con forza. Questo naturalmente attira l’attenzione dei fedeli, che per fortuna ormai hanno imparato a conoscerlo, e non ci fanno più tanto caso. Anche accostarsi alla comunione, non è sempre agevole, bisogna stare attenti che non dia pacche sulle spalle a chi sta di fronte in coda, oppure che faccia inciampare qualche anziano.
Per fortuna, il nostro parroco progettando la chiesa, ha previsto una cappella feriale, divisa da una grande parete in vetro, dalla chiesa principale, ma con altoparlanti. In questo modo sia noi che abbiamo il figlio disabile, sia le famiglie con bimbi piccoli, che si sa, sono sempre un po’ rumorosi, possono seguire la Messa, senza disturbare più di tanto l’assemblea.
La partecipazione alla Messa è per noi sempre comunque fonte di gioia e di ricarica , per la settimana lavorativa che ci attende.
Un capitolo a parte riguarda la partecipazione all’Eucarestia nell’altra metà dell’anno, quando si è in montagna, o in vacanza o via con il camper.
In questo caso alla Messa riesco ad andarci solo io, e prego per tutta la famiglia, anche per il figlio primogenito, che se fino a pochi anni fa, frequentava oratorio, e faceva l’animatore, ora a Messa non ci va più.
So che nel profondo del suo cuore crede in Dio e conosce condivide il Vangelo di Gesù e il Suo messaggio. Sta solo attraversando quella fase della vita in cui si contesta tutto e si vuole cambiare tutto, soprattutto non sente suoi i riti e le liturgie.
Passerà ne sono sicura, tornerà, se Dio vuole, magari i giovani, come lui, porteranno invece una ventata di rinnovamento all’interno della Chiesa; e aiuteranno tutti ad stare un po’ di più al passo con i tempi moderni e al loro linguaggio comunicativo.
Un messaggio importante di questo sentimento in tal senso, ce l’ha dato ; quando ha partecipato insieme a noi ad un viaggio – pellegrinaggio in Israele - Giordania, due anni fa. E’ stato per noi genitori una grande gioia l’averlo insieme anche se già ventenne.
Marianna

 

D-EUCARISTIA E FAMIGLIA
"L'attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore" Osea 2,16

 

Di Maria Rosa e Franco Fauda

 

INTRODUZIONE

Che significato ha per molti la domenica? È il giorno del riposo o dell'hobby, a volte più stancante del lavoro quotidiano. La società, poi, propone od obbliga al lavoro festivo. In questo modo stiamo svalutando la domenica come festa e giorno del riposo cristiano.

Il Giorno del Signore è vissuto come tale da pochi, anche molti che vivono valori evangelici non vanno a Messa e la loro preghiera si riduce alla domanda nei momenti di necessità e di bisogno.

Non si ricordano più le orazioni né le preghiere del buon cristiano e l'accensione di una candela votiva è uno dei pochi momenti di spiritualità all'interno di una famiglia.

In mezzo a tanto sfacelo c'è però la scoperta e la ricerca di silenzio, di deserto.

 

Fare deserto

Di fronte a tanti che parlano a ruota libera senza dare niente, molti vogliono fare un po' di deserto e meditare. Che cosa vuoi dire fare deserto?

Il deserto è un luogo arido ma anche senza confusione, dove possiamo ritrovarci soli con il creato ed il Creatore. Questo deserto interiore lo possiamo fare anche ora se accogliamo l'invito di guardarci dentro, di entrare in sintonia col Signore.

Non dimentichiamo che in molte diocesi si iniziano scuole di preghiera, scuole di formazione permanente di coppia, scuole per genitori, tutte occasioni per ritrovarsi e mettersi a confronto, ma prima di tutto occasioni per farsi guidare da Dio.

In tutto questo fermento di rinascita dello spirito non dobbiamo dimenticare i mass media, le pubblicazioni di libri di preghiere, quel best seller mondiale per fortuna è ancora la Bibbia, le radio e televisioni cristiane.

 

La Messa domenicale

Fin da bambini siamo stati abituati ad andare a Messa la domenica, da adolescenti la sfida era un andare incontro alle novità del momento e non alle banalità del precetto, da adulti la voglia di stare col Signore può diventare un'occasione unica da non perdere.

Per quanto riguarda la fede, per molti adulti non c'è stato il passaggio dalla fase adolescenziale a quella adulta. Così sentiamo la Messa domenicale più come un’abitudine da subire che un’esperienza di stupore.

Questo succede per ogni singola abitudine:

- Svegliarsi al mattino con l'atteggiamento di chi dice: "ancora qui?", oppure di chi è capace di ringraziare Dio perché è vivo.

- Essere sani senza rendersene conto, oppure lodare Dio per questo dono.

- Far da mangiare o mangiare con aria di sufficienza, oppure pensare a quello che farebbe più piacere al marito o ai figli.

- Lavorare pensando alla settimana che deve in qualche modo finire, oppure vivendo il lavoro come dedizione agli altri.

Questa abitudine, se vissuta nello stupore, diventa un appuntamento d'amore irrinunciabile: il Signore dall'eternità mi aspetta a quell'ora.

Se viviamo la Messa con questo spirito saremo in grado di farla davvero diventare, in quanto azione di Cristo e del popolo di Dio, il centro di tutta la vita cristiana.

Se tutta la famiglia assiste alla stessa Messa ne può uscire rinnovata, capace di superare malumori e disaccordi, non per una miracolosa soluzione dei problemi, ma per una nuova determinazione a superare l'ostacolo, capire l'altro, la sua idea, la sua difficoltà, la sua diversità.

Ecco che la questione si chiarisce: la famiglia può vivere nel quotidiano come se partecipasse alla Messa?

 

L’ACCOGLIENZA

La celebrazione eucaristica inizia con l'accoglienza della famiglia da parte della comunità. Ogni volta che una nuova famiglia o una nuova persona appare nella nostra assemblea basterà uno sguardo di benevolenza, un sorriso, un gesto di stima e di riguardo per farli sentire a casa propria.

In famiglia l'accoglienza reciproca è vissuta in virtù del Battesimo e del Sacramento del Matrimonio che vede i vari familiari riuniti nell'amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

 

Sapere gestire i conflitti

Il fatto di essersi sposati "nel Signore" non esime, ne garantisce, dalle situazioni di conflittualità.

I doni sacramentali sono una garanzia dell'amore di Dio verso la coppia, un segno della sua fedeltà incrollabile, ma non liberano dalla fatica della costruzione della vita di coppia, anzi la richiedono come risposta esistenziale, come verifica costante e cammino dinamico di crescita e di spiritualità.

Vanno in questa direzione l'appello alla conversione permanente rivolto alla coppia, con l'esigenza del pentimento e del perdono reciproco, della riconciliazione e della capacità di ricominciare ogni volta, ogni giorno, con pazienza e perseveranza instancabili.

Perché si litiga?

- Per stanchezza, non accettiamo nemmeno di sentire le opinioni dell'altro.

- Per paura che l'altro ci voglia condurre dalla sua parte, al punto di erigere un muro di incomprensioni.

- Per delusione di non essere stati riconosciuti e rispettati nel lavoro svolto.

- Per il dispiacere di veder rincarare la dose, quando sappiamo benissimo di aver sbagliato.

- Per un'infinità di altri motivi che hanno alla base l’impossibilità di conoscere pienamente l’altro (cfr. Gen. 2, 23: “Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo...”).

Così talvolta non stiamo seduti uno di fianco all'altro ma di fronte, come due avversari.

Se invece ci indirizziamo a Dio insieme, siamo come due binari che vanno nella stessa direzione e sarà difficile entrare nell'ottica del conflitto perché viviamo in parallelo l'esperienza di amore di Dio.

Noi spesso siamo seduti di fronte guardando ognuno alla propria verità e pensando che solo la nostra sia quella giusta. Accogliere l'altro diventa allora saper accettare la sua verità, farla diventare la nostra, vederlo, nella fede, come fratello.

 

Accogliere gli altri

Terminiamo con alcuni brevi esempi di accoglienza quotidiana.

L'accoglienza del coniuge.

L'altro cerca in noi la pace, un “oasi nel deserto” dove poter deporre le tensioni di un mondo lavorativo sempre più disumano e stressante.

L'accoglienza al figlio.

Abbracciamolo come quando lo abbiamo stretto al petto appena nato, con trepidazione, con gioia sapendo accogliere insieme con lui anche i suoi problemi, i suoi successi o più frequentemente gli insuccessi.

L'accoglienza ai poveri.

Hanno il volto di giovani sbandati o di vecchi soli, sono la suocera pesante o la cognata indiscreta, la vicina invidiosa che vuole parlare male di chiunque.

L'accoglienza degli amici dei figli.

Sono chiassosi, pronti a distruggere con una pallonata le piantine appena fiorite, esperti nell'arte di disturbare e sporcare; pronti a malincuore a pulire oppure a fare qualsiasi gentilezza appena si sentono accettati.

Le altre forme di possibile accoglienza le lasciamo pensare e vivere a voi.

 

L'ASCOLTO DELLA PAROLA

"Ecco, come l'argilla è nelle mani del vasaio, così voi siete nelle mie mani" Geremia 18,6.

L'ascolto della parola è inscindibile dall'ascolto dell'altro, del nuovo, del diverso; vissuto in famiglia sapendo recepire le domande e sapendo modificarsi:

·       Empatia

·       Essere al posto dell'altro mentre ci parla, essere dalla parte dell'altro, senza occupare il suo spazio, senza sostituirsi all'altro.

Così in famiglia o tra amici ravvivano la loro intesa conversando e mettendosi a tavola insieme così Dio rinnova l'alleanza col suo popolo rivolgendogli la parola, dandogli l'opportunità di salvarsi.

La Parola è il Verbo che si è fatto carne, è Gesù stesso che viene ad abitare nella nostra casa.

La liturgia della parola insieme alla liturgia eucaristica sono le due modalità eminenti della presenza di Cristo, mensa della parola e mensa del corpo di Cristo.

Ci sono degli strumenti di interpretazione della Parola che ci aiutano a vivere alla luce del Vangelo: la Lectio Divina, la Revisione di Vita, ponendoci di fronte ai brani sacri con l'atteggiamento di chi si domanda "Che cosa ho vissuto di questo fino ad ora?".

Non dimentichiamo che il Vangelo è anche detto Buona Novella, cioè buona notizia, ripensando alla nostra gioia di fronte a qualche bella notizia, siamo proiettati nella gioia, Don Bosco diceva che non conosceva nessun santo musone.

Quindi la nostra vita riflette la gioia di Dio, è piena di risate, di allegria, di canti, di scherzi, di voglia di ritrovarsi nel Suo Amore e nel nostro.

Gesù stesso nell'incontro con i discepoli di Emmaus prima spiega le Scritture, poi si mette a tavola, pronunciando la benedizione, prende il pane, lo spezza e lo distribuisce.

San Paolo a Troade prima parla a lungo, tanto che un giovane cade da una casa e muore e lui lo risuscita, poi spezza il pane con l'assemblea.

 

La parola di Dio va condivisa con gli altri

Non si ha vita cristiana senza parola di Dio. La comunità, la famiglia, nasce dalla parola di Dio. Si diventa comunità, famiglia, solo accogliendo la parola di Dio.

Fino al 1200 non esistevano catechismi, c'erano solo la Bibbia e i commenti alla Bibbia.

La parola di Dio è Cristo vivente, Dio che cammina con noi. Parte da Dio, è proprietà di Dio.

S. Agostino: "La Parola di Dio è la lettera d'amore che Dio ha scritto personalmente ad ognuno di noi.". Bisogna leggerla con amore.

Senso della Bibbia. Dio che un giorno ha ispirato un uomo e finito tutto lì. No, Dio che continua d ispirare la parola, una ispirazione continua, oggi Dio parla a me e mi dice quelle parole, Se non le avesse ancora dette me le direbbe oggi per me.

Dio non ha creato l'uomo, una volta tanto tempo fa, Dio crea l'uomo tutti i giorni oggi.

La sua opera creatrice è continua, attuale, non finisce, non è vincolato a uno spazio tempo, è fuori dallo spazio tempo che noi pensiamo, capiamo.

Lo stesso vale per la Parola.

 

Cosa fa la parola?

Ci scopre. Noi due come possiamo essere Nudi uno di fronte all'altro?

Solo se siamo di fronte a Dio. Non è la nudità fisica, ma quella interna, psicologica, il dirsi tutto, senza riserve, è possibile solo se fato alla luce di Dio.

Il peccato non ha cambiato lo stato di Adamo e di Eva. Erano nudi anche prima, ma ha cambiato il loro modo di interpretare di porsi, di leggere le situazioni della vita.

Lo stesso succede oggi solo se leggiamo la nostra vita di fronte alla parola di Dio, riusciamo a capirla, e a comunicarla all'altro, altrimenti ci vergogniamo di noi stessi della nostra nudità e ci nascondiamo.

Ci scuote. Nella nostra vita abbiamo bisogno di scosse. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci dica: "Guarda che la strada è un'altra". Viviamo immersi nel mondo e inevitabilmente ne siamo condizionati.

I nostri propositi durano lo spazio di una giornata, poi come il seme della parabola viene il sole e seccano.

Ci mette in crisi. Ci salva. Per tornare alle immagini di prima. Dio fece delle tuniche di pelli e li diede all'uomo e alla donna.

Ci guarisce. Pensate a tutti quelli che Dio sana nel corpo e nello spirito. A tutti i miracoli che ogni giorno succedono. Ci rida la vista.

Abbiamo tanta cura dell’Ostia consacrata, però lasciamo che la parola di Dio si perda.

San Giovanni Crisostomo: "Non è possibile che uno si salvi se non attraverso la Parola di Dio".

 

L'OFFERTORIO

Ognuno offre agli altri familiari i suoi talenti, il frutto del suo lavoro e della sua fatica, in uno scambio vicendevole di doni.

Anche la preghiera è partecipazione attiva alla vita ed alla missione della Chiesa.

La preghiera è quindi l'espressione del compito sacerdotale della famiglia.

Si tratta di una preghiera fatta in comune genitori e figli insieme che cantano o salmodiano o recitano orazioni o il rosario o invocano la benedizione sul cibo, sui figli, sui doni che ci circondano (Familiaris consortio N 59-60; Direttorio di Pastorale familiare).

Anche durante la presentazione del pane e del vino "frutto della terra e del lavoro dell'uomo" c'è la lode e il ringraziamento a Dio, fatto da Gesù nell'ultima cena, per l'opera della salvezza che si va compiendo.

 

LA CONSACRAZIONE

"Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni e gli altri come io vi ho amati" (Gv 15,12)

Sull'altare, dopo l’offertorio, non c’è solo il pane e il vino, c’è anche quello che ciascuno dei fedeli ha offerto. C’è la fatica, il dubbio, il dolore, ma anche l'amore, la fedeltà, la gioia. Tutti questi doni attendono di essere trasformati dall’amore di Cristo, l’unico capace di una donazione totale senza riserve.

 

Accogliere gli altri e l’Altro

La consacrazione chiede di essere vissuta come una nuova Incarnazione, uno scendere di Dio in mezzo a noi, un momento che ci invita a sentirci infinitamente piccoli di fronte all'infinitamente grande.

Anche in famiglia sperimentiamo il nostro essere piccoli di fronte al progetto di Dio, per esempio se siamo colpiti da una malattia incurabile, se ci troviamo di fronte al dolore innocente, se inaspettatamente scopriamo di stare per diventare di nuovo genitori.

A volte il progetto di Dio non coincide col nostro, perché noi siamo miopi e non riusciamo a capire qual è realmente il nostro bene e perché questo bene, per essere colto, ha bisogno delle nostre fatiche, delle nostre sofferenze o delle nostre gioie.

Nella consacrazione il pane spezzato, il vino versato, sono il corpo di Cristo crocifisso, una croce che Egli ha portato per noi e che ci chiede di condividere con Lui.

Per Gesù la croce è stato il momento più autentico, perché il più libero. Anche noi siamo chiamati ad usare la nostra libertà per fare la Sua volontà, anche se non sempre ne comprendiamo il significato.

Nella consacrazione Gesù trasforma la materia del pane e del vino nel Suo corpo e nel Suo sangue. Per fare questo Gesù parte da quel poco, o da quel pochissimo, che noi gli abbiamo dato.

Gesù, nell’ultima cena, ha preso un pezzo di pane, scelto senza preferenze da tutto il pane del mondo, per trasformarlo e portarlo alla perfezione.

Gesù vuole prendere nelle sue mani tutta l'umanità, ciascuno di noi, ogni coppia, ogni famiglia per trasformarci e renderci “perfetti”.

Proviamo anche noi a prendere in mano ciò che abbiamo: la nostra vita, quella del coniuge, quella dei figli, con lo stesso spirito con cui Gesù ha preso in mano il pane.

Un pane che è stato spezzato, diviso per moltiplicare il dono, per costruire una giustizia nuova, fatta di amore e di benevolenza, di gioia e di misericordia.

La condivisione si vive ed impara in famiglia, la solidarietà si trasmette ai figli se i genitori sono capaci di spezzare la catena del consumismo fine a se stesso, se sono capaci di gioire con altri dei doni ricevuti, se sanno dividere qualcosa, non necessariamente un bene materiale, con chi non l'ha. Condividere è un modo concreto di vivere l’Eucaristia.

 

Il memoriale

Nella consacrazione la Chiesa ripete il gesto di Gesù nell’ultima cena invocando lo Spirito: "Manda il tuo Spirito a santificare i doni che ti offriamo, perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, che ci ha comandato di celebrare questi misteri…"

Questo comando si trasforma, per la Chiesa, in un memoriale; non è un semplice ricordo che con gli anni può sbiadire, ma un rito che ogni giorno si rinnova e trasforma “realmente” il pane e il vino nel suo sangue e nel suo corpo.

Il racconto dell’istituzione termina con la frase: “Fate questo in memoria di me”.

Possiamo cogliere in essa un accorato appello del Signore: “vi prego: mettete questo al primo posto. Potete tralasciare tutte le altre cose, ma fate questo gesto, ad ogni costo”.

Lasciamo da parte tante cose ma non l'Eucarestia!

Questo non è facile perché siamo immersi nel “fare” tante cose, come Marta siamo tentati di preoccuparci di molte cose, perché in fondo ciò ci appaga e gratifica e ci fa sentire quasi creatori.

Immersi nel “fare”, non abbiamo il tempo di guardare, ascoltare, vedere Dio che opera nella nostra vita, nel mondo, nella storia.

L'Eucaristia è opera “per eccellenza” di Dio, “culmine e fonte” della nostra vita cristiana.

Non riduciamo l’invito a “fare questo” al rito celebrativo, ma facciamolo diventare “vita” per la nostra vita, strumento per uscire da noi stessi ed “essere per”, come il pane spezzato, come il Suo corpo dato “per la vita del mondo” (Gv 6,51).

 

IL PADRE NOSTRO

II Padre Nostro è il modello di ogni preghiera, anzi la sintesi di tutto il vangelo.

Nella messa è posto tra la preghiera eucaristica e il rito della comunione, per chiedere che il Regno, già compiuto in Cristo morto e risorto, si compia anche in noi.

È una preghiera fatta insieme per pregare l'unico Padre, senza nulla togliere alla necessità della preghiera individuale. La necessità di avere un unico Padre ci rende fratelli nella Fede, con uguali dignità, identici diritti e doveri.

Nelle nostre famiglie spesso c'è un'inversione dei ruoli, si tende a far dirigere la famiglia non dal genitore ma dal figlio che viene quasi idolatrato e venerato nella sua "costretta unicità".

La famiglia che inverte i ruoli è diseducante e deviante, la famiglia che sa vivere i giusti ruoli è arricchente, sana e viva, porta con sé la speranza del domani.

Nel Padre Nostro ci sono sette domande che rivolgiamo al Padre.

Le prime tre chiedono la gloria di Dio, che Dio sia tutto in tutti, che si compia il suo regno che si realizzi pienamente il suo disegno di salvezza.

Le altre quattro riguardano la nostra vita, perché il regno di Dio coincide con la vita dell'uomo, e ci fanno chiedere pane e liberazione integrale.

 

Il pane

Per le nostre esigenze concedici il Pane quotidiano, che non è solo il pane come cibo del corpo, ma anche il pane che è Parola di Dio e cibo dell'anima.

 

I debiti

Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori: è indispensabile il perdono vicendevole per poter partecipare alla stessa mensa.

Anzi è indispensabile il perdono per non morire soffocati, per poter vivere.

Il perdono dato e ricevuto come il massimo del dono, come regalo più grande.

Il perdono tra noi coniugi e tra genitori e figli è possibile solo se abbiamo fatto in prima persona l'esperienza del perdono di Dio; anche e soprattutto se dopo ci accostiamo all'eucaristia.

Certo che i crescenti impegni pastorali di ogni parroco, la diminuzione del clero, la nostra ritrosia a farci guidare da qualcuno nel cammino di vita spirituale, le difficoltà di ordine psicologico tra sacerdote confessore e penitente non sono che una minima parte delle motivazioni per cui è in disuso questo sacramento.

Si cerca di fare in molte parrocchie una celebrazione penitenziale preparatoria ad una buona confessione, specialmente nei momenti forti (Avvento, Quaresima); la presenza di molti sacerdoti anche anziani ci permette di accedere a questo sacramento con la calma dovuta, con la consapevolezza di essere in molti bisognosi del medico Gesù.

È pur vero che la nostra società non ammette intrusione nel privato, ma è altrettanto vero che, a forza di perdonarci tutto, siamo così deviati che rischiamo di costruirci un Dio su misura a nostro uso e consumo, abbiamo perciò bisogno di sentirci dire "Ti siano rimessi i tuoi peccati"; certi che questa frase di prammatica ne cela altre dette dal Padre misericordioso: "mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi, uccidete il vitello grasso e andiamo a far festa".

Anche in famiglia dopo la riconciliazione si vive profondamente la festa, il piacere di ritrovarsi, la voglia di ridere.

 

La tentazione

Non ci indurre in tentazione: anche se si è parlato di modificare proprio questa frase, mi è cara perché spesse volte pregata e vissuta come richiesta di aiuto a non farci soccombere alla tentazione.

Frère Roger direbbe allontana da noi le tenebre del male. A Taizè si canta: "nella nostra oscurità attizza il fuoco che non si esaurisce mai, la tenebra non è più tenebra con Te, la notte come il giorno è luce".

O come si legge nel salmo 141,4: "Non lasciare che il mio cuore si pieghi al male e compia azioni inique con i peccatori".

 

Il male

Ma liberaci dal male: domandiamo di essere liberati dal potere del maligno (1 Gv 5, 19), che ostacola il regno di Dio, e dai mali spirituali e fisici, di cui è l'artefice.

In un mondo in cui non si crede più al demonio possiamo dire che questi trionfa in larga misura.

È opera del maligno la negazione del diavolo, del divisore, di colui che è stato capace per primo di rifiutare l'amore di Dio, che è stato capace di usare le nostre debolezze per allontanarci dal Suo amore, l'unico amore che salva.

 

LA COMUNIONE

II cibo che ci ristora e ci fortifica viene consumato insieme e cementa l'amore tra noi e Gesù, fino a ritrovarci in Lui e Lui in noi.

E' un’intimità affettiva che non si vergogna di entrare in un corpo corruttibile, in un'anima che ha fatto l'esperienza del peccato (Lui ci ha detto che è venuto per i malati e non per i sani).

Tra coniugi, tra genitori e figli, l'intimità dell'abbraccio è volersi dire e dare tutto l'amore possibile.

Il sentirsi abitati dall'amore dell'altro, come dall'amore di Dio che ha scelto il nostro corpo per farci suo santuario.

E’ l’esperienza di Maria che ha percepito nel suo corpo la presenza di Dio.

La mensa ci consente di vedere il mondo con gli occhi di Gesù, di vedere il nostro prossimo in comunione con noi, comunione come comune unione con tutti i familiari, sempre inseriti nello stesso amore tutti insieme per sempre.

La comunione eucaristica ha un carattere tutt'altro che intimistico e sentimentale.

Far comunione con il Signore crocifisso e risorto significa donarsi con Lui al Padre ed ai fratelli.

Unendoci a sé. Gesù Cristo ci unisce anche tra noi: l'eucaristia presuppone, rafforza e manifesta l'unità della Chiesa; esige l'unità della Fede e impegna a superare le divisioni contrarie alla carità.

La preghiera eucaristica si fa intercessione per il mondo, per i presenti e per gli assenti, per i vivi e per i defunti: "Ricongiungi a Te, Padre misericordioso, tutti i tuoi figli ovunque dispersi- Accogli nel tuo regno i nostri fratelli defunti..."

Tutti i sacramenti appartengono all'alleanza attuata da Dio in Cristo e comunicata nella Chiesa all'umanità.

Il battesimo e la confermazione costituiscono l'attuazione reale dell'alleanza inscritta nel cuore, indistruttibile, dono dell'amore unico del Signore.

Il mistero dell'eucarestia rappresenta la fonte e il vertice (fons et culmen) dell'alleanza escatologica realizzata da Cristo e in Cristo per la Chiesa: fonte perché ne è la ripresentazione perenne nella Chiesa da cui essa nasce ed è plasmata di continuo; vertice perché tutto il cammino dell'iniziazione e della vita cristiana converge ad essa.

La Chiesa fa l'eucarestia allo stesso modo in cui l'eucarestia fa la Chiesa, edificandola perennemente come comunità della nuova ed eterna alleanza nella storia.

La celebrazione eucaristica è la memoria attualizzante dell'alleanza pasquale: la ripropone come evento decisivo, fondando e modellando la Chiesa come comunità dell'alleanza messianica e chiamando i credenti a lasciarsi trasformare da essa.

 

LA MISSIONE

Ecco che l'esortazione sacerdotale diventa il primo mattone su cui fondare la vita di famiglia.

Andare è un verbo di movimento ed implica l'uscire da noi stessi dai nostri rifugi di comodo per andare verso il coniuge, il figlio, gli altri per annunciare una vita di pace, di felicità, di bontà, di buona novella, di voglia di annunciare il Vangelo non solo con le parole ma con i fatti, con la nostra dedizione, col nostro amore verso tutti.

L'invito missionario è rivolto a tutti perché ogni persona può e deve essere testimone di Cristo, colui che ha una trepidazione santa per aver visto Cristo Risorto.

Infondendo nel cuore la carità di Cristo e la speranza del regno di Dio l'eucaristia diventa la sorgente della missione del cristiano e della comunità ecclesiale.

Lo sciogliersi dell'assemblea è anche un invito: "Glorificate il Signore con la vostra vita. Andate in pace."

La messa si prolunga nelle strade -nelle case, nei luoghi di lavoro e del tempo libero.

Dobbiamo essere coscienti che colui che ha detto "Questo è il mio corpo" ha anche detto "Voi mi avete visto affamato e mi avete nutrito, assetato e mi avete dato da bere, nudo e mi avete vestito..."; quindi uscendo dalla chiesa non dobbiamo rientrare nei nostri schemi difensivi per non vedere e non soffrire, dobbiamo coinvolgerci fino in fondo nel più piccolo dei fratelli sapendo che quello non è altro che Cristo, miseramente travestito nei panni del lontano, dell'indifeso, del povero, del più povero tra i poveri, che nel nostro occidente opulente è spesso eliminato perché disturba.

Sia in modo indiretto non consentendone la vita, negandone l'ospitalità, sia in modo diretto eliminandolo fisicamente.

Pensiamo alle migliaia di feti abortiti- ogni giorno in Italia, siamo a 4.000 al dì, 140.000 l’anno.

Madre Teresa di Calcutta definisce l'aborto il più grande distruttore di pace.

Da ogni Messa dobbiamo uscire certi che noi siamo vivi ed in quanto tali dobbiamo difendere la vita in ogni sua forma.

Dobbiamo sfatare il mito di una vita di serie A, come se ci fossero diverse serie di qualità meno pregiata.

Cristo è morto e risorto per ognuno di noi. Lui non ha mai fatto la cernita dei migliori, ha voluto con sé dei pubblicani, dei pescatori, delle donne dal passato tormentato, ed all'ultimo ha promesso il regno di Dio ad un ladrone.

Quando il sacerdote ci invia dobbiamo sentire il mandato di Cristo che ci invita a testimoniarlo in ogni circostanza con i nostri mezzi, sapendo che quando questo succede è addirittura Dio che sorride.

Coloro che si sposano nel Signore sono degli eletti, in senso biblico, scelti da Dio e con i quali Dio stringe un'alleanza, chiamandoli alla missione.

E tale è la realtà della coppia cristiana: una comunità del Signore e della Chiesa, depositaria di un progetto salvifico di comunione e di amore, da proclamare al mondo intero, come inizio della nuova umanità inaugurata dal Risorto.

La missione è costitutiva del sacramento della coppia: sul piano dell'essere e sul piano dell'agire, dell'indicativo teologale e dell'imperativo etico.

Nessun momento del vissuto degli sposi si sottrae a questa identità di vocazione per la missione.

francomaria.fauda@libero.it