Foglio di collegamento tra Gruppi Famiglia
GF84 – settembre 2014
EUCARISTIA E FAMIGLIA
Chiesa come famiglia, famiglia
come comunità
1-LETTERE
ALLA RIVISTA
Eucaristia come rendimento di grazie
Com’è difficile dire grazie quando le cose non vanno bene!
Nell’eucaristia noi rendiamo grazie perché, attraverso la sua croce, Gesù
continua a liberarci dal male nell'attesa della vittoria finale.
La Messa è
"rendimento di grazie" ma, onestamente, non mi viene da ringraziare
Dio quando un figlio va male a scuola o è qualcuno in famiglia è ammalato. Cosa devo fare?
Tiziana
Risponde mons. Giancarlo Grandis,
vicario episcopale per la cultura della diocesi di Verona
Lei si chiede: come di fa a ringraziare Dio di fronte al male del mondo,
soprattutto di fronte alla sofferenza di persone innocenti? Perché Dio non
impedisce il male? Un Dio che permette il male è un Dio credibile?
Nella storia del pensiero umano, la presenza del dolore è sempre stata
utilizzata come un argomento contro Dio, contro la sua provvidenza, contro la
sua esistenza.
Si argomenta così: se Dio è amore e non toglie il male
significa che non è onnipotente, ma se è onnipotente e lascia che il male
dilaghi significa che non è buono. Dio, quindi, non sarebbe Dio.
Mi sembra che il suo modo di impostare la domanda risenta di questa
argomentazione che porta a mettere in dubbio la provvidenza di Dio. La
questione è certamente seria e di non facile soluzione. La via che ci indica la
fede per riuscire a penetrare un poco il mistero del male è Cristo stesso.
L'incarnazione del Figlio di Dio è storicamente motivata dalla presenza del
male nell'uomo. Egli infatti è venuto a togliere la
radice del male che consiste nel peccato. Il Battista così presenta Gesù al
mondo: "Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie
il peccato del mondo!" (Gv 1,29).
Gesù toglie il male non con un gesto di onnipotenza trionfante, come ci
aspetteremo, ma assumendo su di sé il peccato e le sofferenze del mondo con una
vittoria umile, quella della croce, che sembra un fallimento.
Ci troviamo di fronte a un mistero sconcertante che la fede ci addita come una
vittoria del bene e dell'amore sul male.
Nell’eucaristia noi rendiamo grazie perché attraverso la sua croce Gesù
continua a liberarci dal male nell'attesa della vittoria finale. Il male resta
ancora nella nostra esperienza come retaggio del peccato che però è già stato
vinto.
Sopportandolo siamo invitati a partecipare alle
sofferenza di Cristo, ma nella consapevolezza che un giorno saremo totalmente
liberati quando entreremo a far parte del regno di Dio. Come ci ha ricordato
recentemente papa Francesco "Guardando Gesù nella sua passione troviamo la
risposta divina al mistero del male, del dolore, della morte".
grandis.giancarlo@gmail.com
2-DIALOGO
TRA FAMIGLIE
Lavorare di domenica, ogni domenica
Nei primi tre secoli la domenica era giorno lavorativo
Ho una figlia grande
che ha trovato con fatica lavoro in un negozio che non chiude mai, neanche la
domenica.
Già andava poco a messa, ora non ci va più del tutto. Ma la domenica non era un
giorno di riposo?
Gianna
La domenica è “Il giorno del Signore” e risponde al comando
del Creatore “Il settimo giorno riposerai”: è il giorno dedicato alla preghiera
e ai fratelli.
Ognuna delle tre grandi religioni ha il proprio settimo giorno,
indipendentemente dalle leggi o consuetudini locali: in Italia, per secoli, la
domenica era sinonimo di riposo e ci siamo abituati alla partecipazione alla
Messa come precetto normale, spesso, però, privo di anima, di desiderio di
incontro, di gioia.
Oggi la società secolarizzata e consumistica detta le regole del gioco e la
domenica è diventata lavorativa per incrementare i guadagni dei gestori.
Se pensiamo ai nostri fratelli che, in tante parti del mondo, vanno a Messa pur
sapendo che forse saranno uccisi e bruciati è ben piccola cosa evitare di
andare a far spesa la domenica, ma molti cristiani non lo fanno.
Chi è obbligato a lavorare, perché dipendente, non ha scelta e dovrà imparare
che ogni giorno è “fatto dal Signore” e trovare momenti di preghiera nei giorni
feriali, partecipando alla Messa per scelta perché il Signore è lì che ci
aspetta ogni giorno.
Anna Lazzarini
3-EDITORIALE:
PARTECIPARE ALL’EUCARISTIA
Celebrare la Pasqua del Signore: ecco perché vale la pena partecipare alla
messa domenicale
di Franco Rosada
Questo numero è nato ispirandosi ad un campo estivo che, più di dieci anni fa,
avevano tenuto Maria Rosa e Franco Fauda.
Non avevo partecipato a quel campo ma, in compenso, mi erano rimaste le tracce
da loro preparate.
Alcune di queste sono state pubblicate sulla rivista tempo fa (GF 61-63) e mi
sono servite d’ispirazione quando voi lettori avete scelto come tema Eucaristia
e famiglia.
Le fonti usate
Non vi sono molti libri che trattano dell’argomento di questo numero,
prevalgono gli articoli.
Ho attinto quindi molto da Internet, da documenti della diocesi di Lucca e di
Trento, dal sito dei padri Sacramentini e da quello dell’associazione L’ora di
Gesù di Taranto, dalla Sacramentum caritatis di
Benedetto XVI.
Questo numero
Lavorando su questi documenti è nata l’organizzazione del numero con la
suddivisione dei vari momenti della Messa: il convenire, il perdono, l’ascolto,
l’offerta, la consacrazione, la comunione e la missione.
Come vedete, sono tutti temi che rimandano, direttamente o indirettamente, alle
nostre realtà di famiglie.
Il numero quindi, pur analizzando i vari momenti della liturgia, si sofferma
soprattutto su quanto questa si vive, o si dovrebbe vivere, concretamente in
ambito familiare.
La famiglia si rispecchia nell’eucaristia e ricava da essa la Grazia per essere
quella pensata nel disegno di Dio.
Andare a messa
Molte delle persone che conosciamo, anche se cristiane, partecipano solo
occasionalmente all’eucaristia. Se chiediamo loro il perché ci risponderanno
che non ne capiscono l’obbligo, che la trovano ripetitiva, noiosa, che dà loro
poco o niente.
È come se, in una relazione di coppia, non si capisse più perché si sta insieme
e si decidesse che è meglio separarsi.
Ma prima di un passo simile conviene capire il perché del malessere, farsi
aiutare, valutare le conseguenze.
Lo stesso accade per l’eucaristia: non sento più niente, non ci vado più.
Forse anche in questo caso conviene farsi aiutare a riscoprire il suo
significato pasquale, fondamento della nostra fede.
Ringraziamenti
Per questo numero un grazie particolare va, per le foto, a don Davide Pavanello, parroco di Sant’Anna in Torino, che le ha
autorizzate e alla ditta General Photo,
che le ha scattate; per i testi alla casa editrice Effatà
e alla professoressa Alessandra Casadei, dal cui libro: Tutto (o quasi) sulla
Messa, ho tratto diversi spunti.
Grazie infine a tutte le famiglie che hanno collaborato a questo numero per le
loro belle testimonianze.
4-DOMENICA:
FESTA PRIMORDIALE
Questo è il giorno del signore
Secondo la tradizione apostolica, che ha origine dallo
stesso giorno della risurrezione di Cristo, la Chiesa celebra il mistero
pasquale ogni otto giorni, in quello che si chiama giustamente “giorno del
Signore” o “domenica”.
In questo giorno, infatti, i fedeli devono riunirsi in assemblea per ascoltare
la parola di Dio e partecipare all’eucaristia e così far memoria della
passione, della risurrezione e della gloria del Signore Gesù e render grazie a
Dio, che li “ha rigenerati nella speranza viva per mezzo della risurrezione di
Gesù Cristo dai morti” (1Pt 1,3).
Per questo la domenica è la festa primordiale che deve essere proposta e
inculcata alla pietà dei fedeli, in modo che risulti anche giorno di gioia e di
riposo dal lavoro. Non le venga anteposta alcun'altra solennità che non sia di
grandissima importanza, perché la domenica è il fondamento e il nucleo di tutto
l'anno liturgico.
Sacrosanctum concilium,
n.106
5-LA
GIOIA DEL VANGELO
La Chiesa dev’essere il luogo della misericordia
gratuita
Mi piacerebbe dire a quelli che si sentono lontani da Dio e
dalla Chiesa, a quelli che sono timorosi e agli indifferenti: il Signore chiama
anche te ad essere parte del suo popolo e lo fa con grande rispetto e amore!
Essere Chiesa significa essere Popolo di Dio, in accordo con il grande progetto
d’amore del Padre.
Questo implica essere il fermento di Dio in mezzo all’umanità. Vuol dire
annunciare e portare la salvezza di Dio in questo nostro mondo, che spesso si
perde, che ha bisogno di avere risposte che incoraggino, che diano speranza,
che diano nuovo vigore nel cammino.
La Chiesa dev’essere il luogo della misericordia
gratuita, dove tutti possano sentirsi accolti, amati, perdonati e incoraggiati
a vivere secondo la vita buona del Vangelo.
papa Francesco,
Evangelii gaudium,
n. 114
6-VIVERE
LA DOMENICA
Dal sabato ebraico alla domenica cristiana. Dall’obbligo del riposo
all’incontro con il Risorto. La domenica oggi
Domenica: giorno dell’assemblea, della riconciliazione, della carità.
di Enzo Bianchi
Il sabato ebraico e la domenica cristiana hanno punti in comune e punti
discordanti.
Una prima cosa da dire è che i primi cristiani erano e si sentivano ebrei: come
celebravano insieme l’eucaristia la domenica così frequentavano il tempio o la
sinagoga il sabato.
Il sabato ebraico
L’osservanza del sabato come comandamento fondamentale per Israele è stato
capace di salvaguardare la fede e l’identità comunitaria dell’intero popolo
ebraico, soprattutto quando si è trovato a vivere disperso tra i pagani.
Nonostante le diverse tradizioni presenti si può comunque tracciare un quadro
di massima di come il sabato viene vissuto da Israele.
Due sono gli ambiti in cui il sabato viene vissuto e celebrato: la sinagoga e
la famiglia.
Nella sinagoga ci si ritrova più volte nel periodo di tempo che va dalla sera
del venerdì a quella del giorno successivo: per accogliere il sabato, per
celebrarlo e per congedarsi da esso.
In famiglia si vivono i pasti, il più solenne dei quali è quello del venerdì
sera. In questo contesto avviene la benedizione dei figli da parte dei
genitori, l’elogio del marito nei confronti della propria sposa, la benedizione
del vino e la frazione del pane, condivisi tra tutti.
Dopo questa parte rituale inizia la cena che deve svolgersi in un clima di
comunione e accoglienza reciproca. È consuetudine che al pasto vi sia qualche
invitato, in modo che tutti possano godere della gioia del sabato.
La giornata del sabato trascorre tra famiglia e sinagoga, e il tempo libero
viene impegnato nella preghiera personale, nello studio della Torah, nel
riposo, nella carità fattiva verso i poveri e gli ammalati.
Questo è l’attivo riposo del sabato: fatto di ascolto della parola di Dio e di
preghiera, di carità e fraternità, di relazioni pacificate con se stessi, con
gli altri e con Dio.
Dal sabato alla
domenica
L’atteggiamento di Gesù verso il sabato, in base a quanto emerge dai
quattro vangeli, non è di opposizione ma di critica verso alcuni atteggiamenti
troppo legalistici.
Ma, sempre nel Nuovo Testamento, emerge come centrale per i cristiani il primo
giorno dopo il sabato: la Pasqua di Gesù il Cristo.
La domenica diventa così il giorno in cui fare memoria della resurrezione,
delle apparizioni del Risorto e del dono dello Spirito.
Nella chiesa di Gerusalemme la frequenza alla sinagoga continua fino al 70 d.c.
quando, con l’introduzione nelle Diciotto Benedizioni della maledizione dei
cristiani, diventa impossibile ai giudei divenuti cristiani parteciparvi, pena
l’espulsione.
Frange minori di etnico cristiani continueranno a praticare il riposo sabbatico
fino al terzo secolo.
La chiesa di Roma, invece, non solo privilegia il culto della domenica ma
polemizza contro il sabato. Si arriverà a far diventare il sabato giorno di
digiuno, in aperto atteggiamento antigiudaico. L’ebraismo, infatti, proibiva
assolutamente lutto e digiuno il giorno di sabato.
La domenica cristiana
Quali sono le caratteristiche della domenica cristiana?
Anzitutto la domenica è il giorno dell’assemblea, in cui i cristiani si
radunano e si riconoscono come Chiesa.
L’eucaristia domenicale, culmine e fonte della vita cristiana, è fin dalle più
antiche testimonianze caratterizzata dalla dimensione comunitaria.
La Chiesa è, si manifesta, quando è raccolta nell’assemblea radunata dal
Risorto per celebrare l’eucaristia.
Questo riunirsi è innanzi tutto un passaggio dalla dispersione/divisione
operata dal peccato alla comunione con Dio e con i fratelli.
Oggi purtroppo si continua a leggere l’assemblea domenicale come un precetto, anziché
come questione di identità. Ci si lamenta che l’appartenenza alla chiesa è
faticosa e difficile ma poi ci si contraddice non partecipando alla messa.
Né ci si ricorda che nei paesi dove il cristianesimo è diventato minoranza
esigua, il primo segno della crisi della fede è stato il disertare il culto o
l’eucaristia domenicale.
Perché l’assemblea sia realmente comunità del Signore è necessaria la
riconciliazione preliminare e reciproca tra i credenti.
Meglio dunque non partecipare all’eucaristia domenicale che farlo nutrendo
rancore o inimicizia verso un fratello. Questa esigenza richiede una tensione
costante di conversione, di trasformazione delle nostre relazioni da
egocentriche a comunionali.
La domenica, che è giorno di epifania della chiesa, è anche giorno di epifania,
manifestazione, della carità.
Questa carità deve manifestarsi in atti di condivisione e di giustizia. Per
questo motivo i Padri scrivevano che i doni raccolti durante l’eucaristia non
potevano provenire da ricchi e potenti che agivano ingiustamente, sfruttando i
poveri.
Parola e eucaristia
La chiesa non ha scelto il giovedì, giorno dell’ultima cena, per celebrare
l’eucaristia ma la domenica, perché più adatta a celebrare la totalità
dell’evento pasquale. Nel primo giorno dopo il sabato, infatti, il Risorto si è
fatto presente tra i suoi, spiegando loro le Scritture e spezzando il pane con
loro.
Se la domenica è giorno dell’Eucaristia è anche giorno della Parola.
La Parola di Dio è “la manna che il Signore fa cadere dal cielo ogni do-menica”
(Origene).
Arrivare in chiesa in ritardo, chiacchierare con i vicini, non ascoltare le
letture e l’omelia, ci fa uscire di chiesa ancora più vuoti di come siamo
entrati! (cfr. Didascalia apostolorum).
Il riposo domenicale
Fin dalla più alta antichità la domenica è sempre stata giorno di gioia per
la comunità cristiana. Questa gioia si manifestava non digiunando e pregando
non inginocchiati, ma ritti in piedi, da risorti in Cristo.
Non essendo giorno di riposo si celebrava l’eucaristia prima dell’alba, perché
le prime ore del mattino erano le uniche disponibili per riunirsi.
Dopo Costantino, quando la domenica divenne giorno festivo per l’intera società
romana, aumentarono i problemi: da un lato, anziché santificarla, si iniziò a
viverla mondanamente, dall’altro si introdusse una casistica che aveva poco da
invidiare a quella giudaica relativa al sabato.
Vivere la domenica
L’immagine della domenica presente oggi in gran parte dei fedeli è
contrassegnata dall’individualismo e dal legalismo, non si coglie
l’appartenenza ad una comunità, si partecipa per obbligo. Si è molto attenuato
il legame tra domenica ed evento pasquale, si è accentuato il precetto del
riposo e la preoccupazione di evitare il peccato grave di non “santificarla”.
Dire che “la domenica è festa perché non si lavora” significa, dal punto di
vista cristiano, stravolgere il senso della domenica. Dal punto di vista della
fede cosa serve un giorno domenicale definito non lavorativo dalle leggi dello
stato, se poi i cristiani non sanno viverlo come giorno del Signore e giorno
della chiesa?
Non dimentichiamoci che sul problema della domenica si gioca molto del futuro
della fede e della chiesa!
Liberamente tratto dal libro dell’autore: Vivere
la domenica, Rizzoli, 2005.
7-IL
DECALOGO DELLA DOMENICA
Non andare a messa solo perché è festa
Io sono il giorno del Signore, Dio tuo.
Io sono il Signore dei tuoi giorni.
1. Non avrai altri giorni uguali a me. Non fare i giorni tutti uguali.
La domenica sia per te, fratello o sorella cristiana, il giorno libero da tutto
per diventare il giorno libero per Dio e per tutti.
2. Non trascorrere la domenica invano, drogandoti di televisione, alienandoti
nell’evasione, caricandoti di altra tensione.
3. Ricordati di santificare la festa, non disertando mai l’assemblea
eucaristica: la domenica è la pasqua della tua settimana, il sole, l’eucaristia
e il cuore è Cristo risorto.
4. Onora tu, padre, e tu, madre, il grande giorno con i tuoi figli! Ma non
imporlo mai, neanche ai minori, e non ricattarli. Contagia loro la tua gioia di
andare a messa: questo vale molto più di cento prediche.
5. Non ammazzare la domenica con il doppio lavoro, soprattutto se remunerativo:
non violarla né svenderla, ma vivila “gratis et amore
Dei” e dei fratelli.
6. Considera il giorno del Signore “il momento di intimità fra Cristo e la
Chiesa sua sposa”, come ha detto il Papa; se sei sposato o sposata, coltiva
l’intimità con il tuo coniuge.
7. Non rubare la domenica a nessuno, né alle colf, né alle badanti, né ai tuoi
dipendenti. E non fartela rubare da niente e da nessuno, né dal denaro, né dal
culturismo, né dai tuoi datori di lavoro.
8. Non dire falsa testimonianza contro il giorno del Signore.
Non vergognarti di dire ai tuoi amici non credenti che non puoi andare da loro
in campagna o con loro allo stadio perché non puoi rinunciare alla messa.
9. Non desiderare la domenica degli “altri”, i ricchi, i gaudenti, i
bontemponi.
Desidera di condividere la domenica con gli ultimi, i poveri, i malati.
10. Non andare a messa solo perché è festa, ma fa’ festa perché vai a messa.
† Francesco Lambiasi, vescovo di Rimini
8-EUCARISTIA
E FAMIGLIA
Ripercorrere la Santa Messa partendo dalla nostra esperienza di coppia e di
famiglia
Com’è difficile ascoltare: l’omelia del sacerdote, ciò che dice il nostro coniuge,
cosa ci dicono i nostri figli.
Come banalizziamo l’eucaristia così riusciamo a banalizzare anche l’altro.
di Franco Rosada
La santa messa è per definizione “rendimento di grazie” ma in essa sono
contenute tante altre espressioni della vita relazionale.
I riti d’introduzione
Si incomincia con il saluto verso il Signore: il segno di croce entrando in
chiesa fatto con l’acqua benedetta, cui risponde, a inizio messa, il saluto del
sacerdote.
Dirsi ciao o buongiorno ogni mattina, darsi un bacio, non uscire da casa senza
salutarsi: ecco come il saluto va tradotto nella vita della famiglia. Uscire di
casa sbattendo la porta non è un buon saluto, tenere il broncio neanche.
Si prosegue con l’atto penitenziale, il riconoscerci peccatori, non solo
davanti a Dio ma anche nei confronti dei fratelli.
Chiedere scusa, secondo papa Francesco, è uno degli elementi base su cui si
regge il matrimonio, un chiedere scusa incondizionato “per mia grandissima
colpa”, gli altri possono avere una parte di torto ma io incomincio a chiedere
scusa.
Dio ci perdona: “Dio onnipotente perdoni i nostri peccati”; noi siamo capaci di
perdonare, sappiamo accogliere le scuse che l’altro ci porge, riconoscendo la
nostra parte di torto?
E siamo al Gloria. Qui siamo chiamati a lodare Dio e la Trinità intera.
Come stiamo a riconoscimento dei meriti dell’altro? Gli/le ricordiamo solo i
difetti o sappiamo anche dire “che bravo!”, “senza di te non ce l’avrei
fatta!”? Rimproveriamo solo i nostri figli o sappiamo incoraggiarli, facendo
loro capire che stiamo dalla loro parte?
La mensa della Parola
Inizia ora la Liturgia della Parola: prima e seconda lettura, Vangelo,
omelia. In questa prima Tavola del banchetto eucaristico al centro c’è
soprattutto l’ascolto.
Qui si apre, per la coppia e la famiglia, lo spazio per un argomento
fondamentale: quanto sono capace di ascoltare coloro che mi stanno intorno, mi
vogliono bene?
So ascoltare o non vedo l’ora che l’altro taccia per parlare a mia volta?
Oppure, peggio, lo interrompo, gli do sulla voce?
Come a messa, nel corso delle letture, ci distraiamo, così nell’ascolto
dell’altro sovente la nostra mente vaga altrove. Cosa diceva il Vangelo? Cosa
ha detto il sacerdote nell’omelia? Boh! Usciti da messa non ce ne ricordiamo
più. Ma mentre il Signore ha pazienza l’altro che ci parla forse no: Te l’avevo
detto! Non mi stai mai ad ascoltare!
Poi ci sono le situazioni in cui vorremmo ascoltare ma l’altro non parla: p.e.
i nostri figli adolescenti, la difficoltà ad estorcere loro qualcosa che vada
al di là di un Sì o un No.
Dio ci parla sempre, apriamo il vangelo alla liturgia del giorno e qualcosa
troveremo.
La Liturgia della Parola termina con il Credo e la preghiera dei fedeli.
Il Credo è una bella sintesi di quella che è la fede cristiana – di tutti
cristiani – poiché è stato definito prima delle divisioni che conosciamo.
Ecco. In che modo potremmo fare altrettanto della nostra realtà di famiglia?
Qual è la sintesi migliore? L’amore, direte voi, ed è vero.
Ma forse vale la pena riflettere su che cosa vuol dire amore. Per Gesù suona
così: “amatevi come io vi ho amato”. Serve allora conoscere meglio Gesù. Il suo
non è un amore caramelloso, né un amore egoistico o un amore basato sullo
scambio – io amo te, tu ami me – ma un amore gratis.
Tutto ciò che è gratis, per il mondo, o non vale niente o nasconde una
fregatura. Gratis vuol dire senza contraccambio. Gesù ama e basta. Fino a dare
la sua vita per me che sono peccatore, cioè che faccio molta fatica ad amare.
Se il matrimonio è un sacramento è perché amare tutta la vita è un
bell’impegno, serve più di un aiutino, e questo è la sua Grazia.
La preghiera dei fedeli presenta, in modo concreto, quali sono i nostri
bisogni, le nostre necessità, i nostri desideri. Poco praticata, perché molto
impegnativa nella sua preparazione, è la preghiera dei fedeli spontanea, quella
che si fa p.e. nella messa ai campi estivi.
La mensa eucaristica
Ci accostiamo a questo punto alla seconda Tavola del banchetto eucaristico.
Si inizia con l’offertorio in cui vengono preparate le offerte per il
sacrificio eucaristico.
Trovo molto bello quando le offerte vengono portate all’altare dai fedeli,
ancora più bello quando sono i bambini che portano i disegni che hanno fatto
nella prima parte della messa o i loro giocattoli.
Che cosa offriamo? Il pane e il vino. Il pane ci serve per vivere, il vino ci
serve per far festa, per stare insieme, per fare comunità, chiesa.
Personalmente cosa abbiamo da offrire? Tutto e niente. Tutta la nostra vita, la
nostra famiglia, le cose che vanno e quelle che non vanno, le nostre gioie e le
nostre preoccupazioni. Niente se pensiamo a quello che il Signore sta per
offrire a noi, il suo corpo, la possibilità di “condividere” la sua divinità.
Possibile? Possibilissimo! C’è una preghiera che dice sotto voce il sacerdote
quando versa qualche goccia di acqua nel vino: “questo sia segno della nostra
unione con la vita divina di colui che ha voluto assumere la nostra natura
umana”. Più chiaro di così!
Siamo al Prefazio, la preghiera che precede il Sanctus.
Se non ci è chiaro perché l’eucaristia è “rendimento di grazie” (derivata
dall’analoga parola in greco) leggiamo l’inizio del prefazio: “È veramente cosa
buona e giusta… renderti grazie…”. Renderti grazie di che? Di mio figlio che se
ne andato di casa? Che si droga? Che convive con una donnaccia? Di mio marito
che non mi guarda più, come se non esistessi? Che non ha voglia di lavorare?
Che spreca quello che guadagna in sala corse? Di mia moglie che ha un male
incurabile, di mio figlio handicappato?
Sì, nonostante tutto questo ti rendiamo grazie, anche quando c’è un funerale.
Questo è il colmo, rendere grazie per la scomparsa di una persona cara!
Qui, meglio che negli altri casi, cogliamo il limite della nostra fede. È
morto, tutto è finito! Ma siamo cristiani o pagani? Con la morte finisce tutto
o inizia tutto?
Abbiamo bisogno di conversione, di riuscire a guardare le cose con gli occhi di
Dio e non con quelli di questo mondo.
Con il canto del Sanctus entriamo nel cuore della preghiera eucaristica.
Il cuore di questa preghiera è la consacrazione vera e propria “questo è il mio
corpo… questo è il mio sangue”. Quel pane e quel vino, dunque, diventano il
corpo e il sangue di Gesù Cristo.
Allora possiamo avere due atteggiamenti: è una bufala, quel pane resta pane,
idem per il vino, oppure, anche se non capiamo fino in fondo, lì c’è davvero
Gesù.
L’abitudine, una certa banalizzazione del rito, non ci fa cogliere questo fino
in fondo. Rimpiango, a volte, il mancato uso del campanello, croce e delizia
dei chierichetti, che era però in grado di destare l’attenzione.
Rispetto alla messa in latino quella in volgare è molto più facile da capire,
al punto di banalizzarla, al punto da ignorare la profondità delle sue
preghiere.
Anche l’altro può essere banalizzato: dice sempre le stesse cose, sembra una
radio libera, e così non cogliamo quello che davvero l’altro ci vuole dire.
Facciamo con Gesù, né più né meno, quello che facciamo con gli altri: sappiamo
già cosa ci vogliono dire in anticipo, e non è vero! Noris
ed io abbiamo fatto almeno una decina di volte la Lectio sul cieco Bartimeo e ogni volta abbiamo scoperto che aveva sempre
qualcosa di nuovo da dirci.
Riti di comunione
Saltando un po’ arriviamo al Padre nostro. Si può scrivere un trattato su
questa preghiera; mi limito ad un passaggio: “rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo…”.
Qui si apre un grande tema che ci tocca come coppia e come famiglia: quello del
perdono.
Siamo limitati e sovente facciamo pesare i nostri limiti: essere bruschi,
scortesi, rispondere male è molto più facile che controllarsi, dominare il
nostro malessere interiore. L’altro diventa sovente il parafulmine del nostro
malessere interiore.
Come tutti i parafulmini, quando la scarica che arriva è troppo forte, si
rompe. E si litiga, e si rinfaccia all’altro tutto quello che si è dovuto
ingoiare.
Seguiamo allora il suggerimento di papa Francesco: “La ricetta per un
matrimonio felice? Non finire la giornata senza fare la pace. La pace si rifà
ogni giorno in famiglia!”
In questa prospettiva lo scambio della pace dopo il Padre nostro ci sta a
pennello.
Se c’è qualcosa di anonimo è proprio questo momento liturgico. Eppure, se
abbiamo qualcosa contro nostro fratello e non gli chiediamo scusa come possiamo
fare la comunione, come possiamo essere in comunione?
La comunione è una cosa seria, cui accostarci solo se ci sentiamo preparati,
con il cuore in pace con Dio e con il prossimo. Non per niente preghiamo prima:
“O Signore, non son degno…”. Oggi mi sembra tanto un self-service, cui accedono
tutti, perché ora si fa così.
Se è una cosa seria, bisogna accostarsi ad essa in modo serio, non
chiacchierando, non ridacchiando, col naso per aria, scomposti. E questo lo
dobbiamo re-insegnare perché mi sembra che si sia disimparato.
Il Signore non si offende se noi lo riceviamo impreparati ma il fatto è che non
ci serve a niente, non ci apre alla conversione.
Dopo la comunione ci dovrebbe essere un momento di silenzio, cosa abbastanza
difficile. Alcuni, proprio per l’incalzare del rito, si fermano dopo messa e
fanno un momento di adorazione. Queste persone hanno davvero capito cos’hanno
ricevuto.
Ci sono notizie, belle e brutte, che ci piombano addosso all’improvviso: è
naturale reagire d’istinto ma poi serve fare silenzio, capire davvero il valore
della notizia, saper lodare o invocare aiuto.
Riti di conclusione
La messa termina con i riti di congedo: la benedizione e la missione.
Dio ci benedice, dice bene di noi, e noi cosa diciamo nei confronti degli
altri? Sempre bene o anche male? Mormoriamo dietro il nostro prossimo? In
famiglia taciamo ma ci teniamo il rospo dentro? È
difficile fare come Dio, che dice sempre bene di noi, anche quando siamo
lontani da lui, perché confida nella nostra conversione, ma possiamo provarci:
un atteggiamento positivo rende comunque più semplici i rapporti.
Adesso “la messa è finita. Andate in pace”. Davvero è proprio finita o è appena
incominciata? Se per noi gli obblighi con Dio sono finiti, almeno per una
settimana, è davvero finita, ma non bene: abbiamo buttato via un’ora del nostro
tempo.
Adesso invece si tratta di vivere quello che abbiamo ascoltato, mettere a
frutto ciò che abbiamo ricevuto: inizia la missione. Una missione segnata da
una parola breve ma meravigliosa: pace. Siamo chiamati a portare la pace (che è
diversa dall’assenza di guerra) là dove viviamo, a casa, scuola, ufficio,
lavoro.
Siamo chiamati a creare un mondo in armonia con Dio. Mission
impossible? Se contiamo solo su di noi, sulle nostre
forze, sulla nostra buona volontà, sì, se contiamo sulla grazia del Signore
qualcosa possiamo fare, al resto ci penserà Lui.
9-TESTIMONIANZE
SULL’EUCARISTIA
La Chiesa è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita
faticosa
Casa di tutti
L’Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non
è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli.
Queste convinzioni hanno anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a
considerare con prudenza e audacia. Di frequente ci comportiamo come
controllori della grazia e non come facilitatori.
Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno
con la sua vita faticosa.
papa Francesco,
Evangelii gaudium,n.
47
Darsi la pace
È bello poter scambiare la pace con qualcuno con cui abbiamo avuto
occasioni di conflitto.
È bellissimo quando nostro figlio più piccolo ci viene incontro dal suo posto
per abbracciarci.
Luca
Modello per la vita
Nella struttura dell’Eucaristia troviamo un modello per la vita concreta:
l’accoglienza, la richiesta di perdono, l’ascolto della Parola, l’offerta di
Pane e Vino, l’abbraccio di pace, la Comunione eucaristica.
Sono queste tutte realtà che quotidianamente viviamo in famiglia, dove le
dinamiche dell’accoglienza, dell’ascolto, dell’offerta di sé e della ricerca di
unità sono all’ordine del giorno, o meglio sono l’ordine di ogni giorno.
Così l’Eucaristia si può intendere scuola non solo di contenuti, ma anche di
metodo: come si vive?
Ci si accoglie, si ascolta, ci si offre, si fa comunione: proprio come nelle
fasi della Messa, che perciò offrono un modello e, al contempo, vengono
comprese perché ripropongono i passi della vita.
Eucaristia è intimità, dono completo, dono sponsale di Cristo per la Chiesa.
Noi famiglie, e prima ancora noi coppie, dovremmo essere i massimi interpreti
del dono totale, e in tal senso dovremmo essere proprio noi a svelarne il
senso, e parimenti ad apprenderlo.
Joram e Stefania
Come in sala da
pranzo
Se come famiglia la casa è la nostra abitazione, come famiglia cristiana la
chiesa è la nostra abitazione, e vi troviamo in essa l’Eucaristia, là nella
‘stanza’ principale, come se fosse la nostra sala da pranzo, dove accogliamo
gli ospiti, condividiamo pensieri, gesti, cibo, ecc.
L’Eucaristia è l’incontro con Gesù, è mettersi in contatto diretto con Lui, è parlarGli assieme in intimità, soprattutto quando si torna
al proprio banco dopo la comunione e inginocchiati si prega in silenzio.
È anche entrare in comunione con tanti altri fratelli perché Gesù è in ognuno
di noi.
Marzia
Rendere grazie
Stasera, dopo una giornata di discussioni con i figli, ripensavo con un
senso di impotenza e di sconfitta, a tanti errori commessi nell’educarli.
Improvvisamente mi sono sentita come catapultata vicino a Gesù, proprio nel
momento in cui divide e consegna il pane e il vino, segni del dono della Sua
vita, ai suoi discepoli - amati fino al punto di lavare loro i piedi - che nel
giro di qualche ora lo abbandoneranno, lo rinnegheranno.
Ah, che sollievo! Persino tu, Gesù, ti sei trovato di fronte al fallimento, almeno
in quei giorni, della tua missione educativa!
Allora è proprio evidente che anche l’educare al bene in famiglia non
garantisce risultati sicuri perché anche noi genitori, come Lui, siamo di
fronte all’incognita della libertà.
Tutto questo mi ha detto, in un momento, quella tavola così “di famiglia”, su
cui Gesù si spezza e si dona per uomini così fragili, che solo dopo la potente
iniezione di Spirito Santo della Pentecoste riusciranno a vincere voltafaccia,
debolezza e incertezze.
Allora come avere paura, con un simile fratello maggiore, compagno
nell’avventura educativa? Via lo sconforto, coraggio, si riparte, con un
sentito rendimento di grazie: “eucaristia”, appunto!
Elda
Bambini ed Eucaristia
Trovo molto discutibile la scelta fatta da alcune parrocchie di chiedere
alle famiglie con bambini “rumorosi” di “partecipare” alla messa chiusi in una
stanza, molto spesso la cappella per la messa feriale, a volte guardando la
messa sullo schermo televisivo, perché alcuni parrocchiani si sono lamentati
del “disturbo”.
Questo può essere comodo anche per alcuni genitori, per evitare di “disturbare
troppo”, ma allora di quale partecipazione stiamo parlando? E quanto viene
perso del significato e del valore di avere i bambini – anche se rumorosi – in
chiesa durante le celebrazioni?
Massimo
Quel segno di croce
Quando riceviamo la santa comunione curiamoci anche della partecipazione
dei bambini che devono ancora ricevere questo sacramento.
Vorrei esprimere un grazie di cuore a quei sacerdoti che scelgono di trovare il
tempo per fare un piccolo segno di croce sulla fronte dei bambini che hanno
accompagnato i genitori al momento della comunione.
È davvero un bel gesto, significativo, che ci fa capire che Dio vuole
incontrare tutti.
Alessandra
Per il lavoro di
coppia e di gruppo
• Come ci salutiamo al
mattino quando ci alziamo?
• Siamo capaci di perdonare?
• Sappiamo ascoltare l’altro o
diamo tutto per scontato?
• In che cosa crediamo?
• Siamo convinti che il nostro
matrimonio abbia bisogno della Grazia di Dio per andare avanti?
• Usiamo l’altro come un
parafulmine per “scaricarci”?
• Diciamo sempre bene degli
altri? Cosa possiamo fare per correggerci?
• Coltiviamo la pace?
10-DIVERSI
MA CHIAMATI ALL’UNITÀ
La famiglia è un progetto di comunione e di amore
Quando qualcuno ti chiede all'inizio della Messa: “Chi celebra oggi?” tu allora
non aver timore di rispondere: “Noi!”.
La Messa educa all’accoglienza: a fare spazio nella vita a tutti i fratelli allo stesso modo; non si può dire di amare Dio che non si vede se non ami il fratello nel quale Lui si fa presente.
Per entrare in
argomento
Prendiamo lo schema della messa. Cosa succede quando veniamo a Messa?
Partiamo da tanti luoghi diversi, siamo tutte persone diverse, abbiamo cammini
diversi, percorsi spirituali diversi, eppure ci raduniamo perché una voce, che
è quella della fede, ci chiama all’unità.
Noi conveniamo perché Dio ci ha creati con dentro profondamente inscritto, un
disegno di unità.
Noi non veniamo a messa seguendo una nostra iniziativa, ma rispondendo a Dio
che chiama.
Come la vita familiare è un essere radunati per un progetto di comunione e di
amore, così si esprime anche il primo atto della Messa. Questo medesimo
movimento lo viviamo nella famiglia, dove siamo radunati in molti, diversi.
Non si tratta di massificarci, ma di rimanere dentro un unico progetto di
unione in un amore rispettoso della verità dell’altro. Come Dio ci convoca non
per massificarci, ma perché la nostra unicità sia esaltata, glorificata nella
comunione.
Nasciamo maschi e femmine, non neutri, già inscritti in un progetto di
comunione. Noi nasciamo uomini e donne, con una nostra originalità, perché
siamo fatti per un progetto di comunione. Sia nella famiglia, sia nella vita
della Chiesa, sia nella vita eucaristica c’è un movimento che unisce,
nell’unità di Cristo.
Vi faccio qualche domanda:
Siamo convinti che la diversità dell’altro sia una ricchezza? Sono convinto che
la diversità di mia moglie sia per me una ricchezza? Sono convinta che il
carattere di mio marito celi i suoi pregi sotto le sue spigolosità? Che il
carattere di mia moglie celi la sua bellezza sotto i suoi difetti? Sono
convinto di dover amare questa diversità, questa specificità unica che fa sì
che l’altro sia se stesso?
Arcidiocesi di Lucca
Q
Quando inizia la
messa?
Qualcuno può rispondere: quando il sacerdote esce dalla sacrestia, altri,
invece: no, quando si ode il suono della campanella; altri ancora: quando il
celebrante all'altare pronuncia: "Nel nome del Padre, del Figlio...".
Per trovare la risposta giusta possiamo chiederci: quando inizia un matrimonio?
Non certo quando gli sposi arrivano in chiesa o salgono all'altare, ma molto
prima; esso, infatti, richiede tutta una preparazione che già immette nella
festa e la fa pre-gustare: la scelta del vestito, del regalo, degli invitati,
del luogo per il banchetto ecc.
Anche la Messa, o Cena del Signore, è un vero e proprio banchetto nuziale, che
vede Cristo Sposo rinnovare il suo patto di alleanza con la sua Sposa, la
Chiesa (e ciascuno di noi), e a cui chiede il rinnovamento del suo
"Sì".
Ciò che Gesù ha compiuto nell'ultima cena e sulla croce, infatti, si rinnova
realmente in ogni Eucaristia, che non è tanto un ricordo, una commemorazione,
ma molto di più: è un'attualizzazione nell'oggi del dono che il Signore ha
fatto di Se stesso a te, a me, a noi.
Questa "attualizzazione nell'oggi" si chiama memoriale.
"Oggi" il Signore vuole donare il suo corpo e il suo sangue per te,
per me, per noi; "oggi", desidera far udire a noi la sua Parola.
Come fa, però, il Padre oggi a chiamarci? In due modi: visibilmente e
invisibilmente. In mondo visibile chiama per esempio attraverso il suono delle
campane; oppure attraverso i fratelli, gli amici, i familiari che ci invitano
alla Messa.
Ma il Padre chiama anche in modo invisibile attraverso lo Spirito Santo che
illumina la nostra mente, donandoci, per esempio, una comprensione più profonda
dell'Eucaristia; oppure accende il nostro desiderio di incontrare il Signore,
magari infondendoci la nostalgia di Lui; o rafforza la nostra capacità di
combattere e di vincere gli impedimenti che si frappongono al nostro andare
alla Messa.
Elisabetta Casadei
Famiglia e
Accoglienza
Nella famiglia si cerca di "viversi come accolti": tra genitori e
figli, nella coppia, con gli “altri” che partecipano a vario titolo alla vita
familiare.
Si crea un’atmosfera di stima e ascolto che permette alle persone di sentirsi
amate, e sentendosi amate e stimate di porre con coraggio in atto nella propria
vita lo stile di accoglienza.
Accoglienza quindi come spiritualità attenta alle attese, ai desideri, alle
intuizioni, vincendo il formalismo e la banalizzazione.
I gesti e le parole di accoglienza all’inizio della celebrazione Eucaristica
sono i gesti e le azioni della grande famiglia cristiana, la chiesa, radunata
per sentirsi accolta dal Padre e per accogliersi reciprocamente.
Ognuno si sente effettivamente accolto come fratello, come membro di una
famiglia, come un uomo che ha la sua dignità e merita perciò attenzione e
rispetto.
Ne nasce uno stile evangelico che torna poi a riscriversi nei rapporti
quotidiani.
Associazione L’ora di Gesù, Taranto
11-UN POPOLO
SACERDOTALE
Non si può rimanere spettatori in fondo alla chiesa
Il fatto straordinario che accade nel formarsi dell'assemblea è che in chiesa entriamo come sacerdoti, come popolo sacerdotale, perché il Signore "ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre" (Ap 1,5).
Nell'Eucaristia veniamo a esercitare il nostro sacerdozio acquisito nel battesimo (sacerdozio battesimale), per cui la Messa non è celebrata solo dal prete, ma da noi tutti!
Il sacerdote, che ha ricevuto un sacerdozio ministeriale o ordinato, cioè ordinato e a servizio di quello battesimale, presiede l'Eucaristia, così come il maestro del coro dirige i cantori e non canta da solo (e anche quando il prete celebra senza i fedeli, celebra sempre a nome di tutto il popolo!).
Quando qualcuno ti chiede all'inizio della Messa: “Chi celebra oggi?” tu allora non aver timore di rispondere: “Noi!”.
Ciò significa, però, che la tua preghiera non è solo tua, ma è inserita nella preghiera di tutta l'assemblea che celebra con te, per cui non puoi pregare per conto tuo, o solo per le tue intenzioni, o rimanendo spettatore in fondo alla chiesa.
12-TESTIMONIANZE
SUL CONVENIRE
È importante riuscire a partecipare,come famiglia,
alla stessa messa
E i bambini piccoli?
Nella nostra parrocchia per venire incontro alle coppie giovani con bambini
piccoli e permettere di partecipare alla messa tutta la famiglia,alcuni
genitori si sono resi disponibili a tenere i bambini fino alla seconda
elementare in un locale dell'oratorio.
Lì raccontano il vangelo del giorno con favole, DVD, e disegni; i bambini
entrano poi in chiesa al momento della benedizione finale.
Secondo me è molto bello e utile, così i genitori partecipano appieno alla messa
senza preoccuparsi dei commenti delle persone perché magari i loro figli
disturbano e possono partecipare tutti assieme.
Infatti, per me è importante riuscire ad "andare alla stessa messa"
tutta la famiglia, è segno di unità nel Signore e segno per la comunità.
Loretta
Un sorriso e un
saluto
Arrivare in chiesa ed essere accolti con un sorriso credo sia importante,
soprattutto per chi non frequenta molto la parrocchia. Per me lo è molto forse
perché, avendo cambiato da poco città, mi sento “sempre fuori posto”. Il saluto
del sacerdote è sentirsi un po’ a casa; chissà in quante famiglie non esiste il
saluto, ciao, buongiorno, buonanotte, un abbraccio, una carezza. Si da tutto
per scontato, anche il "ti voglio bene", mentre invece abbiamo bisogno
di sentircelo dire.
Tiziana
Salutarsi a vicenda
Una volta ho letto che bisognerebbe sempre salutarsi come se fosse l’ultima
volta, cioè con amore, attenzione, esprimendo il meglio di sé. In teoria siamo
tutti d’accordo, poi spesso la mattina prevalgono la fretta, l’ansia di non
arrivare in tempo, il malumore di una giornata che parte male, e il saluto a
volte manca o si riduce a un borbottio inintelligibile… poi magari a metà
mattinata mi fermo e mi chiedo: ma se oggi io non tornassi più a casa, cosa
lascerei come ultimo ricordo a mio marito e ai miei figli?
Elisabetta
Genuflettersi
Quando ci sono bambini bisogna arrivare per tempo e fare le cose con calma.
Così si può far capire ai figli l’importanza del luogo in cui si entra.
Entrando in chiesa due cose non devono mancare: la genuflessione e il segno di
croce. Aiutiamo i piccoli a farlo oppure facciamo una piccola croce sulla
fronte dei piccolissimi con l’acqua benedetta.
Massimo
Invitati alla festa
Durante il cammino di accompagnamento dei nostri figli alla loro Prima
Comunione abbiamo trovato un libretto molto simpatico che aiuta i bambini a
capire il vero significato dell’”andare a Messa”, poiché la paragona da una
festa, a una ricorrenza importante in famiglia, quando parenti e amici sono
invitati e attesi p.e. a casa dei nonni per il loro anniversario.
Ernesta e Giamprimo
Per i bambini
Quando entri in chiesa bagna la mano nell’acqua benedetta e fai un segno di
croce sul tuo corpo: così ricordi il tuo battesimo.
Laura Salvi
Per il lavoro di coppia
e di gruppo
• Viviamo la nostra vita di
coppia e di famiglia sotto il segno della vocazione?
• Come è arrivata a noi questa
chiamata?
• Ci sentiamo chiamati anche
all’assemblea cristiana?
• Come si potrebbe esprimere la
consapevolezza che è Dio che ci ha messi insieme?
• Mi è facile considerare gli
altri come fratelli che Dio mi ha donato?
don
Renato Tamarini, Trento
13-PERDONARE ED ESSERE PERDONATI
Il primo passo dell’eucaristia è accoglierci, perdonarci
Si impara a perdonare in famiglia non in confessionale, quando si diventa preti.
La Messa educa al perdono, a non risolvere ogni cosa o
difficoltà con frasi quali: “questo non lo dimentico, prima o poi te farò
pagare, da oggi non contare più su di me, me l’ha fatta troppo grossa…”. Gesù
dice: “allenati a perdonare non una volta sola, ma settanta volte sette: cioè
sempre”. Non riteniamo impossibile perdonare, è magari difficile, ma non
impossibile: altrimenti soffochiamo la speranza.
Padri Sacramentini
Per entrare in
argomento
Una volta che siamo radunati per la messa, la prima cosa che facciamo è
quella di metterci davanti alla verità che siamo peccatori, chiedere perdono a
Dio e chiederci perdono gli uni gli altri. Il primo passo dell’eucaristia è
accoglierci, perdonarci. E sappiamo che la nostra povertà è profonda e
radicale. Dobbiamo essere disponibili al perdono.
Perdonare cosa significa? Sopportare l’altro? Giustificarlo? “Non ci posso fare
niente, ci rinuncio”.
Questo non è perdonare, è considerare l’altro talmente deficiente da non poter
mai cambiare.
Perdonare vuol dire credere che la forza di Dio e la forza dello Spirito in te
possono produrre ancora oggi una creatura nuova.
Perdonare è credere che, se anche le ferite che ti porti dentro ti hanno reso
così, Dio può intervenire e donarti un’energia nuova che fa di te un uomo o una
donna nuova. Non si diventa nuovi se nessuno crede che tu puoi essere nuovo.
Purtroppo noi riduciamo la persona ai peccati che fa. Quello è separato, quello
è divorziato, quello è omosessuale, quello è un farabutto.
Ma quello è un figlio di Dio! Tu sei capace di aprire il tuo cuore e dargli
fiducia?
Perdonare vuol dire rendere l’altro nuovo con la fiducia che io gli do: vuol
dire assumere l’altro, non senza i suoi peccati, ma con essi, dentro di essi,
dentro i suoi limiti. Vuol dire che io, cara moglie, non ti porto senza i tuoi
peccati, ma con essi. Li porto con te, perché in virtù del sacramento,
diventano anche miei. E viceversa.
Il luogo originario dove si esercita il perdono è la famiglia. Non si impara a
perdonare in confessionale, quando si diventa preti.
Si impara a perdonare in famiglia, quando ci si scusa e non ci si nasconde o si
coprono i peccati. Questa è famiglia autentica, viva, direi anche sana, umana
prima che cristiana, una famiglia dove ciascuno può essere se stesso.
Perché c’è un amore più grande, che è la comunione d’amore della famiglia, che
assorbe questo. È più difficile ricevere il perdono che darlo, capire che io ho
bisogno veramente di essere perdonato, di essere ri-creato da te.
Q
Il Magistero
Constatiamo come nel nostro tempo i fedeli si trovino immersi in una
cultura che tende a cancellare il senso del peccato, favorendo un atteggiamento
superficiale, che porta a dimenticare la necessità di essere in grazia di Dio
per accostarsi degnamente alla comunione sacramentale. In realtà, perdere la
coscienza del peccato comporta sempre anche una certa superficialità
nell'intendere l'amore stesso di Dio.
Giova molto ai fedeli richiamare quegli elementi che, all'interno del rito
della santa Messa, esplicitano la coscienza del proprio peccato e,
contemporaneamente, della misericordia di Dio.
Si pensi qui al Confiteor o alle parole del sacerdote e dell'assemblea prima di
accostarsi all'altare: “Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa
ma dì soltanto una parola ed io sarò salvato!”.
Non è senza significato che la liturgia preveda anche per il sacerdote alcune
preghiere molto belle, consegnateci dalla tradizione, che richiamano al bisogno
di essere perdonati, come ad esempio quella pronunciata sottovoce, prima di
invitare i fedeli alla comunione sacramentale: “per il santo mistero del tuo
corpo e del tuo sangue liberami da ogni colpa e da ogni male, fa che sia sempre
fedele alla tua legge e non sia mai separato da te”.
Benedetto XVI,
Sacramentum caritatis, n. 20
Famiglia e Perdono
Peccare vuol dire soprattutto, in ambito familiare, rompere quell’unità,
quel rapporto d'amore cui siamo chiamati vicendevolmente. Riconciliarsi significa
recuperare l’altro e noi stessi alla vera dignità.
La riconciliazione sincera ci permette di sperimentare che la persona è sempre
più grande del suo sbaglio. Quante volte la celebrazione dell’Eu-caristia ci
propone questo stile di riconciliazione e di perdono?
Basti pensare al gesto del battersi il petto come segno di dispiacere per ciò
che è avvenuto, allo scambio della pace o di un abbraccio fraterno, che sigilla
la riconciliazione avvenuta. Ma ancor di più nell’atto penitenziale si esprime
la ricomposizione di un legame spezzato.
Se tale atto non ha valore sacramentale in senso stretto, e non sostituisce
dunque il sacramento della penitenza, ha tuttavia una grande valenza spirituale
e pedagogica: associa il senso del peccato a una fiducia sconfinata nella
misericordia del Padre.
Se la famiglia ha educato al perdono e alla riconciliazione, non sarà difficile
percepire l’inaudito venire incontro di Dio nell’Eucaristia, che ama e quindi
perdona.
Associazione L’ora di Gesù, Taranto
14-IL CONFITEOR
L'uomo giusto non e colui che è senza peccato, ma
colui che riconosce il proprio peccato e si pente
Nella prima parola di questa preghiera c'è già tutto il suo
significato: confesso (dal lat. cum-fateor =
ammettere con, riconoscere, manifestare).
Io, in prima persona, davanti a Dio confesso che sono un peccatore; ma lo
confesso con, insieme a voi fratelli, che siete come me; e anche a voi
fratelli, perché ho ferito tutti (anche se nessuno si è accorto di nulla). È in
questo momento, quindi, che ci riconciliamo con i fratelli e non durante lo
scambio della pace come qualcuno potrebbe pensare.
Questa preghiera, pertanto, non è individuale ma sempre ecclesiale, perché è la
manifestazione del peccato di tutta la Chiesa in cui ciascuno (dal Papa
all'ultimo battezzato) si riconosce peccatore.
È sempre bene ricordare che nella Scrittura l'uomo giusto non e Colui che è
senza peccato, ma colui che riconosce il proprio peccato e si pente. Pertanto,
l'assemblea liturgica è santa non perché composta da cristiani giusti, ma
perché in mezzo ad essa c’è il Signore risorto!
Non dimentichiamolo mai: il cristiano è santo per vocazione ma peccatore per
condizione!
Elisabetta Casadei
15-TESTIMONIANZE
SUL PERDONO
dovremmo dare molta più importanza al sacramento della
riconciliazione
Perdonarsi a vicenda
Come coppia, quando nella Messa ci ritroviamo a dire “Confesso…” sappiamo
che cosa dover chiedere al Signore, specialmente i peccati di omissione che con
l’età crescono.
Riconosciamo però che abbiamo coltivato sempre l’abitudine a non covare rabbia
e rancore e chiarire i problemi prima di andare a letto.
Se non è possibile per motivi vari, io scrivo una lettera, facendo presente le
mie ragioni e chiarendo le sue.
Così il giorno dopo, quando Mariano l’ha letta, possiamo discutere in pace,
senza interromperci. Il giorno dopo tutto è meno drammatico, anche perché la
mia arrabiatura si è in po’ decantata: mi sono
sfogata scrivendo.
Franca e Mariano
Chiedere scusa
Nella nostra famiglia non abbiamo l’abitudine di chiedere scusa, diamo per
scontato che gli altri ci accettino per quello che siamo, con tutti i nostri
difetti. Fondamentalmente è vero, però a volte sarebbe bello chiedere e
ricevere il perdono, specialmente quando succede qualcosa di un po’ più grave
dell’ordinaria amministrazione.
Elisabetta
Sapersi riconciliare
Chi è in lite con il suo amico, non si riunisca con voi finché non si siano
riconciliati, in modo che non sia profanato il vostro sacrificio. Questo
infatti ha detto il Signore: “ In ogni luogo e in ogni tempo mi si offra un
sacrificio puro, perché io sono un gran re e il mio nome è mirabile tra le
genti”.
Didaché
Un bacio di pace
Per me è stata sempre di grande aiuto questa frase di S. Paolo appresa
durante la preparazione al matrimonio con il Cammino Neocatecumenale: “non
tramonti il sole sulla vostra ira” (Ef 4,26). Da
quando mi sono sposata, 21 anni fa, non mi sono mai addormentata arrabbiata con
mio marito ma gli ho sempre dato il bacio della buonanotte. E così con i miei
figli: mai alzare muri di rabbia, perché Dio non passa e i muri diventano
sempre più alti e la distanza verso l’altro aumenta.
Tiziana
Tempo per riconciliarsi
Voi, vescovi, pronunciate le vostre sentenze il lunedì, affinché, in caso
di obiezione alla vostra sentenza, avendo tempo fino al sabato, possiate
risolvere il dissenso e riconciliare per la domenica le parti tra di loro.
Didascalia apostolo rum
Confessarsi
In famiglia è difficile chiedere perdono perché vuol dire riconoscere i
propri limiti, i propri difetti e ammettere che facciamo molta fatica a
comportarci come vorremmo.
Parimenti è difficile chiedere perdono a Dio, va bene farlo durante la messa,
ma dovremmo dare molta più importanza al sacramento della riconciliazione,
approfittando della eventuale presenza di un confessore.
Massimo
Per i bambini
Per vivere bene la messa devi esser in pace con tutti. Guarda nel tuo cuore
e riconosci i tuoi peccati, i tuoi errori, le parole cattive che hai detto e
chiedi scusa.
Laura Salvi
Per il lavoro di
coppia e di gruppo
• Come famiglia, quando ci
sentiamo bisognosi della misericordia di Dio?
• La coscienza di essere una
comunità di persone bisognose di perdono e di conversione si percepisce nella
celebrazione Eucaristia?
• Come potremmo migliorare il
momento penitenziale nella Santa Messa?
don
Renato Tamarini, Trento
16-ALLA
MENSA DELLA PAROLA
Il nostro volerci bene passa anche attraverso le nostre parole
La Parola di Dio non riguarda il passato ma interpella il nostro presente
La Messa educa all’ascolto: ascoltare Dio per essere capaci
di ascoltarci tra di noi… non si parla più nelle famiglie se non di calcio, o
di macchine o di viaggi… quando torneremo anche a parlare semplicemente di
vita, della nostra vita?
Padri Sacramentini
Per entrare in
argomento
Un altro momento importante della Messa è l’Ascolto della Parola di Dio.
L’uomo, come Dio, si rivela nella parola; se io non dico quello che ho dentro
il cuore...
La Parola di Dio narra la storia dei gesti d’amore di Dio.
Noi siamo capaci di comunicarci veramente? Quanta parte della vita passiamo a
nasconderci invece che a rivelarci? Cosa cerca la parola?
Lo scopo della parola è incontrarsi. Siamo fatti per la comunione, per
l’incontro. Se uno parla da solo è matto. La parola è fatta per la risposta, io
parlo per avere risposta. Lo scambio degli affetti passa in buona parte per la
parola.
Capita che due persone sul punto di separarsi si dicano: “Ma io ti ho sempre
amato”, “Ma non me l’hai mai detto”. Perché tante cose noi crediamo di dirle,
ma non le diciamo.
Siccome siamo convinti di agire bene, pensiamo che l’altro se ne accorga.
Siccome abbiamo - in fondo, ma molto in fondo - il desiderio di comunicare,
pensiamo di averlo fatto. Ma non è automaticamente detto.
Bisogna essere attenti a come comunichiamo e a cosa comunichiamo. L’amore passa
per la comunicazione. La comunicazione significa il tempo che do a te, il tempo
che passo a dialogare con te.
Perché ci facciamo rubare il tempo della parola, della comunicazione? Perché ce
lo facciamo portare via da tutto e da tutti? Televisione, cinema, sport, scuole
di danza, mille impegni e poi non abbiamo mai comunicato.
Il tempo della parola significa darsi il tempo per vivere qualcosa che è
nostro. Qual è l’ultima volta che abbiamo creato un vero dialogo in famiglia?
Intendo dire qual è l’ultima volta che ci siamo seduti e abbiamo dedicato tempo
a parlarci?
Quello è il dialogo che edifica. La parola è un atto divino dentro la famiglia,
non un atto umano.
Dialogare, comunicare è un atto divino. La religione si manifesta in buona
parte in queste cose: nell’accogliersi, perdonarsi, dialogare in casa.
In chiesa abbiamo l’aspetto più divino di questo ascolto-dialogo, Cristo parla
con noi, Dio dialoga con noi, ma questo dialogo dovrebbe essere lo stesso
dialogo che continua fuori dalla chiesa.
Arcidiocesi di Lucca
Q
Il Magistero
Raccomando vivamente che nelle liturgie si ponga grande attenzione alla
proclamazione della Parola di Dio da parte di lettori ben preparati.
Non dimentichiamo mai che “quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura, Dio
stesso parla al suo popolo e Cristo, presente nella sua Parola, annunzia il
Vangelo”.
Se le circostanze lo rendono opportuno, si può pensare a poche parole
d’introduzione che aiutino i fedeli a prenderne rinnovata coscienza.
La Parola di Dio per essere ben compresa deve essere ascoltata ed accolta con
spirito ecclesiale e nella consapevolezza della sua unità con il Sacramento
eucaristico.
Infatti, la Parola che annunciamo ed ascoltiamo è il Verbo fatto carne (cfr Gv 1,14) ed ha un intrinseco riferimento alla persona di
Cristo e alla modalità sacramentale della sua permanenza. Cristo non parla nel
passato ma nel nostro presente, come Egli è presente nell'azione liturgica. In
questo orizzonte sacramentale della rivelazione cristiana, la conoscenza e lo
studio della Parola di Dio ci permettono di apprezzare, celebrare e vivere
meglio l'Eucaristia. Anche qui si rivela in tutta la sua verità l'affermazione
secondo cui "l'ignoranza della Scrittura è ignoranza di Cristo".
Benedetto XVI,
Sacramentum caritatis, n. 45
Famiglia e Ascolto
Comunicare, dialogare ascoltare, è essenzialmente rivelarsi e riconoscersi,
è entrare nel mistero dell’altro e lasciare che l’altro entri nel nostro
mistero.
È lo strumento di ogni relazione per conoscere le necessità e il pensiero di
chi siede dall’altra parte della tavola, la via più economica ed autentica per
farsi conoscere.
Per chi si è allenato in famiglia all’ascolto e al dialogo, non sarà difficile
entrare nel dialogo che si realizza tra Dio e l’uomo durante la celebrazione
eucaristica e riconoscerlo.
Dio parla nelle letture, nella Parola, nell’Omelia, e la famiglia/comunità
presente ascolta.
La famiglia comunità risponde attraverso le acclamazioni (rendiamo grazie a
Dio, lode a te o Cristo), le affermazioni (Credo!) e le invocazioni (ascoltaci
Signore) e Dio la ascolta.
A Dio che ha parlato rivelandosi, i fedeli rispondono.
Non è un monologo, è un vero, profondo dialogo. Un dialogo che si compie nel
rito ma che è chiamato ad esprimersi e prolungarsi nella vita di tutti i
giorni.
Associazione L’ora di Gesù, Taranto
17-L’OMELIA
L'omelia ha un unico scopo: nutrire la vita cristiana
L’omelia ha un unico scopo: nutrire la vita cristiana; vale
a dire, "la testa" (la fede) e "la pancia" (l'agire).
L'omelia nutre anzi tutto la fede, perché da una
comprensione più piena e profonda della Parola di Dio ascoltata; non è una
lezione di esegesi, ma manifesta piuttosto la bruciante attualità della Parola
di Dio, "spezzandola" e attualizzandola, affinché penetri nella vita
reale e concreta dei fedeli.
Qui il sacerdote è chiamato a mostrare la realtà e i fatti (familiari,
economici, sociali, culturali e politici) illuminati dalla luce di Cristo. E in
questo frangente che la Parola "tagliente come una spada a due tagli"
(Eb 4,12) deflagra la sua potenza nei cuori e penetra
nelle fibre della vita: spinge alla conversione, fa vedere sotto nuova luce se
stessi, gli altri e i fatti, e sollecita scelte radicali.
L'omelia nutre così anche "la pancia", perché, come accadde agli
uditori di Gesù, anche a noi è chiesto di "prendere posizione", fare
una "scelta di campo": pro o senza Cristo nelle scelte che ci
attendono.
A questo punto l'omelia aiuta i fedeli a entrare "a pie pari" nel
Mistero che si celebra: fare della propria vita un'offerta viva al Padre sia
sull'altare, sia nella vita quotidiana.
Elisabetta Casadei
18-TESTIMONIANZE
SULL’ASCOLTO
La Parola è capace di entrare nelle viscere e scavare e rinnovare la nostra vita
La preghiera dei
fedeli
Non abbiamo mai considerato il Signore come una sorta di supermercato delle
Grazie. Sicuramente affidiamo a Lui tutte le situazioni difficili, ma senza la
pretesa che le cose vadano come piacerebbe a noi.
A volte certe preghiere dei fedeli domenicali ci fanno sorridere: più che
preghiere a Dio Padre sembrano dei promemoria particolareggiati per un nonno un
po’ smemorato!
Elisabetta
Una lingua da
discepolo
Quando faccio il lettore, prima di proclamare la Parola, chiedo in
preghiera la grazia al Signore di donarmi lingua da discepolo perché la Parola
arrivi nel cuore di chi ascolta. La Parola è capace di entrare nelle viscere e
scavare e rinnovare la nostra vita e risuona, e risuona… peccato che noi
viviamo nel rumore e nel caos…
Tiziana
Parola e dialogo
La parola e il dialogo legano insieme le bevande e il cibo. La parola mette
in relazione; i gesti, anche solo il passarsi l’acqua, sono segno di servizio
fra noi.
Lo scambio di sguardi con chi si ha di fronte (marito o moglie) diventa per il
coniuge complicità, ulteriore dialogo. Solo a tavola lui/lei è di fronte a me,
seduto, con gli occhi alla stessa altezza. Il fare posto a Gesù nei nostri
pasti, è permettere che, attraverso il Suo stare a tavola tra noi, Lui possa
trasformare tutto ciò che è posto sul tavolo e dare a ogni cosa e gesto un
valore.
Marzia e Maurizio
A ognuno la sua
Parola
Prima di andare a Messa noi leggiamo, meditiamo e parliamo tra noi delle
letture del giorno, così capiamo meglio l’omelia preparata dal sacerdote.
Questo ci aiuta a comprendere la parola
a noi dedicata; infatti, quando torniamo a casa, ci accorgiamo che ricordiamo
particolari diversi, perché ognuno ha la sua Parola.
Franca e Mariano
Ritornare sull’omelia
La Liturgia della Parola è forse uno dei momenti in cui abbiamo sempre
cercato di coinvolgere i nostri figli, da quando sono stati sufficientemente
grandi da poterla capire.
A casa riprendendo il brano di Vangelo se ne parla, cercando di ricordare
almeno i punti principali dell’omelia (cosa sempre molto difficile) e portarlo
poi nella nostra vita.
Anna e Ferruccio
Per i bambini
Canta con tutta la gioia che hai dentro di te l’Alleluia. Alleluia è una
parola ebraica che significa: Lodate Dio. Pensa a questo significato mentre la
canti.
Laura Salvi
Per il lavoro di
coppia e di gruppo
• Quale esperienza abbiamo di
ascolto in coppia e in famiglia?
• Che cosa rende difficile
l’ascolto reciproco?
• Quale esperienza di ascolto
della Parola in casa?
• Che cosa può essere importante
per dare peso alla Parola nella liturgia?
• A quali condizioni la Parola
ascoltata può diventare motivo di lode?
don
Renato Tamarini, Trento
19-SAPER
DIRE GRAZIE DI CIÒ CHE SI HA
Pane e vino sono frutto della terra e del lavoro dell’uomo
Il dono di sé è la cosa più costosa che c’è sulla terra
La Messa educa all’offerta: cioè al dono di sé…
gratuitamente ho ricevuto: gratuitamente dono. Dono l’amore a mio
marito/moglie, ai miei figli, ai parenti, agli amici; ai più sfortunati di me
nella vita, sapendo che quello che sono e ho mi chiede di dire grazie e di non
essere tenuto gelosamente per me.
Padri Sacramentini
Per entrare in
argomento
Pensiamo a cosa succede durante l’offertorio: “Benedetto sei tu Signore,
Dio dell’universo, dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane, frutto della
terra e del lavoro dell’uomo”.
La terra non fa il pane, non esiste l’albero dei panini, e neanche l’albero
delle bottiglie. Esistono la vite ed il grano, il pane ed il vino sono frutto
della terra e del lavoro dell’uomo.
È ciò che la natura ci ha dato, e che noi abbiamo lavorato.
Non basta che portiamo il grano all’Eucaristia, dobbiamo portare il pane. Il
grano impastato da noi.
Non basta dire: “Io sono qui, mi dono a te”. Io devo anche lavorarmi per
offrirmi a te.
Offro a te il grano della mia natura che sono, ma con tutto il processo di
fatica, di laboriosità, di costruzione del carattere, di ascesi, di sforzo, di
impegno, che io ci metto perché questo grano diventi mangiabile.
Perché questo è divino, perché se voglio essere simile a Dio devo essere mangiabile,
perché Dio si dà da mangiare, è la cosa più mangiabile che c’è.
L’albero non ha senso senza frutti, un albero sterile si taglia. Dio è un
albero che dà frutti dodici mesi l’anno e le cui foglie guariscono le nazioni.
E se noi vogliamo essere simili a Dio dobbiamo diventare mangiabili e questo
non può accadere senza sforzo. Quando noi portiamo all’altare il pane ed il
vino portiamo quello che Dio ci ha dato e quello che noi abbiamo lavorato su di
esso. Il frutto della nostra fatica e del nostro impegno.
Anche nella reciprocità familiare, perché la vita familiare è dono e offerta,
cosa portiamo?
Quello che Dio ci ha dato e quello che noi investiamo per diventare gradevoli,
capaci di sopportare, di dialogare, di perdonare, di accogliere, di
sorridere... Il dono di sé è la cosa più costosa che c’è sulla terra.
Se tu vuoi donarti devi dare te stesso, non soldi. Se ti doni vuol dire che una
parte di te non ti appartiene più.
Educare significa insegnare ai bambini, ai ragazzi, a fare questo, man mano che
crescono.
Non cresceranno più felici se darete loro più cose, ma se voi, avendo vissuto
questo, sarete capaci di trasmettere questo. Lo sappiamo, ma ci fa più comodo
pensare che i soldi rendano felici, perché i soldi non ci costano: non sono me,
non sono il dono di me stesso. Allora il fatto di offrirsi, di donarsi è
importante.
Cristo si è donato, Dio si è donato fino alla morte di croce. Non ha tenuto
niente per sé.
Tutto quello che teniamo per noi, nell’amore, è peccato, perché non viene dalla
fede.
Arcidiocesi di Lucca
Q
Il Magistero
Vorrei richiamare l'attenzione anche sulla presentazione dei doni. Non si
tratta semplicemente di una sorta di “intervallo” tra la liturgia della Parola
e quella eucaristica. Ciò farebbe venir meno, tra l'altro, il senso dell'unico
rito composto di due parti connesse.
In questo gesto umile e semplice si manifesta, in realtà, un significato molto
grande: nel pane e nel vino che portiamo all'altare tutta la creazione è
assunta da Cristo Redentore per essere trasformata e presentata al Padre.
In questa prospettiva portiamo all'altare anche tutta la sofferenza e il dolore
del mondo, nella certezza che tutto è prezioso agli occhi di Dio.
Questo gesto, per essere vissuto nel suo autentico significato, non ha bisogno
di essere enfatizzato con complicazioni inopportune. Esso permette di
valorizzare l'originaria partecipazione che Dio chiede all'uomo per portare a
compimento l'opera divina in lui e dare in tal modo senso pieno al lavoro
umano, che attraverso la Celebrazione eucaristica viene unito al sacrificio
redentore di Cristo.
Benedetto XVI,
Sacramentum caritatis, n. 47
20-L’OFFERTORIO
Nel pane e nel vino i fedeli offrono la loro vita nelle mani di Cristo
Non so se vi è mai capitato di mangiare “alla portarella”: ognuno porta qualcosa, la pone sulla tavola
addobbata e poi si mangia insieme, condividendo cibo e vita. È proprio ciò che
facevano i primi cristiani quando si riunivano per fare Eucaristia, è ciò che
facciamo ancora oggi, seppure in modo simbolico.
Nell’offrire il pane e il vino e nel consegnarli nelle mani del sacerdote, i
fedeli offrono e consegnano la loro vita nelle mani di Cristo, affinché sia
offerta e sacrificata al Padre in unione con il sacrificio di Cristo.
In altre parole, nella consegna di questi due elementi la Chiesa-Sposa si
consegna nelle mani dello Sposo, affinché la renda santa in Lui, senza macchia,
né ruga.
Un gesto quindi di suprema responsabilità, fede e amore (da far tremare le
ginocchia!), che necessita di essere preparato con cura.
Solo nel pane e nel vino possiamo mettere tutta la nostra vita, perché solo
essi vengono consacrati; tutti gli altri doni, per quanto significativi possano
essere per la nostra vita, non ricevono la Preghiera eucaristica e rimangono
tali. Pertanto, ogni altro dono è per i poveri o per le necessità della chiesa.
Anche se il pane e il vino sono consegnati materialmente al sacerdote solo da
alcuni fedeli, spiritualmente ciascuno è chiamato a portare i doni all’altare,
perché come prescrive Mosè e come insegna la tradizione: “Nessuno si presenterà
davanti al Signore a mani vuote” (Dt 16,16).
È però diritto e dovere di ogni cristiano non solo unire la propria vita a
Cristo morto e risorto, ma anche far passare il mondo e il lavoro umano
(simboleggiati appunto dal pane e dal vino) dalle loro mani a Dio, ossia
presentarli e ricondurli alla loro Origine e al loro ultimo Fine: quello
divino. In questo gesto il sacerdozio battesimale fa essere i fedeli anche
“sacerdoti del mondo e del creato”.
Elisabetta Casadei
21-TESTIMONIANZE
SULL’OFFERTA
Destiniamo circa il dieci per cento delle nostre entrate alla condivisione
Cosa offrire
All’offertorio spesso il clima di preghiera è disturbato dalla ricerca
delle varie monetine da versare nell’obolo; ma non è questo il vero offertorio.
Il Signore vuole sull’altare la nostra giornata, le nostre fatiche, le lacrime
ma anche la nostra gioia, la lode e il ringraziamento per quello che siamo e
che ci dona. Ripensare alla settimana trascorsa, al fallimento verso un figlio,
alla fatica di dire Sì ogni giorno alla nostra missione.
Tiziana
L’elemosina
Quando per strada troviamo qualcuno che chiede qualcosa tendendo la mano,
ci mette in crisi perché a tutti non è possibile dare, e quale criterio
dobbiamo usare per donare?
All’offertorio offriamo anche le nostre domande, perché ci aiuti ad essere
giusti.
Franca e Mariano
Condividere con gli
altri
Da quando ci siamo sposati destiniamo circa il dieci per cento delle nostre
entrate alla condivisione.
Lo consideriamo un gesto di giustizia più che di carità, è diventata
un’abitudine e non ci pesa.
Fino ad ora, nonostante siamo due insegnanti, non ci siamo mai trovati alle
prese con difficoltà tali da rimpiangere quei soldi.
Elisabetta
Mai a mani vuote
Nella santa messa, all’offertorio, portiamo all’altare i frutti del nostro
lavoro come ringraziamento.
Rappresenta il nostro offrirci, insieme al sacrificio di Gesù.
Il pane è il frutto del lavoro e della fatica; il vino è il segno della festa,
della gioia di ritrovarsi insieme.
Come quando si è invitati a una festa, c’è sempre il dono. Non si va mai a mani
vuote ma ognuno porta qualcosa, un pensiero, un piccolo dono, segni del nostro
affetto e come ringraziamento per essere stati invitati.
Marzia
Le offerte
I doni che, frutto del duro lavoro e della fatica dei credenti, vengono raccolti
devono servire per opere di liberazione: riscatto di schiavi, di esiliati, di
condannati ai lavori forzati nelle miniere o alla lotta con le belve nei
circhi: i diaconi si rechino da costoro e li visitino ripartendo tra loro ciò
di cui hanno bisogno.
Didascalia apostolo rum
Una sola assemblea
Nell’antichità era consuetudine celebrare un’unica eucaristia presieduta
dal vescovo.
Quando a Roma, per motivi pastorale, si comincerà a celebrare più messe
domenicali, il senso dell’unicità dell’assemblea sarà mantenuto e manifestato
per mezzo del fermentum, un pezzetto di pane eucaristico della messa papale
inviato ai presbiteri perché lo infondessero nel calice dell’eucaristia da loro
presieduta.
Enzo Bianchi
Per i bambini
La messa è il banchetto che Gesù prepara per tutti i suoi fratelli e le sue
sorelle.
A un banchetto si sta insieme, si fa festa, ci si ascolta, ma soprattutto si
mangia e si beve. Per questo bisogna preparare la tavola!
Laura Salvi
Per il lavoro di
coppia e di gruppo
• La famiglia ci aiuta a
crescere nella capacità di donare?
• In quale modo cerchiamo di
educare i figli alla gioia del donare?
• Di che cosa ci parla il pane
sulla tavola? Come preghiamo prima dei pasti?
• Come possiamo ricordare il
lavoro dell’uomo e della donna nella celebrazione?
don
Renato Tamarini, Trento
22-GESU’
CRISTO: PRESENZA VIVA
Il comando che Gesù ci ha lasciato non è: “ricordate”,
ma “fate!”
L’amore dei coniugi è segno della presenza di Dio sulla terra
Una storia familiare costruita sui ricordi affettivi ha la
possibilità di creare legami oltre il tempo e lo spazio abilitandoci alla
comprensione del memoriale eucaristico.
Padri Sacramentini
Per entrare in
argomento
Se noi veramente offriamo il nostro amore agli altri e a Dio, allora Dio lo
accoglie, lo fa suo. Qui è il bello, Dio consacra il nostro dono. È ciò che
succede a messa.
Dio accoglie questo pane e questo vino che noi abbiamo lavorato con un po’
d’acqua e qualche strumento, con la fatica delle nostre mani, lo accoglie e con
il dono del suo Spirito fa in modo che quel pane e quel vino non siano più solo
il frutto della vite e del nostro lavoro, ma presenza sua.
Se noi ci doniamo autenticamente agli altri, Dio accoglie questo nostro impegno
e fa sì che il nostro amore non sia solo il nostro amore ma la sua presenza.
Il sacramento del matrimonio è quella cosa per cui il tuo amore non è più il
tuo amore, ma la presenza di Dio sulla terra. Per cui gli altri vedendoti
dovrebbero dire: “Guarda come si amano”. Ma parla dell’amore di Dio, di un
amore divino che ha creato l’uomo capace di vivere divinamente, cioè
nell’amore. È la forma più semplice di evangelizzazione.
Il diavolo, che è furbo, non va a colpire i teologi, va a colpire le famiglie.
Perché chiuso il rubinetto dell’amore familiare, è chiuso il flusso dell’amore
di Dio nel mondo, persa l’immagine di Dio nell’uomo e nella donna, perso
l’amore nella natura, il senso del mondo.
E lui diventerebbe davvero il principe di questo mondo, questo è il suo
disegno; smascheriamolo e facciamo vedere che non è così. Che ogni famiglia è
un luogo di unità e di amore.
Arcidiocesi di Lucca
Q
Il Magistero
La preghiera eucaristica è “momento centrale e culminante dell'intera
celebrazione”. La sua importanza merita di essere adeguatamente sottolineata.
Le differenti preghiere eucaristiche contenute nel Messale ci sono tramandate
dalla Tradizione viva della Chiesa e si distinguono per una ricchezza teologica
e spirituale inesauribile.
I fedeli devono essere messi in grado di apprezzarla.
L'Ordinamento Generale del Messale Romano ci aiuta in questo ricordandoci gli
elementi fondamentali di ogni preghiera eucaristica: azione di grazie,
acclamazione, epiclesi, racconto dell'istituzione, consacrazione, anamnesi,
offerta, intercessione e dossologia conclusiva.
In particolare, la spiritualità eucaristica e la riflessione teologica vengono
illuminate se si contempla la profonda unità nell'anafora tra l'invocazione
dello Spirito Santo [epiclesi] e il racconto dell'istituzione, in cui “si
compie il sacrificio che Cristo stesso istituì nell'Ultima Cena”.
Infatti, “la Chiesa implora con speciali invocazioni la potenza dello Spirito
Santo, perché i doni offerti dagli uomini siano consacrati, cioè diventino il
Corpo e il Sangue di Cristo, e perché la vittima immacolata, che si riceve
nella Comunione, giovi per la salvezza di coloro che vi parteciperanno”.
Benedetto XVI,
Sacramentum caritatis, n. 48
Famiglia, Stupore e
Memoria
Stupirsi è ammettere il nostro
limite, ma soprattutto riconoscere la diversità di coloro che abbiamo accanto e
hanno in sé un seme di novità da poter cogliere e in questo saper ringraziare
per la loro esistenza, per la loro presenza accanto a noi.
Eucaristia significa rendimento di grazie, ringraziare con tutto il cuore, con
tutta l’anima, con tutto il proprio essere.
Educare alla meraviglia, allo stupirsi, al rimanere sbalorditi davanti ai
piccoli e grandi eventi che la vita familiare ci regala, abilita al
riconoscimento e al ringraziamento delle opere mirabili che Dio compie in noi e
intorno a noi e ci rende sensibili al suo operato.
Ricordare significa possedere un
patrimonio di comprensione e condivisione che passa attraverso oggetti, fatti,
persone, aneddoti che sono a conoscenza di tutti.
Una volta richiamati non devono essere spiegati e contengono di per sé un
valore simbolico.
Ogni cosa che crea legami (oggetto, fatto, evento, luogo, etc.) ha un forte
potere evocativo e lega il passato al presente e il presente al futuro
ricordando che non esiste un passato, ma soltanto una presenza viva, un dialogo
mai interrotto.
Il far memoria in famiglia spalanca
la porta al memoriale eucaristico dove il passato si attualizza per lasciarci
la nostalgia di Lui, e nell’oggi una “Presenza” nascosta nel segno
sacramentale.
Associazione L’ora di Gesù, Taranto
23-IL MEMORIALE
Il comando che Gesù ci ha lasciato non è "ricordate" o
"raccontate" ma "fate"!
Il Racconto dell’ultima cena non è solo un racconto, ma
molto di più.
È un memoriale, cioè “una memoria che fa” e che nel linguaggio biblico-ebraico si può spiegare semplicemente così: ciò che
Cristo fece nell’ultima cena e sulla croce, lo fa anche oggi, qui e adesso all’altare.
Oggi dona, offre il suo corpo e il suo sangue, ossia tutto Se stesso a te, a
noi, per vincere il male e la morte che albergano in ciascuno.
Il comando che ci ha lasciato non è: “ricordate” o “raccontate”, ma “fate!”.
È un comando di una potenza tale che non può essere ridotto alla Sua sola
presenza reale nel pane e nel vino: la Consacrazione (racchiusa nel Racconto
dell’ultima cena e che avviene alle parole: “Prendete… questo è il mio
Corpo/questo è il mio Sangue”) non è questione di rendere presente un assente,
quasi fosse una seduta spiritica!
È molto di più: è il Padre che dona il Figlio e il Figlio che dona se stesso a
noi per amore del Padre, riducendo all’impotenza il male e la morte, come ben
esprimono i testi liturgici del Racconto dell’Ultima Cena.
È un comando di una potenza tale che da atto liturgico è divenuto Parola di Dio
attraverso i racconti dell’ultima cena dei Sinottici e di Paolo: proprio
l’inverso di quello che comunemente si pensa!
Infatti, queste pericopi bibliche derivano dalle preghiere eucaristiche e gli
evangelisti non hanno fatto altro che trascrivere ciò che le loro comunità già
“facevano” in obbedienza al comando di Gesù.
Elisabetta Casadei
24-TESTIMONIANZE
SULLA CONSACRAZIONE
Abbiamo mille motivi per ringraziare, peccato che a volte perdiamo tempo
prezioso a mormorare
Viene Gesù
Mettersi in ginocchio, se si può e la salute lo permette, il raccoglimento,
la preghiera personale davanti a Gesù che si fa presente in mezzo a noi, a
volte fa in modo che anche i bimbi si calmino, perché capiscono che sta
succedendo qualcosa d’importante se anche la mamma e il papà si mettono in
preghiera. Bisogna magari prepararli a casa dicendo quello è il momento più
importante nella Messa in cui si deve davvero stare attenti, perché viene Gesù.
Franca e Mariano
Pane spezzato
Pensate che Dio meraviglioso abbiamo, non solo è venuto nel mondo facendosi
bambino, vivendo in una famiglia, vivendo le nostre stesse fatiche, camminando
per le strade della Galilea ma si è fatto pane spezzato…
Tiziana
Questa famiglia
All’interno della Preghiera eucaristica III, il sacerdote, a nome di tutti
noi, chiede a Dio di ascoltare la preghiera ”questa famiglia”, e domandandoGli poi di ricongiungere a sé tutti i suoi “figli
ovunque dispersi”. Quale miglior momento, dati anche i termini usati, per
ricordare in particolare i propri familiari (ma anche parenti e amici) lontani
dalla fede o dai Sacramenti, e quasi portarli, coinvolgerli nella comunione
della Chiesa anche se fisicamente non partecipano alla messa?
Elda e Fabio
Ringraziare il
Signore
Eucaristia significa rendimento di grazie. Abbiamo mille motivi per
ringraziare, peccato che a volte perdiamo tempo prezioso a mormorare.
Ringraziamo e lodiamo Dio per il dono della vita, per la nostra famiglia, per i
nostri figli, per il lavoro e la salute ma lodiamolo soprattutto quando sembra
non esserci nessun motivo per lodare… la potenza della lode fa miracoli,
credetemi!
Tiziana
Essere santi
A volte scherzando diciamo che ventitre anni di matrimonio ci hanno resi
non tanto santi, quanto martiri.
Ironia a parte, non saprei davvero anticipare che ne sarà di noi in quanto
coniugi, genitori, figli a nostra volta…
Cerchiamo di combattere la buona battaglia, ci auguriamo di arrivare vittoriosi
alla fine della corsa.
Elisabetta
Pregare a tavola
La preghiera di ringraziamento che recitiamo insieme prima dei pasti ha
anche il compito di porre equilibrio tra noi e il cibo (non abbuffarsi) e tra
noi e le parole che escono dalla nostra bocca (trattenere i nostri istinti non buoni).
Stare a tavola con gli altri è segno di fiducia nell’altro, è manifestare il
desiderio di stare assieme per conoscersi meglio: “Ho tanto desiderato mangiare
con voi” (Lc 22,15).
Marzia e Maurizio
Per i bambini
Il Santo è il canto degli angeli che in cielo stanno alla
presenza di Dio: anche tu canti con loro poi ti inginocchi e congiungi le mani.
Il tuo corpo si raccoglie per prepararsi al dono di Gesù.
Laura Salvi
Per il lavoro di
coppia e di gruppo
• Che cosa chiediamo
normalmente nella nostra preghiera in famiglia?
• Nella comunità cristiana c’è
consapevolezza di star pregando, di parlare con il Padre?
• È frequente l’occasione di
dirsi grazie in casa?
• Di che cosa sentiamo di dire
grazie a Dio?
don
Renato Tamarini, Trento
25-AMORE,
PACE E COMUNIONE
La comunione: essere serviti per poter servire
Il Corpo di Cristo è il pane degli ultimi tempi, capace di dare
vita, e vita eterna
Diamo la giusta precedenza e significato al pranzo
domenicale.
È un momento da vivere con calma, senza il condizionamento di orari e ritmi di
vita che sovente ci rendono schiavi. Viviamo il momento dell'Eucaristia
possibilmente insieme, serenamente, come famiglia che rende grazie per quello
che è e per quello che ha.
Padri Sacramentini
Per entrare in
argomento
L’amore porta alla vera comunione, che fa di due una cosa sola.
Questo è l’amore eucaristico, che celebriamo quando andiamo a mangiare il corpo
di Cristo.
Creiamo un’unità d’amore tra noi e Dio fatto carne, nel suo corpo donato per
noi, risorto per noi, glorioso. Questo è il vangelo di cui ha bisogno il mondo,
di cui ha sempre avuto bisogno.
Per questo ha creato il mistero dell’Eucaristia, perché il segno di questa
comunione di amore che accoglie, perdona, lava, dona, consacra, diventa una
comunione totale, fa di due uno.
Quando i coniugi si uniscono non sono più due, ma una sola carne, dice la
Scrittura.
Fisicamente, psicologicamente, affettivamente e spiritualmente. Dio cerca
questa comunità d’amore con l’uomo.
La moglie rimane moglie ed il marito rimane marito, ma più sono uniti, più sono
uno. Dio rimane Dio, noi rimaniamo noi, povere creature, ma più siamo uniti,
più siamo uno, e più Dio brilla in noi.
Siamo come il roveto ardente di Mosè, su cui il fuoco di Dio si compiace di
bruciare.
La gloria di Dio è ardere sopra la nostra povertà ed illuminare il mondo.
Purché noi glielo concediamo.
Arcidiocesi di Lucca
Q
Il Magistero
L'Eucaristia è per sua natura Sacra-mento della pace.
Questa dimensione del Mistero eucaristico trova nella Celebrazione liturgica
specifica espressione nel rito dello scambio della pace.
Si tratta indubbiamente di un segno di grande valore (cfr Gv
14,27).
Nel nostro tempo, così spaventosamente carico di conflitti, questo gesto
acquista, anche dal punto di vista della sensibilità comune, un particolare
rilievo in quanto la Chiesa avverte sempre più come compito proprio quello di
implorare dal Signore il dono della pace e dell'unità per se stessa e per
l'intera famiglia umana.
La pace è certamente un anelito insopprimibile, presente nel cuore di ciascuno.
La Chiesa si fa voce della domanda di pace e di riconciliazione che sale
dall'animo di ogni persona di buona volontà, rivolgendola a Colui che ”è la
nostra pace” (Ef 2,14) e che può rappacificare popoli
e persone, anche dove falliscono i tentativi umani.
Da tutto ciò si comprende l'intensità con cui spesso il rito della pace è
sentito nella Celebrazione liturgica.
Benedetto XVI,
Sacramentum caritatis, n. 49
Famiglia e
Condivisione
Lavare, stirare, accudire, preparare il pranzo, accompagnare a scuola il
mattino presto i figli... attendere per essere ascoltato, sopportare le
sfuriate della mamma che a volte non si capisce da dove nascano… non sono atti
dovuti, ma piccoli costanti servizi di amore quotidiani.
Nella famiglia lo stile di vita di servizio emerge per simpatia, cioè per
“conformità nel sentire”, come dice originariamente il termine greco.
È vivendo insieme che si realizza questa conformità (= convivialità
spirituale).
A tavola si sperimenta fino in fondo questa comunione a doppio senso: essere
serviti e servire.
Ciò che si mangia insieme e ci nutre è dono e condivisione allo stesso tempo.
Il pane da mangiare è condiviso: spezzato perché tutti ne abbiano.
La diaconia ecclesiale procede dunque dall’eucaristia.
È come se ogni comunicante potesse dire al fratello: che cosa ci potrà separare
se viviamo tutti del pane spezzato che il Padre ci offre donandoci il suo
Cristo?
Nella liturgia i segni parlano; il pane non è fatto solo per essere mangiato:
esige anche di essere condiviso.
Quindi il dono ricevuto si iscrive nella vita solo se spinge chi si comunica a
farsi commensale di ogni uomo.
Associazione L’ora di Gesù, Taranto
26-LA COMUNIONE
L'uomo porta in sé anche fame di vita, di amore, di eternità
Oltre alla fame fisica l’uomo porta in sé un’altra fame, una
fame che non può essere saziata con il cibo ordinario.
È fame di vita, fame di amore, fame di eternità.
Gesù ci dona questo cibo, anzi, è Lui stesso il pane vivo che dà la vita al
mondo (cfr Gv 6,51). Il suo Corpo è il vero cibo
sotto la specie del pane; il suo Sangue è la vera bevanda sotto la specie del
vino.
Non è un semplice alimento con cui saziare i nostri corpi, come la manna che
nutrì Israele nel deserto; il Corpo di Cristo è il pane degli ultimi tempi,
capace di dare vita, e vita eterna, perché la sostanza di questo pane è
l’Amore.
Se ci guardiamo attorno, ci accorgiamo che ci sono tante offerte di cibo che
non vengono dal Signore e che apparentemente soddisfano di più.
Alcuni si nutrono con il denaro, altri con il successo e la vanità, altri con
il potere e l’orgoglio. Ma il cibo che ci nutre veramente e che ci sazia è
soltanto quello che ci dà il Signore!
Ognuno di noi può domandarsi: e io? Dove voglio mangiare? A quale tavola voglio
nutrirmi? Alla tavola del Signore? O sogno di mangiare cibi gustosi, ma nella
schiavitù?
Qual è la mia memoria? Quella del Signore che mi salva, o quella dell’aglio e
delle cipolle della schiavitù? Con quale memoria io sazio la mia anima?
Papa Francesco
27-TESTIMONIANZE
SULLA COMUNIONE
Ricevere Gesù e sentirlo operante dentro di noi è un
grande privilegio
Il Padre Nostro
La messa nella nostra Famiglia è un momento importante ma avendo i bimbi
relativamente piccoli non abbiamo mai voluto forzare troppo, anche perché non
tutte le parti della messa sono pienamente comprensibili da un bimbo di cinque
anni!
Abbiamo però sempre cercato di renderli partecipi dei momenti che sono per loro
più chiari e familiari.
Il momento del Padre Nostro in particolare, detto tutti insieme tenendosi per
mano, è un momento quotidiano delle nostre preghiere dette insieme alla sera,
riviverlo durante la messa significa estendere il senso di famiglia alla
comunità parrocchiale riunita per la messa domenicale. Un gesto semplice per
far capire che Dio Padre è “nostro” di tutti, non solo della nostra famiglia!
Daniela e Pierpaolo
Gli occhi dell’altro
Scambiamoci la pace con cuore umile, con sguardo puro, guardandoci negli
occhi. Spesso manca questo incrocio di sguardi, siamo solo in ricerca di mani
senza volto…
Tiziana
Scambiarsi la pace
Un momento vivo, soprattutto per i bambini e nei giovani, è lo scambio
della pace. Alcuni si spostano dal loro posto e vanno a portare la pace ai
propri genitori o agli amici.
Forse è un po’ più caotico dello stringere la mano unicamente al proprio
vicino, ma ci fa capire che siamo vivi e abbiamo bisogno di relazioni.
Anna e Ferruccio
Un grande privilegio
Ricevere Gesù, tenerlo nel cuore, portarlo a casa e sentirlo operante
dentro di noi è un grande privilegio.
Possiamo dirgli cosa ci sta a cuore, ringraziarlo, pregare con Lui e poi fare
silenzio e ascoltare. Se devi prendere decisioni importanti e stai aspettando
delle risposte da Lui, ascolta bene durante la Messa e ogni persona che
incontri, chi ti è vicino in famiglia e cerca di capire. Poi ti accorgi che
quella persona incontrata per caso ti ha detto le parole che aspettavi, ti ha
dato la risposta a ciò che avevi chiesto. Quando succede, è un’emozione che
commuove. Non sempre accade subito, bisogna pregare e attendere, ma la risposta
arriva. Ne sono testimone.
Franca
Non poterlo
accogliere
Ho sentito il dolore di non poter ricevere Gesù una volta a Medjugorie.
Eravamo fuori dalla chiesa perché c’era tanta gente alla messa in italiano. La
porta davanti a noi non si è mai aperta…
Alla fine della comunione il sacerdote si scusò dicendo che essendo in tanti
non erano bastate le particole; a noi, che eravamo rimasti senza ricevere Gesù,
ci fu chiesto di unirci alle sofferenze dei coniugi separati o divorziati che
non possono riceverlo e di recitare la comunione spirituale.
Caro Gesù come sei grande!
Tiziana
Per i bambini
Sei invitato al banchetto: lentamente esci dai banchi e dirigiti al centro
della chiesa per ricevere il corpo di Gesù. Apri le tue mani e preparati ad
accogliere il dono più grande.
Laura Salvi
Per il lavoro di
coppia e di gruppo
• Che valore diamo in
famiglia al prendere il pasto insieme?
• Chi invitiamo più facilmente a
condividere il pasto con noi?
• Diventare buon pane per i
fratelli è la finalità della nostra unione personale con Gesù?
• La comunione eucaristica
sostiene ed esprime il nostro impegno di diventare come Gesù?
don
Renato Tamarini, Trento
28-CONGEDO E MISSIONE
La messa è finita: andate in pace ad annunciare Cristo
Ed essi dissero l'un l'altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore
mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».
Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme...
Essere famiglia non è solo un fatto sociale, ma è una vera e
propria missione, è una vocazione da vivere e fare crescere, in un costante
confronto e dialogo con Dio, per chiedere il suo aiuto, per dirgli grazie, per
arrabbiarsi con Lui, per scusarsi, ecc.
Padri Sacramentini
Per entrare in
argomento
Ecco da dove scaturisce la missione, alla fine della messa: andate e
portate a tutti l’annuncio del Signore risorto. “Andate” vuol dire che quando
noi abbiamo comunicato a quel corpo e a quel sangue di Cristo, siamo diventati,
in virtù dell’amore, quell’amore di Cristo.
Le mie mani sono quelle di Cristo, i miei piedi quelli di Cristo, il mio cuore,
i miei pensieri.
Vuol dire che Cristo, che è nei cieli, ha il suo corpo, la sua pienezza, qui
sulla terra, e siamo noi.
Ci viene affidata una missione di vita: portare, testimoniare, annunciare,
vivere, dire, incarnare l’amore di Dio nella nostra vita.
Arcidiocesi di Lucca
Q
Il Magistero
Infine, vorrei soffermarmi sul saluto di congedo al termine della
Celebrazione eucaristica.
Dopo la benedizione, il diacono o il sacerdote congeda il popolo con le parole:
“Ite, missa est”.
In questo saluto ci è dato di cogliere il rapporto tra la Messa celebrata e la
missione cristiana nel mondo.
Nell'antichità “missa” significava semplicemente “dimissione”. Tuttavia essa ha
trovato nell'uso cristiano un significato sempre più profondo.
L'espressione “dimissione”, in realtà, si trasforma in “missione”. Questo
saluto esprime sinteticamente la natura missionaria della Chiesa.
Pertanto, è bene aiutare il Popolo di Dio ad approfondire questa dimensione
costitutiva della vita ecclesiale, traendone spunto dalla liturgia.
In questa prospettiva può essere utile disporre di testi, opportunamente
approvati, per l'orazione sul popolo e la benedizione finale che esplicitino
tale legame.
Benedetto XVI,
Sacramentum caritatis, n. 51
Famiglia e Missione
I genitori altro non sono che la spiaggia da cui i figli, con timore,
imparano ad allontanarsi, attratti da ciò che ancora non vedono.
Ogni giorno di più si avventurano in acqua, sempre più lontano, a volte
scomparendo all’orizzonte.
Rimane però in loro la certezza che quella spiaggia sarà sempre un luogo dove
poter ritornare per riposarsi e da cui poter ripartire.
Le famiglie passano, nei loro modi e tempi, qualcosa della propria vita alle
nuove generazioni e se queste saranno poi capaci di dare a loro volta quello
che hanno ricevuto vorrà dire che il mondo procede.
Il congedo a fine celebrazione eucaristica vissuta con queste consapevolezze,
non diventa un mesto e banale “la Messa è finita”, ma invito a fare come Lui ha
fatto.
Ritemprati dalla comunione, possiamo portare quello che abbiamo vissuto nel
nostro quotidiano: siamo lanciati nel mondo, quasi buttati fuori, ma
consapevoli di poter tornare ogni volta che lo desideriamo, per far
rifornimento.
Associazione L’ora di Gesù, Taranto
29-UNA COMUNITÀ
MISSIONARIA
L'evangelizzazione è il fondamento della fede cristiana
Una delle espressioni più correnti per indicare la domenica
è il termine inglese week-end.
Così da un fine settimana all'altro entra nella testa della gente una sorta di
cifra della vita, come un andare fatale verso la fine,
con l'oblio del fine dell'esistenza.
Totalmente altro nella scansione cristiana del tempo, che vede invece nella
domenica il giorno del Signore, la nuova aurora dell'umanità, nel mistero
radioso del Risorto.
Qui si procede non di fine in fine, ma d'inizio in inizio, di aurora in aurora,
di Pasqua in Pasqua.
Solo così la vita conserva la spinta originaria verso una “più vita”; e
conserva la sua radiosa verità di vigilia. Solo così, di domenica in domenica,
il primo giorno dopo il sabato ebraico, si approda nell' “ottavo giorno” della
pasqua eterna.
La settimana cristiana, pertanto, non interpreta la domenica come week-end, ma
come primo giorno, con l'incontro dei credenti attorno alla mensa del Risorto
nell'Eucaristia: per riascoltare la Parola, per spezzare il pane e per ritornare
sulle strade della città con il cuore traboccante di gioia, per comunicare
l'unica notizia che ha cambiato la storia del mondo: quella del Cristo
vittorioso sulla morte, che ha strappato la maschera beffarda del nichilismo.
L'Eucaristia non esaurisce, pertanto, il compito della comunità che si incontra
attorno alle due mense nel giorno del Signore.
“L'evangelizzazione non è una delle tante attività dei cristiani: assieme alla
celebrazione dell'Eucaristia è il fondamento della fede cristiana. Tra i due
momenti esiste una simbiosi tale che non può esistere l'una senza l'altra”.
La comunità eucaristica esiste per evangelizzare; pertanto la missione non è un
aggettivo della comunità ecclesiale bensì un sostantivo: la Chiesa è missione o
non è Chiesa.
C'è una consegna dunque alla fine della celebrazione eucaristica: la Messa va
vissuta nella vita.
La grazia del Risorto ha bisogno di essere metabolizzata nel seguito dei giorni
feriali. La domenica non è cifra della caducità, ma della novità del Cristo vittorioso
sulla morte.
† Enrico Masseroni, arcivescovo emerito di Vercelli
30-TESTIMONIANZE SULLA MISSIONE
La Messa è vita e inizia dove finisce la celebrazione
Stare un po’ con Gesù
Durante il canto finale come famiglia facciamo sempre il bilancio su quanto
questa volta hanno disturbato i bambini e un po’ ci si sentiamo sollevati che
sia finita la necessità di tenere a bada i figli.
Comunque, per un motivo o per l’altro ci fermiamo ancora per qualche minuto in
chiesa, per accendere un lumino alla Madonna o per salutare i nonni, e facciamo
fatica a metterci nella testa di quelle persone che vediamo uscire già
all’inizio del canto finale.
Forse avranno fretta, ma anche noi siamo di fretta perché, frequentando la
messa prefestiva, a casa c’è ancora la cena da preparare, ed è già tardi per i
bambini. Se ci attardiamo è perché in chiesa stiamo bene, ci sentiamo un po’ a
casa e ci fa piacere stare un po’ con Gesù anche al di fuori della
celebrazione.
Massimo
Vivere “in pace”
La Messa è vita e inizia dove finisce la celebrazione. Se vogliamo, si può
andare d’accordo con tutti, anche con coloro che la pensano diversamente da
noi. Dove abitiamo ci sono musulmani, atei, testimoni di Geova e cristiani
tiepidi; se si cerca davvero ciò che unisce e si vuole il bene di tutti, si può
vivere in pace.
Magari all’inizio è faticoso costruire il rapporto perché c’è un po’ di
diffidenza, ma poi cresce davvero una pace duratura.
Franca e Mariano
Condividere
In famiglia quando il pranzo o la cena sono pronti dovremmo prestare più
attenzione a chi si è prodigato per noi nel metterci a disposizione il cibo e a
prepararlo con cura. Questo atteggiamento di gratitudine ci permette di essere
più generosi con gli altri, donando anche al di fuori delle mura domestiche, al
vicino di casa che ha meno possibilità, alla famiglia che vive nella nostra
parrocchia e che sappiamo essere in fatica…
Marzia e Maurizio
Dire “bene” degli
altri
Viviamo in una piccolissima città, sappiamo bene quanto danno provochi il
pettegolezzo malevolo e fantasioso. È altresì utopistico proporsi di bene-dire
sempre e comunque di tutto e di tutti. L’impegno è quello di esercitare una
serena capacità critica nei confronti delle persone, possibilmente in modo
aperto e diretto, senza alimentare insinuazioni e calunnie alle spalle dei
diretti interessati.
Elisabetta
“Una caro”
Dopo le nozze gli sposi riportavano a casa il pane sacro e lo deponevano
sul talamo. Il pane doveva essere consumato prima della domenica successiva.
Vi era dunque un immediato nesso tra consumazione del pane eucaristico e
consumazione delle nozze, la prima come realizzatrice dell’ ”una caro” tra
Cristo e i suoi e l’altra dell’ ”una caro” tra gli sposi.
Di Nicola – Danese
Per i bambini
Sul sacrato della chiesa hai l’occasione di salutare gli amici e di giocare
insieme: è bello continuare a volersi bene dopo la messa!
Laura Salvi
Per il lavoro di
coppia e di gruppo
• Come si riesce a vivere la
missione in famiglia?
• Come genitori vi sentite in
missione? E qual è la missione?
• La celebrazione eucaristica vi
dà qualcosa da portare con voi?
• In quali momenti la vita
familiare si apre all’esterno?
• I figli frenano o spingono in
questo senso?
• La comunità eucaristica vive
questa dimensione missionaria?
don
Renato Tamarini, Trento
Uomini e donne nella
Bibbia
31-I
DUE DISCEPOLI DI EMMAUS
Gli smarrimenti nelle parole e il miracolo della Parola
A volte ci pare che il mondo ci crolli addosso, non sentiamo più Dio, non
abbiamo più speranza, siamo circondati da tante parole inadeguate.
La Parola del Signore ci rivela chi è Lui, che si offre a noi nel suo pane,
ricrea in noi la comunione e la vita vera, ci apre alla missione.
di Enrico Masseroni*
Forse non c'è esperienza più suggestiva per raccontare l'avventura della Parola
dell'icona dei due discepoli di Emmaus: là dove la Parola scava nel cuore
smarrito dei due pellegrini, illumina di senso la loro storia, rinnova la
speranza, fa riconoscere il volto del Risorto e restituisce la voglia di
ritorno nella città con il desiderio di comunicare la notizia che cambia il
destino del mondo.
C'è un'andata e un ritorno da Emmaus: l'andata sembra tratteggiare l'uomo in
balia del non senso, in una storia che ha smarrito i punti luce del cammino; il
ritorno racconta invece il percorso della Parola come incontro con il Risorto e
annunzio del Risorto nel cuore della città.
LO SMARRIMENTO DELLA PAROLA
“Due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia” (Lc
24,13).
Sono due discepoli in fuga da un mondo che è crollato loro
addosso, con il suo peso di domande sparite sotto i ruderi dei sogni infranti.
Forse questa è l'immagine più significativa dell'uomo che si è smarrito sulla
piazza delle parole: i due “conversavano”, “discorrevano”, hanno dimenticato la
Parola ascoltata da Gesù.
Ora tutto è chiacchiera, cronaca noiosa. Addirittura le domande di senso sono
giudicate patologiche, non hanno senso (Sigmund Freud); la stessa parola di Dio
ha smarrito la sua differenza sul mercato delle parole umane che risuonano come
“flatus vocis”.
L'oblio di Dio
“ Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano
incapaci di riconoscerlo” (vv.15-16).
L'eclissi di Dio è palese sui sentieri della cultura dominante. La storia è
oggettivamente abitata da Dio, è vicenda di salvezza; ma il credente, come i
due di Emmaus, fa fatica ad avvertire il passo di Dio. Talora si parla del
silenzio di Dio e talora dell'oblio.
Nei credenti è diffusa una certa miopia: non si sa vedere e si cede alla
tentazione del pessimismo storico; manca il discernimento evangelico; si preferisce
attardarsi sulla diagnosi delle tenebre che assediano la luce.
La morte della speranza
“Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele” (v. 21). Luca, da vero
artista, tratteggia il volto dei due pellegrini con due parole: “il volto
triste” e “noi speravamo”. Fuori, nei tratti del volto, hanno la maschera della
tristezza; dentro, il crollo di ogni speranza. Anche in loro, come in tanta
gente, l'attesa messianica alimentata da sogni di potenza, si è infranta su un
colle fuori città. Anche i discepoli di Emmaus sono gli uomini del verbo al
passato: “ speravamo”. I due hanno perso il bandolo del futuro.
Le mille opinioni
“Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro... ma lui non lo hanno visto”
(v. 24).
Una notizia sembra sconvolgere i due di Emmaus: il sepolcro vuoto. Ma l'evento
viene comunicato nel tono di una notizia, di un'opinione che non genera fede.
La parola di Dio annunzia il centro della vita e della storia, la morte e la
risurrezione del Signore come genesi della nuova umanità. Ma l'uomo del nostro
tempo ha smarrito il centro e conserva la parola solo come espressione di un
sapiente che ha consegnato ai suoi seguaci una sublime dottrina morale; solo
una dottrina, del tutto inadeguata a cambiare la faccia del mondo.
IL MIRACOLO DELLA PAROLA
A questo punto avviene il miracolo. Lo straniero che fino a quel punto aveva
fatto solo domande e si era limitato ad ascoltarli incomincia a sua volta a
parlare “come uno che ha autorità” (cfr. Lc 4,36).
La Parola dice Gesù
“E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, (Gesù) spiegò loro in tutte le
Scritture ciò che si riferiva a lui “ (v. 27).
Nei due discepoli c'è una memoria delusa e confusa; ma Gesù riprende il filo
della storia a partire da Mosè e dai profeti. Leggendo l'Antico e il Nuovo
Testamento si incontrano tre caratteristiche singolari della Parola: essa
illumina di senso la vita e la storia, promette un futuro e, soprattutto, crea
efficacemente un mondo nuovo, una vita nuova.
La parola, che passa dalle labbra dello sconosciuto pellegrino di Emmaus ai due
discepoli tristi, illumina la storia come attesa messianica e pertanto la
parola dice Gesù. Il Risorto diventa la chiave interpretativa di tutta la
vicenda umana.
Per questo la centralità della scrittura nella comunità ecclesiale è
finalizzata a dire il Cristo, perché “ l'ignoranza delle scritture è ignoranza
di Cristo “.
La Parola dice
l'Eucaristia
“Quando fu a tavola con loro prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò
e lo diede loro” (v. 30).
La tavola di Emmaus sembra un segno sulla strada: il mettersi attorno alla
mensa, il pane, la benedizione, il gesto dello spezzare e del donare evocano
un'altra mensa.
Ancora una volta è la Parola, detta e vissuta nei gesti dell'ultima cena, a
rivelare Gesù nel grande segno del pane. Dopo il mistero della creazione e il
mistero dell'incarnazione, ecco il mistero della presenza del Verbo, viatico
per l'umanità in cammino.
La Parola ricrea la
vita
“Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il
cammino, quando ci spiegava le Scritture?” (v. 32).
Il percorso della Parola sulla strada di Emmaus rinnova il miracolo della vita.
I due passano dalla condizione di “sciocchi” e “tardi” all'ardore del cuore.
Nel loro mondo interiore si ridesta il desiderio che diventa struggente
preghiera: “ Resta con noi perché si fa sera” (v. 29); ma soprattutto “si
aprirono i loro occhi e lo riconobbero” (v. 31).
Il miracolo della vita nuova è sempre collegabile con la Parola, come in tutti
i segni miracolosi del ministero di Gesù.
È la Parola che restituisce la vista ai ciechi, l'udito ai sordi, la salute
agli infermi, la vita ai morti.
Nell’avventura di Emmaus il percorso della Parola è preciso: essa restituisce
al mondo interiore ardore e speranza, e diventa forza del desiderio; ma
soprattutto diventa incontro nella fede con il Risorto.
DALLA COMUNIONE ALLA MISSIONE
La comunione attorno alla mensa del pane, genera nei discepoli un passaggio
importante: dal discepolato all'apostolato. La comunione diventa missione.
In verità non c'è una consegna esplicita, come più volte accade nell'incontro
tra Gesù risorto e i suoi.
La spinta verso la missione è una sorta di impulso interiore, un desiderio di
comunicazione, l'intuizione che l'incontro con Gesù non possa essere un vissuto
intimistico, privato, ma un dono per tutti.
La missione qualifica e definisce il rapporto tra l'incontro con il Risorto e
l'incontro con gli altri.
Così il ritorno da Emmaus si chiama “missione”, che viene incisivamente
descritta con quattro verbi: “Partirono senza indugio”, “fecero ritorno a
Gerusalemme”, “riferirono ciò che era accaduto lungo la via” e “come l'avevano
riconosciuto nello spezzare il pane” (vv. 33-35).
Non c'è frattura tra incontro e vita: i due discepoli vivono l'impazienza della
comunicazione. Pare che nella loro partenza ci sia una carica di gioia non
contenibile e ritornano a Gerusalemme che per i due è un ambiente ostile, come
per tutti i discepoli di Gesù. La morte del maestro ha fatto notizia; il
venerdì santo è ancora troppo vicino, il potere civile e quello religioso hanno
vinto; il processo contro Gesù ha trovato consenso presso la gente. Non si è
ancora spenta l'eco di quel tragico grido: “Crocifiggilo!”.
Tuttavia i due di Emmaus non solo fanno ritorno nella città deicida, la città
ostile; ma ritornano nel loro gruppo che pure ha già vissuto l'annunzio del
Risorto attraverso Simone. Nulla può soffocare il desiderio di comunicazione,
nulla può cambiare quello slancio che è sbocciato proprio attorno al pane
spezzato.
La speranza infranta e smarrita dei due di Emmaus ritrova se stessa attorno
alla mensa eucaristica per diventare slancio nella missione.
* arcivescovo emerito di Vercelli
Tratto dal libro dell’autore:
Capire e vivere la messa, Un percorso biblico-liturgico, Edizioni Paoline, Milano 2009.
32-PER
APPROFONDIRE IL TEMA
I libri usati per realizzare questo numero e approfondire il tema
Elisabetta Casadei, Tutto
(o quasi) sulla messa, Effatà Editore, Cantalupa
(TO) 2014.
Questo simpatico libro ci ha colpito fin dalla copertina, e la sua lettura ci
ha dato ragione.
Il testo tocca e descrive in profondità, ma senza pesantezza, le varie parti
della messa e non solo.
Coglie, quasi con gli occhi di un bambino, tutti gli elementi che “fanno”
liturgia: dall’acquasantiera alla genuflessione, dai paramenti del sacerdote al
bacio all’altare, ecc.
È un libro adatto agli adulti che vogliono spiegare la messa ai loro figli e
nipoti in modo divertente ma, nello stesso tempo, competente.
L’unico suo neo è trattare solo, per il momento, la
liturgia della Parola. Comunque, per fine anno, è previsto un secondo volume
che completerà l’opera.
Cogliamo l’occasione per ringraziare l’autrice che ci ha voluto anticipare
alcune parti relative alla liturgia eucaristica.
G.P. Di Nicola - A. Danese, Amore e
pane. Eucaristia in famiglia, Effatà Editore,
Cantalupa (TO) 2014.
Non è un libro molto facile questo, perché le competenze degli autori sono
molto ampie e si riverberano nel testo.
L’argomento è l’eucaristia, meglio il pane e il vino che, per amore, diventano
corpo e sangue di Cristo. Ma è anche quell’eucaristia
quotidiana che è il rapporto amoroso tra un uomo e una donna. Due corpi e due
cuori che sono sì diversi ma complementari e
diventano, nel matrimonio, “una caro”.
È un libro da leggere con calma, per poter cogliere
tutte le gemme preziose che gli autori spargono nella narrazione.
Un piccolo esempio: “Amare qualcuno è dirgli: tu non
morirai”. Così è per l’eucaristia, con la quale Gesù, che è Dio, dona ai
suoi amici una vita bella, piena ed eterna.
Enzo Bianchi, Vivere
la domenica, Rizzoli Editore, Milano 2005.
La domenica è il contesto temporale in cui si colloca,
per la maggior parte dei credenti, la celebrazione dell’eucaristia.
L’autore, muovendosi da questo presupposto, sottolinea
in modo autorevole e documentato la differenza di fondo tra il sabato ebraico e
la domenica cristiana e come queste due realtà si siano evolute nel tempo.
Se il sabato ha per centro il riposo, la domenica ha per centro l’eucaristia.
Confondere questi due elementi significa sabatizzare la domenica che è, prima
di tutto, giorno del Signore, Pasqua settimanale, anche se - e ormai capita a
parecchi - non è più un giorno festivo ma lavorativo. Facciamo attenzione
perché “là dove il cristianesimo è diventato minoranza esigua, il primo segno
della crisi della fede è stato il disertare l’eucaristia domenicale”.
Enrico Masseroni, Capire
e vivere la messa, Edizioni paoline, Milano 2009.
Questo bel libro di padre Enrico Masseroni, arcivescovo emerito di Vercelli,
ripercorre l’intero rito della messa attraverso il metodo della lectio divina.
Ogni punto è spiegato sotto il profilo liturgico, evangelico (
la Parola), e la sua ricaduta nella vita.
Si tratta di un testo di spiritualità, con alcuni accenni mistici, e come tale
va letto e pregato.
Ma il libro ha anche passaggi concreti come questo: “prima
del Concilio la liturgia della Parola era la parte più disertata. Perché
la messa fosse valida bastava varcare la soglia della
chiesa a predica finita. Dopo il Concilio è diventata la
parte più criticata dal popolo della domenica”.
Da questo libro abbiamo tratto le riflessioni dell’autore sull’episodio dei
discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35), che ci sembra ben
riassuma l’essenza dell’eucaristia.
Rino Fisichella, Il sentiero per Emmaus, Lateran University Press, Città del vaticano 2007.
Laura Salvi, Oggi
vivo la messa, Edizioni S. Paolo, Cinisello Balsamo (MI)
2009.
Il tema dell’eucaristia è stato molto a cuore agli ultimi due papi, prima
Giovanni Paolo II, con Ecclesia de eucharistia - una
sorta di autobiografia eucaristica - poi Benedetto XVI con Sacramentum caritatis.
Il libro di mons. Fisichella è un commento teologico-pastorale
di questa ultima enciclica.
Il libretto della Salvi è invece un messale domenicale per i ragazzi.
Si tratta di un testo semplice, vivace, ben disegnato, da cui anche noi abbiamo
tratto alcuni spunti.
33-ALLA
MESSA CON I BAMBINI
In parrocchia e ai campi estivi: esperienze non paragonabili?
di Tony Piccin
Vorrei provare a simulare la classica famigliola che va alla messa domenicale
in parrocchia e parallelamente la stessa famiglia durante la messa di un
qualsiasi incontro che ha a cuore la partecipazione dei più piccoli.
Riporteremo solo piccoli flash per non appesantire lasciando immaginare tutto
il resto della celebrazione, ponendo l’attenzione in particolare ai piccoli e
piccolissimi. Alterneremo brevissimi dialoghi e riflessioni libere per invitare
chi legge a richiamare alla memoria il proprio vissuto.
Dai, prepariamoci per andare in chiesa, dice la mamma.
Dal tic-tac, interrompe Richy mostrando un certo
agitato entusiasmo.
Il “tic-tac” sarebbe il campanile che ha quel grande orologio su in alto ma quel linguaggio infantile comprende tutto: anche
chiesa, piazza, altri bambini, lumicino da accendere davanti alla statua della
Madonna.
Ci sarà anche Marianna, interrompe Aurora?
Speriamo di sì, risponde la mamma.
Aurora ha quattro anni e spera di incontrare le amichette della scuola materna.
Dunque i bambini con i loro genitori si avviano e poi
entrano in chiesa.
Le scene tra i banchi le lasciamo immaginare: su e giù, avanti e indietro, in
piedi e seduti sull’inginocchiatoio; Aurora è agitata perché l’amichetta non
c’è, i genitori di lei frequentano solo raramente.
La mamma estrae dalla borsetta libretti e pennarelli per disegnare in modo da
occupare in qualche modo i piccoli. Il papà cerca di
zittire il vivace trambusto. Il parroco dall’altare, tra il gentile e il
seccato, invita chi ha figli piccoli a partecipare alla messa stando in
sagrestia.
Attraverso l’altoparlante, dice, si può seguire ugualmente bene.
Mamma, noi non andiamo in sagrestia, vero? Lì non c’è nessuno, bisbiglia
Aurora.
Se state buoni, no!
La presenza di Gesù nell’Eucaristia è discreta e silenziosa. Chissà se proprio
Gesù tornasse a parlare forse non direbbe ancora: “Lasciate che i piccoli
vengano a me, non glielo impedite perché di essi è il regno dei cieli”?
Già…la messa! Una specie di recita standardizzata, cerimoniosa, assai
complicata, “per adulti”.
Giriamo il nostro obiettivo in altra direzione: siamo alla messa di una
settimana estiva per famiglie (foto p.4).
C’è una doppia coperta sul pavimento davanti all’altare. Don Florio è già lì che aspetta, seduto a terra anche lui. Il
disordine iniziale creato da tutti, piccoli e grandi, si sistema in fretta.
Naturalmente i più piccini in prima fila, poi gli altri sempre seduti con le
gambe incrociate e viva via fino agli adulti seduti su normali sedie più
comodamente.
Non serve che le mamme procurino libretti per disegnare perché ce n’è già uno
bello e grande lì, davanti all’altare: un Gesù sorridente e un albero pieno di
foglie con un po’ di fiori di carta marroncino,
bruttini e secchi.
Richy, con il suo linguaggio incerto perché ha poco
più di due anni esclama ripetutamente: Brrruto, brrruto, brrruto, brrruto!, mentre punta
il suo ditino verso l’albero disegnato.
Eh, sì! È proprio brutto, dice il sacerdote, hai ragione ma vedremo di farlo
diventare bello.
Intanto incominciamo a salutare, come fanno le persone educate, tutti assieme:
Ciao, Gesù! Ciao Maria!, e l’indice del celebrante
indica il tabernacolo e la statua della Vergine Maria.
Ora il segno della croce.
Tutti lo ripetono con la doppia formula:
Nel nome del Padre, del
Figlio e dello Spirito Santo.
Poi di nuovo portando la mano alla fronte, al cuore e alle due spalle:
Gesù sia nei miei pensieri, nel mio cuore
e nelle mie azioni.
Beh! Questo è un linguaggio più comprensibile da tutti.
Sull’altare c’è un crocifisso in gesso alabastro tutto
particolare: Gesù con le braccia distese come sulla croce ma senza chiodi alle
mani e ai piedi. I bracci della croce sono ampi da sembrare ali, ossia
crocifissione e risurrezione insieme.
La celebrazione continua con i suoi vari momenti e con la partecipazione attiva
di tutti. All’atto penitenziale, mentre si chiede scusa di marachelle,
scortesie, piccole e grandi cattiverie, via via si
tolgono i fiori secchi del quadro per sostituirli poi, durante ogni preghiera
dei fedeli, con un fiore vivace mentre ognuno racconta e ringrazia per le cose
buone compiute.
La santa messa procede con tutte le sue parti sempre con l’attenzione di
coinvolgere e interessare.
Solo come ultimo esempio, alla comunione, mentre c’è chi si accosta
all’Eucaristia, ai piccoli viene distribuito qualche
pezzetto di pane che viene mangiato con gusto. Eppure è lo stesso pane che
magari rifiutano a tavola, qui però è condito di attenzioni, di amicizia, di
simpatica comunione, di vera eucaristia (= rendimento di grazie) a Dio e ai
fratelli.
Queste celebrazioni di certo non hanno tanta solennità ma sono vivaci, gradite
anche dai piccoli, partecipate e lasciano messaggi profondi che non sempre vengono recepiti nelle messe in parrocchia.
E poi “buon pranzo” o “buona cena” secondo l’ora perché la fede, la fratellanza
e l’amore devono continuare ad essere celebrati giorno
e notte in tutti i gesti quotidiani.
Non è possibile certo celebrare così ogni domenica, ma
qualche volta bisognerebbe provarci.
segninuovi@alice.it
34-QUESTIONE
DI SOLDI
A malincuore, siamo costretti a rivedere il contributo annuale per la rivista
Sono quasi quindici anni che il contributo liberale minimo
che suggeriamo a ci sostiene è fermo a 10 euro, Per l’esattezza, nel 1999
era-no 20 mila lire.
Forse era tanto per allora, forse è poco per oggi, con la rivista a colori e
quattro numeri l’anno.
Sono questi due punti cui non vorremmo rinunciare e per questo vi chiediamo, se
riuscite, di donarci almeno 15 euro l’anno.
Lo potete fare in tanti modi: da quello più semplice utilizzando il bollettino
postale allegato alle rivista, al bonifico bancario
(codice IBAN IT39 O076 0101 0000 0003 6690 287), al pagamento con carta di
credito tramite il circuito PayPal. In questo caso
occorre accedere al sito (www.gruppifamiglia.it) e selezionare nella home page, la voce
Sostienici.
Grazie di cuore,
Noris Bottin, presidente
dell’associazione F&F
35- LA
SEGRETERIA DEI GF IN CALABRIA, A FINE AGOSTO
Testimoni del Padre misericordioso, per risvegliare nelle nostre parrocchie la
“voglia di famiglia”
In coda al campo famiglie di Nocera
Marina (17-24 agosto) si è svolta la segreteria del Collegamento dei Gruppi
Famiglia, grazie alla disponibilità di alcune coppie di Lamezia Terme e di
Cosenza.
È la prima volta che ci si incontra così lontani dai
luoghi dove l'esperienza dei gruppi famiglia è nata, ossia il Pie-monte e Veneto.
Non ce ne voglia Garibaldi, ma questa è tutta un'altra
storia.
Sì perché, contagiati dalla vitalità e dall'entusiasmo dei calabresi, i gruppi
famiglia hanno realizzato per il secondo anno consecutivo una settimana estiva
a Nocera Marina, con partecipazioni da tutta Italia:
Veneto, Campania e Calabria ovviamente.
Al coraggio e alla passione di questi amici dobbiamo un grazie, per aver
raccolto la sfida di offrire a tutte le famiglie la
possibilità di camminare insieme, condividere esperienze e valori, alla sequela
di Cristo.
L'occasione di quest'incontro è stata importante per condividere i cammini e le
idee delle varie realtà dei gruppi, nonché per scambiare
riflessioni sulle tematiche del prossimo Sinodo dei Vescovi sulla famiglia.
È stato un appuntamento per mettersi in ascolto reciprocamente, per contribuire
a costruire quelle comunità che sono le parrocchie, mettendo a fuoco le
molteplici necessità delle famiglie.
Oggi più che mai sentirsi uniti come famiglie nell'affrontare il quotidiano
alla luce della Parola ci sembra una vera e propria
sfida.
È una sfida che chiede a noi cristiani di mostrare quanto il Vangelo sia
“fattibile” nella storia, quanto con l'aiuto di Dio sia possibile fare comunità
e testimoniare nella Chiesa e nel mondo il volto di quel Padre misericordioso
della parabola di Luca.
Antonella e Renato Durante
36-PER
CONCLUDERE
Sequenza per la solennità del Corpus Domini
Ecco il pane degli angeli,
pane dei pellegrini,
vero pane dei figli:
non dev'essere gettato.
Con i simboli è annunziato,
in Isacco dato a morte,
nell'agnello della Pasqua,
nella manna data ai padri.
Buon Pastore,
vero pane,
o Gesù, pietà di noi;
nutrici e difendici,
portaci ai beni eterni
nella terra dei viventi.
Tu che tutto sai e puoi,
che ci nutri sulla terra,
conduci i tuoi fratelli
alla tavola del cielo,
nella gioia dei tuoi santi.
Amen.
GF83-EXTRA
A-EUCARISTIA E FAMIGLIA
Ripercorrere la Santa Messa partendo dalla nostra esperienza di coppia e di
famiglia (versione
integrale)
di Franco Rosada
La santa messa è per definizione “rendimento di grazie” ma in essa sono
contenute tante altre espressioni della vita relazionale.
Si incomincia con il saluto verso il Signore: il segno di croce entrando in chiesa fatto
con l’acqua benedetta, a cui risponde, a inizio messa, il saluto del sacerdote.
Dirsi ciao o buongiorno ogni mattina, darsi un bacio, non uscire di casa senza salutarsi: ecco come il saluto va tradotto
nella vita della famiglia. Uscire di casa sbattendo la porta non è un buon
saluto, tenere il broncio neanche.
Si prosegue con l’atto penitenziale,
il riconoscerci peccatori, non solo davanti a Dio ma anche nei confronti dei fratelli.
Chiedere scusa, secondo papa Francesco, è uno degli elementi base su cui si
regge il matrimonio, un chiedere scusa incondizionato
“per mia grandissima colpa”, gli altri possono avere una parte di torto ma io
incomincio a chiedere scusa.
Dio ci perdona: “Dio onnipotente perdoni i nostri
peccati”; noi siamo capaci di perdonare, sappiamo accogliere le scuse che
l’altro ci porge, riconoscendo la nostra parte di torto?
E siamo al Gloria. Qui siamo
chiamati a lodare Dio e la Trinità intera.
Come stiamo a riconoscimento dei meriti dell’altro?
Gli/le ricordiamo solo i difetti o sappiamo anche dire “che bravo!”, “senza di
te non ce l’avrei fatta!”? Rimproveriamo solo i nostri
figli o sappiamo incoraggiarli, facendo loro capire che stiamo dalla loro
parte?
La colletta passa per lo più
inosservata. Il mio vecchio parroco la riportava sul foglietto che stampava in
proprio ogni domenica e ci invitava a recitarla insieme a
lui.
Questa è una preghiera che conclude i riti di
introduzione e ci apre ai momenti successivi. Si tratta di una preghiera
volutamente generica, ma radicata nel tema delle
letture del giorno (ogni giorno ha una sua colletta). Al contrario della
preghiera dei fedeli in cui esprimiamo i nostri bisogni, anche materiali, il
suo contenuto è esclusivamente spirituale è un invito a guardare alle “cose del
cielo”.
Anche noi preghiamo: per il coniuge, per i nostri figli, per i nostri cari, per
gli altri; quanto è presente, nel nostro pregare, la dimensione spirituale?
Signore fa che cresca “in sapienza,
età e grazia”, che non perda la fede, che faccia battezzare il nipotino, che
sappia ritrovare la strada per tornare a Te…
Inizia ora la Liturgia della
Parola: prima e seconda lettura, Vangelo, omelia.
In questa prima Tavola del banchetto eucaristico al centro c’è soprattutto l’ascolto.
Qui si apre, per la coppia e la famiglia, lo spazio per un argomento
fondamentale: quanto sono capace di ascoltare coloro che mi stanno intorno, mi vogliono bene?
So ascoltare o non vedo l’ora che l’altro taccia per parlare a mia volta?
Oppure, peggio, lo interrompo, gli do sulla voce?
Come a messa, nel corso delle letture, ci distraiamo, così nell’ascolto
dell’altro sovente la nostra mente vaga altrove. Cosa diceva
il Vangelo? Cosa ha detto il sacerdote nell’omelia? Bho! Usciti da messa non ce ne
ricordiamo più. Ma mentre il Signore ha pazienza
l’altro che ci parla forse no: Te l’avevo detto! Non mi stai mai ad ascoltare!
Poi ci sono le situazioni in cui vorremmo ascoltare ma
l’altro non parla: p.e. i nostri figli adolescenti, la difficoltà ad estorcere
loro qualcosa che vada al di là di un Sì o un No.
Dio ci parla sempre, apriamo il vangelo alla liturgia del giorno e qualcosa
troveremo.
C’è ancora a mio avviso, una considerazione: dare il giusto peso a quello che
l’altro mi dice. Partiamo dalla Parola di Dio: non si proclama “è Parola di
Dio” ma solo “Parola di Dio”.
È una sottile distinzione: significa che quello che abbiamo ascoltato contiene
sì il pensiero di Dio ma questo è segnato dal limite del redattore, da colui che fisicamente l’ha scritto: un uomo, influenzato
dalla cultura del suo tempo e dalla sua esperienza.
Se la liturgia fa questa distinzione perché non dovremmo farla
anche noi nei confronti dell’altro? Sono tutte vere quelle parole terribili che
mi dice quando litighiamo o sono soprattutto
espressione della sua rabbia, del suo rancore, della sua gelosia?
Oppure: anche l’altro sbaglia, anche l’amica del cuore può non dare il
suggerimento giusto, aver frainteso. Serve fare discernimento. Se anche la
Parola di Dio non va presa alla lettera figuriamoci le
parole degli uomini!
La Liturgia della Parola termina con
il Credo e la preghiera dei fedeli.
Il Credo è una bella sintesi di
quella che è la fede cristiana – di tutti cristiani – poiché è stato definito
prima degli scismi e delle divisioni che conosciamo.
Ecco. In che modo potremmo fare altrettanto della nostra realtà di famiglia?
Qual è la sintesi migliore? L’amore, direte voi, ed è vero.
Ma forse vale la pena riflettere su che cosa vuol dire
amore. Per Gesù suona così: “amatevi come io vi ho
amato”. Serve allora conoscere meglio Gesù. Il suo non
è un amore caramelloso, né un amore egoistico o un
amore basato sullo scambio – io amo te, tu ami me – ma un amore GRATIS.
Tutto ciò che è gratis, per il mondo, o non vale niente o nasconde una
fregatura. Gratis vuol dire senza contraccambio. Gesù ama e basta. Fino a dare la sua vita per me che sono peccatore, cioè che faccio
molta fatica ad amare.
Se il matrimonio è un sacramento è perché amare tutta
la vita è un bell’impegno, serve più di un aiutino, e questo è la sua Grazia.
Il nostro amore, per quanto bello e grande, è segnato dal limite, dalla
fragilità del nostro essere creature. Godiamo del
nostro amore e non giudichiamo chi non ce la fa, cerchiamo invece di aiutarlo.
La preghiera dei fedeli presenta, in
modo concreto, quali sono i nostri bisogni, le nostre necessità, i nostri
desideri. Poco praticata, perché molto impegnativa nella sua preparazione, è la
preghiera dei fedeli spontanea, quella che si fa p.e.
nella messa ai campi estivi.
Ai quando ero giovane studente la mattina, prima dell’inizio delle lezioni, si
passava a salutare il Signore e allora si pregava: fa che non m’interroghi! Fa
che il compito in classe vada bene! Fa che XX si accorga di me!
Non credo che, in generale, le cose siano cambiate molto: preghiamo quando ne
abbiamo bisogno, quando non sappiamo più a quale “santo” votarci, quando
“affoghiamo”.
La preghiera vera dovrebbe essere: “parla Signore, il
tuo servo ti ascolta”. Eppure, restando alla Bibbia, se apriamo il libro dei Salmi troviamo tante preghiere simile alle nostre. In cosa
differiscono? Nel finale!
L’orante ringrazia Dio che è venuto in suo soccorso. Forse una preghiera che
dovremmo sempre fare è questa “Signore, aiuta la mia incredulità”. Quello che a
noi manca, rispetto al salmista è la fede, la certezza che Dio interviene, non
per esaudire i nostri desideri, ma per donarci ciò di cui abbiamo veramente
bisogno.
Inizia a questo punto la seconda Tavola del banchetto eucaristico.
Si inizia con l’offertorio
in cui vengono preparate le offerte per il sacrifico eucaristico.
Trovo molto bello quando le offerte vengono portate
all’altare dai fedeli, ancora più bello quando sono i bambini che portano i
disegni che hanno fatto nella prima parte della messa o i loro giocattoli.
Che cosa offriamo? Il pane e il vino. Il pane ci serve per vivere, il vino ci serve per far festa, per stare insieme, per fare comunità,
chiesa.
Personalmente cosa abbiamo da offrire? Tutto e niente. Tutta la nostra vita, la
nostra famiglia, le cose che vanno e quelle che non vanno,
le nostre gioie e le nostre preoccupazioni. Niente se pensiamo a quello che il
Signore sta per offrire a noi, il suo corpo, la possibilità di “condividere” la
sua divinità.
Possibile? Possibilissimo! C’è una preghiera che dice sotto voce il sacerdote
quando versa qualche goccia di acqua nel vino: “questo
sia segno della nostra unione con la vita divina di colui che ha voluto
assumere la nostra natura umana”. Più chiaro di così!
Durante l’offertorio si raccolgono anche le offerte per la parrocchia o per
altre particolari iniziative. Questo apre una riflessione sull’elemosina, sulla
nostra attenzione ai bisogni materiali degli altri. Nell’Islam l’elemosina è
uno dei cinque pilastri della pratica religiosa, quando si fa festa un piatto è sempre destinato ai poveri (si faceva così
un tempo anche nelle nostre campagne). Educare all’elemosina, a donare qualcosa
di nostro agli altri, non ciò che non ci serve più ma
qualcosa che ci sta a cuore, può essere un ottimo antidoto all’egoismo
dilagante. È aprire il nostro cuore alla gratuità in un mondo in cui tutto è
monetizzato.
Siamo al Prefazio, la preghiera che
precede il Santus.
Se non ci è chiaro perché l’eucaristia è “rendimento
di grazie” (derivata dall’analoga parola in greco) leggiamo l’inizio del
prefazio: “È veramente cosa buona e giusta… renderti grazie…”
Renderti grazie di che? Di mio figlio che se ne andato di casa? Che si droga?
Che convive con una donnaccia? Di mio marito che non mi guarda più, come se non
esistessi? Che non ha voglia di lavorare? Che spreca quello che guadagna in
sala corse? Di mia moglie che ha un male incurabile,
di mio figlio handicappato?
Si, nonostante tutto questo ti rendiamo grazie, anche
quando c’è un funerale. Questo è il colmo, rendere grazie per la scomparsa di
una persona cara!
Qui, meglio che negli altri casi, cogliamo il limite della nostra fede. È
morto, tutto è finito! Ma siamo cristiani o pagani?
Con la morte finisce tutto o inizia tutto?
Abbiamo bisogno di conversione, di riuscire a guardare le cose con gli occhi di
Dio e non con quelli di questo mondo.
Con il canto del Santus entriamo nel cuore della preghiera eucaristica.
Non c’è una solo preghiera eucaristica, ce ne sono,
nel messale che ho sottomano, quattro: di solito sento recitare la seconda o la
terza.
Il cuore dei questa preghiera è la consacrazione vera e propria “questo è
il mio corpo… questo è il mio sangue”.
Quel pane e quel vino, dunque, diventano il corpo e il sangue di Gesù Cristo.
Allora possiamo avere due atteggiamenti: è una bufala, quel pane resta pane, idem per il vino, oppure, anche se non capiamo fino in
fondo, lì c’è davvero Gesù.
L’abitudine, una certa banalizzazione del rito, non ci fa cogliere questo fino
in fondo.
Rimpiango, a volte, il mancato uso del campanello, croce e delizia dei
chierichetti, che era comunque in grado di destare l’attenzione.
Il rito di Pio V (quella che era la messa in latino) aveva in sé tutta una
sacralità che manca sovente al nuovo rito. Ecco: sacralità, sacro.
Cosa vuol dire sacro? Separato, altro, diverso. Dio ha
questa caratteristica di alterità, ma un Dio che si incarna
è ancora un Dio “lontano” dall’uomo?
Incredibilmente la categoria del sacro la applichiamo anche alle cose, alle
persone. Pensiamo p.e. alla retorica legata alla
Patria, al sacro suolo da difendere dallo straniero. Anche in famiglia corriamo
il rischio di sacralizzare l’altro: non disturbarlo, ha lavorato tutto il
giorno! Cosa ti ha detto papà? Ubbidisci! Oppure di dissacrarlo: non c’è niente
di peggio di quando un idolo (si chiami Zeus o Stalin o nostro marito) cade dal
piedistallo! Quando scopriamo che la persona che avevano
accanto, e che abbiamo mitizzato, si rivela in tutta la sua miseria!
Preferisco quindi un'altra categoria: quella di santo. Il Dio d’Israele è il tre volte Santo, i primi cristiani si chiamavano
vicendevolmente santi, tutti siamo chiamati alla santità. Noi siamo chiamati a
santificare nostro marito, nostra moglie, i nostri figli. Siamo chiamati a
farli diventare migliori, non solo a livello comportamentale, intellettuale, ma
soprattutto spirituale.
Diciamolo: la messa in latino non si capiva e questo aumentava l’alterità del
rito, la messa il volgare la capiamo bene, al punto di
banalizzarla, al punto da ignorare la profondità delle sue preghiere.
Anche l’altro può essere banalizzato: dice sempre le stesse cose, sembra una
radio libera, e così non cogliamo quello che davvero l’altro ci vuole dire.
Facciamo con Gesù, né più né meno, quello che facciamo con gli altri: sappiamo
già cosa ci vogliono dire in anticipo, e non è vero! Noi abbiamo fatto almeno
una decina di volte la Lectio sul cieco Bartimeo e
ogni volta abbiamo scoperto che aveva sempre qualcosa di nuovo da dirci.
Saltando un po’ arriviamo al Padre
nostro.
Si può scrivere un trattato su questa preghiera; mi limito ad
un passaggio: “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo…”.
Qui si apre un grande tema che ci tocca come coppia e come famiglia: quello del
perdono.
Siamo limitati e sovente facciamo pesare i nostri limiti: essere bruschi,
scortesi, rispondere male è molto più facile che controllarsi, dominare il
nostro malessere interiore. L’altro diventa sovente il parafulmine del nostro
malessere interiore.
Come tutti i parafulmini, quando la scarica che arriva è troppo forte, si
rompe. E si litiga, e si rinfaccia all’altro tutto quello che si è dovuto
ingoiare.
Seguiamo allora i suggerimento di papa Francesco: “La ricetta per un matrimonio felice? Non
finire la giornata senza fare la pace. La pace si rifà ogni
giorno in famiglia!”
In questa prospettiva lo scambio
della pace dopo il Padre nostro ci sta a pennello.
Se c’è qualcosa di anonimo è proprio questo momento
liturgico. Si da la mano a persone che non si
conoscono, ci da fastidio se qualcuno si muove dal proprio banco per andare a
stringere la mano ad un amico lontano, e poi il rito incalza.
Eppure, se abbiamo qualcosa contro nostro fratello e non gli chiediamo scusa
come possiamo fare la comunione, come possiamo essere
in comunione?
La comunione è una cosa seria, a cui accostarci solo se ci sentiamo preparati, con il cuore
in pace con Dio e con il prossimo. Non per niente preghiamo prima: “O Signore,
non son degno…”. Oggi mi sembra tanto un self-service, a cui
accedono tutti, perché ora si fa così.
Se è una cosa seria, bisogna accostarsi ad essa in
modo serio, non chiacchierando, non ridacchiando, col naso per aria, scomposti,
se non ci si riesce è meglio lasciar perdere. E questo lo dobbiamo
re-insegnare perché mi sembra che si sia disimparato.
Ma ci rendiamo conto: riceviamo il corpo di Cristo,
non solo un pezzo di pane! Partecipiamo della sua divinità! Il Signore non si
offende se noi lo riceviamo impreparati ma il fatto è
che non ci serve a niente, non ci apre alla conversione.
Dopo la comunione ci dovrebbe essere un momento di
silenzio, cosa abbastanza difficile. Alcuni, proprio per l’incalzare del rito,
si fermano dopo messa e fanno un momento di adorazione. Queste persone hanno
davvero capito cos’hanno ricevuto.
Ci sono notizie, belle e brutte, che ci piombano addosso all’improvviso: è
naturale reagire d’istinto ma poi serve fare silenzio, capire davvero il valore
della notizia, saper lodare o invocare aiuto.
La messa termina con i riti di congedo:
la benedizione e la missione.
Dio ci benedice, dice bene di noi, e noi cosa diciamo nei confronti degli
altri? Sempre bene o anche male? Mormoriamo dietro il nostro prossimo? In
famiglia taciamo ma ci teniamo il rospo dentro? È
difficile fare come Dio che dice sempre bene di noi, anche quando siamo lontani
da lui, perché confida nella nostra conversione, ma possiamo provarci: un
atteggiamento positivo rende comunque più semplici i rapporti.
Adesso “la messa è finita. Andate in
pace”. Davvero è proprio finita o è appena incominciata? Se per noi gli
obblighi con Dio sono finiti, almeno per una settimana, è davvero finita, ma
non bene: abbiamo buttato via un’ora del nostro tempo.
Adesso invece si tratta di vivere quello che abbiamo ascoltato, mettere a
frutto ciò che abbiamo ricevuto: inizia la missione. Una missione segnata da una
parola breve ma meravigliosa: PACE. Siamo chiamati a
portare la pace (che è diversa dall’assenza di guerra) là dove viviamo, a casa,
scuola, ufficio, lavoro.
Siamo chiamati a creare un mondo in armonia con Dio. Mission
impossible? Se contiamo solo su di noi, sulle nostre
forze, sulla nostra buona volontà, sì, se contiamo sulla
grazia del Signore qualcosa possiamo fare, al resto ci penserà Lui.
B-È
COME ANDARE AD UNA FESTA
Oggi è come se fosse l’anniversario di matrimonio dei nonni!
Negli incontri dei nostri gruppi, come nelle settimane
estive, capita spesso di sentire esprimere da parte di qualche genitore, la
difficoltà della partecipazione alla Messa domenicale con i figli piccoli,
perché disturbano. E, se ci pensiamo bene, tutti noi abbiamo provato disagio,
almeno una volta, quando i nostri figli continuavano a salire e scendere dalle
panche, volevano accendere la candelina all’altare della Madonna, oppure
uscivano dalla chiesa, costringendoci ad abbandonare la Messa nel momento
centrale, lasciandoci poi nel dubbio se avesse valore un’Eucaristia vissuta in
quel modo.
Ragionando in questo modo, forse non ci siamo mai accorti che diamo
all’Eucaristia solo un valore di riti, di gesti, che però rischiano di rimanere
vuoti.
In questi ultimi anni, durante il cammino di accompagnamento dei nostri figli
alla loro Prima Comunione abbiamo trovato un libretto molto simpatico che aiuta
i bambini a capire il vero significato dell’ “andare a
Messa”, poiché la paragona da una festa, a un anniversario importante in famiglia,
quando parenti e amici sono invitati e attesi a casa dei nonni; allo stesso
modo il suono della campana ci ricorda
che siamo invitati e attesi nella casa di Gesù e così, ogni momento
dell’Eucarestia ci rimanda ai vari momenti e passaggi di una festa in famiglia.
Arrivati a casa dei nonni, ci salutiamo con gioia, felici di incontrarci e
dimenticando i litigi che possono esserci stati tra parenti, perché questo è un
momento di gioia, così anche il
sacerdote, che ci accoglie alla festa in nome di Gesù, ci invita a chiedere
perdono a Dio e ai fratelli.
I nonni sono contenti di accogliere i loro ospiti e lo dimostrano con le
cose belle che hanno preparato per loro e di questo li ringraziamo; anche il canto del Gloria esprime la nostra
riconoscenza per la bontà e la misericordia di Dio.
Ai nonni abbiamo tante cose da raccontare, vogliono sapere come va la
scuola, com’è andata la partita di basket o il saggio
di ginnastica, ma la cosa più bella è ascoltarli quando ci raccontano di loro:
abbiamo tanto da imparare e noi li ascoltiamo con attenzione! Nella Liturgia della Parola è Dio che ci
parla, ci racconta la storia della salvezza iniziata nell’Antico Testamento;
questa Parola diventa Parola Viva quando nel Vangelo ascoltiamo quello che Gesù
ha detto e ha fatto: abbiamo tanto da imparare da Gesù, è importante quindi
ascoltarlo con attenzione!
Per esprimere il nostro affetto e la nostra gratitudine offriamo
ai festeggiati dei regali, che loro accolgono con gioia. Celebrare la Messa significa dire “grazie” a Dio per tutti i doni del
suo amore. L’amore esige gesti concreti, e poiché amare significa donare, i
doni che portiamo all’altare al momento dell’offertorio sono il segno visibile
dei nostri sentimenti di gratitudine.
È ora di mettersi a tavola! Ora i nonni ci ricordano le tappe importanti
della loro vita. Il ricordo di quei fatti è così forte che essi li rivivono
come se avvenissero in quel momento!
Anche nella Messa, prima di accostarci
alla mensa, il sacerdote ci ricorda il momento più importante della vita di
Gesù: l’Ultima Cena con gli apostoli. Nella consacrazione il sacerdote ripete
le stesse parole di Gesù ed è proprio in quel momento che il pane e il vino
diventano il Corpo e il Sangue di Gesù: Gesù è presente vivo sull’altare!
Ascoltare il racconto delle tappe più importanti della vita dei nonni ci fa sentire una famiglia unita.
Anche Gesù ci rende
fratelli e figli dello stesso Padre, ci abbracciamo con gioia e recitiamo
insieme la preghiera che Gesù stesso ci ha insegnato: il Padre nostro.
In una bella festa in famiglia non può mancare la condivisione del cibo,
che ci fa sentire uniti.
Terminato il pranzo, chiacchieriamo ancora un po’, infine ci salutiamo e
ciascuno ritorna a casa, ma l’amicizia e l’affetto continuano tutti i giorni.
Mangiare alla tavola di Gesù è l’impegno
a essere una famiglia unita: egli si è trasformato in cibo donato per noi e noi
diventiamo dono per gli altri. Gesù è venuto nel nostro cuore e lo ringraziamo
per averci invitati alla sua festa. Il sacerdote ci dà la benedizione, ci salutiamo
e torniamo a casa: sappiamo che la Messa continua durante tutta la settimana
nella nostra vita quotidiana.
Se impariamo a vivere la celebrazione Eucaristica con questi sentimenti di invitati alla Festa, con la gioia di ritrovarci con gli
amici e i parenti, sicuri di venir perdonati per poter condividere la Parola e
il Pane di vita vera, allora anche i nostri bambini un po’ chiassosi, saranno
segno di gioia e gratitudine verso chi ci invita alla sua mensa.
Ernesta e Gianprimo
C-ANDARE A MESSA CON UN FIGLIO DISABILE
E pregare per il più grande che non ci va più
Partecipare alla Messa domenicale, per noi è diventata
veramente un’impresa, se si pensa alla classica idea di andare insieme: padre,
madre e figli e sedersi allo stesso banco.
Quando la domenica siamo a casa, e questo succede per una metà delle domeniche
in un anno, cerchiamo di andare in chiesa con il figlio disabile di 22 anni, affetto da autismo ed epilettico.
Ma la sua capacità di attenzione è pressoché nulla e
l’iperattività costringe mio marito soprattutto a passeggiate all’interno e
fuori della chiesa, che per fortuna è molto grande. Purtroppo questo ci
impedisce di seguire come si deve e come si vorrebbe, le varie fasi
dell’Eucarestia, diciamo che ci siamo, punto.
Durante lo svolgimento può capitare che si metta a battere le mani, a
vocalizzare, oppure batte i piedi per terra con forza.
Questo naturalmente attira l’attenzione dei fedeli, che per fortuna ormai hanno
imparato a conoscerlo, e non ci fanno più tanto caso.
Anche accostarsi alla comunione, non è sempre agevole, bisogna stare attenti
che non dia pacche sulle spalle a chi sta di fronte in coda, oppure che faccia
inciampare qualche anziano.
Per fortuna, il nostro parroco progettando la chiesa, ha previsto una cappella
feriale, divisa da una grande parete in vetro, dalla chiesa principale, ma con
altoparlanti. In questo modo sia noi che abbiamo il figlio disabile, sia le
famiglie con bimbi piccoli, che si sa, sono sempre un po’ rumorosi,
possono seguire la Messa, senza disturbare più di tanto l’assemblea.
La partecipazione alla Messa è per noi sempre comunque fonte di gioia e di
ricarica , per la settimana lavorativa che ci attende.
Un capitolo a parte riguarda la partecipazione all’Eucarestia nell’altra metà
dell’anno, quando si è in montagna, o in vacanza o via con il camper.
In questo caso alla Messa riesco ad andarci solo io, e prego per tutta la
famiglia, anche per il figlio primogenito, che se fino a pochi anni fa,
frequentava oratorio, e faceva l’animatore, ora a Messa non ci va più.
So che nel profondo del suo cuore crede in Dio e conosce condivide il Vangelo
di Gesù e il Suo messaggio. Sta solo attraversando quella fase della vita in
cui si contesta tutto e si vuole cambiare tutto, soprattutto non sente suoi i
riti e le liturgie.
Passerà ne sono sicura, tornerà, se Dio vuole, magari i giovani, come lui,
porteranno invece una ventata di rinnovamento all’interno della Chiesa; e
aiuteranno tutti ad stare un po’ di più al passo con i
tempi moderni e al loro linguaggio comunicativo.
Un messaggio importante di questo sentimento in tal senso, ce
l’ha dato ; quando ha partecipato insieme a noi ad un viaggio –
pellegrinaggio in Israele - Giordania, due anni fa. E’ stato
per noi genitori una grande gioia l’averlo insieme anche se già ventenne.
Marianna
D-EUCARISTIA E FAMIGLIA
"L'attirerò a me, la condurrò
nel deserto e parlerò al suo cuore" Osea 2,16
Di Maria Rosa e Franco Fauda
INTRODUZIONE
Che significato ha per molti la domenica? È il
giorno del riposo o dell'hobby, a volte più stancante del lavoro quotidiano. La
società, poi, propone od obbliga al lavoro festivo. In questo modo stiamo
svalutando la domenica come festa e giorno del riposo cristiano.
Il Giorno del Signore è vissuto come tale da pochi,
anche molti che vivono valori evangelici non vanno a Messa e la loro preghiera
si riduce alla domanda nei momenti di necessità e di bisogno.
Non si ricordano più le orazioni né le preghiere
del buon cristiano e l'accensione di una candela votiva è uno dei pochi momenti
di spiritualità all'interno di una famiglia.
In mezzo a tanto sfacelo c'è però la scoperta e
la ricerca di silenzio, di deserto.
Fare
deserto
Di fronte a tanti che parlano a ruota libera senza
dare niente, molti vogliono fare un po' di deserto e meditare. Che cosa vuoi
dire fare deserto?
Il deserto è un luogo arido ma anche senza
confusione, dove possiamo ritrovarci soli con il creato ed il Creatore. Questo
deserto interiore lo possiamo fare anche ora se accogliamo l'invito di
guardarci dentro, di entrare in sintonia col Signore.
Non dimentichiamo che in molte diocesi si
iniziano scuole di preghiera, scuole di formazione permanente di coppia, scuole
per genitori, tutte occasioni per ritrovarsi e mettersi a confronto, ma prima
di tutto occasioni per farsi guidare da Dio.
In tutto questo fermento di rinascita dello
spirito non dobbiamo dimenticare i mass media, le pubblicazioni di libri di
preghiere, quel best seller mondiale per fortuna è ancora la Bibbia, le radio e
televisioni cristiane.
La
Messa domenicale
Fin da bambini siamo stati abituati ad andare a
Messa la domenica, da adolescenti la sfida era un andare incontro alle novità
del momento e non alle banalità del precetto, da adulti la voglia di stare col
Signore può diventare un'occasione unica da non perdere.
Per quanto riguarda la fede, per molti adulti
non c'è stato il passaggio dalla fase adolescenziale a quella adulta. Così
sentiamo la Messa domenicale più come un’abitudine da subire che un’esperienza
di stupore.
Questo succede per ogni singola abitudine:
- Svegliarsi al mattino con l'atteggiamento di
chi dice: "ancora qui?", oppure di chi è capace di ringraziare Dio
perché è vivo.
- Essere sani senza rendersene conto, oppure
lodare Dio per questo dono.
- Far da mangiare o mangiare con aria di
sufficienza, oppure pensare a quello che farebbe più piacere al marito o ai
figli.
- Lavorare pensando alla settimana che deve in
qualche modo finire, oppure vivendo il lavoro come dedizione agli altri.
Questa abitudine, se vissuta nello stupore,
diventa un appuntamento d'amore irrinunciabile: il Signore dall'eternità mi
aspetta a quell'ora.
Se viviamo la Messa con questo spirito saremo in
grado di farla davvero diventare, in quanto azione di Cristo e del popolo di
Dio, il centro di tutta la vita cristiana.
Se tutta la famiglia assiste alla stessa Messa
ne può uscire rinnovata, capace di superare malumori e disaccordi, non per una
miracolosa soluzione dei problemi, ma per una nuova determinazione a superare
l'ostacolo, capire l'altro, la sua idea, la sua difficoltà, la sua diversità.
Ecco che la questione si chiarisce: la famiglia
può vivere nel quotidiano come se partecipasse alla Messa?
L’ACCOGLIENZA
La celebrazione eucaristica inizia con l'accoglienza
della famiglia da parte della comunità. Ogni volta che una nuova famiglia o una
nuova persona appare nella nostra assemblea basterà uno sguardo di benevolenza,
un sorriso, un gesto di stima e di riguardo per farli sentire a casa propria.
In famiglia l'accoglienza reciproca è vissuta in
virtù del Battesimo e del Sacramento del Matrimonio che vede i vari familiari
riuniti nell'amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Sapere
gestire i conflitti
Il fatto di essersi sposati "nel
Signore" non esime, ne garantisce, dalle situazioni di conflittualità.
I doni sacramentali sono una garanzia dell'amore
di Dio verso la coppia, un segno della sua fedeltà incrollabile, ma non
liberano dalla fatica della costruzione della vita di coppia, anzi la richiedono
come risposta esistenziale, come verifica costante e cammino dinamico di
crescita e di spiritualità.
Vanno in questa direzione l'appello alla
conversione permanente rivolto alla coppia, con l'esigenza del pentimento e del
perdono reciproco, della riconciliazione e della capacità di ricominciare ogni
volta, ogni giorno, con pazienza e perseveranza instancabili.
Perché si litiga?
- Per stanchezza, non accettiamo nemmeno di
sentire le opinioni dell'altro.
- Per paura che l'altro ci voglia condurre dalla
sua parte, al punto di erigere un muro di incomprensioni.
- Per delusione di non essere stati riconosciuti
e rispettati nel lavoro svolto.
- Per il dispiacere di veder rincarare la dose,
quando sappiamo benissimo di aver sbagliato.
- Per un'infinità di altri motivi che hanno alla
base l’impossibilità di conoscere pienamente l’altro (cfr. Gen. 2, 23: “Allora
il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo...”).
Così talvolta non stiamo seduti uno di fianco
all'altro ma di fronte, come due avversari.
Se invece ci indirizziamo a Dio insieme, siamo
come due binari che vanno nella stessa direzione e sarà difficile entrare
nell'ottica del conflitto perché viviamo in parallelo l'esperienza di amore di
Dio.
Noi spesso siamo seduti di fronte guardando
ognuno alla propria verità e pensando che solo la nostra sia quella giusta.
Accogliere l'altro diventa allora saper accettare la sua verità, farla
diventare la nostra, vederlo, nella fede, come fratello.
Accogliere
gli altri
Terminiamo con alcuni brevi esempi di accoglienza
quotidiana.
L'accoglienza del coniuge.
L'altro cerca in noi la pace, un “oasi nel
deserto” dove poter deporre le tensioni di un mondo lavorativo sempre più
disumano e stressante.
L'accoglienza al figlio.
Abbracciamolo come quando lo abbiamo stretto al
petto appena nato, con trepidazione, con gioia sapendo accogliere insieme con
lui anche i suoi problemi, i suoi successi o più frequentemente gli insuccessi.
L'accoglienza ai poveri.
Hanno il volto di giovani sbandati o di vecchi
soli, sono la suocera pesante o la cognata indiscreta, la vicina invidiosa che
vuole parlare male di chiunque.
L'accoglienza degli amici dei figli.
Sono chiassosi, pronti a distruggere con una
pallonata le piantine appena fiorite, esperti nell'arte di disturbare e
sporcare; pronti a malincuore a pulire oppure a fare qualsiasi gentilezza
appena si sentono accettati.
Le altre forme di possibile accoglienza le
lasciamo pensare e vivere a voi.
L'ASCOLTO DELLA PAROLA
"Ecco, come l'argilla è nelle mani del
vasaio, così voi siete nelle mie mani" Geremia 18,6.
L'ascolto della parola è inscindibile
dall'ascolto dell'altro, del nuovo, del diverso; vissuto in famiglia sapendo
recepire le domande e sapendo modificarsi:
·
Empatia
·
Essere al posto dell'altro mentre ci parla,
essere dalla parte dell'altro, senza occupare il suo spazio, senza sostituirsi
all'altro.
Così in famiglia o tra amici ravvivano la loro
intesa conversando e mettendosi a tavola insieme così Dio rinnova l'alleanza
col suo popolo rivolgendogli la parola, dandogli l'opportunità di salvarsi.
La Parola è il Verbo che si è fatto carne, è
Gesù stesso che viene ad abitare nella nostra casa.
La liturgia della parola insieme alla liturgia
eucaristica sono le due modalità eminenti della presenza di Cristo, mensa della
parola e mensa del corpo di Cristo.
Ci sono degli strumenti di interpretazione della
Parola che ci aiutano a vivere alla luce del Vangelo: la Lectio Divina, la
Revisione di Vita, ponendoci di fronte ai brani sacri con l'atteggiamento di
chi si domanda "Che cosa ho vissuto di questo fino ad ora?".
Non dimentichiamo che il Vangelo è anche detto
Buona Novella, cioè buona notizia, ripensando alla nostra gioia di fronte a
qualche bella notizia, siamo proiettati nella gioia, Don Bosco diceva che non
conosceva nessun santo musone.
Quindi la nostra vita riflette la gioia di Dio,
è piena di risate, di allegria, di canti, di scherzi, di voglia di ritrovarsi
nel Suo Amore e nel nostro.
Gesù stesso nell'incontro con i discepoli di
Emmaus prima spiega le Scritture, poi si mette a tavola, pronunciando la
benedizione, prende il pane, lo spezza e lo distribuisce.
San Paolo a Troade prima parla a lungo, tanto
che un giovane cade da una casa e muore e lui lo risuscita, poi spezza il pane
con l'assemblea.
La
parola di Dio va condivisa con gli altri
Non si ha vita cristiana senza parola di Dio. La
comunità, la famiglia, nasce dalla parola di Dio. Si diventa comunità,
famiglia, solo accogliendo la parola di Dio.
Fino al 1200 non esistevano catechismi, c'erano
solo la Bibbia e i commenti alla Bibbia.
La parola di Dio è Cristo vivente, Dio che
cammina con noi. Parte da Dio, è proprietà di Dio.
S. Agostino: "La Parola di Dio è la lettera
d'amore che Dio ha scritto personalmente ad ognuno di noi.". Bisogna
leggerla con amore.
Senso della Bibbia. Dio che un giorno ha
ispirato un uomo e finito tutto lì. No, Dio che continua d ispirare la parola,
una ispirazione continua, oggi Dio parla a me e mi dice quelle parole, Se non
le avesse ancora dette me le direbbe oggi per me.
Dio non ha creato l'uomo, una volta tanto tempo
fa, Dio crea l'uomo tutti i giorni oggi.
La sua opera creatrice è continua, attuale, non
finisce, non è vincolato a uno spazio tempo, è fuori dallo spazio tempo che noi
pensiamo, capiamo.
Lo stesso vale per la Parola.
Cosa
fa la parola?
Ci scopre. Noi due come possiamo essere Nudi uno
di fronte all'altro?
Solo se siamo di fronte a Dio. Non è la nudità
fisica, ma quella interna, psicologica, il dirsi tutto, senza riserve, è
possibile solo se fato alla luce di Dio.
Il peccato non ha cambiato lo stato di Adamo e
di Eva. Erano nudi anche prima, ma ha cambiato il loro modo di interpretare di
porsi, di leggere le situazioni della vita.
Lo stesso succede oggi solo se leggiamo la
nostra vita di fronte alla parola di Dio, riusciamo a capirla, e a comunicarla
all'altro, altrimenti ci vergogniamo di noi stessi della nostra nudità e ci
nascondiamo.
Ci scuote. Nella nostra vita abbiamo bisogno di
scosse. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci dica: "Guarda che la strada è
un'altra". Viviamo immersi nel mondo e inevitabilmente ne siamo
condizionati.
I nostri propositi durano lo spazio di una
giornata, poi come il seme della parabola viene il sole e seccano.
Ci mette in crisi. Ci salva. Per tornare alle
immagini di prima. Dio fece delle tuniche di pelli e li diede all'uomo e alla
donna.
Ci guarisce. Pensate a tutti quelli che Dio sana
nel corpo e nello spirito. A tutti i miracoli che ogni giorno succedono. Ci
rida la vista.
Abbiamo tanta cura dell’Ostia consacrata, però
lasciamo che la parola di Dio si perda.
San Giovanni Crisostomo: "Non è possibile
che uno si salvi se non attraverso la Parola di Dio".
L'OFFERTORIO
Ognuno offre agli altri familiari i suoi
talenti, il frutto del suo lavoro e della sua fatica, in uno scambio
vicendevole di doni.
Anche la preghiera è partecipazione attiva alla
vita ed alla missione della Chiesa.
La preghiera è quindi l'espressione del compito
sacerdotale della famiglia.
Si tratta di una preghiera fatta in comune
genitori e figli insieme che cantano o salmodiano o recitano orazioni o il
rosario o invocano la benedizione sul cibo, sui figli, sui doni che ci
circondano (Familiaris consortio N 59-60; Direttorio di Pastorale familiare).
Anche durante la presentazione del pane e del
vino "frutto della terra e del lavoro dell'uomo" c'è la lode e il
ringraziamento a Dio, fatto da Gesù nell'ultima cena, per l'opera della
salvezza che si va compiendo.
LA CONSACRAZIONE
"Questo è il mio comandamento: che vi
amiate gli uni e gli altri come io vi ho amati" (Gv 15,12)
Sull'altare, dopo l’offertorio, non c’è solo il
pane e il vino, c’è anche quello che ciascuno dei fedeli ha offerto. C’è la
fatica, il dubbio, il dolore, ma anche l'amore, la fedeltà, la gioia. Tutti
questi doni attendono di essere trasformati dall’amore di Cristo, l’unico
capace di una donazione totale senza riserve.
Accogliere
gli altri e l’Altro
La consacrazione chiede di essere vissuta come
una nuova Incarnazione, uno scendere di Dio in mezzo a noi, un momento che ci
invita a sentirci infinitamente piccoli di fronte all'infinitamente grande.
Anche in famiglia sperimentiamo il nostro essere
piccoli di fronte al progetto di Dio, per esempio se siamo colpiti da una
malattia incurabile, se ci troviamo di fronte al dolore innocente, se
inaspettatamente scopriamo di stare per diventare di nuovo genitori.
A volte il progetto di Dio non coincide col
nostro, perché noi siamo miopi e non riusciamo a capire qual è realmente il
nostro bene e perché questo bene, per essere colto, ha bisogno delle nostre
fatiche, delle nostre sofferenze o delle nostre gioie.
Nella consacrazione il pane spezzato, il vino
versato, sono il corpo di Cristo crocifisso, una croce che Egli ha portato per
noi e che ci chiede di condividere con Lui.
Per Gesù la croce è stato il momento più
autentico, perché il più libero. Anche noi siamo chiamati ad usare la nostra
libertà per fare la Sua volontà, anche se non sempre ne comprendiamo il
significato.
Nella consacrazione Gesù trasforma la materia
del pane e del vino nel Suo corpo e nel Suo sangue. Per fare questo Gesù parte
da quel poco, o da quel pochissimo, che noi gli abbiamo dato.
Gesù, nell’ultima cena, ha preso un pezzo di
pane, scelto senza preferenze da tutto il pane del mondo, per trasformarlo e
portarlo alla perfezione.
Gesù vuole prendere nelle sue mani tutta
l'umanità, ciascuno di noi, ogni coppia, ogni famiglia per trasformarci e
renderci “perfetti”.
Proviamo anche noi a prendere in mano ciò che
abbiamo: la nostra vita, quella del coniuge, quella dei figli, con lo stesso
spirito con cui Gesù ha preso in mano il pane.
Un pane che è stato spezzato, diviso per
moltiplicare il dono, per costruire una giustizia nuova, fatta di amore e di
benevolenza, di gioia e di misericordia.
La condivisione si vive ed impara in famiglia,
la solidarietà si trasmette ai figli se i genitori sono capaci di spezzare la
catena del consumismo fine a se stesso, se sono capaci di gioire con altri dei
doni ricevuti, se sanno dividere qualcosa, non necessariamente un bene
materiale, con chi non l'ha. Condividere è un modo concreto di vivere
l’Eucaristia.
Il
memoriale
Nella consacrazione la Chiesa ripete il gesto di
Gesù nell’ultima cena invocando lo Spirito: "Manda il tuo Spirito a santificare
i doni che ti offriamo, perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo,
tuo Figlio e nostro Signore, che ci ha comandato di celebrare questi
misteri…"
Questo comando si trasforma, per la Chiesa, in
un memoriale; non è un semplice ricordo che con gli anni può sbiadire, ma un
rito che ogni giorno si rinnova e trasforma “realmente” il pane e il vino nel
suo sangue e nel suo corpo.
Il racconto dell’istituzione termina con la
frase: “Fate questo in memoria di me”.
Possiamo cogliere in essa un accorato appello
del Signore: “vi prego: mettete questo al primo posto. Potete tralasciare tutte
le altre cose, ma fate questo gesto, ad ogni costo”.
Lasciamo da parte tante cose ma non
l'Eucarestia!
Questo non è facile perché siamo immersi nel
“fare” tante cose, come Marta siamo tentati di preoccuparci di molte cose,
perché in fondo ciò ci appaga e gratifica e ci fa sentire quasi creatori.
Immersi nel “fare”, non abbiamo il tempo di
guardare, ascoltare, vedere Dio che opera nella nostra vita, nel mondo, nella
storia.
L'Eucaristia è opera “per eccellenza” di Dio,
“culmine e fonte” della nostra vita cristiana.
Non riduciamo l’invito a “fare questo” al rito
celebrativo, ma facciamolo diventare “vita” per la nostra vita, strumento per
uscire da noi stessi ed “essere per”, come il pane spezzato, come il Suo corpo
dato “per la vita del mondo” (Gv 6,51).
IL PADRE NOSTRO
II Padre Nostro è il modello di ogni preghiera,
anzi la sintesi di tutto il vangelo.
Nella messa è posto tra la preghiera eucaristica
e il rito della comunione, per chiedere che il Regno, già compiuto in Cristo
morto e risorto, si compia anche in noi.
È una preghiera fatta insieme per pregare
l'unico Padre, senza nulla togliere alla necessità della preghiera individuale.
La necessità di avere un unico Padre ci rende fratelli nella Fede, con uguali
dignità, identici diritti e doveri.
Nelle nostre famiglie spesso c'è un'inversione
dei ruoli, si tende a far dirigere la famiglia non dal genitore ma dal figlio
che viene quasi idolatrato e venerato nella sua "costretta unicità".
La famiglia che inverte i ruoli è diseducante e
deviante, la famiglia che sa vivere i giusti ruoli è arricchente, sana e viva,
porta con sé la speranza del domani.
Nel Padre Nostro ci sono sette domande che
rivolgiamo al Padre.
Le prime tre chiedono la gloria di Dio, che Dio
sia tutto in tutti, che si compia il suo regno che si realizzi pienamente il
suo disegno di salvezza.
Le altre quattro riguardano la nostra vita,
perché il regno di Dio coincide con la vita dell'uomo, e ci fanno chiedere pane
e liberazione integrale.
Il
pane
Per le nostre esigenze concedici il Pane
quotidiano, che non è solo il pane come cibo del corpo, ma anche il pane che è
Parola di Dio e cibo dell'anima.
I
debiti
Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo
ai nostri debitori: è indispensabile il perdono vicendevole per poter
partecipare alla stessa mensa.
Anzi è indispensabile il perdono per non morire
soffocati, per poter vivere.
Il perdono dato e ricevuto come il massimo del
dono, come regalo più grande.
Il perdono tra noi coniugi e tra genitori e
figli è possibile solo se abbiamo fatto in prima persona l'esperienza del
perdono di Dio; anche e soprattutto se dopo ci accostiamo all'eucaristia.
Certo che i crescenti impegni pastorali di ogni
parroco, la diminuzione del clero, la nostra ritrosia a farci guidare da
qualcuno nel cammino di vita spirituale, le difficoltà di ordine psicologico
tra sacerdote confessore e penitente non sono che una minima parte delle
motivazioni per cui è in disuso questo sacramento.
Si cerca di fare in molte parrocchie una
celebrazione penitenziale preparatoria ad una buona confessione, specialmente
nei momenti forti (Avvento, Quaresima); la presenza di molti sacerdoti anche
anziani ci permette di accedere a questo sacramento con la calma dovuta, con la
consapevolezza di essere in molti bisognosi del medico Gesù.
È pur vero che la nostra società non ammette
intrusione nel privato, ma è altrettanto vero che, a forza di perdonarci tutto,
siamo così deviati che rischiamo di costruirci un Dio su misura a nostro uso e
consumo, abbiamo perciò bisogno di sentirci dire "Ti siano rimessi i tuoi
peccati"; certi che questa frase di prammatica ne cela altre dette dal
Padre misericordioso: "mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi, uccidete
il vitello grasso e andiamo a far festa".
Anche in famiglia dopo la riconciliazione si
vive profondamente la festa, il piacere di ritrovarsi, la voglia di ridere.
La
tentazione
Non ci indurre in tentazione: anche se si è
parlato di modificare proprio questa frase, mi è cara perché spesse volte
pregata e vissuta come richiesta di aiuto a non farci soccombere alla
tentazione.
Frère Roger direbbe allontana da noi le tenebre
del male. A Taizè si canta: "nella nostra oscurità attizza il fuoco che
non si esaurisce mai, la tenebra non è più tenebra con Te, la notte come il
giorno è luce".
O come si legge nel salmo 141,4: "Non
lasciare che il mio cuore si pieghi al male e compia azioni inique con i
peccatori".
Il
male
Ma liberaci dal male: domandiamo di essere
liberati dal potere del maligno (1 Gv 5, 19), che ostacola il regno di Dio, e
dai mali spirituali e fisici, di cui è l'artefice.
In un mondo in cui non si crede più al demonio
possiamo dire che questi trionfa in larga misura.
È opera del maligno la negazione del diavolo,
del divisore, di colui che è stato capace per primo di rifiutare l'amore di
Dio, che è stato capace di usare le nostre debolezze per allontanarci dal Suo
amore, l'unico amore che salva.
LA COMUNIONE
II cibo che ci ristora e ci fortifica viene consumato insieme e cementa l'amore tra noi e Gesù, fino a ritrovarci in Lui e Lui in noi.
E' un’intimità affettiva che non si vergogna di entrare in un corpo corruttibile, in un'anima che ha fatto l'esperienza del peccato (Lui ci ha detto che è venuto per i malati e non per i sani).
Tra coniugi, tra genitori e figli, l'intimità dell'abbraccio è volersi dire e dare tutto l'amore possibile.
Il sentirsi abitati dall'amore dell'altro, come dall'amore di Dio che ha scelto il nostro corpo per farci suo santuario.
E’ l’esperienza di Maria che ha percepito nel suo corpo la presenza di Dio.
La mensa ci consente di vedere il mondo con gli occhi di Gesù, di vedere il nostro prossimo in comunione con noi, comunione come comune unione con tutti i familiari, sempre inseriti nello stesso amore tutti insieme per sempre.
La comunione eucaristica ha un carattere tutt'altro che intimistico e sentimentale.
Far comunione con il Signore crocifisso e risorto significa donarsi con Lui al Padre ed ai fratelli.
Unendoci a sé. Gesù Cristo ci unisce anche tra noi: l'eucaristia presuppone, rafforza e manifesta l'unità della Chiesa; esige l'unità della Fede e impegna a superare le divisioni contrarie alla carità.
La preghiera eucaristica si fa intercessione per il mondo, per i presenti e per gli assenti, per i vivi e per i defunti: "Ricongiungi a Te, Padre misericordioso, tutti i tuoi figli ovunque dispersi- Accogli nel tuo regno i nostri fratelli defunti..."
Tutti i sacramenti appartengono all'alleanza attuata da Dio in Cristo e comunicata nella Chiesa all'umanità.
Il battesimo e la confermazione costituiscono l'attuazione reale dell'alleanza inscritta nel cuore, indistruttibile, dono dell'amore unico del Signore.
Il mistero
dell'eucarestia rappresenta la fonte e il vertice (fons et culmen) dell'alleanza escatologica realizzata da Cristo e
in Cristo per
La celebrazione eucaristica è la memoria attualizzante dell'alleanza pasquale: la ripropone come evento decisivo, fondando e modellando la Chiesa come comunità dell'alleanza messianica e chiamando i credenti a lasciarsi trasformare da essa.
LA MISSIONE
Ecco che l'esortazione sacerdotale diventa il primo mattone su cui fondare la vita di famiglia.
Andare è un verbo di movimento ed implica l'uscire da noi stessi dai nostri rifugi di comodo per andare verso il coniuge, il figlio, gli altri per annunciare una vita di pace, di felicità, di bontà, di buona novella, di voglia di annunciare il Vangelo non solo con le parole ma con i fatti, con la nostra dedizione, col nostro amore verso tutti.
L'invito missionario è rivolto a tutti perché ogni persona può e deve essere testimone di Cristo, colui che ha una trepidazione santa per aver visto Cristo Risorto.
Infondendo nel cuore la carità di Cristo e la speranza del regno di Dio l'eucaristia diventa la sorgente della missione del cristiano e della comunità ecclesiale.
Lo sciogliersi dell'assemblea è anche un invito: "Glorificate il Signore con la vostra vita. Andate in pace."
La messa si prolunga nelle strade -nelle case, nei luoghi di lavoro e del tempo libero.
Dobbiamo essere coscienti che colui che ha detto "Questo è il mio corpo" ha anche detto "Voi mi avete visto affamato e mi avete nutrito, assetato e mi avete dato da bere, nudo e mi avete vestito..."; quindi uscendo dalla chiesa non dobbiamo rientrare nei nostri schemi difensivi per non vedere e non soffrire, dobbiamo coinvolgerci fino in fondo nel più piccolo dei fratelli sapendo che quello non è altro che Cristo, miseramente travestito nei panni del lontano, dell'indifeso, del povero, del più povero tra i poveri, che nel nostro occidente opulente è spesso eliminato perché disturba.
Sia in modo indiretto non consentendone la vita, negandone l'ospitalità, sia in modo diretto eliminandolo fisicamente.
Pensiamo alle migliaia di feti abortiti- ogni giorno in Italia, siamo a 4.000 al dì, 140.000 l’anno.
Madre Teresa di Calcutta definisce l'aborto il più grande distruttore di pace.
Da ogni Messa dobbiamo uscire certi che noi siamo vivi ed in quanto tali dobbiamo difendere la vita in ogni sua forma.
Dobbiamo sfatare il mito di una vita di serie A, come se ci fossero diverse serie di qualità meno pregiata.
Cristo è morto e risorto per ognuno di noi. Lui non ha mai fatto la cernita dei migliori, ha voluto con sé dei pubblicani, dei pescatori, delle donne dal passato tormentato, ed all'ultimo ha promesso il regno di Dio ad un ladrone.
Quando il sacerdote ci invia dobbiamo sentire il mandato di Cristo che ci invita a testimoniarlo in ogni circostanza con i nostri mezzi, sapendo che quando questo succede è addirittura Dio che sorride.
Coloro che si sposano nel Signore sono degli eletti, in senso biblico, scelti da Dio e con i quali Dio stringe un'alleanza, chiamandoli alla missione.
E tale è la realtà della coppia cristiana: una comunità del Signore e della Chiesa, depositaria di un progetto salvifico di comunione e di amore, da proclamare al mondo intero, come inizio della nuova umanità inaugurata dal Risorto.
La missione è costitutiva del sacramento della coppia: sul piano dell'essere e sul piano dell'agire, dell'indicativo teologale e dell'imperativo etico.
Nessun momento del vissuto degli sposi si sottrae a questa identità di vocazione per la missione.