Foglio di collegamento tra Gruppi Famiglia
GF85 - dicembre 2014
LA FAMIGLIA, SPERANZA E FUTURO PER LA SOCIETÀ
ITALIANA
Riflettendo sui temi della 47° Settimana Sociale dei Cattolici Italiani
Lettere alla rivista
1-LE SETTIMANE SOCIALI
Se rimangono un fatto isolato rischiano di essere una cattedrale nel deserto
È passato un anno dall’ultima Settimana Sociale ma, da allora, non ne ho più sentito parlare.
Servono a qualcosa questi incontri? Hanno qualche ricaduta sulla Chiesa?
Matteo
Risponde mons. Giancarlo Grandis, vicario episcopale per la cultura della diocesi di Verona
La sua stessa domanda se l'é posta anche lo storico Massimo Faggioli sul mensile "Jesus" dei paolini all'indomani della celebrazione a Torino della 47ma "Settimana Sociale dei Catto-lici", arrivando alla conclusione sintetizzata nel titolo del suo articolo: "Uno strumento vecchio che va sostituito".
Le "Settimane Sociali" sono nate nel 1907 col preciso scopo di permettere alla emergente "Dottrina Sociale della Chiesa" di ispirare l'azione dei cattolici nella vita del Paese, in un preciso contesto storico, dopo la fine dello Stato pontificio.
Da allora le settimane sociali si sono succedute a scadenza periodica. Furono sospese nel 1970 e riprese nel 1991 in occasione del centenario della "Rerum novarum" e della pubblicazione della "Centesimus annus".
Non si può non riconoscere che le "Settimane Sociali", in quanto evento, hanno un grande valore sia per la riflessione prodotta sia per l'approfondimento dei contenuti sociali del Vangelo.
Ma la Chiesa non vive di solo eventi, se essi non riescono poi a penetrare nel tessuto vitale delle comunità cristiane fecondandole dei loro risultati.
Infatti, un evento ecclesiale, seppur importante come lo sono le "Settimane Sociali", se rimane un fatto isolato, rischia di essere una cattedrale nel deserto.
Il problema allora è: come far sì che le "Settimane Sociali" dei cattolici riescano ad intercettare le nostre diocesi e a rimanere a contatto permanente con esse, allo scopo di arricchire in ogni cristiano la consapevolezza del contributo che ciascuno può dare per far crescere nella società civile i valori della giustizia e della pacifica convivenza attraverso la partecipazione alla vita della nazione?
È una questione che chiama in causa l'impegno di tutti.
Dialogo tra famiglie
2-SCUOLA CATTOLICA O SCUOLA STATALE?
L’educazione alla fede non spetta alla scuola
Alcuni miei amici mandano i figli in una scuola cattolica. Io invece sono contraria perché non capisco cosa ci può dare di più rispetto alla scuola statale pubblica. O mi sbaglio?
Alessandra
Fermo restando che l’educazione alla fede è compito esclusivo della famiglia e della comunità parrocchiale e non compito della scuola, la scelta della scuola è un impegno serio per molti genitori: a volte risponde alle attese, altre volte si rivela una delusione.
La scelta della scuola cattolica è dettata essenzialmente da due motivi.
Il primo: la speranza che il messaggio educativo non si discosti da quello che genitori credenti vogliono trasmettere ai figli.
Il secondo: in molte realtà è considerata capace di un livello didattico migliore e/o segno di prestigio, di distinzione per classi sociali elevate o per evitare scioperi, ecc.
Rispetto al primo motivo, l’unico che ritengo qualificante, bisogna tener presente che, oggi, i docenti sono spesso quasi sempre dei laici, il capo istituto non può fare scelte discriminanti secondo il loro credo, quindi non offrono alcuna garanzia nella trasmissione dei valori (specie a livello di scuole superiori).
La scuola pubblica può benissimo offrire altrettanto. Credo che, sia nella scuola pubblica sia in quella paritaria, la differenza sia fatta dagli insegnanti, non dal tipo di istituto.
Altro discorso farei, invece, per i bimbi sotto i sei anni: in genere le scuole paritarie offrono classi meno numerose, migliore assistenza e maggiore cura.
Anna Lazzarini
Editoriale
3-LA FAMIGLIA, speranza e futuro per la società italiana
Famiglia credi in ciò che sei!
di Franco Rosada
Non so quanto l’evento da cui prende spunto questo numero, e cioè la 47° Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, sia stato conosciuto e vissuto.
Realizzando questo numero mi sono però accorto che, un po’ in tutti gli articoli, vengono sottoposti alla nostra attenzione temi molto importanti per il futuro della famiglia e della società.
Sì, perché nonostante una cultura che relega l’esperienza della famiglia alla sfera degli affetti, questa ha un ruolo fondamentale per la società.
Se sta “bene” anche la società sta “bene”: se la società fatica, la famiglia le può offrire gli anticorpi per guarire. Ma se la famiglia sta “male” la società si trova priva di anticorpi e non può che peggiorare.
Questo non è uno slogan propagandistico, è supportato da dati statistici e macroeconomici, è qualcosa che ci riguarda tutti.
Senza famiglia non c’è futuro: famiglie malate, bistrattate, frantumate, giovani impediti a “fare famiglia” possono portare solo a denatalità, invecchiamento della popolazione, caduta dei consumi, diffusione della povertà.
Siamo quindi chiamati a far crescere la sensibilità su questi temi nelle nostre parrocchie ma non solo. Dobbiamo prendere consapevolezza che solo con un’azione prepolitica, quella che si può fare attraverso iniziative diocesane, associazioni e movimenti - e qui mi permetto di citare il Forum delle Associazioni Familiari - sia possibile interloquire con le realtà sociali e politiche locali e nazionali per provare a modificare questo “trend” negativo.
E qui dobbiamo star molto attenti a ciò che i media ci “propinano”. Il vero problema nel nostro paese non sono le unioni omosessuali.
Si tratta di temi importanti ma non al punto da assorbire tutta la nostra attenzione. I veri temi sono la precarietà del lavoro, un fisco iniquo, una scuola che non educa ad essere cittadini, l’assenza di alloggi in affitto a prezzi abbordabili, mezzi pubblici inefficienti, assistenza sanitaria a macchia di leopardo, mancanza di asili nido, scarsa tutela della maternità, e via di questo passo.
Ci accompagnino nel nostro operare le parole pronunciate da San Giovanni Paolo II: “Famiglia credi in ciò che sei!”.
4-IL MESSAGGIO DEL PAPA
Esprimo tutto il mio apprezzamento per aver scelto, come tema di questa Settimana Sociale "La famiglia, speranza e futuro per la società italiana".
Per la comunità cristiana la famiglia è ben più che "tema": è vita, è tessuto quotidiano, è cammino di generazioni che si trasmettono la fede insieme con l'amore e con i valori morali fondamentali, è solidarietà concreta, fatica, pazienza, e anche progetto, speranza, futuro.
Tutto questo, che la comunità cristiana vive nella luce della fede, della speranza e della carità, non è mai tenuto per sé, ma diventa ogni giorno lievito nella pasta dell'intera società, per il suo maggior bene comune...
Come Chiesa vogliamo riaffermare che la famiglia rimane il primo e principale soggetto costruttore della società e di un'economia a misura d'uomo, e come tale merita di essere fattivamente sostenuta.
Le conseguenze, positive o negative, delle scelte di carattere culturale, anzitutto, e politico riguardanti la famiglia toccano i diversi ambiti della vita di una società e di un Paese: dal problema demografico - che è grave per tutto il continente europeo e in modo particolare per l'Italia - alle altre questioni relative al lavoro e all'economia in generale, alla crescita dei figli, fino a quelle che riguardano la stessa visione antropologica che è alla base della nostra civiltà.
Queste riflessioni non interessano solamente i credenti ma tutte le persone di buona volontà, tutti coloro che hanno a cuore il bene comune del Paese, proprio come avviene per i problemi dell'ecologia am-bientale, che può molto aiutare a comprendere quelli dell'"ecologia umana".
La famiglia è scuola privilegiata di generosità, di condivisione, di responsabilità, scuola che educa a superare una certa mentalità individualistica che si è fatta strada nelle nostre società. Sostenere e promuovere le famiglie, valorizzandone il ruolo fondamentale e centrale, è operare per uno sviluppo equo e solidale.
Papa Francesco
5-L’ARCHITETTURA DELLA FAMIGLIA
La differenza dei sessi e la differenza delle generazioni costituiscono la travatura di ogni essere umano e non possono essere confusi senza che ne segua una disorganizzazione globale della persona e della società.
Restringere l’orizzonte su ciò che ci va di “essere” significa mortificare, non liberare, la nostra umanità.
L’educatore deve aver ben chiaro che la massima efficacia del suo ruolo non viene da come egli parla, bensì da ciò che egli stesso è e fa.
Romano Guardini
di Angelo Bagnasco*
Questa settimana sociale vuole essere un servizio al dibattito culturale in corso nel nostro Paese, e per questo un confronto serio e rigoroso, aperto al contributo di tutti gli uomini pensosi, capaci di lasciarsi interrogare dalla famiglia e dalle sue esigenze.
La mia riflessione cerca di mettere a fuoco la relazione che intercorre tra generi diversi e tra diverse generazioni, con le relative implicazioni.
La differenza dei sessi e la differenza delle generazioni costituiscono la travatura di ogni essere umano, l’espressione visibile e certa del suo essere relazione, due orientamenti fondamentali che non possono essere confusi senza che ne segua una disorganizzazione globale della persona e della società.
Il fatto è che, nel volgere di qualche decennio, una tale persuasione ha perso di evidenza ed è diventata un problema. Questo è frutto di almeno due processi culturali: il primo è il rilievo sociale della sessualità che ha prodotto paradossalmente l’eclissi dell’identità sessuata; il secondo è la caduta del dialogo tra le generazioni che sembra portare al congedo dalla possibilità stessa di educare.
La divaricazione tra sesso e genere
A partire dagli anni ’70 si fa strada l’idea che il sesso non sia semplicemente un dato biologico, ma che comporti una elaborazione culturale in funzione della ripartizione dei ruoli nella società di appartenenza.
Basta pensare alla posizione sociale della donna in alcune epoche o aree geografiche, dove la sua libertà, il diritto all’istruzione, il desiderio di contribuire alla vita sociale, non sono state o non sono ancora adeguatamente riconosciuti. Questo sforzo di comprensione e critica è non solo legittimo, ma anche opportuno.
Questo ha comportato da una parte una maggiore consapevolezza della propria sessualità, e dall’altra l’estremizzazione della propria libertà.
La categoria di “genere”, nata per liberare la donna dal ruolo subalterno assegnatole dal potere maschile, diviene così sempre più autonoma rispetto alla categoria di “sesso biologico”, fino a contrapporsi ad esso, fino a negare anche il dato di partenza: la persona nasce sessuata.
La conclusione ultima è che il soggetto non è tanto quello che egli anatomicamente è ma come egli si percepisce.
Restringere l’orizzonte su ciò che ci va di essere, che ci fa ‘stare bene’, senza altre considerazioni (il senso, il bene di altri, la gratitudine per ciò che si è ricevuto, le generazioni presenti e future…) significa mortificare, non liberare, la nostra umanità.
Questo capovolgimento dall’oggettivo al soggettivo, dalla natura alla cultura, tocca la stessa visione antropologica: la persona stessa – nella sua complessità – è considerata come risultato mutevole della storia, anziché un dato oggettivo e imprescindibile da cui partire e da tenere come criterio che guida lo sviluppo personale e sociale.
Una riflessione seria e rigorosa, che sia improntata non a una teoria dell’equivalenza ma alla ricchezza insostituibile della complementarietà, è dunque oggi quanto mai opportuna e necessaria, e da cattolici si può dare un contributo ad un dibattito che rischia di essere monotematico.
L’eclissi dell’educazione
Il secondo processo che ha gradualmente segnato l’esperienza della famiglia è l’oscuramento della differenza tra le generazioni.
Oggi sembra che tra adulti e giovani sia diventato impossibile parlarsi e ancora prima ascoltarsi, sembra non esserci più uno spazio educativo.
Iniziamo parlando della crisi dell’autorità. Non a caso questa si è manifestata in quella ‘morte del padre’ che ha caratterizzato, a partire dal ’68, le società occidentali.
Il motivo del rifiuto dell’autorità è che essa viene sistematicamente confusa con il potere, di cui si ha una concezione pregiudizialmente negativa come imposizione e arbitrio. Ma nessuna autorità è tale se si limita ad affermare se stessa, ma solo se serve gli altri: in famiglia, in società, nella Chiesa.
Sul piano educativo ci vogliono adulti che siano interiormente maturi, che non giochino con il mito dell’eterna giovinezza; che non si pongano in patetica concorrenza con i propri figli; che siano consapevoli del doversi far carico perché altri si aprano responsabilmente alla loro vita.
I genitori – in particolare – devono accendere nei figli l’uomo spirituale e morale; devono generare l’uomo del corpo ma anche dell’anima; devono condurre la persona oltre se stessa per introdurla alla realtà intera.
La relazione tra le diverse generazioni
Gli anziani sono visti non di rado come una spesa magari da contenere o ridurre con provvedimenti disumani seppure mascherati come libertà individuale e pietà sociale.
A loro volta gli anziani, almeno quelli attivi, rischiano di assimilare una mentalità individualistica, e faticano a fare spazio ai giovani, oppure si ripiegano sulla dimensione privata del consumo, mentre potrebbero ancora mettere a disposizione energie e competenze per il bene comune.
Se pensiamo alla nostra famiglia, sentiamo – in un modo o nell’altro – un’onda di calore. Questo benefico calore cresce quanto più andiamo avanti negli anni, anche quando i nostri genitori sono già in cielo.
Forse, anche nelle nostre famiglie ci sono state difficoltà e prove: non sempre tutto è ideale, né dei caratteri né degli affetti. Ciò nonostante, la famiglia ha tenuto duro, ha retto alle inevitabili usure e stanchezze, ad alti e bassi. E noi, figli di ieri e di oggi, abbiamo intuito che su quella realtà, su quel piccolo nucleo, potevamo contare. In quel grembo accogliente ed esigente, abbiamo imparato ad avere fiducia in noi stessi, negli altri, nella vita. E la fiducia ha generato sicurezza. Abbiamo imparato a non aver paura delle prove, dei dolori, degli insuccessi; ad affrontarli con l’aiuto di Dio e degli altri.
Quel luogo generatore – la famiglia – non era però un nucleo dai confini instabili e dai tempi incerti, ma definito e permanente, su cui sapevamo di poter contare come su roccia ferma e affidabile. È questa la vera identità e la missione della famiglia che nel nostro Paese, nonostante tutto, rappresenta un punto di riferimento decisivo.
* presidente della Conferenza Episcopale Italiana
Sintesi della redazione
http://www.avvenire.it/Dossier/CEI/Documents/ProlusioneBagnascoSettSoc13.pdf
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Facciamo capire ai nostri figli la bellezza di essere maschi e femmine?
• Sappiamo accettare la nostra età anagrafica?
• Parliamo ai figli della storia delle nostre famiglie di origine?
6-FAMIGLIA, GENDER E DINTORNI
Le famiglie oggi in Italia devono far fronte ad una molteplicità di sfide molto concrete, eppure il tema che sembra prevalere sui media è quello delle unioni omosessuali.
Siamo distolti dai veri problemi per affrontare temi che sono senz’altro rilevanti e meritano la dovuta attenzione, ma non in questi termini.
Come mai così tanto interesse? Si parla tanto di questo tipo di unioni per preparare la strada ad altri argomenti che al momento l’opinione pubblica non “digerirebbe”.
L’obiettivo cui si tende è un programma di “neutralizzazione della sessualità”.
Cosa vuol dire questo? Che la sessualità rischia di diventare una sorta di abito da “indossare” senza alcun riferimento alla verità inscritta nel proprio corpo sessuato. Ogni persona dovrebbe poter essere libera di decidere chi essere: maschio, femmina, oppure una delle tante declinazioni del genere neutro. Ma, soprattutto, dovrebbero venir meno quelle prerogative esclusivamente femminili che hanno relegato la donna al ruolo di “riproduttrice”, fa-cendone un oggetto su cui l’uomo (il maschio) deve esercitare il suo controllo e il suo predominio. La più eclatante di tutti è la maternità.
Quest’ultimo obiettivo non ha origine nella cultura maschilista ma in quella femminista più radicale: per essere uguali, anzi “più uguali” (cioè superiori) ai maschi le donne si devono “liberare” dai loro tratti specifici. Ben vengano quindi gli uteri in affitto e, perché no, in un domani più o meno prossimo l’utero artificiale.
Ritorniamo con i piedi per terra: siamo preparati a misurarci con una sfida di questo tipo? Abbiamo gli strumenti culturali per ribattere in modo pacato e senza porci su posizioni di contrapposizione frontale?
Quattro, a mio avviso, possono essere gli ambiti da approfondire per acquisire un minimo di competenze:
• Legge di natura e omosessualità. La legge naturale e le sue contraddizioni. Cosa suggerisce la Parola.
• Dire “persona” oggi. “Siamo” solo se serviamo o “siamo” anche quando siamo inutili?
• Il matrimonio: da sempre e per sempre? I rischi di una lettura troppo eurocentrica dell’istituzione
• Il “genio femminile” e la lettura femminista. I ritardi della Chiesa e le fughe in avanti del femminismo
Questi sono anche i temi di quattro incontri che la nostra associazione, in collaborazione con il Forum delle associazioni familiari del Piemonte e l’Ufficio Famiglia dell’arcidiocesi di Torino, hanno realizzato tra ottobre e dicembre e di cui speriamo di potervi dar conto con uno speciale, a marzo del prossimo anno.
Franco Rosada, formazionefamiglia@libero.it
7-LE POLITICHE FAMILIARI per il bene comune
In Italia si continua a vedere la famiglia solamente come una delle voci di spesa del bilancio pubblico e non anche come risorsa strategica per lo sviluppo umano integrale
La famiglia deve essere considerata la prima “impresa” del Paese.
Perché non riconoscere ai figli il diritto di voto dalla nascita?
Impariamo a votare col “portafoglio”: le nostre scelte di consumo sono la principale urna elettorale che abbiamo.
di Stefano Zamagni*
Sono personalmente convinto che solamente una famiglia forte al proprio interno sia in grado di esercitare un forte potere di contrattazione nei confronti sia dell’impresa sia dello Stato. Vediamo come bisognerebbe procedere.
Una “legge quadro” sulla famiglia
Il legislatore italiano, riformando nel 1975 il diritto di famiglia, ha liberato la stessa dalle funzioni sociali, educative, assistenziali e produttive che storicamente l’avevano sempre connotata. È accaduto così che la famiglia sia stata ridotta a mero luogo degli affetti. Un’operazione di riduzionismo che sta avendo conseguenze devastanti per il futuro della famiglia.
Infatti, se la famiglia esiste ed ha ragione di esistere solo nella misura in cui perdurano rapporti affettivi, allora si deve concludere che ogniqualvolta quei rapporti vengono ad interrompersi la famiglia non ha più senso.
Ma il matrimonio non esiste per garantire la sensibilità dei coniugi, ma per consentire la costruzione di comunità familiari, alle quali la società, per mezzo dello Stato, affida i progetti intergenerazionali di convivenza.
Ecco perché occorre recuperare, e in fretta, la concezione della famiglia come “prima impresa”, come punto di riferimento socio-economico fondamentale per l’intera società, per esempio attraverso una “legge quadro” sulla famiglia.
Tasse e “fattore famiglia”
Con l’abrogazione nel 1976 del cumulo dei redditi la famiglia si è trovata svantaggiata.
Per fare un esempio chiaro: le coppie di fatto possono essere titolari di due prime case; possono beneficiare della duplicità di agevolazioni per le utenze domestiche; conservano separati i propri redditi a fini fiscali; ecc., mentre tutto questo alle coppie di diritto non è concesso: è davvero un bel paradosso!
È per questa ragione fondamentale che la proposta avanzata dal Forum delle Associazioni Familiari di accogliere nel nostro ordinamento il “fattore famiglia” – che prevede una no tax area familiare determinata in base al numero dei componenti del nucleo non può non essere accolta con favore. Va ricordato a riguardo che la laicissima Francia introdusse il quoziente familiare già nel 1945 e da allora nessuna maggioranza parlamentare ha mai pensato di cancellare tale provvedimento, anche durante l’attuale crisi economica.
Un aspetto particolare ma di grande rilevanza, è quello dell’equità intergenerazionale; in pratica, l’allocazione delle risorse tra giovani e anziani.
Nel 1977 nel nostro paese, gli ultra 65enni avevano una probabilità doppia della media nazionale di essere a rischio povertà. Oggi la situazione si è capovolta: sono le famiglie giovani con figli quelle che sono più esposte a questo rischio.
C’è allora da meravigliarsi quando le cronache ci narrano del disagio crescente delle giovani coppie nei riguardi della genitorialità? È per questo che proposte come quella di riconoscere il diritto di voto dalla nascita, un diritto esercitato dai genitori del minore fino al raggiungimento della maggiore età, non possono essere prese come mera provocazione intellettuale.
L’armonizzazione tra lavoro e famiglia
Un altro grande pilastro per una credibile politica promozionale della famiglia che è quello dell’armonizzazione dei tempi di lavoro e tempi di vita familiare.
Il punto importante che merita una sottolineatura è che la conciliazione – come questa politica viene ancora chiamata nel dibattito pubblico – viene considerata non un diritto del lavoratore che ha famiglia, ma un’azione in sé virtuosa che però nulla ha a che vedere con l’impianto del Diritto del Lavoro italiano.
Che dire del part-time da non confondersi con il lavoro precario? Si tratta di un istituto che concilia lavoro e famiglia soprattutto per le donne. Il part-time favorisce l’occupabilità, perché alti livelli di part-time sono collegati ad alti livelli di occupazione.
Rendere il part-time più semplice nell’uso e non penalizzante in termini di carriera, è dunque un obiettivo molto rilevante per le giovani famiglie.
Infatti, oggi il principale ostacolo alla formazione di nuove famiglie e, all’interno di queste, alla nascita di un figlio è l’impossibilità da parte di non poche coppie di sciogliere il conflitto tra avanzamenti di carriera e/o di livello professionale nel lavoro e necessità di dedicare ai figli le attenzioni indispensabili per la loro educazione.
Ma sono proprio i figli ad impedire l’avanzamento di carriera delle donne oppure questo è dovuto ad un’ottusa organizzazione del lavoro che si ostina a non voler riconoscere che i cicli di carriera della donna sono “naturalmente” diversi rispetto a quelli dell’uomo?
Soggetto attivo e non passivo
Il grande valore della famiglia italiana è quello di essere sempre stata un soggetto di reddito, un soggetto capace di intraprendere, di investire, di risparmiare e così facendo di creare ricchezza. Ecco perché la famiglia italiana deve chiedere rispetto per la sua specifica identità, e tornare ad essere soggetto, come lo fu fino agli anni settanta del secolo scorso, se vuole scongiurare il rischio di diventare oggetto della politica – sia pure di una politica compassionevole.
Un primo aspetto è quello di unirsi con altre famiglie per spendere di meno e ottenere di più. Questo approccio permette di sfruttare le economie di scala e soprattutto di diventare interlocutori credibili nei confronti dei fornitori (che si tratti sia di beni di consumo sia di servizi per la persona).
Si tratta di porre in pratica la strategia del “voto col portafoglio” cioè acquisire la consapevolezza che le nostre scelte di consumo sono la principale urna elettorale che abbiamo a disposizione.
Un secondo suggerimento è quello di dare vita, nei diversi territori, al Di-stretto Famiglia sull’esempio di quanto già attuato dalla Provincia di Trento. Tutti i soggetti realmente interessati al benessere delle famiglie sono chiamati a unire conoscenze, risorse economiche, beni relazionali, capacità imprenditoriali per la realizzazione di progetti concreti e non già per avanzare proposte o desideri vari.
Per concludere
La famiglia è sempre stata in crisi. Essendo un ente vivente, la famiglia si trasforma, evolve. Ed ogni trasformazione sempre comporta momenti di crisi. Ma ciò non significa affatto né che sia finita, né che sia spacciata. Anzi, parecchi sono i segnali di un rinnovato interesse alla questione della famiglia: basta non avere paraocchi ideologici per rendersene conto.
* Ordinario di Economia politica, Università di Bologna
Sintesi della redazione
http://www.avvenire.it/Chiesa/Documents/ZAMAGNI.pdf
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Siamo ottimisti o pessimisti circa il futuro della famiglia?
• Sappiamo votare col “portafoglio”?
• Come armonizziamo i tempi di lavoro e i tempi della vita familiare?
Se non cambiano le politiche demografiche
8-SEMPRE PIÙ VECCHI, SEMPRE PIÙ POVERI, SEMPRE PIÙ SOLI
di Gian Carlo Blangiardo*
Al Censimento 2011 la popolazione italiana si è attestata a poco meno di 60 milioni di abitanti, distribuiti in circa 25 milioni di famiglie. Dal 1950 ad oggi il totale dei residenti è aumentato meno intensamente delle corrispondenti unità familiari evidenziando un progressivo sfaldamento della famiglia tradizionale.
Da questo e da altri dati demografici vorrei evidenziare tre importanti aspetti del cambiamento demografico nei confronti dei quali vanno tempestivamente trovate le più adeguate risposte a tutti i livelli.
Sempre meno attivi
Il patrimonio demografico posseduto dalla popolazione italiana ammonta oggi a circa 2,4 miliardi di anni-vita (40 anni procapite).
Scomponendo i futuri anni di vita attesi da ciascuno secondo le tre diverse fasi del ciclo di vita attiva (studio e formazione, lavoro, pensione), si identificano (per l’insieme di tutti i residenti) più di 1,3 miliardi di anni-vita destinati ad essere spesi “al lavoro”, oltre 900 milioni di anni da spendere nel ruolo di “pensionati” e circa 100 milioni di anni da vivere in qualità di “giovani in formazione”.
E il futuro non sarà migliore: nel 2031 gli anni-vita destinati al lavoro si ridurranno del 3,2%, mentre quelli destinati alla pensione aumenteranno del 23,6%.
Lo stato sociale
Rispetto al welfare nel futuro assisteremo ad una trasformazione delle strutture familiari correlate all’invecchiamento della popolazione.
Nell’arco dei prossimi vent’anni, la popolazione ultra-85enne si accrescerà di 1,2 milioni di unità, e al suo interno aumenteranno di 600 mila unità i soggetti che vivono da soli.
Questo invecchiamento si accompagnerà a forme di dipendenza che, in un contesto di reti familiari strutturalmente più deboli – dove il modello del figlio unico riduce inevitabilmente le figure parentali –, richiedono maggiore attenzione da parte del sistema di welfare.
I giovani persi
Un terzo punto che vale la pena di affrontare, specie in una società dove i giovani tendono sempre più ed essere un bene raro, è quello della così detta “fuga dei (giovani) cervelli”.
Si può stimare che la “perdita netta” dei giovani italiani nel decennio 2001-2011 vada ben oltre le 100 mila unità nel suo complesso, ma soprattutto è bene soffermarsi sugli aspetti qualitativi di tale perdita.
Tra i cittadini italiani che si sono trasferiti all’estero (in maggioranza giovani), la percentuale di laureati è passata dall’8-9% del 2000 al 15,9% nel 2010.
Emblematico è anche il dato sui giovani italiani che hanno conseguito nel nostro Paese un dottorato di ricerca: il 6,4% di chi ha terminato negli anni 2004 e 2006 risulta essersi trasferito all’estero a distanza di 3-5 anni, con punte che raggiungono il 23,7% per chi si è formato nell’area delle scienze fisiche e del 9,5% per quelli nell’area delle scienze matematiche e informatiche.
Le famiglie del futuro
Le più recenti stime sulle famiglie consentono anche di delineare un quadro della misura e della direzione con cui si evolveranno, in termini quantitativi e sotto il profilo strutturale, le famiglie in Italia nel prossimo ventennio.
In generale, si assisterà a un proseguimento delle tendenze già osservate negli anni più recenti.
Avremo, in particolare:
• un aumento (quasi lineare) del numero di persone sole, che entro il 2031 arriveranno a superare gli 8,2 milioni di famiglie (un milione in più rispetto ad oggi);
• anche le coppie senza figli aumenteranno fino a 6,4 milioni;
• le coppie con figli, dopo un decennio di leggero incremento (su-pereranno i 10 milioni di unità nel 2019), inizieranno a diminuire perdendo, nell’arco dei 10 anni successivi, circa 400 mila unità;
• anche il numero dei nuclei monogenitore (sia con genitore maschio che femmina) tenderà ad aumentare, raggiungendo complessivamente nel 2031 circa 2,5 milioni di unità.
* Ordinario di Scienze statistiche, Università di Milano-Bicocca, sintesi della redazione
http://www.avvenire.it/Chiesa/Documents/BLANGIARDO.pdf
9-COME PORTARE IL FIUME AL MARE?
Alcune osservazioni sulla 47° Settimana Sociale dei Cattolici
di Walter Magnoni
Conosco direttamente diversi membri del comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali e ho toccato con mano il serio, competente e prezioso lavoro svolto da tutti i componenti per far funzionare una macchina così complessa e articolata. Dietro alle giornate di Torino si nasconde un grande lavoro fatto con spirito ecclesiale e nel solo desiderio di aiutare i cristiani a pensare il sociale.
Malgrado questo impegno, che è doveroso riconoscere e apprezzare, resta la domanda su quanto questo strumento sia incisivo a livello ecclesiale e civile.
L'impressione è quella che a fronte delle energie, anche economiche, messe in gioco, il risultato non sia all'altezza delle aspettative.
Questo non solo per lo scarso rilievo mediatico, ma soprattutto perché il dibattito delle ultime Settimane è come un fiume che di colpo resta senza sbocchi nel mare della società, come un fiume che i giorni della Settimana sociale riempiono di domande.
Il rischio è che tali interrogativi rimangano senza risposta e che vengano ripresentati nell'edizione successiva. Come portare il fiume al mare?
In primo luogo ritengo utile potenziare il lavoro di preparazione alla Settimana sociale, quello che spetta alle Chiese particolari. Mi pare sempre più urgente creare in ogni diocesi dei luoghi permanenti dove pregare insieme, confrontarsi dentro un discernimento comunitario per trovare azioni concordate al fine di leggere la società da cristiani e rispondere alle nuove domande del nostro tempo. Per fare un esempio attinente all'ultima Settimana sociale, è emerso con chiarezza che la famiglia è in forte evoluzione e questo chiede di non cercare più soluzioni nostalgiche appellandosi a un passato che non c'è più, ma al contrario di saper leggere il presente per rispondere ai nuovi interrogativi.
Mi permetto anche di suggerire una possibile modalità con la quale vivere le future Settimane sociali sia in fase di realizzazione, sia nella ricaduta post-Settimana sociale.
Se si vuole condurre il fiume al mare, forse andrebbe fatto uno sforzo metodologico ulteriore, ovvero quello di precisare sempre l'interlocutore al quale si pongono le questioni. Perché non raccogliere le domande principali emerse specificando quelle da porre all'interno della comunità ecclesiale e quelle rivolte alla comunità civile tutta e alle Istituzioni in particolare?
Questo processo agevolerebbe l'aprirsi di un dibattito e forse i mass-media stessi potrebbero farsi amplificatori delle questioni cruciali del cattolicesimo italiano.
In ogni caso ritengo che, seppur perfettibile, quello delle Settimane sociali resti uno strumento valido ma da valorizzare maggiormente per recuperare sempre più lo stretto nesso tra fede e vita. La nostra Chiesa, sull'esempio dei continui stimoli di papa Francesco, può ritrovare nel sociale la linfa per un Vangelo affascinante e capace di parlare a tutti gli uomini, anche a quelli che di primo acchito appaiono resistenti alla buona Novella di Gesù.
Mi sia concessa un'ultima considerazione: la 'Settimana' di Torino ha mostrato l'urgenza di un lavoro sinergico tra le pastorali sociali e quelle familiari al fine di individuare nuovi linguaggi in grado di rilanciare a livello culturale e politico il ruolo fondamentale della famiglia nella costituzione e nella salvaguardia del legame sociale.
Mentre il treno mi riportava a Milano, in una giornata uggiosa, osservavo la gente attorno a me e sentivo che quello di cui si era parlato a Torino riguardava ogni uomo, anche quei volti anonimi che incrociavo sulla via del ritorno.
Tratto da: La rivista del clero italiano, n.10 2013, p.726-727, sintesi della redazione
10-LA FAMIGLIA DI FRONTE ALLA SFIDA EDUCATIVA
I figli non hanno solo bisogno di cose ma soprattutto di valori che diano senso alla loro vita e la sappiano orientare
Le due grandi tentazioni che hanno i genitori e, in generale, gli educatori sono, da un lato, l’autoritarismo (fai come dico io, non si discute) e, dall’altro, la seduzione (di me ti puoi fidare, sono tuo amico e complice).
di Domenico Simeone*
Per far fronte alle esigenze dei figli che crescono nella società dell’informazione e della globalizzazione, l’educazione deve offrire contemporaneamente sia le “mappe” di un mondo complesso e sempre in continua evoluzione, sia “la bussola” (gli strumenti) per orientarsi e trovare la propria strada.
Bisogno di senso
I figli hanno bisogno di trovare in famiglia, non soltanto un mondo di cose e di informazioni, ma uno spazio di esperienza che dia senso e rilievo alla loro autonomia e una direzione ai loro compiti di sviluppo.
Non si tratta tanto di preparare le giovani generazioni a vivere in una determinata società, quanto piuttosto fornire ad esse i punti di riferimento indispensabili per interpretare il tempo in cui viviamo e per comportarsi in maniera responsabile e giusta.
I giovani hanno bisogno di adulti credibili che sappiano porsi al loro fianco, disposti a camminare con loro.
Compagni di viaggio discreti e affidabili, che sappiano fuggire le tentazioni dell’autoritarismo e della seduzione per porre la propria autorevolezza al servizio di chi sta compiendo lo sforzo di crescere.
Libertà e responsabilità
Il ruolo fondamentale dell’educazione è quello di coltivare nei singoli soggetti la libertà di pensiero e di giudizio, di modo che essi possano compiere scelte libere e responsabili.
“Non c’è veramente scelta se di diritto o di fatto non è possibile scegliere diversamente. Una scelta istintiva, inevitabile, in qualche modo predeterminata non è una vera scelta.
Ma la possibilità di una scelta autentica viene meno anche quando manchi la norma, perché senza di essa non c’è criterio di discriminazione fra le diverse scelte possibili (che diventano allora indifferenti): è la norma che pone l’alternativa. La composizione delle due istanze è probabilmente il punto più difficile dell’educazione: è il cuore dell’educazione alla libertà” (C. Ciancio, Libertà e scelta, 2008).
Non siamo indispensabili
Il figlio, se opportunamente sostenuto da appropriate azioni educative, diventa il protagonista delle proprie scelte e l’artefice del proprio progetto esistenziale.
“Qui troviamo il paradosso di ogni educazione, che consiste nell’aiutare una libertà a realizzarsi, poi a crescere. In ultima analisi, l’educazione dà alla persona che viene educata i mezzi per fare a meno dell’educatore. Più esattamente, l’educatore dà alla persona l’aiuto ad acquisire i mezzi per la propria autonomia, il che significa che egli non mira ad essere indispensabile” (X. Lacroix, Passatori di vita, 2005).
L’esperienza di questa accoglienza illimitata diviene stimolo ad una risposta altrettanto incondizionata e rigeneratrice. Solo l’esperienza dell’amore, che usa misericordia, può restituire oggi all’uomo il senso del suo valore - non disgiunto dall’accettazione della sua miseria - e fornirgli la capacità di aprirsi con fiducia al mistero dell’altro e degli altri.
Incontrare l’altro
Lo spazio interpersonale è il luogo in cui può avvenire l’autentico “viaggio educativo”, che si configura come spazio non già di proprietà di un soggetto bensì alimentato dalla relazione tra soggetti; vero e proprio luogo di incontro, di comunicazione, di manifestazione di sé, di comprensione, di accoglienza, di progettualità.
In questa prospettiva la relazione educativa spinge ad uscire da sé per incontrare l’altro.
“L’incontro autentico è sempre davanti a noi. Questo cammino può essere chiamato esodo, ‘uscire da’ (…) Accogliendo la persona dell’altro, e specialmente quella dei figli, accolgo l’avvenire. A loro volta i figli partiranno. Abbiamo aperto loro le porte del futuro e loro le apriranno a noi; ce le aprono già ora. E i pronipoti ricominceranno. Affronteranno le bufere dell’esistenza, le sue tempeste probabilmente, ma lo faranno con tanta maggior sicurezza se saranno cresciuti in una casa dalle mura e dal tetto solidi, dove avranno provato il gusto e il desiderio di edificare a loro volta” (X. Lacroix, Di carne e di parola, 2008).
Qui abbiamo l’essenza di ogni forma di amore, che acquista una centralità tutta particolare nell’amore genitoriale: lasciare il posto all’altro.
* Ordinario di Pedagogia, sintesi della redazione
11-LA FAMIGLIA CAMBIA, L’IMPEGNO EDUCATIVO RESTA
Per far diventare i nostri figli “belle persone”
I ragazzi si trovano spesso a confronto con figure adulte demotivate o poco autorevoli.
di Tony Piccin
Il tema dell’educazione in ambito familiare è sempre di più al centro dell’attenzione della sociologia, della psicologia e dei documenti della Chiesa. ”Educare alla vita buona del Vangelo”, dicono i vescovi; “educare al valore delle relazioni per aiutarsi e aiutare a crescere”, dicono gli psicologi; “educare ad allearsi per costruire la città”, dicono i sociologi.
Il senso dell’educare
Ma cos’è educare? Una definizione pertinente può essere la seguente: “Dare ad ogni persona la libertà di pensiero, di giudizio, di sentimento e d’immaginazione (fantasia) di cui la persona ha bisogno per sviluppare i propri talenti”.
Oggi la formazione integrale (sociale-psicologica-religiosa) della persona diventa difficile per la separazione tra le sue dimensioni costitutive: la razionalità e l’affettività, la corporeità e la spiritualità, la conoscenza e l’emozione.
Dunque educare significa aiutare ogni persona a vivere armoniosamente tutte queste dimensioni che formano, nella loro completezza, una bella identità personale.
Non a caso, quando incontriamo una persona riuscita, diciamo: che bella persona!
La persona al centro
Ogni persona è abitata dal desiderio di pienezza e il suo cuore è capace di aprirsi quando nella sua vita sente messaggi forti e veri, incontra persone credibili.
Il Vangelo ha la forza di aprire il cuore e la mente, di interpellare libertà e responsabilità, di mettere la persona in cammino. Ma anche il messaggio evangelico, come ogni altro vero valore, ha bisogno di qualcuno che lo possa veicolare con l’esempio e con la parola. L’esempio, così importante, non basta più, ha bisogno di essere motivato e incoraggiato, proposto anche con decisione e fermezza in certi periodi di vita, per sconfiggere pigrizia e capriccio.
Famiglia e figli oggi
Ce ne rendiamo ormai tutti conto: ormai la famiglia tradizionale: papà, mamma e figli è diventata uno dei diversi tipi di famiglia che si possono incontrare e le relazioni educative adulti-ragazzi sono molto variegate.
Un caso limite è quello del figlio unico.
Sono bambini a cui mancano le relazioni orizzontali - quelle tipiche tra fratelli - e che hanno invece molte relazioni verticali: quattro o più nonni, magari anche bisnonni tutti disposti a soddisfare ogni desiderio. Si tratta di bambini/ragazzi definiti “adultisti”, potenzialmente incapaci di condividere con altri.
Il caso opposto è quello del bambino che vive in famiglie “ricostruite”: dove non mancano le relazioni orizzontali: fratelli naturali o acquisiti e dove le relazioni verticali possono essere così ampie, al punto da diventare confuse e creare difficoltà per individuare da parte del minore l’adulto di riferimento.
Tra questi due estremi troviamo tutta una serie di situazioni intermedie: bambini che vivono con la sola madre, bambini che vivono con i nonni - che sostituiscono di fatto i genitori - , bambini che hanno più mamme o più papà, più o meno presenti.
Sono tante forme di famiglia ma con un’unica esigenza di fondo: come educare.
Educare i ragazzi
Le nuove forme di famiglia non devono far cambiare il compito educativo dei genitori. Nel nostro tempo c’è stato un passaggio dalla famiglia normativa, quella delle regole che non si discutono, a quella affettiva con relativi cambiamenti anche di ruolo paterno e materno.
Inoltre oggi ci sono due atteggiamenti sempre più diffusi: da una parte lo spontaneismo educativo - messo al mondo un figlio si è in grado di educarlo senza bisogno di alcun suggerimento o apprendimento - dall’altro la professionalizzazione del ruolo genitoriale - se non si acquisiscono determinate tecniche, non si è un bravo genitore.
Per concludere
Che cosa è davvero importante? Provo a fare un elenco:
• offrire ai ragazzi la mappa per orientarsi in un mondo complesso e “disturbato” dai sistemi mediatici-informatici;
• proporre una direzione (valori da trasformare in virtù cristiane) e sostenere la volontà perché generatrice di felicità;
• trasmettere fiducia, sicurezza, speranza superando fragilità personali e sociali, per stimolare l’apprendimento e dunque la realizzazione del sé;
• amare la persona e valorizzarla fin da piccola nella sua meravigliosa differenziazione sessuale;
• avere la pazienza pedagogica dell’attesa.
È l’impegno, faticoso ma bello, che permette di essere adulti credibili che stanno a fianco, discreti e affidabili, capaci di ascolto delle necessità dei propri figli.
Per il lavoro di coppia e di gruppo
Rileggiamo le tre frasi in corsivo riportate nell’articolo della pagina precedente e chiediamoci:
• Trasmettiamo ai figli le norme morali in cui crediamo? Siamo coerenti?
• Aiutiamo i figli a crescere o ci riteniamo indispensabili?
• Siamo aperti all’avvenire? Soste-niamo i progetti dei figli?
12-LA FAMIGLIA E LA SCUOLA
Coltivare e far crescere alleanze educative
Una scuola che insegna solo “come fare” sarà sovente in ritardo con il mondo del lavoro e delle imprese; una scuola che insegna come studiare, che stimola il desiderio di apprendimento, che trasmette i valori che contano, sarà sempre attuale.
La scuola si trova oggi ad affrontare una sfida molto complessa.
Essa, infatti, ha il compito di trasmettere il patrimonio culturale elaborato nel passato, aiutare a leggere il presente, far acquisire le competenze per costruire il futuro, concorrere, me-diante lo studio e la formazione di una coscienza critica, alla formazione del cittadino e alla crescita del senso del bene comune.
Cultura o competenze?
La forte domanda di capacità professionali e i rapidi cambiamenti economici e produttivi inducono spesso a promuovere una scuola più efficiente nel dare istruzioni sul “come fare” che sul senso delle scelte di vita e sul “chi essere”. Di conseguenza, anche il docente tende a essere considerato non tanto un maestro di cultura e di vita, quanto un trasmettitore di nozioni e di competenze e un facilitatore dell’apprendimento.
Di questo la comunità cristiana ne è consapevole e vuole intensificare la collaborazione permanente con le istituzioni scolastiche attraverso i cristiani che vi operano, le associazioni di genitori, studenti e docenti, i movimenti ecclesiali, mettendo in atto un’adeguata ed efficace pastorale della scuola e dell’educazione.
Occorre investire in una scuola che promuova, anzitutto, una cultura umanistica e sapienziale, abilitando gli studenti ad affrontare tutte le sfide del nostro tempo, non solo quelle tecniche.
Così la scuola mantiene aperto il dialogo con gli altri soggetti educativi – in primo luogo la famiglia – con i quali è chiamata a perseguire obiettivi convergenti.
Il carattere pubblico non ne pregiudica l’apertura alla trascendenza e non impone una neutralità rispetto a quei valori morali indispensabili per la formazione della persona e per la realizzazione del bene comune.
La scuola cattolica
La scuola cattolica e i centri di formazione professionale d’ispirazione cristiana fanno parte a pieno titolo del sistema nazionale di istruzione e formazione.
Nel rispetto delle norme comuni a tutte le scuole, essi hanno il compito di sviluppare una proposta pedagogica e culturale di qualità, radicata nei valori educativi ispirati al Vangelo.
Il principio dell’uguaglianza tra le famiglie di fronte alla scuola impone non solo interventi di sostegno alla scuola cattolica, ma il pieno riconoscimento, anche sotto il profilo economico, dell’opportunità di scelta tra la scuola statale e quella paritaria.
La scuola cattolica potrà essere così sempre più accessibile a tutti, in particolare a quanti versano in situazioni difficili e disagiate.
La scuola cattolica costituisce una grande risorsa per il Paese. In quanto parte integrante della missione ecclesiale, essa va promossa e sostenuta nelle diocesi e nelle parrocchie.
In quanto scuola paritaria, e perciò riconosciuta nel suo carattere di servizio pubblico, essa rende effettivamente possibile la scelta educativa delle famiglie, offrendo un ricco patrimonio culturale a servizio delle nuove generazioni.
L’università
Il mondo universitario ha il compito di promuovere competenze che abbraccino l’ampiezza dei problemi, attente alle esigenze di senso e alle implicazioni etiche degli studi e delle ricerche nei diversi campi del sapere.
“La vera origine dell’università sta nella brama di conoscenza che è propria dell’uomo. Egli vuole sapere che cosa sia tutto ciò che lo circonda. Vuole verità” (Benedetto XVI).
L’università rappresenta un luogo di incontro e di dialogo tra studenti, docenti e personale tecnico e amministrativo, che condividono un ambiente ricco di risorse per l’intera società. Il raccordo tra l’università e la Chiesa locale è promosso attraverso la pastorale universitaria, pienamente inserita nell’impegno di evangelizzazione della cultura e di formazione dei giovani.
Va valorizzato il particolare contributo reso dai cristiani: con il “servizio del pensiero, essi tramandano alle giovani generazioni i valori di un patrimonio culturale arricchito da due millenni di esperienza umanistica e cristiana” (Giovanni Paolo II).
Educare alla vita buona del Vangelo.
Orientamenti pastorali dell’episcopato italiano per il decennio 2010 – 2020, n.46.48-49
Sintesi della redazione
http://www.chiesacattolica.it/cci_new/documenti_cei/2010-11/12-3/Orientamenti%20pastorali%202010.pdf
13-INSEGNANTI E GENITORI
Com’è difficile creare un’alleanza tra genitori e insegnanti!
La figura dell'insegnante, nel corso degli ultimi trent'anni, ha perso credibilità e prestigio sociale, per una serie di motivi più o meno fondati, e anche agli occhi dei genitori il professore, o meglio, il prof, è spesso un antagonista, non un alleato, un pericoloso avversario.
L'alleanza educativa presuppone la condivisione di metodi e finalità, la stima e la fiducia reciproche, la condivisione di valori e priorità.
Raramente ho sperimentato questo sodalizio con le famiglie dei miei studenti, forse perché l'idea di "bene della persona" varia secondo la prospettiva: è diverso l'approccio del genitore, dell'insegnante, del catechista, dell'allenatore.
A fronte di una massiccia presenza dei genitori nelle scuole (organi collegiali, comitati genitori di varia natura), raramente si attua una vera sinergia tra insegnanti e famiglie; al contrario, spesso l'atteggiamento è di diffidenza e controllo reciproco, con relativo scarica-barile di responsabilità quando lo studente non va bene a scuola.
Personalmente, amo il mio lavoro, amo le materie che insegno (o tento di insegnare), amo i miei alunni (anche se molti di loro pensano il contrario!). Provo quindi grande amarezza quando percepisco di essere considerata una lavoratrice di serie B, che ha un orario ridicolo, gode di troppe ferie e di altri privilegi ingiustificati.
Molti genitori per i propri figli desiderano un percorso scolastico facile, che non crei stress e fatica, che non intralci la complessa organizzazione familiare, e questa non è una buona premessa per costituire un'efficace e valida alleanza educativa.
Viceversa, ammetto che talvolta noi insegnanti ci poniamo in antagonismo con le famiglie, lamentando continuamente la maleducazione dei ragazzi, accusando i genitori di non svolgere bene il loro compito, di essere troppo distratti, troppo permissivi, eccetera.
In questa situazione complessa e talvolta assai demotivante, per me essere un’insegnante cristiana significa affrontare ogni giornata lavorativa impegnandomi a dare il meglio… Se l’argomento del giorno me ne offre l’occasione, non esito a dare apertamente testimonianza della mia fede, promettendo a tutti i miei studenti “miscredenti” che prima o poi lo Spirito li toccherà, e allora la loro prospettiva di vita cambierà decisamente in meglio.
Elisabetta Bordoni
14-L'ASSOCIAZIONE GENITORI SCUOLE CATTOLICHE
Genitori insieme per affermare la libera scelta educativa.
Con tre figli di età molto diverse, negli anni ho fondato e rifondato più volte il mio impegno educativo sulla roccia dell'entusiasmo che deriva dalla convinzione di poter con-creare la società intorno a noi.
Ma da soli non si va da nessuna parte e per non perdere anche le più salde motivazioni occorre camminare con altri genitori entusiasti, sacerdoti generosi, docenti appassionati, Istituzioni che “ci credono”.
In una parola, alleanze educative che si coniugano in azioni significative che impattano sul territorio in cui si vive, che aiutano i ragazzi – e anche gli adulti – ad aprirsi e a conoscere quanto esiste fuori da sé, dal proprio piccolo mondo di consolidate abitudini e di limitati saperi, arrivando ad incontrare mondi più ampi e fecondi di conoscenza.
Più volte mi è tornato in mente il termine “cattolico” che significa “universale”.
Sì, l'impegno educativo non è un fatto privato, è invece una spinta che raduna sinergie e trasforma le diversità in alleanze.
Le agenzie educative sono molte: famiglia, scuola, chiesa, sport, oratorio, … ma solo se camminano insieme ottengono quei risultati fruttuosi e duraturi che sostengono una società. E invece oggi parliamo sempre più di “emergenza educativa”.
Cosa non funziona?
C'è un approccio assistenziale/riparativo verso la famiglia ed è assente la dimensione promozionale. Eppure sentiamo sempre di più parlare di sussidiarietà.
La famiglia, quale realtà naturale, dovrebbe emanciparsi e divenire soggetto pro-attivo nell'ambito di una cittadinanza attiva e soprattutto in ambito scolastico ed educativo.
È quello che, come famiglia, abbiamo sperimentato anche nell'ambito del cammino di fede: pregare insieme con altre famiglie, spendere con loro settimane di condivisione.
Nella Scuola abbiamo operato scelte simili: cicli scolastici in scuole paritarie che ci hanno permesso di condividere anni di cammino comune senza soluzione di continuità tra quanto vissuto in casa e quanto vissuto in ambito scolastico.
Ora sogno una futura contaminazione delle belle esperienze create e vissute dai genitori e dai ragazzi in tutte le scuole, cattoliche e statali, e la loro estensione feconda al territorio, nelle parrocchie e nei gruppi di impegno sociale.
Sarebbe la realizzazione di una rete che potrebbe sostenere i più deboli, chi ha bisogno di crescere e magari ha bisogno di famiglia.
Giulia Bertero, Presidente AGeSC Piemonte
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Quali difficoltà incontriamo, come genitori, a rapportarci con le varie realtà della scuola statale?
• Ci impegniamo come rappresentanti di classe o deleghiamo ad altri?
• Nutriamo dei pregiudizi nei confronti delle scuole cattoliche?
15-GIOVANI E LAVORO
I primissimi anni di vita del bambino hanno un’importanza fondamentale per la formazione del suo capitale umano
Il capitale di maggior valore è quello investito nell’essere umano e la parte più preziosa di questo investimento è la cura e l’influenza della madre e della famiglia.
Alfred Marshall
di Vittorio Pelligra*
Il “capitale umano” di un singolo soggetto è frutto della combinazione di abilità cognitive e non-cognitive. Le abilità cognitive sono quelle che abitualmente vengono misurate dai test standardizzati: capacità logiche, comprensione di un testo, competenze matematiche, etc.
Le capacità non-cognitive invece, vanno a formare ciò che comunemente si indica con la parola “carattere”: motivazione e determinazione, autocontrollo e pazienza, risolutezza e capacità di pianificazione nel lungo periodo, regolazione socio-emozionale e capacità relazionali.
È grazie alla qualità del suo capitale umano che il soggetto ha più o meno possibilità di inserirsi efficacemente nel mondo nel lavoro.
Basta la scuola?
Lo sappiamo tutti: molti nostri giovani fanno molta fatica ad avere un lavoro dignitoso.
Questo è in parte dovuto alla qualità del nostro sistema scolastico: se questo tornasse ad avere una centralità nell’ambito delle politiche pubbliche, con nuovi e massicci investimenti, tutta la società ne trarrebbe giovamento. Ma non si risolverebbe il problema di fondo.
Infatti, mentre l’evidenza empirica mostra che il capitale umano viene prodotto lungo tutta la vita del soggetto dalla famiglia, dalla scuola, dalle imprese, gran parte delle politiche si concentrano quasi esclusivamente sulla scuola.
Se è vero che vi sono scuole “di successo”, è anche vero che questo è in gran parte dovuto alla qualità delle famiglie d’origine dei loro studenti.
Del resto non si può negare che la scuola lavori con ciò che le famiglie le consegnano.
Una scuola frequentata da ragazzi di famiglie “povere”, sia in senso economico sia culturale, farà molta fatica a produrre studenti “di successo”.
Quanto conta la famiglia
Molti ragazzi entrano nel ciclo scolastico con un handicap di partenza perché le condizioni della famiglia di nascita - attraverso l’influenza che essa ha sull’esito del processo formativo - rappresentano la causa principale della disuguaglianza sociale che oggi patiamo e che ancor più patiranno le nuove generazioni.
Le analisi più recenti mostrano come la qualità dell’ambiente familiare negli anni precedenti all’ingresso a scuola - che rappresenta a sua volta un input nel processo di produzione delle abilità cognitive - definisca in maniera precisa quelli che saranno il titolo di studio, l’occupazione, il salario atteso, la probabilità di comportamenti a rischio, gravidanze precoci e attività criminali, dei bambini e delle bambine uscite da quelle famiglie.
Si capisce dunque come la radice primaria delle diseguaglianze sociali stia proprio nella famiglia.
Famiglie svantaggiate, economicamente, socialmente, culturalmente, mettono un’ipoteca pesantissima sul futuro dei loro figli, addossando loro una zavorra da cui difficilmente e se non a costo di enormi fatiche riusciranno a scrollarsi di dosso.
Le altre famiglie, invece, potranno garantire la formazione di quelle capacità che, autosostenendosi, faciliteranno la salita ai loro figli.
Come ridurre l’handicap
Tanto prima s’interviene nel compensare l’assenza di questa formazione nei bambini svantaggiati, tanto maggiori saranno le probabilità di raggiungere livelli adeguati; probabilità che con il passare del tempo diminuiscono sempre più velocemente.
Basti pensare che all’età di dieci anni il quoziente intellettivo di un bambino si è già stabilizzato, e con tutta probabilità rimarrà costante per il resto della sua vita.
Se si vogliono recuperare questi svantaggi bisogna farlo prima che il bambino entri a scuola o nei due o tre anni immediatamente successivi.
L’intervento più precoce va quindi attuato in ambito familiare, riducendo il grado di svantaggio delle famiglie vulnerabili e riducendo, in questo modo, l’handicap di cui i bambini dovranno farsi carico negli anni successivi. E questo vale anche per l’accompagnamento dei giovani nel mondo del lavoro.
* Ricercatore di Economia Politica, sintesi della redazione
“Ragazzi, siate curiosi, interessatevi di quello che accade intorno a voi e nel mondo. Curiosi non di cose inutili o di notizie che non servono, ma curiosi nel senso di aperti alla realtà, anche quando questa si oppone alle vostre aspettative”.
16-I colloqui di selezione
Nella mia vicenda lavorativa non ho avuto molte occasioni di selezionare giovani per assumerli. Da diversi decenni l'imperativo era quello di diminuire gli organici di stabilimento e nuovi criteri organizzativi e l'elettronica davano opportunità di una conduzione degli impianti semplificata, più controllata e migliori prestazioni.
Comunque, cosa cercavo in quei colloqui con ragazzi di circa 20 anni che di solito avevano un diploma tecnico?
Innanzi tutto volevo capire se la formazione scolastica aveva prodotto una buona capacità di ragionamento. Chiedevo cose semplici, ma non proprio così ovvie, tipo un'applicazione del teorema di Pitagora, ma con un triangolo messo in una posizione particolare. Devo dire che parecchi ragazzi si sono trovati in difficoltà.
Poi c'era il controllo della lingua straniera; anche qui non era tanto vedere se capivano il francese o l'inglese quanto se la scuola aveva lasciato una traccia, se erano ancora desiderosi di imparare, di studiare.
Chiedevo notizie sulla loro vita extrascolastica, viaggi all'estero od in Italia, esperienze di volontariato, frequenza di un oratorio, sport, qualche libro letto.
Tutte queste notizie mi aiutavano ad avere un quadro se il ragazzo era attivo, intraprendente. Apprezzavo molto in particolare anche piccole esperienze lavorative estive o nei week end. Mi dicevano che il ragazzo aveva "stoffa", una volontà di fare, una capacità di ricerca.
Li facevo parlare della loro famiglia, genitori, fratelli, qualche amicizia; era importante capire un po' la loro capacità di relazionarsi in modo positivo con il prossimo, per poter avere un buon rapporto con i colleghi di lavoro.
Paolo Albert
17-Gli stages in azienda
In Ridix - azienda che aderisce all’Economia di Comunione - nell’arco di una decina di anni sono passati una decina di giovani, nella maggior parte in prossimità della laurea.
Uno di questi, alla fine dello stage, ci ha ringraziato così:
A voi miei colleghi e "compagni d'ufficio" di questi mesi.
Durante questi due mesi e più, ho avuto l'occasione (e direi il privilegio) di lavorare a un progetto che mi ha coinvolto a 360 gradi e interessato moltissimo, ma soprattutto di aver conosciuto un gruppo di persone disponibili, gentili, attente e professionali come voi. Mi ritengo molto fortunato ad aver condiviso con voi questo tempo, durante il quale ho imparato moltissimo, sono stato "messo alla prova" e ho maturato una serie di esperienze che sinceramente non avevo nemmeno sperato di poter fare... spero anche di aver contribuito, almeno in parte, con il mio appassionato impegno, allo svolgere nel migliore dei modi il lavoro che mi è stato assegnato.
Già adesso provo un po' di malinconia e nostalgia, e sono sicuro che mi rimarrà sempre un ricordo bellissimo di quest'esperienza, e, chissà, questo saluto può essere un arrivederci per un futuro che potrà essere di nuovo comune.
A voi tutti dico GRAZIE, non potevo sperare di meglio da questo mio stage, ed il merito è soprattutto vostro e di tutte le persone che mi hanno accolto, coinvolto, con cui ho lavorato in Ridix. Sono davvero orgoglioso di aver fatto parte della vostra squadra.
Arrivederci!
Matteo, testo proposto da Paolo Frand Pol
18-Insegnare un lavoro
Sono un artigiano, mi occupo di imbiancatura, decorazione di abitazioni e di restauro di portoni in legno.
Da alcuni mesi mi aiuta Ibrahim, un ragazzo proveniente dal Gambia, giunto a Lampedusa insieme a tanti su un barcone. Collabora con me grazie ad una borsa lavoro offerta dall’Ufficio Stranieri del Comune di Torino; lui riceve circa 400 € al mese, io mi sono impegnato ad insegnargli un po’ di ciò che so fare.
La mia esperienza è senz’altro positiva avendo trovato in lui una persona volenterosa e capace di capire le sottigliezze del mestiere (… quasi sempre!). E dire che proviene da una cultura molto lontana dalla nostra nell’approccio al lavoro e che molto probabilmente si aspettava di trovare qui in Italia una situazione economica migliore.
Mi sembra sinceramente contento quando finiamo di pitturare una casa o quando riportiamo alla luce un bel legno, e così ci intendiamo.
A proposito dell’intendersi, la situazione non è così rosea dal punto di vista della lingua, anzi la nota dolente è proprio questa sua carenza nell’italiano. Io cerco di fargli capire quanto sia importante il parlare un po’ meglio, sia per il nostro lavoro, sia per vincere la diffidenza di molti verso il colore della sua pelle.
Il progetto dura complessivamente sei mesi, periodo in cui oltre ad alcune basi del mio mestiere, cercherò di insegnargli cose che potranno essergli utili in futuro, come il rispetto degli orari, la precisione e la pulizia sul lavoro, etc. Vedremo! Per adesso cercheremo entrambi di trarre giovamento da questa particolare e arricchente esperienza.
Federico Basso
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Siamo capaci di trasmettere ai nostri figli “veri” valori?
• Servono solo giocattoli o serve anche molto tempo condiviso?
• Per noi contano i risultati immediati - nella scuola e nella professione - o quelli di medio e lungo periodo?
19-FAMIGLIE E FISCO
Dire tartassati è dire poco! Dove sta l’equità orizzontale?
Il principio del favor familiae (protezione della famiglia) prevista dalla Costituzione non ha sinora trovato applicazione nell’imposizione fiscale.
Giulio M. Salerno
In quale società preferiamo vivere? In una società basata sulla forza o sul diritto?
È ovvio! Preferiamo vivere in una società fondata sul diritto, sul “contratto sociale” sancito tra Stato e cittadini (Rousseau).
In questo tipo di società lo Stato, tramite le tasse, preleva una parte del reddito da chi ha di più per ridistribuirlo, sotto forma di beni e servizi, a chi ha di meno.
Questa modalità di tassazione, caratterizzata dalla progressività del prelievo in funzione del reddito (per capirci: gli scaglioni d’imposta che vanno dal 23% al 43%) corrisponde al principio di equità verticale.
L’equità orizzontale
In questo contesto ci interessa però approfondire un altro un’altra possibile modalità di tassazione, che si basa sul principio di equità orizzontale.
L’equità orizzontale impone che soggetti con la stessa capacità contributiva siano tassati in eguale misura. In altre parole, soggetti che sono in situazioni uguali o simili (in termini di reddito, carichi familiari, consumo ecc.) dovrebbero pagare la stessa cifra come imposta (Castaldo).
E qui veniamo a noi: la famiglia non è un soggetto economico, non ha un suo codice fiscale, ma è costituita da più soggetti, ciascuno dei quali paga le tasse in funzione del proprio reddito.
È vero che sono previsti correttivi, come gli assegni familiari e le detrazioni fiscali, per i figli a carico ma questi correttivi son ben lontani dal coprire i costi reali per il mantenimento e l’educazione di un figlio.
La conseguenza è che l’equità orizzontale per le famiglie è ancora una chimera!
Conviene sposarsi?
Vediamo solo delle tante conseguenze di questa mancata equità orizzontale, usando come riferimento una famiglia con due figli regolarmente sposata ed un’altra analoga dove però i genitori non siano sposati e “ufficialmente” non convivano.
Per l’Isee nel primo caso si calcolano i redditi di entrambi i coniugi; nel secondo uno dei due genitori non rientra nel nucleo, con la conseguenza che neppure il suo reddito ne entra a far parte. Paradossalmente, questa situazione è possibile quando uno dei due genitori “risiede” altrove, con il risultato che il suo reddito non viene preso in considerazione e, se proprietario dell’abitazione, questa è esclusa dal patrimonio immobiliare.
Inoltre, il nucleo familiare risulta essere composto da un solo genitore e da figli minori, con la conseguenza di poter beneficiare di una maggiorazione sul quoziente utilizzato per il calcolo, godendo quindi di un beneficio per una situazione “disagiata” che, di fatto, non corrisponde alla realtà dei fatti (Acli Brescia).
Cosa vorrebbero le famiglie
Le famiglie chiedono di essere riconosciute come soggetto economico. La famiglia, infatti, è la prima impresa esistente, perché produce “beni” sociali positivi per l’intera società.
Un esempio: attualmente se mi prendo cura di un genitore anziano non produco ricchezza, se prendo una badante sì; se sto in aspettativa per accudire mio figlio non produco ricchezza, se lo mando al nido privato (perché in quello pubblico non vi sono posti) sì.
Basti una sola cifra: in Italia il lavoro domestico vale circa un quarto del PIL nazionale!
Se le cose stanno in questi termini il sostegno economico alla famiglia deve essere una “compensazione” di quanto la famiglia “produce” anziché essere frutto della compassione o dell’assistenzialismo.
L’accettazione del principio di compensazione avrebbe principalmente effetto a livello fiscale (Zamagni).
In pratica
Con questa consapevolezza vediamo ora due tra le tante situazioni concrete facilmente migliorabili.
Sono considerati familiari a carico i componenti della famiglia che non percepiscono redditi lordi (imponibile fiscale) superiori a 2.840 euro all’anno. La conseguenza è che se un figlio o una moglie fanno qualche piccolo lavoro o lo fanno in “nero” o la famiglia ci “rimette” (Campiglio).
Le detrazioni per un figlio a carico sono di 950 euro annui, mentre il suo “costo” per la famiglia oscilla dai 7.000 ai 15.000 euro annui, in funzione del reddito familiare: un po’ poco! (Federconsumatori).
Perché non impariamo dalla vicina Francia imitandone la politica pro-famiglia? (vedi pag. 16).
Senza figli diverremo un paese sempre più povero e sempre più vecchio! (vedi pag. 7-8).
A cura della redazione
20-L’esempio francese
In Europa c’è un paese che sembra aver preso la giusta direzione nelle politiche familiari.
Nel 2006 la Francia ha raggiunto il record di 830.000 nascite. Con un indice di fecondità che raggiunge i 2 figli per donna, è al primo posto nella classifica dei paesi europei. I dati sono stati diffusi dall’Istituto statistico francese INSEE.
Come si è arrivati a questo risultato? La Francia ha deciso di sostenere la famiglia, considerandola un fattore di sviluppo e di crescita. Il 3% del prodotto interno lordo viene destinato agli aiuti alle famiglie. Lo Stato nel 2006 ha stanziato un assegno di 750 euro mensili per le madri che hanno scelto un congedo di maternità di un anno, inoltre una serie di misure legislative hanno dato solide garanzie alle madri lavoratrici che non rischiano di vedere interrotta o rallentata la loro carriera a causa dei figli.
Le famiglie francesi con tre o più figli godono di riduzioni e vantaggi per l’uso dei servizi essenziali.
Le scuole materne sono gratuite e il sistema fiscale per le famiglie è notevolmente addolcito.
Dal 2001 il congedo di paternità può durare fino a 14 giorni e dal 2004 per ogni figlio c’è un premio alla nascita di 800 euro.
L’incremento del tasso di natalità è a vantaggio dell’economia del paese: 830.000 bambini in più all’anno significheranno a lungo termine un maggiore numero di occupati, di consumatori e contribuenti.
Questa politica, iniziata in Francia fin dal 1992, porterà in prospettiva a un primo rimedio degli squilibri crescenti del sistema di previdenze, che è in crisi in tutti i paesi europei.
Nel breve periodo tra l’altro porterà ad un’espansione del settore degli impieghi legati alla cura e all’educazione dei bambini.
Tratto dal sito: documentazione.info
http://www.documentazione.info/politiche-familiari-in-francia-e-in-italia
21-Il Fattore Famiglia
Il Forum delle Associazioni Familiari ritiene fondamentale ed urgente restituire alle famiglie italiane la possibilità di guardare al futuro in modo più positivo, consentendo loro di adempiere il proprio compito unico e insostituibile, quello di far nascere, crescere ed educare i figli desiderati, cioè, i cittadini di domani.
Occorre quindi che ogni intervento di riforma sul sistema fiscale agisca in modo da ridare equità e respiro alle famiglie italiane, soprattutto a quelle con carichi familiari. Per questo il Forum ha elaborato una proposta, denominata Fattore Famiglia, riconosciuto trasversalmente da numerose forze politiche e sindacali come uno strumento semplice, fattibile, dotato della necessaria flessibilità e soprattutto sostenibile anche nell’attuale difficile congiuntura economica.
La proposta prevede di individuare una base di reddito non tassabile, perché coincidente con il minimo vitale (la cosiddetta no tax area), cui applicare un coefficiente di carico familiare (appunto il Fattore Famiglia), parametrato sulla numerosità e sulla tipologia dei carichi familiari che gravano sul percettore di reddito.
In questo modo, il livello minimo di reddito non tassabile del contribuente viene calcolato tenendo effettivamente conto del suo carico familiare. Si individua così una no tax area a misura di famiglia, che quindi è sottratta all’imposizione fiscale; ai redditi disponibili al di sopra di tale area si applicano poi le normali aliquote progressive previste dal sistema fiscale.
Se il reddito risulta inferiore alla no tax area familiare si applica una tassazione negativa, cioè un assegno erogato alla famiglia incapiente, pari alla detrazione non goduta. Questa sarebbe un’innovazione di assoluto rilievo, che sana una situazione inaccettabile, che oggi, nel sistema attuale, impedisce ai cosiddetti “incapienti” (i redditi più bassi, in genere) di percepire i benefici legati alle detrazioni d’imposta. In questo modo, si verrebbe incontro alle famiglie più vulnerabili, che più soffrono per la crisi in atto, e che vedono con grave preoccupazione aprirsi sotto di sé il baratro della povertà.
22-Per la Vita
Raccogliamo l’invito dei vescovi, rivolto in occasione della 37ª Giornata Nazionale per la vita (1° febbraio 2015), a non cedere al pessimismo e alla sfiducia nel futuro, due elementi che sono il più grande ‘contraccettivo’ dei nostri tempi, dove si pospone la ricerca di una gravidanza oltre i limiti naturali oppure la si interrompe per paura.
Una società che invecchia è una società destinata all’estinzione e a una lenta ma inesorabile eutanasia. Chiedersi dove ci porterà un futuro senza bambini non è un esercizio filosofico, ma la presa d’atto della possibilità di un declino che è possibile fermare fin d’ora.
Aprirsi alla fecondità e alla vita, come ci ricorda la Cei, è un investimento di solidarietà che è possibile mettere a frutto declinandolo in molti modi.
‘Forme nuove e creative di generosità, come una famiglia che adotta una famiglia’, ci suggerisce il Messaggio per la giornata per la vita, invitandoci ad aprire i cuori in una prospettiva di solidarietà più ampia, che contribuisce non solo alla nascita di una nuova vita ma fonda la crescita di un’intera comunità.
Paola Ricci Sindoni e Domenico Coviello, associazione Scienza e Vita
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Riteniamo giusto pagare le tasse, ne insegniamo l’importanza ai nostri figli?
• Siamo solo capaci di lamentarci o concretamente ci impegniamo per una politica fiscale più equa?
• Crediamo nella vita anche se la realtà che ci circonda fa di tutto per non sostenerla?
23-FAMIGLIE E STATO SOCIALE
La famiglia: società naturale che genera valore sociale aggiunto
Oggi assistiamo al paradosso che il principio di sussidiarietà è stato letteralmente rovesciato: non è lo Stato che sussidia le famiglie, ma sono le famiglie che sussidiano lo Stato.
di Luca Antonini*
Nella Costituzione italiana la famiglia è riconosciuta come società naturale fondata sul matrimonio: è questa innanzitutto la famiglia alla quale la Costituzione destina il proprio favore. Per effetto dell’assunzione di responsabilità pubblica che consegue al matrimonio, per effetto della stabilità degli affetti, la famiglia non è una mera preferenza individuale, ma una società naturale che genera un valore sociale aggiunto.
La famiglia in Italia oggi
Oggi, di fronte alla drammatica situazione economica, la famiglia italiana tende a chiudersi in se stessa e, trincerata dietro le proprio risorse, fa fronte alla crisi rimandando la scelta di avere un figlio.
D’altronde, oggi in Italia abbiamo un sistema istituzionale che non aiuta la famiglia, che è da sempre un soggetto sociale, ma che non è mai diventato un soggetto politico (nel senso che la politica ha sistematicamente trascurato la famiglia).
Così si è arrivati al paradosso che il principio di sussidiarietà è stato letteralmente rovesciato: non è lo Stato che sussidia le famiglie, ma sono le famiglie che sussidiano lo Stato.
Le politiche sociali per la famiglia
Di fronte all’attenzione della Costi-tuzione italiana riguardo alla famiglia è seguita una povertà di interventi attuativi, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo.
Oggi il fisco italiano riconosce una detrazione di 800 € per figlio a carico, che equivale ad un abbattimento dell’imponibile di poco più di 3.000 €, mentre la spesa media di mantenimento di un figlio oscilla invece tra 7.700 e i 9.400 € all’anno.
L’attuale deduzione fiscale non copre interamente nemmeno la spesa per latte, omogeneizzati e pannolini. Così anche le famiglie povere sussidiano fiscalmente lo Stato. La soggettività sociale della famiglia è compromessa: rivalutarla non è una concessione, ma un principio di elementare giustizia.
Alcuni esempi virtuosi
In Italia alcuni moderni esempi di welfare sussidiario sono stati attivati a livello locale. Vale la pena ricordare, innanzitutto, quanto avvenuto in alcune Regioni, con leggi innovative fortemente inspirate alla sussidiarietà, come in Lombardia (si pensi alla legge sull’associazionismo familiare e a quella per la tutela della maternità).
Vanno poi segnalate iniziative come quella della Provincia di Trento che ha avviato l’iniziativa innovativa del ‘Distretto famiglia’ per poi concepire una originale legge di politiche familiari e per la natalità.
Varie amministrazioni comunali poi hanno assunto iniziative promozionali di servizi family friendly, come il ‘Marchio Famiglia’ e la Family Card per le famiglie numerose. Infine, il Comune di Parma ha applicato il ‘fattore famiglia’, un Isee modificato a favore delle famiglie numerose.
Per un welfare abilitante
Nonostante queste eccezioni, per la maggior parte il welfare italiano è ancora di tipo risarcitorio, in quanto orientato a migliorare le condizioni di vita delle famiglie più bisognose senza attivare circuiti societari (tra Stato, mercato, terzo settore, privato sociale e famiglie) capaci di farle uscire dallo stato di bisogno.
Si spendono risorse, anche ingenti, per i poveri e gli emarginati, ma queste risultano scarsamente efficaci.
Ma non solo: il nostro sistema di welfare è caratterizzato dalla frammentazione degli interventi e degli attori istituzionali, che determina spesso sovrapposizioni e duplicazioni di servizi e di prestazioni, che appesantiscono un sistema che risulta così scarsamente efficace e non più economicamente sostenibile.
Occorre quindi muovere passi decisi verso un welfare abilitante, che faccia leva proprio sulla capacità di iniziativa sociale ed economica delle famiglie.
In conclusione, per ridare al sistema di welfare italiano un assetto adeguato alle nuove sfide dei tempi che la crisi ha aperto occorre ancora fare molto. La politica non può risolvere tutti i problemi della famiglia, e neppure, a ben vedere, dirigerne il benessere, ma può e deve creare le condizioni, in cui le famiglie possano espandere le loro potenzialità.
* Ordinario di diritto costituzionale, sintesi della redazione
24-AQUILONE COLORATO
La vita non è aspettare che passi la tempesta, è imparare a ballare sotto la pioggia.
Tutto nasce da un gruppo di amici che voleva raggiungere San Giovanni Rotondo in bicicletta passando per l’Aquila, dove era iniziata una “adozione a distanza” con gli abitanti di un paesino limitrofo distrutto dal terremoto: San Gregorio.
L’idea di farsi tutti quei km in bicicletta non era fattibile per tutti coloro che avevano a cuore gli abitanti di San Gregorio, quindi con il motto “amo collaborare, non competere” io ho aperto il blog www.aquilonecolorato.blogspot.it.
Da casa seguivo le varie tappe e tenevo aggiornati in modo informale anche gli altri abitanti del paese e i sostenitori dell’iniziativa.
Amo collaborare e non competere è diventato il motto di tutte le altre iniziative che sono seguite, che hanno come scopo far interagire e relazionare le persone del mio quartiere: dal presepio di viale Papa Luciani, al Torneo dei Quartieri e adesso al Presepio del quartiere arancione.
Il blog è la grancassa di questo muoversi, è il contenitore dove metto le iniziative in cantiere, il loro evolversi e concludersi, dove anche si sorride e non ci si prende troppo sul serio.
Nei nostri paesi, crisi o non crisi, c’è sempre più la necessità di instaurare rapporti positivi, può essere semplicemente un sorriso, uno scambio di ciacole (come si dice da noi), imprestare il rasaerba o il cacciavite a stella, ma anche informazioni utili.
Tutto questo innesca un meccanismo di aumento della fiducia che porta ad uno scarico dell’ansia e della paura che ogni giorno ci iniettano ad arte.
Mentre scrivo, stiamo organizzando il presepio di quest’anno, da 20 famiglie siamo passati a 40/50, da una via ad un quartiere. Non tutti lavoreranno materialmente alla realizzazione, ma tutti parteciperanno alla riuscita del progetto, chi con dolci e bevande, altri con il supporto finanziario o semplicemente morale.
Tutto questo non è una bella storia di Natale buonista e a lieto fine, dietro c’è un progetto e tanto lavoro.
Non è facile coinvolgere le persone, non sempre siamo tutti d’accordo nelle scelte, le discussioni ci sono, non sempre le cose vanno per il verso giusto.
Però bisogna provarci, indipendentemente dall’età, nazionalità, colore per “…non lasciarsi rubare la speranza…” come dice il Papa Francesco.
Gigi
25-COOPERATIVE DI COMUNITÀ
Prendiamo il caso di un ipotetico signor Mario Rossi, 80enne residente in un paesino con meno di 200 abitanti: se non ci fosse qualcuno a consegnargli la spesa a casa, dal piccolo negozio di alimentari, lui non avrebbe la forza di caricarsi di buste pesanti con viveri e bevande. Poi c'è sua sorella, Roberta, di un paio d'anni più grande, a cui viene fornita un'assistenza domiciliare una volta a settimana per effettuare terapie specifiche che, altrimenti, il settore pubblico non sarebbe in grado di garantirle. Ma nella stessa località vive anche Pietro, 30 anni, che, se non avesse trovato un impiego in campo forestale, si sarebbe dovuto trasferire chissà dove per procurarsi un lavoro.
Così, invece, non si è allontanato dalla moglie Chiara, che nel frattempo ha contribuito a trasformare una masseria fatiscente del paesino in un moderno agriturismo.
La giovane coppia di sposi, inoltre, ha una figlia di sei anni, Lucia, che ogni mattina va alla scuola elementare più vicina (a 20 chilometri di distanza) grazie al servizio bus organizzato appositamente per lei e gli altri quattro bimbi del posto.
Questo è soltanto un esempio di circolo virtuoso che si è innescato grazie alla progressiva diffusione nella Penisola delle cooperative di comunità, un modello di sviluppo lanciato dall'Alleanza delle cooperative italiane (la centrale dove sono riunite Legacoop, Confcooperative e Agci), con cui si punta a favorire il protagonismo dei cittadini nella gestione dei servizi e nella valorizzazione dei territori.
Si tratta di coop polifunzionali che provvedono ai bisogni degli anziani (con la cura e la consegna a domicilio di spesa e farmaci); al potenziamento del turismo laddove la proloco ha chiuso (tracciando itinerari paesaggistici o organizzando eventi per attirare visitatori); alla creazione di lavoro per le nuove generazioni (soprattutto nell'ambito del dissesto idrogeologico nelle molte aree nazionali considerate a rischio).
Per ora non siamo di fronte a numeri clamorosi. Ma il successo ottenuto con le prime operazioni pilota è il segnale che è silenziosamente in atto un piccolo boom.
Luca Mazza, Avvenire 24 ottobre 2014
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Come sentiamo lo Stato: come una realtà che aiuta le famiglie o si serve delle famiglie?
• La solidarietà tra famiglie può essere una risposta o è solo un’utopia?
• Siamo presenti come famiglie negli organismi locali di gestione della “cosa pubblica”?
26-ABITARE LA CITTÀ’
La famiglia è cellula fondamentale del “capitale” di una città
Va recuperato il ruolo della famiglia e delle reti di famiglie come interlocutori autorevoli ed efficaci nei confronti delle politiche urbane, va recuperato il valore della cittadinanza attiva a tutti i livelli.
di Luigi Fusco Girard*
La famiglia in salute si è rivelata una istituzione resiliente, cioè che sa far fronte alle avversità, e che ha ammortizzato (e continua ad ammortizzare) molti effetti destabilizzanti conseguenti alla crisi economica.
Essa contribuisce a produrre le forme più importanti di capitale: quello umano e quello sociale (insieme con la scuola, il terzo settore, la fabbrica, etc.): da qui deriva il “valore” della famiglia nei confronti della città.
Famiglia e città
Ne discende che intervenire nella famiglia, investire in essa e nelle reti di famiglie significa investire nella conservazione, gestione e creazione della ricchezza della città e nella sua resilienza, e quindi investire nella costruzione di un futuro migliore.
Se si vuole rigenerare la città occorre rigenerare la famiglia, e viceversa: la famiglia è uno degli elementi fondamentali che concorrono a rigenerare la città. Essa contribuisce allo sviluppo integrale della città.
La green city, l’eco-city, la green society non sono solo una questione di tecnologie, ma si costruiscono a partire dalla famiglia.
Il “piano casa”
Dal riconoscimento di questo valore conseguono le varie azioni pubbliche volte al sostegno della famiglia.
Le forme di intervento pubblico a favore della famiglia si articolano innanzitutto nelle politiche abitative che sono state recentemente aggiornate con il “piano casa” del governo.
Questo prevede forme di sostegno come l'accesso ai mutui per l’acquisto della prima casa, per le giovani coppie, per genitori soli con figli, come l’Housing sociale, etc. facendo riferimento alle municipalità per la concreta attuazione.
Si viene così incontro al bisogno di ridurre l’incidenza della causa più importante dell’indebitamento delle famiglie, che è l’acquisto dell’abitazione - in particolare sul rapporto tra canone di affitto e reddito familiare, che supera spesso oggi la soglia critica del 30% - e si rilancia l’edilizia privata sociale.
Servono strategie integrate…
Se le politiche per l’abitazione, per il welfare, per l’ambiente, per l’occupazione, per la famiglia etc. continuano ad essere portate avanti in modo settoriale, gli effetti positivi continueranno ad essere ridotti.
Occorrono strategie integrate di intervento, che leghino interventi per l’abitazione con quelli per la salute, con quelli per l’ambiente, con quelli per l’occupazione, con quelli per la rigenerazione dello sviluppo, con quelli per il miglioramento della qualità del paesaggio storico urbano attraverso un approccio globale.
…il coinvolgimento delle famiglie
In questo processo le Organizzazioni che rappresentano le reti di famiglie sono raramente coinvolte, malgrado i contributi specifici che possono apportare.
Per esempio, la forma dello spazio dell’abitazione che nel rapporto tra spazi privati e spazi comuni enfatizza quelli privati a danno degli altri non sollecita comportamenti comunitari, non incentiva il senso di comunità, di auto-organizzazione ma piuttosto l’isolamento e l’individualismo.
Al contrario, spazi comuni e spazi pubblici (giardini, parchi, orti, prati, piste ciclabili, aree pedonali, ma anche cortili, slarghi, così come ludoteche, sale per la lettura, il teatro, l’arte etc.) svolgono un ruolo centrale in questa direzione.
…e senso del limite
Ma non basta una progettazione partecipata degli utenti alla progettazione. È necessaria una cultura, un certo modo di comportarsi, di ragionare, di fare delle scelte, serve una cultura che riconosca il senso del limite.
Serve una cultura dei diritti e dei doveri, cioè della responsabilità; una cultura che recuperi il principio di relazionalità.
Solo così si potrà arrivare ad una “città delle famiglie”, ad una “città a misura di famiglia”.
* Ordinario di Economia Ambientale, sintesi della redazione
27-UNA CASA PER LA VITA?
di Elvio Rostagno*
Siamo affezionati alla nostra casa, e per molti traslocare è come perdere un pezzo di vita.
Questo è comprensibile: in quella casa sono nati i nostri figli, quelle pareti hanno condiviso i nostri dolori e le nostre gioie, ect. Siamo “animali” stanziali, abitudinari e cambiare è un po’ morire.
Ma la realtà, oggi più che mai, non è così. Studi, lavoro, variazione del nucleo familiare ci chiedono di “vivere” la casa in altro modo.
Serve un lavoro culturale per acquisire, anche a livello dell’abitare, una consapevolezza che caratterizza da sempre la vita cristiana: siano solo dei pellegrini, siamo solo di passaggio su questa terra. Serve far nostra l’idea che non esiste una casa “giusta” per tutta la vita.
Un conto è vivere da “single”, altro vivere in coppia, altro avere dei figli, altro ancora essere anziani.
Ciò non vuol dire che bisogna rinunciare ad una casa “bella”. Una casa bella non è quella che ha quadri d’autore alle pareti, mobili e accessori firmati, il massimo della tecnologia, ma quella in cui ci troviamo bene. Per questo basta una tinta giusta alle pareti, un poster evocativo, un’affaccio che mi trasmetta vita e non muri di mattoni.
Qui entra in gioco l’urbanista, l’architetto: si sono costruite negli anni ‘60 del secolo scorso molte case poiché c’era una forte richiesta abitativa, ma si è costruito non mettendo al primo posto la qualità.
Ora, a causa delle grandi aree produttive dismesse nel cuore delle nostre città, ci troviamo di fronte ad una sfida analoga.
Basta poco, con incrementi di costi contenuti, per pianificare e costruire su queste aree case più “abitabili” e accessibili per tutte le tasche.
Questo vale tanto per l’edilizia privata che per quella sociale.
In questo passaggio, ha un ruolo im-portante l’acquirente. In un momento di stagnazione del mercato immobiliare c’è la possibilità di confrontare molte offerte, e di poter scegliere il meglio a parità di prezzo.
* architetto
28-Smart city e famiglia
di Claudio Restagno*
Che cosa frulla nella testa di un amministratore quando pensa alla propria città? Che cosa rende una città “smart”, intelligente, vivibile?
Oggi quando si parla di “smart city”, si parla di territorio, di servizi, di urbanistica e di persone che sono il cuore e l’anima della città stessa.
Pensiamo alle nostre famiglie: c’è una casa che non è un semplice agglomerato di stanze, ma un ambiente che rispetta il vivere di ognuno in base all’età e alle singole esigenze e che tiene conto sia dei momenti di condivisione, sia di quelli nei quali ognuno si concentra sul proprio lavoro o trascorre il proprio tempo libero.
Ci sono poi i vicini di casa, nelle grandi città il proprio quartiere, la scuola, la parrocchia, ecc… L’interazione della famiglia tra quello che è il suo ambiente vitale naturale, la casa, ed il contesto sociale in cui vive, la città, è fondamentale per la sua crescita.
Compito di un amministratore, quindi, è quello di guardare alla propria città come luogo di realizzazione delle persone che la vivono e non solo che ci vivono… Lavorare per creare una città “intelligente” vuol dire guardare con occhi nuovi la propria città.
Una città che sia insieme non solo di edifici, strade e piazze, ma di persone.
Una città che non sprechi il proprio territorio, consumandolo, ma lo faccia rivivere secondo criteri di equilibrio e sostenibilità; una città che incoraggi innovazione e sviluppo al servizio della propria identità; una città che ponga le relazioni tra le persone e i luoghi dove vivono come obiettivo prioritario e indispensabile per lo stare insieme e la qualità del vivere.
Due sono le condizioni che aiutano nell’individuare le scelte amministrative giuste per la propria città.
La prima è saper ascoltare: dedicare tempo all’ascolto è fondamentale per guardare ad uno sviluppo urbano sostenibile.
Le nostre città non sono un’entità astratta ma sono il patrimonio d’idee e stili di vita che la nostra società ha ereditato sotto forma di luoghi e usi urbani. Le idee e i pensieri hanno il potere di mettere in relazione le persone, di appassionarle a progetti e invogliarle alla partecipazione.
La seconda è appunto favorire la partecipazione soprattutto nelle scelte strategiche per lo sviluppo urbanistico della propria città e nella stesura dei vari piani regolatori.
La progettazione partecipata della gestione di un territorio, delle linee guida per il suo sviluppo urbanistico e soprattutto nel recupero dei centri storici, patrimonio culturale di tutti, è un grande esercizio di cittadinanza.
* sindaco di Vigone (TO)
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Conosciamo tutti i nostri vicini di casa? Quanto li conosciamo?
• Se potessimo ridisegnare la nostra casa quanto spazio daremmo alla convivialità?
• In che misura ci facciamo carico dei problemi del condominio, della nostra strada, del quartiere?
• In quale considerazione teniamo il “bene comune”? Educhiamo i nostri figli a rispettarlo?
29-NOI E LE FAMIGLIE IMMIGRATE
Per un cammino comune che superi pregiudizi e ostilità
Serve superare l’ignoranza e i luoghi comuni, per potersi aprire agli altri senza rinunciare alla nostra identità culturale e religiosa, ma arricchendoci reciprocamente.
di Maurizio Ambrosini*
Gli immigrati e le loro famiglie sono sempre più presenti nella nostra vita quotidiana, tra noi e con noi. Eppure molto spesso non li vediamo, non li riconosciamo come co-protagonisti della nostra vita in comune.
Nel corso dei lavori sono emerse alcune problematicità e sono state individuate altrettante opzioni positive.
Cinque punti problematici
Un primo nodo problematico deriva dal fatto che le comunità ecclesiali sono immerse in un contesto in cui il pregiudizio verso gli immigrati è profondamente radicato.
Benché sia stato notato un miglioramento del discorso politico nazionale negli ultimi anni, persiste una difficoltà di accoglienza sia a livello locale, sia negli atteggiamenti culturali diffusi. Infatti, non di rado la chiesa italiana viene accusata, anche da cattolici, di fare troppo per gli immigrati e le loro famiglie.
Un secondo nodo consiste nel passaggio dal codice del parallelismo a quello della reciprocità: le comunità ecclesiali e le comunità immigrate, anche cattoliche, vivono fianco a fianco, sostanzialmente separate, comunicando ancora poco.
Un terzo nodo consiste nel passaggio dal codice del soccorso al codice della convivialità. Molto dell’impegno dei credenti va verso l’aiuto nel bisogno, mentre è ancora poco sviluppato uno scambio paritario, un “sedersi insieme a tavola”, condividendo iniziative e progetti, spazi e momenti di socialità quotidiana.
Un quarto nodo consiste nella difficoltà di far conoscere a livello nazionale le buone pratiche locali, passando a paradigmi e progetti nazionali, diffusi su tutto il territorio.
L’accoglienza e la convivialità sono chiamate a diventare cultura, e in senso lato buona politica: cambiamento della qualità della vita associata nella polis.
Un quinto nodo tocca lo sfruttamento e l’ipocrisia. Ci sono famiglie italiane cattoliche praticanti che sfruttano gli immigrati e le immigrate: nelle loro case, nei campi, nel lavoro. Altre li fanno oggetto di pregiudizi volgari e insultanti. Né va trascurato lo sfruttamento nel grande mercato del sesso: tra i clienti, quanti saranno i cattolici praticanti, mariti e padri di famiglia?
Cinque opzioni
La prima opzione, molto sottolineata, riguarda l’esigenza di superare l’ignoranza e i luoghi comuni. Occorre sviluppare sensibilizzazione e formazione, anche grazie alle risorse di Caritas, Migrantes e altri soggetti ecclesiali.
D’altro canto, è stato rilevato che l’ignoranza della propria tradizione religiosa concorre a produrre l’incapacità di conoscere e dialogare con la diversità.
La seconda opzione può essere definita “cogliere il kairós”: vedere la presenza di famiglie immigrate come occasione profetica, per conoscere altre religioni e altri universi culturali, come strumento di apertura alla mondialità, di comprensione di alcuni nodi critici della società globale, di alimentazione di gemellaggi.
La terza opzione si rivolge a progettare un futuro con loro, non solo per loro. Qui entra in gioco il tema dell’accesso alla cittadinanza e della partecipazione attiva alla vita sociale, abolendo le barriere normative che lo impediscono.
Una quarta opzione concerne la cura dell’identità: il cammino comune con le famiglie immigrate richiede che approfondiamo la nostra identità culturale ed ecclesiale di cattolici che vivono in Italia.
Coppie e famiglie miste sono a loro volta un luogo prezioso di scambio e di ricerca di orizzonti condivisi. L’incontro tra persone e famiglie di origine diversa impegna tutti al dialogo e alla ricerca di valori comuni.
Una quinta opzione è quella dell’accoglienza reciproca. La solidarietà verso chi fa fatica è un valore fondamentale, ma altrettanto importante è sviluppare relazioni paritarie e vera amicizia nella vita di ogni giorno.
Un’indicazione al riguardo è quella di progetti locali in cui le famiglie del territorio si impegnano ad accostare e accompagnare le nuove famiglie che arrivano in un cammino di insediamento, di mutua conoscenza e aiuto reciproco.
Sia la nostra chiesa profezia convinta e coerente di una società più giusta, fraterna, accogliente per tutti.
* Ordinario di Sociologia dei processi migratori e Sociologia urbana, sintesi della redazione
Impariamo ad essere una famiglia che tiene aperte le porte di casa a tutti quanti affiancano la sua vita.
30-DARE UNA FAMIGLIA AD UN’ALTRA FAMIGLIA
Sara (nome di fantasia) è una donna africana, in Italia da quattro anni. È arrivata con un connazionale. Lui gli aveva promesso di sposarla, ma tutto è naufragato dopo due anni perché lei aveva iniziato a lavorare in una cooperativa come operatrice scolastica e lui non voleva. Intanto lei è rimasta incinta e lui l’ha abbandonata.
Finita la maternità doveva riprendere il lavoro, ma aveva un grosso problema: come organizzarsi con la figlioletta di sei mesi.
Il primo giorno di nido, quando i genitori fanno “l’inserimento”, Sara ha scambiato qualche parola con le educatrici del nido e le altre mamme. Soprattutto ha raccontato la sua preoccupazione. Una mamma presente con la nonna - quindi una mamma fortunata! - dopo un conciliabolo con la sua madre, l’ha avvicinata e le ha proposto di poterla aiutare, quando gli orari di lavoro non coincidono con quelli del nido, ma anche se la bimba si ammala: “Ho la fortuna di avere mia mamma vicina che può aiutarmi. Ho solo questo figlio. Possiamo assieme occuparci anche della sua bimba quando ne ha bisogno”. Sara non crede alle sue orecchie. Quasi piange di gioia. Nei suoi occhi scorrono sorpresa, riconoscenza. Non sa più cosa dire. L’altra mamma l’abbraccia per toglierla dall’imbarazzo...
Queste due famiglie iniziano un cammino comune. Una ha saputo cogliere il bisogno dell’altra. Sara ora è serena. Sa che può contare su una famiglia, quella che si è offerta di aiutarla: le tiene la bimba, l’aiuta nelle sue difficoltà, ascolta le sue preoccupazioni. Sara si sente meno sola nel nostro paese che ora le sembra un po’ meno straniero.
Le difficoltà però non mancano. La cooperativa ha messo in cassa integrazione a 20 ore il personale. Lo stipendio era già basso, ma ora Sara non sa come fare fronte a tutte le spese.
La famiglia, ormai amica, conosce i proprietari dell’appartamento affittato da Sara. Parla con loro, ottiene una riduzione del canone di affitto.
Così, grazie al rapporto di fraternità e di vicinanza, può superare le difficoltà perché al suo fianco sente il calore di una famiglia.
Giuseppina Ganio Mego
31-GLI “AMICI” DI MARENE
Una fabbrica, una piccola, grande famiglia
La “Bertola" di Marene, un piccolo centro del cuneese, vista dal di fuori, appare una delle tante fabbriche che punteggiano le province del Nord.
Qui si cromano e si ramano marmitte, componenti di auto e di moto, telai di carrozzelle per disabili. Qui ogni giorno si avvicendano in tre turni una trentina di operai, tra i quali senegalesi, rumeni, albanesi e cileni. Qui si fatica duro per far fronte alle consegne.
Le preoccupazioni certo non mancano a Livio Bertola, che conduce l'azienda di famiglia. Con tre figli, più una quarta in affido, c'è, come si suol dire, di che stare “in campana”.
Anche per chi, come me, non è solito frequentare le fabbriche, non ci vuole molto a capire che in questa fabbrica si respira un'aria diversa, distesa. Pur nella concentrazione che richiede il lavoro, mi accorgo infatti che si è attenti a chi è in difficoltà.
Tempo fa, ad esempio, i Bertola erano venuti a conoscenza della situazione molto complessa di due extracomunitari. Uno di loro, in particolare, era molto preoccupato, ed anche un po' depresso. “C'era in quel periodo poco lavoro – prosegue Livio - ma i problemi di quel giovane non ci lasciavano tranquilli. Abbiamo deciso di assumerlo approfittando di un piccolo aumento di lavoro. Lo abbiamo aiutato anche a trovare alloggio, e tutto e incominciato a girare per lui nel verso giusto. Si è inserito bene nell'azienda, e si è ripreso anche in salute. Anche per noi è giunta nel frattempo una grande commessa che ci ha consentito di assumere altro personale”.
Conoscendo più da vicino i Bertola, si comprende anche come non sia difficile stabilire in questo clima rapporti di amicizia sincera, anche con i dipendenti della ditta. Si cercano, e si trovano, spazi ed occasioni di incontro anche al di fuori del lavoro.
La sua è una famiglia che tiene aperte le porte di casa a tutti quanti affiancano la sua vita: colleghi di lavoro, vicini di casa, amici. Con un debole, semmai, per chi si sente più solo e più fragile.
È nato così un gruppo quanto mai vario, composto da persone di ogni età, condizione sociale, colore, convinzione, che si chiama "Gruppo degli amici di Marene e dintorni", per comprendere tutti e non escludere nessuno. Sono decine, fra ragazzi, ragazze, giovani e famiglie che si ritrovano insieme per conoscersi e per "far famiglia".
Un bell’esempio per tutti.
Caterina Ruggiu
Testo tratto da: Città Nuova, n.11 2004, sintesi della redazione
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Con quale sguardo “misuriamo” le persone straniere?
• Siamo onesti con gli stranieri che lavorano per noi? Evitiamo di approfittare del loro stato di bisogno?
• Abbiamo, fra i nostri avi, famiglie che sono emigrate? Narriamo le loro storie ai nostri figli?
• Quanto è solida la nostra fede? Sappiamo rendere ragione di ciò in cui crediamo?
• Abbiamo mai fatto esperienze di condivisione con loro? Cosa ci condiziona?
32-CUSTODIRE CIÒ CHE DIO HA CREATO
Non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo!
Cosa vuol dire custodire l'intero creato e la sua bellezza?
È avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l'ambiente in cui viviamo.
di Papa Francesco
Abbiamo ascoltato nel Vangelo che “Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’Angelo del Signore e prese con sé la sua sposa” (Mt 1,24).
In queste parole è già racchiusa la missione che Dio affida a Giuseppe, quella di essere custos, custode...
Come esercita Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende...
Come vive Giuseppe la sua vocazione di custode di Maria, di Gesù, della Chiesa? Nella costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio.
E Giuseppe è "custode", perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge.
In lui, cari amici, vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!
La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l'intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d'Assisi: è l'avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l'ambiente in cui viviamo.
È il custodire la gente, l'aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore.
È l'aver cura l'uno dell'altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. È il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene.
In fondo, tutto è affidato alla custodia dell'uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti.
Siate custodi dei doni di Dio!
E quando l'uomo viene meno a questa responsabilità di custodire, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce.
In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli "Erode" che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano il volto dell'uomo e della donna.
Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo "custodi" della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell'altro, dell'ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo!
Ma per "custodire" dobbiamo anche avere cura di noi stessi! Ricordiamo che l'odio, l'invidia, la superbia sporcano la vita! Custodire vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è proprio da lì che escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono! Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!
E qui aggiungo, allora, un'ulteriore annotazione: il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza.
Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d'animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all'altro, capacità di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!
Custodire Gesù con Maria, custodire l'intera creazione, custodire ogni persona, specie la più povera, custodire noi stessi: ecco un servizio che il Vescovo di Roma è chiamato a compiere, ma a cui tutti siamo chiamati per far risplendere la stella della speranza. Custodiamo con amore ciò che Dio ci ha donato!
Dall’omelia di martedì 19 marzo 2013, solennità di san Giuseppe
33-FAMIGLIE CUSTODI DEL CREATO
Custodire il creato non è una lista di cose da fare o un’ideale
Ogni famiglia ha la sua via alla sobrietà.
di Luca Lorusso*
“In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: “Sia la luce!”. E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e Dio separò la luce dalle tenebre. Dio chiamò la luce giorno, mentre chiamò le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: giorno primo”.
Ecco il lavoro di Dio all’inizio di ogni cosa. Ecco il lavoro di Dio oggi: dare forma a ciò che è informe, illuminare le tenebre. Ecco il lavoro di ogni uomo: raccogliere dal cielo il soffio dello spirito che aleggia, mentre, in bilico, se ne sta in piedi sull’abisso.
Custodire ciò che Dio ha creato è un lavoro intimo, come intimo è il lavoro di Dio mentre tesse ogni creatura nella profondità della terra (Sal 139). E l’intimità è la casa della famiglia, il luogo della cura, il luogo della lotta primaria contro le tenebre che non fermano mai il loro lavoro di scavo per allargare l’abisso della morte, del disfacimento, dell’oblio, del vuoto di senso. Il lavoro della famiglia è dare forma all’amore incarnandolo nella vita quotidiana.
Custodire il creato non è una lista di cose da fare o un’ideale. Quando le cose da fare e gli ideali si sposano, può capitare che partoriscano ideologia e tenebra che rende nuovamente informe l’umanità.
La custodia del creato è nutrire la vita, quella che ha Dio creatore come suo «principio», quella che dall’origine del mondo viene tramandata di generazione in generazione, senza interruzioni, quella che ogni uomo ha ricevuto in eredità, ed è chiamato a lasciare ai figli, propri e degli altri.
Viviamo in un tempo di crisi, in cui sembra che la rapacità dell’umanità sia più vorace e più veloce nel consumare il mondo di quanto la lenta cura di Dio sia in grado di crearlo.
In questo tempo di crisi reale, l’uomo cerca di dotarsi di strumenti che realmente incidano sulla propria voracità.
Non è difficile trovare spunti e suggerimenti riguardo alle buone pratiche.
Più difficile è riflettere sul senso profondo delle buone pratiche, che non sia il semplice terrore dell’incombenza del disfacimento del mondo, che non sia un puro imperativo moralista che sta fuori di noi, che non sia un generico quanto inappellabile senso del dovere o più semplicemente conformismo acritico.
I nuovi stili di vita non possono essere una risposta dogmatica e moralista a un’urgenza. Sant’Ignazio nei suoi Esercizi insegna che l’urgenza non è una condizione buona per discernere la volontà di Dio. Spesso l’urgenza è strumento del Nemico.
Quale luogo migliore della famiglia per curare la propria vita dalla malattia dell’urgenza che fa prendere decisioni sbagliate a fin di bene? La lentezza e l’intimità della famiglia è la prima cura per il creato.
La cura domestica dell’amore, il nutrire la vita nella famiglia ha le sue prassi, ha il suo modo di incarnarsi.
Le ferite in famiglia nascono dalla difficoltà di stare nell’essenziale, dall’incapacità di vivere la sobrietà, dall’intransigenza moralista che induce a rifiutare ciò che non funziona.
La famiglia è custode del creato, fa crescere figli custodi del creato, attraverso l’attenzione ai fondamentali della vita di ciascuno, e la concentrazione su di essi induce, per esclusione, a eliminare il superfluo, ciò che non è bello, ciò che fa perdere tempo.
Non ci sono oggetti che in assoluto vanno male per tutti. Non ci sono abitudini che in assoluto vanno male per tutti. Ogni famiglia ha la sua via alla sobrietà.
Per questo le ricette preconfezionate di buone pratiche per bene che vada lasciano indifferenti gran parte delle persone (al massimo con un vago sentimento di colpa), e nel peggiore dei casi crea fondamentalisti intransigenti che fanno della Coca Cola o del televisore degli idoli al contrario, idoli da demolire a ogni costo, anche a costo di demolire la famiglia.
La strada per la custodia del creato sta in quel dare forma a ciò che è informe, dare forma alla vita, escludendo tutto ciò che deforma, tutto ciò che pesa, che abbruttisce, che mette fretta, che toglie spazio a Dio creatore che custodisce il creato con noi.
* redattore della rivista "Missioni Consolata"
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Custodire il creato è custodire la vita in tutte le sue forme. Siamo d’accordo?
• Non possiamo essere custodi se non siamo capaci di prenderci cura di noi stessi. Quanto tempo ci “dedichiamo”?
• Giudichiamo gli altri in base al loro stile di vita? C’è una misura univoca per la sobrietà?
34-DUE NUOVE COPPIE RESPONSABILI: ora copriamo tutta l’Italia!
Si tratta dei Luca per il Sud Italia e i Guida per Centro Italia
Durante la segreteria dei Gruppi Famiglia tenutasi ad agosto in coda la campo famiglie di Nocera Marina (vedi GF84, p.27) si è deciso anche un avvicendamento per quanto riguarda la coppia di riferimento per la Calabria, con delega per tutto il Sud Italia. A Pina e Nando Sergio, che ringraziamo per l’impegno di questi anni, succedono Letizia e Livio Guida.
Inoltre si sono resi disponibili Maria Grazia e Antonio Luca come coppia di riferimento per il Lazio, con delega per tutto il Centro Italia.
Di seguito troverete una breve autopresentazione delle due nuove coppie responsabili.
La famiglia Luca si presenta
Siamo sposati dal dicembre 1995 e abbiamo tre figli Jacopo 18 anni, Emanuele 16 e Francesco 12. Di professione, rispettivamente, insegnante di religione e militare, lavoriamo ed abitiamo a Roma da circa tre anni.
Siamo siciliani di Siracusa, dove ci siamo conosciuti e sposati, trasferiti in seguito, per lavoro, in Calabria a Lamezia Terme, qui abbiamo vissuto i primi anni del nostro matrimonio.
Sin da fidanzati siamo stati impegnati nell’animazione di un gruppo ACR e invitati a partecipare al gruppo famiglia parrocchiale.
A Lamezia Terme abbiamo sperimentato, come il gruppo possa essere una vera famiglia e un importante sostegno e accompagnamento per tutti i componenti del nucleo familiare.
Adesso a Roma continuiamo la nostra esperienza nel gruppo famiglia della parrocchia e diamo anche il nostro contributo come catechisti nell’iniziazione cristiana dei bambini.
In tutti questi anni tra incontri, campi estivi, momenti di preghiera condivisi, ci siamo fortemente convinti dell’importanza per la coppia e per i figli, di questo tipo di percorso.
Con gli amici di Lamezia qualche anno fa abbiamo conosciuto il Collegamento dei Gruppi Famiglia ed è stato bello aprirsi ad altre realtà condividendo nuove esperienze, tra le quali lo scorso anno il pellegrinaggio delle Famiglie, sulla tomba di Pietro, in occasione dell’anno della fede.
Maria Grazia e Antonio
La famiglia Guida si presenta
Siamo Letizia e Livio, sposati da 10 anni, abbiamo 3 bambini piccoli e viviamo in Calabria, nei pressi di Cosenza, da alcuni anni (ci siamo trasferiti dal Nord, anche se uno di noi è originario di questa regione).
Pur partecipando ad incontri di catechesi familiare, da tempo sentivamo l’esigenza, come coppia, di trovare un contesto di piccolo gruppo all’interno del quale risultasse più facile poter dialogare, confrontarci, pregare insieme e sostenerci tra famiglie. In questa ricerca abbiamo incontrato l’esperienza dei “Gruppi famiglia” che ci è sembrata la più idonea al nostro caso.
A questo riguardo, tramite i coniugi Pina e Nandino, responsabili del Centro di Pastorale familiare della Diocesi di Cosenza-Bisignano (con cui collaboriamo), alcuni anni fa siamo entrati in contatto con gli allora responsabili nazionali del Collegamento dei GF, Nicoletta e Corrado. In realtà la storia dei rapporti tra la nostra Diocesi e i Gruppi famiglia risale a diverso tempo prima quando si erano invitati i fondatori dei GF: Anna e Guido Lazzarini.
Abbiamo da poco avviato un gruppo famiglia nella nostra Parrocchia: viviamo con gratitudine questa opportunità in quanto riteniamo importante che una coppia non si isoli ma condivida con altre famiglie il proprio cammino.
Queste estate, durante un campo estivo, abbiamo conosciuto Antonella e Renato, che ci hanno chiesto di svolgere il servizio di referenti dei Gruppi famiglia per la Calabria: abbiamo accettato con un certo timore ma anche con gioia questa nuova avventura.
Tutte le coppie responsabili in carica si incontreranno a fine dicembre a Cesena per un momento di condivisione, preghiera e reciproca conoscenza. Dopo venticinque anni di Collegamento possiamo finalmente affermare che Nord, Centro e Sud Italia si sono finalmente incontrate per condividere insieme un progetto per la crescita della famiglia.
Se il merito di tutto questo è frutto del lavoro di Antonella e Renato Durante, non possiamo dimenticare il lavoro di semina fatto dalle precedenti coppie responsabili.
Il prossimo anno festeggeremo il venticinquesimo del Collegamento tra Gruppi Famiglia e pensiamo che questa notizia sia di buon auspicio per confidare in altri venticinque anni di cammino, a Dio piacendo.
Noris e Franco Rosada
35-RACCONTANDO I CAMPI ESTIVI
Tante belle esperienze per grandi e piccini
Spello, campo famiglia
Cos’è un campo famiglia? Ti chiedono e ti chiedi. Magari torna alla mente quando eri adolescente e quel rifiuto dato senza esitazioni: “No, che noia!”.
C’è qualcosa di diverso a Spello e diciamo subito sì. Perché?
Non lo sappiamo bene ma attendiamo questa esperienza cui non ci siamo mai accostati ma che sappiamo lascerà il segno nella nostra vita.
La settimana è stata molto intensa e caratterizzata da momenti che prevedevano collaborazione nel lavoro quotidiano e nelle faccende domestiche, condivisione, la S. Messa quotidiana, confronto e soprattutto testimonianze anche da parte di chi nella propria vita ha operato scelte importanti e radicali.
È difficile spiegare quanto vissuto e scambiato in un piccolo universo di autentica comunicazione, condivisione e spiritualità.
L’esperienza è stata quella del Dono e di un Percorso di vita.
Il Dono, per esempio, di tanti animatori che hanno offerto ai più piccoli la possibilità di giocare, creare ed anche iniziare a capire il senso del proprio stare insieme alla luce della testimonianza di Cristo.
I nostri figli hanno precisamente percepito questo interessamento disinteressato, molto più di un programma di animazione.
Il dono di chi ha reso possibile la settimana a Spello lavorando alla sua preparazione nei mesi precedenti o di quelle persone che hanno lavorato continuativamente anche durante tutta la settimana, ad esempio le “cuoche”.
Il Percorso, per noi adulti e per i più piccoli, che ci conduce ad una buona umanità ovvero ad un’umanità migliore, come recitava la canzone di chiusura dopo l’animazione serale. Dall’ “Io” dell’individualismo al “Noi” e a noi famiglie cristiane che spezziamo insieme lo stesso pane tutti I giorni e abbracciamo anche chi cristiano non si sente.
Perché allora?
Perché qualcuno, sia tra gli adulti sia tra i giovani, aveva già iniziato a camminare e a dire sì donando se stesso all’altro, sperimentandone la gioia e i benefici e non noia o sterile sacrificio.
Ci fidiamo di te, Gesù.
Mario, Barbara, Pietro, Marta, Davide, Gabriele
Voltago Agordino
A Voltago tra grandi e piccini eravamo in 82, non c’era davvero pericolo di soffrire di solitudine. Le giornate sono volate tra riflessioni bibliche, confronti di gruppo e scambi confidenziali tra adulti; attività, gioco e amicizie per i più giovani. E, come sempre, c’è stata molta attenzione per la preghiera comune e per i momenti di festa.
A guidare gli incontri una coppia romana: Gabriella Del Signore Desirò con il marito Francesco che hanno portato con sé il loro ragazzo adottato Lucas. Ecco le loro brevi impressioni:
Per noi era la prima esperienza di un campo famiglia. Mentre salivamo verso le vette che circondano Voltago, Lucas ci incalzava con mille domande: "Ma chi c'è lì, come si chiamano, quanti anni hanno, cosa facciamo?" e poi concludeva "tanto io rimango in camera!".
In realtà in camera non c'era quasi mai, era sempre con "loro", gli animatori, che coinvolgevano lui e gli altri bambini e ragazzi in un cammino specifico e ben finalizzato. Così i giorni sono volati tra incontri, confronti, preghiera ma anche balli e risate serali e la scoperta di nuovi amici.
Sulla via del ritorno ci siamo sentiti colmi, portavamo nel cuore le persone belle che avevamo conosciuto, la testimonianza del loro impegno, la simpatia, il sorriso, la dedizione. Lucas era addolorato: "Non ho salutato abbastanza i miei amici!", poi si consolava leggendo i biglietti che erano nella busta della famiglia e che ci accompagnavano nella via del ritorno.
In questa occasione abbiamo festeggiato anche il 50esimo di matrimonio di Giacinto e Raffaella Bruschi, che hanno chiesto ai loro amici e parenti di non fare loro regali ma di sostenere questa rivista.
Tony
Ancora Spello
Carissimi, non si è ancora spenta la gioia dei giorni trascorsi in felice armonia a Spello, perché quando stai bene con altri, minuti, ore e giorni, il cuore e la mente assorbono la bellezza dello stare insieme; i volti, i sorrisi, le espressioni di ognuno.
La gioia e allegria degli adolescenti e bambini che ci hanno reso un po’ più giovani anche noi.
Per noi che era la prima volta è stato anche un riscoprire una interiorità sopita da continui impegni.
Ci hanno fatto tanto bene quei giorni, e nei luoghi dove siamo stati, oltre alle parole sagge dei relatori/ci, abbiamo vissuto i luoghi.
Per quanto ci riguarda abbiamo avuto momenti di "ascolto del silenzio", che ci portava immagini di bene e di speranza in un luogo tanto vicino a San Francesco.
Il santo patrono d'Italia oggi sembra riverito più in termini turistici con masse enormi di persone che visitano Assisi e i luoghi del santo che non soffermandosi invece sul suo esempio, tanto utile anche ai nostri giorni.
Non solo per la sua SOBRIETÀ di vita ma per aver saputo nella disubbidienza (positiva), svestirsi di ricchezze, di ipocrisie e creare un rapporto umano con i più bisognosi, con la natura, aiutato da Santa Chiara.
Gloria e Dino
Nocera Terinese
Il Gruppo Famiglia della parrocchia del Rosario di Lamezia Terme, costituito da tre valide e tenaci famiglie e aiutati dai Durante, coppia responsabile dei GF, hanno organizzato a metà agosto un campo scuola-famiglia itinerante, a cui hanno partecipato altre famiglie provenienti da Treviso, Salerno, Cosenza.
Le famiglie per una settimana hanno percorso il sentiero della gioia così come l’ha definita Papa Francesco: una realtà che proviene da “un’armonia tra le persone, che tutti sentono nel cuore, e che ci fa sentire la bellezza di essere insieme, di sostenerci a vicenda nel cammino della vita. Ma alla base di questo sentimento di gioia profonda c’è la presenza di Dio, la presenza di Dio nella famiglia, c’è il suo amore accogliente e misericordioso, rispettoso verso tutti”.
L’accoglienza si è manifestata con l’apertura del campo a persone di diversa età, dai piccoli di qualche mese agli anziani, anche ai malati cronici.
Nell’amore gioioso si sono smussati i caratteri e gli egoismi, nell’amore gioioso si è aperto il proprio cuore perdonando e rendendosi disponibili agli altri.
I momenti di forte spiritualità sono stati apportati dagli incontri presso la Comunità della Certosa di Serra San Bruno, i Frati della Via di Lamezia Terme, i Servi della Parola a Decollatura e dal responsabile spirituale del Gruppo Famiglia di Lamezia Terme, don Natale Colafati.
Momenti che hanno risvegliato in ogni persona domande di fede: Che senso ha la mia vita? Da dove viene la mia gioia? A che punto sono del mio cammino di fede? La famiglia è la periferia della Chiesa o è la Chiesa di periferia?
Nel matrimonio sacramentale la coppia s’incontra e genera relazione familiare, luogo d’incontro di ogni membro con i suoi valori. Nasce da questo nucleo generativo la vocazione della famiglia di trasmettere ai figli non solo i valori ma l’umanità e la gioia di vivere.
Mariannina
36-I temi del 2015-2016
Continuiamo ancora a ricevere mail con le preferenze dei lettori sui temi da trattare nei prossimi numeri. Ma alcuni temi prevalgono nettamente sugli altri:
• Permesso, scusa, grazie (il vocabolario di papa Francesco).
• La sobrietà in famiglia.
• Gli idoli di questo mondo.
• Vivere con gioia e nella gioia.
• Educare i figli da 0 a 6 anni.
Saranno quindi questi i temi che ci accompagneranno nei prossimi due anni.
37-Ora abbiamo in Cielo un amico che ci attende
Mentre ci apprestavamo a chiudere questo numero siamo stati informati della scomparsa di Renato Baretta.
È stato un caro amico dei Gruppi Famiglia del Piemonte, che ha cominciato a seguire con la scuola di Moretta (CN), tenuta alla fine degli anni ‘80 da Anna e Guido Lazzarini.
Appassionato di Bibbia, la sua “specialità” era la Lectio divina, che ha insegnato a molte coppie.
Non siamo soliti pubblicare necrologie ma siamo rimasti colpiti dal modo con cui Renato ha vissuto i suoi ultimi mesi. Consapevole della prossima fine ha voluto incontrare gli amici pregando insieme con loro la Parola.
Ora che è nelle braccia del Signore, confidiamo possa intercedere per tutti noi e per i Gruppi Famiglia.
Siamo vicini, in questo momento di prova, alla moglie Caterina, ai loro due figli e ai nipotini.
La redazione
38-PER CONCLUDERE
Il campo di Voltago raccontato in rima
Nel giorno del mio Santo Protettore,
(leggasi San Giacinto Confessore),
siamo arrivati qui a Voltago
(per trovar la via ci vuole un mago)
per fare coi Piccin e coi Bottero
un campo famiglie in senso vero:
dalle Lodi fino alla Serata
è una grande famiglia allargata.
Siamo In più di ottanta persone
dal Veneto e da ogni regione
bambini, ragazzi e genitori
divisi nel lavor... e nei lavori,
cucina a parte dove sfavilla
l'Assunta, con Bruna e la Bertilla
che han lavorato in ogni istante
per far cibo buono ed abbondante.
cui s’aggiunge per il nostro piacere
il buon Gabriele, il pasticciere.
Padre Francesco cura la preghiera
da Lodi alla Messa della sera.
Formazione la nostra attività:
Adulti e ragazzi per età.
seguiti da tanti educatori
per lasciar liberi i genitori.
La brava Gabriella del Signore,
per portarci verso un mondo migliore,
ha per noi la Sacra Bibbia spezzato
e vari episodi illustrato:
Giuseppe e la sua fraternità…
Noemi e Rut con solidarietà…
Davide e la fedeltà d'Uria,
che del sacrificio sceglie la via…
Poi non costruir Torri di Babele,
ma sulla roccia, sempre a Dio fedele,
viver con Lui rapporti romantici:
l'Amato del Cantico dei Cantici.
Dopo il caffè a gruppi il confronto
di ciò che si è capito si dà conto.
Dopo pranzo subito i lavori
ma soltanto per gli educatori.
per curare la loro formazione
(non sol bambinai a disposizione)
Dopo il riposo la merendina,
poi si affronta la Lectio Divina.
Conclude la fatica di giornata
la Messa, che direi concelebrata:
dai Leoncini… ai Canguri Stanchi
di quanto fatto mostriamo i fianchi,
offrendo insieme lì al Signore,
quanto si è appreso... con sudore.
Dopo cena ci sono le Serate,
in compagnia si fan grosse risate
per non parlare del Sabato sera
ch’abbiam vissuto insieme gioia vera.
Al mercoldì, col sole, di mattino
saliamo a Passo San Pellegrino
il Giovedì, gita d'una giornata
dal Passo Duran grande camminata,
con il pranzo al sacco li dal passo,
anche con chi è stato giù da basso.
Al Venerdì… penitenziali ore
confessione e sui altar un fiore.
Al Sabato c'è la Messa Sponsale.
si fa la Promessa Matrimoniale
coi figli e il bouquet di fiorellini,
colti dal manto o dai bambini.
Mia moglie, ascoltando il suo cuore
per bouquet le mie poesie d'amore.
Mentre scrivo ho tanta nostalgia,
che tra poco, ognun se ne va via,
ed ora. dalla commozione vinto
vi abbraccia tutti… Nonno Giacinto.