DUE GIORNI, UNA NOTTE

Sandra è rimasta lontana dal lavoro per mesi a causa di una forma depressiva. Ora che è pronta per tornare in pista, la maggior parte del suo reparto ha votato per accettare il bonus di 1.000 euro purché essa non rientri al suo posto di lavoro. Certo, il capo reparto ha influenzato scorrettamente la scelta di alcuni.

La collega Juliette la informa della situazione e la sprona a non demordere. Qualcosa si può ancora fare, come, ad esempio, strappare al direttore dell’azienda la possibilità di rivotare il lunedì mattina. Se non ci fosse Juliette, Sandra sarebbe completamente tagliata fuori da quanto sta accadendo alle sue spalle e non avrebbe nessuna chance. Se Sandra perde il lavoro, dovranno tornare in una casa popolare.

Nessuno nella famiglia è escluso dalla fragilità di Sandra. Sono tutti con lei in questa esperienza, anche se non è piacevole per nessuno di loro. In tal senso, la famiglia è un altro protagonista del film sia per l’atteggiamento del marito Manu, sia per la presenza dei figli che, in pochissime scene, danno la cifra di questo nucleo privo di ogni retorica.

Il marito è un santo dei nostri giorni, senza nessuna dimensione eroica: la virtù viene dalla delicatezza e dalla solidità di chi non perde la speranza e assiste il fiore del suo amore perché possa di nuovo sbocciare e trovare ancora un posto nel mondo. E non è una passeggiata, perché la depressione di Sandra è dietro l’angolo con attacchi di panico, retromarce nell’umore e nelle scelte, desiderio di sicurezza con i farmaci, voglia di rinchiudersi in casa, poca stima per se stessa e il fantasma di sentirsi inutile al mondo.

Manu, nel suo “mestiere” di marito, ci investe tutti del ruolo di cura nei confronti di chi è finito, senza colpa, “fuori dal mondo”. Egli non cede alla tentazione di Sandra quando gli dice che si lasceranno. È un uomo virtuoso che affascina, perché non cede, anche se è evidente che sta attraversando la fase di un matrimonio senza corporeità, dove la forza degli affetti sta più nell’animo che nell’avvinghiarsi dei corpi. Il suo sguardo per Sandra è di grande stima, pieno di luce e di forza, un rinsaldo costante. Non c’è pietà, non c’è paura per la malattia dell’anima.

E questo si riverbera anche sui figli, che desiderano il meglio per la loro mamma. La scena in cui la figlia più grande, ancora bambina, cerca in internet con il computer i numeri di telefono e gli indirizzi dei colleghi della mamma, è un affresco della società contemporanea, sia nelle competenze dei ragazzi sia nell’importanza di non escluderli dai problemi.

Il film offre un’icona autorevole e credibile di famiglia che diventa competente insieme, un po’ alla volta, senza timore.

È una vera epopea quella che Sandra affronta nell’incontrare tutti i colleghi fuori dal contesto professionale. Come donna, accetta di mostrarsi nella sua fragilità, nel chiedere aiuto, nel suggerire comprensione per la sua situazione. Si mette in piazza e chiede a loro di fare altrettanto nei loro valori, che assumono il contorno di una scelta: un sì o un no con cui possono cambiare la sua situazione.

Non ci sono compromessi e bisogna schierarsi o da una parte o dall’altra... Talvolta queste scelte sono devastanti, ma nemmeno in quel caso ci si schiera da una parte piuttosto che dall’altra. Si ascolta quanto ciascuno pone come priorità nella sua vita. È un viaggio reale che, senza moralismi, ci mostra dov’è l’uomo oggi, ma con la voglia di “riassorbire” chi è rimasto indietro.

Arianna Prevedello,

Tratto da Settimana, n.42 2014, sintesi della redazione
Vedi anche: http://www.mymovies.it/film/2014/deuxjoursunenuit/