Foglio di collegamento tra Gruppi Famiglia
GF86 - marzo 2015

PERMESSO, GRAZIE, SCUSA
Tre parole per l’armonia in famiglia meditate con la Lectio Divina

 

Lettere alla rivista

1-LECTIO DIVINA E ROSARIO

L’uomo è intelletto e affetto, è mente e cuore

 

Il nostro diacono insiste nel proporci la Lectio Divina ma io ed altre persone come me la trovano troppo difficile e impegnativa.

Perché sembra che sia diventato antiquato pregare il rosario?

Agnese

 

Risponde mons. Giancarlo Grandis, vicario episcopale per la cultura della diocesi di Verona

 

L’evento del Concilio Vaticano II ha fatto riscoprire alla Chiesa l’importanza di un contatto sempre più vivo con la Parola di Dio, che è la fonte della nostra fede.

Ciò ha portato a ripensare le forme tradizionali di preghiera, soprattutto la più diffusa, il Santo Rosario, e a riscoprire altre forme presenti nella tradizione della Chiesa, tra cui la “lectio divina”, basata sull’ascolto della Parola e sulla sua meditazione con lo scopo poi di farla diventare sempre di più “stile di vita”.

Certamente questa forma di preghiera, nei suoi quattro progressivi gradini, è più impegnativa del Santo Rosario, che è preghiera mnemonica e ripetitiva.

Tuttavia c’è una stretta relazione tra le due forme di preghiera e in un certo senso si richiamano a vicenda.

La lectio porta l’orante alla fonte stessa della preghiera, il rosario nel suo ritmo cadenzato facilita la contemplazione dei misteri della vita di Gesù. L’orizzonte di ambedue rimane comunque la Rivelazione, fissata nel testo sacro.

Affermare che la prima è difficile e la seconda è antiquata rivela la necessità di capire più in profondità sia l’una che l’altra.

Certamente la prima è più impegnativa perché chiama in causa maggiormente il ruolo della ragione, il pensare.

Essa, infatti, comporta lo scrutare in profondità la Parola per farsene una ragione.

Il rosario, d’altro canto, lascia maggiormente la ragione sullo sfondo per far più spazio alla contemplazione, facendo proprio l’atteggiamento di Maria che, di fronte a coloro che si stupivano per le parole che si dicevano su Gesù, ella, “da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19).

Le due forme di preghiera, quindi, la Lectio e il Rosario, non vanno contrapposte perché sono fatte per consolidarsi tra loro e completarsi reciprocamente: se nella prima è più presente l’intento di conoscere e approfondire la Parola, nella seconda è più presente il desiderio di contemplarla e di gustarla.

La prima è preghiera più intellettuale, la seconda più affettiva. Ma l’uomo è fatto sia di ragione sia di affezione, di mente e di cuore.

grandis.giancarlo@gmail.com

 

Dialogo tra famiglie

2-QUELLE “PAROLINE” CHE NON SI USANO PIÙ!

Siamo sempre di fretta e diamo per scontate troppe cose

 

C’erano una volta delle paroline che ora non si usano più. Il mio nipotino p.e. non ne vuol sapere di usare “per piacere” e “grazie”. Come sono cambiati i tempi!

Una nonna

 

È raro che oggi uno si ponga il problema della delicatezza nelle relazioni familiari.

anti anni fa don Beppe - mons. Giuseppe Anfossi cui dobbiamo tanto come Gruppi Famiglia, come singole famiglie e persone e che in questi giorni, a seguito di un grave incidente stradale, è in ospedale e a cui rivolgiamo pensieri affettuosi e oranti - ha chiesto, in un incontro con le famiglie:

“Chi di voi, la mattina, al risveglio, ringrazia l’altro di essergli ancora accanto? Chi, svegliati i figli, li saluta con la gratitudine che si deve a un dono?”.

La platea è rimasta muta!

Ognuno ha pensato alla fretta, alle corse mattutine per preparare sé e i bambini, sollecitandoli a sbrigarsi e poi, via! Ognuno al suo lavoro.

Abbiamo perso le “paroline” perché abbiamo perso la relazione profonda con le persone, perché le cose da fare sono più importanti delle persone… e con esempi così come chiedere ai piccoli di essere gentili?

Noi adulti non possiamo dare tutto per scontato come se, in famiglia, avessimo diritto a tutto quello che ci aspettiamo dagli altri: quanto riceviamo è un dono, quanto chiediamo è un favore; fuori dalla logica della reciprocità e della gratuità non nascono parole ‘belle’.

Anna Lazzarini

 

3-VANGELO E SPIRITO SANTO

 

Abbiamo ascoltato nella prima Lettura che il Signore si preoccupa dei suoi figli come un genitore: si preoccupa di dare ai suoi figli un cibo sostanzioso. Dio, come un bravo papà e una brava mamma, vuole dare cose buone ai suoi figli. Questo cibo sostanzioso è la sua Parola che ci fa crescere, ci fa portare buoni frutti nella vita, come la pioggia e la neve fanno bene alla terra e la rendono feconda (cfr Is 55,10-11).

Così voi, genitori, e anche voi, padrini e madrine, nonni, zii, aiuterete questi bambini a crescere bene se darete loro la Parola di Dio, il Vangelo di Gesù. E datelo anche con l’esempio! Tutti i giorni, prendete l’abitudine di leggere un brano del Vangelo e portate sempre con voi un piccolo Vangelo in tasca, nella borsa, per poterlo leggere.

E questo sarà l’esempio per i figli, vedere coloro che gli stanno vicini leggere la Parola di Dio...

Un ultimo aspetto emerge con forza dalle letture bibliche di oggi: nel Battesimo siamo consacrati dallo Spirito Santo. La parola “cristiano” significa questo, significa consacrato come Gesù, nello stesso Spirito in cui è stato immerso Gesù in tutta la sua esistenza terrena. Lui è il “Cristo”, l’unto, il consacrato, noi battezzati siamo “cristiani”, cioè consacrati, unti. E allora, cari genitori, cari padrini e madrine, se volete che i vostri bambini diventino veri cristiani, aiutateli a crescere “im-mersi” nello Spirito Santo, cioè nel calore dell’amore di Dio, nella luce della sua Parola.

Per questo, non dimenticate di invocare spesso lo Spirito Santo, tutti i giorni... È tanto importante pregare lo Spirito Santo, perché ci insegna a portare avanti la famiglia, i bambini, perché questi bambini crescano nell’atmosfera della Trinità Santa. Per questo non dimenticate di invocare spesso lo Spirito Santo, tutti i giorni. Potete farlo, per esempio, con questa semplice preghiera: “Vieni, Santo Spirito, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore”...

Dall’omelia di Papa Francesco nella festa del Battesimo del Signore (11 gennaio 2015)

 

4-Editoriale. PERMESSO, GRAZIE, SCUSA,

tre parole per l’armonia in famiglia

Facciamole nostre con il metodo della Lectio Divina!

 

di Franco Rosada

Le tre parole guida di questo numero sono state ricordate in diverse omelie da Papa Francesco e sono state ben sottolineate durante l’incontro con i fidanzati il giorno di San Valentino dello scorso anno.

Ma costruire una rivista su queste parole evitando di ripetere concetti già espressi in numeri precedenti non è cosa semplice.

Abbiamo quindi scelto un approccio “nuovo”, quello di rileggerle alla luce della Parola riproponendo il metodo della Lectio Divina.

I brani scelti come base per “pregare” su queste tre parole, essenziali per l’armonia familiare, non sono “farina del nostro sacco” ma circolano da tempo su Internet.

Perché questa scelta? Perché è con il metodo della Lectio, insieme con quello della Revisione di Vita, che sono nati i Gruppi Famiglia venticinque anno fa. Perché ci sembra che la Parola di Dio debba avere, oggi come allora, un ruolo importante nel cammino di fede delle famiglie.

In questo ci fa da maestro, ancora una volta, Papa Francesco.

In un’omelia di inizio anno, tenuta durante la festa del battesimo del Signore (vedi colonna a fianco) ci ha ricordato che il vero cibo sostanzioso è la parola di Dio, è il Vangelo di Gesù. E ci ha invitato a tenere sempre in tasca un piccolo Vangelo, per poterlo leggere durante la giornata.

Tradotto in chiave di Lectio, Francesco ci invita a far nostra ogni giorno la Parola e a “ruminarla” nel nostro cuore.

Un altro elemento che Francesco ci ha ricordato è il ruolo che lo Spirito Santo gioca nella nostra vita.

Non è per molti il centro della loro preghiera eppure solo lo Spirito sa aprire il nostro cuore a quella che è la volontà di Dio per la nostra vita.

Non per niente ogni Lectio è bene che inizi con un’invocazione allo Spirito Santo (vedi pag. 24).

Senza lo Spirito, che ci “insegna ogni cosa” (Gv 14,26) “Dio è lontano, Cristo rimane nel passato, il Vangelo è lettera morta, la Chiesa è una semplice organizzazione, l'autorità è una dominazione, la missione una propaganda, il culto un’evocazione, e l'agire dell'essere umano una morale da schiavi” (Atenagora).

 

5-LA LECTIO DIVINA:

un metodo per unificare in modo armonico tutti gli aspetti della vita spirituale

Se oggi un cristiano non ha familiarità col mondo di Dio, non riuscirà a resistere in questa nostra situazione di frammentazione culturale e di Babele di linguaggi. Carlo Maria Martini

 

a cura della Redazione

Ai nostri giorni, la Parola di Dio è veramente alla portata di tutti. Ma non è possibile limitarsi a studiarla p.e. con i corsi biblici: la Parola va pregata e vissuta! Questo approccio è un dono di grazia del Vaticano II, che ha rivalutato l’esperienza degli antichi Padri della Chiesa.

 

La nascita della Lectio

La struttura della Lectio Divina, così come la conosciamo, è merito del certosino Guigo II, vissuto nel dodicesimo secolo. Questo santo monaco, lavorando con una scala pioli, chiedeva al Signore di suggerirgli uno strumento che, come la scala, gli permettesse di salire con efficacia a Lui.

“Improvvisamente alla mia riflessione si presentarono quattro gradini spirituali, ossia la lettura, la meditazione, la preghiera, la contemplazione”.

 

Il declino e la riscoperta della Lectio

Il declino fu dovuto a una serie di fattori che ne compromisero lo spirito: p.e. troppo spazio dato all’aspetto dottrinale (lettura) a scapito delle altre parti, una lettura troppo personale ed emotiva (la Riforma protestante).

Con il Concilio di Trento e il divieto, di fatto, per singoli fedeli di accedere alla Scrittura l’esperienza ebbe termine. Nei secoli seguenti nacquero nu-merosi metodi per pregare, specialmente per fare meditazione, ma con pochi riferimenti alla Parola.

La Lectio torna alla ribalta con la costituzione dogmatica “Dei verbum” anche se bisogna attendere il 1972 quando, con la pubblicazione dei primi libri a riguardo, inizia la sua divulgazione effettiva. Qual è l’elemento “forte” della Lectio? L’unificare in modo armonico tutti gli aspetti della vita spirituale. Vediamola nei suoi quattro momenti principali.

 

Primo momento: la lettura

“La Lectio è lo studio attento della Scrittura fatto con uno spirito tutto teso a comprenderla” (Guigo II).

Questa lettura va fatta con attenzione, con la testa ma anche con il cuore.

Serve la testa per poter cogliere ciò che ci dice la Parola in tutta la sua portata.

La Lectio non si esaurisce nello studio, ma gode di tutti i frutti che questo può produrre.

Lo studio deve poter cogliere l’aspetto letterario del testo - stile, genere letterario, periodo e contesto redazionale -, l’aspetto storico - come si colloca nel cammino del popolo eletto -, l’aspetto teologico - qual è il messaggio di Dio, il suo progetto per l’uomo.

Serve il cuore per evitare di separare lo studio dalla preghiera. Bisogna dunque leggere “con un cuore che ascolta” (Origene).

Come tutti sono chiamati ad ascoltare la Parola nell’Eucaristia, così tutti possono partecipare alla Lectio, anche i meno acculturati.

 

Secondo momento: la meditazione

Se la lettura risponde alla domanda: cosa dice il testo in sé? La meditazione risponde alla domanda: cosa dice il testo a noi, a me, qui ed ora?

La meditazione, quindi, ci chiede di applicare su di noi la Parola, e questo porta con sé la necessità di riesaminare la nostra vita, in modo sincero.

Perché la Parola, se ruminata, mira a sconvolgere la vita per ricostruirla secondo il progetto di Dio.

È bello questo termine coniato da San Bernardo: ruminatio!

Si tratta di riprendere la Parola masticata nella Lectio e rimuginarla, rimasticarla nel nostro cuore.

 

Terzo momento: la preghiera

Tutta la lectio Divina è preghiera, ma in questo terzo momento la preghiera si fa davvero speciale.

Cosa dico io, ora, alla Parola che mi ha interpellato? La preghiera che scaturisce può essere di riparazione, di ringraziamento, di richiesta.

La preghiera è di riparazione perché ci scopriamo peccatori, di ringraziamento per quanto di meraviglioso Dio ha suscitato in noi, di richiesta del dono dello Spirito, l’unico capace di aprirci “la mente all’intelligenza delle scritture” (cfr Lc 24,45).

 

Quarto momento: la contemplazione

Il termine contemplazione si è evoluto nel corso del tempo; se prima del Vaticano II si riferiva prevalentemente a chi viveva in clausura, dopo il Concilio ha assunto un significato più ampio: sono contemplativi tutti i battezzati, tutti chiamati senza eccezioni alla santità (cfr Lumen gentium V).

Chiunque viva in Dio e Dio viva in lui è una persona contemplativa.

In concreto il tempo che abbiamo a disposizione è poco e allora siamo chiamati a pregare con “la matita in mano”.

La Parola ci accompagna - sotto forma di un breve versetto, una citazione - nelle nostre giornate di lavoro trascritta su un foglietto da tenere in tasca, da rileggere e meditare nei momenti più disparati.

Liberamente tratto da: G. Dutto - C- Hayden, Lectio Divina, Effatà Editrice, Cantalupa (TO) 1998.

 

6-LA PAROLA “PERMESSO”

Siamo chiamati ad accostarci all’altro, sia il nostro coniuge sia i nostri figli, in punta di piedi, come fosse un luogo santo, che richiede il massimo rispetto.

 

La parola di Papa Francesco

"Permesso: è la richiesta gentile di poter entrare nella vita di qualcun altro con rispetto e attenzione (…). E non è facile, non è facile.

A volte invece si usano maniere un po’ pesanti, come certi scarponi da montagna!

L’amore vero non si impone con durezza e aggressività.

Nei Fioretti di san Francesco si trova questa espressione: “Sappi che la cortesia è una delle proprietà di Dio… e la cortesia è sorella della carità, la quale spegne l’odio e conserva l’amore” (F.F. Cap. 37). Sì, la cortesia conserva l’amore.

E oggi nelle nostre famiglie, nel nostro mondo, spesso violento e arrogante, c’è bisogno di molta più cortesia. E questo può incominciare a casa".
Per leggere tutto l’intervento clicca qui!

 

La Parola di Dio nella Bibbia

Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l'Oreb. L'angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto.

Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: "Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?".

Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: "Mosè, Mosè!". Rispose: "Eccomi!".

Riprese: "Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!". E disse: "Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe" (Es 3,1-6a).

 

Cosa dice il testo in sé: il contesto

Mosè, che è cresciuto alla corte del Faraone, ha preso coscienza della sua appartenenza al popolo schiavo degli ebrei che lavora per i dominatori, e quindi vive con sofferenza il dover assistere alla violenza, all’ingiustizia ed alla sopraffazione della classe dirigente cui egli stesso appartiene.

Mentre è ancora famoso in autorevolezza, perché appartenente alla corte, si intromette in un episodio di lavoro dove il sovrintendente egiziano maltratta uno schiavo ebreo. Mosè, che ne ha preso le difese, arriva ad uccidere l’aggressore (Es 1,11-15).

Ma quando, il giorno dopo, capisce che l’omicidio è stato scoperto e lo si incolpa, ormai, quasi pubblicamente, ha paura e fugge mettendosi in salvo nel deserto.

Là incontra Ietro e la sua famiglia, ne sposa una figlia, si inserisce nella cultura del luogo, accetta limiti e si guadagna la sua tranquillità.

Ma, trascorsi quarant’anni, Dio lo scuote.

Raffaello Ciccone

 

Cosa dice il testo in sé: versetto dopo versetto

La curiosità può essere l’inizio della conoscenza di Dio.

1Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb.

Mentre stava pascolando: Dio sa incontrarti nella vita di ogni giorno. “Lo straordinario” lo incontri nell’ordinario.

Ietro. Suocero di Mosè, il capo clan e sacerdote di Madian, che lo accoglie e gli dà in sposa una figlia.

Ietro sarà ancora vicino a Mosè durante l’esodo del Popolo Eletto dall’Egitto (Gen 18,14ss.)

Il deserto, fatto di silenzio, di solitudine, d’essenzialità, favorisce l’incontro con Dio.

Oreb: è l’altro nome biblico del Sinai (cfr. Es 33,6 e la visione del profeta Elia in 1Re 19,1-18).

2L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava.

L’angelo del Signore: qui, come anche altrove (cfr. Es 14,19; 23,23; 32,34), l’angelo indica il Signore stesso, come risulta dal v. 4 in poi.

Il fuoco, segno teofanico ricorrente nella Bibbia e in altre religioni.

Il roveto, pianta dolorosa, nella quale si rivela Dio, anticipa il mistero della croce, pianta dalla quale si ri-velerà un Dio che partecipa pienamente al nostro dolore, essendo fattosi carico del nostro peccato.

La presenza di Dio “in mezzo al roveto” è, secondo l’interpretazione rabbinica, un’affermazione della vicinanza di Dio al suo Popolo nella sofferenza.

Rashì, così commenta: La Torà specifica la natura del cespuglio con uno scopo ben preciso, ossia d’insegnarci qualcosa che è implicito nelle caratteristiche del roveto.

Dio, infatti, accompagna il popolo ebraico anche nei periodi più “spinosi” dell’esilio ed è partecipe delle pene dei suoi figli, come è scritto nel Salmo 91,15: “Io mi trovo con lui nella disgrazia”.

Sempre sul rovo e il fuoco cfr. Gdc 9,14-15.

Fiamma. Questo termine (in ebraico labbàt), deriva da lev = cuore, ad indicare la parte più interiore, il cuore del fuoco.

La manifestazione di Dio all’interno del roveto ardente proclama questa grande verità: “Non vi è luogo al mondo in cui la Shekhinà non si trovi, poiché Egli parlò con Mosè persino dal roveto ardente” (Bemidbàr Rabbà 12,4).

3Mosè pensò: “Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?”.

La curiosità, come desiderio di sapere, può essere l’inizio della conoscenza di Dio.

4Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: “Mosè, Mosè!”. Rispose: “Eccomi!”.

Dio ci conosce personalmente e ci chiama per nome.

Eccomi! L’espressione indica la più totale prontezza nell’eseguire la volontà di Colui dal quale si viene convocati (cfr. Gen 22,11; Is 7,8; Sal 40,8).

5Riprese: “Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!”.

Non avvicinarti: Qui ritornano alla mente le parole di Gesù alla Maddalena: “Non toccarmi, non trattenermi” (Gv 20,17). Come la Maddalena, anche Mosè deve cambiare la sua prospettiva nei confronti di Dio.

Togliti i sandali! A differenza di Adamo, Mosè accetta la tua nudità! Accetta i tuoi limiti davanti a Dio e agli altri (cfr. Gen 3,11-12).

Terra santa: è la presenza di Dio a rendere santo il luogo e ogni luogo dove Egli s’incontra con l’uomo (cfr. Gv 4,20-24; in Lc 1,8-9 l’annunciazione a Zaccaria e poi in Lc 1,26 l’annunciazione a Maria).

6E disse: "Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe"...

Dio si manifesta come Signore della storia: come ha agito nella vita dei patriarchi, così vuol fare anche per Mosè.

Tuo padre: Dio è il nostro padre, di generazione in generazione.

Dio di Abramo: come per Mosè, ottantenne (At 7,30) anche Dio parla ad Abramo promettendogli un figlio quando questo è assai vecchio: novantanove anni (Gen 17,1).

Dio di Isacco: colui che Dio chiede ad Abramo di offrirgli in sacrificio, il suo unico figlio.

Dio di Giacobbe: colui che lotta con Dio e ne esce trasformato nel corpo: rimane storpio, e nel nome: Israele (Gen 32,26.29.)

Salvatore Piga

 

Cosa dice il testo a me

Dio non ci abbandona. Se anche la nostra vita attraversa momenti di fatica, Dio non è lontano e chiede a qualcuno di agire in nome Suo per portare aiuto, sollievo a chi sta soffrendo.

Di fronte alle sofferenze altrui, Dio chiede anche a me di renderLo presente, portando Dio stesso proprio vicino a chi soffre, così come chiede a Mosè di andare a parlare di Lui al popolo. Ma questo succede nel mo-mento in cui Mosè non si sente pronto, era pronto tanto tempo prima, ma non ora. Si passa dal voler fare qualcosa per…, all’essere mandato da Lui. I Suoi tempi non sono i nostri.

Dobbiamo saper metterci da parte e fare spazio a Lui, alla Sua volontà; a fare quello che ci chiama Lui, quando saremo pronti a dire “Lui mi manda” e non “Io vengo”.

Marzia

 

Anche noi siamo anziani come Mosè e siamo tentati di scoraggiamento perché le forze non sono più quelle di un tempo. Siamo anche naturalmente preoccupati.

Il nostro vissuto però ci fa incontrare “Angeli” che attingono ai nostri valori accumulati nel tempo ed anche “piante dolorose” come il roveto, persone che ci fanno soffrire. Il bene e il male che s'incontrano, lo commentiamo insieme e siamo contenti di stare con tutti.

Come coppia c'è sempre da ringiovanire l'attenzione dell'uno verso l'altro.

A volte è difficile chiedere “permesso”, soprattutto io ho sempre una gran voglia di correre da sola ma poi mi rendo conto di perdere la ricchezza che mi dona mio marito”.

Irene

 

Anch’io, come Mosè, a volte mi sento lontana dal “mio” popolo, mi sembrano persone che pensano solo ai soldi, a ciò che piace, a ciò che fa comodo, calpestando diritti e persone. Oppure mi sento sola, incompresa, perché dopo aver fatto il possibile mi sembra tutto inutile.

Poi però ho un luogo, la Chiesa, la Parrocchia, dove c’è un fuoco che non si spegne, dove c’è Gesù che mi chiama per nome e ha un progetto su di me, che mi fa sentire amata, e allora mi trovo a sorridere e rispondo “va bene, ci sto”, e allora è come se il deserto fiorisse.

Franca

 

L’altro/altra, anche se “pieno di spine” - quindi non proprio accogliente, anzi antipatico e magari anche sgradevole - “contiene” Dio e la soluzione per vincere il suo atteggiamento è accostarsi a lui/lei con misericordia o anche semplicemente con educazione...

Daniela e Claudio

 

Rileggendo questo brano sono stata catapultata indietro nel tempo, precisamente a diciannove anni fa. Rivedo colui che da lì a pochi minuti, sarebbe diventato mio marito, leggere queste parole: “Forte come la morte è l'amore, tenace come gli inferi è la passione: le sue vampe son vampe di fuoco, una fiamma del Signore!” (Ct 8,6b) Era il giorno del nostro matrimonio. Se all’epoca forse mi avevano colpito le “vampe di fuoco”, adesso mi colpisce ciò che segue: “una fiamma del Signore”.

Così ho rivisto negli anni la Sua presenza all’interno della nostra coppia, nel nostro amore, una fiamma che come nel roveto non brucia la pianta, lasciando solo cenere, ma arde senza distruggere, senza consumare. Ecco capisco adesso, non solo a parole ma nella vita di tutti i giorni, il significato del sacramento del matrimonio cristiano. Il Signore è con noi, marito e moglie, nelle cose di tutti i giorni, sta lì, non irrompe come un tuono ma si fa nostro prossimo con un sorriso, un abbraccio, con il dono dei figli, una richiesta di perdono, con un “scusa… posso?”.

Maria

 

A volte ci sembra di essere arrivati, di aver raggiunto una stabilità economica, i figli sono abbastanza cresciuti ed il nostro rapporto di coppia è tranquillo. Sentiamo però che ci manca qualcosa, non ci sentiamo pienamente realizzati, abbiamo bisogno di crearci dei momenti di “deserto” perché è lì che si hanno gli incontri più profondi e veri, è lì che il Signore ci parla ancora!

Ernesta

 

Quello che per Mosè è il roveto ardente che brucia e non si consuma, per me può essere un malato problematico e grave che a dispetto di ogni previsione riesce a cavarsela alla grande.

Per chi non crede è un caso essere capitata a suonare il suo campanello proprio mentre aveva un arresto cardio-respiratorio, una crisi epilettica o un infarto miocardico. Il tutto in due minuti. Mi chiedo: “Ma è stato il mio intervento immediato, l’avere a disposizione una bombola d’ossigeno piena e aperta alla massima potenza, l’esperienza di lavoro che mi ha fatto diagnosticare il problema subito, oppure c’è lo zampino di Dio?”

Maria Rosa

 

Chiedere permesso significa rendersi conto di essere di fronte ad un grande spettacolo, come quello del roveto ardente, di cui l’essere spettatori e protagonisti è esperienza fondamentale, senza però essere artefici della situazione meravigliosa. Mosè vede e, anche se non verbalizza, chiede permesso. Chiede permesso a Dio di poter comprendere il senso della sua presenza sul palcoscenico della vita.

Cinzia e Paolo

 

Cosa io dico al testo

          Signore, insegnami ad attendere i tempi degli altri così come Tu sai attendere i miei. Per questo ti prego.

          Signore, aiutami a far spazio agli altri nella mia vita; anche a chi mi è scomodo, difficile e pesante da ascoltare. Per questo ti prego.

          Signore, “eccomi” con i miei limiti. Ogni giorno t'invochiamo con la preghiera allo Spirito Santo e poi, come diceva il nostro Padre spirituale, “tutto dipende da quello che mi suggerisce”. Per questo ti prego.

          Signore, il tempo passa e ho paura di diventare solo più capace a rimpiangere i tempi andati, inacidendomi inutilmente. Fa che non dimentichi le buone maniere e il sorriso, rispettando tutti e chiedendo il permesso prima di entrare nelle vite altrui. Per questo ti prego.

          Signore mi è capitato più di una volta con un “buongiorno” o con un “permesso” di aver aperto ad un sorriso dei volti scuri. Ma nonostante questo faccio fatica ad essere il primo a sciogliere il ghiaccio. Signore gridami più spesso, per questo ti prego.

          Perché sappiamo meravigliarci dei grandi, ma anche dei piccoli gesti e parole di ogni giorno e lì riconoscere la presenza di Dio, ti preghiamo.

          Ti Lodo e ti ringrazio Signore perché mi ricordi che ogni persona Ti appartiene, Tu bruci di un Amore inesauribile anche per chi non Ti merita. Dammi la forza di amare ogni malato come Tu lo ami.

          Signore aiutaci a meravigliarci ogni giorno della nostra vita insieme ed accostarci all’altro/a in punta di piedi, come si conviene ad un magnifico spettacolo. Per questo ti preghiamo.

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

          Chiediamo permesso prima di passare dal Lei al Tu?

          Salutiamo i nostri vicini di casa, le persone che incontriamo frequentemente per strada?

          Siamo convinti che chiedere permesso non significa essere buonisti, tacere per falsa educazione di fronte alle ingiustizie?

Tratto dal libro di Rossella Semplici: Grazie, permesso, scusa, Ed. Paoline

 

7-MOSÈ DI FRONTE AL ROVETO ARDENTE

Dio si manifesta là dove noi siamo, nella nostra miseria, nella nostra desolazione:

quello per Lui è luogo santo

 

di Carlo Maria Martini*

Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro... il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava (Es. 3,1-2).

Passati quarant'anni... Mosè rimase stupito di questa visione (At 7,30-31a).

La prima cosa che fa Mosè di fronte al roveto ardente è meravigliarsi.

Questo mi piace molto: Mosè, che ha ottant’anni, è capace di meravigliarsi di qualche cosa, di interessarsi a qualcosa di nuovo.

“Mosè rimase stupito”, cioè si fece prendere da quella capacità, che è propria del bambino, di interessarsi a qualcosa di nuovo, di pensare che ci sia ancora del nuovo.

 

Mosè pensò: “Voglio avvicinarmi a osservare... perché il roveto non brucia?” (Es 3,3).

Mosè prima si meravigliò e poi “si avvicinò per vedere”, che non vuol dire semplicemente “vedere”, bensì guardate, cercate di comprendere.

Qui si vede la libertà di spirito raggiunta da Mosè attraverso la purificazione. Non è un uomo amareggiato e rassegnato, vuol capire, vuol vedere di che si tratta. Ecco un uomo vivo, anche se vecchio.

Qui ritorna la grande domanda che Mosè si era fatto per quarant'anni: “Ma perché Dio ha permesso quello scacco? Perché, se ama il suo popolo, non si è servito di me per salvarlo?”. Questo “ perché”, che Mosè ha coltivato, raffinato e purificato, ecco che emerge di nuovo di fronte a quella imprevista visione.

Mosè vuol sapere e per questo fa ancora uno sforzo: abbandona la comodità della pianura, in cui siede all'ombra della sua tenda, e comincia la salita faticosa della montagna; lascia anche le pecore, pur di arrivare fin là e sapere.

Questo “sapere” in Mosè è qualcosa che gli cuoce dentro, è una passione che non si è addormentata, ma che anzi la purificazione ha reso più semplice, più libera. Mosè non va sulla montagna alla ricerca di un nuovo successo personale; ci va perché vuole sapere come stanno le cose, vuole mettersi di fronte alla verità così com'è.

 

Il Signore vide che si era avvicinato...  gridò a lui dal roveto: “Mosè, Mosè!”... (Es 3,4).

Mosè ascolta il suo nome. Immaginate lo shock di paura e insieme di stupore di Mosè, quando si sente chiamare nel deserto, in un luogo dove non c'è anima viva.

Mosè si accorge che c'è qualcuno che sa il suo nome, qualcuno che si interessa di lui; egli si credeva un reietto, un fallito, un abbandonato: eppure qualcuno grida il suo nome in mezzo al deserto.

 

Riprese: “Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!”. (Es 3,5).

Mosè ascolta qualcosa che forse non si aspettava. Invece di sentirsi dire: “Grazie che sei venuto, che non ti sei lasciato vincere dall'amarezza” riceve un invito perentorio.

Quando l'uomo si lascia trascinare dal desiderio di ricerca, crede di possedere già le cose che cerca.

Mosè, con tutto il suo ardore, cercava di vedere quel fenomeno del roveto ardente come inquadrato nella sua visuale di Dio, della storia e della presenza di Dio nella storia.

E allora Dio gli dice: “Mosè, così non va; levati i sandali, perché non si viene a me per incapsularmi nelle proprie idee; sono io che voglio integrare te nel mio progetto”.

Questo è il significato del levarsi i sandali. Nel mistero di Dio non si può entrare marciando trionfalmente.

Ancora oggi i musulmani, entrando nella moschea, hanno il costume di togliersi le scarpe, come chi si presenta davanti a Dio in punta di piedi, in silenzio, non imponendo a Dio il proprio passo, ma lasciandosi assorbire, integrare dal passo di Dio.

Mosè, dunque, ascolta: “il luogo sul quale tu stai è suolo santo” e capisce che cos'è l'iniziativa divina: non è lui che cerca Dio, e quindi deve andare, per trovarlo, in luoghi purificati e santi; è Dio che cerca Mosè e lo cerca là dov'è.

E il luogo dove si trova Mosè, qualunque esso sia, fosse anche un luogo miserabile, abbandonato, senza risorse, maledetto, quello è suolo santo, lì è la presenza di Dio, lì la gloria di Dio si manifesta.

Adesso finalmente Mosè comincia a capire; Dio è diverso: finora l'ha conosciuto come uno che ti sfrutta per un po' di tempo e poi ti abbandona, un padrone più esigente degli altri... più del faraone; adesso comincia a capire che è un Dio di misericordia e di amore, che si occupa di lui, ultimo tra i falliti e dimenticato dal suo popolo.

 

E disse: “Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe” (Es 3,6a).

Come sono interessanti queste parole, che servono a bilanciare di nuovo l'animo sgomento di Mosè!

Mosè pensava che quello fosse un Dio nuovo, diverso. Ma ecco che Dio gli dice: “Sono il Dio dei tuoi padri; se tu mi avessi capito, ti saresti accorto che sono lo stesso Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe; anche con essi ho agito così”. Il Signore è stato un Dio che si occupa di chi è abbandonato, di chi si sente fallito.

Non dimentichiamo mai che il nostro Dio è lo stesso Dio di tutte quelle persone che ci hanno educato alla fede, il Dio dei nostri genitori che ci hanno insegnato a pregare, il Dio dei nostri formatori e di tutti coloro che ci hanno preceduto nella via del Vangelo.

Per quanto possiamo aver sempre ristretto a nostro uso e consumo questo nostro Dio, c'è un momento in cui siamo finalmente chiamati, davanti al roveto ardente, a capirlo veramente quale egli è.

*Sintesi dal libro dell’autore: Vita di Mosè, Edizioni Borla, Roma 2005

 

8-LA FAMIGLIA E LA PAROLA PERMESSO

È più facile essere cortesi con gli estranei che in famiglia.

Ma in famiglia siamo noi stessi, forse troppo

 

Il saluto deve essere sincero, il sorriso deve scaturire dal cuore, l’abbraccio deve essere caloroso, senza ombre, sempre: in famiglia, sul posto di lavoro, ovunque.

 

di Elisabetta Bordoni

È sicuramente una cattiva abitudine, ma spesso riserviamo la cortesia alle persone estranee, con le quali non abbiamo confidenza: in quel caso stiamo molto attenti a non dire niente di sbagliato e ci comportiamo con un certo riguardo.

Personalmente, più i rapporti sono stretti e amichevoli, più tendo ad essere estremamente spontanea e “senza filtri”, che significa affettuosissima e tenera ma anche, purtroppo, brusca e senza peli sulla lingua.

Siccome in famiglia c’è il massimo della confidenza, il risultato consiste, ahimè, in un mix di abbracci, baci, arrabbiature, paroline dolci e aspri rimproveri. Invece non dovrebbe essere così, la spontaneità e la confidenza non dovrebbero mai rompere gli argini imposti dal rispetto e dalla delicatezza.

Troppo spesso nella mia famiglia diamo per scontato che il legame che ci unisce consente comunque di superare qualsiasi limite caratteriale, atteggiamento sbagliato o comportamento fastidioso.

Certamente almeno in parte questa cosa è vera, ma è altrettanto vero che proprio le persone più care e più vicine meritano uno sforzo, un’attenzione, una delicatezza in più anche quando siamo stanchi e stressati e non vediamo l’ora di arrivare a casa per allentare la tensione e tirare fuori tutto il malessere della giornata.

È vero che sul posto di lavoro, in un negozio, in un ufficio, la cortesia è d’obbligo anche quando ci verrebbe spontaneo sbottare almeno per una volta; a casa i freni inibitori si allentano, se siamo stanchi facciamo fatica a chiedere con garbo e per favore, se ci aspettiamo di trovare la tavola apparecchiata diventa difficile sorridere e dire: “Non fa niente, ci penso io!”.

Eppure con un po’ di attenzione e di delicatezza si potrebbe riuscire a raddrizzare una giornata storta, anziché concluderla nel modo peggiore, con un battibecco o un bel muso serale.

Se posso dirlo, esiste anche una forma di gentilezza nell’intimità: non c’è niente di scontato o di dovuto, il dono di sé e dell’altro è sempre un evento unico e prezioso, che non può essere preteso, né banalizzato.

In tanti anni di matrimonio, quante serate sono finite con un bel muso e tanta stizza per una parola “storta”, un atteggiamento poco delicato, un complimento non fatto…

Anche con i figli, troppe volte confondiamo la necessaria fermezza con l’aggressività e il giudizio. Specialmente adesso che sono tutti e tre adolescenti, è davvero difficile trovare un equilibrio…

Richiedere il rispetto delle regole fondamentali con cortesia, senza assumere l’aria del cane da guardia, è davvero arduo, e diventa impossibile (almeno per me) usare toni pacati di fronte alla trasgressione sistematica.

La moderna tecnologia offre tante occasioni di piccole gentilezze verso i nostri cari: un messaggio, un’immagine, una preghiera si possono inviare in qualsiasi momento della giornata, per esprimere affetto, gratitudine, per sorridere insieme di qualcosa...

Non ho sempre il cellulare fra le mani, però devo ammettere che mi viene più spontaneo contattare un’amica o una collega, anziché inviare una frase carina a mio marito, cosa che invece lui ogni tanto fa per me.

Si tratta anche di offrire un esempio positivo ai nostri figli: volenti o nolenti porteranno con sé quello che han-no visto e assimilato nella loro famiglia d’origine, e, se non sono stati abituati alla cortesia e alla gentilezza, probabilmente saranno coniugi poco attenti e genitori poco affettuosi.

Sia io che mio marito veniamo da famiglie poco espansive, e infatti abbiamo fatto molta fatica a esprimere il nostro lato più tenero e sentimentale, anzi, stiamo ancora imparando.

Chiedere anziché pretendere, pensare prima all’altro che a se stessi, spiegarsi anziché dare tutto per scontato non sono atteggiamenti innati e spontanei: ci si educa a comportarsi così, ci si abitua a poco a poco, e si scopre che chiedere “per piacere” non è un segno di debolezza, ma di amore.

Vorrei però aggiungere che cortesia non è ipocrisia.

Esiste anche una forma di cortesia fredda e asettica, che maschera la mancanza di amore, di sentimenti vivi. Questa è una cortesia triste, un muro di gomma invalicabile che chiude le porte alla sincerità, all’autenticità.

È già deprimente assumere questo atteggiamento col collega o col vicino di casa, figuriamoci in famiglia o con parenti e amici!

 

9-LA PAROLA ”GRAZIE”

Siamo chiamati a rendere grazie, a fare eucaristia, per tutti i doni che abbiamo ricevuto, a cominciare da chi ci è più prossimo e ci vuole bene.

 

La parola di Papa Francesco

“Grazie: sembra facile pronunciare questa parola, ma sappiamo che non è così… Però è importante! La insegniamo ai bambini, ma poi la dimentichiamo!(…). Ricordate il Vangelo di Luca? Gesù guarisce dieci malati di lebbra e poi solo uno torna indietro a dire grazie a Gesù. E il Signore dice: e gli altri nove dove sono? Questo vale anche per noi: sappiamo ringraziare? Nella vostra relazione, e domani nella vita matrimoniale, è importante tenere viva la coscienza che l’altra persona è un dono di Dio, e ai doni di Dio si dice grazie! E in questo atteggiamento interiore dirsi grazie a vicenda, per ogni cosa. Non è una parola gentile da usare con gli estranei, per essere educati. Bisogna sapersi dire grazie, per andare avanti bene insieme nella vita matrimoniale”.

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La Parola di Dio nel Vangelo

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea.

Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: "Gesù, maestro, abbi pietà di noi!". Appena li vide, Gesù disse loro: "Andate a presentarvi ai sacerdoti".

E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.

Ma Gesù osservò: "Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?". E gli disse: "Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato!" (Lc 17,11-19).

 

Cosa dice il testo in sé: il contesto

Gesù sta salendo verso Gerusalemme, col volto indurito, deciso a rendere testimonianza al Padre, costi quel che costi. Sulla strada gli si fanno incontro dieci lebbrosi che urlano a distanza.

La lebbra è una malattia terribile e devastante, che marcisce il corpo, lo spirito e le relazioni. Dei dieci uno è straniero, nemico, un samaritano.

Ma la malattia e il dolore accomunano ogni uomo, senza distinzioni di religione o di etnia. La sofferenza è e resta l’esperienza più comune del vagare umano.

Urlano il loro dolore, il loro abbandono, il loro lento ed inesorabile imputridire. Gesù chiede loro di andare dai sacerdoti per essere guariti.

A volte Gesù ci guarisce a rate, ci chiede di metterci in cammino per vedere dei risultati, a volte ci chiede di andare da un prete per essere guariti.

Paolo Curtaz

 

Cosa dice il testo in sé: versetto dopo versetto

11Lungo il cammino verso Gerusalemme. Comincia la salita a Gerusalemme. Ad essa sarà associato più tardi anche Paolo, che avvinto dallo Spirito, saprà solo che il suo destino è quello del suo Signore (At 20,22).

Samaria/Galilea. Il suo cammino passa attraverso l'infedeltà (Samaria) e la quotidianità (Galilea).

12Dieci. Dieci è il numero di adulti richiesti per l'assemblea sinagogale. Questi dieci rappresentano tutta l'umanità, chiamata a far parte della comunità dei figli che ascoltano e fanno la parola del Padre.

Lebbrosi. Tutti gli uomini hanno peccato (Rm 3,23), e sono divorati dalla morte.

Il lebbroso è un contaminato che contamina. Solo Dio può guarirlo, con un prodigio simile alla risurrezione (cfr 2Re 5,7). È un morto, oltre che fisico, anche civile e religioso. È uno che vive visibilmente la morte.

Gesù stesso, da quando toccò il lebbroso, divenne come lui: secondo l'ordine di Lv 13,46, si ritirò nel deserto. E là pregava (Lc 5,16).

Escluso dalla comunità degli uomini, ci portò tutti in comunione con Dio.

Si fermarono a distanza. È la distanza tra la vita e la morte, dichiarata dalla Legge (Lv 13,46).

13Ad alta voce. Tale lontananza è ormai colmata dal grande grido di Gesù sulla croce, la preghiera che giunge al cuore del Padre dalle più estreme lontananze del caos (Lc 23,46). Dio ascolta sempre il grido del misero, perché in esso ode la voce del Figlio.

Gesù. I lebbrosi sono i primi a chiamare Dio per nome.

Oltre i lebbrosi, solo il cieco (Lc 18,38) e il malfattore in croce (Lc 23,42) pronunciano il Nome. Sono i sommi sacerdoti dell'umanità nuova, che conoscono Dio.

Chiamare per nome significa avere un rapporto amichevole. La nostra lebbra, la nostra cecità e la nostra cattiveria riconosciuta sono il nostro titolo di diritto ad essere amici di Dio.

Abbi pietà di noi. L'invocazione “Gesù, Signore, abbi pietà di noi”, ripresa al singolare dal cieco, e combinata con quella del peccatore (Lc 18,13), è nota come la preghiera del cuore.

14Andate a presentarvi ai sacerdoti (per la purificazione, cfr Lv 14,2). I lebbrosi non sono guariti subito. Hanno invece l'ordine di compiere il viaggio a Gerusalemme, che è loro vietato.

Ascoltando il Padre, obbediamo al Figlio e intraprendiamo il cammino impossibile che ci prescrive.

Andavano, furono purificati. Siamo mondati dall'obbedienza alla sua parola, che ci ordina il santo viaggio. All'interno di questo veniamo purificati. Non è che prima siamo giusti e poi possiamo seguire Gesù: la salvezza non è condizione, ma conseguenza della sequela.

15-16Uno solo di loro, vedendosi guarito, ecc. La salvezza diventa efficace solo nell'incontro con il Salvatore. Questo “uno solo” è figura del vero Israele, la Chiesa.

Infatti “vede” la salvezza, “ritorna” al Salvatore, “glorifica” Dio, “si prostra” ai piedi di Gesù (= lo adora) e “fa eucaristia”.

Era un samaritano. Quest'uno solo era lebbroso, e per di più samaritano: doppiamente escluso. È abilitato a riconoscere Gesù, anche lui lebbroso da quando ci ha toccato (Lc 5,12-16), samaritano da quando ci si è fatto vicino (Lc 10,29ss).

17Non ne sono stati purificati dieci? Chi fa eucaristia prende coscienza che tutti gli uomini sono amati da Dio, purificati dal sangue della nuova alleanza sparso per tutti.

Nessuno osi chiamare immondo ciò che Dio ha purificato (At 10,4ss), e a così caro prezzo (1Cor 6,20; 7,23)!

Gli altri nove dove sono? All'unico credente si chiede conto degli altri nove. Sono i non credenti, che non siedono ancora alla mensa. Dall'euca-ristia nasce la missione.

18Non si è trovato nessuno che tornasse indietro. Il pensiero di Gesù è rivolto agli altri nove. Egli è il vero figlio maggiore che si cura degli altri fratelli perduti.

Rendere gloria a Dio. È il fine dell'uomo, che così si realizza. Perché la gloria di Dio è l'uomo vivente (S. Ireneo).

Questo straniero. Come samaritano, gode del privilegio degli esclusi (Lc 14,12ss) e dei peccatori (Lc 15,1ss). È evidenziata la gratuità del dono ricevuto di cui rende grazie.

19Alzati e va'. L'eucaristia fa uomini nuovi, associati al cammino del Signore, testimoni della risurrezione fino agli estremi confini della terra.

Questo samaritano, sempre in viaggio, va ovviamente verso gli altri nove.

La tua fede ti ha salvato. Nel Regno gli ultimi sono i primi! Ciò che essi fanno nel loro incontro con lui descrive le caratteristiche della fede che salva.

La salvezza, anche se già donata a tutti, è effettiva solo se è accolta dalla fede. Questa consiste nell'accorgersi del dono e volgersi al donatore.

Silvano Fausti

Sintesi da: Una comunità legge il Vangelo di Luca, EDB, Bologna 1999

 

Cosa dice il testo a me

A volte mi è facile, dopo una malattia, andare in chiesa ad accendere una candela come segno di gratitudine per il dono della guarigione ricevuta. Ma la guarigione mi comporta la responsabilità di saper stare con il mio gruppo dei lebbrosi che può essere rappresentato dalla mia famiglia, dalla mia comunità parrocchiale.

Quel Dio da ringraziare non è rinchiuso nella chiesa-edificio ma è attorno a me, in famiglia, nella comunità dove vivo ed è attraverso il mio saper stare e collaborare con loro che sono grata al Signore per la mia salvezza.

Marzia

 

Posso immaginare la gioia e l’incredulità iniziale dei dieci lebbrosi guariti, il guardarsi l’un l’altro per vedere se è vero. Ma mentre tutti gli altri probabilmente corrono a casa loro a festeggiare, uno solo pensa che sia giusto tornare indietro (chissà se avrà suggerito agli altri di tornare) per ringraziare, lui che è uno straniero, o forse proprio per questo.

Non solo ringrazia ma loda Dio e si prostra ai piedi di Gesù. E gli altri nove? Gesù è rammaricato che non abbiano avuto un pensiero per Colui che li aveva purificati... Ma dice al Samaritano “Alzati e va, la tua fede ti ha salvato”! Gli altri sono guariti ma lui è stato salvato.

Franca

 

Per me dire grazie era una formalità prima del matrimonio. Dopo ho scoperto la relazione con l'altro e non è stato facile abbattere il muro di perfezione che mi ero creata dentro di me.

Gesù mi ha fatto incontrare Canzio e mettendo insieme i nostri limiti ci siamo fidati ed affidati a Lui.

Ogni giorno rinnoviamo (con fatica) la nostra disponibilità a compiere la Sua volontà e la sera ringraziamo per i doni ricevuti. Tocchiamo con mano quanto il Signore è fedele facendoci incontrare persone che ci aiutano a crescere. Insieme si può.

Irene

 

Quando ho bisogno di aiuto prego il Signore e Lui mi esaudisce. Ma quando è il Signore a farmi capire che ha bisogno di me, io trovo difficoltà a rispondergli di si; però poi ci ripenso e, cambiando idea, lo ringrazio e faccio la Sua volontà.

Canzio

 

Solo chi è libero da condizionamenti, dal solito modo di pensare e fare le cose, è in grado di riconoscere l’opera di Dio. Chi si definisce “distante” spesso sa cogliere l’essenza del messaggio cristiano più di noi.

Noi ci aspettiamo un grazie dai nostri figli pretendendo da loro il nostro “classico” rapporto con Dio, ma loro stanno dicendo grazie direttamente al Signore senza che noi ce ne accorgiamo.

Daniela e Claudio

 

Quando ci si accorge di non aver prestato orecchio al bussare dell’altro, non aspettiamo che ritorni a bussare, ma muoviamoci per primi alla sua ricerca e al suo incontro. È importante che il grazie parta da me: grazie perché mi sei stato/a vicino, grazie che mi hai capito, grazie perché hai aspettato i miei tempi…

Ernesta

 

Questo brano mi interroga sul modo in cui mi ricordo del Signore e di come e se Lo ringrazio. Mi ricordo di ringraziarLo, specialmente se chi mi circonda non ha tutta quella salute di cui godo io. La salute non è solo uno stato di assenza di malattia, quindi con una valenza passiva, ma è un pieno benessere spirituale fisico e mentale.

Quando ragiono così mi intenerisco di come Gesù mi possa amare, di tutte le volte che Lui si è ricordato di me, di quando mi ha guarito nel profondo.

Allora e solo allora riesco con facilità a traboccare di gratitudine, nella mia piccolezza, nei miei dolori, piccoli o grandi, nelle mie gioie di sposa, di madre e di nonna.

Maria Rosa

 

Nella nostra famiglia abbiamo la buona abitudine durante le preghiere della sera di ringraziare ogni giorno di qualcosa di bello successo durante la giornata o di qualche grazia donata dal Signore.

Purtroppo capita talvolta che qualcuno non sa di cosa ringraziare e a pensarci bene è strano perché sono tanti i doni che riceviamo ogni giorno: la vita, la famiglia, gli amici, il cibo. Se non ringraziamo non siamo pienamente guariti.

Daniela e Pierpaolo

 

Scusa Signore se facciamo cosi fatica a capire che la salvezza non è guarire dalla lebbra, ma incontrare chi ci ha guarito; scusa se tante volte ci fissiamo sul dono e non sul donatore, il solo che salva. Nove lebbrosi su dieci non comprendono che la loro vita è stata condonata dalla morte; noi dove siamo?

Il solo che torna a ringraziare viene inviato per dare a tutti la buona notizia; l'annuncio ci porta a scoprire ed accettare il dono.

Paolo

 

Cosa io dico al testo

          Signore, al mercato continuo a trovare persone che chiedono aiuto, ad ogni angolo. Non chiamano il Maestro, ma si lamentano, chiedono aiuto, io mi sento a disagio e avrei voglia di fuggire come davanti ai lebbrosi perciò Ti prego, oltre a qualche soldo, dammi il coraggio di guardarli in viso e fare loro almeno un sorriso e uno sguardo di tenerezza, che li faccia sentire amati da Dio.

          Non sempre e non subito riesco a ringraziare il Signore per i doni che mi fa, perciò prego: Signore au-menta la mia fede.

          A volte mi rivolgo al Signore perché cambi la situazione in cui mi trovo a vivere dimenticando di chiedergli di  cambiare il mio modo di vivere in quella situazione. Signore, convertimi!

          Quante volte non ringrazio il Si-gnore perché sono convinto che se le cose sono andate in un certo modo è merito mio... Aiutami, mio Dio, a riconoscerti, a rendermi conto che senza te accanto riusciamo solo ad “ammalarci” e a non guarire mai. Per questo ti prego.

          Perché la parola grazie sia la prima parola che impariamo a dirci l’un l’altro, soprattutto nei momenti in cui ci sembra di vedere tutto nero, ti preghiamo.

          Ti lodo e ti ringrazio Gesù perché Tu ci sei sempre, quando sto bene e quando sto male, quando sono felice e quando sono triste. Tu ti ricordi sempre di me, accettami per quello che sono e perdona la mia memoria troppo corta.

          Ecco Signore, risanaci e rendici consapevoli del tuo amore che salva, insegnaci a riconoscere i tuoi continui doni nella nostra famiglia. Così saremo capaci ogni giorno di renderti grazie con la nostra vita. Per questo ti preghiamo.

          Spesso, Signore, non ci reputiamo degni del tuo Amore, e allora perdiamo il nostro tempo a compiangerci, non riusciamo a vedere il tuo intervento nella nostra storia. Apri i nostri occhi, o Signore.

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

          Siamo consci, in famiglia, che "tutto" ci viene donato da Dio indipendentemente dai nostri meriti e anche dalla nostra fede in Lui?

          Quanta fede ho in mio marito e/o in mia moglie da sentirmi sempre riconoscente nell'altro e/o nell'altra?

          Pensiamo che la gratitudine sia facile? Il nostro grazie è sempre una risposta d'amore oppure di convenienza?

Marinella ed Efisio Murgia, tratto dal sito di CPM Italia

 

10-GESÙ E I DIECI LEBBROSI

Bramiamo la liberazione dal male, dalla malattia, dall’infelicità

e non sappiamo desiderare la salvezza

 

di Gregorio Vivaldelli*

“Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samaria e la Galilea” (v. 11).

Il viaggio a cui allude l'evangelista Luca è quello che avrà come termine gli eventi del Golgota.

E come se Luca ci suggerisse di comprendere quanto ci racconterà alla luce del Crocifisso risorto, il più grande dono che il Padre abbia fatto all'umanità. Ecco perché Luca racconta questo episodio sulla gratitudine, per ricordarci di ringraziare sempre il Padre per il dono di suo Figlio.

 

“Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza, alzarono la voce, dicendo:Gesù maestro, abbi pietà di noi!’ ” (vv. 12-13).

Secondo la Legge (cfr. Lv 13,45-46) i lebbrosi, vedendo qualcuno, dovevano gridare: “Impuro! Impuro!”. Nel nostro testo, invece urlano un'altra cosa: “Gesù maestro, abbi pietà di noi!” (v. 13). Chiedono aiuto a Gesù.

I lebbrosi sono aperti nei confronti di Gesù e vedono in lui la possibilità che la propria miseria venga presa finalmente in considerazione.

Avvertono presso di Lui compassione e misericordia, attenzione al dolore e all'emarginazione.

Probabilmente conoscono Gesù solo per fama, ma sanno che possono riporre in Lui la loro fiducia.

Viviamo in una società nella quale si vuol far credere che l'uomo vero non debba chiedere mai.

Il Vangelo è di avviso opposto: l'uomo è se stesso quando riconosce davanti a Dio la propria miseria e i propri limiti; l'uomo è vero quando sa entrare in relazione con Dio e con gli altri, rinunciando così ad ogni illusoria autosufficienza.

 

“Appena li vide, Gesù disse:Andate a presentarvi ai sacerdoti’. E mentre essi andavano, furono sanati” (v. 14).

La preghiera dei lebbrosi viene accolta da Gesù all'istante, ma in un modo sorprendente. Non li guarisce subito, vuole verificare il grado di fiducia presente nella loro preghiera.

Gesù, per agire in pienezza nelle nostre vite, ha bisogno anche della nostra libera scelta di confidare in Lui e nella potenza della sua parola.

 

Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano (vv.15-16).

L’unico che torna indietro a ringraziare Gesù è un samaritano. L'unico che sa dire grazie è uno straniero.

La gratitudine del samaritano, oltre a sottolineare la sua consapevolezza di non essere autosufficiente, gli permette anche di scoprire la libertà e la gioia della lode per aver incrociato il vero volto di Dio nello sguardo di Gesù.

Particolarmente toccante il gesto che il samaritano compie al cospetto di Gesù: “e si gettò ai piedi di Gesù” (v. 16): riconosce in Lui il Dio che si prende cura del malato, del sofferente, ammette che tutto ciò che ha ricevuto è dono gratuito della misericordia di Dio.

È indispensabile fermarsi e appurare se il nostro agire religioso è simile a quello degli altri nove ex lebbrosi, i quali, ottenuto ciò che volevano, hanno proseguito per la loro strada; oppure se anche noi, come il samaritano, aderiamo alle parole di Gesù e alle sue indicazioni "pratiche" non tanto per essere dei cristiani cosiddetti "praticanti", quanto piuttosto dei credenti che, attraverso l'osservanza delle parole del Vangelo, vogliono ritornare personalmente ogni giorno da Gesù di Nazareth.

Il Vangelo, allora, ci invita a capire che il fine ultimo per cui dobbiamo ascoltare, meditare, fare nostre e vivere le parole di Gesù è il desiderio di instaurare un rapporto personale con il Signore che si rinnovi quotidianamente, che non dia nulla per scontato o, peggio, per dovuto.

Senza un tale continuo ritorno a Gesù è impossibile parlare di comunità cristiana.

Una ruota (la comunità) i cui raggi (i cristiani) non siano saldamente collegati al proprio perno centrale (Gesù Cristo) è destinata a rompersi.

 

“Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?” (vv. 17-18).

Perché Gesù ci rimane così male che solo uno torni a ringraziarlo? Per suscettibilità? Niente di tutto questo.

L'amarezza di Gesù è dovuta al fatto che i nove lebbrosi guariti non sentono la necessità di conoscerlo meglio, di stare un po' con Lui, di approfondire l'identità del loro benefattore.

Da questo punto di vista, il ringraziamento è la prima forma di fede autentica. La mancanza di gratitudine, infatti, impedisce di vivere col giusto atteggiamento interiore la propria spiritualità.

Saper dire grazie richiede umiltà e la consapevolezza di aver bisogno dell'aiuto degli altri, uscendo così dalle paludi del nostro orgoglio.

Saper dire grazie ci aiuta a uscire da noi stessi, dai nostri egoismi e dal vedere gli altri unicamente come funzionali al nostro benessere cessando, per questo, di considerarli al nostro servizio.

Saper dire grazie apre allo stupore, alla meraviglia di fronte a tante cose belle che "abitano" la nostra giornata.

 

“La tua fede ti ha salvato!“ (v. 19).

La vera salvezza non consiste nel ricevere i doni di Dio ma nel saperli riconoscere (la vita, il coniuge, i figli, gli amici, il lavoro, la casa, il servizio nella comunità...) per poter così andare da Gesù lodando con gratitudine e riconoscenza il Dio dei doni.

 

*Tratto dal libro dell’autore: Donna, perché piangi? Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2007

 

11-LA FAMIGLIA E LA PAROLA GRAZIE

Il grazie zampilla dal profondo del cuore, per i piccoli gesti

come per le grandi scelte fatte in comune

Io, Stefania, accolgo Te, Joram come mio sposo. Con la Grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita. Prometto anche di ringraziarti sempre, per le piccole e le grandi cose, per i traguardi e le difficoltà e di riconoscere il tuo amore tutti i giorni della nostra vita.

 

di Stefania Raymondo

“Caro Joram, grazie perché ogni mattina non ti spazientisci, nonostante la sveglia sia già suonata da un pezzo, il caffè sia già versato nelle tazzine, tu mi abbia chiamato più volte e io altrettante ti abbia risposto “scendo subito!”, ma non mi sia ancora mossa di un millimetro. Grazie perché riesci ancora a sorridere quando ci stiamo preparando per uscire e mi senti per l’ennesima volta pronunciare la medesima frase: “Non ho niente da mettermi!”. Grazie perché ad ogni mia insicurezza trovo invece in te uno sguardo di sincero orgoglio. Grazie perché quando, frustrata, stilo l’elenco delle faccende non svolte durante la giornata, tu mi ricordi sereno quelle che sono riuscita a sbrigare. Grazie perché giochi con dolcezza con Lucia. Grazie perché mi racconti con passione del tuo lavoro, mi chiedi consiglio, mi confidi le tue preoccupazioni. Grazie per i valori che condividiamo e che sono alla base della nostra famiglia. Grazie”.

 

La mia lettera di riconoscenza per mio marito potrebbe essere infinita, come infiniti sono i gesti, di poco conto o di valore portante, che lui regala a me e alla nostra coppia giorno dopo giorno. È sufficiente che mi fermi un attimo a pensarci per rendermene conto e per prendere consapevolezza di quante volte, invece, il mio grazie non gli sia arrivato. Magari il cuore se n’è accorto di quel gesto, ma la bocca ha taciuto. O, peggio, neppure lui ci ha fatto caso.

È la trappola della quotidianità: dare per scontato non solo la presenza dell’altro, ma anche il suo modo di essere presente. E, meraviglia della nostra lingua, “presente” è anche sinonimo di “regalo”: come ricorda papa Francesco “l’altra persona è un dono di Dio”.

Il mio sposo, nello starmi accanto, è per me dono prezioso che io ho il dovere di onorare proprio in quella quotidianità che rischia di appiattire ogni cosa.

Il grazie non è solo rispetto di ciò che l’altro fa per me, è anche riconoscimento dell’altra persona. È per questo che non dobbiamo, noi sposi, mai stancarci di pronunciarlo, non dobbiamo mai considerarlo superfluo.

Perché nella sua semplicità racchiude una arricchente complessità. Questo è tanto più autentico e potente quanto più si rinnova nell’ordinarietà dello stare insieme; perché ringraziare per qualcosa di inaspettato, di stravolgente è più facile di quanto lo sia invece l’accorgersi dei piccoli e consueti gesti quotidiani, eppure la nostra esistenza è fatta almeno al novanta per cento di abitudini.

Non ringraziare per essi significa insomma non benedire la nostra vita. Seguendo questa logica, ma capovolgendola, restituire il giusto valore a tali piccoli gesti, ci permetterà di rendere ancora più importanti e mai scontati i grandi valori che abbiamo scelto come base della nostra famiglia.

Perché se non mi dimentico di ringraziare il mio sposo per aver buttato l’immondizia o per aver fatto il pieno alla macchina o per aver cercato, certo con il suo stile, di rassettare casa, allora non potrò certo fare a meno di ringraziarlo perché ha scelto di condividere la sua vita proprio con me, nonostante le mie povertà, o per aver tenuto la mia mano ancora più stretta nella sua nei momenti difficili, o per condividere con me l’educazione della nostra bimba.

E allora, insieme, ci sentiremo in dovere di ringraziare Dio. Senza grossi discorsi, ma, come diceva padre Gasparino, attraverso la “preghiera semplice”: camminate per una strada? Fate zampillare un grazie a Dio anche per un’automobile che passa; chi si ricorda di ringraziare Dio p.e. per le meraviglie della tecnica?

 

12-LA PAROLA ”PERDONO”

Ci costa fatica chiedere scusa, perdonare e farci perdonare. Ma ogni nostra giornata dovrebbe finire chiedendo perdono e riconciliandoci con gli altri.

 

La parola di Papa Francesco

"Nella vita facciamo tanti errori, tanti sbagli. Li facciamo tutti (…)

Ecco allora la necessità di usare questa semplice parola: “scusa”. In genere ciascuno di noi è pronto ad accusare l’altro e a giustificare se stesso (...). Accusare l’altro per non dire “scusa”, “perdono”.

È una storia vecchia! È un istinto che sta all’origine di tanti disastri.

Impariamo a riconoscere i nostri errori e a chiedere scusa...

Noi possiamo dire tanti “scusa” ogni giorno. Anche così cresce una famiglia cristiana. Sappiamo tutti che non esiste la famiglia perfetta (...)

Esistiamo noi, peccatori. Gesù, che ci conosce bene, ci insegna un segreto: non finire mai una giornata senza chiedersi perdono (…). Questo è un segreto, un segreto per conservare l’amore e per fare la pace".

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La Parola di Dio nel Vangelo

Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: "Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?". Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell'interrogarlo, si alzò e disse loro: "Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei". E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: "Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?". Ed ella rispose: "Nessuno, Signore". E Gesù disse: "Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più" (Gv 8,1-11).

 

Cosa dice il testo in sé: il contesto

La maggioranza degli studiosi considera questo episodio un'inserzione posteriore, perché interrompe l'unità letteraria dei cc. 7 e 8 del Vangelo di Giovanni.

I codici più antichi omettono il brano; è riportato solo dal codice D del VI secolo, da altri codici minuscoli tardivi, posteriori al secolo IX, e da una quindicina di codici latini.

Anche la paternità giovannea del racconto è messa in discussione per la diversità di stile, di vocabolario e contenuto. Alcune espressioni usate sono tipiche dei sinottici, quindi numerosi esegeti attribuiscono il racconto alla redazione lucana, l'evangelista dei grandi perdoni.

Il testo è senz’altro canonico, e forse in seguito è stato omesso perché l'atteggiamento tollerante di Gesù verso la peccatrice non si conciliava agevolmente con la disciplina rigida della chiesa.

Angelico Poppi

 

Cosa dice il testo in sé: versetto dopo versetto

1sGesù si avviò... si recò ecc.

Gesù, nell'ultima settimana a Gerusalemme, passa la notte fuori città, per tornare il mattino ad insegnare nel tempio.

3Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio.

Secondo la legge tale donna doveva essere uccisa (cfr Dt 22,22).

A noi questo fa meraviglia. In realtà l'adulterio è un omicidio: uccide il partner nella sua umanità più profonda, nella sua relazione d'amore.

La posero in mezzo.

La legge, con i suoi divieti e comandi, rischia di porre al centro dell'attenzione il male, da denunciare e da punire.

4Maestro, questa donna, ecc.

Si espone il capo d'accusa: è chiaro che la legge ordina di sopprimerla. Se mai è in discussione il modo.

5Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa.

La lapidazione è una forma di assassinio collettivo, del quale nessuno si sente responsabile. Essa esige l'unanimità della folla: tutti collaborano e sfogano la loro aggressività contro il trasgressore.

Tu che ne dici?

La domanda serve solo per tendere  una trappola a Gesù, come subito l'evangelista annota.

6Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo

Il trabocchetto è questo: se ordinerà di lapidarla, mancherà di mansuetudine; se dirà di lasciarla, mancherà di giustizia. In concreto, sarà costretto a rinnegare o la misericordia o la legge.

Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra.

Il fatto è rilevato ben due volte (vv. 6.8). In un racconto così sintetico, non è trascurabile.

La Scrittura è l'autocomunicazione del Dio amante della vita, che non disprezza nessuna delle sue creature; ha compassione di tutti e non guarda ai peccati degli uomini, in vista del pentimento (cfr Sap 11,23-26). Se la Scrittura denuncia il peccato, non è per condannare il peccatore: l'intenzione di chi scrive è quella di salvarlo.

7Si alzò

Gesù si drizza davanti ai suoi accusatori. Essi guardano solo allo scritto e non allo scrivente. Per questo si drizza e mostra loro la sua persona: è lui che ha scritto.

Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei.

Con queste parole Gesù chiama ciascuno alla responsabilità e alla coscienza personale, rompendo all'origine il male che poi contagia tutti.

8E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra.

L’intento di Gesù non è quello di gettare pietre sui peccatori, adultera o farisei e scribi che siano. Vuole solo che ognuno prenda coscienza seria di sé e del suo peccato.

9Se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.

Nessuno può mentire a se stesso: la coscienza del proprio male è il primo dono di Dio, che ci rende diversi dagli animali.

Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo.

Dice Agostino: “Sono rimasti due: la misera e la misericordia”. Alla fine ciò che rimane di ogni uomo è l'incontro della propria miseria con la misericordia di Dio.

10Gesù si alzò.

Prima si drizzò per mostrarsi agli accusatori come colui che scrive la Legge; ora si drizza per mostrarsi all'accusata come il Signore che perdona. Il dialogo tra i due è semplice, di poche parole, e sublime.

Donna, dove sono?

Gesù la chiama “donna”, come Maria (cfr 2,4; 19,26), la Samaritana (4,21) e la Maddalena (20,15). È il suo vero nome, quello della sposa, che ora incontra lo Sposo.

Nessuno ti ha condannata?

Le chiede se sia rimasto un giusto che possa condannarla.

11Nessuno, Signore

È rimasto l'unico giusto, che la giustifica! Scomparsi i nemici, è rimasto colui che la ama di amore eterno (cfr Ger 31,3).

Neanch'io ti condanno

Il giudizio di Dio non è mai condanna per il peccatore, ma salvezza dal peccato.

Va' e d'ora in poi non peccare più.

Questa donna è perdonata senza previo pentimento. Il pentimento infatti segue il perdono e consiste nel non chiudersi dentro la gabbia delle proprie colpe, per aprirsi alla gioia di un amore più grande. Il perdono, che precede ogni pentimento, è un atto creatore.

Silvano Fausti

Sintesi da: Una comunità legge il Vangelo di Giovanni, EDB-Àncora, Bologna 2008

 

Cosa dice il testo a me

Non godere delle cadute degli altri. Spia te stessa, tieni sotto controllo te stessa!

Se scaglio a qualcuno una pietra è più facile che demolisca; se invece quella pietra me la metto in tasca e ne porto il peso, forse posso costruire qualcosa. La stessa pietra se è solo giudizio, demolisce, ma se è perdono, misericordia, allora è una pietra che edifica, che ricostruisce, che fa sorgere qualcosa di nuovo.

Marzia

 

Sono stata poco amata, ho cercato l’amore dove l’ho trovato, forse non era neanche amore, era solo la mia grande voglia di essere abbracciata e sentire qualcuno che mi faceva sentire importante, perché gli davo un attimo di piacere…

Scusa se l’ho fatto, non ho saputo rinunciare a quello sguardo che mi ha cercato, d’ora in poi non succederà mai più perché anch’io ti amo Maestro.

Franca

 

Gesù è in cammino. Anche noi come coppia siamo in cammino, il matrimonio si celebra ogni giorno.

Preghiamo insieme, entriamo nel “tempio” ma a volte non basta, il mio caratteraccio, come diceva mia mamma, ha il sopravvento.

Ora però mi rincuora papa Francesco con i suoi pugni e calci...

Gesù prende tempo, non s'inalbera con risposte affrettate, rispetta la donna ed anche gli accusatori.

Mi fa bene pensare che, se anche con il sacramento della riconciliazione “prometto...”, so che Gesù mi perdonerà anche la prossima volta.

Irene

 

Riesco abbastanza a perdonare.  Quando non ci riesco prego insistentemente lo Spirito Santo ed è Lui ad aiutarmi nel'impresa.

Ma a volte mi sento scontento perché mi sembra di esagerare nel perdonare. In quest’altalena di sentimenti prego tanto fino al raggiungimento della pace.

Canzio

 

L’unico modo per valutare un comportamento sbagliato, ammesso che ci sentiamo in dovere di giudicare, è cercare con tutte le nostre forze, con tutta la nostra intelligenza di, metterci nei panni dell’ “accusato”.

Cercare di capire perché lei/lui ha agito in quel modo, perché nostro figlio non si comporta come al solito. Solo così potremo “chinarci” al suo livello e rivedere le cose dallo stesso livello, dalla stessa prospettiva.

Daniela e Claudio

 

Quando non siamo disposti a mettere Gesù al centro delle nostre relazioni, ecco che cadiamo nelle accuse: la colpa è tua, non mi hai capito/a, non mi hai “mai”..., sono “sempre” io… Rischiamo spesso di non guardarci in faccia, di non vedere nell’altro la persona amata, ma di vedere solo i suoi sbagli, i suoi difetti.

Ernesta

 

Ai tempi di Gesù si lapidava qualcuno usando dei sassi, oggi preferiamo i talk-show. Forse ci scagliamo contro una creatura solo perché ha sbagliato in maniera diversa da come siamo abituati a sbagliare noi stessi.

Se gli errori degli altri sono anche i nostri siamo più teneri, meno inclini a metterli al rogo.

In fondo non sono dei peccati tanto gravi!

La questione è del tutto soggettiva e questo Gesù lo sa bene, per cui la richiesta di rispettare la Legge non è fatta a persone pure ed immacolate, ma a persone limitate quanto se non di più dell’imputata.

Ogni volta che mi verrebbe da criticare qualcuno dovrei ragionare a mente fredda e riflettere se io sono davvero migliore di chi sto criticando.

Maria Rosa

 

Gesù ci chiede di essere misericordiosi come il Padre, ma la nostra umanità ci porta spesso a puntare il dito verso gli altri, è una condizione innata.

I bambini quando litigano sono i primi a dirci “è stato lui” “ha incominciato lui” e sembrano porre la stessa domanda dei farisei “Tu che ne dici?”. I genitori devono cercare di “non condannare” ma di mettere pace e di far dire quella parola così difficile: scusa.

In famiglia però la parola scusa non si sente spesso e i figli spesso imparano più da quello che vivono che da quello che viene loro detto di fare.

Ci troviamo tante volte ad avere già la pietra in tasca prima di sentire le ragioni dell’altro e i pregiudizi, come contro l’adultera, rischiano di avere la meglio sul dialogo e il perdono.

Risulta più facile andarsene che affrontare i problemi.

Daniela e Pierpaolo

 

Gesù, scrivendo per terra, guadagna tempo. Lasciar passare del tempo comporta prendere le distanze dal fatto. Per noi e per gli altri. Significa guardare le cose con minor coinvolgimento emotivo e poter essere più obbiettivi. Determina la possibilità di invocare lo Spirito perché ci assista e ispiri le nostre azioni.

Paolo

 

Cosa io dico al testo

          Signore, il bisogno d’amore è grande, a volte lo si cerca nei posti sbagliati e ci si perde. Aiutami ogni giorno a guardare con gli occhi di tuo Figlio, ad amare al di là delle apparenze, specialmente chi è solo e non ha nessuno che lo abbracci. Per questo ti prego.

          Signore Gesù, aiutami a pensare e ad agire bene nei confronti delle persone che non la pensano come me. Aiutami ad avere pazienza, a saper aspettare. Per questo ti prego.

          Quante volte mormoro di quella catechista o di quella persona che si offre nel servizio della liturgia. E non mi rendo conto (o forse sì) di quanto la mia parola-giudizio, dura come la pietra, può far male o addirittura distruggere una persona. Signore, convertimi!

          Agisco senza riflettere, giudico senza valutare, condanno senza immergermi nell’altro. E quando sbaglio uso con me stesso la misericordia che non ho usato con gli altri e non chiedo scusa. Correggimi Gesù, dammi l’umiltà di comprendere l’altro e soprattutto di riconoscere i miei errori. Per questo ti prego.

          Perché impariamo a non chiudere le nostre giornate senza aver chiesto scusa a chi abbiamo dato dispiacere, ti preghiamo.

          Signore abbi pietà di me! Non permettermi di inorgoglirmi fino a farmi sentire superiore a un peccatore, perché anch’io sono peccatrice e bisognosa del Tuo perdono.

          Insegnaci Signore a non giudicare e a non condannare. Insegnaci la tua misericordia perché sappiamo perdonarci come tu ci perdoni. per questo ti preghiamo.

          Abita, o Spirito, il nostro tempo e saremmo in grado di accogliere anche chi ha sbagliato. Per questo ti preghiamo.

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

          Noi offriamo veramente e in concreto delle chances a chi ha sbagliato all'interno della nostra coppia e della nostra famiglia?

          Il peccato va visto anche nelle "piccole" azioni che sono le mancanze apparentemente irrilevanti. Quali sono le piccole mancanze, all'interno della nostra coppia, che rovinano le nostre relazioni?

          Riconoscerci peccatori è prendere coscienza di cosa possiamo fare per cambiare. Siamo convinti di questo? Abbiamo voglia di rigenerarci?

Anna e Carlo Beltramo, tratto dal sito di CPM Italia

 

13-GESÙ E L’ADULTERA

Gesù non condanna, perché Dio non condanna.

Con la sua misericordia ci dà la possibilità di convertirci

 

di Enzo Bianchi*

Mosè ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”

Gesù si trova a Gerusalemme e, dopo aver trascorso la notte sul monte degli Ulivi, all’alba sale al tempio, dove accoglie quanti si recano da lui per ascoltarlo (cfr Gv 8,1-2).

Mentre egli è se-duto e intento ad annunciare la Pa-rola a quanti lo ascoltano insieme ai suoi discepoli, ecco che “scribi e farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio” (cfr Gv 8,3), e fanno questo “per metterlo alla prova” (Gv 8,6).

Non è una scena insolita, ma questa volta il tranello teso a Gesù non riguarda interpretazioni della Legge, ma concerne una donna – o meglio, quella che è “usata” da costoro come un mero caso giuridico – sorpresa in adulterio e trascinata con la forza davanti a lui dai testimoni del suo peccato, da quelli che devono vigilare sul compimento della Torah, della Legge di Dio.

Eppure Gesù – come vedremo – riesce a trasformare anche questo tranello in un incontro umano e umanizzante…

La durezza della pena prevista si spiega con il fatto che l’adulterio è una smentita del piano creazionale di Dio e, insieme, una grave contraddizione all’alleanza. Ecco perché i gelosi custodi della Legge e i suoi irreprensibili esecutori chiedono a Gesù: “Tu che ne dici?” (Gv 8,5).

 

“Gesù si chinò e si mise a scrivere con il dito per terra

La domanda posta a Gesù mira a coglierlo in contraddizione.

Se infatti egli non conferma quella condanna e non approva l’esecuzione che ne consegue, può essere accusato di trasgredire la Legge di Dio, di essere disobbediente ad essa.

Se, al contrario, decide a favore della Legge, allora perché accoglie peccatori e prostitute e mangia con loro?

Cerchiamo di sostare per un momento su questa scena. Discepoli e ascoltatori sono distanti: qui c’è solo Gesù di fronte a questi uomini religiosi e, in mezzo, una donna in piedi.

Solo lei è stata condotta in giudizio, non il suo complice che, secondo la Legge di Mosè, doveva essere anche lui condannato a morte (Dt 22,22).

Ma qui Gesù si china e si mette a scrivere per terra (cfr Gv 8,6), senza proferire parola.

Dalla posizione di chi è seduto passa a quella di chi si china verso terra; di più, in questo modo egli si inchina di fronte alla donna che è in piedi davanti a lui!

Si pensi all’eloquenza di questa immagine: la donna che era stata presa e fatta stare in piedi davanti a Gesù seduto come un maestro e un giudice, la donna che ha alle spalle i suoi accusatori con le pietre già pronte in mano, vede Gesù chinato a terra di fronte a lei.

 

“Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei

Gesù resta chino, mentre i suoi accusatori insistono nell’interrogarlo.

Infine, dopo questo silenzio non vuoto ma riempito dal suo gesto di scrivere sulla terra, egli alza il capo e non risponde direttamente alla questione postagli, ma fa un affermazione che contiene in sé anche una domanda: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei” (Gv 8,7). Poi si china di nuovo e torna a scrivere per terra (cfr Gv 8,8). Ma chi può dire di essere senza peccato?

Gesù – si faccia attenzione – conferma la Legge, secondo la quale il testimone deve essere il primo a lapidare il colpevole (cfr Dt 13,9-10.17,7), ma dice anche che il testimone, per compiere tale gesto, deve essere lui per primo senza peccato!

Il problema infatti è il peccato: quella donna adultera ha commesso un peccato pubblico e manifesto; gli altri, i suoi accusatori, non hanno peccati o in verità hanno peccati nascosti?

E se hanno peccati nascosti, con quale autorevolezza lanciano le pietre che uccidono? La vera giustizia che si vuole re-instaurare dopo il peccato avvenuto esige che innanzitutto si metta ordine nella propria vita…

Solo Gesù, lui che era senza peccato, poteva scagliare una pietra, ma non lo fa.

La sua parola-domanda, che non contraddice la Legge e nel contempo conferma la sua prassi di misericordia, appare efficace, va al cuore dei suoi accusatori i quali, “udito ciò, se ne vanno uno per uno, cominciando dai più anziani” (cfr Gv 8,9).

 

“Donna, … va’ e d’ora in poi non peccare più“.

Ora è possibile l’incontro parlato, che comincia con l’appellativo rivolto da Gesù alla sua interlocutrice: “Donna” (Gv 8,10).

Rivolgendosi a lei in questo modo Gesù le restituisce la sua piena dignità, la fa risaltare davanti a sé per quella che è: non un’adultera, non una peccatrice (tutti titoli che anche daremmo e di fatto diamo a una moglie infedele…), ma una donna.

Gesù la restituisce alla sua dignità di donna e le chiede: “Dove sono [i tuoi accusatori]? Nessuno ti ha condannata?” (Gv 8,10).

Ed essa rispondendo: “Nessuno, Signore” (Gv 8,11) fa una grande confessione di fede. Colui che si trova di fronte a lei è più di un semplice maestro, “è il Signore”, come il discepolo amato confesserà dopo la sua resurrezione (Gv 21,7).

Infine, Gesù conclude questo incontro con un’affermazione straordinaria: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più” (Gv 8,11). Sono parole assolutamente gratuite e unilaterali.

Ecco la gratuità di quella assoluzione: Gesù non condanna, perché Dio non condanna, ma con questo suo atto di misericordia preveniente offre a quella donna la possibilità di cambiare.

 

*Dall’omelia dell’autore presso la Basilica di S. Ambrogio a Milano, 12 marzo 2010

 

14-LA FAMIGLIA E LA PAROLA PERDONO

Immaturità, freddezza, tradimento, diffidenza, gelosia.

Retrouvaille aiuta la coppia ad aprirsi alla riconciliazione

 

di Marcella e Sandro Crociani

Abbiamo conosciuto i coniugi Cro-ciani a Cesena alla fine dello scorso anno e abbiamo chiesto loro una testimonianza. Eccola.

MARCELLA: Mi chiamo Marcella, ho vissuto i primi anni della mia vita presso una casa famiglia, a 4 anni sono stata adottata da una coppia di sposi che mi hanno cresciuta con tutto l’amore che si può donare ad un figlio. A 18 anni conobbi Sandro, cominciammo a frequentarci e non ci volle molto perché ci dichiarassimo e così cominciò la nostra storia. Eravamo inseparabili, felici, appassionati, era nato un amore con la A maiuscola.

A 21 anni rimasi incinta, non eravamo sposati ma ero molto felice, la maternità era il mio sogno. Ci sposammo in Chiesa, accanto a Sandro mi sentivo invincibile. Nacque Lisa e dopo 20 mesi Luca.

SANDRO: Quando mi sono innamorato di Marcella, mi sentivo amato, valorizzato e coccolato, desideravo solo stare con lei.

I problemi però non tardarono ad arrivare, ci siamo sposati giovanissimi, subito due figli piccoli, il lavoro, ecc... Nessun momento per noi, niente dialogo, solo frequenti litigi anche di fronte ai bambini. Percepivo il malessere di Marcella ma non la capivo, non mi sentivo capito e questo mi impediva di confidarmi con lei. All’inizio non mi sono nemmeno reso conto che si stava ammalando.

MARCELLA: I primi anni di matrimonio furono difficili e io ero troppo immatura per affrontare le difficoltà della vita coniugale, trascorrevo molte ore in palestra e a curare il mio aspetto, non ero soddisfatta della mia vita e del mio matrimonio, mi sentivo vuota.

Successivamente mi ammalai di bulimia. In quel periodo intrapresi un cammino di psicoterapia per curare la mia malattia e per migliorare il rapporto con Sandro, ma fra noi non c’era dialogo, ci si accusava e si litigava continuamente.

SANDRO: Su consiglio del terapeuta mi sono allontanato da casa per nove mesi ma al mio rientro nulla era cambiato. Dopo la morte di mio padre ho attraversato un periodo difficilissimo, avevo un disperato bisogno di aprirmi con qualcuno e fu così che cominciai a frequentare un’altra donna.

MARCELLA: Attraverso alcuni sms sul suo telefonino scoprii la sua relazione, mi sentivo disperata, profondamente tradita e non riuscivo più a fidarmi di lui.

SANDRO: Quando Marcella si è accorta delle bugie che le raccontavo ha avuto una reazione fortissima.

Io provavo vergogna e per recuperare la sua fiducia cercavo di dimostrarle la mia affidabilità ma la ferita era troppo grande: lei mi seguiva, frugava nel mio portafogli e nei vestiti, nel mio cellulare e in tutto ciò che le capitava per le mani. Dopo più di un anno, frustrato, cominciai io a diffidare di lei. Ho iniziato ad evitarla più che potevo, mi sono chiuso in me.

MARCELLA: Quando tutto sembrava perduto ci fu proposto il programma Retrouvaille e insieme abbiamo deciso di darci questa ultima possibilità.

In quei giorni ascoltando le coppie del team che condividevano le loro storie di sofferenza e guarigione ho ritrovato la speranza perduta. La prerogativa di porsi nei confronti dell’altro con un atteggiamento positivo e di apertura, ci ha dato la possibilità di confrontarci in un modo diverso dagli scontri ai quali eravamo abituati.

Inizialmente non è stato semplice, ma con il sostegno di coppie che come noi hanno conosciuto la sofferenza, abbiamo trovato il coraggio per perseverare e di ridarci fiducia.

SANDRO: Sono arrivato al week end con una certa diffidenza. Il mio timore era quello di dover parlare della nostra relazione in pubblico, ma ho trovato profondo rispetto e discrezione. In quei giorni per la prima volta sono riuscito a dialogare con Marcella che stava vivendo le mie stesse emozioni e insieme abbiamo sentito il bisogno di riavvicinarci anche al Signore. Siamo entrambi consapevoli che il nostro cammino non è terminato e che dovremo lavorare ogni giorno per la nostra relazione, ma ora non siamo più soli e abbiamo gli strumenti per farlo.

 

15-CHE COS’È RETROUVAILLE

 

Retrouvaille è un'esperienza cattolica, aperta a tutte le coppie sposate, conviventi con o senza figli, senza differenza di appartenenza religiosa, con una relazione matrimoniale che fa soffrire, siano esse semplicemente in crisi, o separate in casa o di fatto già separate o divorziate (ma non risposate).

Il programma consiste in un fine settimana (Weekend) e in un percorso seguente (Post-Weekend) fatto di dodici incontri in tre mesi.

Il weekend non è un ritiro spirituale, un seminario o una seduta di analisi. La dimensione in cui si entra è quella della ricerca del dialogo, dell'affrontare i conflitti in modo costruttivo, della comprensione reciproca che poi sfocia nella maggioranza dei casi nel perdono e nell'inizio di un cammino per il rinnovamento del matrimonio.

I weekend sono animati da tre coppie guida e da un sacerdote.

Le stesse coppie guida sono a loro volta passate attraverso un percorso di dolore, di rabbia e conflitto.

La loro testimonianza offre speranza e in genere i partecipanti ritrovano da questi incontri il coraggio di andare avanti insieme e la forza che deriva anche dal fatto di non sentirsi soli.

Per info visitate il sito: www.retrouvaille.it

 

16-PER APPROFONDIRE IL TEMA

I libri usati per realizzare questo numero

 

Giovanni Dutto - Christopher  Hayden, Lectio Divina, Effatà Editrice, Cantalupa (TO) 1998.

Non mancano certo libri sul metodo della Lectio Divina, ma questo ci è sembrato ricco e articolato. Che cos’è la Lectio? È una serie di gradini spirituali tra loro naturalmente concatenati: la Lectio offre il materiale che la Meditatio assimila, che ci fa aprire a Dio nell’Oratio, fino al punto più alto che è la Contemplatio.

Solo preghiera dunque? Solo esperienza spirituale? Soprattutto, ma il fondamento da cui partire è la Parola, che va approcciata in modo serio e competente, come quello che oggi offre il metodo storico - critico (vedi il libro di Angelico Poppi).

In questo modo si evita di rimanere alla superficie del testo e lo si può analizzare in profondità,  cogliendone tutte le possibili sfumature.

Il volume non è più reperibile presso le librerie ma può essere richiesto alla casa editrice.

 

Carlo Maria Martini, Vita di Mosè, Edizioni Borla, Roma 2005.

Martini è stato un grande divulgatore della Parola e non ha avuto timore di affrontare testi molto impegnativi (in questo caso il libro dell’Esodo) ricavandone profonde ed utili riflessioni, anche in chiave cristologica.

Questo libro nasce come un corso di esercizi spirituali tenuti secondo il metodo ignaziano.

Il testo, prima registrato, e poi rivisto e corretto,  ha dato origine a questo piccolo volume.

“Questo è un corso di esercizi spirituali tutto dedicato alla riflessione di pagine dell’Antico Testamento. Eppure questa proposta svolge appieno tutto l’itinerario della conversione cristiana. Martini ci dà qui una dimostrazione coraggiosa ed esemplare di come l’ascolto dell’AT, ricevuto dal seno e nel seno della tradizione cristiana, è già in grado di maturare frutti rigorosamente evangelici”.

 

Gregorio Vivaldelli, Donna, perché piangi? Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2007.

Quando si inizia a pensare ad un tema solo qualche volta si sa quali possano essere i libri che possono aiutare a svilupparlo.

Questo libro mi è stato regalato e, scorrendolo, ho trovato un capitolo dedicato ad uno dei tre brani di riferimento di questo numero. Di qui la scelta di utilizzarlo e di proporvelo.

Vivaldelli è un biblista ma, al contrario degli altri autori utilizzati, il suo stile non è strettamente legato al testo biblico secondo il metodo della Lectio. Pur muovendo da un passo biblico l’autore tende ad approfondire il cuore del brano, e su quello riflettere e far riflettere.

In questo modo offre spunti e suggestioni che non possono lasciare il lettore indifferente.

Questo libro può essere utile, più che per la Lectio, per l’Annuncio o la RdV, poiché gli ambiti toccati sono tutti vitali e fondamentali.

 

Silvano Fausti, Una comunità legge il vangelo di Giovanni, EDB - Àncora, Bologna 2008

Silvano Fausti, Una comunità legge il vangelo di Luca, EDB, Bologna 1999.

I due libri che vi proponiamo sono testi di “preghiera”. L’autore è qualcosa di più un biblista in senso stretto e la parola “comunità”, presente nel titolo di entrambi i volumi, indica il metodo con cui i due libri sono stati realizzati.

Fausti da anni vive in una comunità alla periferia di Milano e presso di lui si incontrano coloro che hanno piacere di pregare il Vangelo. In ogni incontro viene letta, commentata e pregata una pericope e da questo lavoro “nasce” progressivamente il contenuto dei volumi. Il commento è molto dettagliato, versetto dopo versetto, là dove serve parola dopo parola (ne avete due esempi a pag. 10 e 15). I testi, una volta accettato lo stile dell’autore, sono meravigliosi ma non bisogna esagerare: si tratta di libri di preghiera!

 

Angelico Poppi, I quattro vangeli, II volume, Edizioni Messaggero Padova, 2006.

Se volete “studiare” i Vangeli questo è il libro che fa per voi. Attenzione: si tratta di un libro “scolastico” ed è con questo spirito che va letto e consultato.

L’approccio con cui vengono letti i vangeli è quello storico-critico e questo può creare nel lettore meno attrezzato qualche sconcerto (un esempio dello stile lo avete a pag. 15 in basso).

Il metodo storico-critico prevede la verifica storica della pericope, la sua formazione, la natura del suo contenuto, la critica delle intenzioni dell’autore sacro, dei primi destinatari del testo, influenze e corrispondenze.

A questo punto una domanda è d’obbligo: perché ve lo consigliamo? Perché, acquistando questo volume avrete in un unico libro, neanche troppo caro, un commentario di tutti e quattro i vangeli, serio e autorevole, utile per la Lectio.

 

17-IL GRUPPO FAMIGLIA DI FANZOLO

Buona strada, don Sandro!

Dopo oltre trent’anni di servizio don Dussin va in “pensione”

 

Caro don Sandro, ora che sei in “pensione”, vogliamo ricordare tutto quello che abbiamo fatto insieme, come gruppi famiglia, come parrocchiani, come uomini e donne credenti che vivono nel mondo.

Questa è la tua storia, ma è anche la nostra storia, quella vera, quella che conta, quella che non si dimentica, quella che ha segnato tanti anni della nostra vita, in momenti di gioia e allegria, nella speranza fatta di tante attese, ma anche di amarezze, di sconforto e grande tristezza.

Questo ricordare per noi è importante per sottolineare il profondo legame che si crea tra la comunità cristiana e il suo pastore.

Un cammino di fede autentica, di preghiera alla luce della Parola, che hai sempre messo caparbiamente al primo posto: la lettura della Bibbia, i Salmi, i Vangeli; non ti sei mai scoraggiato neanche quando il numero di persone che ti seguivano era davvero esiguo.

Vogliamo ripercorrere alcune tappe importanti della tua presenza fra noi.

Sei arrivato con don Luigi proveniente da Castelfranco (TV), nel 1981, dove la vostra esperienza di una comunità di preti, all’avanguardia per quegli anni, non fu compresa, anche se era un nuovo modo di testimoniare il Vangelo. Oggi potremmo dire che eravate pastori che avevano l’odore delle pecore perché ci vivevate assieme ma, allora, l’essere trasferito a Fanzolo fu quasi un “castigo”.

Gli anni trascorsi tra noi sono stati importanti per la crescita cristiana di tutta la comunità, per trasmetterle una fede adulta vissuta alla luce dal Vangelo.

La tua è stata una fede “incarnata” nell’attenzione ai poveri, ai più deboli - attraverso la Caritas - ai gruppi missionari e a quanti - preti, suore e laici - operavano in missione.

Questo è stato un altro punto fondamentale del tuo essere sacerdote, insieme al tuo stile di vita, sobrio e semplice.

La tua presenza ci ha accompagnato nelle situazioni decisive nel percorso della nostra vita: hai battezzato i nostri figli, impartito loro la prima comunione, seguiti nella preparazione alla cresima, e molti di noi li hai anche sposati. Ci hai sostenuto nei giorni di grande dolore per la perdita dei nostri cari e in tutte quelle esperienze anche drammatiche che fanno parte della vita.

Tanti sono stati i gruppi in cui tu ti sei prodigato insieme ai laici per rendere più attiva la Parrocchia. Ricordiamo in particolare il tuo impegno per la formazione, attraverso incontri, campi scuola, gruppi famiglia, dove non mancava mai la tua allegria che rendeva più gioioso lo stare insieme.

La tua presenza costante alle riunioni del gruppo famiglie di Fanzolo ci ha fatto apprezzare ancora di più il tuo attaccamento ai valori del Vangelo. Qui hai condiviso, alla pari con noi, le nostre esperienze, hai “partecipato per imparare” cosa vuol dire avere una famiglia, tu che avevi lasciato la tua da piccolo per andare in seminario. Ci hai insegnato anche la condivisione e l’attenzione agli ultimi, la voglia di non sentirsi mai arrivati e mai sconfitti, neppure quando la vita ci pone davanti dei “macigni”.

Caro don Sandro, confidiamo che tu possa continuare il tuo impegno all’interno della pastorale familiare, di cui tutti noi ti siamo debitori per la sensibilità che hai sempre dimostrato.

Cinzia e Roberto

 

18-IL BELLO (E IL BUONO) DI UN CAMPO ESTIVO

L’esperienza di un Gruppo Famiglia di Cosenza

Cosa spinge delle giovani coppie, stressate e con figli, a consumare parte delle agognate ferie estive per partecipare ad un campo famiglia?

 

A conclusione del percorso di formazione annuale, è da anni che il Gruppo Famiglia della Parrocchia San Paolo Apostolo di Rende (CS) organizza un campo estivo di tre giorni, sovente nel suggestivo Appennino calabrese (Sila o Pollino).
La scorsa estate ci siamo ritrovati nel Seminario estivo di Mormanno (CS), ai piedi del Pollino, in 15 famiglie giovani, con tanti bambini. Tema del campo, coordinato dai coniugi Pina e Nandino Sergio, è stato “la fratellanza”, declinato con le incisive riflessioni proposte dal parroco, il padre dehoniano Antonio Pizzonia.
La giornata tipo prevedeva due meditazioni seguite dai lavori di coppia, dal confronto nei gruppi e dalla condivisione generale. L’itinerario culminava con la S. Messa e, dopo cena, con una uscita per le vie del paese ravvivata da momenti ludici.
I trenta bambini seguivano un programma parallelo di animazione e formazione, sullo stesso argomento trattato dagli adulti, e nella Messa presentavano i loro contributi. Senza dimenticare i pasti insieme, non secondari momenti di convivialità tra i nuclei familiari.
Le meditazioni, e i lavori di coppia e di gruppo, seguivano il testo biblico della storia di Giuseppe e dei suoi fratelli (Genesi, cap. 37-50). Una vicenda di acuta sofferenza familiare, vissuta da Giacobbe, che il Signore userà per il bene del popolo ebraico, oltre che di Giuseppe e finanche degli “odiosi” fratelli.
Cuore dell’insegnamento biblico la certezza di fede che Dio trasforma anche il male in bene facendolo concorrere alla salvezza di tutti. O per dirla con il refrain di un famoso midrash: “Gam zu le tovah”, cioè tutto è per il bene, altro modo di esprimere il concetto paolino che “tutto concorre al bene per coloro che amano Dio” (Rm 8,28).
Non è mancata una piacevole sorpresa: incontrare il Vescovo locale, nonché segretario della CEI, mons. Nunzio Galantino, che ha celebrato l’Eucarestia domenicale conclusiva.
Condivisione, formazione umana, crescita spirituale, condite da momenti di relax e divertimento: questi sono gli ingredienti più preziosi di un campo estivo per famiglie, punto di ri-partenza per tante coppie alle prese con una faticosa quotidianità che spesso finisce per soffocare le esigenze più profonde e decisive per il benessere familiare.
Livio G.

 

19-CAMPI 2015

Calendario provvisorio

 

19-26 luglio, San Giovanni di Spello (PG)

Relatori vari di alcune comunità umbre.

Org.: Colleg. Gruppi Famiglia.

Info: Antonella e Renato Durante, 0423 670886, ren-anto@libero.it

 

26 luglio - 2 agosto, San Giacomo di Entraque (CN)

Tema da definire.

Relatore: Angelo Fracchia, biblista

Org.: Diocesi di Cuneo.

È possibile partecipare anche al solo week-end finale.

Info: Angela e Tommy Reinero, 347 5319786, tommy.angela@libero.it

 

6-9 agosto, Mormanno (CS)

Tema e relatori da definire.

Minicampo di 4 gg con posti limitati.

Org.: Gruppo Famiglia di Rende.

Info: Letizia e Livio Guida, 328 3542287, livio.it@gmail.com

 

16-23 agosto, Voltago Agordino (BL)

Tema e relatori da definire.

Org.: Colleg. Gruppi Famiglia.

Info: Valeria e Tony Piccin, 0423 748289, segninuovi@alice.it

 

16-23 agosto, Bessen Haut (TO)

Tema e relatori da definire.

Org.: Diocesi di Pinerolo (TO).

Info: Nicoletta e Corrado Demarchi, 0423 476184, curra@libero.it

 

20 settembre Treviso

Incontro di collegamento nazionale per i 25 anni della rivista e in preparazione al Sinodo sulla famiglia.

 

Il calendario, aggiornato in tempo reale, è consultabile sul sito: www.gruppifamiglia.it cercando, nella home page, tra le notizie in evidenza.

Per visionare il calendario aggiornato clicca qui!

 

 

20-COLLEGAMENTO GRUPPI FAMIGLIA

Cesena, 26 - 28 dicembre 2014

 

Immersa nella neve sulle alture di Cesena e riscaldata dall'accoglienza delle suore Benedettine, si è svolta a fine anno la segreteria nazionale dei GF.

Per la prima volta erano presenti coppie, figli e animatori di Calabria, Lazio, Emilia Romagna, Veneto, Piemonte e Lombardia: un grazie a tutti per la disponibilità e lo spirito di servizio.

Come da qualche tempo a questa parte, la segreteria è diventata occasione d’incontro con le realtà locali dei GF e della pastorale familiare del luogo.

Abbiamo così potuto incontrare alcune realtà di Cesena e di Carpi, le coppie responsabili della pastorale familiare e di Retrouvaille della diocesi e don Mario Morighi: è stata una bella occasione per riflettere insieme sui temi della testimonianza del Vangelo e del Sinodo straordinario, confrontandoci su esperienze, idee e... anche ricette regionali.

La realtà dei Gruppi Famiglia si sta pian piano radicando, grazie alle esperienze delle settimane estive aperte a tutta Italia: queste permettono la trasmissione di uno stile e di un metodo a misura di famiglia.

Le varie realtà sono collegate fra loro dal Foglio del Collegamento, dal sito internet e il blog, egregiamente curati rispettivamente dai Rosada e dagli Agostinetto.

In questo periodo la Chiesa tutta è impegnata nella preparazione del Sinodo ordinario sulla famiglia e anche i Gruppi Famiglia, nel loro piccolo, intendono collaborare per diffondere l’annuncio sulla famiglia come segno dell'amore di Dio.

Per questo ci diamo tutti appuntamento a TREVISO domenica 20 settembre 2015 per festeggiare con gioia i 25 anni della rivista e per annunciare insieme il bello di essere famiglia nelle nostre comunità parrocchiali e civili.

A presto troverete sul sito altri dettagli su questo evento che vedrà, tra l’altro, le famiglie della zona aprire le proprie case per accogliere chi arriva da più lontano.

Un abbraccio,

Antonella e Renato con Anna, Giorgia, Giordano e Tobia Durante

 

21-BILANCIO 2014 F&F

Per un anno siamo in blu!

 

Carissimi,

Come potete leggere nella tabella sottostante, il bilancio 2014 dell’associazione Formazione e Famiglia, editrice della rivista, è quest’anno, per la prima volta da tempo, in attivo.

Questo è merito di tutti voi che ci sostenete, e in particolare dei coniugi Bruschi, che hanno chiesto ai loro parenti e amici, in occasione del 50esimo del loro matrimonio, di non fare loro regali ma di sostenere questa rivista.

Ma questo non succede tutti gli anni! Di conseguenza, solo se continuerete a sostenerci sarà per noi possibile continuare nelle nostre attività, in primo luogo la rivista e i campi estivi.

Grazie,

il Presidente Noris Bottin

Per visionare i bilanci clicca qui!

 

22-PREGARE LO SPIRITO

 

Sequenza allo Spirito Santo

Vieni, Spirito Santo,

manda a noi dal cielo

un raggio della tua luce.

Vieni, padre dei poveri,

vieni, datore dei doni,

vieni, luce dei cuori.

Consolatore perfetto;

ospite dolce dell'anima,

dolcissimo sollievo.

Nella fatica, riposo,

nella calura, riparo,

nel pianto, conforto.

O luce beatissima,

invadi nell’intimo

il cuore dei tuoi fedeli.

Senza la tua forza,

nulla è nell'uomo,

nulla senza colpa.

Lava ciò che è sordido,

bagna ciò che è arido,

sana ciò che sanguina.

Piega ciò che è rigido,

scalda ciò che è gelido,

drizza ciò che è sviato.

Dona ai tuoi fedeli,

che solo in te confidano,

i tuoi santi doni.

Dona virtù e premio,

dona morte santa,

dona gioia eterna.

Amen

 

Inno allo Spirito Santo

Vieni o Spirito Creatore,

visita le nostre menti,

riempi della tua grazia

i cuori che hai creato.

O dolce Consolatore,

dono del Padre altissimo,

acqua viva, fuoco, amore,

santo crisma dell'anima.

Dito della mano di Dio,

promesso dal Salvatore,

irradia i tuoi sette doni,

suscita in noi la parola.

Sii luce all'intelletto,

fiamma ardente nel cuore;

sana le nostre ferite

col balsamo del tuo amore.

Difendici dal nemico,

reca in dono la pace,

la tua guida invincibile

ci preservi dal male.

Luce d'eterna sapienza,

svelaci il grande mistero

di Dio Padre e del Figlio

uniti in un solo Amore.

Amen.

Tratto da: http://www.preghiereperlafamiglia.it/lo-Spirito-Santo.htm