Foglio di collegamento tra Gruppi Famiglia
GF92 dicembre 2016
EDUCARE DA 0 A SEI ANNI
Quanto contano i primi anni della vita
Lettere alla rivista
1-PERCHÉ BATTEZZARE I BAMBINI
Per una vita buona, frutto di amore, benedetta da Dio
Ci sono molte coppie che oggi non fanno più battezzare i figli. Sostengono che saranno i figli stessi a decidere da grandi. A me sembra un’idea molto discutibile. Lei cosa ne pensa?
Enrico
Risponde mons. Giancarlo Grandis, Docente di Teologia Morale del Matrimonio
Perché battezzare i bambini? Positivamente questa è una domanda che nasce dalla consapevolezza che la fede è un atto di scelta e di adesione personale al dono di Dio. Ma il bambino non è ancora capace di questo atto di fede. Non conviene allora aspettare che il bambino acquisti la capacità di scelta? Dare il battesimo non sarebbe in definitiva una imposizione impropria e un condizionamento?
Certamente ciò è vero, ma non è tutto. Notiamo innanzitutto che il battesimo è dato nella fede della Chiesa. Per comprendere la ragione per cui la Chiesa ritiene un bene battezzare i bambini occorre collegare questa decisione con la stessa decisione di donare la vita.
Questa analogia tra il dono della vita e il battesimo è stata messa in evidenza da papa Benedetto XVI che si è posto la stessa domanda. Dice il Papa teologo: «La vita stessa ci viene data senza che noi possiamo scegliere se vogliamo vivere o no; a nessuno può essere chiesto: “vuoi essere nato o no?”. La vita stessa ci viene data necessariamente senza consenso previo, ci viene donata così e non possiamo decidere prima “sì o no, voglio vivere o no”. E, in realtà, la vera domanda è: “È giusto donare vita in questo mondo senza avere avuto il consenso – vuoi vivere o no? Si può realmente anticipare la vita, dare la vita senza che il soggetto abbia avuto la possibilità di decidere?”.
Io direi: è possibile ed è giusto soltanto se, con la vita, possiamo dare anche la garanzia che la vita, con tutti i problemi del mondo, sia buona, che sia bene vivere, che ci sia una garanzia che questa vita sia buona, sia protetta da Dio e che sia un vero dono.
Solo l’anticipazione del senso giustifica l’anticipazione della vita. E perciò il Battesimo come garanzia del bene di Dio, come anticipazione del senso, del “sì” di Dio che protegge questa vita, giustifica anche l’anticipazione della vita. Quindi, il Battesimo dei bambini non è contro la libertà; è proprio necessario dare questo, per giustificare anche il dono – altrimenti discutibile – della vita».
Mi sembra questa una risposta convincente, avvalorata da quanto disse anche Papa Francesco sottolineando che il battesimo è un dono necessario che tocca in profondità la nostra esistenza. Per cui «bambino battezzato o un bambino non battezzato non è lo stesso». Il battesimo ci immerge in «quella sorgente inesauribile di vita che è la morte di Gesù, il più grande atto d’amore di tutta la storia».
Dialogo tra famiglie
2-UNA “PESTE” DI DUE ANNI
Cosa sta cercando di dirci con il suo atteggiamento ribelle?
Mio figlio di due anni è spossante. Mi sembra un piccolo egoista che le vuole avere tutte vinte. Che devo fare?
Augusta
Cara Augusta, capisco bene ciò di cui parli! In pochi mesi sei passata dal doverti prendere cura di un infante al doverti misurare con un “ribelle”!
Ma, attenzione: la vita di un bambino è fatta di infiniti SÌ: ai tempi che gli imponiamo, alla gestione familiare, alla nostra scelta di mandarli all’asilo… un SÌ continuo che non viene nemmeno espresso: per questo diventa importantissimo che possa dire qualche NO. Sono piccoli NO: a indossare una maglietta, a raccogliere i giochi, a rinunciare all’ovetto Kinder… pochi NO in una vita di scelte compiute da altri!
Certo, per noi sono faticosi, ma dicono a noi, e soprattutto a loro stessi, che sono persone e che hanno gusti e preferenze.
Ci sono anche tanti piccoli momenti di crisi, che spesso chiamiamo capricci... Ho scoperto che il 90% di questi momenti in realtà sono dovuti a fame, sete o sonno. Dirai che è impossibile, che è troppo facile, e invece ti assicuro che è così!
Per cui prima di spazientirti prova ad assicurarti che il tuo bimbo non abbia né fame, né sete, né sonno, se queste condizioni ci sono e continua a urlare allora puoi domandarti qual è la ragione reale di quel comportamento, che cosa sta cercando di dirti.
E ricorda che puoi arrabbiarti: è un sacrosanto diritto delle mamme (e anche dei papà)!
Paola Lazzarini
3-EDUCAZIONE 0-6
Quanto valgono i primi anni di vita dei nostri figli
di Franco Rosada
Il tema di questo numero è stato rimandato più volte: altri temi, a mio avviso di presa più immediata, lo hanno scavalcato.
Eppure mi è sempre rimasto presente, da quando don Pino Pellegrino, anni fa (era il 2013) mi ha inviato un libro: I primi sei anni da mamma e da papà.
Una frase, nell’introduzione, mi aveva molto colpito: “nei primissimi anni dell’infanzia il bambino impara l’80% di ciò che gli servirà per tutta la vita”.
Da allora ho prestato attenzione agli articoli che parlavano di questo tema, in particolare l’intervento del prof. Pelligra alla 47° Settimana Sociale dei cattolici Italiani (vedi GF85, p.13).
Due sono i concetti che mi sono rimasti impressi: il valore delle capacità cognitive e non cognitive e la finestra temporale nella quale queste capacità si formano: nei primi anni di vita del bambino.
Le capacità cognitive sono quelle legate all’intelligenza: leggere, scrivere, far di conto, ecc., quelle non cognitive sono quelle legate al carattere: autocontrollo, capacità relazionali, ecc.
“Basti pensare”, concludeva Pelligra, “che all’età di dieci anni il quoziente intellettivo di un bambino si è già stabilizzato, e con tutta probabilità rimarrà costante per il resto della sua vita. Lo stesso, o quasi, si può dire per le abilità non-cognitive, come la perseveranza, l’autostima, la progettualità, la risolutezza”.
A inizio settembre, iniziando a imbastire il numero, sono stato messo in contatto con la professoressa Maria Teresa Mignone, formatrice di insegnanti per l'educazione dell'intelligenza, che mi ha introdotto alla psicologia cognitiva e alle neuroscienze.
Non temete, lo scopo della rivista è divulgativo e tale resta, ma questo incontro e la successiva collaborazione che ne è scaturita, mi ha permesso di dare un maggiore spessore “scientifico” rispetto a quello che di solito i genitori trovano nei libri di puericultura e di educazione dei figli.
Di conseguenza, il numero tende a porre l’accento sulle capacità della nostra mente, del nostro cervello, e di come questo aspetto segni lo sviluppo delle capacità cognitive e non cognitive dei nostri bambini piccoli.
Anche le riflessioni successive, pur entrando nel concreto, cercano di non perdere di vista queste linee di fondo.
La collaboratività dei nostri figli, i nostri rapporti con loro, la scuola, l’apprendimento e la fede sono i passi attraverso i quali si sviluppa il numero.
Campi estivi 2016
La nostra estate, come Gruppi Famiglia, è stata segnata dall’esperienza dei campi estivi.
Alcuni, annunciati, non si sono svolti, altri se ne sono aggiunti.
Le foto di questo numero sono tratte in gran parte proprio da queste esperienze, che sono accompagnate dalla loro narrazione. La ricchezza prodotta, in termini di relazioni e di arricchimento, resta un valore aggiunto difficile da ottenere altrimenti.
Grazie a tutte le famiglie che vi hanno partecipato, a quelle che li hanno realizzati, ai relatori, ai presbiteri che si sono lasciati coinvolgere, agli animatori che si sono dedicati “anima e corpo” a questo servizio.
A tutti arrivederci al prossimo anno e teniamoci in contatto attraverso la rivista.
4-LA MENTE DEI NOSTRI BAMBINI
I nostri figli hanno cervelli molto più “vispi” dei nostri: sono veri e propri geni!
Comodi i cellulari, ma per una connessione sicura serve una linea fissa: questione di sinapsi!
Piani, allagamenti, pompe, ascensori: il cervello emotivo e il cervello cognitivo.
A cura della redazione
Quando nasce un bambino i neo genitori si pongono giustamente una serie di domande: Sarò all’altezza? Sarò capace a farlo crescere bene? Sarò capace ad educarlo bene?
Una domanda che penso non si pongano (io non me la sono proprio posta!) è: come funziona il suo cervello?
Non è una domanda importante nei primi mesi di vita del bambino: la mamma sa benissimo che il neonato, a suo modo, la capisce anche se i suoi sorrisini a volte sono frutto di questioni digestive anziché una risposta alle attenzioni ricevute.
Ma dopo i tre mesi la domanda inizia ad essere pertinente. Saperne qualcosa di più ci aiuta ad allevarlo e ad educarlo meglio perché “fin dalla nascita i bambini sono persone complete, cioè sono sociali, collaborativi e pronti a comunicare” (1).
Cervelli uguali e diversi
Il cervello di un neonato, scrive la psicologa americana Alison Gopnik (2), ha circa lo stesso numero di cellule nervose, i neuroni, di un adulto: 100 miliardi, suppergiù lo stesso numero di stelle della Via Lattea, ma pesa solo un quarto di quello di un adulto.
Dove sta la differenza? Nel numero di collegamenti presenti tra una cellula e l’altra; per usare un esempio telefonico, nei cablaggi che uniscono le cellule.
È come se ogni cellula fosse un telefono anche cellulare che lancia ogni tanto nell’etere una chiamata. Se un’altra cellula sta facendo lo stesso, risponde e si crea una connessione. Se le due cellule trovano interessante la “conversazione” si richiamano sistematicamente fino a passare ad una “linea fissa”. Questa connessione fisica si chiama sinapsi.
Passando al piano anatomico, per esempio, le cellule nervose dell’occhio devono riuscire a connettersi con il nervo ottico e con i centri della visione che si trovano nella parte posteriore del cervello, aggirando i centri responsabili dell’udito e del tatto.
Questo sistema di connessione, continua la Gopnik, non è casuale ma non è neanche predeterminato. Le principali linee di connessione sono stabilite da geni del DNA, un po’ come lo sono i collegamenti telefonici interurbani, ma mancano all’inizio le connessioni casa per casa. Questa cablatura dipende dall’attività dei neuroni, dalla loro voglia di fare conversazione. Fuor di metafora, dagli stimoli che il bambino riceve attraverso i sensi.
Alla nascita i neuroni della corteccia celebrale hanno circa 1.500 sinapsi, che fra i due o tre anni diventano 15.000, si sono decuplicate! I bambini in età prescolare hanno cervelli letteralmente più attivi, più connessi e più flessibili di quello degli adulti: sono dei veri e propri geni!
La potatura del cervello
Quando una volta si comprava un’agendina nuova, il primo lavoro da fare per renderla utilizzabile era quello di ricopiare i contatti. Ma trascrivendo non si riportavano tutti i vecchi contatti: molti nomi si riferivano a persone che non si sentivano più da tempo o che addirittura non si frequentavano più.
Lo stesso avviene nel nostro cervello, ci spiega la Gopnik. Le sinapsi che trasportano il maggior numero di messaggi si rafforzano, mentre le più deboli vengono eliminate.
Un esempio interessante riguarda l’apprendimenti delle lingue. Alla nascita il cervello del neonato è in grado di riconoscere le sottili differenze tra i suoni in tutte le lingue. Ma per acquisire una certa lingua il cervello deve sviluppare una struttura che metta in evidenza i caratteri distintivi di quella lingua, imparando ad ignorare gli altri.
In particolare, vi sono aree del cervello che progrediscono solo con la maturazione fisica, scrive Darlene Sweetland, psicologa clinica (3), altre che progrediscono attraverso l’esperienza. È questo il caso dell’apprendimento del linguaggio.
“I bambini piccoli sviluppano rapidamente connessioni sinaptiche per elaborare i suoni” scrive l’autrice. “Più vengono esposti alla parola più le sinapsi saranno in grado di elaborare i suoni del linguaggio. Le connessioni per i suoni che il bambino non ascolta vengono potate. Un bambino che sia esposto precocemente a più di una lingua svilupperà connessioni più forti con i suoni e manterrà tali connessioni maggiormente rispetto ad un bambino che risulti esposto ad una sola lingua”.
Anche se a noi adulti l’inglese che viene insegnato alla scuola dell’infanzia sembra non servire, vedendo pochissimi risultati, non è così.
Un edificio di tre pieni
Per concludere ci affidiamo ad Alberto Pellai, psicoterapeuta dell’età evolutiva.
L’autore descrive in un suo libro (4) il cervello come un edificio a tre piani, che corrispondono ai tre strati in cui è anatomicamente configurato: il tronco encefalico, la regione limbica, la corteccia cerebrale.
Al primo piano vi sono le strutture che permettono di sentire e soddisfare i bisogni vitali. Questo livello lo abbiamo in comune con tutti gli altri esseri viventi.
Il secondo piano è decisamente più interessante perché è il luogo in cui si attiva il nostro agire emotivo, come per esempio la paura e la rabbia.
Il terzo piano gestisce il nostro agire cognitivo. È qui che gestiamo le nostre emozioni, quelle che si attivano al piano inferiore; è qui che impariamo ad elaborarle e gestirle, trasformandole in strumenti che ci permettono di orientare la nostra vita in una prospettiva relazionale. Concretamente, scrive Pellai: “starò vicino a chi mi fa sentire protetto quando ho paura, chiederò conforto a chi mi sa aiutare quando sono triste, ecc. Ogni nostra esperienza di vita e di relazione è sempre connotata dal sentire emotivo” che di solito precede il sentire cognitivo.
Gli ascensori
I vari piani sono collegati tra loro attraverso “ascensori”.
Pellai paragona una forte emozione come ad un allagamento che travolge tutto il secondo piano, il cervello emotivo. Solo accedendo rapidamente al terzo piano, all’area cognitiva, possiamo accedere a quelle risorse, nel caso in esempio a pompe e aspiratori, in grado di risolvere la situazione al piano inferiore.
Quando il nostro bambino viene travolto da una forte emozione che gli procura paura o rabbia nella maggior parte dei casi non riesce, a causa dell’allagamento, ad attivare l’ascensore che gli permette di accedere alle risorse presenti al piano superiore ed ha bisogno dell’intervento dell’adulto, che con la sua mente razionale aiuta la mente del figlio a ritrovare il suo equilibrio.
“Alla nascita” sottolinea Pellai, il neonato ha poca capacità “di collegamento tra la parte emotiva e parte cognitiva”. Questa capacità si acquisisce progressivamente “all’interno della relazione con chi si prende cura di lui. Ecco perché i bambini che sono deprivati relazionalmente sono anche deprivati rispetto alla capacità di integrare la dimensione emotiva con quella cognitiva”.
Gestire le emozioni
Di conseguenza, conclude Pellai, “quando nasce un bambino i suoi genitori devono imparare a integrare… il loro modo di vivere le emozioni”. Solo ponendosi “in ascolto delle proprie emozioni e di quelle del partner, oltre che del bambino”, si può creare “un circolo virtuoso, che si riflette sul clima generale della famiglia e fa bene a tutti i suoi componenti”.
Terminiamo con una nota “leggera”: pur non avendo un taglio scientifico il recente film della Pixar “Inside out” ci può aiutare a comprendere, in modo simpatico, le emozioni nostre e dei nostri figli. Vedere per credere!
(1) Jesper Juul, Il bambino è competente, Feltrinelli Editore, Milano 2003.
(2) Alison Gopnik – Andrew N. Meltzoff – Patricia K. Kuhl, Tuo figlio è un genio. Le straordinarie scoperte sulla mente infantile. Baldini Gastoldi Dalai Editori, Milano 2003.
(3) Darlene Sweetland – Ron Stolberg, Insegnare a pensare. Come crescere bambini che sanno usare la testa. Feltrinelli Editore, Milano 2016.
(4) Alberto Pellai, L’educazione emotiva. Come educare al meglio i nostri bambini grazie alle neuroscienze, Fabbri Editori, Milano 2016.
5-ESSERE GENITORI: TESTIMONIANZE
SOLO RESPONSABILITÀ?
Il pensiero di una new entry nella nostra vita di coppia è nata dopo qualche tempo che eravamo sposati. Ne ho parlato con mio marito e ci siamo detti “ sì è ora, è giusto che diamo questa svolta alla nostra vita!”.
Fortunatamente, con grande naturalezza, sono arrivati sia il nostro primo bimbo, ora di quasi cinque anni, che la sua sorellina di due anni.
Sono di natura una persona posata, guidata dalla ragione e quando ventenne pensavo a dei figli, la parola magica nella mia testa era “responsabilità”. Idea che, da mamma da quasi cinque anni, devo rivedere e aggiustare.
Avere un figlio, per come lo sto vivendo nella mia vita, è certamente responsabilità ma al contempo è leggerezza, entusiasmo, spontaneità. I miei figli, giorno dopo giorno, mi danno voglia di vivere e riescono a rendere meno pesante la vita frenetica che conduco.
Elena
GENITORI “ADOTTTIVI”
Lo abbiamo deciso assieme dopo 19 mesi di matrimonio, volevamo avere bambini e pensavamo che era meglio averli da giovani. Purtroppo dopo tre mesi Gloria perse il bambino e ci dissero che non ne avrebbe più potuti avere.
Fu un duro colpo per entrambi, anche perché da fidanzati le visite mediche dicevano che andava tutto bene. Gloria patì a lungo questo fatto e, insieme, cercammo una via diversa per avere figli, l'adozione.
Fatta la domanda, scoprimmo presto che il sistema italiano era antiquato, ci chiamarono molte volte in 16 lunghi mesi di attesa e i colloqui erano quasi offensivi. Intanto però si era fatta strada in noi un altra ipotesi, dedicarci ai bambini nati in povertà ed è quello che continuiamo a fare ancora oggi. Parliamo sempre al plurale perché abbiamo sempre deciso insieme.
Quindi, dopo circa due anni e mezzo di matrimonio, abbiamo iniziato questa avventura in cui abbiamo investito molto, praticamente la nostra vita, i nostri soldi, la nostra intelligenza, spirito di condivisione e responsabilità.
Dino
LUCA E CHIARA
Figli ne abbiamo sempre desiderati. “Da due a quattro”, dicevamo beatamente incoscienti, a pochi giorni di distanza dal nostro primo bacio. Ed effettivamente non si sono fatti aspettare.
Luca ha bussato alla nostra porta tre mesi dopo il matrimonio in un anno pienissimo di trasformazioni (laurea, lavoro, casa, cambiamento di stato civile). La scoperta ci ha lasciato letteralmente senza parole: no, non ce lo aspettavamo proprio così presto.
Luca è stato il primogenito di genitori ancora acerbi, ma pieni di energie da dedicargli. Storie, canzoni e filastrocche erano tutte per lui ed andavano a getto continuo. Lui ha ricambiato alla grande diventando un loquacissimo bambino con tante cose da scoprire e comunicare. Aveva quindici mesi quando mi sono accorta di aspettare Chiara! Questa volta abbiamo reagito col sorriso a quest’altro regalo inatteso.
Col senno di poi questa è stata una grande fortuna. Luca sarebbe diventato troppo egocentrico, se non fosse intervenuto un ciclone come Chiara a calmarci tutti quanti!
Paola
OGNI FIGLIO È UNICO
Avere Raffaella è stata una sorpresa bellissima. Quando ci siamo sposati non eravamo più giovanissimi (entrambi poco oltre i trent’anni) e, dopo un anno circa di matrimonio, abbiamo iniziato a pensare che il nostro “nucleo” poteva considerarsi tale solo se lo avessimo allargato un po’! È quindi arrivata lei, dopo due anni di matrimonio.
L’inizio è stato un po’ complicato (depressione post parto, piccolo intervento a me 15 giorni dopo, allattamento al seno impossibile…) e abbiamo iniziato a capire che cosa significasse essere genitori proprio nelle difficoltà: Mauro si doveva alzare al posto mio per darle il biberon… io infatti ero praticamente “fuori gioco”.
Pian piano tutto si è risolto e l’esperienza più bella della nostra vita è iniziata. Poi è arrivata Arianna.
Le due esperienze con le figlie sono state completamente diverse. Mentre con Raffaella eravamo molto concentrati sui progressi intellettivi e di comportamento, nel caso di Arianna è stata la salute la nostra più grande preoccupazione. Infatti, quando tornavo dal lavoro, le domande alla babysitter erano quasi sempre le stesse: “Ha mangiato? Tutto? A che ora? Non ha vomitato?...”
Carla e Mauro
SENZA NONNE
Abbiamo deciso prima di sposarci di avere figli… ne desideravo quattro, ne sono arrivati solo due!
Infatti la vita ci ha portato a ridimensionare i sogni, dopo 18 mesi di matrimonio il primo e dopo altri 18 mesi il secondo, tutti e due maschi!
Ho preso coscienza (o incoscienza) da subito di cosa volesse dire essere mamma: ero abituata ai bimbi, nella mia casa di cortile i bimbi erano sempre a casa mia e mi era naturale accudirli. È stato solo un po’ faticoso perché Ale si svegliava spesso e ha avuto il sonno disturbato fino ai quattro anni. Ma la giovinezza ha fatto sì che superassi tutto con gioia.
Visto che l’unica nonna disponibile non se la sentiva di tenere Ale, ho rinunciato al lavoro, poi ho avuto l’altro e ho seguito a tempo pieno la famiglia. Su questo mio marito disse una frase che per noi è rimasta celebre: “Chi lavora sa quanto guadagna, ma non sa quanto si perde!!!”.
Franca e Mariano
CRESCERLI INSIEME
Il primo figlio è arrivato dopo due anni e, quando è nato dopo una gravidanza serena e parto normale, è stato davvero come vivere un sogno. Gli abbiamo dedicato, io soprattutto, nei primi anni di vita tutto il tempo possibile giocando e rimanendogli accanto.
È stato davvero bello seguire i figli nei primi anni di vita! Dal primo alla seconda ci sono venti mesi di differenza, la vicinanza d’età lì ha fatti crescere insieme con le stesse tappe e più o meno le stesse esigenze.
Fiorenza e Antonio
COME SI SPEGNE?
Ci siamo resi conto di che cosa vuol dire avere un bambino la prima sera a casa dopo la dimissione dall’ospedale: a tarda ora eravamo lì a domandarci: “Questo come si spegne?”. Cercavamo invano di posarlo nella culla, appena lasciato si risvegliava mettendosi a piangere, così, dopo vari tentativi, l’abbiamo messo nel letto con noi.
Dopo i primi giorni il piccolo Giuseppe è diventato più facile da gestire: mangiava poco ma almeno dormiva buona parte della notte nella sua culla.
Il tempo investito nei figli è stato ed è ancora tanto, inizialmente siamo stati completamente assorbiti dalle loro cure perché anche Giovanni e Rosa, arrivati dopo 3 e 5 anni da Giuseppe, hanno richiesto un notevole impegno notturno nei loro primi due anni di vita, si svegliavano fino a 7/8 volte per notte. Con la crescita dei bimbi è diminuito l’impegno fisico mentre è aumentato quello organizzativo e mentale.
Daniela e Martino
LA FIABA DEL PAPÀ
Dopo due anni e mezzo di matrimonio è nato Giacomo e poi è arrivato Simone. Rispetto ad altre famiglie, siamo stati super fortunati perché entrambi i nostri figli hanno dormito di notte e questo ci ha permesso di dedicarci serenamente a loro durante il giorno.
La maggior parte della giornata la trascorrevano con me, adoravo chiacchierare con loro e fare lunghe passeggiate. Alla sera la lettura della fiaba era compito del papà, un momento esclusivo per loro.
Deborah
LA FATICA
Quando ci siamo sposati eravamo aperti alla vita “comunque” andasse.
La realtà però è stata più impegnativa dei nostri sogni: all’inizio si sono presentati dei problemi personali e fisici da parte di mio marito, successivamente quando “come per miracolo” io aspettai un bambino dopo 6 anni e mezzo di matrimonio, la gravidanza è stata difficile e alla nascita il bimbo ha preso una polmonite. Così, appena nato, me l’hanno ”rubato” dalle braccia per portarlo in Patologia. In quel momento abbiamo preso coscienza di cosa vuol dire essere genitori.
Loredana
TANTI BAMBINI
La decisione di formare una famiglia (numerosa ) è avvenuta prima di sposarci nel periodo del nostro fidanzamento. Ho preso coscienza di essere diventata mamma quando ho cominciato ad allattare il mio primo bambino. Lui dipendeva da me, non ci potevamo separare per più di un ora, nessuno avrebbe calmato il suo pianto se non io. Io sono una mamma casalinga e mi sento privilegiata, posso e dedico ai miei figli molto tempo.
Francesca
Per il lavoro di coppia e di gruppo
Queste sono le domande che abbiamo posto alle famiglie che hanno collaborato a questo numero:
• Quando avete deciso di avere un bambino?
• Quando avete preso coscienza di cosa vuol dire avere un bambino?
• Quanto avete investito in tempo e intelligenza per i vostri bambini?
Se volete, potete farle vostre.
6-IL BAMBINO È COMPETENTE
Tra integrità e collaborazione il bambino sceglie di solito quest’ultima, anche a scapito della propria autostima
Il bambino pensa quello che noi diciamo che sia: le parole dei genitori possono essere pietre o carezze!
I bambini vogliono salvare sempre dentro di sé un’immagine positiva dei loro genitori, anche quando questi hanno torto.
a cura della Redazione
Dopo aver visto come funziona la sua mente, mettiamoci ora dalla parte del bambino. Di che cosa il bambino ha bisogno? In che modo il nostro modo di agire lo condiziona?
Affamato d’amore
L’amore è un bisogno assoluto ed eterno del bambino. “Non amare un bambino è farlo morire” scrive don Pino Pellegrino in un suo libro (1), “e questa non è una frase ad effetto ma una triste realtà documentata da mille ricerche”.
Pellegrino riporta anche una bella frase di Mario Lodi, maestro e scrittore: “I bambini di oggi sembra sappiano tante cose, e le sanno, ma sotto il bambino tecnologico c’è il bambino eterno che non può vivere senza l’affetto e l’amore di qualcuno”.
Se vogliamo amare nostro figlio dobbiamo, come genitori, risplendere. “Tutti i bambini nascono ripetenti: portati ad imitare. Non serve che la mamma dica alla bambina: Guarda come stiro! La bambina guarda e impara a stirare. Non serve che il papà dica al bambino: Guarda come cambio le marce dell’automobile! Il piccolo guarda e impara”.
Conclude Pellegrino: “La prima faccia dell’amore verso il nostro bambino è quella di presentarci cresciuti, adulti”. Conta molto più l’esempio delle parole!
Coccole e parole
Siamo tutti ammalati di coccolite! Figuriamoci ai bambini!
Scrive sempre Pellegrino “La coccola è tra le più preziose facce dell’amore pedagogico. Ne siamo così convinti da farci dire che l’educazione non sarà salvata dalle urla ma dagli abbracci”.
Conta molto anche ciò che gli diciamo perché “il bambino pensa quello che noi diciamo che sia”. Infatti, continua Pellegrino, “Siamo noi che formiamo la sua prima identità. Dite al piccolo che è bello, e penserà di essere bello; ditegli che è cattivo, e penserà di essere cattivo... Le parole dei genitori (come pure quelle delle insegnanti alla scuola d’infanzia) possono essere pietre o carezze: possono portare il piccolo a volersi bene, oppure possono portarlo a prendersi a schiaffi!”.
L’integrità del bambino
Usare un linguaggio negativo nei confronti del bambino, avendo la convinzione di educarlo, è una violazione della sua “integrità”.
Ci avventuriamo, aiutati da un libro di Jesper Juul, terapeuta familiare (2), in una riflessione su come il comportamento degli adulti pesi nella vita del bambino.
Juul intende con “integrità” non soltanto l’inviolabilità fisica (abusi sessuali, pedofilia) ma anche quella psicologica, molto più ricorrente.
E aggiunge: “Nella maggioranza dei casi i figli non possono difendere la propria integrità nei confronti dei genitori”; questo non perché non abbiano “competenza” in tal senso, ma perché trascurano le loro necessità “quando queste sono in conflitto con quelle dei genitori”, “preferiscono collaborare piuttosto che pensare a se stessi”.
“Generalmente”, continua Juul, “i figli reagiscono alla violazioni su di loro” ripetute con le stesse modalità “in modo autodistruttivo”.
La conclusione che ne traggono è ovviamente che non siano i genitori ad agire in modo errato ma che la colpa sia loro! “Perdono così la loro autostima, e accumulano sensi di colpa o di vergogna”.
Questo, purtroppo, ha “un’influenza indelebile” sulla futura qualità della vita del bambino.
Una bambina mandata a letto senza cena, propone come esempio Juul, la mattina dopo non sarà adirata con i suoi genitori, ma avrà perso un po’ di rispetto verso se stessa.
Come tutti i figli “ama i genitori senza porre condizioni, ed è pronta a dar loro la figlia che desiderano, senza tener conto del prezzo da pagare. È così convinta”, prosegue Juul, “che loro abbiano ragione e lei torto, che probabilmente cercherà di reprimere la sofferenza e l’umiliazione. Vent’anni dopo sarà lei a fare la stessa cosa con sua figlia”.
La collaborazione del bambino
“I bambini collaborano quando copiano gli adulti più importanti che hanno intorno” coloro che si prendono cura di loro, scrive Juul. Purtroppo la loro collaboratività non viene compresa dagli adulti perché fraintesa.
Ecco un esempio che l’autore propone: una bimba piange quando la mamma la lascia al nido ma non piange quando la porta il papà. Perché si comporta così? Probabilmente perché la mamma è ansiosa, vorrebbe restare con la figlia ma deve andare a lavorare. La mamma ha rimosso i suoi sentimenti perché in casa servono due stipendi, ma la figlia li avverte e li copia.
Per la mamma la figlia non è collaborativa mentre è vero il contrario. Con il suo pianto la figlia copia il disagio della mamma.
Se i genitori ricevono una visita imprevista o sgradita il bambino, se ha tra i sei mesi e un anno di età, comincerà a piangere o a volgere la faccia dall’altra parte, farà suo l’imbarazzo dei genitori ma, con il suo pianto, ne aumenterà il disagio. Eppure è stato collaborativo!
La collaborazione dei bambini si può manifestare anche in modo divergente. Un esempio drammatico che propone Juul è quello delle famiglie in cui il padre è violento verso la moglie e i figli. “Di frequente un figlio imita il padre, divenendo esteriormente violento e distruttivo, mentre l’altro, imitando la madre, rivolge la violenza verso se stesso” diventando apatico, indifferente o, peggio, abusando di alcool o di droghe.
Il bambino è competente
Quanto detto finora evidenzia la validità di quanto scritto sulla mente dei bambini.
I bambini non sono delle “tabula rasa” come si pensava fino a qualche decennio fa, ma sono esseri sociali fin dalla nascita e collaborano con competenza, ovviamente con i mezzi che hanno a disposizione, “con il comportamento degli adulti di riferimento, sia esso salutare o distruttivo per loro” scrive Juul.
Per questo “esprimono con competenza, sia verbale che no, la natura delle emozioni e i dilemmi esistenziali dei loro genitori”. Dire che i bambini competenti, significa, per Juul, affermare “che sono in grado di insegnarci ciò di cui abbiamo bisogno” per amarli al meglio.
Ciò non vuol dire accondiscendere ad ogni richiesta del bambino: il risultato sarebbe un bambino “tiranno”. I bambini infatti, continua Juul, “spesso sanno solo quello che vogliono, non sanno veramente quello di cui hanno bisogno”.
Siamo quindi chiamati ad essere genitori “a tempo pieno”, consapevoli delle responsabilità che abbiamo, attenti alle esigenze dei nostri figli, disposti a correggere i nostri errori, ma senza rinunciare a manifestare i nostri bisogni e rendere i nostri figli consapevoli di questo. Il rispetto della dignità dell’altro vale sia per i genitori che per i figli.
Un esempio concreto
La professoressa Maria Teresa Mignone, che molto mi ha aiutato nella realizzazione di questo numero, scrive: “Ricordo un libro per bambini intitolato “Che rabbia!” (3), presente in tutte le scuole materne che ho visitato. La storia narrata è molto semplice: un bambino, giocando in cortile, scivola sull’erba bagnata di pioggia, cade e rompe la sua amata racchetta da volano. Si innervosisce e rientra in casa senza pulirsi le scarpe. Il padre sta preparando la cena. Si innervosisce a sua volta, sgrida il bambino perché ha sporcato il pavimento. Poi gli intima di andare a cena. Il bambino è teso, sente che per cena c’è la verdura, che non ama, e protesta. Il padre non discute e lo manda a letto senza cena. Una volta in camera, il piccolo sente che la rabbia gli monta dentro, fino a travolgerlo e a fargli gettare rumorosamente sul pavimento giocattoli, coperte, oggetti vari. Comincia a calmarsi solo quando si accorge che ha rotto un giocattolo molto amato. Nell’illustrazione la rabbia, che prima era un enorme mostro rosso, è diventata una piccola palla che si sgonfia sempre più. Il bambino è solo con il suo disagio e ha fame. Dopo un po’, pian piano, scende le scale e va in cucina”.
È il classico esempio di assenza di flessibilità, anche se inconsapevole, da parte dell’adulto ma, quando il libro è utilizzato dai genitori verso i propri figli, la lettura è un’altra: “Ora quando si arrabbiano ricorro sempre al libro e si calmano molto prima” scrive una lettrice.
“Questo libro è amatissimo dai bambini”, proprio per le stesse ragioni, conclude la Mignone. “Quando per ricerca, ponevo loro la domanda ‘ma a casa ti succede qualcosa del genere?’ hanno sempre risposto ‘no’. È struggente che vogliano sempre, sempre, ‘salvare’ dentro di sé l’immagine dei loro genitori’ ”.
Più collaborativi di così!
(1) Pino Pellegrino, I primi sei anni da mamma e papà, Astegiano Editore, Marene (CN) 2012
(2) Jesper Juul, Il bambino è competente, Feltrinelli Editore, Milano 2003
(3) Mireille D'Allancé, Che rabbia!, Babalibri, Milano 2000
7-I NOSTRI BAMBINI: TESTIMONIANZE
ESSERI PENSANTI
Abbiamo sempre considerato i nostri “bambini” adottivi, da sempre e con convinzione, come esseri pensanti.
Abbiamo dedicato loro, all'inizio, tutto il tempo che ci veniva permesso, poi con l'esperienza, lo studio sulla pedagogia infantile e adolescenziale, il tempo è piano piano aumentato.
Bisogna stare molto con i figli, osservarli, porre poche proibizioni alla loro indole naturale, le correzioni servono ma vanno sempre spiegate, come abbiamo fatto soprattutto con Luis Alberto e Gloria Rossmary, i due bambini ormai adolescenti di cui siamo i “padrini” economici ed educazionali.
Con loro abbiamo sempre il timore di parlare troppo, anzi, forse parliamo troppo. A volte parliamo come se fossimo loro compagni di vita, di scuola e di giochi, altre volte con più fermezza, quando si tratta di correggere sbandamenti. In questo caso Gloria fa la madre dura di carattere, Dino il padre più permissivo. Infatti, abbiamo notato che questo approccio ci offre la possibilità di ascoltarli di più, osservarli e comunicare meglio con loro.
Gloria e Dino
ESSERI AUTONOMI
Quando mi hanno messo tra le braccia il mio primogenito, come tante mamme alla prima esperienza, neanche avevo idea di come si tenesse un bimbo in braccio. Figurarsi se sapevo chi realmente fosse quella cosina tutta rosa.
Pensavo che sarebbe stato come un pezzo di creta da plasmare.
Con il passare del tempo, poi, mi sono accorta che pian piano, quell’esserino rivendicava la propria autonomia.
Era come, dopo aver subito per nove mesi tutte le mie decisioni, adesso, lui si rendesse progressivamente conto di essere presente a stesso, di avere idee e caratteristiche proprie, istinti personali.
Questo era lampante soprattutto quando le sue idee, seppur semplici, erano contrarie alle mie.
Di conseguenza, alcune decisioni, sia con il grande, sia con la piccola, non sono prese solo perché si fa così, ma sono frutto di serrata contrattazione.
Comunque, gli adulti siamo noi e, seppure con i nostri sbagli, dobbiamo essere una guida per i nostri figli.
Al momento, i miei bimbi non sono ancora dei teppisti, anzi.
Il più grande, che da piccolo era vivacissimo e in movimento costante, sta diventando proprio un bravo bambino. Va in castigo da quando aveva due anni, sa accettare i “no” che noi genitori gli imponiamo e dà anche una piccola, piccolissima, ma preziosa, mano in casa. La secondogenita, che copia tutto quello che fa il fratello maggiore, riceve un buon esempio.
Elena
UNGHIETTE AFFILATE
Chiara, la secondogenita, è stata una bimba buona buona fino ai sei mesi, poi ha sfoderato le unghiette affilate di cui ancora oggi si fregia e ha decisamente cambiato le nostre vite.
Luca, il primogenito, è diventato geloso ed ingestibile mentre lei ha mostrato a tutti noi come può vivere normalmente un bambino: arrampicandosi, correndo e rischiando. Una bella avventura che ci ha lasciato senza fiato per anni.
Sì, perché allevare due bambini molto vicini per età e lavorare entrambi è un’esperienza davvero impegnativa per due genitori.
Se a questo si aggiunge il fatto che quei teneri pargoletti mi hanno svegliato ogni notte per sei anni filati, la misura è colma. E infatti, dopo alcuni anni di questa vita spericolata, qualcosa si è saturato dentro di me e mi sono ritrovata con le ruote a terra, assolutamente priva di risorse fisiche, psichiche e spirituali.
Mi sono ripresa con l’aiuto del mio padre spirituale che mi ha insegnato a mettere dei limiti alla mia disponibilità, in famiglia e sul lavoro, e ha trovare nuovi equilibri anche coi figli.
Questo ci ha permesso di maturare l’idea di avere un terzo figlio.
Se i primi due figli ci avevano colti di sorpresa, questa volta abbiamo compiuto , mio marito ed io, questo passo in modo consapevole.
Francesca è stata un’autentica benedizione, la prova che il Signore ti dona sempre una nuova possibilità, se ti affidi a Lui sicuro di non essere abbandonato. Anche con lei abbiamo sperimentato le nostre fatiche: un figlio in più, nuove gelosie, nuovi equilibri ed altre notti in cui star sveglia, ma anche una nuova partenza.
Paola
CARATTERINO VIVACE
Raffaella si è sempre “imposta” come un essere pensante, non è mai stato facile “piegarla” alla nostra volontà...
Il suo caratterino vivace e determinato ci ha insegnato a poco a poco a guidarla, ma spesso è stato faticoso perché generalmente l’aspetto “volitivo” della sua personalità aveva il sopravvento.
Questo aspetto è stato però molto stimolante per noi: è sempre stato fin dall’inizio ben chiaro quando avesse fame, quando volesse dormire, quando le interessava giocare oppure le andassero bene le coccole…Quasi sempre si tranquillizzava con favole raccontate, inventate o lette.
Carla e Mauro
CHIACCHERONE
Ale è stato dolce, tenero ma senza sonno, mi guardava con un sorriso da incanto ed era tranquillo (forse perché era solo).
Ser è arrivato in anticipo, ha avuto un po’ di difficoltà di salute e nei primi quattro mesi è stato più in ospedale che a casa. Avrebbe dovuto avere problemi per i medici ma, in realtà, stando attenti e con l’aiuto di Dio è cresciuto con il fratello, bello, simpatico e chiacchierone.
Ho dedicato loro tutto il mio tempo con gioia, in fondo ero poco più di una ragazza anch’io.
Ho sempre parlato “normale” (anche da sola mentre ero intenta nelle cose di casa), parlavo e spiegavo come se capissero, poi non so… avevo letto solo un libro intitolato “Sarò madre”.
Forse la mia età (21 anni) ha fatto il resto.
Franca
LE REGOLE
Sul tema delle regole abbiamo approcci diversi: il papà è più autoritario e ama spiegare come funzionano le cose, la mamma cerca invece di valorizzare la loro intelligenza ponendo nuove domande anziché dare risposte, quando possibile.
Il tempo dedicato all’accudimento è dominante e tanto, ma ci sono anche momenti per le coccole, soprattutto prima di addormentarsi o al risveglio nei giorni di festa.
Per insegnare il rispetto delle regole giochiamo talvolta con qualche gioco di società, quando erano più piccoli avevamo introdotto la serata di gioco settimanale. Le prime volte abbiamo organizzato una piccola caccia al tesoro, poi abbiamo giocato a lungo a nascondino e sardine.
Da quando hanno iniziato la scuola primaria è stato più difficile trovare il tempo perché sono più stanchi e li mettiamo a dormire più presto.
Daniela e Martino
STESSE RISPOSTE
Sia io che Fabrizio crediamo importante che i nostri figli debbano ricevere le stesse informazioni e risposte da entrambi i genitori.
Deborah
TANTA PAZIENZA
Ho considerato Giovanni come un bambino che doveva apprendere tutto. Ho occupato tanto tempo ad insegnare e a motivare determinate scelte.
Credo che a causa del loro carattere a certi bambini non si possono inculcare solo regole.
Credo invece che ci voglia tanta pazienza per farli ragionare su certi loro comportamenti sbagliati.
Ho visto anche che più crescono e più hanno bisogno di essere ascoltati e soprattutto osservati.
A dir la verità per il poco tempo a disposizione a volte mi son trovata a sgridarlo, rimproverarlo e a farmi ascoltare con autorità.
Loredana
TANTO TEMPO
I bambini sono dotati di una straordinaria intelligenza e capacita di apprendere velocemente, fin da subito ho capito che a loro bastava osservarti solo una volta a fare una cosa che l' avevano già imparata.
Ho sempre cercato di dedicare più tempo possibile ai miei figli, consapevole che crescono molto in fretta e questi momenti speciali non tornano più.
Ho accantonato la mia mania per l'ordine, privilegiando il tempo che trascorro con loro.
Quando parlo con i miei figli cerco di essere sincera, calma e autorevole, non sempre ci riesco, colpa della stanchezza.
Francesca e Mauro
Per il lavoro di coppia e di gruppo
Queste sono le domande che abbiamo posto alle famiglie che hanno collaborato a questo numero:
• Avete considerato i bambini come esseri che dovevano apprendere tutto o come esseri pensanti?
• Quanto tempo avete dedicato ad insegnare, ad accudire, a coccolare, a osservare i vostri bambini?
• Come parlate, quanto parlate, a vostri bambini?
Se volete, potete farle vostre.
8-PIANTO O CAPRICCIO?
C’è pianto e pianto ma è certo che i bambini ci sfidano
Di fronte al capriccio non serve usare un tono supplichevole o minaccioso: serve un NO autorevole.
Tardare a prendere sonno, arrabbiarsi, rifiutare l’asilo, il cibo nel piatto, adorare la televisione: ecco alcune sfide che ci pongono i nostri bambini.
a cura della Redazione
Una questione che turba molto i neo genitori è il pianto di loro figlio.
Quando sono neonati c’è poco da fare: o ha fame, o ha mal di pancia o ha il pannolino pieno o è stanco e non riesce a dormire.
Se ha fame il dilemma, alcuni decenni fa molto forte, era tra soddisfare il suo bisogno o lasciarlo piangere perché doveva “imparare” a rispettare gli orari; già Benjamin Spock nel 1968 (1) considerava superata questa norma.
Ma credo che sia più interessante passare dalle questioni puramente pediatriche a quelle educative.
Un bambino fino a tre mesi non ha “malizia”, un bambino di due anni sì.
Per affrontare questo tema abbiamo attinto da un libro di Alberto Pellai, psicoterapeuta dell’età evolutiva (2).
C’è pianto e pianto
L’autore ci invita a saper distinguere il tipo di pianto di vostro figlio perché questo rappresenta una delle sfide educative più importanti con i bambini piccoli.
Se il pianto è dovuto ad una forte emozione che ha travolto il suo cervello emotivo (3) l’adulto deve intervenire in suo soccorso attivando il suo cervello cognitivo; in pratica stingendolo, coccolandolo, rassicurandolo con voce e parole tranquillizzanti.
Se il pianto è invece frutto di un capriccio c’è di mezzo il suo cervello cognitivo. Il bambino, spiega Pellai, sta mettendo in atto una strategia cognitiva per mettere gli adulti di riferimento alla prova. Non per niente a volte il bambino ottiene ciò che vuole (non andare a dormire, non mangiare quello che c’è nel piatto, ecc.) per sfinimento dell’adulto.
L’insistenza del bambino può far scivolare la mente dell’adulto dal piano cognitivo a quello emotivo. Invece la risposta deve avvenire sul piano cognitivo: saper dire NO, con garbo ma con fermezza. Il bambino capirà, nonostante le insistenze, che l’adulto al suo fianco gli pone dei limiti.
In prospettiva, l’essere coccolato o sgridato a tempo debito, fa capire al bambino che il genitore lo protegge realmente, che di lui si può fidare.
I due emisferi del cervello
Abbiamo già visto che il cervello ha un’organizzazione verticale, ma ne ha anche una orizzontale.
“Esso infatti è suddiviso in due emisferi, uno destro e uno sinistro, collegati tra di loro da una struttura centrale – chiamata ‘corpo calloso’ – costituita da fibre nervose. Le due parti sono capaci di lavorare autonomamente”, scrive Pellai, “ma al tempo stesso si integrano una con l’altra”.
I due emisferi sono specializzati: quello sinistro analizza il linguaggio e il suo significato, quello destro il contesto, le atmosfere in cui si trova a vivere. Nei bambini a farla da padrone è l’emisfero destro. Contano di più le coccole che le cose che si dicono.
Nell’interazione con il bambino l’adulto deve “fare attenzione a costruire una perfetta integrazione tra gli elementi testuali e quelli contestuali”.
Torniamo al capriccio. Ci sono tanti modi per dire NO. Non serve a nulla rivolgersi al bambino in tono supplichevole (ci sta sfidando!) ed è ugualmente sbagliato alzare la voce fino a spaventarlo (servirà solo a cambiare la natura del suo pianto). Serve autorevolezza, non accondiscendenza o autoritarismo.
Le sfide dei bambini
Le sfide che ci pongono i bambini sono tutte orientate al suo bisogno di diventare grande, di conquistare autonomia.
Proveremo di seguito ad analizzare alcune sfide, senza alcuna pretesa di completezza.
Andare a nanna
“Dopo il primo anno”, scrive Pellai, “il bambino dovrebbe essere in grado di addormentarsi nella propria stanza e, dopo il rituale della nanna condiviso con un genitore, lasciarsi andare ad un sonno lungo, continuo e rigeneratore”.
Ma non è così semplice. Per riuscire a dormire, molti genitori fanno addormentare il bambino con loro o gli permettono, nella notte, di spostarsi dal lettino al lettone. Altri si fanno coinvolgere in infiniti rituali della buonanotte o permettono al figlio di decidere l’ora di andare a dormire.
Il bambino è abitudinario, per cui è importante, scrive Laura Dozio, psicologa, in un suo libro (4), “portarlo a nanna sempre alla stessa ora e ripetere sempre le stesse azioni: lavarsi i denti, la preghierina o la favoletta e poi si dorme. Questa ritualità gli darà sicurezza... Lasciare una lucetta accesa servirà per rassicurarlo dalla paura del buio”.
Le crisi di rabbia
“La rabbia”, scrive Pellai, “è un emozione che il bambino ha imparato a conoscere… sin dai primi giorni di vita… Il piccolo ha sempre manifestato i propri bisogni piangendo… e può aver caricato il pianto di componenti rabbiose”. Se questo è naturale nel primo anno di vita, dopo “diventa fondamentale per il bambino imparare che non tutti i suoi desideri possono essere esauditi immediatamente… e a volte devono rimanere inappagati”.
Ma la rabbia può assalire anche i genitori! “I bambini capricciosi sono molto snervanti” scrive la Dozio, “e quando si è stanchi si può perdere il controllo”, arrabbiandoci a nostra volta.
“Se siete in preda alla rabbia verso vostro figlio”, continua la Dozio, “cercate di non dire frasi che potrebbero offenderlo come: sei insopportabile! Mi sfinisci! Non ne posso più! Sono frasi che rimangono scolpite nella sua mente, lo offendono e gli danno l’impressione di non essere amato”.
L’atteggiamento corretto è quello già descritto in precedenza.
No all’asilo
“L’ingresso al nido o alla scuola d’infanzia”, scrive Pellai, “rappresenta il primo grande salto nel mondo che un bambino compie nella sua vita… Di fronte a questo evento i piccoli hanno bisogno di essere sostenuti e rassicurati”. “Per rassicurare un figlio in questo passaggio è molto utile stabilire piccoli rituali da attuare proprio nel momento della separazione”.
La Dozio suggerisce di non fare inutili promesse, perché il bambino deve accettare che la mamma lavora o ha altri impegni e lui ha la scuola.
Pellai invece sottolinea che “all’ingresso di molte scuole d’infanzia o nidi ogni giorno si vedono adulti che faticano a lasciar andare il proprio figlio”. I genitori, continua Pellai, “dovrebbero imparare ad essere meno invasivi, per permettere ai figli di spiccare il volo, quando sono pronti per farlo”.
Questo non lo mangio!
Nei primi anni di vita di un bambino, ciò che avviene intorno al cibo è molto complesso.
“Il bambino”, è sempre Pellai che scrive, “deve imparare ad accettare cibi, che hanno nuovi sapori, che gli richiedono la fatica di essere mangiati e non solo deglutiti. A loro volta gli adulti devono armarsi di pazienza”.
Non bisogna farsi prendere dall’ansia – non mangia abbastanza! –, inadeguatezza – non sono capace di fare il genitore – o, al contrario, essere troppo rigidi.
La Dozio suggerisce, per i cibi poco graditi, di “condirli” con l’inventiva, come i tortellini alla “Braccio di ferro”.
La televisione
Scrive Pellai: “I nostri figli sono stati definiti nativi digitali perché, sin dai primi mesi di vita, si trovano a crescere in un mondo dominato dalla tecnologia”. “La televisione è la prima porta di accesso” a questa nuova realtà “e oggi non si ferma mai”, trasmette 24 ore al giorno.
“Gli stimoli provenienti da un televisore acceso sono molto forti per la prima infanzia”: suono, immagini, movimento “risultano un’attrazione a volte ipnotica, alla quale il bambino può abituarsi facilmente”. La posizione di Pellai è netta: “Prima dei tre anni la televisione non è mai una buona amica dei nostri figli”.
Per la Sweetland (5) il consiglio è quello di guardare la televisione insieme ai propri figli, con moderazione, indirizzando la visione verso programmi educativi senza pubblicità incorporata, come i DVD, cogliendo le loro reazioni e, se non possiamo essere presenti, interrogandoli su cosa hanno visto.
L’elenco delle sfide potrebbe continuare, ma qui vi abbiamo voluto offrire solo degli spunti, per gli approfondimenti ci sono i libri e i consigli di chi ci è già “passato”.
(1) Benjamin Spock, Il bambino, Longanesi, Milano 1973
(2) Alberto Pellai, L’educazione emotiva, cit.
(3) Vedi articolo, La mente dei nostri bambini, p. 4-5
(4) Laura Dozio, Cosa fare se mio figlio fa i capricci…, Editrice Elledici, Torino 2015
(5) Darlene Sweetland - Ron Stolberg, Insegnare a pensare, cit.
9-GENITORI E BAMBINI: TESTIMONIANZE
LE PAURE
Lo stile di gioco con i nostri piccoli in Nicaragua è sempre lasciato alla loro iniziativa e poi, giocando, cerchiamo di fare in modo che il loro gioco sia consapevole e utile al loro apprendimento, ma senza forzature.
Questi nostri bambini adottivi sono più portati alle bugie e alle paure che ai capricci. Di fronte alle bugie cerchiamo di essere abbastanza severi, cercando di capire con loro perché non hanno detto la verità e a volte emerge che hanno mentito per paura.
La paura, nei bambini della nostra attività di “genitori secondi”, è molto legata alla povertà, sembra che siano nati consapevoli di essere tra “gli ultimi”.
Hanno però molte altre paure, come la mancanza di amicizia, di cibo, di guerre, di malattie. Sono così piccoli però sembra che la paura viva dentro di loro da molto tempo.
Ancora adesso non sempre riusciamo ad affrontare con i nostri piccoli queste paure.
Gloria e Dino
DIVERTIRSI INSIEME
Il tempo che passo con loro è poco. Essere genitori che lavorano comporta il doversi dividere tra mille cose e “giocare con i figli” non sempre si fa rientrare tra le cose prioritarie.
Comunque, non ci lamentiamo. Ridiamo molto insieme a loro, questo sì. Ci facciamo gli scherzi, le facce buffe, il solletico… e questo soprattutto - credo proprio che mio marito sarà d’accordo con me - non tanto e non solo perché sono azioni che divertono i nostri bimbi, ma perché divertono noi e ci gratificano, ci riempie il cuore sentirli ridere a crepapelle e urlare “...papà, ancora!”.
Elena
TEORIA E PRATICA
È stato davvero bello seguire i figli nei primi anni di vita! C’è stata una gran voglia di far passare ai nostri figli le nostre idee e convinzioni, quello che ritenevamo importante, quello che poteva farli crescere sereni, ma ci siamo accorti che avevano il loro carattere e il loro modo di vedere le cose, anche se erano piccoli.
Abbiamo letto libri e partecipato a tanti incontri in parrocchia dove si parlava di educazione ma spesso la teoria che ci veniva presentata era assai diversa dalla pratica e dalla pazienza quotidiana.
Fiorenza e Antonio
CAPRICCI E BUGIE
Quando fanno capricci io mi fermo e aspetto, li guardo e poi parlo con calma spiegando cosa dobbiamo fare e perché, di solito si fermano anche loro e ascoltano… e difficilmente, dopo una decisione io cambio idea. Sì vuol dire sì e no vuol dire no. Per ora.
Per la bugia è diverso, io se scopro una bugia abbraccio forte chi l’ha detta, e chiedo il perché… (non ti sei fidato?... hai avuto paura?...).
I figli devono ricordare sempre che noi stiamo dalla loro parte, anche se hanno sbagliato, e solo se lo ammettono possiamo aiutarli.
Con la paura ho fatto battaglie, Ale riviveva di notte, senza saperlo, cose che di giorno lo avevano disturbato e si svegliava piangendo. Solo con “iniezioni” di fiducia in se stesso e coccole (tu sei una meraviglia, stai tranquillo, noi insieme siamo una forza, se tu hai fatto tutto il possibile hai fatto bene comunque...) si calmava.
Nel tempo questo ha funzionato. Ho scritto un po’ al presente e un po’ al passato perché adesso sono nonna e mi comporto con i nipotini come facevo con i miei figli.
Franca
LIBRI E MUSICA
I nostri figli, come tutti i bambini, giocano sempre, sia individualmente che tra loro. I Lego sono il gioco preferito attualmente, ma talvolta si inventano situazioni e personaggi in cui si immedesimano e si ingegnano a costruirsi strumenti cambiando l’uso dei giochi che hanno. In questi momenti dimostrano un grande senso di collaborazione che ci rende molto felici.
Capricci ne abbiamo visti un bel po’, abbiamo cercato di insegnar loro ad utilizzare altri modi per comunicare e in molte occasioni li abbiamo lasciati sfogare. La televisione viene utilizzata saltuariamente, non in modo regolare, una o due volte a settimana per guardare cartoni animati o documentari.
Abbiamo parecchi libri per bambini e quando erano più piccoli abbiamo frequentato una biblioteca comunale.
Ora siamo abbonati a due mensili per bambini. Non sono dei grandi lettori, ma quasi tutti i giorni prendono in mano un libro e lo sfogliano. In particolare sono estimatori dei libri dei record.
Da piccolissimi Giovanni e Rosa hanno partecipato a un corso di musicoterapia; in quell’occasione abbiamo comprato semplici strumenti a percussione che abbiamo utilizzato in sfrenati balli di famiglia.
Daniela e Martino
LA PAYSTATION
I nostri ragazzi stanno per entrare nella fascia dell’adolescenza e stiamo attraversando un momento critico con l’uso della playstation e cellulare, specialmente con Giacomo.
Questi giochi sono sempre stati regolamentati da noi genitori, anche se non è facile e spesso si innescano delle discussioni.
Cerchiamo sempre di parlare e far comprendere loro l’importanza di non stare tutto il tempo davanti a questi giochi. Per fortuna a Giacomo piace molto leggere e a Simone suonare la batteria, due passioni che li distraggono dai giochi elettronici.
Deborah
CONTESTATORE
Giovanni è un bambino che ha sempre preferito stare all’aperto, correre in bici, e contestare tanto e tutto (orari, ordine, ecc.). Infatti, le sue ribellioni sono state molte soprattutto nei miei confronti; di fronte ai suoi capricci mi lasciavo “inviperire” e così gridavo più forte di lui.
Ora a mente fredda, e dopo molti consigli, credo che con un figlio con un carattere poco docile ma forte ed energico, testone e nello stesso tempo dolce, ci vogliano nervi saldi, convinzioni, tenacia e concordia tra i due genitori. Ho trovato anche molto utile i consigli della maestra dell’infanzia (nel mio caso una suora) e della maestra della Primaria (che ha saputo volergli bene e capirlo).
Loredana
CARATTERI DIVERSI
Quando gioco con i miei figli cerco di divertirmi e non guardare troppo l'orologio, penso ai giochi che facevo con mio fratello alla loro età e glieli racconto, loro sembrano molto interessati. La cosa più difficile è farli andare tutti d'accordo quando giocano insieme, avendo età diverse 6, 4 e mezzo e 3, il più piccolo per ora mangia e dorme. Hanno caratteri molto diversi, non posso usare con tutti lo stesso metodo, c’è chi ha bisogno di infinita dolcezza e fermezza e invece chi ha bisogno di chiarezza e immediatezza. La televisione mi aiuta a tenerli buoni, quando sto preparando la cena o il pranzo, ma cerco di spegnerla appena possibile.
Preferisco privilegiare attività come il disegno, modellare la plastilina, ricomporre puzzle, sfogliare libri e, quando il tempo è bello, le passeggiate, i giochi all’aria aperta, ecc.
Francesca e Mauro
LA TELEVISIONE
I miei bimbi sono abbastanza vicini come età, il grande è sempre stato molto bravo con la sorella per cui, quando sono insieme, giocano di tra loro e sembra che si capiscano, a loro modo.
Fino a poco tempo fa la più piccola era solo una spettatrice, adesso invece ha una propria indipendenza e rivendica i propri spazi.
Quando invece giochiamo tutti assieme, il nostro è un tipo di gioco movimentato, vivace, il nascondersi, piuttosto che corrersi dietro o farsi gli scherzi.
Davanti ai capricci, sia io che mio marito siamo intransigenti. Non vengono accettati per nessuna ragione. Né dentro né fuori casa. Devono capire fin da subito che non è quello il modo di ottenere le cose da noi.
La televisione a volte è fondamentale. A casa nostra non è sempre accesa ma è indispensabile, purtroppo, in un alcuni momenti clou della giornata.
Questo capita soprattutto alla sera quando, ahimè, noi genitori, stanchi dalla giornata, abbiamo bisogno di ridimensionare le energie senza fine dei nostri pupi.
Personalmente non amo molto i videogiochi o l’ipad o cose simili ma capisco che sono una tentazione per i miei bimbi e allora - perché l’uso non diventi un abuso - talvolta li permettiamo a mo’ di premio.
Elena
Per il lavoro di coppia e di gruppo
Queste sono le domande che abbiamo posto alle famiglie che hanno collaborato a questo numero:
• Com’è lo stile del gioco con il tuo bambino?
• Come ti comporti di fronte ai suoi capricci, bugie, paure?
• Quale spazio ha la televisione, la playstation e altri marchingegni elettronici nella sua vita?
• Quale spazio hanno i libri, la musica, tutto quello che non è Media?
Se volete, potete farle vostre.
10-I BAMBINI E LA SCUOLA
L’asilo nido e la scuola materna
Panino o mensa? Un argomento che divide ma, a parte il rapporto costo/qualità, sovente da rivedere, ha poco a che vedere con l’educazione dei figli.
a cura della Redazione
Un grosso problema che le giovani coppie devono affrontare oggi è la conciliazione tra famiglia e lavoro, tra avere figli e garantirsi un reddito che permetta loro di vivere dignitosamente.
La sfida che devono affrontare molte giovani mamme è legato alla sistemazione dei figli durante il tempo del lavoro. Per le più fortunate una soluzione è rappresentata dai nonni, ma non li si può sempre trasformare in tate a tempo pieno.
Allora si ricorre all’asilo nido, sperando di essere ammessi in graduatoria, ben sapendo che anche un semplice raffreddore impedirà sovente ai bambini di frequentarlo.
La “Buona Scuola”
Mentre la scuola materna è un diritto, l’asilo nido è un servizio a domanda individuale.
La prima, scrive Lorenzo Vendemiale (1), “è gestita da Stato e Comuni sulla base di programmi nazionali e in continuità con la scuola primaria”, il secondo è un servizio né “obbligatorio né tanto meno gratuito”.
Questo comporta una forte “disomogeneità dell’offerta sul territorio, vista la presenza di 18 leggi regionali differenti… (le statistiche di accesso al nido dei bambini da 0 a 2 anni passano dal 2% della Calabria al 28% dell’Emilia-Romagna)”.
Chi ha figli in età scolare avrà senz’altro sentito parlare della “Buona Scuola” (2), la legge di riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione, entrata in vigore nell’anno scolastico appena trascorso. Tra le diverse deleghe al Governo legate a questa legge, vi è anche quella di far diventare l’asilo nido un diritto. “L’obiettivo”, scrive ancora Vendemiale, “è eliminare le disparità nell’offerta del servizio” tra le diverse regioni “e creare continuità col segmento successivo e con l’ingresso nel mondo della scuola” primaria.
Immìschiati a scuola
La legge sulla “Buona Scuola”, rimanendo nell’ambito che riguarda più da vicino le famiglie, rilancia quelli che, dai decreti delegati in poi, sono stati gli organi collegiali.
Questi organismi hanno sofferto nel corso degli anni (sono stati istituiti nel 1974) di un progressivo disamoramento, di fronte a quella che ai più è parsa essere la loro inutilità.
La nuova legge mette al centro l’autonomia scolastica, arricchisce l'offerta formativa per gli studenti e, soprattutto, coinvolge l'intera comunità scolastica, quindi anche i genitori, nell’elaborazione del Piano dell'Offerta Formativa (POF). Nel primo anno di attuazione della legge i POF sono stati fatti dai vari istituti un po’ con lo “stampino” per paura di sbagliare, ma è un ambito nuovo in cui i genitori potranno far sentire la loro voce.
Per questo il Forum delle Associazioni Familiari ha lanciato una campagna nazionale della durata di tre anni intitolata “Immìschiati a scuola”, proprio per invitare i genitori ad essere più presenti negli organi collegiali (3).
La scuola a modo mio
Tra le famiglie non solo c’è un disamoramento verso gli organi collegiali ma, per alcuni, anche nei confronti della scuola pubblica.
Scrive Maria Teresa Mignone: “Si può non mandare il proprio figlio al nido quando può stare in famiglia, idem per la scuola materna (non obbligatoria, anche se ormai in piena continuità con la primaria); ci sono genitori che rifiutano anche la scuola primaria in favore della “scuola paterna” con l’argomento, di per sé corretto, che non è la scuola, ma l’istruzione a essere obbligatoria, secondo l’art. 34 della Costituzione.
Questa scelta viene talvolta fatta in nome della libertà di decidere quale “imprinting” dare ai propri figli, quando hanno ancora un’età in cui sono i genitori a decidere per loro. Certo è un diritto dei genitori, come quello di sostituire la mensa scolastica con un panino portato da casa, se il motivo è ‘mangiare come vuole la famiglia’ ”.
“Sono diritti che in linea di principio vanno difesi” continua la Mignone, “anche se fossero dannosi a chi li rivendica. E che si rifanno al principio di autonomia, che protegge i punti di vista individuali oltre a quelli collettivi.
Ma attenzione: in una comunità, il bene individuale è indissociabile dal bene collettivo. Su questo punto si impernia, ad esempio, la recente posizione dei dirigenti scolastici piemontesi contro la sentenza che legittima il diritto delle famiglie a rifiutare la mensa scolastica in favore del pasto portato da casa”. Far sì che il pasto consumato insieme sia un momento educativo promuove valori che non sono altrettanto sottolineati là dove i bambini mangiano cose diverse, magari - è successo anche questo - in gruppi separati, in nome dei “diritti” della famiglia.
“Esiste poi il dovere” conclude la Mignone, “di interrogarsi sulle conseguenze delle scelte degli adulti sui bambini.
Si può forse lasciare ai figli la possibilità di un’esperienza educativa e scolastica meno ‘protetta’ ma più in sintonia con la complessità che devono imparare ad affrontare. Magari collaborando con la scuola, portando il proprio contributo di idee sui problemi che si ritengono più importanti. Ma evitando il rischio di far vivere i bambini in un’artificiosa ‘anticamera’ della vita reale”.
(1) Lorenzo Vendemiale, Il Fatto Quotidiano, 3 novembre 2015
(2) Legge 13 luglio 2015, n. 107
(3) Vedi: www.forumfamiglie.org
11-NATI PER LEGGERE
L’alfabetizzazione dei bambini
Parliamo ai nostri piccoli in “genitorese”: usando un tono leggermente più alto, scandendo le parole, pronunciando frasi semplici.
Un bambino che riceve letture quotidiane avrà un vocabolario più ricco, si esprimerà meglio e sarà più curioso di leggere e di conoscere molti libri.
a cura della Redazione
Rispetto a quarant’anni fa, i bambini di oggi, anche piccolissimi, ricevono molti più stimoli. I loro giochi parlano, interagiscono con loro, li incuriosiscono, e non stiamo parlando di tablet o di smartphone che arriveranno dopo.
Tutto ciò li spinge verso un’alfabetizzazione precoce al punto che, quando arrivano alle Elementari, i primi giorni si annoiano: “volevo imparare a leggere, a scrivere e invece mi fanno solo colorare disegni!”.
Stiamo parlando nei nostri figli, dei nostri nipoti e forse non cogliamo bene quanta ricchezza hanno avuto nei primi anni della loro vita.
Due psicologi dell’infanzia americani, scrive Annamaria Testa (1), “hanno calcolato che, entro i quattro anni d’età, un bambino povero” ha “sentito trenta milioni di parole in meno di un bambino abbiente della stessa età”.
Come mai? Perché “il linguaggio delle famiglie abbienti è più ricco di aggettivi e verbi al passato, comprende più conversazioni su argomenti proposti dai bambini (compresi i loro infernali “perché?”) ed è ricco di parole di incoraggiamento. Gran parte dei discorsi delle classi più povere, invece, ha carattere disciplinare (non fare questo!)”.
Come porvi rimedio se non si dispone un livello di cultura alto? Usando il “genitorese”: parlando comunque ai bambini, anche quando si è stanchi, usando “un tono più alto, parole scandite, frasi semplici”. Parlando, conclude la Testa, “in quella maniera che ci apparirebbe scema e insopportabile se non ci fosse lì in bambino piccolo al quale sembra del tutto normale, e attraente”.
I libri e i bambini
Un altro prezioso strumento è costituito dalla lettura, anche se il bambino non sa assolutamente leggere.
“II libro per un bambino è un oggetto reale, da tenere in mano, da toccare, da strappare, da. mordere... impara poi a sfogliarne la pagine, ma per lui non ha nessuna importanza tenerlo diritto o al rovescio” scrive Anna Peiretti (2), scrittrice. La prima cosa che lo colpisce “non è il testo, ma l'illustrazione… La lettura personale di un’illustrazione da parte di un bambino curioso gli fornirà stimoli anche inconsci, non immediatamente percepibili. Quando un'illustrazione è bella, allora si pone a davanti al bambino come un'opera d'arte da ammirare, da decifrare, da guardare con piacere. Si legge un libro con il bambino anche mostrandogli le figure, chiacchierando con lui davanti a quel che si vede”.
La Peiretti fa notare “che si legge anche con il volto. È l'espressione del volto che trasmette la storia insieme alla voce… Gli occhi della mamma e del papà manifestano ad ogni bambino l'amore e la tenerezza; sono come uno specchio in cui possono rivedere se stessi”.
Crescendo, il bambino diventerà interessato anche al contenuto della storia, imparerà “significati nuovi delle parole, parole nuove”.
“È il bisogno di ascoltare” conclude l’autrice, “forte come la fame, a precedere la lettura. Si tratta di uno dei bisogni interiori più importanti” di un bambino.
Nati per leggere
Alla lettura con e per i bambini è anche dedicato un sito, che ha proprio per titolo “nati per leggere” (3).
Ecco cosa scrive: “Leggere ad alta voce ai bambini fin dalla più tenera età è una attività coinvolgente: rafforza la relazione adulto bambino ed è la singola attività più importante che i genitori possano fare per preparare il bambino alla scuola. Un bambino che riceve letture quotidiane avrà un vocabolario più ricco, si esprimerà meglio e sarà più curioso di leggere e di conoscere molti libri”.
E continua: “La vostra voce è magia per il bambino. L'elemento che più conta è lo stare insieme, condividere la lettura come un'attività semplice. Non sono richieste doti particolari di bravura o di tecnica, è sufficiente seguire il testo e intraprendere con il bambino una lettura dialogica, ricca di scambi affettivi”.
Il sito contiene anche alcune indicazioni pratiche:
• eliminate le altre fonti di distrazione;
• tenete in mano il libro in modo che il vostro bambino possa vedere le pagine chiaramente;
• indicategli le figure, parlategliene; quando sarà più grande, fate indicare a lui le figure;
• leggete con partecipazione, create le voci dei personaggi;
• variate il ritmo di lettura: più lento o più veloce;
• lasciate che il bambino faccia le domande e cogliete l'occasione per rispondere anche oltre la domanda;
• lasciate scegliere i libri da leggere al bambino;
• rileggetegli i suoi libri preferiti anche se lo chiede spesso e questo ci annoia.
(1) esperta di comunicazione, testo tratto dal settimanale Internazionale, 26 gennaio 2015
(2) Anna Peiretti, animatrice di laboratori di lettura nelle biblioteche. Testo tratto dal settimanale diocesano di Torino: La voce del popolo, 23 novembre 2014
(3) Vedi: www.natiperleggere.it
12-SCUOLA E ALFABETIZZAZIONE: TESTIMONIANZE
CHE PIANTI!
Entrambi i nostri due figli hanno frequentato la scuola materna vicino a casa. Era una scuola statale con l'insegnamento della religione e le insegnanti erano molto dolci e preparate.
Il più grande non ha apprezzato molto questa esperienza e per un intero anno ha pianto parecchio; la più piccola è stata decisamente meno problematica perché veniva con me a portare e prendere il fratello maggiore.
Fiorenza e Antonio
NIENTE NIDO
Nessuno dei nostri figli è andato al nido, ma sono andati insieme alla scuola materna, e mi sembra che si siano trovati bene.
Abbiamo evitato il nido solo perché io ero a casa.
Franca e Mariano
L’INGLESE
Palavo alla primogenita anche in inglese e all’età di due anni ha incominciato a parlarlo anche lei: che gioia sentirle dire, mentre la vestivo “I love you mummy!”.
Tutte e due le figlie sono andate alla scuola materna: esperienza molto formativa e arricchente, per entrambe, grazie a delle insegnanti appassionate e professionali.
Carla e Mauro
I VIZIETTI DEI NONNI
Con il grande abbiamo inizialmente provato la strada del nido ma, alla fine, avendone la possibilità, abbiamo scelto di tenerlo a casa coi nonni. E lo stesso con la piccola.
È stata una scelta dettata sia da aspetti logistici ma anche affettivi.
Abbiamo scelto di lasciarli alle cure di chi sapesse, quasi meglio di noi, accudirli, coccolarli e…ahinoi, anche un po’ viziarli.
Se avessi potuto scegliere, a dire il vero, sarei stata di più io a casa con i miei bimbi ma il lavoro non me lo ha permesso.
Ora che il più grande va all’asilo, ho notato in lui un grande cambiamento, senz’altro dovuto alla sua crescita personale ma anche all’ambiente che frequenta. Credo che l’asilo, come la scuola, abbiamo grande importanza nella formazione di una persona.
Elena
CONGEDI PARENTALI
Sicuramente i congedi parentali, tenendo conto della società attuale, sarebbero da preferire al nido .
Invece, consideriamo la scuola materna un utile e indispensabile base del far vivere e crescere i piccoli in un clima di “Comunità”, di convivenza tra bambini. Se ci sono maestre capaci, la materna diventa fondamentale non solo per un buon avvio educativo e di istruzione scolastica, ma anche di comportamento, di assimilazione di ruoli, di apprendimento e formazione caratteriale.
Gloria e Dino
BABY PARKING
I primi due figli sono andati all’asilo nido a circa un anno di età, per necessità più che per scelta. Giuseppe non ha avuto particolari problemi di salute, mentre Giovanni si è ammalato molto spesso e a metà anno lo abbiamo tenuto a casa.
Per la nostra esperienza possiamo dire che dai due anni di età i bambini iniziano ad interagire coi loro coetanei, quindi l’asilo nido ha anche una valenza relazionale, prima invece è principalmente un supporto all’accudimento, un po’ meno costoso di una babysitter.
Senza dubbio avremmo preferito disporre di più congedi parentali per poter stare con i nostri figli fino al loro ingresso nella scuola dell’infanzia.
Quest’ultima ha un significativo valore formativo: i bambini imparano a stare assieme, a rispettare delle regole, a fare dei lavoretti e rappresenta un primo passo verso il mondo dell’educazione.
Daniela e Martino
FARE LA MAMMA
Lavorando presso una struttura di nido integrato, inizialmente trasferivo la mia esperienza professionale anche a casa, con il mio primogenito.
Quando però è stato capace di esprimere quello che gli piaceva fare, ho capito che era necessario modificare il mio approccio per permettergli di crescere come un soggetto libero e pensante: ero la sua mamma non l’educatrice!
Da quel giorno sono cresciuti i momenti di coccole, giochi senza fine, chiacchiere…
I nostri figli hanno frequentato entrambi l’asilo nido. Credo sia un ambiente educativo socializzante dove il bambino sperimenta e si relaziona con altri bambini alla pari.
È percepito sia da me che Fabrizio come l’anticamera della scuola dell’infanzia, dove il bambino consolida e plasma il suo essere sociale e pensante.
Deborah
FIGLIO UNICO
Giovanni non ha frequentato l’asilo nido, è stato con i nonni dopo l’anno di vita e poi ha iniziato la scuola dell’Infanzia con l’anno dei piccolissimi. Credo che la scuola dell’infanzia sia molto utile per socializzare, spronare i bambini e invitarli a rispettare le regole. Credo però che l’affetto dei nonni verso i nipotini non si possa paragonare al nido, anche se a volte questi arrivano ad assecondare anche troppo i loro nipoti.
La scuola materna comunque è stata importante per Giovanni per tanti motivi.
Si è fatto degli amici che prima non aveva (purtroppo è figlio unico) e ha imparato a parlare correttamente (a casa fino ai due anni e mezzo sillabava poco e parlava “a gesti”).
Loredana
LA SCUOLA MATERNA
Non abbiamo mandato i figli all' asilo nido perché mi sono sempre occupata io di loro.
Se potessi scegliere, preferirei più congedi parentali, perché credo che bisogna godere il più possibile del tempo trascorso con loro mentre sono piccoli. Per noi genitori la scuola materna è molto importante per la crescita completa dei nostri figli, perché imparano a staccarsi dall'ambiente famigliare e soprattutto da me mamma, socializzano con persone nuove, bambini e maestre, che imparano a conoscere e a rispettare.
Francesca e Mauro
Per il lavoro di coppia e di gruppo
Queste sono le domande che abbiamo posto alle famiglie che hanno collaborato a questo numero:
• Perché hai mandato/non mandato il tuo bambino al nido?
• Se potessi scegliere (pura ipotesi) preferiresti il nido o più congedi parentali?
• Quale valore attribuisci per il tuo bambino alla scuola dell'infanzia (materna)?
Se volete, potete farle vostre.
13-I BAMBINI E LA FEDE
Insegniamo a nostri figli a pregare, non solo a dire preghierine
Come portiamo i nostri piccoli ai giardinetti così li possiamo portare in Chiesa, far cogliere loro il silenzio, le luci delle candele, coltivare il loro stupore.
Con la bocca di bimbi e lattanti il Signore afferma la potenza della sua meraviglia. Cfr Sal 8
a cura della Redazione
Scriveva don Oreste Benzi, fondatore della Comunità papa Giovanni XXIII: “I vostri figli non seguono ciò che voi dite, ma quello che voi siete”. Ed esemplificava: “Un giorno portavo la comunione agli ammalati. Mentre davo Gesù a un ragazzo cerebroleso gravissimo, la mamma disse al fratellino di tre anni: “Dì le preghierine”. Lui obiettò: “Io non dico le preghierine”. Intervenni io dicendo: “Signora, Franchino non vuole dire le preghierine, vuole parlare con Gesù”, e mi raccolsi in preghiera in silenzio.
Franchino congiunse le mani e cominciò a parlare con Gesù, come poteva. Il bambino non “dice le preghierine” ma “prega”, e pregare è pensare a Dio volendogli bene, è lasciar venire in noi il buon Dio e dare spazio allo Spirito Santo che prega dentro di noi. Di tutto ciò, il bambino, il ragazzo, l’adolescente ha bisogno. Ma come un bambino impara a parlare vedendo e sentendo parlare, così impara a pregare vedendo e sentendo pregare” (1).
Insegnare la fede in famiglia
Non c’è un’età giusta per educare alla fede. Per questo cammino non basta far battezzare il bambino, serve accompagnarlo nel suo cammino di crescita condividendo con lui lo spazio che Dio ha nel nostro cuore.
Con il bambino piccolo lo strumento è la parola: come gli spieghiamo che un piatto si chiama piatto, così, di fronte ad un’immagine sacra, gli possiamo dire: questo è Gesù, questa è la sua mamma.
Come lo portiamo ai giardinetti così lo possiamo portare in Chiesa, fargli cogliere il silenzio, le luci delle candele, coltivare il suo stupore, ecc.
Ci sono però tre verbi che dobbiamo coltivare in noi e trasmettere a lui, soprattutto con la testimonianza: fidarsi, promettere, stupirsi (2).
Fidarsi
I bambini hanno bisogno di potersi fidare dei loro genitori, ma sovente noi adulti diciamo ma non facciamo, non abbiamo mai abbastanza tempo, ecc. Capita che un bambino dubiti che il suo papà arriverà in orario ad una recita, perché purtroppo succede.
E, quando succede, dobbiamo saperci scusare e dimostrare che gli vogliamo bene, anche se siamo arrivati in ritardo.
Dio ci vuole bene.
Aiutiamo i bambini a fare una piccola preghiera, da soli, davanti all’immagine di Gesù nella loro cameretta: “Papà Dio ci ha tanto amato, che ha dato per noi suo Figlio Gesù”.
Il momento più adatto è la sera, quando il bambino si consegna al buio della notte e all’ignoto del sonno. Si addormenterà con la certezza dell’amore non solo di papà e mamma ma anche di papà Dio e dell’amico Gesù. La loro compagnia è più forte di ogni paura.
Promettere
I bambini sperimentano che la forza delle relazioni, con coetanei ai giardinetti, alla scuola d’infanzia, con i fratellini, con papà e mamma, si fonda anche sulla capacità di farsi delle promesse di bene.
Dal segno convenzionale del pollice in su che segna il valore di un’amicizia fra piccoli, al bacio della buonanotte che ogni sera chiude in sigillo la promessa di amore che reciprocamente genitori e figli si scambiano: le promesse sono segni e gesti, prima che parole.
E quando le promesse non vengono mantenute, insegniamo e testimoniamo il perdono e la riconciliazione.
Stupirsi
Lo stupore è alla base di ogni atto conoscitivo del bambino, e apre in lui anche l’immaginazione. La via più facile di esprimere lo stupore è nel volto, e nelle domande.
Se le domande verranno accolte, suscitate ed apprezzate, lo stupore resterà una costante nella crescita umana del bambino, un atteggiamento positivo.
La domanda su Dio si esprime, spesso, come interrogativo sul senso dell’universo e, quindi, come interpellanza sul valore del vivere e del morire.
Come genitori, la risposta alla domanda religiosa la troviamo nella vita di Gesù, nella sua “buona notizia”.
Insegnare la fede in comunità
“Quando, parlando con qualcuno, catechisti, preti, genitori capita di citare la pastorale battesimale o pastorale 0-6 anni, lo sguardo di tanti interlocutori si incurva in un punto interrogativo: cioè?” scrivono don Michele Roselli e don Alessandro Marino (3).
“E quando continuando il dialogo si cerca di rispondere alla loro domanda, la reazione, in generale è suona così: …non basta il battesimo e poi la catechesi tra i 7 e 12 anni, che è già un cammino parecchio impegnativo per le famiglie e per le comunità parrocchiali?
Accanto a queste, però, è importante pure ascoltare la voce di alcune mamme e alcuni papa che, trasformati dalla gioia della nascita di un figlio e desiderosi di offrire il meglio al loro bambino, sentendo la responsabilità di guidare bene la sua crescita, si pongono grandi interrogativi”.
Infatti, continuano gli autori, “quando i bambini crescono, sono le loro grandi domande che continuano a sollecitare questa dimensione religiosa della vita familiare: dov'è il nonno che non c'è più? E se è in cielo perché io, nel cielo non vedo nessuno? Ma Dio è buono? Oppure si arrabbia? Ma io non lo vedo...
In questo caso, le domande dei bambini diventano le domande dei genitori: come possiamo dire Dio a nostro figlio? Con quali parole, gesti e attenzioni possiamo aiutarlo a credere?”
“Crediamo che proprio qui”, sottolineano gli autori, “trovi la sua ragione più profonda la pastorale 0-6 anni: le domande dei genitori che bussano alla porta delle nostre parrocchie per chiedere il Battesimo interpellano le nostre comunità parrocchiali, le sollecitano all'accoglienza e alla vicinanza, le stimolino a farsi attente al vangelo che anche esse ricevono dagli altri (EG, n.121).
Allora la pastorale 0-6 anni, prima fase del cammino di Iniziazione Cristiana, diventa un servizio per sostenere ed accompagnare i genitori nel loro compito di formare una chiesa domestica e nel diventare ciò che essi sono: primi educatori della fede”.
Proporre la pastorale battesimale” concludono gli autori, “non significa chiedere alle famiglie di fare una catechesi sistematica, che ha altri luoghi (la parrocchia) e altri tempi, ma aiutarli nel dare alla vita la forma della fede”.
Non essere di scandalo
Soprattutto, come genitori e adulti c’è una cosa che, in ambito di fede, dobbiamo evitare: scandalizzare i bambini.
Papa Francesco, in un’udienza generale dell’ottobre dello scorso anno (4), prendendo spunto da un versetto di Matteo “Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me…” (18,6), ha sottolineato che la “spontanea fiducia” che i bambini ripongono in Dio “non dovrebbe mai essere ferita, soprattutto quando ciò avviene a motivo di una certa presunzione (più o meno inconscia)” che abbiamo, come adulti, “di sostituirci a Lui.
Il tenero e misterioso rapporto di Dio con l’anima dei bambini non dovrebbe essere mai violato. È un rapporto reale, che Dio vuole e custodisce.
Il bambino è pronto fin dalla nascita per sentirsi amato da Dio, è pronto a questo. Non appena è in grado di sentire che viene amato per sé stesso, un figlio sente anche che c’è un Dio che ama i bambini”.
“Solo se guardiamo i bambini con gli occhi di Gesù possiamo veramente capire in che senso, difendendo la famiglia, proteggiamo l’umanità! Il punto di vista dei bambini è il punto di vista del Figlio di Dio”.
(1) Testo tratto dal giornale on-line In Terris, 16 agosto 2015
(2) Considerazioni tratte dalle “Schede per la Pastorale Battesimale 0-6 anni”, a cura degli uffici Catechistico, Famiglia, Liturgico, Servizio per il Catecumenato della diocesi di Torino, novembre 2014
(3) Direttori, rispettivamente, dell’Ufficio Catechistico e dell’Ufficio per la pastorale della famiglia di Torino. Testo tratto dal settimanale diocesano di Torino: La voce del popolo, 23 novembre 2014
(4) Testo tratto dal sito del Pontificium Consilium pro Familia.
14-TRASMETTERE LA FEDE: TESTIMONIANZE
BUONA VOLONTÀ
Il nostro è un piccolo paese e con un’unica messa alle nove del mattino.
Quindi, per noi, che amiamo godere del letto almeno un giorno alla settimana, è arduo buttarci giù dal letto e andare a messa.
Però alcune domeniche ce la facciamo!
I bimbi li abbiamo sempre portati con noi, da piccolissimi.
Da sempre armati di biberon, biscotti e giocattoli il meno rumorosi possibili, quasi sempre in ritardo e ben posizionati in uno degli ultimi banchi della piccolissima chiesa.
A dire il vero, molte volte noi e i poveri malcapitati attorno a noi ascoltiamo ben poco della messa, ma confidiamo che il Signore apprezzi la nostra buona volontà!
Per quanto riguarda le preghiere, sono una costante del tragitto mattutino in auto casa-asilo: segno della croce, Ave Maria, Padre nostro e preghierina della giornata. A volte, nel mezzo delle preghiere, i bimbi non sono molto presenti e chiacchierano tra di loro o commentano trattori e macchine che vedono per strada… ma insomma, siamo in via di miglioramento…
Elena
PREGARE INSIEME
Avevamo un librettino con parabole ed episodi della vita di Gesù adatti ai bambini a cui le nostre figlie si sono sempre mostrate molto interessate: si leggevano alla sera prima di dormire concludendo con la preghiera “Angelo Santo”.
Devo dire che quei momenti erano proprio intensi e belli . Quando la primogenita è arrivata ai 4-5 anni, siamo passati alle preghiere spontanee che lei inventava con la fantasia che l’ha sempre contraddistinta.
Siamo sempre andati a messa tutti insieme, fino all’adolescenza. Da allora Raffaella e Arianna hanno iniziato a frequentare gli scout cattolici e ad andare a messa col gruppo scout alla fine delle attività domenicali.
Da quando erano piccole, fino intorno ai 10 anni, abbiamo sempre recitato insieme le preghiere la sera prima di dormire; adesso rivendicano la loro indipendenza, asserendo che la loro preghiera è frutto di un rapporto personale con Gesù che non possono – o non vogliono? - condividere con noi.
Carla e Mauro
ANGELO DI DIO
Ale e Ser sono sempre venuti con noi alla Messa delle nove in Oratorio fin da piccoli, poi si fermavano a giocare con gli amici e noi a chiacchierare con gli altri genitori. Allo stesso modo è stato naturale imparare a pregare la sera prima di dormire e al mattino in macchina mentre si andava all’asilo.
A uno piaceva in particolare “...quella della pietà celeste…”.
Franca e Mariano
CONTRO CORRENTE
Le nostre opinioni sono un po’ controcorrente perché siamo genitori “adottivi” di bambini nicaraguensi e, nelle comunità rurali in cui operiamo, spesso non c’é né chiesa né sacerdote.
Noi pensiamo che i bambini considerino la chiesa, la messa, la religione come cose interessanti da conoscere e frequentare, ma senza obblighi.
Non crediamo che le orazioni siano un elemento fondamentale per crescere come buoni cristiani. Crediamo invece che ogni occasione di vita vada usata per far capire ai bimbi il valore del BENE e dell'AMORE verso gli altri.
Gloria e Dino
FARE I TURNI
Abbiamo portato i figli alla messa domenicale verso i quattro - cinque anni, prima ci andavamo a turno. Assieme abbiamo recitato le preghiere insegnandole appena erano in grado di parlare e le loro camerette sono state riempite con tanti angioletti e madonnine. Oggi sono grandi! Li affidiamo al Signore e confidiamo che tutto quanto abbiamo fatto possa aver lasciato un segno che serva ad orientare la loro vita.
Fiorenza e Antonio
UN MOMENTO DI PACE
Portiamo a Messa i nostri bambini da quando sono nati. Abbiamo sfruttato e apprezzato quelle chiese che hanno una cappella chiusa con una vetrata, usata dalle famiglie durante le celebrazioni, in cui i bambini possono muoversi liberamente ed essere anche un po’ rumorosi senza disturbare gli altri fedeli.
Da quando hanno iniziato a essere più tranquilli cerchiamo di posizionarci vicino all’altare in modo che possano seguire meglio la celebrazione.
Recitiamo tutti insieme la preghiera della sera fin da quando il primo figlio era piccolo e gli altri dovevano ancora nascere, è per tutti un bel momento di pace e tranquillità prima del riposo, e concludiamo con una preghiera di ringraziamento personale.
Daniela e Martino
CHIERICHETTI
La nostra famiglia è abbastanza attiva in parrocchia, la santa messa è un appuntamento a cui non manchiamo, i nostri ragazzi sono entrambi chierichetti. Quest’estate abbiamo partecipato per la prima volta al campo famiglia, è stata un’esperienza dove abbiamo approfondito il nostro legame familiare e interiore con Gesù. Abbiamo portato a casa alcune correzioni positive al nostro stile familiare, come la televisione spenta durante i pasti, la preghiera prima dei pasti e le preghiere serali personali… Siamo consapevoli che abbiamo ancora molta strada da percorrere, ma crediamo anche che con il sostegno di Dio e delle persone al nostro fianco riusciremo a continuare fiduciosi.
Deborah
IL SEGNO DELLA CROCE
Giovanni fino ad ora viene volentieri alla Messa come chierichetto, frequenta il catechismo e l’Acr. Anche se è tremendo, ama pregare con noi e fare il segno della croce all’inizio e alla fine della giornata.
Fino a tre anni ci siamo alternati per andare a Messa, poi lo abbiamo portato con molta sofferenza da parte mia in quanto non è stato mai fermo.
Vedo però (fino ad ora) che i valori che abbiamo cercato di seminare li sta portando avanti. Speriamo!! Certo che poi con l’adolescenza, non si sa!!
Loredana
DIO NELLA VITA
Cerchiamo di andare a messa tutti insieme, anche se quando erano molto piccoli facevamo i turni. A volte è una vera e propria impresa ascoltare la messa, ma al Padrone di casa fa molto piacere la loro presenza, e se disturbano troppo li portiamo fuori per un po’.
La sera prima di coricarci diciamo le preghiere insieme, e li invito a ringraziare Gesù per quanto è accaduto durante la giornata.
Quotidianamente faccio loro notare quanto sia presente Dio nella nostra vita: la casa, il cibo, i giochi, la mamma che sta sempre con loro, il lavoro del papà, il sole, sono tutti doni del cielo.
Francesca
Per il lavoro di coppia e di gruppo
Queste sono le domande che abbiamo posto alle famiglie che hanno collaborato a questo numero:
• Porti a Messa il tuo bambino?
• Quando lo hai iniziato alle orazioni?
• Lo hai iniziato alla preghiera personale?
Se volete, potete farle vostre.
Uomini e donne nella Bibbia
15-I BAMBINI NELLA BIBBIA
I bambini sono una presenza di gioia e di speranza
“Ho acquistato un uomo dal Signore!” (Gen 4,1): con questa esclamazione di gioia e di fede la prima mamma, Eva, la madre dei viventi, ha accolto la nascita del suo primo figlio. Questa è anche la fede di tutto il popolo di Israele. Nella preghiera canta: “Ecco, dono del Signore sono i figli, e sua grazia il frutto del grembo” (Sal 127,3). Nei libri della Scrittura la nascita di un figlio viene sempre narrata come un dono e una benedizione di Dio. I bambini sono di Dio, non proprietà degli adulti. Sono una presenza di gioia e di speranza.
Nelle pagine dell’Antico Testamento si coglie una grande attenzione per i bambini. Tuttavia non si fa dell’infanzia un idolo. Dai libri sapienziali i genitori sanno che l’educazione è un’arte difficile ma fondamentale. Anche a quell’epoca l’esperienza del vivere in mezzo a una società depravata che trascina al male rende i genitori pieni di preoccupazioni. Infatti sanno bene che “un figlio lasciato a se stesso diventa sventato” (Sir 30,8) e offrirà inevitabilmente campo libero alle inclinazioni negative che segnano la condizione umana fin dall’inizio dell’esistenza.
I libri sapienziali affermano che un segno tangibile del prendersi cura del figlio è “non prendere alla leggera i suoi difetti” (Sir 30,11); è educarlo con energia, più che coccolarlo: “Chi ama il figlio è pronto a correggerlo” (Prv 13,24).
Quando l’amore materno e paterno si fa sapienza educativa, porta a salvezza. Questa fondamentale esperienza familiare permette a Israele di comprendere il metodo educativo di Dio.
I bambini entrano nelle immagini con cui la Bibbia descrive il rapporto tra Dio e il suo popolo. Dio è un rifugio per i suoi figli e in nessun caso, oltre ogni apparenza, si dimentica di loro: “Sion ha detto: il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato. Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai” (Is 49,14-15).
La storia del popolo d’Israele trova nell’attesa di un figlio la speranza di un futuro migliore. Il figlio della promessa sarà il segno annunciato: “Il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la Vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele” (Is 7,14).
I libri del Nuovo Testamento narrano che il segno preannunciato dal profeta Isaia si è compiuto: Dio ha mandato il suo Figlio sulla terra per salvare gli uomini.
Gesù, il Figlio di Dio, rivela quale immenso valore ha ogni bambino.
Lo manifesta nascendo e vivendo bambino tra i bambini prima, e poi, da adulto, con i gesti e gli atteggiamenti della sua vita. Lo insegna con le sue parole, lo proclama con la sua morte e risurrezione.
Maria di Nazareth concepisce Gesù per opera dello Spirito Santo e lo porta in grembo per nove mesi. Lo dà alla luce a Betlemme, dove si è recata con lo sposo Giuseppe a causa del censimento ordinato da Cesare Augusto (cfr Lc 2,1).
Giuseppe accoglie con amore il figlio di Maria, gli dà il nome, si prende cura di lui e lo custodisce come padre premuroso.
Giuseppe e Maria, obbedienti alla legge di Mosè, lo portano al tempio per consacrarlo al Signore.
Gesù è bambino e vive da bambino fra i bambini.
Nella casa di Nazareth cresce sotto gli occhi di Maria e di Giuseppe ed è loro sottomesso: cresce in età, sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini (cfr Lc 2,52).
Gesù inizia la sua vita pubblica manifestandosi come l’inviato di Dio, il Cristo.
Dice alla gente: “Convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15). E, per far loro capire che cosa significhi convertirsi, prende un bambino, lo tiene affettuosamente fra le braccia e afferma: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 18,3).
Gesù invita a guardare i bambini come li guarda lui, con amore che va oltre la nostalgia e l’emotività.
Li pone davanti agli adulti come immagine dell’atteggiamento privo di malizia e carico di fiducia necessario per entrare in intimità con il Padre. I bambini infatti sembrano dire: non sappiamo, non possiamo, non abbiamo, ma aspettiamo tutto da voi.
Quanto fin qui è stato annunciato sui bambini alla luce della Parola di Dio, ha bisogno di diventare persuasione interiore di ogni padre e di ogni madre perché lo possano a loro volta trasmettere ai figli e tutti insieme proclamare un inno di fede, che colloca l’esistenza di ogni bambino nel mistero della salvezza di tutti gli uomini.
Fonte: CEI, Il catechismo dei bambini
16-PER APPROFONDIRE IL TEMA
I libri usati per realizzare questo numero
Pino Pellegrino, I primi sei anni da mamma e papà, Astegiano Editore, Marene (CN) 2012
Questo è un libro semplice, scorrevole, simpatico ed istruttivo.
Tutto nasce da una sensazione che molti genitori hanno: che non sia più possibile educare i propri figli. I media, la scuola, gli amici sembrano prevalere su ciò che insegnano i genitori. Ma c’è ancora una fascia d’età decisiva in cui i genitori hanno un ruolo importantissimo: i primi sei anni di vita in cui il bambino impara l’80 per cento di ciò che gli servirà nella vita.
Ecco alcuni punti trattati dal libro:
• Il bambino non è un animaletto da addomesticare ma è una “persona”;
• Come funziona la psiche del bambino;
• Quali sono i principali problemi che si incontrano: i capricci, le paure, le bugie, i “perché”;
• Perché vale la pena proteggerlo, amarlo, educarlo.
Alison Gopnik – Andrew N. Meltzoff – Patricia K. Kuhl, Tuo figlio è un genio. Baldini Gastoldi Dalai Editori, Milano 2003.
Darlene Sweetland – Ron Stolberg: Insegnare a pensare, Feltrinelli Editore, Milano 2016.
Si tratta di due libri autorevoli che si occupano dello sviluppo del cervello del bambino.
Il libro della Gopnik è, come dice il sottotitolo, una guida “preziosa” per scoprire come funziona la mente infantile, i suoi meccanismi di apprendimento sulle persone che lo circondano, sulle cose e sul linguaggio.
Ugualmente interessante il libro della Sweetland, anche se ha il “difetto” di coprire la fascia di età da 0 a 18 anni e quindi di “uscire” in parte dal tema affrontato in questo numero della rivista.
Jesper Juul, Il bambino è competente, Feltrinelli Editore, Milano 2003.
In che cosa un bambino è “competente”? Nel fare arrabbiare i genitori? Nel far perdere loro la pazienza? Nel fare l’opposto di quello che loro desiderano?
Lo scopo del libro è quello di farci comprendere che, nonostante le apparenze, i nostri figli sono in profonda sintonia con noi, sono disposti a mettere in gioco la loro “integrità” pur di “collaborare”con coloro che si prendono cura di loro.
Quando l’autore parla di integrità non intende solo quella fisica ma soprattutto l’autostima che il bambino ha di sé. Quando l’autore parla di collaborazione non si riferisce certo alle faccende domestiche. Il pianto viene sovente considerato dall’adulto tutto meno che espressione di collaborazione eppure, con esso, il bambino esprime il disagio che l’adulto ha dentro di sé ma che non può manifestare. Da leggere.
Alberto Pellai, L’educazione emotiva, Fabbri Editori, Milano 2016.
Laura Dozio, Cosa fare se mio figlio fa i capricci…, Editrice Elledici, Torino 2015
Due bei libri molto pratici per affrontare al meglio il cammino educativo con i bambini.
I testi differiscono soprattutto per lo sviluppo che danno al tema: scorrevole e articolato quello di Pellai, più immediato e semplice quello della Dozio. La scelta è legata quindi al tempo che si ha a disposizione per la lettura.
Entrambi i testi fanno riferimento alle neuroscienze, che sono diventate una componente fondamentale dell’ approccio interdisciplinare al tema dell’educazione e della comprensione delle esigenze dei nostri bambini.
Conferenza Episcopale Italiana, Il catechismo dei bambini. Lasciate che i bambini vengano a me, Roma 1992.
Un catechismo per i bambini più piccoli, che non sanno ancora leggere sembra fuori luogo. Infatti, pur essendo pensato per loro ha bisogno dell’intermediazione dei genitori, che sono i primi educatori alla fede.
La struttura è in parte simile a quella degli altri catechismi ma qui i disegni, molto semplici, e le foto abbondano. In questo modo il testo può essere messo in mano ai bambini e spiegato anche attraverso le immagini. Vi segnaliamo in particolare le 21 storie che il libro contiene, storie che attraversano tutta la storia della salvezza.
Scrive il cardinal Ruini nella presentazione: “Se aiutiamo i bambini di oggi a camminare da bambini alla presenza del Signore abbiamo posto la premessa migliore per il loro sviluppo armonico domani”.
17-CAMPI ESTIVI 2016
Tante belle esperienze per grandi e piccoli
Voltago 15-21 agosto
Questa estate la nostra famiglia ha vissuto per la prima volta l’esperienza di una settimana estiva per famiglie all’interno di un itinerario di pastorale familiare.
Da subito si è respirato un clima di amicizia e di pace, una settimana lontano dai ritmi frenetici della vita quotidiana, immersi nella natura e sicuramente ci ha aiutato ad entrare in sinergia con i compagni di viaggio e con Gesù.
Anche se, come famiglie, provenivano da diverse diocesi, anche lontane, eravamo però tutte accumunate dalla voglia di condividere, di arricchirci a vicenda e nutrire di linfa nuova la nostra fede con semplicità e umiltà. Insieme abbiamo scoperto che le difficoltà sono simili e le soluzioni sono possibili, che tutti possono insegnarci qualcosa e che pregare insieme migliora ognuno di noi.
Il tema della settimana è stato molto importante: “Dall’eucarestia domenicale alla quotidianità della vita familiare”, con relatore don Daniele, il nostro parroco.
La santa Messa alla sera serviva anche a raccogliere il frutto dell’intera giornata.
La presenza dei nostri figli è stata fondamentale per vivere appieno questa esperienza, la loro semplicità e la facilità con cui sanno fare comunità è stato un esempio per noi adulti.
Questa settimana, impegnativa per alcuni versi, è stata una risposta concreta alle esigenze della nostra famiglia, che aveva bisogno di essere sostenuta, di ritrovare l’entusiasmo, il tempo per stare assieme e crescere insieme con l’aiuto dell’amore di Gesù.
Debora
Voltago 21-27 agosto
La seconda Settimana Estiva dei Gruppi Famiglia a Voltago Agordino dal 21 al 27 agosto ha avuto un buon numero di partecipanti.
La tematica svolta dalla professoressa Gabriella Del Signore è stata: "Da Mosè a Gesù". Il sacerdote che ci ha accompagnato e guidato spiritualmente e stato don Sandro Dussin.
Nelle relazioni abbiamo visitato la vita di Mosè affiancandola a quella di Gesù come logico completamento del messaggio di JHWH.
Come nell'Esodo si racconta che il Faraone aveva perso la memoria di Giuseppe, l'ebreo che aveva salvato l'Egitto dalla carestia, anche a noi il Signore ricorda l'importanza della memoria nei suoi vari aspetti; come persone, come coppie, come famiglie. Il ricordare le cose belle, ma anche quelle difficili, vissute insieme, che ci hanno fatto maturare, che hanno contribuito a farci diventare quella persona che siamo ora, è stato molto importante.
Come Mosè ha fatto un lungo cammino per incontrare Dio, così anche noi siamo invitati da Gesù a camminare verso il Padre. Siamo abituati ad organizzarci autonomamente la nostra vita, come è giusto, ma poi la realtà si presenta ogni giorno diversa, le situazione mutano ed è lì che dovremo fidarci della provvidenza, imparare a metterci nelle mani di Dio ogni giorno.
La settimana, composta da coppie fedeli, che ogni anno non mancano, e coppie giovani che si sono aggiunte, è passata in fretta tra preghiere, riflessioni, serate in allegria e le belle poesie in rima di Giacinto.
Fiorenza e Antonio Bottero
Bessen Haut
Seppure in qualche modo abituati a parlare “in pubblico”, l’organizzazione di un campo famiglie come quello di Bessen Haut 2016, che prevedeva due interventi al giorno per cinque giorni consecutivi, non ci aveva mai toccati prima dell’invito di Corrado e Nicoletta.
Invito che è stato fatto prima con una telefonata, seguito poi da un incontro a casa nostra. Questo approccio ci è piaciuto molto, perché ci ha svelato in anticipo quell’ambiente di “casa” che avremmo trovato a Bessen.
Il tema che eravamo stati chiamati a trattare era quello della “Misericordia in famiglia”. Di questo argomento avevamo già parlato ad altre famiglie in un week-end, ma ci chiedevamo se saremmo stati in grado di svilupparlo in un campo di cinque giorni senza ripeterci, senza annoiare, senza scadere nel banale.
Inutile dire che le nostre perplessità si sono sciolte fin dalla prima mattinata di incontri, complice la bellissima giornata di sole, ma soprattutto il clima di famiglia che immediatamente si è creato tra le coppie.
Se il clima meteorologico si è mantenuto sereno per quasi tutta la settimana, quello tra le famiglie è stato stabilmente orientato al bello, cosa questa non sempre scontata.
Per noi questa settimana è stata veramente un dono del Signore, che ha ripagato la nostra fatica di preparare gli argomenti delle conversazioni e delle meditazioni con il “centuplo” che solo Lui sa dare, fatto di relazioni bellissime, vissute nella calma delle montagne intorno a noi, di tempo trascorso intensamente ma senza affanni, di sguardi che andavano oltre le parole.
Queste relazioni non si sono concluse tornando alle nostre case, ma continuano ancora oggi, in diverse forme, dal gruppo Whatsapp creato appositamente, alle notizie che arrivano dai ragazzi, dalla rimpatriata al ricordo nella preghiera.
Paolo e Gabriella
Nocera Umbra
Partecipare ad un campo famiglia è sempre una esperienza arricchente. Sia che la tua partecipazione sia da animato, animatore, aiuto cuoco o semplice amico di passaggio.
Al timore 'sano', di immergerti e condividere una settimana con altre famiglie... altri e altro da te, prevale sempre la voglia di metterti in gioco, di darti del tempo per donare e ricevere, uno spazio per il Bene-essere, per ritrovarti e ritrovare l'armonia con te stesso, gli altri, il creato e Dio.
Non a caso i gruppi famiglia, e coloro che li organizzano, cercano di far vivere quest'esperienza in luoghi e con tempi che aiutino proprio a raggiungere questo scopo.
Quest'anno ho partecipato al campo di Nocera Umbra, un tipico paesino arroccato su di una collina dell'Appennino Umbro. La caratteristica di questo campo è che è itinerante: ogni giorno dopo la colazione e la preghiera le famiglie al completo, gli animatori e le cuoche salgono in auto e si va a visitare e sentire la testimonianza di chi, in quei luoghi, vive la sua vocazione speciale.
I temi avevano un filo conduttore, pensato da Antonella e Renato Durante e Giamprimo ed Ernesta Brambilla, ma erano anche intrisi dell'esperienza di coloro che di giorno in giorno li annunciavano... portavano la loro impronta.
A me rimane, al termine di questa settimana, una grande eredità, fatta di una consapevolezza nuova, o meglio rinnovata, che è ben sintetizzata nelle parole di padre Turoldo: “ I veri legami non sono quelli del sangue ma quelli dell'affetto, dell'amicizia, del rispetto reciproco...”.
Partecipare ad un campo famiglia, ti fa risaldare questi legami e riprendere slancio per continuare a viverli con la stessa intensità, anche ritornati a casa e reimmersi nella quotidianità.
Un pensiero e una preghiera intensa va ora per quelle persone che sono ancora provate dalla terra che trema.
Paola Bolzonello
18-PER CONCLUDERE
Noi crediamo in un solo Dio
Padre onnipotente
che continua e compie in ogni bambino
la sua creazione.
Noi crediamo in un solo Signore, Gesù Cristo
che per opera dello Spirito Santo
si è incarnato nel seno della Vergine Maria
c si è fatto uomo.
Per la salvezza di tutti noi e di ogni bambino
ha patito è morto è risuscitato
secondo le Scritture
e vuole compiere in ogni bambino
la sua redenzione.
Noi crediamo
nello Spirito Santo
che offre ad ogni bambino la vita nuova,
la vita divina.
Fonte: CEI, Catechismo dei bambini