Foglio di collegamento tra Gruppi Famiglia
GF105 – luglio 2020
30 anni di Grazia
L'anniversaio del Collegamento
Lettere alla rivista
1-DONNE, LAICHE E CHIESA
Serve una maggiore sinodalità
Perché i laici sembrano contare così poco nella Chiesa? È colpa del loro scarso impegno/formazione o dei presbiteri che non lasciano loro spazio?
Lauro
Andare alla ricerca delle “colpe” della relazione pastorale problematica fra clero e laici è impresa difficile e non sono in grado qui di affrontarla correttamente. Colgo l’occasione, tuttavia, per offrire qualche riflessione sul tema del laicato nella Chiesa.
Racconta Micaela Murgia, scrittrice che, al termine di un incontro sul tema “Donne e chiesa: un risarcimento possibile?” intervenne un giovane sacerdote il quale, piuttosto allarmato da quanto si andava dicendo, affermò di condividere le riflessioni ma, nello stesso tempo, dichiarò che le sue parrocchiane erano tutte tenute in grandissimo conto e, che lui, non aveva motivo di chiedere risarcimenti. Lui poteva vantare il supporto di molte collaboratrici nell’attività parrocchiale.
“Con perfetto tempismo – racconta la Murgia – un’anonima voce femminile si levò dalla platea e scandì, seccamente, questa memorabile chiosa: “Per pulire, don Marco!’” (1).
Il fatto mette il dito sulla piaga. Non è l’Ordine, infatti, l’unico sacramento a garantire lo Spirito santo nell’ascolto e nella presa di decisioni. È piuttosto il Battesimo a compaginare un Corpo con diverse membra, la cui possibilità di movimento sorge solo dalla loro cooperazione e dalla loro reciprocità (Evangelii gaudium 104).
La questione si pone, in particolare, per quanto riguarda la valorizzazione della donna, la cui presenza nella Chiesa è maggioritaria. La sua partecipazione nell’organizzazione a livello decisionale, però, è molto scarsa, quasi invisibile.
Esistono esperienze, soprattutto fuori Europa, in cui sono attribuite alla donna responsabilità decisionali, ad esempio a livello di vicariati che attestano una diversa modalità di guida degli stessi cammini pastorali portati avanti dagli uomini.
Si constata che le donne – diversamente dagli uomini – hanno un altro stile relazionale: non cercano di imporsi, convocano le persone per ricevere suggerimenti e questo permette alla comunità tutta di essere soggetto sinodale e decisionale. La sensibilità nei confronti dei drammi umani, la partecipazione nella Chiesa, hanno radici più nell’intuito femminile che nell’autorità di governo.
Perché, dunque, non cercare di perseguire la prospettiva di coinvolgimento delle donne e degli uomini laici nella sinodalità? Perché non conferire alle donne, una presenza e un ruolo nella Chiesa che le inserisca nella sua struttura ufficiale?
don Giovanni Villata
1 Micaela Murgia, Ave Mary. E la Chiesa inventò la donna, Einaudi, Torino, 2012, 3-5.
Dialogo tra famiglie
2-NEL DOLORE COLTIVIAMO LA SPERANZA
Le famiglie, il coronavirus e la preghiera domestica
In questi tempi di coronavirus abbiamo riscoperto la preghiera domestica. Che valore dobbiamo dare a questo tipo di esperienza?
Gina
Come per tutto ciò che compone la nostra vita, personale e sociale, ci accorgiamo del loro valore quando ci vengono meno. Quando ci è stato impedito di partecipare ai Riti forse ci siamo ricordati che “dove due o più sono uniti nel Mio nome, Io sono in mezzo a loro” e questo ci ha responsabilizzato come laici, spingendoci ad immaginare e costruire liturgie domestiche (anche adatte ai nostri bambini): la benedizione della mensa, la sintesi della giornata per ringraziare e/o chiedere perdono prima del riposo, ecc. Abbiamo fatto affidamento a piccole comunità virtuali per ascoltare la Messa celebrata (ogni giorno dal Papa a Santa Marta o da qualsiasi altro sacerdote la domenica) o aiutandoci fra noi: anche i gruppi famiglia hanno condiviso la lectio o la lettura della Parola con videochat, facendoci intercessori per tutti!
In questo periodo così doloroso per tanti, la Fede è stata messa alla prova: chi pregava per un intervento che ci liberasse dal flagello è forse rimasto scandalizzato dal silenzio di Dio… ma questo ha purificato la nostra Fede.
Il Padre che si nasconde nelle pieghe del dolore umano è difficile da afferrare ed amare, ma questo ci aiuta ad avvicinarci un po’ di più al Suo mistero: mistero di un Dio che assume su di sé il male e il dolore di ogni uomo e lo fa diventare “resurrezione e vita”, quindi speranza certa!
Anna Lazzarini
Editoriale
3-TRENT’ANNI INSIEME
Per un nuovo inizio del Collegamento
di Noris e Franco Rosada
Se siamo nei GF è perché abbiamo fatto una scelta, abbiamo incontrato qualcuno che ci ha fatto scoprire meglio Gesù, che ha dato un nuovo senso alla nostra pratica religiosa, al nostro essere cristiani, al nostro impegno verso gli altri.
Ma la vocazione va coltivata.
Come sposi lo sappiamo bene. Non si è sposati una volta per tutte ma giorno dopo giorno. Se non facciamo così il matrimonio diventa abitudine, routine e, in un mondo che ogni giorno ci provoca, la tentazione di tradire le promesse può farsi forte.
L’esempio del matrimonio vale anche per la fede. Anche la fede può diventare abitudine, routine.
Come si ravviva un matrimonio? Con l’attenzione verso l’altro, con lo scoprire ogni giorno le sorprese che l’incontro con l’altro ci riserva, col dire ogni giorno “ti voglio bene”.
Come si ravviva la fede? Incontrando il Signore, scoprendo ogni giorno la bellezza dell’incontro con Lui.
Ma mentre il nostro sposo/sposa l’abbiamo fisicamente a fianco, l’amicizia con il Signore richiede un impegno diverso. Il Signore non è ingombrante, se non lo si cerca non lo si incontra, è un amico discreto.
Come fa a finire un’amicizia? Lo sperimentiamo in questi tempi di quarantena. Se non mi faccio vivo per telefono con una certa persona vuol dire che il mio interesse nei suoi confronti è basso, non è essenziale per la mia vita.
Così la nostra amicizia con il Signore va rinnovata ogni giorno “telefonandogli”. Il telefono si chiama preghiera, si chiama lettura e riflessione della Sua Parola, si chiama discernimento.
È quello che come GF siamo chiamati a fare.
Però, prima di chiederci se ha senso o no continuare nell’impegno di animare gruppi di sposi dobbiamo chiederci che senso ha il nostro essere cristiani.
Possiamo aver trovato altre modalità più congegnali per servire le vocazioni matrimoniali, per curare la nostra relazione di coppia, ma possiamo anche continuare nel nostro impegno per abitudine, per non “perdere la faccia”, per routine.
Vale per la fede quello che vale per il matrimonio: chi me lo fa fare a vivere con quella persona?
Può capitare che dietro la domanda: “chi me lo fa fare a praticare la carità nei confronti di altri sposi?” ce ne sia un’altra: “chi me lo fa fare a credere?”
Così viviamo con Gesù come da separati in casa. All’esterno pratichiamo i sacramenti, prestiamo servizio in parrocchia ma nel quotidiano pensiamo ad altro, ai nostri affari, a stare “bene”, a stare sempre meglio.
Abbiamo bisogno di riscoprire, dopo dieci, venti, trent’anni di impegno che quello che serve è riscoprire Gesù, la sua Parola, ridare senso alla nostra pratica religiosa.
4-Come leggere questo numero
Al contrario del solito, in cui la Parola di Dio, con la rubrica Uomini e donne nella Bibbia, fa da sigillo al numero, questa volta costituisce l’apertura del numero.
Grazie ad un incontro che possiamo dire provvidenziale, abbiamo partecipato all’incontro interdiocesano delle famiglie missionarie del Piemonte e qui abbiamo avuto modo di ascoltare la relazione di Laura Verrani, teologa, sulle famiglie missionarie nella Bibbia.
Quale migliore apertura per questo numero che, se da una parte vuole festeggiare i trent’anni del Collegamento tra Gruppi Famiglia, dall’altra vuole provare a rilanciare questa esperienza.
L’intervento della Verrani ci ha ricordato l’importanza del ruolo dei laici nella Chiesa e, su questo tema, vi proponiamo un’articolata riflessione, dal Concilio fino ad oggi.
Con papa Francesco il ruolo dei laici ha avuto una rinnovata attenzione: ma siamo preparati? Non è solo una questione di tecnica o di formazione, è una questione di fede.
Vi invitiamo quindi a riscoprire una realtà che ci segna nel profondo e che forse trascuriamo: la coscienza. E la coscienza cristiana si nutre della parola del Suo Signore.
Questa è l’occasione per riscoprire la preghiera, che non deve essere solo un recitar formule ma incontro con il Maestro, e un metodo antico che i Gruppi Famiglia hanno da sempre proposto: la lectio divina.
La fede cristiana non ha solo una dimensione verticale ma anche una orizzontale: non basta amare Dio se non si ama anche il prossimo.
In un mondo segnato da una frammentazione delle esperienze e degli stili di vita, non serve più una risposta standardizzata, come quella che si proponeva in epoca di cristianità, ma una risposta articolata, caso per caso.
Qui entra in gioco l’arte del discernimento, capire “qui ed ora” come coniugare la misericordia con la verità.
Uno strumento pratico è quello della revisione di vita, un altro metodo che i Gruppi Famiglia hanno da sempre proposto.
Dedichiamo anche un piccolo spazio alla formazione. Anche se ogni numero della rivista va in questa direzione, abbiamo voluto ribadirne l’importanza.
Non potevano, infine, mancare nel numero le testimonianze di alcuni di voi sul nostro modo di essere laici nella Chiesa oggi.
Uomini e donne nella Bibbia
5-FAMIGLIA: SOLO CHIESA DOMESTICA O MODELLO PER LA CHIESA?
È la chiesa che deve essere come la famiglia perché è la famiglia che ha dato forma alla chiesa. La vita domestica è stata la culla della vita ecclesiale.
di Laura Verrani*
In un blog cattolico “tradizionalista” mi sono recentemente imbattuta in un’affermazione che mi ha molto colpito.
Commentando il tema della possibile ordinazione di uomini sposati emersa nel Sinodo sull'Amazzonia la blogger così scriveva: “Alcuni sono chiamati ad un rapporto sponsale esclusivo con il Signore e a quelli di loro che vivono fedelmente la chiamata è dato di diventare davvero capaci di generare vita in un modo inimmaginabile, illimitato, negato a chi ha una famiglia”.
Se questo fosse vero, non ci sarebbero famiglie sensibili al tema dell'evangelizzazione e della missione, e io credo invece che ce ne siano, e ce ne sono sempre state (A).
La stessa Parola di Dio attesta che sia più che legittimo parlare di evangelizzazione e di missione - e dunque di fecondità apostolica - anche nell’ambito della dimensione familiare.
Il Nuovo Testamento ci mostra che esistono coppie che hanno avuto una fecondità apostolica, famiglie che sono state impegnate nella grande avventura della missione della Chiesa della prima ora.
Qualcuna di queste famiglie è molto conosciuta, qualcun'altra meno.
Gli “apostoli” di Paolo
Siamo al capitolo 16 della lettera ai Romani, il capitolo conclusivo, in cui Paolo saluta un sacco di gente e i primi ad essere citati - lui sta scrivendo alla comunità di Roma che non conosce direttamente – sono proprio Prisca e Aquila. Paolo però saluta in questo capitolo altre due coppie.
La prima, al versetto 7, è quella di Andronico e Giunia, di cui Paolo dice: “miei parenti e compagni di prigionia; sono apostoli insigni ed erano in Cristo già prima di me”.
Paolo definisce questi sposi con un appellativo che da sempre mette in crisi i teologi: “apostoli”.
Da un certo punto della sua storia, la Chiesa affermerà che gli apostoli sono solo i 12 e i successori di questi dodici sono i vescovi. Invece Paolo non ha nessun problema a definire apostoli, e apostoli insigni, questa coppia di sposi.
La seconda coppia viene salutata al versetto 15: “salutate Filologo e Giulia, Nereo e sua sorella Olimpia e tutti i santi che sono con loro”. Secondo molti esegeti Filologo e Giulia sono una coppia, Nereo e sua sorella sono i loro figli (B).
Quindi sono ben tre le realtà familiari citate e salutate nella lettera ai Romani, lettera che è forse la più importante di tutto il Nuovo Testamento.
Aquila e Priscilla
Ora andiamo a conoscere più da vicino Prisca e Aquila. Di queste tre coppie sono i più noti perché se ne parla anche in altre lettere: la prima lettera ai Corinzi, la lettera a Timoteo, gli Atti degli Apostoli al capitolo 12. Quindi è una coppia veramente molto conosciuta nella Chiesa della prima ora.
Noi normalmente diciamo Aquila e Priscilla. Però in tutte le citazioni nel Nuovo Testamento (salvo una) si parla di Prisca e Aquila (Priscilla è il diminutivo di Prisca).
Quindi in questa coppia - questo non lo dico io perché sono una donna ma lo dicono proprio gli studiosi - l'elemento trainante dal punto di vista apostolico era la moglie, Prisca.
Ciò fa parte dell’esperienza di coppia. Quando si è entrambi impegnati attivamente in tante cose, pastorali e non, pur essendo insieme, ci sono tonalità differenti, c’è sempre uno più esposto. Non potrei fare il mio servizio di teologa se non avessi alle spalle un marito con cui condivido tutto (C).
La prima caratteristica di Prisca e Aquila è che sono definiti da Paolo “miei collaboratori in Cristo Gesù”. Paolo li considera suoi collaboratori, alla pari con lui, non in un ruolo subalterno.
In questo caso l'italiano rende perfettamente la parola greca che è presente nel testo originale perché ne è il calco perfetto. Collaboratori è una parola che contiene la preposizione “con”, esattamente come nel Greco synergoùs c'è la preposizione syn (D).
Paolo, infatti, pensa sempre se stesso inserito in una rete di collaboratori, di figure che lui cita, riconosce e promuove.
Seconda considerazione. Paolo dice di loro: “per salvarmi la vita hanno rischiato la loro testa e a loro non soltanto io sono loro grato ma tutte le chiese del mondo pagano”.
Non è gente che fa un piccolo servizio, sono persone a cui tutte le chiese del mondo pagano sono debitrici (E).
Se seguiamo i loro spostamenti tra le lettere e gli Atti degli Apostoli, vedremo che da Roma si spostano a Corinto, da Corinto si spostano ad Efeso, da Efeso tornano a Roma.
Un solo viaggio è causato dalla persecuzione, in tutti gli altri casi molto verosimilmente si spostano perché sono fabbricanti di tende, sono commercianti.
Però, mentre si spostano per lavoro, la loro vita apostolica si amplia. Di qui la riconoscenza di tutte le chiese del mondo pagano.
Ma l’aspetto che più mi colpisce è che hanno rischiato la loro testa. Questo vuol dire che erano gente seria, quando rischi la testa vuol dire che fai proprio sul serio.
Noi questo quasi certamente non l’abbiamo fatto. Oggi, in Italia, non rischi la vita però, ad essere cristiani seri, forse rischi la carriera perché fai delle scelte lavorative, delle scelte economiche che probabilmente sono un po' alternative rispetto ai comportamenti della maggioranza. Di conseguenza stai sul lavoro in un altro modo e questo ti penalizza, non solo nel lavoro ma anche nello stipendio. A noi non tagliano la testa però quando non arrivi a fine mese è la tua vita che in gioco (F).
La Chiesa domestica
Poi Paolo aggiunge, al versetto 5: “salutate anche la comunità che si riunisce nella loro casa”.
La parola comunità in greco è ekklesía cioè chiesa. Ciò non dovrebbe stupire perché sappiamo che sia nel primo secolo sia nel secondo non c'erano edifici di culto pubblico (G).
Le chiese nei primi secoli non c'erano, solo quando finirà la persecuzione i cristiani incominceranno a rendere pubblica la loro fede convertendo al culto gli edifici pagani
Inizialmente l'Eucaristia, la frazione del pane - lo dicono anche gli Atti degli Apostoli - si celebra nelle case.
Questo ci permette di affermare che la Chiesa è nata nelle case. Quando sento dire che la famiglia è chiamata ad essere una “piccola chiesa” mi irrito un po’ perché è il contrario di ciò che ci insegna la storia.
Non è la famiglia che deve essere come la chiesa, è la chiesa che deve essere come la famiglia perché la famiglia ha dato forma alla chiesa. La vita domestica è stata la culla della vita ecclesiale.
Coppia formatrice
Un'ultima considerazione, che però ricavo dal capitolo 18 degli Atti degli Apostoli.
Al versetto 26 si dice che mentre Prisca e Aquila sono ad Efeso arriva un personaggio che si chiama Apollo. Apollo è un giudeo che conosce benissimo la Sacra Scrittura ed è anche un po' cristiano, anche se non è chiaro come.
Apollo, appena arrivato, fa faville perché è molto bravo a parlare. “Priscilla e Aquila lo ascoltarono poi lo presero con sé e gli esposero con maggiore accuratezza la via di Dio”.
Apollo sarà una figura apostolica molto importante ma ora ha ancora molto da imparare.
A completare la sua formazione ci pensano Aquila e Priscilla. Sono anche formatori. Hanno l'occhio e l'orecchio attento per rendersi conto di quando manca qualcosa.
Questo serve molto anche oggi, ci sono tanti cristiani che sono convinti di cose sbagliate, che magari con le migliori intenzioni, con tanta buona volontà, pensano delle cose che la Chiesa non ha mai detto. Manca a volte proprio l'ABC della vita di fede.
Per essere formatori, per poter mettere le giuste fondamenta nella vita di fede della gente bisogna essere “formati” anche se non è necessario laurearsi in Teologia (H).
I discepoli di Emmaus
Adesso vorrei proporre figure di famiglie di cui si parla in alcune pagine del Nuovo Testamento, che non siamo soliti pensare che riguardino le coppie e le famiglie. Invece in alcuni casi molto probabilmente ci sono, in altri casi sicuramente ci sono.
Prendiamo il capitolo 24 del Vangelo di Luca, il brano dei discepoli di Emmaus.
Quei due discepoli probabilmente sono una coppia. Questo lo si può dedurre dal nome di uno dei due: Cleopa. È un nome femminile, ha solo assonanza con Cleofa che è probabilmente il marito o il padre o il fratello o il figlio di quella Maria che stava sotto la croce. Cleopa invece è il diminutivo di Cleopatra, che mai nessuno ha pensato fosse un uomo.
Non è universalmente riconosciuto che Cleopa sia una donna (1), ma non ci dovremmo stupire perché Luca ha una grande attenzione alle figure femminili.
Non stupisce nemmeno che abbia detto il nome di chi dei due era il più significativo.
Sarebbe bellissimo perché vorrebbe dire che il Risorto si è manifestato ad una coppia, una coppia che stava attraversando un periodo di crisi perché, dopo aver seguito Gesù per tre anni, avevano visto svanire tutte le loro speranze.
Di questo racconto vorrei soffermarmi solo sui versetti finali. Dopo aver attraversato il suo momento di crisi, di dubbio, questa coppia alla fine esce di casa, si rimette in cammino, e va a raccontare. Si fa evangelizzatrice.
Qual è il contenuto della loro evangelizzazione? Quale deve essere il contenuto della nostra evangelizzazione? Luca scrive: “essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare del pane”. Raccontano quello che hanno vissuto! (I).
Per evangelizzare fondamentalmente serve vivere. Serve aver vissuto, e come, in quello che abbiamo vissuto, lo abbiamo riconosciuto. Serve vivere e serve che, mentre vivi la tua vita normale, mentre incontri le persone, ti accorgi che il Signore è lì con te.
Sette volte sette
Passiamo ora ad un altro testo in cui è innegabile che siano presenti coppie e di famiglie.
Il capitolo 18 del Vangelo di Matteo è un testo fondamentale per la vita della Chiesa perché è il cosiddetto discorso ecclesiale di Matteo. Scopriamo in quale contesto questo discorso vien fatto.
“In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: chi è dunque il più grande nel regno dei cieli?”. A questa domanda Gesù risponde con un gesto: “Allora chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: in verità io vi dico se non vi convertirete come i bambini…”.
Gesù non trova “il” bambino ma “un” bambino, cioè lì c’erano parecchi bambini e se ci sono bambini ci saranno mamme, ci saranno papà, ci saranno famiglie.
Gesù tiene il suo discorso alla Chiesa rivolgendosi a delle famiglie.
Tutto quello che dice si può, infatti, tranquillamente declinare nella vita familiare; “dove due o tre sono riuniti nel mio nome…” (M).
Pensiamo anche alla domanda di Pietro (18,21): “Quante volte devo perdonare: sette volte?” No, risponde Gesù, settanta volte sette!
Questa domanda tradisce un retroterra familiare perché chi può darti fastidio sette volte? Sette volte significa tutti i giorni, nessuno escluso. Questo non succede nemmeno al lavoro, dove in ogni settimana c’è almeno un giorno di riposo.
Se tu devi perdonare qualcuno sette volte vuol dire che tu ci vivi insieme!
La casa di Pietro
Cambiamo Vangelo. Nel vangelo di Marco il primo atto pubblico di Gesù è chiamare due coppie di fratelli. I primi discepoli sono due coppie di fratelli: Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni. Questo vorrà pur dire qualcosa!
Dopo, essendo sabato, vanno in sinagoga e, quando escono, vanno a casa di Pietro. La suocera di Pietro è malata.
Gesù entra da subito nelle case, lì trova una vita familiare che ha bisogno di lui e la trasforma perché quella donna, liberata dalla febbre, li serviva.
La vecchia traduzione diceva “si mise a servirli” ma è una traduzione sbagliata perché il tempo del verbo in greco non è un aoristo, cioè un passato remoto, ma un imperfetto.
Tradurre “li serviva” è più corretto perché l'imperfetto ci dice un'azione che continua, imperfetta, non conclusa.
Da quel momento la suocera di Pietro si mette a servizio: dei discepoli, del Vangelo, di Gesù.
Tutti i segmenti della vita familiare sono coinvolti nell'avventura di essere catturati dal Vangelo.
La missione della coppia
Ma qualcosa lo possiamo trovare anche nel Primo Testamento, agli inizi di Genesi. Infatti, Gesù non si inventa uno stile nuovo, Gesù realizza quello che Dio aveva già in mente quando creava il mondo.
Nel primo racconto della creazione, al sesto giorno Dio crea l'uomo e la donna, maschio e femmina e dà loro questo mandato: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici, su tutti i rettili che strisciano sulla terra”.
Noi oggi troviamo questo testo, grazie ad una nuova sensibilità che abbiamo riscoperto, un po' antiecologico.
Però dobbiamo comprendere il vero significato del comando “dominate”.
Il verbo ebraico è radà, che sarà usato anche in molti altri passi dell'Antico Testamento per indicare l’azione di Dio nei confronti del mondo.
Nei simbolici sette giorni descritti in Genesi Dio crea il mondo, lo porta alla vita.
Quindi, quando Dio dice “dominate” non mette il mondo nelle mani degli uomini, perché ne facciano quello che vogliono, ma sta loro dicendo di stare al mondo come portatori di vita, e non tanto in termini puramente biologici.
Adamo ed Eva in quel momento non hanno ancora figli. Li avranno poi, al capitolo 4 di Genesi.
La vera fecondità di coppia precede la fecondità biologica ed è contenuta in questo mandato di responsabilità per il mondo. Alla coppia umana, alla famiglia umana appena nata, Dio mette in mano il mondo (N).
Attualizzando, è come dicesse loro: state in casa vostra con le finestre aperte perché fuori c'è tutto il mondo e voi ne siete responsabili.
Questa è la radice dell'evangelizzazione, della missionarietà. Dio affida alla coppia una missione nei confronti di tutto quello che la circonda. Questa fecondità non è un optional, è una precisa richiesta. Se una coppia non vive con le finestre aperte prima o poi diventa asfittica, non respira, muore (O).
Un esempio di ciò è riferibile alla casa di Pietro, di cui dicevamo prima.
Gesù ha guarito la suocera, si sono messi tutti a tavola mangiare, è calata la sera e a quel punto gli abitanti della casa capiscono che fuori sta succedendo qualcosa.
Pietro apre la porta e scopre che tutta la città di Cafarnao si è radunata davanti alla sua casa e vuole Gesù. Appena noi facciamo entrare Gesù in casa nostra non potremo più aprire la porta di casa nostra senza renderci conto di tutti quelli che, fuori, hanno bisogno (P).
Evangelizzatori e missionari
Vorrei concludere con una raccomandazione che viene direttamente da Paolo. La trovate al capitolo 16 della prima lettera ai Corinzi. Suona così: “una raccomandazione ancora fratelli, voi conoscete la famiglia di Stefaná, furono i primi credenti dell'Acaia e hanno dedicato se stessi al servizio dei Santi. Siate anche voi sottomessi verso costoro e verso quanti collaborano e si affaticano con loro. Io mi rallegro della visita di Stefaná, di Fortunato, di Acaico i quali hanno supplito alla vostra assenza, hanno allietato il mio spirito e allieteranno anche il vostro. Apprezzate persone come queste”.
Se vi siete ritrovati in questa riflessione, se vi sentite un po’ evangelizzatori e missionari, sappiate che siete preziosi perché – come la famiglia di Stefaná ha aperto le porte dell’evangelizzazione all'Acaia – anche voi siete persone da apprezzare.
E se non vi siete ritrovati, lasciatevi disturbare da Gesù come è accaduto ai due discepoli di Emmaus.
*teologa. Villa Lascaris, Pianezza (TO), 9 novembre 2019
Sintesi e adattamento della Redazione
1 Benché questa ipotesi sia poco condivisa, a livello letterario c’è un parallelismo interessante tra i due di Emmaus e ciò che è avvenuto alla coppia dei progenitori nel giardino di Eden.
Di Adamo ed Eva è scritto che, dopo aver mangiato del frutto proibito, che “furono aperti gli occhi dei due e conobbero che erano nudi” (Gen 3,79), mentre dei due di Emmaus si dice che allo spezzare il pane “di essi furono aperti gli occhi e lo riconobbero… come fu riconosciuto ad essi”.
Per il lavoro di coppia e di gruppo
Questo testo è così ricco di suggestioni che, invece delle solite tre-quattro domande, abbiamo pensato di proporvene molte di più.
Per questo abbiamo inserito nell’articolo delle note evidenti che rimandano a precise considerazioni, riflessioni o domande che, in quel punto, il testo ci ha suscitato.
A Per il Gruppo Famiglia l’apertura al servizio è sempre stato molto importante. Infatti, l’ultimo tema del secondo anno della scuola di formazione era: “Aprirsi al servizio nella società e nella Chiesa”. Ricordiamocene.
B Questa è una famiglia dove la fede è condivisa da genitori e figli: come mai oggi è così difficile?
C Quanto condividiamo l’esperienza delle fede in coppia? Qui non si tratta tanto di andare a Messa insieme, quanto di condividere gli ideali, la missione.
D Come si porgono i sacerdoti che conoscete nei confronti delle famiglie? Vi riconoscono un ruolo o vi considerano solo manodopera?
E Conosciamo qualche famiglia così impegnata? Li apprezziamo o li consideriamo solo “teste calde”?
F Essere cristiani costa: ci riusciamo o siamo anche noi di serie B, incoerenti?
G Dove si dovrebbero riunire i Gruppi Famiglia? In casa! Aprire la propria casa è importante, rivaluta la casa come avveniva nella Chiesa primitiva.
H È qualcosa che ci interpella: dobbiamo coltivare la nostra fede per poterne rendere conto.
I Il valore della testimonianza. Non abbiamo paura di raccontare come Dio è passato nella nostra vita.
M Quando ci troviamo, come gruppo, siamo davvero Chiesa o solo un gruppo di amici?
N Siamo chiamati a riscoprire la fecondità nella quotidianità.
O La chiusura su se stessi, può essere una ragione delle tante crisi di coppia?
P Con tutte le nostre miserie, possiamo essere utili agli altri se abbiamo aperto la porta a Gesù: siamone consapevoli.
6-I LAICI NELLA CHIESA
Quando finalmente saranno considerati “adulti”? Quando finalmente si comporteranno da “adulti”?
a cura della Redazione
Cosa vuol dire laico? Giovanni Villata (1) osserva che il termine viene usato in modo assai indiscriminato: “dalla separazione da tutto ciò che ha, in qualche modo, attinenza con la sfera religiosa (ciò che è profano e secolare) fino alla contrapposizione ideologica (cattolici e laici, credenti e non credenti)”.
Questo vale anche in ambito ecclesiale: “per il diritto canonico, ad esempio, laico è il ‘non chierico’. I chierici sono i ministri ordinati e laici sono coloro che non appartengono al clero regolare o secolare”.
Per molto tempo nella prassi pastorale ai laici è stata attribuita “una connotazione piuttosto funzionale di profilo assai limitato quasi non avesse una propria dignità ma esistesse in funzione di altre figure più complete e degne di attenzione”.
Il motivo era semplice, non mancavano consacrati, anzi, ve ne era abbondanza tanto che questi svolgevano le mansioni più disparate: dalle scuole all’assistenza dei malati e dei poveri, dai catechismi alle missioni, dalla cura delle anime all’impegno politico, ecc.
Sappiamo bene che ora non è più così, ma c’è da chiedersi se la Chiesa contemporanea ne sia fino in fondo consapevole.
Lo è senz’altro papa Francesco che partendo da uno slogan post-conciliare: “è l’ora dei laici” osserva: “sembra che l’orologio si sia fermato” (2).
Proviamo allora a riavvolgere un poco il nastro della storia in questi ultimi cento anni.
I laici prima del Concilio
Il ruolo del laicato, prima del Concilio Vaticano II, era inserito nel contesto di un’ecclesiologia di tipo societario e gerarchico.
“Tuttavia”, scrive Giovanni Turbanti (3), “le circostanze con cui la chiesa si era dovuta confrontare tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo” – il dilagante individualismo che attraversava le società europee – “avevano costretto il magistero a considerare in modo un po' più articolato la funzione dei laici nella chiesa e nel mondo. Per la chiesa non si trattava più solo di salvare l'anima dei singoli fedeli, ma di salvare un'intera società riconquistandola agli ideali cristiani. Come si poteva dunque parlare ancora solo di un dovere di obbedienza, come non riconoscere ai laici anche un ruolo attivo in un apostolato che solo loro erano in grado di realizzare?”.
“A partire dagli anni trenta”, continua Turbanti, “la riflessione di Maritain sulla costruzione di una nuova cristianità, aveva portato alla distinzione per i fedeli impegnati nella società tra l'agire ‘in quanto cristiani’ e l'agire ‘da cristiani’. Questa idea aveva come scopo la costruzione di una società terrena più giusta, secondo un principio di autonomia nelle scelte concrete che liberava i fedeli laici da un troppo stretto controllo della gerarchia”.
Purtroppo, “questa e altre idee successive erano andate incontro a molte diffidenze ed esplicite condanne da parte della gerarchia”.
Ma qualcosa comunque si muoveva. Pio XII, con l’enciclica Mystici corpori (4), pur confermando la struttura gerarchica della Chiesa aveva affermato che “specialmente nelle presenti condizioni, i padri e le madri di famiglia… e in particolare quei laici che collaborano con la gerarchia ecclesiastica alla dilatazione del regno del divin Redentore, occupano nella società cristiana un posto d’onore, per quanto spesso nascosto”.
Partendo dal concetto di “corpo mistico” si aprirà nella Chiesa una riflessione volta ad evidenziare “la complementarietà che unisce laici e consacrati come membra del corpo di Cristo e il valore del sacerdozio comune proprio di ciascun cristiano grazie al battesimo” (5).
Il Concilio muoverà i suoi passi partendo da questa idea di Chiesa.
Il Concilio Vaticano II
Se questo fu il punto di partenza il punto di arrivo del Concilio sarà quello di Chiesa come popolo di Dio (6).
Il documento che meglio riassume il pensiero del Concilio sulla Chiesa è rappresentato dalla Costituzione dogmatica Lumen gentium.
Con questo documento la Chiesa viene reintegrata all'interno della storia della salvezza.
La luce delle genti (lumen gentium) non è la Chiesa ma Cristo. La Chiesa è solo riflesso della Sua luce come la luna lo è per il sole. La chiesa non è più definita come regno di Dio ma l'inizio e il germe del regno (LG5).
La chiesa non é più domina et imperatrix ma serva come Cristo è stato servo dell'umanità. In quest'ottica, la comunità ritorna ad avere i privilegi e la missione che prima erano riservati soltanto ad alcuni suoi membri.
Il concetto di popolo di Dio che ne consegue non va letto in chiave meramente sociologica ma come comunità di fede, di speranza è di carità dove tutti sono santi e missionari. Tutti i membri della Chiesa hanno uguale dignità in quanto figli di Dio, la legge che seguono è quella della Carità e il fine che si prefiggono è quello del regno di Dio.
Il Concilio e i laici
La Lumen gentium definisce i laici come “tutti quei fedeli, ad esclusione dei membri dell'Ordine sacro, che, dopo essere stati incorporati a Cristo con il battesimo e costituiti popolo di Dio e, nella loro misura, resi partecipi dell'ufficio sacerdotale profetico e regale di Cristo, per la loro parte compiono nella chiesa e nel mondo la missione propria di tutto il popolo Cristiano.
La loro vocazione è quella di “cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio… A loro particolarmente spetta il compito di illuminare, ordinare tutte le cose temporali, alle quali sono strettamente legati, in modo che sempre siano fatte secondo Cristo” (LG31).
“Questo testo è innovativo”, scrive Villata (7), “e blocca ormai definitivamente la tendenza a definire il laico in rapporto al clero - come non chierico - collocandolo invece in una dimensione di corresponsabilità all'interno del sacerdozio comune del popolo di Dio (cfr. LG 32).
In particolare, i laici sono profeti all'interno del secolo, attraverso il grande valore che viene dalla profezia della vita matrimoniale e familiare, vissuta in coerenza con il sacramento del matrimonio che gli sposi hanno ricevuto”.
I limiti del Concilio
In realtà, la Lumen gentium risulta un testo di compromesso tra due ecclesiologie contrapposte, entrambe presenti nell’episcopato: una universalistica, che si può sintetizzare nella definizione “un solo gregge e un solo pastore”, e un'altra comunionale che fonda la Chiesa universale a partire dalle Chiese particolari (LG23).
Questo vale anche per il ruolo del laicato nella Chiesa. Da una parte, scrive Giovanni Turbanti (8) “il testo esalta la dignità ecclesiale del fedele laico e ne sottolinea la piena partecipazione alla missione apostolica della Chiesa ma fatica a riconoscere spazi di autentica autonomia e responsabilità per i laici anche l'interno della chiesa. È questo il limite che si può riconoscere in generale al testo”. E in particolare ai rapporti con la gerarchia.
Si parla di comunità di fedeli (LG12) ma quando il documento tratta del dell'insegnamento dei Vescovi afferma che “i fedeli devono accettare il loro giudizio” (LG25) mentre, al contrario, i Vescovi sono invitati ad “ascoltare quelli che dipendono da lui” (LG27).
I laici dopo il Concilio
“Gli anni seguiti al Concilio”, scrive Paola Bignardi (9), “sono stati per le comunità cristiane anni in cui l'entusiasmo si è mescolato allo spaesamento.
La prima ricezione del magistero conciliare ha visto una crescita di responsabilità dei laici come fenomeno ampio e di popolo; un fenomeno che nel giro di non molti anni ha reso attivi nella comunità numerosi catechisti, animatori, educatori, collaboratori a vario titolo nella vita pastorale.
Ma l'atteggiamento di sostanziale fiducia con cui la Chiesa vive gli anni del primo dopo concilio è messo alla prova da un contesto sociale e culturale che sta mutando rapidamente, mettendo in difficoltà la Chiesa stessa e la sua capacità di evangelizzazione”.
Il problema non fu solo la secolarizzazione ma la perdita di unità del mondo circostante.
“Serviva”, continua la Bignardi, “un’azione di vera e propria re-interpretazione culturale e spirituale del modo di essere cristiani nel mondo: reinterpretazione in termini di contenuti, di linguaggi di stili di vita e di azione, ma anche di luoghi entro cui elaborare tutto questo”.
Mentre le comunità offrivano soprattutto nuovi stili di azione pastorale, la vita laicale aveva invece “bisogno di essere sostenuta in una solitudine della testimonianza e in una nuova elaborazione di un pensiero da cristiani sul mondo”.
Questo sostegno lo offrirono i nuovi movimenti laicali che, benché sorti in genere prima del Concilio, hanno la loro espansione più vivace negli anni successivi.
“Purtroppo”, annota la Bignardi, “la fatica del confronto con la comunità cristiana, con la vita pastorale, tra aggregazioni, la diffidenza nei confronti delle realtà di antica tradizione, la tendenza alla assolutizzazione della propria esperienza hanno reso difficile mettere a vantaggio di tutta la Chiesa la ricchezza che le nuove realtà pure recavano”.
Dentro e fuori la Chiesa
Tra le varie figure di laici oggi presenti nella Chiesa paiono emergerne due contrapposte: un laicato clericale e un laicato silente.
Il primo tipo di laicato è stato favorito dagli stessi sacerdoti ma purtroppo è un laicato anemico, ripiegato sulle cose di chiesa, incapace di uscire dalle sacrestie.
Scrive Villata (10): “È ancora diffusa la paura che i laici, formati adeguatamente e giunti a posti di responsabilità diretta, tendano a prevaricare sul ruolo dei ministri ordinati, atteggiamento che rende infantili i laici e impoverisce gli stessi ministri ordinati.
Se oggi il laicato italiano corre un pericolo, sembra quello di tirarsi troppo indietro, non certo quello di rivestire ruoli riservati ai ministri ordinati. È significativo il generale disincanto, se non la delusione, verso gli organismi di partecipazione come i consigli pastorali o degli affari economici e le fatiche nel celebrare e soprattutto nel tradurre in pratica i sinodi diocesani”.
Il secondo tipo di laicato è silente perché, annota la Bignardi, “quanti non hanno responsabilità pastorali hanno scarse possibilità di contatto con la comunità in contesti diversi da quelli della liturgia. Mancano i luoghi effettivi in cui fa tra cristiani sia possibile parlarsi; manca l’interesse a farlo, come se solo il fare fosse importante”.
A questi laici “non resta altro che portarsi la Chiesa nella coscienza, anche se questo chiede una maturità ecclesiale fuori dal comune”.
Questo è un danno sia per i laici che per la Chiesa. I primi si sentono poco “figli” e si allontanano dall’istituzione, senza che questo comporti l’allontanarsi dalla fede. La seconda perde un importante collegamento con la realtà, con la storia.
Scrive ancora Villata: “la storia deve avere nella Chiesa un diritto di cittadinanza non periferico ma essenziale; di conseguenza, chi si dedica direttamente all'animazione della realtà temporali sta costruendo la Chiesa e non semplicemente traducendo nel mondo ciò che la Chiesa indica”.
A queste due categorie si affiancano, nota Vito Mignozzi (11), “tanti laici che vivono la vita cristiana ignorando le peculiarità della loro vocazione nella chiesa e nel mondo e reiterando così dinamiche ecclesiali proprie di altre epoche, o addirittura accontentandosi di rimanere in una sorta di consapevolezza credente non adulta”.
L’Evangelii gaudium
Questa situazione di stallo, che non vale solo per il laicato ma per la Chiesa intera, ha trovato uno sblocco nel magistero di papa Francesco, il primo papa postconciliare che con il Vaticano II sembra avere un rapporto più libero.
“Le prospettive dischiuse particolarmente da Evangelii gaudium”, scrive Mignozzi, “orientano verso una ricollocazione di tutte le figure ecclesiali all’interno di una considerazione fondamentale che attiene alla natura credente di questo ‘santo popolo fedele di Dio’ che è la Chiesa”.
Papa Francesco con molta franchezza scrive: “Anche se si nota una maggiore partecipazione di molti ai ministeri laicali, questo impegno non si riflette nella penetrazione dei valori cristiani nel mondo sociale, politico ed economico. Si limita molte volte a compiti intraecclesiali senza un reale impegno per l’applicazione del vangelo alla trasformazione della società” (EG 102).
Ed è stato ancora più esplicito nella lettera inviata al cardinale Ouellet (12): “Molte volte siamo caduti nella tentazione di pensare che il laico impegnato sia colui che lavora nelle opere della chiesa e/o nelle cose della parrocchia o della diocesi e abbiamo riflettuto poco su come accompagnare un battezzato nella sua vita pubblica e quotidiana […]. Abbiamo generato un’élite laicale credendo che sono laici impegnati solo quelli che lavorano in ‘cose dei preti’”.
“Sarà quanto mai necessario”, termina Mignozzi, “recuperare un codice interpretativo in grado di risignificare i luoghi della vita (affetti, lavoro, vita sociale in tutti i suoi aspetti) come ambiti decisivi in cui realizzare una presenza e uno specifico impegno cristiano”.
Un nuovo ruolo per i laici
“La Chiesa, così come è sognata da Francesco, richiede, necessariamente, un nuovo, inedito, determinato protagonismo dei laici”, afferma Roberto Repole (13).
E continua: “Questo per due ragioni. Perché i cristiani sono per la grandissima maggioranza laici, al cui servizio c’è la minoranza dei ministri ordinati. E perché i laici sono, in quanto tali, immersi nel mondo, che è il luogo dove il Vangelo va testimoniato e annunciato. L’annuncio e la testimonianza nel mondo, in questo nostro mondo secolarizzato e in rapidissima trasformazione, è il loro specifico ministero”.
Lo sguardo si sposta, dunque, sui laici chiamati ad essere, a diventare, ‘maturi e corresponsabili’ e non solo collaborativi.
Scrive papa Francesco (14): “La nostra prima e fondamentale consacrazione affonda le sue radici nel nostro battesimo. Nessuno è stato battezzato prete né vescovo… Ci fa bene ricordare che la Chiesa non è un’élite dei sacerdoti, dei consacrati, dei vescovi, ma che tutti formano il Santo Popolo fedele di Dio. Dimenticarci di ciò comporta vari rischi e deformazioni… del ministero che la Chiesa ci ha affidato”.
S’impongono, perciò, scelte e cambiamenti urgenti e impegnativi. Dei punti indicati da Repole ne riprendiamo quattro.
La formazione cristiana
I laici devono prendere sul serio la loro formazione cristiana. Oggi non è più possibile rimanere bambini nella fede, accontentarsi del catechismo appreso nell’infanzia. È necessario approfondire, con umile fatica, la conoscenza – anche teologica – della nostra fede. Essere instancabilmente alla ricerca dell’essenziale del Vangelo di Gesù di Nazareth, consapevoli delle domande e delle scoperte che caratterizzano il tempo di cambiamenti radicali in cui ci troviamo a vivere. Si tratta di prepararsi in maniera seria e continua a portare alla parola il vissuto personale e collettivo dell’esperienza di fede.
I luoghi della vita
I laici devono essere capaci di rivalutare seriamente i “luoghi” della vita (famiglia, lavoro, società in tutti i suoi aspetti), come ambito in cui si realizza il loro specifico ministero. Nella consapevolezza, da un lato, che la trasmissione della fede è affidata soprattutto alla bellezza e alla bontà delle vite che suscita, dall’altro, che il cristianesimo non è una dottrina ma una vita vissuta sotto lo sguardo di Dio.
Superare il clericalismo
I laici devono liberarsi dalla “mentalità gerarchica” ancora oggi diffusamente presente sia tra di loro, sia in chi svolge il servizio come ministro ordinato. L’organizzazione gerarchica nella Chiesa ha ragion d’essere, e costituisce un servizio necessario, come garanzia di questa fedeltà apostolica. Ma non comporta e non giustifica quella sorta di sottomissione e dipendenza spesso imposta dal clero (clericalismo attivo) e altrettanto spesso accettata dai laici come una – in fondo comoda – rinuncia alla propria responsabilità (clericalismo passivo).
Franchezza e umiltà
Ne segue che, da parte di tutti, occorre ritrovare o trovare il coraggio di far sentire la propria voce, quando questa esprime, nella comunità cristiana di cui tutti fanno parte, un pensiero che nasce dal serio e perseverante ascolto del Vangelo.
La richiesta che Francesco ha fatto ai vescovi riuniti nel Sinodo sulla famiglia15: “parlare con franchezza e ascoltare con umiltà”, “dire tutto quello che nel Signore si sente di dovere dire”, vale anche per i laici presenti, ad esempio, negli organismi pastorali di comunione e partecipazione.
Dubbi, perplessità e fatiche non vanno abbandonati, ma esplicitati con rispetto e libertà. Nessuno può ritenersi esonerato dal portare il proprio contributo ovunque ci si interroghi sui compiti attuali dell’evangelizzazione e sul “che fare” per trasmettere la bellezza cristiana in modo efficace e attraente.
Come laici abbiamo molto cammino da fare.
1 Giovanni Villata, Che idea di Chiesa abbiamo?, Elledici, Torino 2019
2 Papa Francesco, lettera al cardinale Marc Ouellet
3 Giovanni Turbanti, l'autonomia dei laici da Lumen gentium a Gaudium et spes. In: Cettina Militello (a cura di), I laici dopo il Concilio. quale autonomia? EDB 2012
4 Fonte: Mystici corpori
5 Cfr. Roberto Repole, corso di Ecclesiologia, ISSR Torino, 2004-2005
6 Ibidem per tutta questa sezione
7 Giovanni Villata, Che idea di Chiesa…
8 Giovanni Turbanti, l'autonomia dei laici…
9 Paola Bignardi, L'autonomia dei laici: Il percorso postconciliare. In: Cettina Militello (a cura di), I laici dopo il Concilio. quale autonomia? EDB 2012
10 Giovanni Villata, Che idea di Chiesa…
11 Vito Mignozzi, I laici nella chiesa del futuro. In: Credere Oggi n.232 (lug/ago 2019)
12 Papa Francesco, lettera...
13 Testo raccolto da Andrea Lebra, Settimana news, 7 ottobre 2016
14 Papa Francesco, lettera...
15 Papa Francesco, Saluto ai Padri sinodali (2014)
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Quanto del nostro impegno è legato a “cose di chiesa” e quanto alla vita sociale e pubblica?
• Chi non ha impegni in parrocchia, quali spazi ha per condividere le proprie scelte nella comunità?
• Cosa possiamo fare per essere una comunità credente e non solo praticante?
7-LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA
L’etica è un’arte che introduce a un’altra arte: quella di amare
a cura della Redazione
L’immagine di apertura di questo articolo è senz’altro inquietante, e riflette l’inquietudine che ci dovrebbe cogliere di fronte all’eclissi contemporanea della coscienza.
La crisi della coscienza
Una volta, fino a pochi decenni fa, era più facile formarsi una coscienza “buona e giusta”. Non era affatto detto che fosse buona e giusta ma rappresentava valori che erano condivisi dalla maggioranza delle persone. Era una coscienza “conformista”, che si conformava al pensiero prevalente.
Oggi non è più così. Come sempre accade nella Storia, si passa da un estremo all’altro.
Oggi le coscienze continuano ad essere “conformiste”, ma non c’è più solo “Dio, patria e famiglia” a cui adeguarsi bensì una pluralità di scelte ed opzioni.
Siamo di fronte ad una coscienza “liquida”, secondo l’indovinata espressione di Bauman, che si adatta agli ambienti e alle circostanze, non molto diversa dalla coscienza “elastica” di un tempo, ma con la differenza che manca un quadro di valori condivisi su cui valutarla.
Oggi, come ieri, è difficile formarsi una coscienza cristiana, perché oggi come ieri, è difficile essere cristiani ma con una difficoltà in più: mancano basi minime comuni da cui partire.
Il modello “Gesù”
Su quali basi allora fondare la coscienza cristiana?
Se dovessimo far riferimento al Catechismo della Chiesa cattolica (1992) partiremmo senz’altro dai dieci comandamenti a cui è dedicata un’intera sezione, non di certo dalle beatitudini, a cui sono dedicati solo due numeri.
Eppure i dieci comandamenti sono, salvo il preambolo, poco più che una serie di norme, fondamentali certo – senza di esse l’uomo ritornerebbe alla pura animalità dalla quale Dio l’ha tratto – ma sempre norme.
Solo grazie alla presenza di regole condivise che è stato possibile per l’uomo conquistare e soggiogare il mondo circostante, ma questo non ha impedito guerre, violenze, rapine, morti perché la norma è sempre stata letta a favore del proprio clan, della propria etnia, del proprio Stato, del proprio partito.
Se invece partiamo dal messaggio di Gesù, in cui il discorso sulle beatitudini rappresenta il cuore pulsante, troviamo “amate i vostri nemici” (Mt 5,44).
Il volto del Dio di Gesù è segnato dalla misericordia, dalla compassione, dalla tenerezza, non dalla norma, dalla legge. Il Dio di Gesù è un Dio vicino, che si fa prossimo, nei momenti lieti come nei momenti bui della vita, è un Dio che ci ama.
Un modello umano di questo amore lo troviamo in famiglia. Lo sposo ama la sposa ed è riamato, “nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia”, e con lo stesso amore i genitori amano i figli.
Non è più tempo di discorsi, prediche, punizioni o blandizie, è tempo di testimonianza, di vita vissuta, di coerenza. Si tratta di offrire ai figli e agli altri un modello alternativo rispetto a quanto offre loro il mondo nelle sue innumerevoli seduzioni.
Solo se la coscienza riesce a far suo l’annuncio pasquale acquistano senso “la fedeltà ai comandamenti, le direttive date dalla Chiesa, la testimonianza ecclesiale”, scrive Oliviero Svanera (1).
Buono, bello, vero
In Gesù, icona del Padre, noi troviamo espresse in massimo grado tre caratteristiche: la bellezza, la bontà, la verità.
La bellezza che traspare da Gesù la cogliamo nella trasfigurazione: “è bello per noi stare qui!” esclamano i tre discepoli (Mc 9,5). La bontà la cogliamo nella sua misericordia: “neanch’io ti condanno, va e non peccar più” (Gv 8,11). E la sua missione è testimoniare la verità; per questo è venuto nel mondo (cfr. Gv 18,37).
Come creature siamo sensibili alla bellezza, ma tutto oggi congiura a fare in modo che siamo attratti soprattutto dalla bellezza esteriore. Pensiamo a quanto tempo le persone dedicano al loro corpo, a migliorarlo esteticamente, a correggere i segni del tempo.
Eppure quando ci siamo innamorati –e oggi siamo ancora insieme – è perché abbiamo colto nell’altro una bellezza più profonda, che poteva durare al di là del tempo.
Come creature siamo sensibili alla bontà. In un mondo che separa la bellezza dalla bontà – oggi conta essere cinici, fare i propri interessi, senza badare agli altri – quando incontriamo persone che agiscono in modo disinteressato, persone che sanno perdonare, ne rimaniamo colpiti, perché non è più di moda.
Lo stesso vale per la verità. Chi dice il vero, chi mente? Siamo circondati da mezze verità, quando non si tratta di menzogne.
Di fronte ad un mondo che ci propina false bellezze, carità pelose, bugie travestite da verità, possiamo adeguarci o ribellarci o cercare un modello diverso: Cristo, ed imitarlo.
Il cammino della coscienza
Riusciremo ad imitare Gesù tanto più la nostra coscienza sarà matura.
Questo richiede una crescita morale che dura tutta la vita e che non avviene in modo scontato e lineare.
Lo sviluppo della coscienza avviene per passaggi successivi, scrive sempre Svanera. Muovendo dai propri impulsi e interessi egocentrici (tipici dei bambini), si passa attraverso il rispetto delle convenzioni sociali, dell’autorità e della legge, per giungere a un’etica della convinzione dove una decisione di coscienza nasce da principi etici scelti personalmente (2).
Ma molte persone, anche se adulte, si fermano a standard conformistici o al rispetto dell’autorità costituita.
Il giudizio morale
Come credenti come dobbiamo comportarci nei confronti di queste persone?
Se non è consentito “graduare” la legge morale “secondo la situazione dei singoli, compromettendone la verità oggettiva”, la si può però “conciliare con la visione della concreta e storica verità della persona in cammino”, sottolinea Svanera. “La legge della gradualità evidenzia come le persone si avvicinino al bene gradualmente”, quindi siamo chiamati a rinnovare sempre “l’invito ad allargare progressivamente i margini del bene possibile”.
Prendiamo per esempio l’ambito della morale familiare.
La norma della gradualità era già presente nella Familiaris consortio (n.34) ed è emersa con evidenza nell’esortazione Amoris laetitia (n.300).
Nel caso di divorziati risposati “i gradi di responsabilità non sono uguali in tutti i casi, e le conseguenze
o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi”.
Applicare la misericordia non significa ovviamente giustificare il male. Sempre Francesco scrive: “In nessun modo la Chiesa deve rinunciare a proporre l’ideale pieno del matrimonio, il progetto di Dio in tutta la sua grandezza” (AL n.307).
1 Oliviero Svanera, La formazione della coscienza nella Chiesa, Credere Oggi n.128, Edizioni Messaggero Padova, 2002
2 Il riferimento è ai livelli di L. Kohlberg. Vedi Gruppi Famiglia n. 72
Brani per la lectio divina
• La bellezza. Marco 9,2-7: La trasfigurazione
• La bontà. Giovanni 8,3-11: Gesù e l’adultera
• La verità. Giovanni 18,33-38a: Il dialogo tra Pilato e Gesù
8-La morale del Vangelo
Dio non ci ama perché siamo giusti o finché siamo giusti ma perché diventiamo giusti, o meglio tendiamo verso…
Per la maggior parte delle persone d’oggi non c’è più riferimento a Dio e i comandamenti sono cose superate. Allora oggi, per un cristiano, che cosa significa agire, operare nella verità?
Se ci confrontiamo con il Vangelo la nostra logica viene capovolta. Il Vangelo non fa tante raccomandazioni morali ma traccia uno stile di vita che deve illuminare le nostre azioni, le nostre scelte, le nostre relazioni con gli altri. Se non sappiamo dare le risposte giuste secondo la fede circa la giustizia, la sessualità, la fedeltà… significa che, non facciamo più riferimento ai valori cristiani.
Ogni epoca storica ha avuto le sue difficoltà né più né meno come noi le abbiamo oggi, dipende solo dalla nostra capacità di discernimento.
Per guidare il discernimento il criterio: migliore è quello dell’innamoramento.
Ognuno di noi fa le sue scelte in base a quello che è il valore fondamentale, la passione fondamentale che si porta dentro.
Chi ha scoperto la perla preziosa (Mt 13,46) vende tutto il resto, che non diventa più così importante, e segue il Signore. Chi non la ritiene così preziosa, volta le spalle e se ne va via triste (Mt 19,22).
Quindi la vita del cristiano deve essere un’appassionata e continua ricerca di come rispondere nella vita concreta all’amore che Dio ha avuto per noi. In fondo la morale del Vangelo è tutta qui.
Toni Piccin, Cavaso (TV), novembre 2002
9-LA PREGHIERA
Imparare ad incontrare il Mistero
di Battista Borsato*
Si deve ammettere che oggi nelle famiglie raramente entra il tempo della preghiera. Anche le famiglie che amano la ricerca di fede e vivono l'appartenenza ecclesiale, stentano a fare esperienza di preghiera in coppia e in famiglia.
Recitare preghiere
Un primo motivo è che non si sa che cosa sia la preghiera, né come pregare. Dire insieme le formule come il Padre Nostro e l'Ave Maria sembra una realtà che non coinvolge e che alla fine imbarazza.
Un secondo motivo è legato al fatto che è mancata o è stata carente nelle comunità cristiane l'educazione a pregare. Si è educato a dire preghiere ma non sempre a pregare perché pregare è molto diverso dal dire preghiere.
Può essere relativamente facile insegnare o imparare delle preghiere. Può essere comodo insistere sul dovere di pregare, e magari ricorrere al ricatto e alla paura: “chi prega si salva, chi non prega si danna”. Più difficile è far esplodere l'esigenza della preghiera, comunicarne il gusto, il fascino, la nostalgia.
Accantonando le esagerazioni, resta il fatto che le formule, le preghiere rischiano di soffocare la vita. C'è chi recita le preghiere e c'è chi prega: le due categorie di persone sono separate da un abisso. Una si colloca nel versante aspro del dovere, l'altra sulla sponda vertiginosa e inebriante dell'amore.
I primi sono soddisfatti quando hanno macinato con le labbra tutta una serie tutta la serie prescritta di formule. Gli altri avvertono l'esigenza di stabilire il contatto del cuore.
Pregare
Oggi non si riesce a capire il valore della preghiera perché è venuto meno il senso del gratuito; tutto è finalizzato alla produttività, alla realizzazione.
Ci siamo mai chiesti a che serve la poesia? Non produce bene economici, ma apre l'anima, dischiude la mente e il cuore.
Ci siamo mai chiesti a che serve amare, a che serve l'amore di coppia? L'amore non è il luogo dell'interesse e della funzione, ma il luogo gratuito nel quale le due persone si riconoscono, si identificano, si risvegliano.
Non produce i beni, ma produce il bene.
Così la preghiera è in un certo senso paragonabile alla persona, all'amore: non può essere il luogo della funzione e neppure del dovere, ma il luogo del rapimento, dell'estasi, dell'amore in cui la persona si abbandona e recupera la sua profondità misteriosa.
La preghiera è lasciare entrare il divino, l'eterno, lo straniero perché possa sprigionare la parte nascosta della persona che forma la vera identità. Nella preghiera può emergere l’io profondo che domanda di essere portato alla luce.
La preghiera dovrebbe aprire la persona al senso della meraviglia, dello stupore. dovrebbe rappresentare la scoperta di un nuovo modo di pensare, di amare.
Anche l'amore, l'amarsi, contiene il brivido emozionante della scoperta dell'altro. L'amore, più che amare, è sentirsi amati ed è in tale condizione che si emanano fervore, meraviglia, incanto. La vita si colora, il futuro diventa luminoso.
La preghiera, quella vera è intrecciata con l'esperienza amorosa, è un sentirsi avvolti dall'amore del Padre e lasciarsi riempire di segreti e di meraviglie.
La preghiera non serve raggiungere degli obiettivi, ma esprime l'incanto della persona di fronte al mistero che abita dentro di lei e che la circonda: mistero che ha nome Dio.
I verbi della preghiera
Per cogliere il significato e anche la natura interna della preghiera giovano tre verbi: riconoscere, adorare, offrirsi. Sono tre verbi intrecciati, quasi tre volti, tre colorazioni di un'unica realtà: il mistero.
E parlo di mistero non nell'accezione della filosofia o teologia illuministica nella quale veniva considerato come una verità inconoscibile, ma in senso esistenziale, dinamico, promozionale. Parlare di mistero è parlare di una realtà che supera l’io, di una realtà altra che interroga, interpella, scuote, sollecita. L'uomo, accettando il mistero, non è schiavo, oppresso, ma si sente spinto ad andare oltre, a indagare, a scrutare.
Riconoscere
Riconoscere racchiude almeno due atteggiamenti. Il primo è quello di essere cosciente che si nasce abitati, che si nasce dentro un offerta vitale che ti è stata donata. Non sei tu l'artefice della storia, l'hai ricevuta.
Il secondo atteggiamento è quello di porre attenzione cioè di ascoltare gli appelli, i progetti che covano dentro la realtà e l'umanità per farli emergere, liberare. Significa carpire i sogni dell'umanità.
Questo è il vero senso della preghiera: mettersi in ascolto del sogno di Dio seminato nella storia, per ascoltarlo in profondità.
Adorare
Essenziale per la preghiera e anche l'adorazione. A me sembra che se ne sia perso molto il senso e il valore. Forse più che perso, non lo si è mai scoperto e vissuto.
Le ore di adorazione che una volta si promuovevano negli ambienti religiosi erano vissute più come momenti di sacrificio da dedicare a Dio che come momenti di completa di contemplazione e di estasi.
Adorare è vivere un momento estatico. L'innamorato non dice forse all'innamorata: ti adoro?
Offrirsi
L'ultimo verbo è offrirsi. La preghiera non è tanto domandare a Dio che risponda ai nostri desideri, è rendersi disponibili ai suoi desideri.
Ci sembra di constatare che per moltissimi di noi la preghiera è ancora intesa come ricerca di quiete, di pace: sono soddisfatto perché ho pregato. Essa si collocherebbe più a fianco della vita che dentro.
Di fronte alle delusioni del nostro essere, di fronte ai rimpianti causati dall'esterno, la preghiera sembra presentarsi come un impacco consolatorio sui lamenti e sulle ammaccature della vita.
Invece pregare è immergersi in Dio, o meglio e lasciarsi sommergere da Dio, dalla sua tenerezza, dai folli progetti del suo amore che vogliono crescere dentro la Storia. Il nostro Dio è un essere desiderante, dai grandi sogni e dalle grandi prospettive. Pregare è entrare, partecipare alla sua vita, frequentare gli orizzonti del suo disegno, superando così i nostri meschini e timidi sogni, i nostri miserabili steccati: è offrirsi a Dio.
*Tratto da: Battista, L'avventura sponsale, EDB Bologna 2006
Sintesi della Redazione
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Quali sono i sogni profondi dell’umanità che sappiamo trasformare in preghiera?
• Permettiamo al Signore di riempirci di amore e di tenerezza per gli altri?
• Qual è il sogno di Dio sulla nostra vita, sui nostri cari, sul mondo?
10-SANTITÀ E PREGHIERA
La preghiera non è evasione ma incontro con l’Altro, con gli altri
di Papa Francesco*
Anche se sembra ovvio, “la santità è fatta di apertura abituale alla trascendenza, che si esprime nella preghiera e nell’adorazione. Il santo è una persona dallo spirito orante, che ha bisogno di comunicare con Dio. È uno che non sopporta di soffocare nell’immanenza chiusa di questo mondo, e in mezzo ai suoi sforzi e al suo donarsi sospira per Dio, esce da sé nella lode e allarga i propri confini nella contemplazione del Signore. Non credo nella santità senza preghiera, anche se non si tratta necessariamente di lunghi momenti o di sentimenti intensi”.
San Giovanni della Croce raccomandava di pregare sempre, anche “in mezzo alle occupazioni esteriori. Sia si che mangi o beva, sia che si parli o si tratti con i secolari o si faccia qualche altra cosa, teniamo sempre in Dio l’affetto del cuore”.
“Vorrei insistere sul fatto che questo non è solo per pochi privilegiati, ma per tutti, perché abbiamo tutti bisogno di questo silenzio carico di presenza adorata. La preghiera fiduciosa è una risposta del cuore che si apre a Dio a tu per tu, dove si fanno tacere tutte le voci per ascoltare la soave voce del Signore che risuona nel silenzio.
In tale silenzio è possibile discernere, alla luce dello Spirito, le vie di santità che il Signore ci propone…
Dunque mi permetto di chiederti: ci sono momenti in cui ti poni alla sua presenza in silenzio, rimani con Lui senza fretta, e ti lasci guardare da Lui? Lasci che il suo fuoco infiammi il tuo cuore? Se non permetti che Lui alimenti in esso il calore dell’amore e della tenerezza, non avrai fuoco, e allora come potrai infiammare il cuore degli altri con la tua testimonianza e le tue parole? E se davanti al volto di Cristo ancora non riesci a lasciarti guarire e trasformare, allora penetra nelle viscere del Signore, entra nelle sue piaghe, perché lì ha sede la misericordia divina”.
Evitiamo tuttavia di intendere “il silenzio orante come un’evasione che nega il mondo intorno a noi. Il ‘pellegrino russo’, che camminava in preghiera continua, racconta che quella preghiera non lo separava dalla realtà esterna: ‘Se mi capitava di incontrare qualcuno, tutte quelle persone senza distinzione mi parevano altrettanto amabili che se fossero state della mia famiglia. […] Non solo sentivo questa luce dentro la mia anima, ma anche il mondo esterno mi appariva bellissimo e incantevole’”.
* Tratto da: Papa Francesco, Gaudete et exsultate, n.147-152
Sintesi della Redazione
11-LA LECTIO DIVINA
Esperienza di preghiera e di discernimento
di Giovanni Villata*
Soprattutto dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II, nella Chiesa cristiana cattolica è maturata la necessità di dare alla Bibbia l'attenzione dovuta, da parte dei fedeli e nella prassi formativa delle comunità ecclesiali. Quest’inarrestabile movimento è stato innescato e voluto da un documento conciliare, la Costituzione dogmatica sulla Divina rivelazione chiamato Dei verbum. In essa si è delineato un vero e proprio progetto di valorizzazione della Scrittura, non solo nella formazione dei ministri ma nella pastorale diretta delle comunità, con l’invito a tutti i credenti di leggerla personalmente e in gruppo.
L'auspicio della Dei verbum è che tutta la “religione cristiana sia nutrita e regolata dalla sacra Scrittura”. Nella Parola, continua la Dei verbum, “è insita tanta efficacia e potenza” da nutrire efficacemente la fede e da diventare “la sorgente pura e perenne della vita spirituale” (DV 21).
La lectio divina
Tra le attività che, soprattutto nel dopo Concilio, hanno assunto una rilevanza particolare e una diffusione piuttosto capillare c’è la lectio divina.
La lectio divina è una modalità di avvicinamento alla Scrittura che consiste nell'ascoltare la parola e meditarla, nel clima della preghiera in gruppo.
È una pratica antica: nel capitolo 8 di Neemia c’è una prima descrizione di tale pratica. La prima lectio della storia di cui si abbia testimonianza sarebbe stata impartita da Gesù stesso ai discepoli di Emmaus. A essi infatti Gesù, dopo la resurrezione, avrebbe spiegato le profezie che si riferivano a lui stesso e che erano scritte nell'Antico Testamento.
Enzo Bianchi, già priore del monastero di Bose, è stato il primo a diffondere nel dopo Concilio questo metodo anche se che risale ai padri della Chiesa. Fino al 1300 questo metodo davvero nutrì la fede di generazioni intere e ancora Francesco d'Assisi la praticava con costanza. Seguirono secoli di eclisse di questa preghiera che si conservò integro soltanto nei monasteri e presso i Servi di Maria.
Riappare epifanicamente proposta dal Concilio Vaticano II e un altro suo grande divulgatore sarà il Cardinal Martini.
Egli scriveva: “il metodo patristico della lectio divina nel suo percorso è semplicissimo e fondamentalmente prevede tre grandi gradini in momenti successivi: lectio, meditatio, contemplatio”.
Nella pratica i tre momenti non sono rigorosamente distinti, però la suddivisione è utile per chi ha bisogno di incominciare o di riprendere questo esercizio.
La triplice distinzione, tuttavia, - continua Martini - esprime in maniera appena embrionale il dinamismo della lectio divina che prevede oltre a lectio, meditatio, oratio, contemplatio, anche consolatio, discretio, deliberatio, actio.
Consolazione e discernimento
Tra tutti questi momenti desideriamo soffermarci soprattutto su due: la consolatio e la discretio.
La consolatio è la gioia del pregare, è il sentire intimamente il gusto di Dio, delle cose di Dio. Questo è un dono che ordinariamente si produce nell'ambito della lectio divina.
Grazie al gusto del Vangelo, ad una sorta di fiuto spirituale per le cose di Cristo, diventiamo sensibili a tutto quello che è evangelico e a ciò che non lo è.
Ci possiamo allora aprire alla discretio. Si tratta di un discernimento importante, perché noi non siamo chiamati solo a osservare i comandamenti all'ingrosso, ma seguire Gesù Cristo.
La sequela non può avere un'incidenza immediata nelle scelte quotidiane se non siamo – per così dire – entrati nella mente di Gesù, se non abbiamo gustato la sua povertà, la sua croce, l'umiltà del suo presepio, il suo perdono.
La Chiesa tutta ha sicuramente bisogno della discretio perché le scelte decisive non sono tanto sul bene e sul male, (non ammazzare, non rubare), ma su ciò che è meglio per il cammino della Chiesa, per il mondo, per il bene della gente, per i giovani, per i ragazzi.
* Tratto da: Giovanni Villata, Che idea di Chiesa abbiamo?, Elledici, Torino 2019
Sintesi della Redazione
12-ACCOSTARSI ALLA PAROLA
La Parola di Dio va non solo studiata ma anche pregata
a cura della Redazione
“Aprì loro la mente per comprendere le Scritture” (Lc 24,45). Così inizia il Motu proprio “Aperuit illis” con cui papa Francesco ha istituito la domenica della Parola di Dio.
“Questo”, continua Francesco, “è uno degli ultimi gesti compiuti dal Signore risorto, prima della sua Ascensione. Appare ai discepoli mentre sono radunati insieme, spezza con loro il pane e apre le loro menti all’intelligenza delle Sacre Scritture”.
“Questa relazione tra il Risorto, la comunità dei credenti e la Sacra Scrittura è estremamente vitale per la nostra identità. Senza il Signore che ci introduce è impossibile comprendere in profondità la Sacra Scrittura, ma è altrettanto vero il contrario: senza la Sacra Scrittura restano indecifrabili gli eventi della missione di Gesù e della sua Chiesa nel mondo. Giustamente San Girolamo poteva scrivere: ‘L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo’”.
In questo documento papa Francesco fa un preciso riferimento ad un altro documento magisteriale: l’esortazione apostolica post-sinodale Verbum domini di Benedetto XVI.
Il papa emerito dedica un ampio paragrafo al metodo della lectio divina, definito “capace di schiudere al fedele il tesoro della Parola di Dio, ma anche di creare l’incontro col Cristo, parola divina vivente”.
Troverete la descrizione del metodo in questa stessa pagina, punto per punto; qui vogliamo approfondire alcune condizioni che rendono più o meno efficace questo metodo.
La Parola di Dio va senz’altro studiata ma anche pregata come “già affermava sant’Agostino: ‘La tua preghiera è la tua parola rivolta a Dio. Quando leggi è Dio che ti parla; quando preghi sei tu che parli a Dio’”.
La Parola di Dio va condivisa. Scrive Benedetto XVI: “Si deve evitare il rischio di un approccio individualistico”, perché “la Parola ci è data proprio per costruire comunione, per unirci nella Verità nel nostro cammino verso Dio. È una Parola che si rivolge a ciascuno personalmente, ma è anche una Parola che costruisce comunità, che costruisce la Chiesa”.
Quando pratichiamo in gruppo la lectio divina facciamo esperienza di Chiesa. “In questa prospettiva, la lettura della Parola di Dio ci sostiene nel cammino di conversione, ci permette di approfondire il senso dell’appartenenza ecclesiale e ci sostiene in una familiarità più grande con Dio. Come affermava sant’Ambrogio: ‘quando prendiamo in mano con fede le sacre Scritture e le leggiamo con la Chiesa, l’uomo torna a passeggiare con Dio nel paradiso’”.
E qui torniamo al Motu proprio di papa Francesco, dove afferma che “La Bibbia è il libro del popolo del Signore che nel suo ascolto passa dalla dispersione e dalla divisione all’unità. La Parola di Dio unisce i credenti e li rende un solo popolo”.
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Siamo consapevoli che la lectio divina non è un esercizio di cultura ma un modo di pregare?
• Quando preghiamo la Parola siamo veramente Chiesa! Ce ne rendiamo conto?
• Pregare la Parola permette di godere dell’Indulgenza parziale o totale. Lo sapevamo?
13-LA LECTIO DIVINA IN PRATICA
La lectio divina è un metodo semplice, adatto a tutti, antico e moderno, per imparare a pregare con l’ascolto personale e/o collettivo della Parola di Dio.
Si articola in un prologo e quattro passaggi.
Si inizia con un’invocazione allo Spirito Santo, cui segue la lettura del brano e la sua presentazione esegetica da parte di una coppia del gruppo;
Lectio: cosa dice il testo in sé? Il testo viene riletto frase per frase. Su ogni frase ciascuno cerca di cogliere e condividere cosa dice il testo in sé, partendo dagli elementi portanti del brano: i verbi, gli avverbi, gli aggettivi, le qualità delle azioni.
Meditatio: cosa dice il testo a me? È il momento di "masticare" la Parola, perché questa interroghi in profondità la nostra vita.
Ciascuno rilegge in silenzio il testo lasciandosi interpellare dalla Parola e condivide con gli altri cosa il brano gli ha suggerito. Ne deriva: il discernimento di ciò che è bene e ciò che è male; il pentimento per il male commesso; il proposito di seguire il bene compreso ed amato; la gioia per quanto in noi e nel mondo è conforme al progetto di Dio; la conversione quando dalla Parola ci si vede lontani.
Oratio: cosa dico io al testo? Dopo aver ascoltato e letto la Parola di Dio, averla compresa nel suo senso concreto, nasce la risposta viva che è dialogo, adorazione, lode, supplica, ringraziamento… La risposta, pronunciata ad alta voce, suonerà così: "Signore ti ringrazio, ti lodo, ti domando…" a seconda della situazione in cui la Parola di Dio mi ha trovato.
Communicatio: condivisione e missione. Infine siamo chiamati a ritornare alla quotidianità, ma portando con noi i frutti dello Spirito. Ognuno sceglie una frase del testo biblico pregato e la condivide ad alta voce con i fratelli. Siamo chiamati a viverla prendendo un piccolo ma concreto impegno di conversione.
Allora la nostra vita quotidiana sarà trasformata dalla forza della Parola.
Fonte: www.gruppifamiglia.it
14-IL DISCERNIMENTO
Imparare a mettere a frutto il dono della libertà
Dire "Chiesa" non è unicamente designare le autorità riconosciute in essa, ma il popolo di Dio, persone e comunità.
Il carisma del discernimento non va identificato con quello dell'autorità, è piuttosto quello della profezia di Gioele richiamata da Pietro: «i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno» (Atti 2, 17).
A cura della Redazione
Il “discernimento”, termine ermetico per molti, è una parola che da un po’ è uscita dall’oblio in cui era caduta, grazie anche all’uso frequente che ne fa papa Francesco.
Sappiamo che Bergoglio si rifà al Concilio, e il discernimento – definito come la necessità di leggere i segni dei tempi – è il cuore del documento con cui Giovanni XXIII ha indetto il Concilio. E lo ritroviamo poi in alcuni documenti chiave del Vaticano II in cui il discernimento non solo diventa elemento strutturante dell’identità della Chiesa, ma anche un “dovere permanente” (1).
La necessità di fare discernimento diventa ancora più importante in un tempo come quello attuale che non è solo più “un’epoca di cambiamento ma un cambiamento d’epoca” (2).
Oggi il grande rischio che corriamo è smarrire i punti di riferimento, di diventare burattini alla mercé delle tendenze del momento o di andare in confusione. Bergoglio così già scriveva nel 1987: “La verità o la menzogna, in astratto, non sono oggetto di discernimento. Invece lo è la confusione” (3).
Per chiarire meglio che cos’è il discernimento ci affidiamo alle parole di Enzo Bianchi, priore di Bose, da sempre cultore di questo argomento.
Il discernimento
Scrive Bianchi (4): “La parola ‘discernimento’ deriva dal verbo latino discernere, composto di cernere (vedere chiaro, distinguere) preceduto da dis (tra); dunque, discernere significa ‘vedere chiaro tra’, osservare con molta attenzione, scegliere separando. Il discernimento è un’operazione che compete a ogni uomo e a ogni donna per vivere con consapevolezza, per essere responsabile, per esercitare la sua coscienza. Quando sperimentiamo la fatica della scelta, il dubbio, l’incertezza, oppure cerchiamo un orientamento nella vita quotidiana o nelle grandi decisioni da prendere, noi dobbiamo fare discernimento.
Quest’arte della scelta si fa urgente oggi per la società intera, in un’epoca di grandi mutamenti non solo per la fede, ma anche per l’etica, la cultura e la vita della polis; un’epoca di grandi incertezze che spesso paralizzano le scelte umane, rendendo gli uomini e le donne spettatori di un vivere che non appartiene loro e di una complessità che non sanno padroneggiare.
L’arte della scelta deve dunque essere riscoperta, praticata e confrontata tra mondi culturali differenti, in vista di un’umanizzazione che contrasti ogni superficialità e disimpegno, sempre preludio della barbarie.
Ognuno di noi è chiamato a discernere, vagliare, provare, interrogare, confrontare e poi a scegliere e imboccare una strada, anche a costo di sbagliare: la coscienza etica è un’istanza essenziale dell’agire quotidiano e quando non viene esercitata, è l’humanitas a essere minacciata”.
Il discernimento cristiano
In ambito cristiano, il discernimento assume una particolare valenza. Scrive sempre Bianchi (5): “Nella spiritualità cristiana, a partire da Origene (III secolo), il tema del discernimento è sempre stato scavato, meditato, soprattutto esercitato dai padri del deserto e dalla tradizione monastica. Più tardi in occidente ha conosciuto una particolare interpretazione in Ignazio di Loyola e nella spiritualità dei gesuiti, alla quale appartiene anche il papa.
Il discernimento è un dono che lo Spirito santo fa al credente anche se non si deve mai dimenticare che il dono per eccellenza, la cosa buona tra le cose buone (cfr Lc 11,13), è lo Spirito santo stesso.
Ascoltare lo Spirito, ascoltare la voce di Dio che parla nel cuore umano, nella creazione e negli eventi della storia, richiede di riconoscere innanzitutto questa voce tra tante voci, nella consapevolezza che la voce di Dio non si impone, non comanda, ma suggerisce e propone, anche con un sottile silenzio (cfr 1Re 19,12)”.
Una definizione molto chiara e sintetica del discernimento è, secondo Bianchi, quella del teologo Giuseppe Angelini: “Il discernimento può essere definito, in primissima approssimazione, come la qualità dell’animo che consente di riconoscere in ogni circostanza quello che conviene fare; e consente, prima ancora, di scorgere in ogni circostanza che conviene fare qualcosa, che si può e si deve prendere una decisione, che insomma le diverse situazioni in cui ci veniamo via via a trovare ci riguardano, ci interpellano, ci invitano a prendere parte, non ci respingono invece nella situazione troppo comoda (ma anche, sotto altro profilo, troppo scomoda) di coloro che sono sempre e soltanto spettatori”.
In conclusione, afferma il priore di Bose, si può “definire il discernimento come quel processo che ogni essere umano deve compiere nel duro mestiere di vivere, nelle diverse situazioni con cui si trova a confrontarsi, per fare una scelta, prendere una decisione, esprimere qui e ora un giudizio con consapevolezza. Il discernimento riguarda veramente ogni essere umano, nel suo specifico hic et nunc, ed è essenziale a ogni cristiano per vedere, conoscere, sentire, giudicare e operare in conformità alla parola di Dio”.
Il ruolo della Parola
“Chi si impegna nell’operazione del discernimento spirituale”, scrive ancora Bianchi (6), “deve diventare un ascoltatore assiduo della Parola, un servo della Parola al quale ogni mattino il Signore apre l’orecchio perché ascolti come un discepolo (cfr. Is 50); deve esercitarsi a rimanere, a sostare saldamente e con fiducia nella Parola che è Cristo.
Grazie all’esercizio delle facoltà intellettuali e all’ascolto della Parola, si può acquisire una certa capacità, un sentire, un ‘senso spirituale’. Esso nasce soprattutto dall’ascolto della coscienza, del profondo del cuore, e diventa accoglienza di un’ispirazione, di una mozione interiore, di un ‘fiuto’ che sa riconoscere la presenza del Signore e la manifestazione della sua volontà.
Così si sviluppa una sensibilità spirituale allenata al discernimento del bene e del male che permette di discernere facilmente ciò che è buono e gradito a Dio.
Così può scaturire la decisione, il giudizio secondo lo Spirito, fino a essere una ‘decisione presa con lui’, perché valutata ed emersa grazie alla sua forza ispiratrice.
Decisione che sempre appare una scelta, un amen all’ispirazione del Signore e un rifiuto convinto all’ispirazione del male, del demonio, al fine di compiere la volontà di Dio. Non basta, infatti, dire: ‘Signore, Signore!’, non basta conoscere la sua parola: occorre realizzarla, facendo la volontà del Padre che è nei cieli (cfr. Mt 7,21).
Si tratta di una decisione di vita, dell’impegno dell’intera persona: la scelta è un’esperienza che richiede di esercitarsi a rinunciare. E la rinuncia e la decisione fattiva sono finalizzate a un solo, semplice scopo: amare un po’ di più, amare un po’ meglio”.
1 Gaudium et spes, n.4
2 Papa Francesco, discorso al V convegno nazionale della Chiesa Italiana, 10 novembre 2015
3 Fonte: Luciano Moia, Avvenire, 4 maggio 2018
4 La Repubblica, 5 settembre 2018
5 Avvenire, 10 ottobre 2018
6 L’Osservatore romano, 1° settembre 2017
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Anche se siamo sempre di corsa, riusciamo a farci idee nostre su ciò che accade o andiamo a rimorchio degli altri?
• Riusciamo a cogliere il passaggio del Signore nella nostra vita?
• Quanto il nostro gruppo ci aiuta a fare discernimento?
15-LA REVISIONE DI VITA
Vedere, giudicare, agire
“È dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche” (GS, n. 4)
a cura della Redazione
Un metodo concreto per esercitare il discernimento è quello della revisione di vita (RdV).
Il metodo nacque nel 1925 nell’ambito della Gioventù cattolica operaia su proposta dall’abate Leon Cardijn, ed era rivolto non a persone particolarmente istruite ma a giovani operai semi analfabeti.
I giovani erano inviati, partendo da una situazione concreta della vita di fabbrica (vedere), a proiettare questa situazione nella Parola di Dio (giudicare), e scegliere insieme delle decisioni pratiche (agire).
Per quei giovani, prendere in mano il Vangelo e cogliervi il volto di Cristo lavoratore fu una scoperta straordinaria e galvanizzante (1).
Dal Concilio ad oggi
Negli anni a cavallo del Concilio la RdV conobbe uno sviluppo e una diffusione impetuosi, sia a livello di movimenti laicali, sia negli istituiti di vita consacrata.
La crisi che il metodo subì negli anni settanta fu legata alla presunzione ingenua di poter applicare la Parola in modo automatico ai fatti concreti della realtà (economica, sociale, politica, ecc.) senza ulteriori mediazioni.
Eppure, dal Concilio in poi, il metodo della revisione di vita ha caratterizzato molti importanti documenti della Chiesa, anche se non in modo dichiarato.
Iniziò papa Giovanni XXIII che, nell’enciclica Mater et Magistra, parlando della formazione dei fedeli scriveva “Per mettere in pratica i principi sociali si passa in generale per tre tappe: lo studio della situazione concreta; l’esame serio di essa alla luce dei principi e infine la determinazione di ciò che può e deve essere fatto per applicarli seguendo le circostanze di tempo e di luogo”. È il semplice schema della “Revisione di vita” (2).
Se ne parla anche nel documento pastorale conciliare Gaudium et spes. Qui i tre verbi della RdV: vedere, giudicare, agire diventano i tre passi della spiritualità laicale: partire dalla vita concreta delle persone e dalla cultura che esse vivono (“assumere”); considerarne i valori e le contraddizioni alla luce della Parola (“purificare”); migliorare concretamente la realtà in cui si vive (“elevare”) (GS n. 4,11,34) (3).
Paolo VI, a sua volta, definì il Concilio “la revisione di vita di tutta la chiesa”.
Come ogni intuizione importante, anche la RdV ha dovuto affrontare il suo periodo di crisi e la sua prova (fine degli anni ’60) anche se le Chiese locali che sono state trasformate più in profondità dal Concilio hanno fatto loro questo metodo.
Ne sono un esempio le comunità di base dell’America latina e ciò ha avuto
ampia eco nelle Conferenze generali dell’episcopato latinoamericano di Medellín (1968), Puebla (1979) e Aparecida (2013).
Un altro esempio è la Chiesa di Milano sotto la guida del card. Martini. Il vescovo, nella sua prima lettera pastorale alla Diocesi del 1981 affermò che la RdV era un “secondo modo” di fare “Lectio” (4).
Figlio dell’America latina, papa Francesco, pur senza citarla direttamente ha fatto spesso uso della RdV dei suoi scritti.
Per cogliere i “segni dei tempi”
Prima di accennare al magistero di Bergoglio è necessario tornare un momento al Concilio.
In un discorso del 1969 così si esprimeva san Paolo VI: “Uno degli atteggiamenti caratteristici della Chiesa dopo il Concilio è quello d’una particolare attenzione sopra la realtà umana, considerata storicamente; cioè sopra i fatti, gli avvenimenti, i fenomeni del nostro tempo. Una parola del Concilio è entrata nelle nostre abitudini: quella di scrutare ‘i segni dei tempi’”.
Questo concetto è stato ampiamente ripreso da papa Francesco.
“Non è compito del Papa” egli scrive nella Evangelii gaudium, “offrire un’analisi dettagliata e completa sulla realtà contemporanea, ma esorto tutte le comunità ad avere una ‘sempre vigile capacità di studiare i segni dei tempi’… È opportuno chiarire ciò che può essere un frutto del Regno e ciò che invece nuoce al progetto di Dio. Questo implica non solo riconoscere e interpretare le mozioni dello spirito buono e dello spirito cattivo, ma – e qui sta la cosa decisiva – scegliere quelle dello spirito buono e respingere quelle dello spirito cattivo” (EG 51). I verbi usati: riconoscere, interpretare, scegliere non sono altro che i tre momenti della RdV.
Lo stesso avviene per l’enciclica Laudato sii, che è strutturata in tre momenti: osservare, contemplare, discernere, che corrispondono ad altrettanti capitoli del documento.
Sarà ancora più esplicito nella lettera apostolica Misericordia et misera, pubblicata a conclusione del giubileo straordinario della misericordia.
Qui scrive: “Nel tradurre in termini di concretezza i principi e le direttive sociali, si passa di solito attraverso tre momenti: rilevazione delle situazioni; valutazione di esse nella luce di quei principi e di quelle direttive; ricerca e determinazione di quello che si può e si deve fare per tradurre quei principi e quelle direttive nelle situazioni, secondo modi e gradi che le stesse situazioni consentono o reclamano. Sono i tre momenti che si sogliono esprimere nei tre termini: vedere, giudicare, agire” (MM 217).
E aggiunge anche un consiglio pratico: “Nel tradurre nella realtà concreta principi e direttive sociali possono sorgere anche tra cattolici, retti e sinceri, delle divergenze. Quando ciò si verifichi, non vengano mai meno la vicendevole considerazione, il reciproco rispetto e la buona disposizione a individuare i punti di incontro per una azione tempestiva ed efficace: non ci si logori in discussioni interminabili e, sotto il pretesto del meglio e dell’ottimo, non si trascuri di compiere il bene che è possibile e perciò doveroso” (MM 219).
Emerge un’esigenza di fondo: evitare di esprimere giudizi sulle persone, pur nella differenza di opinioni.
Tocca ora a noi riconsiderare la validità di questo metodo, da sempre proposto dai Gruppi Famiglia (vedi riquadro), e farne nuovamente esperienza nelle nostre realtà.
1 Fonte: sito Gioc
2 Giuseppe Mani. Fonte: sito giuseppemani
3 Domenico Cravero. Fonte: notedipastoralegiovanile
4 Fonte: sito Qumran
• Cosa ne pensiamo del momento storico in cui viviamo? Come interpretiamo i “segni dei tempi”?
• Nel nostro gruppo usiamo il metodo della RdV? Quali sono i suoi punti di forza e quali i suoi limiti?
• Quando nel gruppo emergono punti di vista differenti come procediamo?
16-LA REVISIONE DI VITA IN PRATICA
La revisione di vita (RdV) è un metodo per fare cerniera tra vita quotidiana e fede, condividendo con gli altri il cammino. Viene proposta, prima di ogni incontro, un tema dalla quale partire per:
Vedere. Dopo un'invocazione allo Spirito Santo la coppia che conduce l'incontro ripropone il tema scelto per la RdV e ciascuno propone la sua testimonianza, attingendo alla sua esperienza personale e di coppia, senza esprimere giudizi.
Questo momento di ascolto reciproco e di comprensione profonda dell'esperienza altrui favorisce la formazione della "presa in carico" reciproca.
Giudicare. A questo punto i partecipanti si prendono un momento di silenzio per "ruminare" dentro se stessi quello che hanno sentito e per interpretarlo alla luce del Vangelo. Ciascuno si raccoglierà in se stesso e farà memoria di quegli episodi e brani del Vangelo, o più in generale della Bibbia o del Magistero della Chiesa, che rimandano a quanto udito e vissuto fino a quel momento e li condividerà con gli altri.
Non sempre la nostra conoscenza del Vangelo è così approfondita da riproporre la citazione esatta, quello che conta è dire con parole nostre ciò che ci ricordiamo perché è comunque questo che ci è rimasto impresso nel cuore.
Agire. È il momento della conversione, è ora di prendere impegni precisi. Domandiamoci: che cosa mi chiede Gesù, qui e ora, per la mia conversione?
Ciascuno, dopo un attimo di riflessione, esprime ad alta voce il proprio pensiero sentendo che tutti gli altri partecipano sostenendolo con la preghiera.
L'impegno preso non deve essere troppo difficile, altrimenti si rischia di non metterlo in pratica, deve essere alla portata anche di un bambino in modo da non poter avere scuse in caso di inadempienza.
Si conclude l'incontro con una preghiera di ringraziamento o di lode.
Fonte: www.gruppifamiglia.it
17-LA FORMAZIONE
Per avere laici che pratichino l’arte dell’accompagnamento
a cura della Redazione
L’ultimo tema che vorremmo proporvi, alla fine di questo numero, è quello relativo alla formazione.
Temi come la coscienza, la preghiera, il discernimento, il confronto con la Parola sono fondamentali ma hanno bisogno di guide, di maestri per poterle far crescere o praticare al meglio.
Nessuno nasce “imparato” e quindi sono cose che vanno coltivate prima di tutto in famiglia.
Non basta insegnare ai figli le preghiere, serve pregare; è importante che loro ci possano chiedere: “cosa fai?” quando preghiamo.
Per il discernimento è più facile perché la vita richiede continuamente delle scelte: p.e. tra continuare a giocare o fare la doccia, tra mangiare quando capita o rispettare l’orario dei pasti.
Come genitori e come nonni non ci manca di certo occasione per spiegare perché certe cose vadano fatte a tempo debito. Ma, come sappiamo, la coerenza è fondamentale: i bambini son svelti a cogliere le nostre incongruenze.
La formazione
Quando si diventa adulti non ci sono più genitori o nonni che insegnino: di solito non li vogliamo più ascoltare. Ma non si può restare “bambini” nella fede, servono guide, servono maestri, servono direttori spirituali, serve trovare persone, “sacerdoti, religiosi e laici” che pratichino “l’arte dell’accompagnamento” (cfr. EG 169).
Non dobbiamo rinunciare a questa possibilità, come non dobbiamo rinunciare a tutte quelle proposte di formazione che la nostra parrocchia, la nostra diocesi e la Chiesa in generale ci offrono.
Non tutto ciò che viene proposto sarà interessante, occorre scegliere quello che riteniamo più utile e fruttuoso per noi “qui ed ora”. Una scusa ricorrente è: “non ci sono iniziative che mi interessano”, ma siamo sicuri di aver cercato bene? Per esempio, molti hanno partecipato ai campi estivi dei Gruppi Famiglia pur senza saperne molto ma solo perché si sono messi in ricerca.
La Parola
La Parola ha un ruolo fondamentale nel cammino di crescita cristiano, ma non ci si può accostare incautamente ai Vangeli, anche qui servono guide.
Ci sono molte iniziative che permettono di accostarsi alla Parola, ma poi è necessario instaurare un rapporto personale e diretto con il Signore che ci parla.
In questo caso, la guida può essere un buon testo esegetico, che spezzi per noi la Parola e ce la renda facilmente assimilabile. Non vi sembrino strani questi verbi così legati all’esperienza del cibo: la Parola è nutrimento dell’anima come il cibo lo è per il corpo.
Ci permettiamo di suggerirvi, se non siete pratici di Vangelo, quello di Marco, il vangelo dei catecumeni, con il commento esegetico di Silvano Fausti (1).
Lo abbiamo già citato in altre occasioni, ma ci piace riproporvelo. Il libro di Fausti non è da leggere tutto d’un fiato (sono 550 pagine!) ma un capitolo per volta, sera dopo sera. È, infatti, un testo da pregare. Lo suggerisce l’autore stesso che definisce il libro come un sussidio e, nell’introduzione, insegna come fare una lettura orante.
La Chiesa di Francesco
Per il cammino formativo può essere utile dotarsi anche di strumenti per “discernere i segni dei tempi”. Diverse indicazioni si possono ricavare dal testo programmatico del ministero di papa Francesco: l’Evangelii gaudium. Più che invitarvi a leggere l’Esortazione vi suggeriamo un libro che la rilegge applicandola alla Chiesa italiana.
Si tratta di: “La chiesa che manca” di Armando Matteo (2). Sono poco più di cento pagine, veloci da leggere ma molto interessanti.
Cosa manca alla Chiesa italiana secondo l’autore? “Una chiesa che apra gli occhi, cioè una comunità che accetti la fine del Cristianesimo, che sappia cogliere le grandi questioni umane oggi in gioco in questo cambio d'epoca, che riesca finalmente a superare la propria pesante autoreferenzialità e che riesca perciò a parlare alla vita della gente, perché conosce e pensa quella vita”.
Ve lo proponiamo perché da questo libro abbiamo tratto molti spunti per questo numero e penso ce ne potrà ancora offrire altri in futuro.
1 Ricorda e racconta il Vangelo. La catechesi narrativa di Marco, Àncora Editrice, Milano 1998.
2 La Chiesa che manca, Edizioni San Paolo, Milano 2018.
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Cosa facciamo per la nostra formazione cristiana? Abbiamo un direttore spirituale?
• Abbiamo confidenza con la Parola di Dio? Leggiamo almeno il Vangelo prima di andare a Messa?
• Dove sta “andando” la Chiesa? Siamo rassegnati o in ricerca?
Testimonianze
18-VIVERE LA FEDE OGGI
Abbiamo rivolto alla redazione “virtuale” della rivista dieci domande su come viviamo oggi la nostra fede. Ne è sortito una sorta di incontro di Collegamento a distanza - nell’attesa di poterci incontrare di persona. Nelle sette pagine che seguono trovate le loro risposte.
Parole e opere
Come testimoniamo la nostra fede nella quotidianità? Quanto contano le parole e quanto le opere?
Oggi ognuno pensa e agisce secondo quello che gli passa per la testa sul momento senza regole e riferimenti precisi; senza astio od ostilità per chi agisce in modo diverso, e magari corretto.
Dunque non è sufficiente testimoniare, occorre motivare con la parola e con gli strumenti più adatti; ovvero serve davvero evangelizzare cioè portare la buona e bella notizia cristiana, la sola in grado di dare pace e serenità.
Toni
Le opere sono importanti perché la nostra fede non è teoria, non è una filosofia astratta, ma piuttosto è modo di vivere, è la ragione della vita, dunque basata sulle opere che facciamo.
Ma approfondire il motivo delle opere che compiamo è altrettanto importante perché ciò ci porta alla radice delle fede, ci fa scoprire e capire di essere amati da Dio, di essere stati pensati da Lui fin dal grembo materno e quindi ci fa trasmettere quanto ricevuto agli altri nelle opere e anche nelle parole.
Elda e Fabio
Nella mia famiglia di origine durante il pranzo domenicale si parlava della messa. Si commentava un po’ tutte le parti del rito, omelia compresa, e alla fine si arrivava al Vangelo.
E qui emergeva sempre la difficoltà di vivere e di operare secondo la Parola. Così si è fatta strada in me l’idea di quanto le opere siano più importanti delle parole. Mi sto accorgendo, però, che in questo tempo c’è bisogno di parole, di motivare, di spiegare, così che le parole diventino vive nelle opere.
Fiorenza
Fin da quando ero adolescente ho intrapreso il mio impegno di laica impegnata con vari impegni (catechista, liturgia, gruppo missionario) ma devo riconoscere che in quel periodo non era facile testimoniare la mia fede con le persone che incontravo a scuola. Poi col passare degli anni, maturando come persona e come cristiana e creando un rapporto diverso con le altre persone, le cose sono cambiate.
Ernesta
Sin da ragazzina ho svolto molto volontariato, dai senza fissa dimora, agli anziani, sino ai più piccoli. Le parole arricchiscono, ma le opere e i gesti, le emozioni che provi quando aiuti gli altri, ti entrano dentro, ti fortificano, ti convincono che ne vale la pena anche quando altri ti remano contro.
A me lasciano segni indelebili. Storie di persone che hanno segnato e cambiato il mio stesso modo di vivere.
Allo stesso modo, il rispetto, la riconoscenza, la critica motivata - non solo parole lapidarie che il più delle volte demoliscono - ma parole di apprezzamento, positive, propositive fanno tanto bene al cuore di chi le dona e di chi le riceve.
Valentina
Certo le parole senza le opere sono vane, ma non sono due realtà completamente diverse; già le parole sono degli atti e quel che soprattutto occorrerebbe fornire sono dei buoni esempi, in tutto l’arco della giornata.
Giuseppe e Monica
Nella quotidianità credo che la mia educazione cristiana mi chieda di essere fedele ai valori con cui sono cresciuto e maturato negli anni.
Ciò mi chiede disponibilità verso chi ha più bisogno, senso civico, spirito critico verso chi amministra la cosa pubblica ma disponibile sempre al confronto, sensibile alla preghiera che ispira ogni atteggiamento quotidiano.
Roberto
Sono convinto che il cristiano non possa permettersi di vivere due vite parallele, una spirituale, legata al momento religioso, e una sociale, in cui confina lavoro, impegno, famiglia.
Il credente è chiamato essere uno, con i suoi fratelli ma anche con sé stesso e quindi con tutti gli aspetti della propria esistenza. E quindi a testimoniare attivamente la propria fede nella propria vita quotidiana.
Daniele
Come giornalisti e scrittori credenti, Cristina ed io non vediamo una reale contrapposizione tra parole e opere. Anche perché gran parte delle nostre opere sono proprio fatte di parole!
Raccontare un fatto di cronaca in modo corretto e provare a rileggerlo alla luce del Vangelo è un’opera di cui c’è bisogno, oggi più che mai.
Ma non solo: produrre parole per i mass media espone al pubblico e al pubblico giudizio, quindi la testimonianza è richiesta sempre.
Patrizio
Cerchiamo di vivere sempre coerentemente con i nostri valori cristiani, da interpretare e “incarnare” ogni volta nell’agire, nell’incontrare, nel lavorare.
Il modus vivendi e operandi è di sicuro più importante delle semplici parole, però occorre testimoniare la nostra religione in entrambi i modi. La coerenza è quello che conta di più e a volte ci viene meno, purtroppo.
Emilio e Margherita
La testimonio con la preghiera (anche se ritengo sia poco il tempo che dedico alla preghiera), con il "fare" per i familiari, con il sorriso e, a volte, con l'ascolto nei confronti di quelle persone che incontro o mi avvicinano.
Paola
Pregare molto se poi non si dona un sorriso o un aiuto a chi ci sta vicino conta poco, ma agire ogni giorno con amore e pazienza (ce lo ricorda Papa Francesco), incontrando la suocera che hai vicino e che ti ferma per parlarti un po’, la mamma di un compagno di tuo figlio alla spesa che però fa finta di non conoscerti, salutando un vicino che non risponde al saluto, rispettando il cliente che sa tutto lui, è la sfida della nostra vita.
Loredana e Ivano
Contano più gli atteggiamenti che le opere stesse e le parole.
Paola e Gianni
La coerenza
Quanto siamo coerenti, nell’agire quotidiano, con la fede che professiamo?
Non è facile soprattutto quando si incontrano le persone che non la pensano come me. Questo capita anche all’interno della parrocchia, quando ci sono scelte da fare e da condividere e ci sono interpretazioni diverse.
Fiorenza
La questione della coerenza nel quotidiano mi sottopone sempre una domanda: “ Chi seguo?”. Cerco di essere coerente, ben consapevole che la mia giornata è talmente piena da non consentirmi di essere sempre “coerente”. La tensione, sempre presente, è quella di essere coerente nel seguire ciò in cui credo e quindi nei valori del Vangelo.
Roberto
Per chi coltiva la vocazione all’impegno in politica, il momento della scelta (sui voti, sulle leggi, sulle priorità) obbliga a misurare continuamente il proprio operato col proprio bagaglio di valori e convinzioni. E con l’insegnamento e la dottrina della Chiesa.
Daniele
Cerchiamo di esserlo… Dovendo esprimere una percentuale… possiamo dire 75%.
Paola e Gianni
Essere cristiani, ed essere fieri di esserlo, a volte può diventare scomodo. Ritengo che l’evangelizzazione sia un nostro compito fondamentale in famiglia e nella quotidianità.
Al lavoro con i colleghi o con gli amici allo stadio… non fa differenza, io ci provo sempre.
Anche nelle piccole cose, come farsi il segno della croce in pizzeria prima di iniziare a mangiare o entrare in una chiesa per dire una preghiera, o commentare i fatti di cronaca di tutti i giorni…
Emilio
Quando insegnavo, il rapporto con i colleghi non è stato sempre facile, specialmente con qualcuno (pochi, per fortuna) che criticavo e giudicavo. Ora che sono in pensione ho contatti soprattutto con le persone che desidero frequentare e, quando incontro o collaboro con persone le cui idee non condivido, cerco di astenermi dal giudicare anche se, a volte, devo riconoscere che mi costa non poca fatica.
Paola
Cristiani sempre
Le persone che incontriamo durante la giornata sanno che siamo cristiani praticanti?
Io non ho mai avuto remore nel dichiararmi praticante, perché ne sono felice, è una forza, un riferimento, è il mio “incontro quotidiano con Lui”, perché, secondo me, avere fede non significa recitare preghiere, imparare formule a memoria, ma è “un incontro con Gesù”.
Valentina
Sì, le persone che incontriamo in ambito lavorativo o sportivo sanno che siamo cattolici praticanti. Se in una conversazione (e in realtà accade abbastanza spesso) si entra in argomenti che riguardano in qualche modo l’ambito religioso, esprimiamo apertamente il nostro parere, dichiarando la nostra appartenenza. Per altro, a differenza di tanti anni fa, questa cosa non genera atteggiamenti di critica o di chiusura, ma piuttosto una genuina curiosità, in senso positivo, un confronto rispettoso, e spesso anche una certa simpatia.
Elisabetta e Mauro
Da 10 anni circa viviamo in un paese della seconda cintura di Torino. Ci si conosce tutti! Situazione che comporta pregi e difetti; rischi e opportunità. Se frequenti la chiesa... ti esponi! E vieni comunque... valutato.
Adriano
Anche troppo, dato che molti gesti vengono interpretati alla luce della tradizione cristiana e non giudicati di per sé. Su questi punti c’è discussione fra noi e ci sembra che un discreto criterio sia il seguente: non nascondere la fede, ma neppure esibirla continuamente.
Giuseppe e Monica
Sia nell’ambito familiare, in quello del volontariato piuttosto che nell’ambito lavorativo non mi sottraggo all’azione di far sapere quali sono i valori in cui credo. Nel mio ufficio, (studio professionale privato) senza alcuna ostentazione sono presenti “segni” chiari del mio essere cattolico.
Roberto
Personalmente vivo la mia condizione di credente, impegnato in politica, alla luce del sole, non facendone mistero con i miei interlocutori. Non saprei dire se dipende dai tempi che cambiano o dall’età (mia e di chi frequento) che avanza: tuttavia colgo minore ostilità verso la figura del credente o verso la Chiesa. Mi preoccupa quando quella del mondo diventa indifferenza, brutta versione della tolleranza, segno della mia, nostra insufficiente capacità di essere scandalo, probabilmente.
Daniele Valle
Credo che chi ci incontra per la strada sappia che siamo cristiani.
Emilio e Margherita
Fede e morale
Come gestiamo il conflitto tra la morale cattolica e l’etica contemporanea, quella che vive la maggioranza dei nostri interlocutori?
Gestire il conflitto tra morale cattolica ed etica moderna non è sempre facile, io mi regolo in base all’ambiente in cui mi trovo. Se il posto è abbastanza ristretto e chi sta parlando ha opinioni diverse dalle mie, espongo e spiego perché la penso in modo diverso. In altri ambienti dove la totalità la pensa diversamente mi astengo dall’intervenire.
Fiorenza
È molto difficile, spesso in me ha causato profonde riflessioni. Quello che manca reputo sia la necessità di approfondire le questioni, prendersi il tempo e confrontarsi. Il dialogo deve essere alla base di ogni scelta e di ogni percorso che si intenda intraprendere.
Valentina
Non la gestiamo, nel senso che a noi vanno bene le indicazioni della Chiesa, e nessuno ci impedisce di praticarle. Ovviamente i non credenti agiscono secondo la loro coscienza e non è compito nostro gestirli.
Siamo convinti che Dio ami la nostra libertà, e di conseguenza cerchiamo di amare la libertà degli altri. Se poi ci viene esplicitamente chiesto un consiglio… peggio per loro; specialmente su argomenti quali aborto, matrimonio, sacramenti non si può essere ambigui.
Elisabetta e Mauro
Seguiamo una linea condivisa con altre persone con cui mia moglie Domenica e io condividiamo il cammino di fede. Consiste nel continuare a informarsi e formarsi, nell’affermare ciò che la nostra fede e la Chiesa in questo momento storico ci suggerisce, rispettando comunque altre scelte che le leggi dello Stato consentono.
Adriano
Si tratta di una questione spinosa e delicata, che esiste realmente e che percepiamo ogni giorno; gli stessi figli sembrano più influenzati dal contesto in cui vivono e meno dalle nostre idee. Occorre valorizzare la famiglia e contribuire, nel nostro piccolo, a rivalutarla. Anche qui lavorando assieme e, soprattutto, con esempi silenziosi e non con ostentazione.
Giuseppe e Monica
Più che conflitto tra morale cattolica e l’etica contemporanea io vivo un rapporto tra le due. La morale cattolica mi ha aiutato a mantenere ben saldi i principi di base per una vita non certamente perfetta ma comunque coerente. L’etica contemporanea mi interroga molto sul come i miei valori siano molto lontani da essa.
Roberto
A volte con sofferenza. Cerchiamo di superare il conflitto da “gestire” con il rispetto per le diversità /ideologiche, comportamentali, ecc.) e il non-giudizio evangelico.
Paola e Gianni
Fede e famiglia
In famiglia, in che modo manifestiamo la nostra fede?
È la sera Il momento in cui ci “ritroviamo”, in cui ci raccontiamo ciò che abbiamo vissuto ed è quello in cui condividiamo anche i piccoli gesti. Insieme, con il nostro bambino, recitiamo la preghiera prima della cena, la preghiera prima di addormentarci. È importante insegnare a nostro figlio il nostro essere cristiani, ma è con l’esempio che gli dimostriamo come si vive: nutrendoci della Parola, dei gesti, come l’ascoltarci, ascoltare gli altri, agire con rispetto, aiutare i più deboli…
Valentina
La nostra famiglia è sempre più eterogenea: figlio numero 1 seminarista, figlio numero 2 nella norma, figlia numero 3 sedicente atea… Adesso che siamo tutti e 5 a casa insieme, si passa dalla Messa del Papa in Santa Marta alle tirate contro la Chiesa e l’oratorio. Ma quello che ci chiediamo è: quale parte abbiamo noi nelle scelte dei nostri figli? Quali messaggi abbiamo dato per assistere a scelte così diverse? Probabilmente ci è sfuggito qualcosa…
Elisabetta e Mauro
Anche se a volte manca la costanza, ogni sera tentiamo di pregare insieme e di mantenere viva l’amicizia con altre famiglie e persone che, anche loro come noi, hanno bisogno di rafforzarsi, mediante un contatto e un aiuto reciproco.
Giuseppe e Monica
In famiglia preghiamo uniti in alcuni momenti come la Messa Domenicale, durante gl’incontri dei vari gruppi a cui apparteniamo e prima dei pasti.
Roberto
Noi manifestiamo la nostra fede semplicemente partecipando alla vita pastorale della parrocchia in qualche gruppo o associazioni e facendo delle scelte ragionevoli. Cerchiamo di insegnare i valori veri che ci sono stati insegnati anche a nostro figlio Giovanni che ora ha 14 anni (anche se a volte bisogna andare cauti in questa fase di crescita).
Loredana e Ivano
Ho il dono di condividere la fede con mia moglie. Per questo, sia le scelte sulla conduzione della famiglia, sia momenti quali la partecipazione alla liturgia o i momenti di preghiera in casa, sono tutti momenti di condivisione nella dimensione familiare. La frequentazione di un gruppo presso il Punto Familia è una costante occasione di confronto e crescita che ci accompagna praticamente dall’inizio del matrimonio.
Daniele
Un cenno di preghiera prima dei pasti (preghiere serali quando i bambini erano piccoli). Messa Domenicale. Collegamenti a momenti liturgici annuali. Manca sistematicità…
Paola e Gianni
In famiglia cerchiamo di educare i nostri figli alla fede cristiana, di pregare con loro e commentare la quotidianità, come le scelte dei politici sui fatti di cronaca. Ascoltare le indicazioni del Santo Padre e insegnare la Carità.
Emilio e Margherita
Vita di fede
Di cosa sentiamo bisogno per la nostra vita di fede?
Riteniamo necessario un contatto costante con la Parola di Dio e con la comunità e la sua testimonianza. Per noi è stato importante negli anni incontrarci ogni settimana in un gruppo di catechesi biblica. A questo sarebbe bello si affiancasse una direzione spirituale personale, ma trovare sacerdoti o religiosi disponibili e preparati è un’impresa, a nostro avviso, davvero difficile.
Elda e Fabio
Sento il bisogno di una continua ricerca e un continuo approfondimento.
Mi accorgo che più approfondisco e più c’è da conoscere e sapere. Sento la necessità di crearmi dei momenti di silenzio e di preghiera personale, che non sempre riesco a trovare.
Fiorenza
Oggi più che mai è necessario affidarsi ad un gruppo di amici con cui fare un cammino, costante e continuo. Anche la vicinanza del Sacerdote amico con cui confrontarsi/confessarsi a tu per tu è molto importante. Inoltre crediamo molto nella formazione: ritiri, seminari, conferenze anche via web.
Roberto
Per la nostra fede: nutrimento spirituale sacramentale e preghiera comunitaria e personale, momenti di riflessione sulla Parola, contatti nei gruppi.
Paola e Gianni
Crediamo che la preghiera e la ricerca del silenzio personali siano un aiuto concreto al nostro agire cristiano, ma è sempre più difficile trovare il tempo per fermarsi, andando di fretta ogni giorno per un mondo che freme e che deve “fare” sempre qualcosa.
Loredana e Ivano
Testimoniare
Di cosa sentiamo bisogno per migliorare la nostra testimonianza nel mondo?
Mi hanno molto colpito le parole del nostro Arcivescovo durante la visita pastorale, quando ci ha esortato a “uscire” non solo per portare la nostra testimonianza, ma anche per cercare nel mondo i segni della presenza del Signore, e svelarli.
Ecco allora che penso di aver bisogno di trovare il coraggio di confrontarmi sempre più con la realtà delle persone esterne alla comunità.
Elda
Per testimoniare sento di aver bisogno di molto coraggio che a volte proprio non ho.
Fiorenza
La testimonianza personale è importante ma quella dimostrata dalla comunità o dall’associazionismo è ancora più efficace.
Solo se le persone ci vedranno agire in gruppo, con un vero spirito di stima reciproca e di servizio, potranno essere toccati e forse invogliati a loro volta per testimoniare.
Roberto
L’importante è che ci svegliamo tutti da quel sonno che ci opprime perché nessuno può trasformare la realtà da solo, occorre sensibilizzare le coscienze e agire tutti insieme come comunità viva e sveglia.
Toni
L’impegno politico non gode di grande favore ultimamente e questo vale anche tra i credenti e tra i consacrati. Eppure la necessità di sostenere chi si è impegnato e chi si potrebbe impegnare è cruciale nel confronto tanto con la secolarizzazione della società quanto con quel sentimento di paura e ostilità che sta via via intaccando il sentimento di fratellanza.
Daniele
Non bisogna aver paura di confrontarsi con i fratelli cristiani e anche non cristiani. Serve, come dice Papa Francesco, “testimonianza, non proselitismo”.
Paola e Gianni
Occorre avvicinarsi alle famiglie in difficoltà; concretamente non è facile, perché poche sono le persone che sentono il bisogno di confidarsi, soprattutto con i parrocchiani che magari incontrano in chiesa o saltuariamente per la strada.
Paola
I gruppi famiglia
Cosa dovrebbe offrire un gruppo famiglia per essere più utile in questo tempo?
Il gruppo famiglia offre un confronto per la vita e sulla vita. Ci aiuta a una verifica con il Vangelo, puntuale e veritiera. Ci costringe a pensare e a fare delle scelte razionali in base al nostro contesto familiare. All’interno del gruppo le sensibilità sono diverse e le opinioni rispecchiano le realtà di ogni famiglia. Questo confronto diventa ricchezza se vissuto come opportunità e ampiezza di vedute, altrimenti, ognuno rimane nelle proprie opinioni e non si va oltre. Molto utile nel gruppo il confronto dell’ambito lavorativo, per capire le diverse realtà dove ognuno lavora.
Fiorenza e Antonio
Ci sembra importante, affinché i gruppi continuino ad avere una ragion d’essere, che, oltre allo scambio di esperienze di vita e di fede, il percorso formativo riguardi anche aspetti diversi dai temi della coppia e della famiglia. Fondamentale, secondo noi, è il tema della carità fraterna, in modo che tutti siano sollecitati ad offrire un aiuto pratico a quelle famiglie che possono passare momenti di difficoltà di qualunque tipo, sia dal punto di vista economico che organizzativo.
Elda e Fabio
A livello di singoli e di coppia abbiamo intrapreso vari impegni, cercando sempre nuove occasioni per formarci (incontri, testimonianze, catechesi, scuola della Parola) e dando la nostra disponibilità anche in modo concreto. Questo nostro stile lo abbiamo trasferito anche nella scelta dei temi degli incontri dei gruppi famiglia che negli anni abbiamo organizzato.
Ernesta
Abbiamo bisogno nella nostra vita di coppia che la fatica non diventi logorio e che i rapporti non si coprano di polvere e torpore; questo si può attuare in un clima rinnovato di fiducia, favorito da occasioni di incontro. Tali occasioni fanno intravedere come i problemi siano comuni. I fulcri di questi incontri: la preghiera in comune, cuore essenzialissimo; una meditazione costruttiva della Sacra Scrittura e infine, se c’è tempo, una sintetica riflessione sul nostro modo di vivere in società, utile per sintonizzarsi con i problemi che coinvolgono, a volte tormentano, le famiglie. Il disporsi in rete delle famiglie può farci procedere in tale direzione, da soli e senza aiuto non ce la possiamo fare.
Giuseppe e Monica
A mio avviso i gruppi stanno sempre più diventando dei piccoli ghetti dove “si sta bene assieme”, si “succhia” qualcosa che può servire o aiutare…
E la missionarietà? L’impegno? Che cosa abbiamo coltivato e fatto crescere? Quanti nuovi gruppi sono spuntati in questo ultimo periodo? Quante persone/coppie di sposi/famiglie si sono aggiunte ultimamente nel nostro cammino? E quante ne abbiamo perse per strada?
Toni
Da un gruppo famiglia si riceve un aiuto per la formazione continua, e un aiuto quindi per la trasmissione della fede.
Paola e Gianni
Non sappiamo dire se i gruppi famiglia potrebbero sostenere di più le famiglie e in che modo; il problema forse, secondo noi, è che manca la volontà di scegliere di appartenere a un gruppo che parla anche dei problemi personali della coppia.
Loredana e Ivano
Laici e consacrati
Come viviamo il rapporto con i sacerdoti e in genere i consacrati?
In quali occasioni ci sentiamo alla pari e in quali ci sentiamo inferiori?
Non serve a nulla contestare il clericalismo ancora imperante ma inventare iniziative per dargli la dimensione giusta di servizio.
Toni
L a nostra unità pastorale è formata da sette parrocchie e il sacerdote che si incontra più facilmente è quello con cui si collabora in parrocchia.
Il mio percorso di catechista è seguito dal vicario del parroco, un sacerdote molto giovane con il quale mi rapporto volentieri. Lavoro anche bene con le suore delle due congregazioni religiose presenti nella nostra città.
Fiorenza
Nella cerchia di amici ci sono diversi sacerdoti e religiose, con cui abbiamo un bel rapporto, nessuno si è mai sentito superiore.
Un po' diverso in parrocchia dove purtroppo il prete è la persona che “tiene il coltello dalla parte del manico”, così quando si tratta di prendere delle decisioni l'ultima parola spetta molto spesso a lui, nonostante il confronto e la collaborazione siano comunque sempre utili e necessari.
In questi ultimi mesi però la nostra parrocchia è rimasta senza prete, ed è nata spontanea l'esigenza tra noi laici di creare occasioni di incontro e di condivisione per tenere viva la vita della nostra parrocchia.
Ernesta
Il nostro è un rapporto di stima e rispetto sempre con tutti i consacrati, di più profonda intensità e amicizia con alcuni con cui abbiamo condiviso momenti di ricerca e di vita. Riconosciamo a diversi di loro capacità di approfondimento, di eloquio, di coerenza e di impegno che noi non raggiungiamo. Per questo li ammiriamo molto, li prendiamo come esempio nella consapevolezza delle differenti vocazioni.
Adriano
La prima cosa, per la nostra esperienza, consiste nel coltivare, non a parole, il senso di dignità del laico, che non è né clero di riserva, né semplice fanteria parrocchiale: la Chiesa non è l’esercito.
Oggi i sacerdoti sono pochi: il rischio dei più giovani è di essere sempre di corsa e di lasciare il laicato da solo; il rischio dei più anziani è quello di voler controllare tutto, con un’eccessiva ansia nei confronti di ogni pericolo di deviazione… Qualche piccolo episodio mi ricorda gli antichi testi di teologia, nei quali si diceva che il laico deve rischiare di persona, per non compromettere la Chiesa (che si intendeva solo come Chiesa gerarchica).
Giuseppe
Ho un buon rapporto con molti sacerdoti a diversi livelli ed a vario titolo per via della mia esperienza associativa e nella Chiesa. Ho molta stima dei consacrati e noto che normalmente siamo trattati alla pari soprattutto quando prendono atto che il nostro servizio è disinteressato e maturo.
Roberto
Il rapporto in genere è buono, ma molto differenziato a seconda dell’intensità del legame con la persona del sacerdote e della sua personalità, con cui ci si trova in sintonia o meno, soprattutto per quanto riguarda la visione della Chiesa.
Paola e Gianni
Noi abbiamo un bel rapporto con i sacerdoti che gravitano intorno alla nostra parrocchia.
Credo che anche loro colgano le difficoltà delle famiglie di credere e di scegliere tra la messa alla domenica e lo shopping, tra la gratuità nell’aiutare e la passività generale.
Loredana e Ivano
Nuovi ministeri
Se i laici potessero accedere a qualche nuova forma di ministerialità nella Chiesa (p.e. viri probati, diaconato femminile), potrebbero incidere di più sulla vita della Chiesa e della società?
Si fanno tanti discorsi su nuove figure diaconali, ma sono cose che, per me, riguardano la gerarchia della Chiesa. Oggi serve lievito per trasformare il mondo, e il lievito non si vede nell’impasto eppure lo solleva tutto intero.
Toni
Di fronte alla caduta delle vocazioni consacrate, sarà prima o poi necessario aprire ai laici con nuove forme di accesso ministeriale. Quello che vediamo difficile sarà superare la diffidenza dei laici nei loro confronti perché molti di noi, soprattutto adulti, siamo ancora legati alla figura del sacerdote come ministro ecclesiale.
Fiorenza e Antonio
Nostro figlio è entrato da poco in seminario e ciò ci porta ad interrogarci sull’interazione fra clero e laici.
In generale, ci piacerebbe che il sacerdote partecipasse più alla vita di tutti, anche nel mondo del lavoro, e che ai laici fossero aperte le porte ad una maggiore responsabilità nella comunità, come viene suggerito nella domanda.
Elisabetta e Mauro
Non so. Credo molto nel valore della scelta vocazionale che comporta ruoli e impegni diversi, e credo che una maggiore consapevolezza e responsabilizzazione sulla propria scelta da parte dei laici già valorizzerebbe e rafforzerebbe molto il concetto di Chiesa.
Adriano
Forse queste nuove figure potrebbero procurare qualche giovamento; ma solo forse, dato che nessuna moltiplicazione può sostituire lo spirito “giusto” con cui si dovrebbe camminare…
Invece, se le famiglie si “convertissero” e vivessero a fondo il loro essere cristiane, potrebbero portare una maggior “salute” dentro la Chiesa e la società intera.
Giuseppe e Monica
Certamente sì. Potremmo incidere molto di più se la Chiesa riuscisse a trovare con il nostro concorso nuove forme di ministerialità. La mia esperienza di servizio in America Latina mi ha fatto intravvedere dei cammini in atto che non ho riscontrato qui in Italia; forse una maggior osmosi tra le varie esperienze di ministero nella Chiesa potrebbe giovare ed aiutarci in questo.
Roberto
È molto difficile per me toccare argomenti come il diaconato femminile o altre “aperture” ministeriali…. Non mi sento pronto a cambiamenti così importanti, forse sono un po’ “bigotto”.
Emilio
Di fronte ad una Chiesa un po’ stanca e affaticata non ci sembra questo il problema più grande.
Loredana e Ivano
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Facciamo nostre queste dieci domande e proponiamole ai nostri gruppi.
Se raccogliere le risposte e ce le inviate le pubblicheremo sul sito a complemento di questo numero.
19-RICORDANDO PAOLO
Dopo anni di malattia, è mancato a fine maggio Paolo Albert che è stato, insieme alla moglie Céline, coppia responsabile del Collegamento tra Gruppi Famiglia dal 1999 al 2004
di Noris e Franco Rosada
Probabilmente fu alla fine del 1990 al campo invernale di Casa Betania a Vicoforte (CN) che abbiamo incontrato per la prima volta Céline e Paolo ma non ce ne ricordiamo più.
Dopo che divennero coppia responsabile del Collegamento tra GF nel 1999 le nostre frequentazioni si fecero più strette. Il punto di incontro fu la rivista di collegamento e l’impegno che richiedeva la sua spedizione “artigianale”.
Paolo era “innamorato” dei Gruppi Famiglia. Così scriveva sulla rivista di collegamento al momento dell’elezione a coppia responsabile: “Per molti di noi, all'interno del proprio cammino di fede, fare l'esperienza dei Gruppi Famiglia ha significato innamorarsene. Il fascino forse lo abbiamo scoperto nel costante riscontro che c'è nei Gruppi Famiglia tra la Parola e la vita di ogni giorno; nel senso di appartenenza discreto, non totalizzante; nello sforzo del gruppo di permettere e incoraggiare ciascuno ad esprimersi; nel far posto all'esperienza della famiglia, che la nostra dimensione umana più forte, la nostra vocazione, la nostra scelta di vita”.
Quando nel 2009, le coppie più anziane cedettero il passo ai Demarchi, ai Durante, ai Brambilla, ai Vescovo, iniziammo ad incontraci periodicamente con loro, i Lazzarini e i Fauda, per fare insieme la lectio divina (e continuiamo a farla). Non era solo un momento di preghiera ma anche di condivisione delle gioie e i dolori che caratterizzavano le nostre famiglie.
Negli ultimi dieci anni Paolo aveva iniziato a soffrire di diabete, malattia che si è nel tempo sempre più aggravata. Subì numerosi ricoveri in ospedale dovuti ad infezioni molto resistenti agli antibiotici. Puntualmente mi telefonava: “Sono di nuovo in ospedale…” ma quando lo andavo a trovare era sempre sereno, positivo, ottimista.
Solo quando mi ha telefonato a marzo di quest’anno l’ho sentito preoccupato: “È una cosa grave…”. Lo era davvero e, purtroppo, il 19 maggio è mancato.
In quei tre mesi abbiamo avuto le sue notizie da Céline perché in ospedale non si poteva andare: c’era la pandemia. Ma anche per Céline avere notizie non è stato facile. Per fortuna la Provvidenza è stata loro vicina.
“Paolo stato ricoverato d'urgenza proprio durante la fase acuta del coronavirus e quindi i miei contatti con lui sono stati estremamente difficili”, così ci ha poi raccontato Céline. “Prima non lo potevo vedere per il coronavirus, poi non lo potevo vedere perché era ricoverato in terapia intensiva a causa di una impegnativa operazione che nel frattempo si era resa necessaria. Sono riuscita a salutarlo solo quando l'hanno trasferito da un reparto all'altro. Sentivo soltanto il medico che l'aveva in cura del reparto una volta al giorno”.
“Poi la scorsa settimana”, quella prima della sua scomparsa, “ mio figlio minore ha ricevuto una telefonata dall'ospedale”, ha continuato Céline. “Mio figlio è ‘tecnologico’ e quindi, grazie a lui e al suo smartphone sono riuscita a vederlo seppure a distanza. Purtroppo Paolo faceva molta fatica a parlare.
Allora mio figlio ha avuto l'idea di scrivere su dei fogli così eravamo sicuri che lui riuscisse a leggere. Lui a sua volta si è fatto aiutare a scrivere e siamo riusciti così a comunicare a distanza: io che lo vedevo e lui che mi vedeva e ci ‘parlavamo’.
Abbiamo poi avuto una seconda telefonata, questa volta programmata, c’eravamo tutti, figli e nipotini. È stata una telefonata di tre quarti d'ora, una telefonata molto lunga. Tutti ci eravamo preparati: avevamo dei cartelli e quindi ciascuno ha avuto la possibilità di dirgli qualcosa e lui ha avuto la possibilità di rispondere a ciascuno di noi. Siamo riusciti anche a pregare insieme un Pater Ave Gloria e l’invocazione al Beato Albert, protettore della nostra famiglia.
È stato un momento di gioia per tutti, un momento che mi ha riempito di consolazione pur nella consapevolezza della precarietà della condizione di salute di Paolo”.
Ora ci ritroviamo qui a ricordarlo e non possiamo fare a meno di ripensare alle parole che aveva scritto nel ’99: “Da 10 anni noi siamo innamorati dei Gruppi Famiglia e ora ci troviamo a vivere, per i prossimi cinque anni, l’esperienza di coppia responsabile.
In questo momento così importante desideriamo condividere con tutti voi volontà e speranza, ma anche qualche dubbio…”.
I dubbi di Paolo sono anche nostri, ora che siamo la coppia responsabile, ma dobbiamo constatare che sono passati più di vent’anni da allora.
in questo tempo il Signore “ha provveduto” (cfr Gen 22,14). Confidiamo che continui ancora a farlo come sa fare Lui.
20-Così lo ricordano gli amici...
...di Mondovì (CN)
Io e mio marito abbiamo conosciuto Paolo nell’estate del 1987: eravamo giovanissimi (io appena vent’anni!) e ci apprestavamo a frequentare il corso di preparazione al matrimonio organizzato dalla diocesi di Mondovì, tenuto dal sempre allegro don Luca Giaccaria. Paolo aiutava nella gestione delle serate e interveniva con le sue indimenticabili perle di saggezza.
Pochi anni dopo, ormai sposati e con due bimbi piccolini, ci siamo iscritti al nostro primo campo famiglia, attirati da questa nuova avventura senza sapere bene a che cosa saremmo andati incontro.
Il campo era organizzato da Paolo e Céline ed abbiamo così avuto la possibilità di conoscerli entrambi. È stata un’esperienza a dir poco fantastica: abbiamo ancora negli occhi i volti pieni di speranza delle altre coppie, i giochi dei bambini, i momenti di preghiera sempre guidati da Paolo e Céline, con a turno l’aiuto di noi coppie.
Tutto era organizzato alla perfezione, anche i turni della corvè in cucina, che andavano dal pelare le patate allo strofinare i pentoloni!
Nulla era lasciato al caso: i turni dei vari servizi (preparazione della preghiera, aiuto in cucina o in refettorio, animazione delle serate) era definiti secondo turnover in cui non capitava mai di essere moglie e marito insieme, questo per favorire l’apertura della coppia portata per natura a chiudersi in se stessa, e per permettere al coniuge “sfaccendato” di accudire i figli.
Ovviamente a quella prima esperienza ne sono seguite tante altre, non solo settimane estive ma anche week end invernali, sempre impostati sullo stesso stile dell’essenzialità, della semplicità, della preghiera comunitaria e a misura di famiglie con bimbi piccoli!
Paolo e Céline sono sempre stati ai nostri occhi sinonimi di papà e mamma dei campi famiglie, uniti ed inscindibili anche nei nostri ricordi. Si fa fatica a parlare di uno senza coinvolgere anche l’altra: il loro essere coppia era d’esempio, di coordinamento, di supporto e sostegno, spirituale, coniugale e genitoriale, i loro consigli preziosi.
Paolo, figura discreta e silenziosa, sapeva, durante le serate organizzate in salone, mettersi in gioco come pochi erano disponibili a fare, lo ricordiamo ancora travestito da cane dalmata interpretare “La carica dei 101” durante la serata del cinema!
E Céline, con il suo accento francese, è sempre stata una perfetta attrice!!
Quelle serate sono rimaste nei nostri cuori: con il poco materiale a disposizione si riusciva sempre a mettere su dei brevi sketch di film per intrattenere i tanti bambini presenti e dimostrare loro quanto i genitori, sempre presi dalle mille cose da fare, riuscivano a mettersi in gioco per farli divertire.
Negli anni l’amicizia con Paolo si è consolidata e capitava di averlo a cena da noi durante l’inverno, favoriti dal fatto che viviamo vicino alla fabbrica in cui ha lavorato per tanti anni e in cui ancora lo ricordano con stima e affetto.
Crescendo noi in età e in numero di figli, abbiamo dato la disponibilità a collaborare con l’Ufficio famiglia diocesano di Mondovì e ogni volta che dovevamo organizzare un nuovo campo il ricordo andava sempre al loro esempio, alle loro linee guida che cercavamo di seguire il meglio possibile.
Anche se purtroppo da diversi anni non abbiamo più avuto occasione di incontrarli, li portiamo nel cuore e siamo vicini nella preghiera a Céline in questo triste momento.
Isabella e Stefano Tomatis
...di Borgaro (TO)
Siamo alcuni componenti dell'ex Gruppo famiglia “Nazareth” di Borgaro Torinese e volevamo, con queste poche righe, rendere omaggio alla memoria e alla persona di Paolo Albert.
Paolo e Céline ci hanno supportato per tanti anni nella creazione e nella vita del nostro gruppo famiglia. Ci sono stati di enorme aiuto, anche per la formazione e crescita delle nostre famiglie, insegnandoci una vita di coppia più intensamente cristiana. Hanno contributo a far sorgere tra di noi, con la partecipazione mensile al gruppo, preziose amicizie che durano tuttora, e che, nel particolare situazione di una coppia del nostro gruppo con un figlio gravemente disabile, è stato ancora più utile e prezioso.
Ricorderemo sempre Paolo come una persona di grande cuore, saggezza e soprattutto di grande Fede.
Anche se da qualche anno ci siamo persi di vista, avremo sempre nella memoria e nel cuore, con immensa gratitudine, gli insegnamenti, le riflessioni, e le bellissime Lectio Divine, guidate da Paolo. È stato un cammino che è durato quasi 14 anni, con all'inizio i due anni di "scuola " dei gruppi famiglia, guidati in prima persona da Paolo e Céline. Poi in seguito, con la loro supervisione, abbiamo cominciato ad autogestirsi, preparando noi gli incontri a turno, con sempre però la loro preziosa presenza assicurata, a dare il là, a spronare ad uno sguardo più maturo e profondo, più spirituale, nello sviscerare l'argomento della serata.
Caro Paolo, ti ricorderemo sempre con affetto, ti ricorderemo per la passione che mettevi per portare avanti il nostro gruppo famiglia, per la passione che ci trasmettevi con quel tuo modo serafico con cui scandivi le parole che ci avrebbero poi aiutato a proseguire autonomamente. Grazie per tutto quello che hai fatto per noi e per il tempo a noi dedicato. Con sincera gratitudine, riposa in pace.
Marianna e Gian Luca Rocca, Nunzia e Mauro Quero, Oriana e Rino Vasile
...di Torino
Paolo e Celine hanno creato e portato avanti per molti anni un gruppo famiglie nella nostra parrocchia.
Era il 2008 e ci eravamo da poco trasferiti nella parrocchia di Sant'Agnese a Torino. Poco dopo aver chiesto il battesimo del nostro secondogenito Giovanni, una sera abbiamo ricevuto la visita di Celine e Paolo Albert, che si occupavano della preparazione al battesimo per la nostra parrocchia.
La loro semplicità e allegria ci colpirono e quando ci proposero di partecipare agli incontri del gruppo famiglie, accettammo con curiosità questa esperienza per noi nuova. Eravamo infatti desiderosi di entrare a far parte della nuova comunità con una partecipazione più attiva. Gli incontri si svolgevano presso la parrocchia e si basavano sull'approfondimento di temi decisi anno per anno, spesso quelli proposti dal periodico del Collegamento Gruppi Famiglia. In un secondo tempo gli incontri si sono tenuti presso le nostre case e questo ci ha permesso di apprezzare maggiormente la convivialità e l'amicizia con Paolo e Céline e le altre famiglie. Talvolta la parte gastronomica diventava protagonista, per la gioia di Paolo e la preoccupazione di Céline, sempre attenta alla sua dieta.
Paolo ci ha introdotto alla lectio divina, agli approfondimenti teologici di Padre Maggi, ad una visione più attuale della fede cattolica. Ricordiamo la sua emozione nel parlarci del peccato come un'offesa verso noi stessi e non tanto una trasgressione alla Legge, idea che stravolgeva molti insegnamenti radicati in tutti noi.
Paolo è stato per noi anche la porta di ingresso al mondo dei gruppi famiglia al di fuori della nostra parrocchia e da allora abbiamo sperimentato diverse attività proposte da questo movimento e conosciuto numerose famiglie che ci hanno aiutato ed arricchito.
La forza e la pazienza nella malattia, il grande amore verso la famiglia ed il prossimo, il rispetto delle idee diverse, tutti aspetti riassumibili in una grande fede, sono stati e saranno per noi esempio indimenticabile.
Ricordando un'altra immagine di Maggi sul tema dell'eucarestia che gli era particolarmente cara, possiamo
testimoniare che Paolo ha saputo davvero farsi pane per noi, accompagnando le nostre famiglie nel cammino di crescita spirituale. Grazie Paolo!
Daniela e Martino Lignana
Caro Paolo, ci siamo conosciuti quando tu e Céline eravate venuti da noi, appena sposati, per prepararci al battesimo del nostro primogenito. Poi per anni ci siamo frequentati nei gruppi famiglia di Sant'Agnese. Con la tua voce ferma e calma avvicinavi alla Fede: sapevi parlare profondamente a chi ti stava vicino e ci si sentiva sempre accolti. Guardandoti e ascoltandoti si percepiva la tua serenità e profonda Fede. Grande cultura unita a semplicità e bontà. Anche l'ultima volta che ci siamo parlati e tu dovevi subire un delicato intervento al cuore, la tua voce serena non faceva che preoccuparsi per noi. Il mondo ci è parso meno bello senza di te, ma ci consola sapere che sei nella luce tra le braccia di Dio. Paolo, tu eri e sei un'anima bella che ha saputo darci tanto. Grazie. Mettici se puoi nelle tue preghiere, noi faremo altrettanto per sentirci vicini. Con stima, amicizia, affetto e malinconia.
Lea e Sergio Foà
...di Lanzo (TO)
Una persona del calibro di Paolo non la si può lasciar andar via così
facilmente… E allora vengono in mente le serate dei gruppi famiglia di Lanzo
ricostruiti dopo le missioni popolari con due animatori d’eccezione, quali
Céline e Paolo che partivano da Torino anche nelle serate più fredde d’inverno
per farci respirare il loro esempio di coppia e famiglia, impegnata in tanti
gruppi e attività.
Ancora oggi ripensiamo al GF di quegli anni. Forse non ci ricordiamo benissimo
degli argomenti trattati ma Céline e Paolo sono rimasti nel cuore di tutti noi,
forse perché ci ricordano una persona dell’altro secolo che ha voluto molto bene
a Lanzo.
Ci piace immaginare Paolo vicino al prozio beato, uniti per proteggere la loro
famiglia e per dar loro la forza di proseguire nel cammino.
Giusi e Simone Foco
21-Paolo e Céline: una storia
Nato nel 1939 in una famiglia numerosa, Paolo studia ingegneria, si sposa nel 1969 con Céline e quasi subito nasce Enrico. Due anni dopo accetta di trasferirsi, con moglie e figlio, in Argentina per rimettere in sesto una fabbrica del gruppo per cui lavorava. Qui nascerà Elena. Anche se lontano dal suo mondo, Paolo si fece subito tanti amici, diventò un punto di riferimento per tutti e riuscì ad aprire un asilo per i bambini del paese.
Rientrati in Italia, a Torino nasce Andrea, poi, sempre per lavoro, si trasferisce a Lucca. Paolo intensifica l’impegno a favore delle famiglie aprendo un centro di accoglienza alla vita. L’iniziativa lo coinvolse talmente da accogliere in casa una donna eritrea in dolce attesa che poi diede alla luce due gemelli. Paolo li accolse come due figli aggiuntivi al punto che quando li portava al nido, prima di andare in ufficio, veniva scambiato per il papà. L’affidamento durò tre anni ma i legami resistono ancora. A Lucca nascerà anche l’ultimogenito, Luigi.
Ma il periodo più fecondo fu quello di Mondovì, Impegnato nei corsi per fidanzati, incontrò Guido Lazzarini e si innamorò dei Gruppi Famiglia. Trasferitosi a Torino per seguire i figli più grandi, ormai universitari, divenne con Céline coppia responsabile del Collegamento e si impegnò nei campi estivi, nella scuola di formazione per GF, nei cammini prebattesimali.
Dai primi anni duemila ha cominciato ad avere problemi di salute via via più gravi ma li ha sempre affrontati con forza e senza lamentarsi, quasi negando di essere ammalato.
Per lui la Provvidenza significava ascoltare con cuore aperto la volontà di Dio e di cercare di interpretarla al meglio.
22-PASTORALE E CORONAVIRUS
Una riflessione della coppia responsabile della commissione per la pastorale della famiglia del Piemonte
di Luca e Ileana Carando
Tutti noi lavoriamo da anni con e per la famiglia, ci siamo impegnati affinché gli sposi e le comunità comprendessero l'importanza del sacramento del matrimonio e della famiglia come Chiesa domestica capace di vivere il Vangelo in casa e nel mondo, eppure onestamente non ci eravamo riusciti come avremmo voluto.
Poi è arrivato il Coronavirus e ha obbligato tutti a stare in casa, così, di fronte all'impossibilità di partecipare alla vita comunitaria e alla messa, le famiglie e le parrocchie si sono trovate per un attimo tutte in difficoltà.
Lo Spirito soffia dove e come vuole e così, un po’ per paura un po’ per il desiderio di affidarsi a Dio, le persone hanno manifestato il desiderio di continuare a nutrire la loro vita con la speranza che fede in Cristo dona ad ogni persona che si affida a Lui e a Sua madre Maria.
I nostri parroci hanno iniziato a parlare di chiese domestiche, della capacità delle famiglie di vivere la fede pur restando in casa e le famiglie hanno preso coscienza del loro ministero e della loro capacità di vivere e testimoniare la fede con momenti di preghiera, curando le relazioni, stimolando la carità verso gli altri attraverso aiuti concreti con azioni di volontariato o contributi economici.
Beh! Potremmo quasi dire che ha fatto più il virus in un mese che noi in tanti anni.
Quando tutto questo sarà finito dovremmo fermarci e fare una riflessione tutti insieme su come vivere la pastorale post Covid... ma questo lo lasceremo ai nostri successori.
Sicuramente dovremmo prenderci cura di tutte quelle famiglie che in questo tempo stanno faticando economicamente: molti lavoratori rischiano di perdere il lavoro a causa della crisi economica, alcune famiglie hanno subito un lutto e vivono il trauma di non aver potuto dare un dignitoso saluto ai loro cari, altre hanno vissuto in casa situazioni di crisi e fatica tra coniugi o con i figli e questo ha aumentato le loro difficoltà relazionali... tutte queste situazioni e tante altre avranno bisogno della nostra cura.
Cari amici abbiamo voluto condividere con voi alcune riflessioni, vogliamo anche dirvi che per noi questo è un tempo di grazia, stiamo passando molto tempo con i figli, preghiamo insieme quotidianamente, prepariamo pane, pasta, pizza, dolci... giochiamo insieme...insomma, questo tempo che per molti è un tempo di paura e malattia per noi è divenuto un tempo di grazia per "riscoprirci" tra noi e con i nostri figli.
23-DUE BICI... UNA VITA
55 anni di matrimonio
L’oratorio dì Sant'Anna tra i prati
Due manubri al muro appoggiati
La Messa festiva ormai finita
Appuntamento alla porta d'uscita
Un lui e una lei si attendon felici
Due giovanetti sempre più amici
La loro bocca se ne resta muta
Due innamorati a loro insaputa
Due biciclette pedalan veloci
Le orecchie di lei attendono voci
Lui carezza timido… il campanello
Lei con man svelta gl'infila l’anello
Due "sì", un bacio e tanta emozione
Col Prete all'Altare la Benedizione
Due bici leste or van come il vento
D’un fiato bevute le "Nozze d'Argento'"
Le bici or rallentan... un po' d’affanni
Due mani si tengon da cinquant'anni
Due vecchie bici poggiate tra loro
Nella parrocchiale le "Nozze d'oro'
Riprendon le bici il loro cammino
A casa adesso rimangon vicino
La velocità ora si abbassa
Merito o colpa del tempo che passa
Ritengon allora sia davver saggio
Non affrontare nessun lungo viaggio
Una bici cigola da far pena
All'altra va giù spesso la catena
Poi altri grandi e piccoli danni
Passan dall'oro altri cinque anni
Nessuno può toglier dalla lor testa
Per gli undici lustri di fare festa.
Se ne van oltr'i binari del treno
In Sant'Agata in quel di Cibeno
La stessa chiesa, stessa emozione
Rinnovan il "si" con benedizione
Per l'affetto ch’è figliol dell'amore
Chiedon aiuto a Nostro Signore
Uno dell'altra non può fare senza
Imploran la man della Provvidenza.
Giacinto Bruschi
24-PER APPROFONDIRE IL TEMA
I libri usati per realizzare questo numero
Armando Matteo, La Chiesa che manca, Edizioni San Paolo, Milano 2018
L’esortazione Evangelii gaudium è un testo assai lungo, e la grande varietà dei temi trattati rende difficile una presentazione sistematica.
In questo libro l’autore parte dal testo di papa Francesco cogliendone le parti che possono essere utili per proporre al cattolicesimo italiano un modello di Chiesa in grado di affrontare le sfide del tempo presente, di quest’epoca di post-cristianità.
Le nostre comunità sono chiuse, sempre tra le stesse persone, e non sono più feconde.
Senza giovani, senza donne e senza adulti credenti, che resta della Chiesa? Queste sono le domande a cui Matteo prova a dare una risposta.
Dalle sue risposte abbiamo tratto diversi spunti per la realizzazione di questo numero ed altri ancora ne potremo trarre per i prossimi numeri.
Il libro, poco più di cento pagine, è scorrevole e si legge facilmente. Una lettura che vi consigliamo.
Cettina Militello (a cura di), I laici dopo il Concilio. Quale autonomia?, EDB, Bologna 2012
Nella chiesa di papa Francesco i laici hanno un ruolo importante. Bergoglio chiede ai laici di “uscire allo scoperto, mettendo i loro talenti a servizio di nuove missioni nella società, nella cultura, nella politica, affrontando senza timore e senza complessi le sfide che il mondo contemporaneo pone”.
Ma i laici sono pronti per affrontare questa sfida?
Questo libro ripercorre la storia del laicato dagli anni precedenti il Concilio fino ai giorni nostri, con un’attenzione particolare ai documenti conciliari e agli esiti pratici degli stessi.
La data di pubblicazione (2012) impedisce agli autori di cogliere le novità portate dall’elezione di Bergoglio al soglio pontificio (2013).
Non per questo il testo è meno utile perché approfondisce alcuni aspetti del Concilio che papa Francesco, con il suo magistero, sta rileggendo e attuando.
Enzo Bianchi, L’arte di scegliere. Il discernimento, Edizioni San Paolo, Milano 2018.
L’autore, conosciutissimo, non ha bisogno di presentazioni. In questo suo libro troviamo almeno due temi tra quelli trattati in questo numero: il discernimento e la coscienza.
Ma il libro prende le mosse dalla Parola di Dio, su come già nell’Antico Testamento si parli del discernimento attraverso verbi quali scrutare, esaminare, provare, saggiare.
Venendo al discernimento si tratta, per l’autore, di un vero allenamento umano e spirituale, in cui si allena il cuore, perché un cuore indurito, intontito, diviso e piegato non ascolta e non discerne.
Il discernimento, a sua volta, implica l’obbligo della cura e dell’educazione della coscienza, grazie all’ascolto della Parola, studiata e pregata, e al dono dello Spirito.
Il volume si conclude con il capitolo dedicato alla vocazione.
Silvano Fausti, Ricorda e racconta il Vangelo. La catechesi narrativa di Marco, Àncora Editrice, Milano 1998.
Il Vangelo di Marco è un testo abbastanza snobbato dai padri della Chiesa, che preferivano altri vangeli più profondi o “completi”.
Per la sua semplicità era il Vangelo dei catecumeni. Infatti, veniva letto per intero durante la veglia di Pasqua da coloro che si accingevano a ricevere il battesimo.
Con la riforma liturgica seguita al Concilio Marco è stato “riabilitato” e ora ci accompagna nelle domeniche del tempo ordinario dell’anno B.
Grazie a ciò sono fioriti i commenti di questo Vangelo e il testo di Fausti si inserisce in questo filone.
Il commento è particolarmente apprezzabile perché commenta il testo versetto per versetto, in diversi passaggi parola per parola. Anche il lettore più sprovveduto riesce così a cogliere la bellezza della Parola di Dio. Da acquistare!
Battista Borsato, L'avventura sponsale, EDB Bologna 2006
Giovanni Villata, Che idea di Chiesa abbiamo?, Elledici, Torino 2019
Si tratta di due testi che abbiamo già presentato (ed utilizzato) nei numeri precedenti ma che vi vogliamo riproporre.
Il motivo è semplice: dal libro di Borsato abbiamo tratto una bella riflessione sulla preghiera in famiglia, da quello di Villata diversi spunti sul ruolo del laicato e la presentazione della lectio divina come strumento di preghiera e di discernimento.
In particolare, il testo di Villata si può affiancare a quello di Armando Matteo sul rinnovamento della Chiesa.