Foglio di collegamento tra Gruppi Famiglia

GF106 – novembre 2020

La Chiesa che manca

Dove sono finiti i giovani e le giovani donne?

 

Lettere alla rivista

1-COSA SERVE AD UNA CHIESA CON IL “FIATO CORTO”?

Affinché la buona notizia di Gesù raggiunga tutti

 

La Chiesa italiana ha da anni il “fiato corto”. A vostro avviso, che cosa serve alla Chiesa italiana oggi per poter respirare a “pieni polmoni” coinvolgendo tutte le fasce di età in modo efficace?

Riccardo

 

In questo numero pubblichiamo una sola lettera perché la domanda che contiene ci interpella tutti da vicino. Proprio per questo abbiamo chiesto una risposta ad entrambi i nostri collaboratori.

 

Non si può non prendere atto che la valutazione della Chiesa italiana indicata da Riccardo abbia delle connotazioni di verità. Non per tutte le comunità, forse; credo però siano pochissime quelle realtà ecclesiali che non soffrano di tale “fiato corto”.

Si percepisce nella Chiesa, anche italiana – come osserva Enzo Bianchi della comunità di Bose – “una certa aria di stanchezza e di perdita di propulsione e il declino della fede, progressivamente acceleratosi, è constatato da tutti.

Si osserva sempre più l’incapacità della riflessione teologica a fare delle Chiese locali un vero soggetto in grado di ‘inventare’ le forme della Chiesa nelle diverse lingue e culture dei nostri contemporanei e di rendere la comunità cristiana un luogo ospitale in situazione di diaspora” (1).

Emergono almeno due domande: cosa c’è nella Chiesa che impedisce un respiro a “pieni polmoni”? Come ovviare a questa situazione dolorosa ?

Viviamo un tempo difficile, situazioni sempre più complesse e problematiche a tutti i livelli. Sta venendo meno anche la presenza significativa di istituzioni importanti come la famiglia, la scuola. Esse appaiono profondamente in crisi perché considerate in modo negativo dalla cultura odierna, ossessivamente implosa su sé stessa.

Da qui la grave e crescente frattura del patto generazionale fra adulti e giovani di cui soffre molto anche la Chiesa, in difficoltà per le scelte concrete da mettere in atto.

Tutto questo esisteva già prima della “pandemia” e, a tutt’oggi, non ne è che una espressione.

C’è però da dire che, alla radice di questa difficoltà di respiro – cioè alla radice dell’ essere la Chiesa di Gesù Cristo oggi, coinvolgente e attraente in quanto tale – c’è la crisi del riferimento allo “spirito” che ci trascende, non costruito da mani d’uomo, da filosofie e da opportunità emotivamente attraenti accolto come riferimento di senso per la vita.

C’è una crisi di fede, di appartenenza a Gesù, alla sua comunità come luogo in cui accogliere il dono della salvezza e attuarlo, nella prospettiva della vita vera e piena, quella eterna.

Per poter ritornare a respirare pieni polmoni –  mi riferisco, in particolare, a quelle forme di Chiesa che sono più vicine alla gente, come le parrocchie – credo che in esse tutti siano chiamati a rimettere al centro la Parola e la preghiera.

Ciò comporta misurare se stessi – e le offerte pastorali che si propongono – sulle parole e sui gesti di Gesù dentro la vita della gente (chiesa in uscita) al fine di portare in giro la bella notizia del Vangelo di giustizia e di pace.

Questa notizia sarà credibile e renderà le varie espressioni di Chiesa attraenti solo se tradotta in concreti gesti di fraternità e di ospitalità soprattutto per i fratelli e le sorelle “più piccoli”, che sono la parte più nobile della Chiesa tutta. Finché ci sono questi, la Chiesa vive: sempre, di nuovo i peccati sono espiati e le ferite guarite.

don Giovanni Villata

1 Fonte: Vita Pastorale, n.9 2020, pag. 53

 

Non esistono ricette magiche in grado di far tornare indietro le lancette e di restituirci una società nella quale il campanile era il centro della vita del paese, il parroco la sua autorità e l’oratorio la principale agenzia educativa insieme alla scuola e – forse – è meglio così.

Oggi il messaggio di Gesù deve farsi spazio tra infiniti altri messaggi, percepiti spesso come più affascinanti e liberatori, e non può poggiare su una società cristianizzata per diffondersi, ma torna ad essere il messaggio dirompente e controcorrente che era nei primi tre secoli cristiani. Allora la domanda vorrei riformularla così: come può l’annuncio della buona notizia di Gesù levarsi dalle nostre case, dalle nostre chiese, dai nostri gruppi e raggiungere tutti?

Provo a identificare alcuni elementi:

• L’esperienza del lockdown ci ha regalato l’occasione di celebrare nelle nostre case e abbiamo visto cosa significa mantenere i legami comunitari anche nella distanza e nell’angoscia generalizzata. Non disperdiamo questo bagaglio, tornando a pensare che il prete sia l’unico e solo responsabile della comunità.

• I ragazzi li abbiamo persi quando abbiamo cominciato a insistere più sulla loro condotta sessuale che sul loro desiderio di capire chi sono e cosa vogliono realizzare in questo mondo: rimettere la vocazione al centro della pastorale però non significa sponsorizzare i vari stati di vita, ma offrire un vero accompagnamento a scoprire chi si è, in relazione a Gesù e al suo messaggio. E questo non si può delegare a un prete che fa video accattivanti su Youtube, occorre la presenza.

• Le donne sono le vere colonne delle comunità eppure non possono esercitare autorità nella Chiesa a causa di un’impostazione maschilista e clerocentrica. Impegnarsi per la promozione di una chiesa davvero paritaria dovrebbe diventare una priorità per tutti: donne e uomini! E la parità non si accontenta di qualche “incarico” qua e là…

• Abbiamo tutti estremo bisogno di calore, amicizia e sostegno: quanto più le nostre comunità saranno questo (anche se è faticoso), tanto più le persone si avvicineranno. Gesù non ha fatto comunità solo celebrando, l’ha fatta sanando, accogliendo, pregando, accarezzando; questo è il nostro modello di comunità, senza bisogno di inseguire mode e suggestioni straordinarie.

Paola Lazzarini

 

Editoriale

2-LA CHIESA CHE MANCA

Dove sono finiti i giovani e le giovani donne?

 

di Franco Rosada

Giusto un anno fa, anticipando i temi che sarebbero stati trattati quest’anno dalla rivista avevo anticipato un titolo: Un altro pianeta, e, come tematica, la realtà del mondo giovanile alla luce del cammino sinodale e l’educazione alla fede.

Invece oggi vi trovate un numero con un titolo diverso, anche se poi si parla ampiamente di giovani.

Il motivo del cambiamento è legato alla reperibilità della documentazione: quella sul Sinodo c’è ed è molto abbondante, ma ho avuto difficoltà ad arrivare ad una sintesi che mi soddisfacesse. Cerco sempre qualcosa che possa essere utile per la coppia, la famiglia, il gruppo, ma nell’ampio materiale prodotto da Sinodo, prima, durante e dopo i lavori (l’esortazione di papa Francesco Christus vivit) mi sono perso.

Mi sono trovato molto meglio confrontandomi con gli scritti di don Armando Matteo, docente alla Pontificia Università Urbaniana di Roma.

Matteo ha acquisito notorietà in ambito cattolico con il volume: La prima generazione incredula del 2010, ma io l’ho conosciuto attraverso il libro: La Chiesa che manca del 2018. È proprio partendo dalle suggestioni che mi ha fornito questo testo che ho costruito il numero del trentennale.

Oggi serve una Chiesa che pensi, suggerisce Matteo, e questo ha voluto dire nello scorso numero parlare di fede, di discernimento, della preghiera, della formazione, e più in generale del ruolo del laicato.

Una chiesa che manca

Ma c’è anche una Chiesa che manca, ricorda Matteo, e questa è costituita dai giovani in generale e dalle donne, dalle quaranta-cinquantenni in giù.

È su questa traccia che si è sviluppato il numero che avete fra le mani.

Siamo stati giovani tutti, i più anziani tra noi hanno vissuto la giovinezza ancora in un clima di cristianità diffusa, ma dopo i l’68 le cose sono cambiate ed è dal 1988 che nella Chiesa si parla apertamente di “nuova evangelizzazione” (1).

Infatti, sono almeno trent’anni che in Italia la pratica religiosa perde sempre più terreno.

Da molto tempo la Chiesa sa che i maschi frequentano meno delle femmine (15% contro il 24% nella fascia 25-64 anni) (2) e i giovani meno degli adulti. Per i giovani ci consoliamo sapendo che comunque sono stati al catechismo, hanno fatto la prima Comunione, sanno cos’è il cristianesimo, e contiamo di ritrovarli quando diventeranno adulti. Ma se anche le giovani donne, le mamme di oggi, si allontanano dalla Chiesa chi insegnerà ai bambini a fare il segno della croce, a recitare l’Angelo di Dio, a mandare un bacino a Gesù e a Maria?

Ecco perché, a fianco del tema giovanile, abbiamo dato molto spazio al tema della presenza femminile nella Chiesa.

I giovani

Il Sinodo (3) riconosce che “un numero consistente di giovani, per le ragioni più diverse, non chiedono nulla alla Chiesa perché non la ritengono significativa per la loro esistenza. Alcuni, anzi, chiedono espressamente di essere lasciati in pace, poiché sentono la sua presenza come fastidiosa e perfino irritante” (DF 53).

Scrive Paola Bignardi (4): “È stato chiesto ai giovani di dare un voto da 1 a 10 al loro grado di fiducia nella Chiesa; il voto medio ottenuto è del 4,0”, siamo ben lontani dalla sufficienza!

Le donne

Ma all’attenzione prestata ai giovani non ne corrisponde altrettanta nei confronti delle donne. Anzi, i punti del documento che affrontano la questione femminile sono stati tra quelli che hanno raccolto più “non placet”.

Eppure i padri sinodali non si sono sbilanciati più di tanto quando hanno scritto: “In molti luoghi si fatica a dare loro spazio [alle donne] nei processi decisionali, anche quando essi non richiedono specifiche responsabilità ministeriali” (DF 55) oppure “Un ambito di particolare importanza… è quello della presenza femminile negli organi ecclesiali a tutti i livelli, anche in funzioni di responsabilità, e della partecipazione femminile ai processi decisionali ecclesiali nel rispetto del ruolo del ministero ordinato”.

Papa Francesco, nell’Esortazione post-sinodale Christus vivit, ha però sottolineato: “Una Chiesa eccessivamente timorosa e strutturata può essere costantemente critica nei confronti di tutti i discorsi sulla difesa dei diritti delle donne… Viceversa, una Chiesa viva può reagire prestando attenzione alle legittime rivendicazioni delle donne che chiedono maggiore giustizia e uguaglianza... pur non essendo d’accordo con tutto ciò che propongono alcuni gruppi femministi” (n.42).

Un piccolo resto

Dobbiamo attendere per conoscere se, in conseguenza del Sinodo, qualcosa cambierà a livello della Chiesa italiana.

Ma, se i trend attuali non si invertiranno, “siamo sempre di più chiamati ad essere minoranza profetica e creativa”, scrive Rossano Sala5. “Siamo chiamati ad essere una profezia. Dobbiamo aspettarci, dopo secoli di ‘dominazione’ cristiana, un ritorno ad una comunità più piccola, più affiatata e più gioiosa. Ad una Chiesa libera da tanti vincoli organizzativi e di gestione del potere, capace di essere un segno luminoso di quel ‘piccolo resto’ capace di fare la differenza. Di essere sale, lievito e luce per tutti”.

Questo sarà il tema del prossimo numero.

1 Cfr Christifideles laici n.4

2 Dati Istat 2018

3 Documento finale del Sinodo dei vescovi sui giovani

4 Dio a modo mio, Vita e pensiero, Milano 2015

5 Fonte: Note di pastorale giovanile

 

3-LA FUGA DELLE QUARANTENNI

Se anche le donne, le madri di famiglia non frequentano più la chiesa, chi rimarrà?

Breve storia del ruolo delle donne nella tradizione cattolica e qualche proposta operativa.

 

A cura della Redazione

Durante il Sinodo dei Vescovi sui giovani si è parlato anche del ruolo delle donne nella Chiesa. Nel Documento finale (1) si è affermato che “l’assenza della voce e dello sguardo femminile impoverisce il dibattito e il cammino della Chiesa, sottraendo al discernimento un contributo prezioso” (n.55).

Purtroppo questo concetto fa fatica a trovare applicazione concreta: infatti è stato uno dei punti su cui vi è stata meno unanimità tra i padri sinodali.

Da dove deriva questa misoginia? È una storia lunga in cui l’aspetto religioso e quello sociale si sono intrecciati e nella gran parte dei casi si sono sostenuti a vicenda.

 

L’Antico Testamento

“Se in tutte le culture”, scrive Alberto Maggi (2), “la nascita di una bambina non è mai stata auspicabile ("Auguri e figli maschi!"), nel mondo giudaico l’arrivo di una figlia era considerato un’autentica sciagura come scritto nel Talmud: "Il mondo non può esistere senza maschi e senza femmine, ma felice colui i cui figli sono maschi e guai a colui i cui figli sono femmine", e codificata nella preghiera recitata tre volte il giorno da ogni maschio ebreo che così ringrazia Dio: "Benedetto Colui che non mi ha fatto pagano, non mi ha fatto donna, non mi ha fatto bifolco".

La donna era esclusa anche dall’istruzione religiosa. Per i rabbini questa esclusione era giustificata dal fatto che riguardo alla Parola di Dio nella Bibbia è scritto "la insegnerete ai vostri figli" (Dt 11,19). Se il Signore avesse voluto che l’insegnamento fosse esteso anche alle donne, avrebbe aggiunto "alle vostre figlie", invece non l’ha fatto.

Gli scribi arrivavano ad affermare che è meglio che "le parole della Legge vengano distrutte dal fuoco piuttosto che essere insegnate alle donne".

 

Il Nuovo Testamento

In questo contesto culturale – continua Maggi - non può pertanto non sorprendere l’eccezionale rilievo che le donne hanno nei vangeli. Mentre i protagonisti maschili del vangelo sono quasi tutti negativi, i personaggi femminili sono praticamente tutti positivi.

Le donne nei vangeli vengono presentate come coloro che per prime hanno saputo accogliere e comprendere il Signore: dalla madre, grande non perché ha dato alla luce Gesù, ma perché ha saputo diventare discepola del figlio, a Maria di Magdala, prima testimone e annunciatrice della risurrezione del Cristo.

Per Gesù non "c’è più né maschio né femmina" (Gal 3,28), c’è la persona umana, che come tale merita rispetto e dignità indipendentemente dalla sua identità sessuale.

Per questo, contravvenendo tradizione e morale, Gesù associa al suo gruppo anche "alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità" (Lc 8,1), e nei vangeli sono le donne le privilegiate protagoniste delle azioni del Signore. La prima persona alla quale Gesù si manifesterà come il Messia atteso sarà una samaritana, essere umano che come donna, adultera e impura era il meno credibile cui affidare l’importante rivelazione. Ugualmente l’unico fatto che il Signore chiede espressamente venga fatto conoscere ovunque è l’unzione compiuta su di lui da una donna: "In verità io vi dico: dovunque sarà predicato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che essa ha fatto" (Mc 14,9).

Se i discepoli maschi scomparvero di scena al momento della crocifissione, le uniche testimoni della sua morte "erano alcune donne, che osservavano da lontano… le quali quando era in Galilea, lo seguivano e lo servivano, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme" (Mc 15,40-41).

Nei vangeli gli unici esseri che servono Gesù sono gli angeli ("e gli angeli lo servivano", Mc 1,13) e le donne. Per gli evangelisti le donne non solo sono uguali agli uomini, ma svolgono un ruolo superiore, lo stesso degli angeli. L’azione di "annunziare", esclusiva prerogativa degli angeli, i nunzi di Dio, è infatti nei vangeli compito privilegiato delle donne.

 

La Chiesa primitiva e medioevale

Nella prima Chiesa, quella che ci viene raccontata nel libro degli Atti e nelle Lettere paoline e apostoliche, il ruolo delle donne continua ad avere la sua importanza. Anche se le figure “missionarie” note sono tutte maschili, nelle comunità evangelizzate le donne hanno ruoli importanti (3).

E lo continuano ad avere anche dopo, anche se occorre accedere a testi poco noti.

“Il fatto che agli inizi il battesimo fosse destinato agli adulti”, scrive Carmelina Urso (4), “creò non pochi problemi. Era anzitutto inopportuno che fosse un chierico ad officiare la liturgia battesimale delle donne, le quali, secondo il rituale, dovevano immergersi, nude, nelle acque purificatrici. Le donne diacono, invece, potevano meglio seguire le battezzande in quei momenti della cerimonia, nel pieno rispetto del pudore. Potevano ungerne il corpo e accoglierlo dopo l’immersione senza destare scandalo”.

E ancora, continua la Urso: “una lettera di Cipriano del 256 ricorda una donna-profetessa della Cappadocia che, nel 235, durante la persecuzione attuata da Massimiano, celebrava il rito battesimale e l’eucaristia ‘non discostandosi in nulla dai canoni della Chiesa’”.

Ma con l’istituzionalizzazione del Cristianesimo nell’impero romano ci fu, evidenzia la Urso, “un adattamento graduale del movimento cristiano alle strutture patriarcali del tempo che comportarono una patriarcalizzazione delle funzioni di comando cristiane. Ciò necessariamente eliminò un po’ per volta le donne dai posti di comando, relegandole a ruoli subordinati”.

Il riferimento dottrinale attingeva alle lettere paoline. Paolo, nota la Urso, da un lato “riconosceva un ruolo nuovo per le donne nella comunità cristiana ma, dall’altro, egli continuava a considerarle inferiori ‘nell’ordine della creazione’, e di conseguenza anche nella società e nella famiglia.

La Chiesa fu in fin dei conti più rigorosa del legislatore civile che, pur scartando in generale le donne dalla gestione del potere, dai tribunali e dall’insegnamento, riservò ad alcune di esse compiti di tutto rispetto” come quello di reggenti in nome dei figli minorenni o amministratrici per conto dei coniugi assenti.

 

La Riforma e la Controriforma

Con la Riforma protestante le cose non cambiano molto, almeno all’inizio.

“Oggi, per la stragrande maggioranza delle chiese che si rifanno all’eredità della Riforma”, scrive Debora Spini (5), “l’uguaglianza di genere è un valore caratterizzante, sia per quanto riguarda la vita della chiesa sia in ogni aspetto della vita sociale e politica”.

Ma questo è stato frutto di un cammino lungo e complesso. I Riformatori delle prime generazioni erano uomini del loro tempo per i quali la soggezione della donna all’uomo era un dato di fatto indisputabile.

Era la propaganda antiprotestante, che ridicolizzava i Riformati per essere finiti in mano alle donne; donne che, per la loro natura, erano più suscettibili a cadere nell’eresia.

In realtà, se da un lato la Riforma ha tolto alle donne la scelta monastica come alternativa al matrimonio, il culto mariano, quello dei santi e delle sante in cui potersi identificare, dall’altro ha introdotto l’alfabetizzazione femminile, per permettere la lettura e la riflessione sulla Scrittura.

“La Riforma” conclude la Spini, “rende dignità e valore alla vita ‘quotidiana’, e di conseguenza anche allo spazio della vita familiare, normalmente considerato di inferiore rilevanza, nel quale le donne erano tradizionalmente confinate. La vita domestica diventa così il campo nel quale si risponde alla vocazione di Dio, e una vera e propria comunità di credenti in piccolo”.

In prospettiva, la messa in discussione di gran parte dei sacramenti e l’affermazione del sacerdozio universale dei credenti ha reso più facile, anche teologicamente, l’accesso delle donne nel governo della comunità e alla predicazione.

Anche la Chiesa della Controriforma “focalizza la propria attenzione sulla famiglia, intesa come struttura fondante della società” (6). Però, se da una parte sacralizza il matrimonio, dall’altra lo sottopone al controllo diretto del clero e continua a considerarlo come un male minore, il luogo in cui le passioni possono essere controllate e razionalmente orientate alla procreazione.

La buona cattolica (7) deve accettare l’unione coniugale come “remedium concupiscentiae”, respingere il piacere sessuale nel coito, considerare il suo corpo funzionale alla procreazione e alle necessità fisiologiche del marito.

 

La Chiesa dell’Ottocento

Con la rivoluzione francese vengono gettate le basi per una grande trasformazione politica e sociale. Con la sconfitta di Napoleone e la successiva Restaurazione la Chiesa ritorna ad avere gran parte dei privilegi acquisiti nei due secoli precedenti, ma le rivoluzioni del 1848 sono alle porte.

La vittoria delle idee illuministiche e liberali spiazza totalmente la Chiesa e, scrive Lucetta Scaraffia (8), “la costringe, dopo secoli in cui era stata guida della società e spesso principale alleata dei gruppi al potere, a una posizione di opposizione” e alla necessità di appoggiarsi “con i gruppi sociali ‘perdenti’, come i contadini e le donne.

Le nuove possibilità alle donne all’interno della Chiesa cattolica, non certo volute dalla gerarchia, sono state aperte dal processo di espropriazione dei beni ecclesiastici.

Privati dei beni che permettevano la sopravvivenza delle monache, i conventi non avevano più di che vivere e quindi si dovevano sciogliere.

La gerarchia ecclesiastica non pensa assolutamente a creare nuove forme di vita religiosa ma a questo ci pensano le donne stesse, che fondano le congregazioni di vita attiva: una vita religiosa in comune, che però prevede il lavoro,” per coprire le necessità economiche.

“Queste congregazioni”, continua la Scaraffia, “poiché le suore non ricevevano salario, potevano contare su un profitto di società altissimo: accumulavano capitali molto più rapidamente di una qualsiasi impresa privata, fosse essa una scuola, un orfanotrofio o un ospedale.

Un altro aspetto importante di queste congregazioni è che esse avevano tutto l’interesse a qualificare professionalmente le suore, perché bisognose di maestre, infermiere, amministratrici. Quindi le suore sono fra le prime donne a prepararsi con studi professionali, anche se vengono da ceti popolari, perché è l’istituzione stessa a farle studiare”.

L’indipendenza economica e il diffuso livello di istruzione rese le suore molto più libere rispetto alle direttive vaticane.

 

I travagli del Novecento

Un altro fattore di emancipazione non voluta prodotto dalla Chiesa, siamo ora nel Novecento, fu la creazione di organizzazioni femminili di donne laiche.

“Queste associazioni cattoliche nascono con un progetto antifemminista, cioè con l’idea che le donne devono continuare a fare le madri, le mogli e le spose, senza cambiare niente del loro ruolo sociale e soprattutto devono impegnarsi a difendere il cattolicesimo attaccato dalle femministe e dagli anticlericali”, scrive sempre la Scaraffia (9). E continua: “Però per difendere il cattolicesimo queste donne devono istruirsi e avere un rapporto con la religione molto più approfondito, soprattutto devono imparare a parlare in pubblico, a gestire dei contraddittori con i nemici della fede.

In altre parole viene data loro una preparazione politica e un’abitudine a parlare in pubblico e a inserirsi nella vita pubblica che saranno molto utili nel 1948, quando nelle decisive elezioni del 18 aprile la Democrazia Cristiana vince per il grandissimo apporto femminile. E non solo perché le donne votano Democrazia Cristiana, ma anche perché questo esercito di donne è capace di convincere gli altri.

All’interno della Chiesa cattolica il fatto stesso che gli uomini si allontanino, mentre le donne restano, crea condizioni di emancipazione per le donne, sia pure non volute e non previste dalle gerarchie ecclesiastiche”.

Questa “distanza” dei maschi dalla Chiesa è ben descritta da Enzo Bianchi (10): “In chiesa entravano solo donne, ragazze e qualche raro anziano devoto e così iniziava la messa... Al momento dell'offertorio - ero chierichetto sempre presente - il prete mi mandava fuori sulla piazza a chiamare di uomini per che entrassero a ‘prendere messa’, altrimenti quella non sarebbe stata più ‘valida’ per loro”.

Tanti sono i motivi di distanza dei maschi, a cominciare dalle visioni politiche e sociali, non proprio coincidenti con il Magistero. Ma è opportuno citare una causa specifica, che avrà peso nei rapporti tra donne e Chiesa: la contraccezione.

Tra le idee liberali in circolazione dall’Ottocento in Europa vi era il maltusianesimo che, al fine di evitare una crescita della popolazione in misura superiore a quella delle risorse disponibili, invitava ad assumere misure contraccettive nei rapporti coniugali.

Questa idea si diffuse anche tra le coppie cattoliche attraverso la pratica del coito interrotto, pratica tollerata dai confessori che li consideravano atti compiuti in “in buona fede”.

“Però”, scrive Sandro Magister (11), “a partire dall'enciclica di Pio XI del 1931 ‘Casti connubii’, ai confessori si cominciò a dire di non fare più affidamento sulla ‘buona fede’, ma di istruire il penitente sulla gravità del peccato che commettevano”.

Poiché le donne si accostavano molto più frequentemente degli uomini al confessionale, su di loro ricaddero le romanzine di molti confessori.

 

Il Vaticano II

“La Chiesa che si raccoglieva in concilio nel 1962 era da decenni attraversata da istanze di rinnovamento che riguardavano anche il movimento femminista”, scrive Cettina Militello (12).

Come abbiamo già visto, l’impegno delle cattoliche nei primi decenni del Novecento e nel secondo dopoguerra era stato significativo. Nonostante ciò, “il Concilio non sembrava inserire nella sua agenda la questione della donna in modo esplicito e i Padri conciliari, nella quasi totalità, vi restavano estranei”.

Ma, come sappiamo, durante il Concilio molte posizioni cambiarono.

“Il riferimento più forte a una reale compartecipazione delle donne alla vita ecclesiale si trova in Lumen gentium (LG), al n. 33, che richiama l’esperienza delle prime comunità cristiane: ‘quegli uomini e quelle donne che aiutavano l’apostolo Paolo nell’evangelizzazione’.

Se LG condanna ogni forma di disuguaglianza dovuta al sesso, vi è un altro aspetto legato a questo tema, evidenziato dal decreto sull’educazione cristiana Gravissimum educationis (GE) dell’ottobre 1965: l’attenzione alla differenza sessuale intesa come un valore.

Il decreto Apostolicam actuositatem (AA) sull’apostolato dei laici, promulgato il 18 novembre 1965, contiene alcuni passaggi significativi a proposito delle donne”.

Nel testo riecheggiano le parole di Giovanni XXIII nella Pacem in terris: “Nella donna diviene sempre più chiara e operante la coscienza della propria dignità. Sa di non poter permettere di essere considerata e trattata come strumento; esige di essere considerata come persona, tanto nell’ambito della vita domestica che in quello della vita pubblica (n. 22)”, e afferma la necessità che all’interno della Chiesa vi sia uno sviluppo del ruolo delle donne analogo a quello verificatosi nella società civile (cfr AA, n. 9).

“L’ultimo dei documenti elaborati dal Concilio, la costituzione pastorale Gaudium et spes, presenta un cambio di registro. Passando in rassegna le aspirazioni più diffuse dell’umanità, trovano spazio anche le donne che ‘rivendicano, dove ancora non l’hanno raggiunta, la parità con gli uomini non solo di diritto, ma anche di fatto’ (GS, n. 9)”.

Purtroppo, conclude la Militello, “il Messaggio alle donne, proposto al termine del Concilio e frutto di un lavoro della Curia piuttosto che dei Padri conciliari, farà ricorso a un armamentario retorico riconducibile alla mistica della femminilità che, pur esaltando le donne a parole, lascia intatto il pregiudizio culturale di cui sono oggetto”.

 

Il ‘68 e le sue conseguenze

Il rinnovamento proposto dal Concilio fu travolto dalla rivoluzione del 1968.

Guardando al ruolo femminile, il ‘68 fu soprattutto una rivoluzione al maschile.

È vero che le ragazze “uscirono” di casa ma videro e vissero sulla loro pelle che la discriminazione continuava anche tra i giovani rivoluzionari. “I leader erano loro e le ragazze erano di complemento”, commenta Lidia Ravera (13).

Se le donne agli inizi furono solo gli “angeli del ciclostile”, assunsero via via una postura sempre più autonoma, indipendente, riconoscibile.

Scrive Francesca Rigotti (14): “i miei ricordi di politica militante ma silente (a parlare erano solo i ragazzi, leader e leaderini) si mischiano con quelli delle prime sedute di autocoscienza e della partecipazione alle manifestazioni di donne, quelle sì divertenti, con gli zoccoli e le gonne lunghe a gridare: ‘Tremate tremate le streghe son tornate!’”.

Nasceva un nuovo femminismo, che superava la domanda di uguaglianza tra uomini e donne, tipica del primo femminismo, sottolineando la differenza come valore.

Si veniva scoprendo, scrive Maria Grazia Fasoli (15), “un più radicale senso della libertà femminile e della liberazione delle donne; ciò metteva in discussione l’intero assetto delle relazioni sociali, a partire da quella esistente tra uomini e donne.

Riassumendo: l’uomo non è il modello a cui adeguare il processo della scoperta di sé da parte della donna. La donna è l’altro rispetto all’uomo. L’uomo è l’altro rispetto alla donna”.

“Non sempre i giovani di allora sono riusciti a portarsi dietro nella loro vita di adulti i valori fondanti del ‘68”, scrive Silvana Mazzocchi (16). “Fu invece il femminismo a prosperare e a rigenerare l’anima e la mente delle donne e, da quel tempo di rivolta, iniziò nell’arte, nella cultura, nelle professioni, nella politica e nella società civile un percorso denso di passioni e di conquiste. Una vera e propria ‘rivoluzione femminile’ pacifica e capace di raccogliere il testimone di quel grande passaggio d’epoca che è stato il ‘68 e di trasformarlo in un germe positivo che ha cambiato per sempre la vita delle donne”.

 

La situazione oggi

Nell’arco di pochi anni, sul piano sociale, gli effetti del ’68 vennero rapidamente assorbiti ma la nuova consapevolezza femminile rimase ben presente sotto traccia.

Già dieci anni fa il sociologo Paolo Segatti e il direttore de “Il Regno” Gianfranco Brunelli affermavano in una loro ricerca (17) che, in tema di fede, se si considerano gli italiani nati dopo il 1981 “sembra veramente di osservare un altro mondo”, perché sono quelli più estranei a un'esperienza religiosa.

Ma il dato più interessante è la riduzione sostanziale della differenza di genere. Le donne nate dopo il 1981 sono tra le italiane più estranee ad un'esperienza religiosa nella stessa misura dei nati dopo il 1981.

E questo, sottolinea Armando Matteo (18), “è davvero qualcosa di inedito per la Chiesa Cattolica: il suo rapporto privilegiato con l'universo femminile manifesta una prima significativa incrinatura”.

Questo fenomeno si manifesta già nei nati dopo il 1970, se si mette in correlazione l’età con i soggetti che godono di un livello di istruzione alto. Quello che diventerà sistematico per i nati dopo il 1981 è già realtà per i figli e le figlie della generazione universitaria che ha partecipato attivamente al ’68.

Ciò pone un interrogativo di grande portata per la Chiesa Italiana. “Se non vi si pone attenzione”, scrive Matteo”, se non ci si lascia interrogare seriamente da essa, se non ci si dispone ad accompagnarla quale provocazione feconda circa la propria capacità di futuro, non ci vorranno molte generazioni per vedere la Chiesa italiana ridotta ha qualcosa di assai residuale.

La prima cosa da non poter più dare per scontata è la trasmissione interna della fede di generazione in generazione, all'interno delle dinamiche elementari dell’iniziazione all'umano dei piccoli, in secondo luogo l'assunzione generosa, da parte delle donne più giovani, nel ruolo di catechista, di animatore, di cantore e di lettore, insomma di grandi alleate del clero, mai come ora in affanno, e infine la disponibilità tutta femminile a porre mano e dare risposta ai tanti bisogni e necessità presenti in ogni comunità”.

“La piena cittadinanza delle donne nella chiesa”, continua Matteo, “non deve essere affrontato secondo una logica di potere sacrale da spartire né secondo una semplice revisione dall'alto delle disposizioni morali. Più radicalmente è chiamata in causa l'immagine stessa della Chiesa.

Si tratta di prendere sul serio e quale punto di prospettiva quella fatica di essere una quarantenne nella società attuale, la quale insieme attesta la sostanziale evoluzione dei tempi ma ovviamente anche le difficoltà e le involuzioni che ogni grande rivoluzione - come quella cui forse un po' meravigliati abbiamo assistito negli ultimi 40 anni, su ogni livello della vita, personale e comune - inesorabilmente porta con sé”.

 

Cinque proposte operative

Armando Matteo conclude il suo libro “La fuga delle quarantenni” formulando cinque proposte.

La prima riguarda l'immagine pubblica della Chiesa italiana, troppo in mano ai maschi. Serve creare spazi per le donne nei livelli più alti dell'amministrazione del governo della Chiesa, in particolare in tutti quegli uffici non legati al ministero sacerdotale. In particolare si dovrebbe puntare di più sulle suore, in larga misura dotate di ottima formazione culturale e teologica, ma le cui funzioni nella Chiesa continuano ad essere limitate a funzioni secondarie e terziarie per un eccesso di clero centrismo.

La seconda sottolinea il ruolo che dovrebbero acquisire i laici. Sono ben pochi oggi nella Chiesa “luoghi in cui i laici possano prendere la parola, comunicare la loro esperienza di vita, le loro domande, le loro scoperte, i loro pensieri sull'essere nel mondo” (19).

Questo è un rischio che il clero deve correre se non vuole che quella ‘mancanza di respiro’ che affligge il cattolicesimo italiano diventi alla fine dei conti naturalmente cronica.

La terza si riferisce specificatamente alle donne, in particolare le quarantenni, sulle quali ricade il peso dell'educazione dei figli, della gestione della casa e la cura dei parenti anziani malati. Gli orari e i tipi delle attività ecclesiali andrebbero ripensati per venire incontro alle loro esigenze, per esempio ripensando il numero e gli orari delle Messe domenicali, e alla loro formazione culturale.

La quarta riguarda invece i maschi. Se è innegabile che l'emancipazione della donna abbia avuto contraccolpi profondi sull'autoconsapevolezza maschile, non serve cercare vendette in modo più o meno subdolo.

Serve ricostruire insieme immaginari condivisi tra il maschile e il femminile. La Chiesa qui può offrire l’umano compiuto offerto dalla rivelazione evangelica, nella quale il potere della libertà è sempre libertà dal potere, in vista di un mondo segnato dal comandamento dell'amore.

Il quinto e ultimo punto tratta della vita buona offerta del Vangelo. Occorre uscire dai discorsi autoreferenziali clericali per affrontare a viso aperto gli aspetti più maledetti della cultura dominante oggi; cioè della dittatura della giovinezza e del terrorismo della bellezza, che pur affliggendo tutti hanno in verità numerose ricadute negative proprio sull'anima delle giovani donne.

Il grande tesoro di sapienza offerto dalla Bibbia va tradotto e messo a disposizione degli uomini e delle donne del nostro tempo, se non vogliamo continuare a spegnere le passioni dei nostri primogeniti.

“Il terreno per nuove alleanza tra Chiesa e donne non manca”, conclude Matteo. “Che tra le due contraenti la più vecchia debba tendere per prima la mano, è una semplice questione di buon senso. Più precisamente, di futuro possibile”.

 

1 Fonte: press.vatican.va

2 Le donne nel Vangelo. Fonte: www.studibiblici.it

3 Vedi articolo di Laura Verrani in GF105

4 La donna e la Chiesa nel medioevo.

Fonte: http://www.annali-sdf.unict.it/ojs/index.php/annali-sdf/article/download/30/18#:~:text=Carmelina%20Urso-,Il%20rapporto%20fra%20la%20donna%20e%20la%20Chiesa%20nell'Occidente,%2C%20specialmente%2C%20dalla%20sua%20gestione.&text=Il%20Siwww.annali-sdf.unict.it

5 Riforma Protestante ed emancipazione delle donne. Fonte: coscienzaeliberta.it

6 Le donne al tempo della Riforma.

Fonte: library.weschool.com

7 La Chiesa cattolica e le donne. Fonte: https://www.zam.it/forum/index.php?topic=5163.30

8 Donne e fede. La Chiesa cattolica e l'immagine femminile tra Ottocento e Novecento.

Fonte: https://www.fondazionesancarlo.it/conferenza/donne-e-fede/

9 Sentimenti religiosi. La femminilizzazione del sacro nell’Italia post-unitaria.

Fonte: https://www.fondazionesancarlo.it/wp-content/uploads/2017/01/Scaraffia.pdf

10 Enzo Bianchi, Il pane di ieri, Einaudi, Torino 2010

11 I confessori e la contraccezione.

Fonte: chiesa.espresso.repubblica.it

12 Il ruolo delle donne nel Vaticano II.

Fonte: https://www.aggiornamentisociali.it/articoli/il-ruolo-delle-donne-nel-vaticano-ii/

13 Il ’68 cinquant’anni dopo. Fonte: https://www.ansa.it/sito/notizie/speciali/2018/01/27/sessantotto-50-anni-dopo.-lidia-ravera-e-stato-scegliere-la-giovinezza_bdd00f11-ecf3-4825-b4db-1b35728ebcd8.html

14 Le donne nel sessantotto.

Fonte: https://www.doppiozero.com/materiali/donne-nel-sessantotto

15 Una rivolta nella rivolta.

Fonte: https://www.benecomune.net/rivista/numeri/sessantotto-50/le-donne-e-il-68-una-rivolta-nella-rivolta/

16 Quelle donne nel sessantotto.

Fonte: https://www.repubblica.it/rubriche/passaparola/2018/06/21/news/donne_del_sessantotto-199635120/

17 citati da Armando Matteo. La fuga delle quarantenni. Rubettino Editore, Soveria Mannelli (CZ) 2012

18 Armando Matteo. La fuga delle quarantenni. Ibidem

19 CEI, Nota pastorale dopo il Convegno Ecclesiale Nazionale, Verona 2006. Fonte: https://www.missioitalia.it/wp-content/uploads/2020/02/Rigenerati-per-una-speranza-viva.pdf

 

Serve una chiesa che si ricordi che il presbiterato dei primi secoli non aveva granché di sacerdotale, essendo allora il sacerdozio riservato al vescovo, e sia capace di reinventarlo, sciogliendo il tremendo rapporto tra potere, sesso maschile e sacro.

Armando Matteo

 

Il problema fondamentale è che l’annuncio liberante di Gesù Cristo è diventato un’istituzione con la sua casta, i diversi gradi di accesso al mistero, un insieme di regole che formalizzano fin alla più minuta e intima scelta individuale, soprattutto per le donne.

Paola Lazzarini

 

Nella donna diviene sempre più chiara e operante la coscienza della propria dignità. Sa di non poter permettere di essere considerata e trattata come strumento; esige di essere considerata come persona, tanto nell’ambito della vita domestica che in quello della vita pubblica.

Giovanni XXIII, Pacem in terris

 

Il crescente aumento dei matrimoni civili e delle coppie di conviventi si deve all’allontanamento dalla Chiesa delle giovani donne, essendo normalmente molto preponderante la parte della donna nella decisione della coppia di contrarre matrimonio religioso o meno, o di non contrarlo affatto.

Armando Matteo

 

In Occidente la trasmissione della fede è legata a doppio filo con la figura della donna: sono state loro le prime evangelizzatrici! Mentre oggi subiscono la pressione mediatica di una società che continuamente pone il messaggio della Chiesa e del Magistero contro di loro.

Armando Matteo

 

Le donne possono essere il centro propulsore di una sorta di nuova costituente antropologica, in cui in nome di un comune umanesimo - che non può esistere se non è anche un umanesimo femminile - si possono trovare più ragioni comuni con i non credenti che argomenti di divisioni.

Emma Fattorini

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

DOMANDE PER LEI

•          Quanto vi aiuta vostro marito nelle faccende di casa?

•          Quanto vi lasciate aiutare?

•          Sul lavoro qual è il vostro rapporto con i colleghi maschi?

•          In ambito parrocchiale pensate che le donne abbiano abbastanza spazi per esprimersi?

DOMANDE PER LUI

•          Pensate di aiutare abbastanza vostra moglie nelle faccende di casa?

•          In ambito lavorativo come considerate le colleghe femmine?

•          Vi confessereste da una donna sacerdote?

Scambiatevi le risposte e confrontatevi tra di voi e nel vostro gruppo.

 

4-L’IMMAGINE DI MARIA

Cambiare nell’immaginario collettivo dei credenti la raffigurazione di Maria Vergine aiuterebbe a cambiare anche l’immagine della donna nella Chiesa

 

A cura della Redazione

Il culto mariano è fortemente radicato nella cultura religiosa italiana e non intendiamo assolutamente metterlo in discussione. Vorremmo solo esaminare il ruolo involontario che è venuta ad assumere la figura di Maria nei confronti delle donne credenti.

Scrive Armando Matteo (1): “Numerosissimi sono gli edifici sacri dedicati a Maria, così come numerose sono le novene a lei rivolte durante l’anno liturgico della Chiesa. E da sempre la preghiera che prepara la comunità alla celebrazione eucaristica feriale è il santo rosario”. Tutta questa devozione mariana può però nascondere la volontà pastorale di “collegare l'universo della fede con l'esperienza poco esaltante delle donne adulte di un tempo. Un'esperienza che potrebbe venire facilmente riassunta così: a loro si deve quasi tutto in ciò che funziona nell'esistenza delle famiglie e della società, ma nessuno glielo riconosce”.

Su questo tema è ancora più drastica Michela Murgia (2) che osserva come, dopo il dogma dell’Immacolata Concezione (1854), sia cambiata la rappresentazione più ricorrente di Maria. Per molti secoli Maria era stata raffigurata mentre “teneva in braccio un pargolo indifeso e tenero, icona della debolezza divina fatta uomo. Questo canone estetico diceva molte più cose su Cristo in quanto non ne dicesse di lei”.

Dopo il dogma Maria tende ad essere rappresentata “in atteggiamenti rigidamente pudichi, vestita di colore tendente al bianco e azzurro pastello (evocativa della Grazia Celeste), con le forme del corpo appena accennato e il capo coperto” mentre scompare il bambino Gesù.

Questa rappresentazione angelicata di Maria “offre alle donne che la pregano un modello - estetico e di conseguenza anche etico - impoverito e fuorviante”.

“L'educazione religiosa cattolica ha inciso grandemente sull'idea che una donna per bene sia per sua natura un essere consenziente all'interno di un contesto coercitivo. Il sì delle donne è indispensabile alla sopravvivenza del sistema patriarcale: tanto nella società quanto nella chiesa”.

“Maria”, conclude la Murgia, “in modo paradossale ha finito per essere proposta come esempio luminoso di donna funzionale ai piani altrui, lei che i piani altrui gli aveva sovvertiti tutti senza pensarci neanche un istante”.

Quanto le donne di oggi riescono ancora ad immaginarsi in questa rappresentazione? Ci sono altri modelli iconografici da proporre loro?

Proprio partendo dall’ultima frase della Murgia, un modello che potrebbe essere significativo è quello dell’incontro tra Maria e Elisabetta.

Scrive Philomena D’Souza (3): “Santificando la gravidanza di Maria, la quale era fuori dal matrimonio, Dio affermò la sessualità delle donne. Assicurando a Maria l’appoggio dello sposo e quello di una cugina maggiore, Elisabetta, Dio affermò la necessità della relazione, della connessione, dell’intimità nelle donne, cioè, tutti gli aspetti della sessualità umana. E non ci si deve meravigliare che il Magnificat, inno rivoluzionario, nascesse nel contesto dell’incontro tra due donne, entrambe rappresentanti una parte della storia della salvezza ed entrambe incinte in modo miracoloso, perché avevano permesso alla scintilla dello Spirito di abitare in loro!”.

Un’altra immagine che suor Philomena ci propone è quello dell’Assunzione, diventato dogma solo nel 1950 ma oggetto di devozione, con il nome di “dormizione”, già nei primi secoli della cristianità.

“Come Gesù resuscitò tra i morti e ascese al cielo”, scrive la D’Souza, “parallelamente la Chiesa predica che Maria fece lo stesso, dopo aver completato il suo viaggio terreno. Nella sua assunzione possiamo vedere un’anticipazione del destino escatologico del corpo umano. Maria è una figlia della nostra razza e innalzandola al cielo, Dio ha scelto una donna per simboleggiare la pienezza dell’umanità. Il mistero di Maria rivela che una donna è preziosa. La donna, pertanto, non è stata creata per essere abusata e sopraffatta - come spesso succede nella nostra società - ma per essere rispettata e amata fino alla fine”.

 

1 Pastorale 4.0, Àncora Editrice, Milano 2020

2 Ave Mary, Einaudi Editore, Torino 2011

3 Maria e le donne. Fonte: http://www.latheotokos.it/programmi/Mariaeledonne.pdf

 

5-DONNE DIACONO?

Forse oggi abbiamo di nuovo bisogno di una apostola apostolorum come Maria di Magdala, che la mattina di Pasqua ha svegliato gli apostoli dal loro letargo e li ha messi in moto. Walter Kasper

 

A cura della Redazione

Nella Chiesa, “le donne, idealizzate e celebrate finché sono statue di legno negli amboni laterali, o quando muoiono di parto, per il resto sono semplicemente spettatrici e utile manodopera laddove serve”, scrive Paola Lazzarini (1), presidente dell’associazione Donne per la Chiesa.

Un argomento “forte” che viene portato avanti da questa associazione è senz’altro il diaconato femminile.

Come si sta muovendo il Magistero della Chiesa su questo tema?

“In un passo dell'esortazione Apostolica EG”, scrive Giovanni Villata (2), “Francesco ha parlato del ruolo della donna nella chiesa. Pur ribadendo l'esclusione delle donne dal sacerdozio, ha precisato come avere il potere di amministrare i sacramenti non renda i sacerdoti più degni degli altri battezzati. Pertanto ha invitato i teologi a indagare il possibile ruolo della donna negli ambiti dove si prendono decisioni importanti per la chiesa e ha annunciato che istituirà una commissione di studio sul diaconato femminile nella chiesa primitiva, ritenendo che le donne diacono sono ‘una possibilità per l’oggi’”.

La commissione di cui parla Villata, istituita 2016, ha concluso i lavori nel 2019, purtroppo senza approdare a nulla.

Un aspetto problematico incontrato dalla commissione è stato quello delle fonti, anche se, scrive Emanuela Prinzivalli (3), “i casi palesi di ‘donne diacono’ si manifestano chiaramente alla fine del IV secolo – si pensi alla Chiesa di Costantinopoli – come Olimpia amica di Giovanni Crisostomo che viene ordinata con l’imposizione delle mani da lui. Erano dedite alla liturgia e alla cura pastorale della parte femminile della Chiesa di quel tempo”.

La problematicità riguarda l’origine del diaconato, se cioè possa essere attribuita all’epoca apostolica o si debba collocare solo successivamente nel III secolo, se interessava tutta la Chiesa o solo alcune regioni (4).

Ma, oltre all’aspetto storico, c’è anche quello teologico, scrive Antonio Dall'Osto (5). “Infatti la Chiesa cattolica è stabilita sul sacerdozio ordinato. La ragione sta perciò nel fatto che, se il sacramento dell’ordine viene amministrato anche alle diaconesse, allora non c’è più nessun impedimento anche per la loro ordinazione sacerdotale” e, su questo punto, “papa Francesco ha più volte ribadito che l’esclusione delle donne è definitiva”.

Sempre nel 2019 si è svolto il Sinodo sull’Amazzonia su cui molti riponevano grandi speranze.

Nell’Esortazione Querida Amazzonia (6) leggiamo: “In una Chiesa sinodale le donne, che di fatto svolgono un ruolo centrale nelle comunità amazzoniche, dovrebbero poter accedere a funzioni e anche a servizi ecclesiali che non richiedano l’Ordine sacro e permettano di esprimere meglio il posto loro proprio. È bene ricordare che tali servizi comportano una stabilità, un riconoscimento pubblico e il mandato da parte del Vescovo (n.103)”.

Ci sono quindi segni di apertura, che si sono ulteriormente manifestati nella recente Istruzione sulle parrocchie (7): “il Vescovo diocesano può affidare una partecipazione all’esercizio della cura pastorale di una parrocchia a un diacono, a un consacrato o un laico... Coloro ai quali verrà in tal modo affidata la partecipazione nell’esercizio della cura pastorale della comunità, saranno coordinati e guidati da un presbitero con legittime facoltà, costituito ‘Moderatore della cura pastorale’” (n.87-88) anche se si “tratta di una forma straordinaria di affidamento della cura pastorale” (n.89).

Di fronte all’impazienza, comunque presente, in certi settori della Chiesa giova ricordare che papa Francesco, da buon gesuita, è lento ma inesorabile (8).

Non per niente a inizio anno Bergoglio ha istituito una nuova commissione di studio sul diaconato femminile.

 

1 Fonte: https://www.glistatigenerali.com/questioni-di-genere_religione/nel-lockdown-abbiamo-celebrato-non-torneremo-spettatrici-in-chiesa/

2 Che idea di Chiesa abbiamo? Elledici, Torino 2019

3 Donne diacono. Fonte: https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/nella-chiesa-delle-origini-cerano-

4 Il ministero delle donne nella chiesa antica.

Fonte: http://www.laici.va/content/dam/laici/documenti/donna/teologia/italiano/IlministerodelledonnenellaChiesaantica.pdf

5 Diaconato alle donne. Fonte: http://www.settimananews.it/chiesa/diaconato-alle-donne/

6 Fonte: http://www.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20200202_querida-amazonia.html

7 La conversione pastorale della parrocchia.

Fonte: press.vatican.va

8 Cfr Gianluigi Nuzzi, La Stampa, 7 giugno 2020

 

6-LA RECIPROCITÀ UOMO - DONNA

Dal Sinodo sui giovani sono emerse posizioni che dovrebbero essere più condivise all’interno dell’intera Chiesa

 

di Sergio Massironi e Alessandra Smerilli*

“Madri sinodali”: nel linguaggio ecclesiastico l’espressione non ha ancora diritto di cittadinanza ma durante l’ultimo Sinodo i giovani partecipanti hanno provato a sdoganarla.

L’inconsueto appellativo rivolto dai giovani alle donne “uditrici” ha fatto sorridere tutti, dissolvendo nell’ironia una tensione rimasta a lungo nell’aria e che si era manifestata anche nelle votazioni del Documento finale (DF), con un 15% di non placet sugli articoli “donne nella Chiesa” e “reciprocità tra uomini e donne”.

In un mondo in cui le disparità tra uomini e donne sono ancora pesanti, la comunità nata dal Vangelo potrebbe essere testimonianza di un ordine diverso nei rapporti, nei vissuti, nelle procedure.

La questione non è superficialmente di “pari opportunità”, perché non nasce da rivendicazioni di spazi, ma da una ricchezza smarrita.

Se in Genesi l’immagine di Dio è “maschio e femmina”, solo insieme maschio e femmina saranno suo riflesso e non esclusivamente nel matrimonio.

II Sinodo ci invita a riflettere su quanto la loro reciprocità possa essere feconda in ogni ambito: “La relazione tra uomo e donna è compresa nei termini di una vocazione a vivere insieme nella reciprocità e nel dialogo, nella comunione e nella fecondità in tutti gli ambiti dell'esperienza umana: vita di coppia, lavoro, educazione e altri ancora. Alla loro alleanza Dio ha affidato la terra” (DF 13).

L'ultima affermazione è forte e originale: la terra non è affidata alla cura degli uomini, intesi come esseri umani, ma all'alleanza uomo-donna.

Come cambierebbero le nostre relazioni, la distribuzione di compiti e ruoli, anche all'interno della Chiesa, se prendessimo sul serio questa affermazione? E perché raramente riusciamo a farlo? Nel governo delle Chiese locali e di quella universale si stenta a riconoscere un investimento sulla presenza femminile che dia forma a quell'alleanza originaria che rinvia al mistero divino stesso. Così rimane offuscata la particolarità del Regno di Dio rispetto a tutte le consuetudini umane, che vedono ancora deturpata da stereotipi e sopraffazione l'alleanza originaria.

Nei Vangeli il gruppo di Gesù è senza precedenti specialmente per la comunione di donne e uomini, destinatari della stessa Parola e di un'unica salvezza.

I giovani che osservano oggi la Chiesa istituzionale stentano a ritrovare la medesima polifonia di vocazioni e di esperienze.

“Testimoniare Gesù completamente vuoi dire anche tener conto di tutte queste donne. Purtroppo non lo facciamo abbastanza. E non lo facciamo in quest'aula”: così Alain de Raeroy, vescovo ausiliare di Losanna, Ginevra e Friburgo, durante i lavori sinodali, con riferimento alle figure femminili del Vangelo.

Ancor più audace il cardinale Reinhard Marx, a nome dei vescovi tedeschi: “Non basta ripetere i testi magisteriali pertinenti. Dobbiamo affrontare le richieste dei giovani, spesso scomode e impazienti, di uguaglianza delle donne anche nella Chiesa.

Non possiamo più tenerci semplicemente fuori dai discorsi del presente e dobbiamo imparare di nuovo una cultura del confronto, per inserirci argomentando e offrendo orientamenti nei dibattiti sociali su questioni importanti dell'umanità come la sessualità, il ruolo delle donne e degli uomini e il modo in cui si modellano i rapporti umani.

E, per amore di credibilità, dobbiamo coinvolgere ancora di più le donne nei compiti di leadership a tutti i livelli della Chiesa, dalla parrocchia alla diocesi alla conferenza episcopale e anche al Vaticano stesso.

Dobbiamo volerlo davvero e anche metterlo in pratica! L'impressione che, quando si tratta di potere la Chiesa in fondo sia una Chiesa degli uomini va superata, anche qui in Vaticano. Altrimenti le giovani donne da noi non troveranno una vera possibilità di realizzazione. È davvero ora!”.

Confidiamo che queste voci autorevoli trovino sempre più spazio all’interno della Chiesa.

* Tratto da: L’adesso di Dio, Vita e Pensiero, Milano 2019

Sintesi della Redazione

 

7-LA PRIMA GENERAZIONE INCREDULA

Se da sempre i giovani sono stati malvisti dagli adulti, oggi sono di fatto emarginati.

E i giovani rifiutano le ipocrisie degli adulti, come una fede praticata ma non incarnata nel quotidiano.

 

A cura della Redazione

Nel documento finale del Sinodo sui giovani i padri sinodali hanno scritto: “Molti [tra i giovani] sperimentano come la loro voce non sia ritenuta interessante e utile in ambito sociale ed ecclesiale... Si registra una scarsa attenzione al loro grido... e anche la mancanza di adulti disponibili e capaci di ascoltare” (n.55).

Fino a che punto la Chiesa è pronta ad ascoltare concretamente i giovani?

Di certo, diminuiscono sempre più le vocazioni religiose e consacrate e il popolo di Dio è sempre più costituito da bambini e anziani. Non per niente i temi trattati dal Sinodo sono stati, oltre ai giovani, la fede (1) e il discernimento vocazionale (2) di cui abbiamo parlato nello scorso numero.

 

Giovani e adulti nell’antichità

Il rapporto tra giovani e adulti è sempre stato problematico.

Scrive Alberto Maggi (3): “Già in un papiro egizio di ben cinquemila anni fa si legge: ‘Nemmeno i tempi sono più quelli di una volta. I figli non seguono più i genitori’ e in un frammento d’argilla babilonese di tremila anni fa è scritto: ‘Questa gioventù è guasta fino al midollo; è cattiva, irreligiosa e pigra. Non sarà mai come la gioventù di una volta. Non riuscirà a conservare la nostra cultura’.

Esiodo, poeta del 700 a.C., così descriveva il suo pessimismo: ‘Non nutro più alcuna speranza per il futuro del nostro popolo, se deve dipendere dalla gioventù superficiale di oggi, perché questa gioventù è senza dubbio insopportabile, irriguardosa e saputa. Quando ero ancora giovane mi sono state insegnate le buone maniere e il rispetto per i genitori: la gioventù d’oggi invece vuole sempre dire la sua ed è sfacciata’”.

Questi pregiudizi valgono anche per l’antico Israele.

“L’ebreo non può certo non vedere come proprio nella gioventù tutto ciò è espresso con la massima forza”, scrive Raffaele Mantegazza (4). “Proprio per questo motivo è anche soggetto al massimo pericolo: la forza del giovane può essere pervertita, la sua esuberanza può farlo cadere. Per questo motivo la Bibbia vede nel giovane un soggetto da educare”, anche se, secondo il costume del tempo, l’Antico Testamento suggerisce di usare maniere forti: “Chi risparmia il bastone odia suo figlio, chi lo ama è pronto a correggerlo (Pr 13,24)”.

 

I giovani nel Nuovo testamento

I giovani non sono una categoria a cui il Vangelo dedica una catechesi particolare. Sono però presenti due figure giovanili che sono fondamentali e allo stesso tempo anticonformiste.

La prima è quella di Maria, che doveva avere circa 14 anni a momento dell’Annunciazione.

“Se L'Angelo è un anticonformista, lei lo è di più”, scrive Michela Murgia (5). “Per questo non accetta subito, ma si permette anche gli spazi della trattativa; al messaggero del Signore osa chiedere persino spiegazioni: ‘come è possibile?’.

Persino una ragazza tanto sciocca da accettare l'offerta del messaggero del Signore a questo punto sarebbe tornata in sé e sarebbe corsa dal padre, dal fidanzato, dallo zio, dal sommo sacerdote o da una donna più vecchia per raccontare che cosa era successo, cercando di farlo capire e accettare prima che cominciasse a vedersi sul suo corpo.

Eppure Maria non fa nulla di tutto questo. Anzi, fa proprio quello che potrebbe aumentare agli occhi di tutti la sua colpevolezza: si mette in viaggio e va a trovare sua cugina Elisabetta, l’unica che si accorgerà che è incinta”.

La seconda figura è il giovane Gesù che, dodicenne, sale con i suoi a Gerusalemme, viene perso dai suoi che solo dopo tre giorni lo ritrovano.

“Alla madre, che gli ricorda il quarto comandamento (il rispetto verso i genitori), replica con il primo, l'unicità di Dio”, commenta Maggi (6). “E passa lui a rimproverare i genitori. ‘Perché mi cercavate?’. Poi quasi a rafforzare il rimprovero, esprime meraviglia per la loro ignoranza: ‘Non sapevate?’”.

Sulle soglie dell’adultità, secondo le usanze di Israele, Gesù mostra quell’indipendenza e autonomia che già aveva mostrato sua madre.

 

La giovinezza nella storia

La sudditanza dei giovani agli adulti è una sigla che attraversa tutta la storia conosciuta dell’uomo e l’adolescenza è l’unico momento di vera ribellione.

L’adolescenza è come un trasloco, scrive Pino Pellegrino (7). “In una casa quando si sta facendo trasloco non si sa più mettere le mani su niente perché regna un gran disordine. L’adolescenza è un trasloco per andare ad abitare in una casa più bella, tutta nuova: il trasloco dalla fanciullezza all’età matura”.

L’adolescenza, questa età ribelle, per una lunga stagione della storia (ed ancor oggi in gran parte del mondo), è stato un rapido e transitorio momento di passaggio dall’infanzia alla maturità, nota Giorgio Campanini (8). Infatti, per limitarsi a due momenti centrali di questo passaggio “assai giovani si entrava nel mondo del lavoro ed assai giovani ci si sposava”.

“Fino a cinquant’anni la vita poteva essere rappresentata come una ‘sorta di ‘imbuto’ alla cui parte larga si collocava la nascita, l’infanzia e la giovinezza, e alla cui parte tubolare, ristretta, si collocava invece l’età adulta, contrassegnata da scelte irreversibili e definitive, come quelle familiari e lavorative”, scrive Armando Matteo (9).

“Da quel momento in poi tutto risultava cadenzato dall’ordine dei doveri familiari, lavorativi e sociali”. Ciò era però bilanciato “da un’aura assai positiva circa il fatto di diventare adulto: la pienezza dell’umano era vista proprio nel diventare grandi”.

 

La giovinezza oggi

Negli ultimi decenni l’adolescenza, progressivamente, si è prolungata nel tempo. Scrive sempre Campanini: “Sono venuti meno i riti di ‘iniziazione’ tipici di molte culture del passato ma, soprattutto, la fase dell’uscita dall’adolescenza si è gradatamente sfumata, sino a diventare evanescente: con il lavoro precario e flessibile si sono obnubilati i confini fra occupazione e disoccupazione, con le relazioni prolungate e le convivenze i confini tra matrimonio e celibato”.

Qui sta la contraddizione del presente perché “mai come i nostri giorni ai giovani è stato consentito un tenore di vita così alto, arricchito da mille opportunità sociali, culturali, relazionali”, scrive ancora Matteo. “Non sono essi sempre più coccolati dalla famiglia? Non frequentano scuole che non richiedono più di sostare sulle sudate pagine di cui parla Leopardi? Non sono stati i maschi esonerati dall'obbligo della leva e le donne dal dovere di sposarsi per poter sopravvivere? Non hanno maggiore libertà nelle relazioni con l'altro sesso?”.

Ma tutto questo ha un grosso contrappasso: anche per i giovani che lo vogliono, è molto faticoso entrare nel mondo degli adulti, perché questi non sono disposti a cedere il passo.

Visto dall’esterno, può sembrare “che siano gli stessi adolescenti e giovani adulti che rifiutano il lavoro, che prendono le distanze dalla società, che diffidano del matrimonio, e così via”, continua Campanini; “ma vi è da domandarsi - al di là delle reali difficoltà di integrazione dei giovani - se non si sia di fronte ad un’organizzazione complessiva di una società che comporta un alto tasso di gerontocrazia e che lascia ben poco spazio alle nuove generazioni. Forse, più che discettare sulle tendenze edonistiche e consumistiche diffuse fra i giovani, occorrerebbe domandarsi se non ci si trovi di fronte ai sintomi di un diffuso disagio del quale la generazione adulta porta una parte non piccola di responsabilità”.

Su questo tema Matteo è ancora più preciso: “Allevati da adulti del tutto riluttanti all’idea di dover diventare grandi, i nostri giovani hanno ricevuto unicamente le istruzioni per restare figli dei loro genitori potenzialmente immortali, perdendo sempre più contatto con la verità che la giovinezza sia sostanzialmente il tempo del loro diventare adulti, capaci cioè di quel tratto di generatività che è cifra dell’umano”.

È in corso, come la definisce Franco Ferrarotti, decano dei sociologi italiani, una vera e propria “strage degli innocenti”. “Una strage legata alla costante azione, portata avanti degli adulti, di tarpare le ali dei più giovani”, continua Matteo. “I primi, infatti, coltivano un senso profondo di narcisismo esasperato e l’esplicita volontà di vivere senza invecchiare e senza morire, mentre i secondi non ricevono altro messaggio, quando lasciano la tribù familiare per avviarsi nel terreno della società, di quello della loro sostanziale inutilità presente (ci sono appunto ancora gli adulti!) e della pazienza necessaria nell’attesa che gli adulti decidano finalmente di spegnersi”.

La questione della fede nelle nuove generazioni si intreccia quindi, inesorabilmente, “con la questione del loro ingresso nella fase adulta, anch'esso sempre più difficile, tenuto conto del fatto che molti degli adulti credenti con i quali i ragazzi e giovani entrano attualmente in contatto sono assai lontani da quella qualità umana che sarebbe necessaria (10)”.

 

La fede dei giovani

Sappiamo per esperienza che i comportamenti e gli stili di vita praticati negli Stati Uniti, prima o poi arriveranno in Europa. Qual è lo stato di salute della fede dei giovani americani?

Rod Dreher (11) cita una ricerca da cui risulta che la maggioranza dei teenager “aderisce a un miscuglio pseudo religioso designato dai ricercatori come Deismo Moralistico Terapeutico (DMT). Il DMT si fonda su cinque pilastri fondamentali:

• Esiste un Dio che ha creato e ordina il mondo e custodisce la nostra vita sulla Terra.

• Dio vuole che le persone siano buone, gentili e leali l’una con l’altra, come viene insegnato nella Bibbia e nella maggioranza delle religioni del mondo.

• Lo scopo centrale della vita è essere felici e avere una buona autostima.

• Non serve che Dio sia particolarmente coinvolto nella vita di ognuno, eccetto quando serve per risolvere un problema.

• Le brave persone, quando muoiono, vanno in paradiso.

IL DMT non è del tutto sbagliato ma ha poco a che fare con il cristianesimo della Scrittura e della tradizione, che insegna il pentimento, l’amore che si sacrifica, la purezza di cuore. Il DMT non è altro che è la religione naturale di una cultura che venera l’io e la comodità materiale”.

E in Italia?

Armando Matteo (12) cita un'indagine dell'Università Cattolica di Milano condotta nel 2017 su un'ampia platea di giovani. “Per questi ultimi - è questo il cuore della rilevazione - la dimensione religiosa nella propria esistenza appare sempre più irrilevante. Quasi il 60% degli intervistati potrebbe vivere senza alcun riferimento religioso, e questo non cambierebbe nulla nella loro vita. Poco rilevanti sono le differenze per genere, tranne che per il valore assegnato all’irrilevanza totale del fenomeno religioso”.

Ma la cosa più interessante è che “i giovani, interrogati in proposito, affermano che la novità di cui sono portatori in termini di disaffezione la religione ha radici lontane: sicuramente nei genitori, ma non è da escludere che sia da riportare anche ai loro nonni. Sostengono, insomma, di non essere la prima generazione incredula, bensì la seconda o addirittura la terza”.

 

La prima generazione incredula

Sia che se siano o no la prima generazione incredula, i giovani oggi sono senz’altro “una generazione che non si pone contro Dio o contro la Chiesa, ma che sta imparando a vivere senza Dio e senza la Chiesa., una generazione a cui nessuno ha narrato e testimoniato la forza, la bellezza, la rilevanza umana della fede”, scrive sempre Matteo (13). E continua. “In Occidente per lungo tempo la trasmissione della fede è stata una semplice questione ‘di casa’, non di chiesa, a cui davano una mano non indifferente anche le maestre, almeno fino alla fine degli anni 80.

Nel passato la comunità dei credenti poteva fare sicuro affidamento a quella anonima e valida mistagogia al mistero Cristiano operata dalle nonne, dalle mamme e dalle maestre. Oggi invece nascere e diventare cristiano sono due cose distinte. Non si diventa più cristiani mentre si viene allattati dalla mamma”.

 

Cosa fare subito

Di fronte a queste considerazioni, la risposta che deve fornire la comunità credente non può riguardare solo i giovani ma anche gli adulti, se è vero che la disaffezione alla pratica religiosa covava già da tempo anche nelle generazioni adulte.

Le proposte che trovate di seguito sono frutto di una sintesi di ciò che ha proposto Armando Matteo nei vari libri sul tema che ha pubblicato in questi anni.

Il passo più importante da compiere, secondo l’autore, è quello di trasformare le comunità ecclesiali - in particolare le parrocchie - in luoghi ove si impara a credere e ove si impara a pregare. Luoghi nei quali si può decidere di credere. Luoghi di respiro, di libertà, di passaggi e di paesaggi da contemplare, da ammirare, da interrogare e mettere alla prova; luoghi facilmente transitabili, sottratti alla mania clericale della diaconia ad ogni costo, per una sequela possibile. Il tutto nello spirito di quella Chiesa in uscita verso le periferie esistenziali tanto cara a papa Francesco.

Per fare ciò serve una rivoluzione copernicana della mentalità pastorale. Questa si può riassumere nella sostituzione della formula d'oro dell'attuale mentalità pastorale: “diventa adulto e sarai cristiano” con quella: “diventa cristiano e sarai adulto”.

Il cristianesimo è, infatti, la versione adulta dell'esistenza umana. È una cosa seria. Non è un gioco da ragazzi ma una faccenda da adulti.

L'amore del prossimo - del prossimo concreto, qui, in carne e ossa - che ne costituisce l'architrave fondamentale si pone in diretta concorrenza con quel culto del sé che rappresenta al momento l'ultima e l'unica forma di pensiero condiviso.

Non per niente oggi credere nel Vangelo è più difficile per tutti. La pratica della fede, infatti, al presente, costa di più. In molti contesti di vita, di lavoro, di cultura e di svago non c'è quasi più nulla di cristiano e quindi non è più così semplice essere, oltre che dichiararsi, cristiani.

 

Nel dettaglio

Proviamo ora ad individuare alcune vie da percorrere per realizzare quanto anticipato, sapendo comunque che non è impresa facile.

La responsabilità educativa

Il primo passo da compiere riguarda gli adulti e la loro responsabilità educativa.

Senza gli adulti, infatti, non c'è generazione alla Fede. Vivere e trasmettere la fede sono la loro vocazione specifica.

Molti adulti oggi non solo hanno tradito questo impegno, ma hanno fatto anche peggio.

Il figlio attuale risulta agli occhi paterni e materni, del tutto sedotti dal mito del giovanilismo, come dotato di uno speciale statuto: quello del cucciolo d’oro.

Per questa ragione hanno vita durissima tutti coloro che si occupano della crescita dei piccoli al di fuori della famiglia: insegnanti, allenatori e catechisti.

Vige quasi sempre un radicale sospetto nei loro confronti da parte dei genitori: il sospetto che non siano in grado di cogliere le immense competenze del cucciolo d’oro e di porsi al loro servizio.

Il passo decisivo in questa direzione è quello di creare occasioni di incontro tra gli insegnanti e gli educatori che gravitano nel perimetro parrocchiale per propiziare forme di confronto non istituzionali ma autentiche e dialettiche con le famiglie.

Il valore dell’essere adulto

Tutti siamo chiamati a diventare adulti. Quella dell'adultità - ovvero la risposta alla domanda “per chi sono io” è la forma zero di ogni altra vocazione ed è la premessa di un vero e pieno compimento di sé.

Occorre quindi creare di momenti di confronto e di dibattito relativi alla sempre più disagiata condizione dei giovani. Sotto questo profilo, la comunità credente è sul serio chiamata ad andare controcorrente.

Mettersi sul serio dalla parte dei giovani significa pertanto riconoscere che l’attuale società degli adulti impedisce, in varie forme, ai giovani di “crescere” e operare per un cambio radicale di mentalità.

Il valore della domenica

La vita cristiana si nutre dell'incontro eucaristico con il Signore Gesù, dell'incontro con la comunità, con i propri familiari e amici ed infine con sé stessi. Per questo è opportuno tener desto il carattere “festivo” dei giorni festivi.

Non possiamo più fare leva sull'idea di precetto per dare come fatto scontato che la gente partecipi alla celebrazione, quando assiste alla messa. Una bella predica non fa domenica! Servono celebrazioni più vive, che sappiamo trasmettere il senso della festa.

In quest'ottica il primo passaggio concreto potrebbe essere quello di favorire la presenza delle mamme all'eucarestia domenicale, preoccupandosi dei parcheggi e del babysitteraggio, organizzando di tanto in tanto la possibilità di condividere insieme il pasto festivo.

Il valore della preghiera

Senza preghiera (14) non c'è fede. Se entrasse in chiesa una persona che non sapesse che cosa è pregare, difficilmente troverebbe qualcuno disposto a insegnargli come si prega. E quanto è importante la preghiera specialmente nel nostro tempo è evidente.

La preghiera irrompe come aria fresca nel cuore e nella mente: è come un aprire le finestre del proprio io e lasciarsi irrorare dall'aria pulita di Dio, che si chiama Spirito Santo.

Una mentalità pastorale rinnovata cercherà di restituire agli adulti, e più in generale a tutti coloro che frequentano gli spazi pastorali, il gusto, la bellezza e la verità della preghiera cristiana. Pregare, per il cristiano, è un gesto vitale che dona ogni giorno ciò di cui tutto il nostro essere ha bisogno per vivere con dignità, libertà e gioia. Per questo i padri antichi invitavano i cristiani a “diventare preghiera”, a “essere preghiera”.

Il valore della Bibbia

Il cristiano deve essere colui che guarda il mondo come Gesù: da qui la necessità di sviluppare una decisa familiarità con la Scrittura (15). Occorre proporre occasioni di lettura, conoscenza e di innamoramento della Sacra Scrittura con percorsi specifici sia per gli adulti sia per i ragazzi e gli adolescenti.

La catechesi nei loro riguardi dovrà sostanzialmente offrire una lettura integrale dei Vangeli per permettere ai piccoli di andare verso Gesù, di potersi innamorare di lui, di poterlo dunque incontrare nella sua realtà e nella sua forza di attrazione.

Per questo compito servono ovviamente catechisti convinti e contagiosi.

Il valore del singolo

Non possiamo incasellare i giovani negli schemi/negli itinerari formativi usuali, ma dobbiamo adattare questi ultimi ai giovani che abbiamo davanti. Bisogna imparare ad aiutare ciascuno a trovare il proprio sentiero verso il luogo del proprio incontro con il Dio del Vangelo.

Per questa ragione, proprio una maggiore familiarità con la storia del popolo di Israele può offrire buona garanzia per permettere ai giovani il contatto con la verità traumaticamente salvifica che abita l’umano; quella per la quale siamo pienamente presso di noi solo quando siamo presso gli altri.

Il valore degli altri

L'esperienza del volontariato e della partecipazione alle opere di carità della parrocchia va presentato e proposto come cartina di tornasole per verificare quanto il Cristianesimo da professione di fede debba concretizzarsi in azioni missionarie verso gli altri.

O un cristiano impara sin da subito e in presa diretta che la sua scelta di fede lo destina agli altri oppure nemmeno con un anno intero di esercizi spirituali sarà all'altezza di questo compito.

Il valore di Internet

In questo campo nessuno può battere i giovani per abilità e creatività. Lasciamoci istruire da essi ad abitare e ad evangelizzare questo universo digitale e accompagniamoli con la massima fiducia nella costruzione di una nuova e più bella chiesa 2.0.

Il rischio che corrono molte parrocchie è, infatti, è quello di fare on-line ciò che si è sempre fatto e si continua a fare off-line e cioè di affiggere volantini sulle bacheche parrocchiali, sperando di ottenere risultati diversi.

Il valore della contemplazione

L'autentica spiritualità cristiana non è fatta solo di parole e di prediche, ma anche di spazi di interiorità. Dobbiamo offrire ai giovani la possibilità di ritrovare sé stessi, di gustare l'esperienza della solitudine non come spazio dello stare da soli ma quale tempo per stare con sé stessi, con le proprie domande, con le proprie ferite e delusioni e infine con i propri desideri e sogni.

Una possibilità feconda potrebbe essere quella di un gemellaggio della parrocchia con uno dei tanti monasteri esistenti: oggi sono proprio i monaci i grandi esperti e perciò i grandi iniziatori alla preghiera.

 

Essere adulti credenti

Ogni volta che mettiamo mano ad un progetto, dovremmo chiederci verso dove miri, quale modello di adulto credente desideriamo proporre alle persone alle quali ci rivolgiamo. Qui come laici (16) ci giochiamo la nostra credibilità ecclesiale.

Il parroco, infatti, non è colui che possiede, per grazia ricevuta, la sintesi di tutti i carismi, umani, spirituali e professionali esistenti al mondo; il parroco è colui che gode piuttosto del carisma della sintesi, la quale si manifesta ordinariamente come la disponibilità a lasciare essere, a lasciar fare, a lasciar andare.

Ma se come laici non siamo in grado di lavorare in equipe e abbiamo sempre bisogno del parroco per accordarci non possiamo lamentarci del clericalismo esistente nella Chiesa.

 

1 Vedi: Vivere la fede oggi, GF105, p. 23-27

2 Vedi: Il discernimento. GF105, p. 18-19

3 Fonte: https://www.cercoiltuovolto.it/audio-cattolici/alberto-maggi-sul-passato-presente-futuro/

4 Fonte: https://www.notedipastoralegiovanile.it/index.php?option=com_content&view=article&id=12475:unintroduzione-alla-rubrica-qi-giovani-nella-bibbiaq&Itemid=101

5 Ave Mary, Einaudi Editore, Torino 2011

6 Nostra signora degli eretici, Garzanti, Milano 20193

7 Fonte: https://www.gruppifamiglia.it/Piccin/Piccin_99_16.html

8 Fonte: http://www.culturaevita.unimore.it/site/home/archivio-corsi/documento21006237.html

9 Pastorale 4.0, Àncora Editrice, Milano 2020.

10 Armando Matteo, La Chiesa che manca, Edizioni San Paolo, Milano 2018

11 Rod Dreher, L’opzione Benedetto. Una strategia per i cristiani in un mondo post-cristiano, San Paolo 2018

12 Pastorale 4.0, cit.

13 La prima generazione incredula, Rubettino Editore, Soveria Mannelli (CZ) 20172.

14 Vedi: La preghiera. GF105, p. 14-15

15 Vedi: La lectio divina. GF105, p. 16-17

16 Vedi: I laici nella Chiesa. GF105, p. 8-11

 

La gioventù di oggi è senza dubbio insopportabile, irriguardosa e saputa. Quando ero ancora giovane mi sono state insegnate le buone maniere e il rispetto per i genitori: la gioventù d’oggi invece vuole sempre dire la sua ed è sfacciata.

Esiodo, 700 a.C.

 

Il rapporto dei giovani con il mondo religioso e in particolare con quello del cattolicesimo istituzionale è problematico e non scontato. Solo il 15,4% dei giovani dice di partecipare a un rito religioso ogni settimana.

Paola Bignardi

 

I nostri giovani hanno bisogno di vivere e camminare con persone che sono innamorate della loro esperienza. Dobbiamo presentare un’esperienza di vita gioiosa e simpatica, simpatica a livello umano, affettivo, relazionale. Un incontro simpatico con la vita.

Giovanni Paolo Ramonda

 

La Chiesa deve accompagnare i giovani nel loro cammino verso la maturità, e solo con il discernimento e non con le astrazioni i giovani possono scoprire il loro progetto di vita e vivere una vita davvero aperta a Dio e al mondo.

papa Francesco

 

Il primo compito importantissimo della Chiesa è l'ascolto dei giovani.

papa Francesco

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Che posizione hanno nei confronti della Chiesa i nostri figli/nipoti grandi?

•          Se noi li abbiamo educati alla fede e loro non praticano più, chi/cosa li distolti: la scuola, gli amici, i media, la Chiesa stessa?

•          Quanto per noi adulti la preghiera, la messa festiva sono una necessità o sono solo un’abitudine o, peggio, un obbligo?

 

8-LA STRADA DELLA VITA IN COMUNE

Uscire di casa, andare a stare per proprio conto. In questa esperienza c’è spazio per una proposta di fede?

 

di S. Massironi e A. Smerilli*

Uscire di casa, andare a stare altrove, ha sempre avuto la valenza di un rito di passaggio, quasi di un'iniziazione alla responsabilità.

Oggi però è diventato importante immaginare come i giovani possano trovare una casa diversa da quella di origine ma in grado di trasmettere l’esperienza di una quotidianità cristiana.

A questo fine si diffondono nelle diocesi italiane diverse esperienze di vita comune. Nonostante la breve durata – alcuni giorni, al massimo qualche settimana – non mancano i segni della loro efficacia. Ne parla così Anna, 21 anni: “L'esigenza di stare assieme forse è la cosa che mi è piaciuta di più. Mi sentivo parte di una vera famiglia e ho scoperto il piacere di stringere rapporti anche con chi non avevo mai visto. Tutti mi hanno chiamata per nome, mi riconoscevano. Ho poi rafforzato le cose essenziali che condivido di solito con i veri amici”.

Sono parole semplici, dense di entusiasmo, che meritano di intrecciarsi alla consapevolezza cui sono giunti i vescovi: “Molte volte è risuonato nell'aula sinodale un accorato appello a investire con generosità per i giovani passione educativa, tempo prolungato e anche risorse economiche [...]. Il Sinodo propone con convinzione a tutte le Chiese particolari, alle congregazioni religiose, ai movimenti, alle associazioni e ad altri soggetti ecclesiali di offrire ai giovani [...] un tempo destinato alla maturazione della vita cristiana adulta” (DF 161).

Si tratterebbe di un netto spartiacque tra due età della vita che oggi vivono sovrapposizioni allarmanti: l'adolescenza e la giovinezza. Con la maggiore età, i nostri ragazzi possono votare, entrano in possesso della patente, ottengono piena capacità di agire anche in ambito finanziario: in breve, hanno la possibilità di allontanarsi da casa ma in Italia il 67,3% dei giovani tra i 18 e i 34 anni vive ancora in casa dei genitori. Sotto lo stesso tetto e nella prossimità mai interrotta possono però silenziosamente crescere siderali distanze, dense di risentimento e di sordo disprezzo.

La famiglia di origine rimane un'area di comfort preferibile al rischio dei primi passi in autonomia, magari all'insegna di una certa sobrietà e della condivisione con altri giovani.

Una Chiesa che cerchi i giovani là dove si trovano può allora cambiare passo rispetto al tema della loro casa. Ciò comporta, anzitutto, di non demonizzare la voglia di partire; educare le famiglie a riconoscere una stagione della vita con cui in passato non era necessario fare i conti; stimare maggiormente la provvisorietà, connaturale a un popolo di pellegrini: “Non abbiamo quaggiù una dimora stabile, ma andiamo in cerca di quella futura” (Eb 13,14).

Significa un rovesciamento della pastorale ordinaria, che metta al centro l'essere insieme come nuova famiglia, oltre il sangue, e lasci emergere dalla quotidianità – lavoro, affetti, riposo - il di più [magis] del Regno di Dio.

Canoniche da ristrutturare per convivenze brevi o prolungate; collegi universitari da strappare a una routine anonima e puramente funzionale; seminari pieni da rendere più famiglia; seminari vuoti da convenire a giovani disposti a coltivare l'interiorità e la dedizione agli ultimi; conventi aperti all'ospitalità e appartamenti sfitti per chi vuol condividere una regola oltre a dei metri quadri.

Certo, un trasloco non produce necessariamente apertura. Claudio racconta come andare a vivere in collegio non gli sia stato di grande aiuto. Invece, una pastorale che si cimenti con forme nuove di vita comune non solo investe nelle relazioni di lunga durata, ma accompagna nella responsabilità verso le incombenze pratiche e nei confronti di sé stessi. Educa allo spessore simbolico delle piccole attenzioni e dei gesti più feriali, così che il loro valore sia interiorizzato quando nessuna norma o voce esterna richiamerà a un ordine nella vita. Sobrietà non è, infatti, una costrizione ad avere meno. È concedersi l’opportunità di abbandonare molto di quanto si è già stati e si è accumulato per trovare in rapporto a Dio e agli altri sempre più se stessi.

* Tratto da: L’adesso di Dio, Vita e Pensiero, Milano 2019

Sintesi della redazione

Per saperne di più:

http://www.chiesadimilano.it/pgfom/files/2017/09/I-giovani-e-le-nuove-forme-di-vita-comune.pdf

 

9-L’ESEMPIO DI SAN GIROLAMO

Giovani: avete in eredità la Bibbia! Dovete prenderne possesso facendovi aiutare da una guida

 

di Papa Francesco*

Penso spesso all’esperienza che può fare oggi un giovane entrando in una libreria della sua città, o in un sito internet, e cercandovi il settore dei libri religiosi. È un settore che, quando esiste, nella maggior parte dei casi è non solo marginale, ma sguarnito di opere sostanziose. Esaminando quegli scaffali, o quelle pagine in rete, difficilmente un giovane potrebbe comprendere come la ricerca religiosa possa essere un’avventura appassionante che unisce pensiero e cuore; come la sete di Dio abbia infiammato grandi menti lungo tutti i secoli fino a oggi; come la maturazione della vita spirituale abbia contagiato teologi e filosofi, artisti e poeti, storici e scienziati.

Uno dei problemi odierni, non solo della religione, è l’analfabetismo: scarseggiano le competenze ermeneutiche che ci rendano interpreti e traduttori credibili della nostra stessa tradizione culturale. Specialmente ai giovani voglio lanciare una sfida: partite alla ricerca della vostra eredità.

Il cristianesimo vi rende eredi di un insuperabile patrimonio culturale di cui dovete prendere possesso. Appassionatevi di questa storia, che è vostra.

Però le pagine bibliche non sempre sono immediatamente accessibili. Come è detto in Isaia (29,11), anche per coloro che sanno “leggere” – che hanno cioè avuto una sufficiente formazione intellettuale – il libro sacro appare “sigillato”, chiuso ermeticamente all’interpretazione. È, perciò, necessario che intervenga un testimone competente ad apportare la chiave liberatoria, quella del Cristo Signore, il solo capace di sciogliere i sigilli e aprire il libro (cfr Ap 5,1-10), così da svelare il prodigioso effondersi della grazia (cfr Lc 4,17-21). Molti poi, anche fra i cristiani praticanti, dichiarano apertamente di non essere capaci di leggere non per analfabetismo, ma perché impreparati al linguaggio biblico, ai suoi modi espressivi e alle tradizioni culturali antiche, per cui il testo biblico risulta indecifrabile, come se fosse scritto in un alfabeto sconosciuto e in una lingua astrusa.

Si rende dunque necessaria la mediazione dell’interprete che eserciti la sua funzione “diaconale”, mettendosi al servizio di chi non riesce a comprendere il senso di ciò che è stato scritto profeticamente. L’immagine che può essere evocata, al proposito, è quella del diacono Filippo, suscitato dal Signore per andare incontro all’eunuco che sul suo carro sta leggendo un passo di Isaia (53,7-8), senza però poterne dischiudere il significato. “Capisci quello che leggi?”, domanda Filippo; e l’eunuco risponde: “E come potrei capire se nessuno mi guida?” (At 8,30-31).

Cosa c’entra in questo discorso san Girolamo?

Egli viene ricordato come grande studioso della Parola e, in particolare come autore della Vulgata, l’intera traduzione della Bibbia in latino.

Girolamo è la nostra guida sia perché, come ha fatto Filippo, conduce ogni lettore al mistero di Gesù, sia perché assume responsabilmente e sistematicamente, nella traduzione, le mediazioni esegetiche e culturali necessarie per una corretta e proficua lettura delle Sacre Scritture.

Una tale dimensione esemplare dell’attività di San Girolamo è quanto mai importante anche nella Chiesa di oggi. Se, come insegna la Dei Verbum, la Bibbia costituisce “come l’anima della sacra teologia” e come il nerbo spirituale della pratica religiosa cristiana, è indispensabile che l’atto interpretativo della Bibbia sia sorretto da specifiche competenze.

A questo scopo servono certamente i centri di eccellenza della ricerca biblica e patristica, ma anche ogni Facoltà di Teologia deve impegnarsi affinché l’insegnamento della Sacra Scrittura sia programmato in modo da assicurare agli studenti una competente capacità interpretativa. La ricchezza della Scrittura è purtroppo da molti ignorata o minimizzata, perché a loro non sono state fornite le basi essenziali di conoscenza. Accanto quindi a un incremento degli studi ecclesiastici, indirizzati a sacerdoti e a catechisti, va promossa una formazione estesa a tutti i cristiani, perché ciascuno diventi capace di aprire il libro sacro e di trarne i frutti inestimabili di sapienza, di speranza e di vita.

* Lettera apostolica: Scripturae sacrae affectus (L’affetto per la Sacra Scrittura)

Sintesi e rielaborazione della Redazione

 

10-CRISTO VIVE

L’esortazione apostolica di papa Francesco

 

Egli è la nostra speranza e la più bella giovinezza di questo mondo. Tutto ciò che Lui tocca diventa giovane, diventa nuovo, si riempie di vita (n.1).

Lui è in te, Lui è con te e non se ne va mai. Per quanto tu ti possa allontanare, accanto a te c’è il Risorto, che ti chiama e ti aspetta per ricominciare. Quando ti senti vecchio per la tristezza, i rancori, le paure, i dubbi o i fallimenti, Lui sarà lì per ridarti la forza e la speranza (n.2).

Essere giovani, più che un’età, è uno stato del cuore. Quindi, un’istituzione antica come la Chiesa può rinnovarsi e tornare ad essere giovane in diverse fasi della sua lunghissima storia. In realtà, nei suoi momenti più tragici, sente la chiamata a tornare all’essenziale del primo amore (n.34.)

Chiediamo al Signore che liberi la Chiesa da coloro che vogliono invecchiarla, fissarla sul passato, frenarla, renderla immobile. Chiediamo anche che la liberi da un’altra tentazione: credere che è giovane perché cede a tutto ciò che il mondo le offre, credere che si rinnova perché nasconde il suo messaggio e si mimetizza con gli altri. No. È giovane quando è sé stessa, quando riceve la forza sempre nuova della Parola di Dio, dell’Eucaristia, della presenza di Cristo e della forza del suo Spirito ogni giorno. È giovane quando è capace di ritornare continuamente alla sua fonte (n.35).

Se sei giovane di età, ma ti senti debole, stanco o deluso, chiedi a Gesù di rinnovarti. Con Lui non viene meno la speranza. Lo stesso puoi fare se ti senti immerso nei vizi, nelle cattive abitudini, nell’egoismo o nella comodità morbosa. Gesù, pieno di vita, vuole aiutarti perché valga la pena essere giovane. Così non priverai il mondo di quel contributo che solo tu puoi dare, essendo unico e irripetibile come sei (n.109).

Voglio anche ricordarti, però, che “è molto difficile lottare contro la propria concupiscenza e contro le insidie e tentazioni del demonio e del mondo egoista se siamo isolati. È tale il bombardamento che ci seduce che, se siamo troppo soli, facilmente perdiamo il senso della realtà, la chiarezza interiore, e soccombiamo”. Questo vale soprattutto per i giovani, perché insieme voi avete una forza ammirevole. Quando vi entusiasmate per una vita comunitaria, siete capaci di grandi sacrifici per gli altri e per la comunità. L’isolamento, al contrario, vi indebolisce e vi espone ai peggiori mali del nostro tempo (n.110).

Al di là di ogni circostanza, a tutti i giovani voglio annunciare ora la cosa più importante, la prima cosa, quella che non dovrebbe mai essere taciuta. Si tratta di un annuncio che include tre grandi verità che tutti abbiamo bisogno di ascoltare sempre (n.111).

Anzitutto voglio dire ad ognuno la prima verità: “Dio ti ama”. Se l’hai già sentito, non importa, voglio ricordartelo: Dio ti ama. Non dubitarne mai, qualunque cosa ti accada nella vita. In qualunque circostanza, sei infinitamente amato (n.112).

La seconda verità è che Cristo, per amore, ha dato sé stesso fino alla fine per salvarti. Le sue braccia aperte sulla croce sono il segno più prezioso di un amico capace di arrivare fino all’estremo (n.118).

C’è però una terza verità, che è inseparabile dalla precedente: Egli vive! Occorre ricordarlo spesso, perché corriamo il rischio di prendere Gesù Cristo solo come un buon esempio del passato, come un ricordo, come qualcuno che ci ha salvato duemila anni fa.

Questo non ci servirebbe a nulla, ci lascerebbe uguali a prima, non ci libererebbe. Colui che ci colma della sua grazia, Colui che ci libera, Colui che ci trasforma, Colui che ci guarisce e ci conforta è qualcuno che vive. È Cristo risorto, pieno di vitalità soprannaturale, rivestito di luce infinita (n.124).

In queste tre verità – Dio ti ama, Cristo è il tuo salvatore, Egli vive – compare Dio Padre e compare Gesù. Dove ci sono il Padre e Gesù, c’è anche lo Spirito Santo. È Lui che prepara e apre i cuori perché accolgano questo annuncio, è Lui che mantiene viva questa esperienza di salvezza, è Lui che ti aiuterà a crescere in questa gioia se lo lasci agire (n.130).

Nel Sinodo uno degli uditori, un giovane delle Isole Samoa, ha detto che la Chiesa è una canoa, in cui gli anziani aiutano a mantenere la rotta interpretando la posizione delle stelle e i giovani remano con forza immaginando ciò che li attende più in là. Non lasciamoci portare fuori strada né dai giovani che pensano che gli adulti siano un passato che non conta più, che è già superato, né dagli adulti che credono di sapere sempre come dovrebbero comportarsi i giovani. Piuttosto, saliamo tutti sulla stessa canoa e insieme cerchiamo un mondo migliore, sotto l’impulso sempre nuovo dello Spirito Santo (n.201).

La pastorale giovanile comporta due grandi linee d’azione. Una è la ricerca, l’invito, la chiamata che attiri nuovi giovani verso l’esperienza del Signore. L’altra è la crescita, lo sviluppo di un percorso di maturazione di chi ha già vissuto quell’esperienza (n.209).

Per quanto riguarda il primo punto, la ricerca, confido nella capacità dei giovani stessi, che sanno trovare le vie attraenti per invitare. Sanno organizzare festival, competizioni sportive, e sanno anche evangelizzare nelle reti sociali con messaggi, canzoni, video e altri interventi (n.210).

Per quanto riguarda la crescita, vorrei dare un avvertimento importante.

In alcuni luoghi accade che, dopo aver provocato nei giovani un’intensa esperienza di Dio, un incontro con Gesù che ha toccato il loro cuore, vengono loro proposti incontri di “formazione” nei quali si affrontano solo questioni dottrinali e morali: sui mali del mondo di oggi, sulla Chiesa, sulla dottrina sociale, sulla castità, sul matrimonio, sul controllo delle nascite e su altri temi.

Il risultato è che molti giovani si annoiano, perdono il fuoco dell’incontro con Cristo e la gioia di seguirlo, molti abbandonano il cammino e altri diventano tristi e negativi. Plachiamo l’ansia di trasmettere una gran quantità di contenuti dottrinali e, soprattutto, cerchiamo di suscitare e radicare le grandi esperienze che sostengono la vita cristiana (n.212).

Qualsiasi progetto formativo, qualsiasi percorso di crescita per i giovani, deve certamente includere una formazione dottrinale e morale. È altrettanto importante che sia centrato su due assi principali: uno è l’approfondimento del kerygma, l’esperienza fondante dell’incontro con Dio attraverso Cristo morto e risorto. L’altro è la crescita nell’amore fraterno, nella vita comunitaria, nel servizio (n.213).

Ho insistito molto su questo in Evangelii gaudium e penso che sia opportuno ricordarlo. Da un lato, sarebbe un grave errore pensare che nella pastorale giovanile “il kerygma venga abbandonato a favore di una formazione che si presupporrebbe essere più ‘solida’. Non c’è nulla di più solido, di più profondo, di più sicuro, di più consistente e di più saggio di tale annuncio. Tutta la formazione cristiana è prima di tutto l’approfondimento del kerygma che va facendosi carne sempre più e sempre meglio” (EG 165). Pertanto, la pastorale giovanile dovrebbe sempre includere momenti che aiutino a rinnovare e ad approfondire l’esperienza personale dell’amore di Dio e di Gesù Cristo vivo. Lo farà attingendo a varie risorse: testimonianze, canti, momenti di adorazione, spazi di riflessione spirituale con la Sacra Scrittura, e anche con vari stimoli attraverso le reti sociali. Ma questa gioiosa esperienza di incontro con il Signore non deve mai essere sostituita da una sorta di “indottrinamento” (n.214).

D’altra parte, qualunque piano di pastorale giovanile deve chiaramente incorporare vari mezzi e risorse per aiutare i giovani a crescere nella fraternità, a vivere come fratelli, ad aiutarsi a vicenda, a fare comunità, a servire gli altri, ad essere vicini ai poveri. Se l’amore fraterno è il “comandamento nuovo” (Gv 13,34), se è la “pienezza della Legge” (Rm 13,10), se è ciò che meglio manifesta il nostro amore per Dio, allora deve occupare un posto rilevante in ogni piano di formazione e di crescita dei giovani (n.215).

In tutte le nostre istituzioni dobbiamo sviluppare e potenziare molto di più la nostra capacità di accoglienza cordiale, perché molti giovani che arrivano si trovano in una profonda situazione di orfanezza. Se sono cresciuti in un deserto vuoto di significato, come potranno aver voglia di sacrificarsi per seminare? L’esperienza di discontinuità, di sradicamento e la caduta delle certezze di base, favorita dall’odierna cultura mediatica, provocano quella sensazione di profonda orfanezza alla quale dobbiamo rispondere creando spazi fraterni e attraenti dove si viva con un senso (n.216).

In questo quadro, nelle nostre istituzioni dobbiamo offrire ai giovani luoghi appropriati, che essi possano gestire a loro piacimento e dove possano entrare e uscire liberamente, luoghi che li accolgano e dove possano recarsi spontaneamente e con fiducia per incontrare altri giovani sia nei momenti di sofferenza o di noia, sia quando desiderano festeggiare le loro gioie (n.218).

In questa stessa linea, specialmente con i giovani che non sono cresciuti in famiglie o istituzioni cristiane, e sono in un cammino di lenta maturazione, dobbiamo stimolare il bene possibile (n.232).

Invece di “soffocarli con un insieme di regole che danno del cristianesimo un’immagine riduttiva e moralistica, siamo chiamati a investire sulla loro audacia ed educarli ad assumersi le loro responsabilità, certi che anche l’errore, il fallimento e la crisi sono esperienze che possono rafforzare la loro umanità” (n.233).

[Dobbiamo essere] una Chiesa con le porte aperte. E non è nemmeno necessario che uno accetti completamente tutti gli insegnamenti della Chiesa per poter partecipare ad alcuni dei nostri spazi dedicati ai giovani. Basta un atteggiamento aperto verso tutti quelli che hanno il desiderio e la disponibilità a lasciarsi incontrare dalla verità rivelata da Dio (n.234).

I giovani hanno bisogno di essere rispettati nella loro libertà, ma hanno bisogno anche di essere accompagnati. La famiglia dovrebbe essere il primo spazio di accompagnamento. La pastorale giovanile propone un progetto di vita basato su Cristo: la costruzione di una casa, di una famiglia costruita sulla roccia (cfr Mt 7,24-25). Per questo è necessario che la pastorale giovanile e la pastorale familiare stiano in una continuità naturale, operando in modo coordinato e integrato per poter accompagnare adeguatamente il processo vocazionale (n.242).

I giovani stessi ci hanno descritto quali sono le caratteristiche che sperano di trovare in chi li accompagna: essere un cristiano fedele impegnato nella Chiesa e nel mondo; essere un confidente che non giudica; ascoltare attivamente i bisogni dei giovani e dare risposte adeguate; riconoscere i propri limiti ed essere esperto delle gioie e dei dolori della vita spirituale (n.246).

Dall’esortazione apostolica post-sinodale Christus vivit

Sintesi della Redazione

 

Gesù Cristo non è un buon esempio del passato, perché non ci servirebbe a nulla, non ci salverebbe.

Gesù Cristo, Colui che ci colma della sua grazia, Colui che ci libera, Colui che ci trasforma, Colui che ci guarisce e ci conforta è qualcuno che vive, è il vivente.

 

Qualsiasi percorso di crescita per i giovani deve essere centrato su due assi principali: l’approfondimento del kerygma – l’incontro fondante con Dio attraverso Cristo morto e risorto – e la crescita nell’amore fraterno, nella vita comunitaria, nel servizio; solo dopo viene la formazione dottrinale e morale.

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Cristo è morto e risorto e vive in mezzo a noi. Quanto questo segna la nostra vita di fede?

•          Una Chiesa dalle porte aperte: cosa intendiamo con questa affermazione?

 

11-IL SINODO DEI GIOVANI

 

Il titolo non è sbagliato. Prima del Sinodo, esattamente dal 19 al 24 marzo 2018 oltre 300 giovani sono arrivati a Roma, provenienti da tutti i Continenti.

Si è trattato di un evento in cui i giovani sono stati gli attori e i protagonisti. Sono stati loro stessi a raccontarsi ai padri sinodali: con il loro linguaggio, il loro entusiasmo e la loro sensibilità.

Queste sono state le loro richieste.

Gli strumenti da utilizzare

La Chiesa deve adottare un linguaggio in grado di relazionarsi con gli usi e i costumi dei giovani, in modo che tutti possano avere l’opportunità di ascoltare il messaggio del Vangelo. Alcuni di noi vivono il “fuoco” degli odierni movimenti carismatici che sottolineano l’azione dello Spirito Santo; altri sono invece attratti dal silenzio, la meditazione e le tradizioni liturgiche. Al di fuori della Chiesa, molti giovani vivono una spiritualità combattuta, ma la Chiesa potrebbe relazionarsi con loro attraverso strumenti adeguati.

Multimedia

Internet offre alla Chiesa un’opportunità mai vista nell’evangelizzazione, specialmente attraverso i social media e i contenuti multimediali online. Essendo giovani, siamo nativi digitali in grado di guidare questa strada.

Anni sabbatici

I periodi di tempo spesi in servizio con movimenti e associazioni caritatevoli danno ai giovani un’esperienza di missione e uno spazio dove praticare il discernimento.

Arte e bellezza

La Chiesa nel corso della sua storia ha saputo evangelizzare e rendersi presente attraverso le espressioni artistiche, come la musica, le arti figurative, l’architettura, il design, etc… I giovani rispondono con facilità e gradiscono la creatività e l’espressività.

Adorazione, meditazione e contemplazione

Apprezziamo il contrasto del silenzio che viene offerto dalla tradizione della Chiesa attraverso l’Adorazione Eucaristica e la preghiera contemplativa.

Il silenzio è dove possiamo ascoltare la voce di Dio e discernere la sua volontà su di noi. Inoltre, sono in molti fuori dalla Chiesa ad apprezzare la meditazione.

Testimonianza

I moderni testimoni cristiani sono segni forti della pienezza di vita che si trova nella Chiesa. Le vite dei Santi sono ancora rilevanti per noi in quanto percorsi si santità e di pienezza.

Sinodalità

Siamo stati entusiasmati nel vederci presi seriamente in considerazione dalla gerarchia ecclesiastica. Sarebbe un peccato se a questo dialogo non fosse data l’opportunità di andare avanti e crescere.

Fonte: http://www.synod.va/content/synod2018/it/attualita/documento-finale-pre-sinodale-dei-giovani--traduzione-non-uffici.html

 

Uomini e donne nella Bibbia

12-LA FIGLIA DI JAIRO

Il faticoso passaggio dall’infanzia all’adolescenza, faticoso per i figli ma anche per i genitori

 

di Lidia Maggi*

Ci sono eventi nella vita di ognuno che costituiscono dei passaggi decisivi: nascita, pubertà, matrimonio, una malattia, un lutto o più semplicemente un trasloco. Sono momenti favorevoli che portano la persona a doversi ridefinire.

Ogni cultura ha i suoi riti di iniziazione all’età adulta. E per molte culture l'esperienza antropologica si lega a quella religiosa.

Nella tradizione ebraica la bambina, compiuti i dodici anni, entra nella vita adulta attraverso un rituale chiamato Bat Mitzvà.

Il nostro brano mette in scena una dodicenne, la figlia di Jairo, la quale, tuttavia, non sembra in grado di compiere questo passaggio. Una bambina, alla soglia della maturità, che, invece di sbocciare e aprirsi alla vita, si chiude, si ammala e muore (Mc 5,21-43).

Questa malattia preoccupa suo padre, un uomo che gode di un certo prestigio sociale, un padre preoccupato per quella che lui definisce la sua piccola bambina.

Ciò che colpisce chi legge il racconto è il comportamento di Gesù.

La notizia della morte della bambina viene data a Jairo nel modo più terribile: “Perché importuni ancora il Maestro? Tua figlia è morta!”. Non sembra esserci pietà per un padre che non è riuscito a salvare la sua bambina, a proteggerla, a vederla donna.

Anche Gesù pone la sua domanda alla gente che fa cordoglio, senza preoccuparsi della loro derisione: “Perché fate tanto chiasso e piangete? La bambina non è morta, ma dorme”.

Arrivato nella casa dove questa giace morta, Gesù manda fuori tutti. Rimane solo con i genitori, il padre e la madre della ragazza. La sofferenza, non è spettacolo! Essa richiede discrezione e intimità. Quando l'intimità necessaria viene infranta, anch'essa deve essere risuscitata.

Gesù, sottrattosi agli sguardi indiscreti, invasivi, raggiunge la fanciulla là dove si trova e la prende per mano. Bisogna osare toccare con mano la disperazione delle persone per poterle risollevare.

Gesù, non tratta la bambina da malata, non sembra cioè patologizzare quelle difficoltà di crescita che la spingono fino alla morte. La sorregge e le ordina di alzarsi.

Lui può aiutarla, sostenerla; ma è lei, e solo lei, che può risollevarsi. “Talita kumi!”, Alzati, ragazza! E lei si alza e si mette a camminare.

Solo adesso, grazie al vocabolo utilizzato dal narratore, scopriamo che non è una piccola bambina, come suo padre l'aveva definita, ma un'adolescente, una donna per la cultura antica. Ecco, dunque, lo stile di Gesù (ma non ancora delle Chiese) nel mettere in piedi le donne!

La ragazza, a dodici anni, deve poter camminare con le sue gambe; ma per poterlo fare ha bisogno di nutrimento, così da riuscire a dire sì alla vita. Il cibo è essenziale. Non basta risollevare, svegliare dal torpore una bambina che non vuole crescere; bisogna che costei esprima la sua personale volontà di vita. Forse, è per questo che Gesù ha ordinato “che si desse da mangiare alla fanciulla”.

Si è coricata una bambina e si è alzata una donna. Il percorso è stato doloroso, impegnativo. Crescere richiede fatica perché bisogna saper lasciare andare la precedente identità, far morire qualcosa di sé e delle precedenti relazioni, per aprirsi al nuovo.

Al padre della ragazza, affranto dalla notizia della morte, Gesù aveva detto: “Non temere, continua ad aver fede”. Un chiaro invito a non giudicare la fatica del passaggio come un fallimento, una morte.

Il passaggio adolescenziale, come ogni cambiamento decisivo, richiede anche al genitore una trasformazione. Domanda di passare da un tipo di relazione a un altro, da genitore di bambina a quello di adolescente.

Con la risurrezione della figlia di Jairo muore una bambina e nasce una donna, così come muore un modo ingessato di essere genitori per aprirsi alla novità della relazione che ogni figlio, crescendo porta nella vita familiare.

* L'Evangelo delle donne. Figure femminili nel Nuovo Testamento, Editore Claudiana, Torino 2010.

Sintesi della Redazione.

 

13-PER APPROFONDIRE IL TEMA

I libri usati per realizzare questo numero

 

Armando Matteo. La prima generazione incredula, Rubettino Editore, Soveria Mannelli (CZ) 2017.

Con questo libro, uscito nel 2010 e ripubblicato in una nuova edizione alla vigilia del sinodo sui giovani, l’autore ha acquisito notorietà in campo cattolico.

Il testo non ha paura di dire cosa non va nei rapporti tra giovani e Chiesa, già a partire dal titolo.

Questo titolo ha fatto molto discutere, e questa affermazione è stata “contestata” dai giovani stessi che affermano che altre generazioni, prima di loro, hanno preparato il terreno per la loro “incredulità”.

Il libro non si limita a constatare la situazione esistente me formula dieci proposte per una nuova pastorale giovanile. Tra queste spicca, a nostro avviso, il ruolo della parola di Dio nel cammino di catechesi dei giovani. Il libro si conclude con una domanda che ci interpella: “Con quale tipo di cristianesimo facciamo oggi incontrare i giovani e gli adolescenti che frequentano la parrocchia?”. Da leggere.

 

Sergio Massironi e Alessandra Smerilli, L’adesso di Dio, Vita e Pensiero, Milano 2019.

Questo testo nasce dall’esperienza degli autori del mondo giovanile ed in parte riprende alcuni articoli che hanno scritto sul Sinodo sui giovani per il quotidiano Avvenire.

Dal contesto trapela un cauto ottimismo nei confronti dei giovani, riconoscendo le fatiche che devono affrontare vivendo in questa società.

Scrive la Smerilli: “Se chiediamo ai giovani quali sono le loro domande più importanti, ma anche le loro ansie e le loro paure, la risposta più frequente è una sola parola: futuro”. Eppure nei giovani albergano tante domande: di compimento, di senso, di scelta di vita, di Dio.

Un possibile limite del libro è costituito alla sua struttura che, a parte il nucleo centrale molto ben articolato, è simile ad una raccolta di saggi.

Da questo nucleo centrale abbiamo attinto, per questo numero, due belle riflessioni.

 

Armando Matteo. La fuga delle quarantenni. Rubettino Editore, Soveria Mannelli (CZ) 2012.

Scritto sull’onda del successo di “La prima generazione incredula”, questo libro si muove da una interessante constatazione: dagli anni ‘80 la disaffezione delle donne nei confronti della pratica religiosa ha lo stesso trend di quella degli uomini.

Scrive l’autore: “le donne sono cambiate, con o senza la benedizione della Chiesa”.

La Chiesa dovrebbe quindi emanciparsi dalla tradizione che la lega alle società patriarcali.

E continua: “Solo così, dando spazio alle donne, la Chiesa acquisirà il diritto di sopravvivere in questo mondo nuovo”.

Infatti, “Serve una Chiesa di uomini e di donne che credano nella libertà e nella possibilità di legami e relazioni veramente umani”.

Forse l’autore sarebbe stato più convincente, sopratutto nelle conclusioni, se si fosse fatto affiancare da un’esperta dell’altro sesso.

 

Armando Matteo, Pastorale 4.0, Àncora Editrice, Milano 2020.

Lo sviluppo del pensiero di Armando Matteo trova, in questo testo, la sintesi delle riflessioni che l’autore ha sviluppato in questo ultimi dieci anni.

La sua proposta è, in estrema sintesi, quella di passare da un cristianesimo della consolazione ad un cristianesimo dell’innamoramento, grazie al quale ci si possa innamorare di Gesù e diventare cristiani. In passato, infatti, la Chiesa offriva consolazione alle fatiche che le dure condizioni di vita imponevano; ora, almeno in Occidente, non è più così ma ci si è persi dietro il mito dell’eterna giovinezza. Occorre ribaltare la massima: “diventa adulto e sarai cristiano” e sostituirla con “diventa cristiano e sarai adulto” perché il cristianesimo è una cosa seria, una cosa da adulti e non da bambini. Inutile dire questo e gli altri testi di Matteo sono stati una preziosa fonte di ispirazione per questo numero della rivista.

 

Alberto Maggi, Nostra Signora degli eretici, Garzanti, Milano 20193.

Lidia Maggi, L’Evangelo delle donne, Claudiana, Torino 2010.

La trasgressione è sinonimo di giovinezza: Il Gesù che ci presenta Maggi, letto attraverso gli occhi di sua Madre, è proprio così. Ma anche la figura di Maria viene letta dall’autore in modo anticonvenzionale.

Nel secondo libro la Maggi, pastora protestante, non ha timore di toccare, commentando un’ampia serie di figure bibliche, temi scabrosi all’interno delle comunità ecclesiali, soprattutto per quanto riguarda il ruolo della donna.

Due libri al femminile.

 

14-IL NUOVO MESSALE

Dalla prossima Pasqua qualcosa cambia nella Messa

 

a cura della Redazione

Dal giorno di Pasqua 2021 diverrà obbligatorio per tutta la Chiesa Italiana di rito latino l’adozione del nuovo messale. La novità più importante è nota da tempo: la modifica della preghiera del Padre nostro. Ma non è la sola.

Si tratta di una serie di piccole variazioni sia nelle preghiere recitate dal sacerdote, sia nelle preghiere recitate dai fedeli, sia nel dialogo tra sacerdote e fedeli.

Queste novità potranno passare inosservate come potranno diventare occasione per ripensare alla celebrazione liturgica nel suo insieme. È questo l’invito che vi facciamo.

 

Le preghiere

Iniziamo con soffermarci su cosa cambia nel dialogo tra presidente e fedeli e nelle preghiere collettive. Nella tabella a lato trovate riportate in grassetto e nella colonna di destra le variazioni introdotte.

Nel saluto iniziale del sacerdote si passa da un indicativo a un congiuntivo. La piccola modifica trasforma un’affermazione in un auspicio: quando si arriva di corsa non è così sicuro che siamo aperti ad accogliere il Signore!

Nel Confiteor viene aggiunta in modo ricorsivo la parola “sorelle”: un po’ di parità di genere! Anche se al momento la presenza femminile vicino all’altare si limita ai ministri straordinari della comunione, si riconosce che il popolo di Dio è composto da fratelli e sorelle.

La modifica al Gloria può apparire “originale”. Ora che si avvicina il Natale l’inizio del Gloria ci ricorda l’inno degli angeli sulla grotta di Betlemme che proclamano: “pace in terra agli uomini di buona volontà”. Eppure, se abbiamo in casa una nuova edizione della Bibbia CEI (2007) al versetto 14 del capitolo 2 di Luca possiamo leggere “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”. Il nuovo messale si limita ad adeguarsi all’ultima traduzione del testo biblico.

Siamo arrivati al Padre nostro. Molti da tempo trovavano disturbante l’idea che Dio ci inducesse in tentazione, come può un Dio buono volere il male dei suoi figli?

Di qui la modifica: anziché chiedere a Dio che non ci induca in tentazione gli chiediamo di non lasciarci soli nel momento della prova (1). Come per il Gloria, anche in questo caso la liturgia recepisce il testo della nuova edizione della Bibbia.

Ma c’è ancora una seconda piccola variante nel Padre nostro. Gli chiediamo di rimettere i nostri debiti come “anche” noi li rimettiamo. La congiunzione “anche” se non ci libera dalla necessità di perdonare non condiziona il perdono di Dio, ma i contrario (2). Proprio perché siamo stati perdonati siamo chiamati a fare altrettanto.

Siamo allo scambio della pace. L’invito del sacerdote diventa: “Scambiatevi il dono della pace”. Sappiamo quanto sia difficile perdonare, abbiamo bisogno della Grazia di Dio per riuscirci: la pace è un dono da chiedere al Signore.

Cambia infine la formula che precede l’ultima richiesta di perdono prima della comunione.

Le frasi attuali vengono scambiate tra loro e al posto di: “cena del Signore” si parla di “cena dell’Agnello”. In questo modo si accentua il collegamento con Agnus dei e si sottolinea la dimensione sacrificale dell’eucaristia.

 

La musica

Il nuovo Messale è più “musicale” (3). Per la prima volta le partiture, d’ispirazione gregoriana, entrano a pieno titolo nel corpo del testo e non finiscono in appendice come era accaduto nel Messale ora in uso. In questo modo viene evidenziata l’importanza del canto, a cominciare da quello del sacerdote che negli anni è stato trascurato.

Per le parti che attualmente vengono già cantate viene lasciata libertà alle singole comunità.

 

Alcune raccomandazioni

Il messale contiene anche alcune indicazioni che occorrerà tenere presenti:

•          evitare lunghe liste di defunti nelle Messe festive,

•          non fare il canto della pace,

•          non compiere gesti non corrispondenti alla natura del Padre nostro (come il tenersi per mano),

•          non riempire di preghiere devozionali e di avvisi il silenzio dopo la comunione.

 

Per molti o per tutti?

Al momento della consacrazione, nella preghiera sul vino il sacerdote dice: “Questo è il calice del mio Sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati”.

Nel nuovo messale il “tutti” viene sostituito da “molti” per allinearsi alla nuova edizione della Bibbia. Questa modifica ha suscitato, per esempio in Spagna, un forte dibattito che ha praticamente oscurato le altre novità del messale. Per evitare che ciò accada anche in Italia conviene subito chiarire questo punto.

L’espressione pro multis (4), mentre è aperta ad includere ogni singola persona umana, rispecchia anche il fatto che questa salvezza non è compiuta in maniera meccanica, senza il proprio volere o partecipazione.

Se si dice che Gesù è morto per tutti, questo non significa che tutti accetteranno la salvezza offerta mediante il suo sacrificio. In fondo la questione si risolve tenendo presente questa distinzione.

 

Materiale tratto dal convegno regionale: “La nuova edizione del Messale. Per una rinnovata arte di celebrare”. Torino, 3 ottobre 2020

 

1 Vedi:Il Padre nostro, GF102, p. 18-19.

2 Vedi: Il Padre nostro, GF102, p. 16-17.

3 Fonte: Avvenire, intervista a suor Elena Massimi

4 Fonte: http://www.30giorni.it/articoli_id_22501_l1.htm

 

 

15-I PRINCIPALI CAMBIAMENTI PER I FEDELI

 

La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito santo siano con voi tutti [anziché: sia con tutti voi]

 

Fratelli e sorelle, per celebrare degnamente i santi misteri riconosciamo i nostri peccati.

Confesso a Dio onnipotente e a voi fratelli e sorelle… E supplico la beata sempre Vergine Maria, gli angeli, i santi e voi, fratelli e sorelle

 

Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà

diventa

Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini, amati dal Signore

 

Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo...

E non ci indurre in tentazione...

diventa

Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo...

E non abbandonarci alla tentazione...

 

Scambiatevi un segno di pace

diventa

Scambiatevi il dono della pace

 

Beati gli invitati alla Cena del Signore.

Ecco l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo

diventa

Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo.

Beati gli invitati alla cena dell’Agnello

 

16-Ci precede in cielo

Antonia Morganti Fantini

 

Antonia è tornata al Padre lunedì 5 ottobre, dopo una breve malattia.

Lascia un grande vuoto a Carpi (MO) ma anche in molte altre realtà, come la nostra.

Così l’ha ricordata durante le esequie monsignor Regattieri, “Antonia ci richiama l'immagine di più cerchi concentrici che si allargano sempre di più, simbolo dei tanti mondi diversi in cui Antonia, donna di fede, ha espresso la sua indole educativa e generosa”.

Antonia, infatti, fu insegnante e poi preside, prima in varie scuole secondarie di primo grado, fino all'istituto superiore Da Vinci, prima del pensionamento. Fu anche sempre attiva nel mondo diocesano: era direttrice dell’Ufficio diocesano per l’educazione e la scuola e prima nell'ambito della pastorale familiare e battesimale.

È proprio in questa veste che l’abbiamo potuta conoscere, ormai trent’anni fa. Era infatti presente al convegno di Castelnuovo Fogliani del 1989 in cui fu istituito il Collegamento.

Grazie a lei, nel primo decennio del Duemila, siamo stati ospiti più volte a Carpi per la nostra segreteria e abbiamo avuto modo di apprezzare l’accoglienza emiliana.

Antonia era anche una buona “penna” ed è stata collaboratrice, tra gli altri, del settimanale diocesano Notizie, della rivista dei CPM, Famiglia domani, e anche della nostra.

Ci mancherà, come mancherà ai suoi figli e soprattutto a Matteo, il suo bambino “speciale”.

 

17-CORONAVIRUS E COLLEGAMENTO GF

Noi ci proviamo lo stesso!

 

di Noris e Franco Rosada

Siamo da più un anno responsabili del collegamento tra Gruppi Famiglia e dobbiamo riconoscere che, in questo lasso di tempo, siamo riusciti a combinare ben poco.

Complice il coronavirus, tutti gli incontri che avevamo programmato sono saltati. Saltati gli incontri di collegamento in Veneto e in Piemonte, saltato l’appuntamento di Loreto per i trent’anni dei Gruppi Famiglia. Tutto rinviato a data da destinarsi, e non è solo un modo di dire.

Così abbiamo deciso di copiare dai nipotini: se le lezioni si fanno via Zoom, perché non usiamo anche noi questo strumento per fare gli incontri?

Così ci siamo abbonati alla piattaforma e abbiamo incominciato a fare incontri.

Il più riuscito è stato l’incontro di preghiera del 19 settembre (vedi foto in alto). Non eravamo in molti ma ben assortiti. Eravamo collegati da Torino, Pinerolo, Airasca, Vigone, e poi da Alba (CN), Romentino (NO), Pietra Ligure (SV), Scandicci (FI), Carpi (MO), Venezia, e in provincia di Treviso da Vallà, Vedelago, Castello di Godego, Musano…

In parallelo abbiamo incominciato a telefonare ad alcune coppie di cui abbiamo, grazie ai campi estivi, i recapiti.

Abbiamo così ritrovato traccia di alcuni Gruppi Famiglia e là dove c’era ancora un minimo di operatività, abbiamo organizzato dei video incontri per verificare quali servizi, come Collegamento, possiamo offrire.

Da parte nostra abbiamo proposto, proprio perché è un’esperienza che troviamo molto fruttuosa, la lectio divina.

Nell’articolo a fianco trovate un nostro tentativo, che abbiamo fatto circolare sulla newsletter e sul blog dei GF, per spiegare questo metodo di preghiera.

Infatti, in molti gruppi si sa cos’è la lectio ma non c’è mai stata l’occasione di sperimentala dal vivo, ci siamo resi disponibili per condividere, con chi lo desidera, questa esperienza.

 

18-IMPARIAMO INSIEME A PREGARE LA PAROLA

La proposta della Coppia responsabile

 

di Noris e Franco Rosada

Su questa rivista è stato proposto più volte di utilizzare per gli incontri di gruppo il metodo della lectio, e noi vorremmo che questo approccio si diffondesse.

I vari momenti della lectio sono riportati in sintesi nel riquadro a fianco.

Qui vorremmo soffermarci sui primi punti, in particolare sulla domanda: Cosa dice il testo in sé?

Come brano del vangelo vi proponiamo un testo di Marco.

Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare. Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: “Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano”. Ma egli rispose loro: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?”. Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: “Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre” (Mc 3,31-35).

Di primo acchito, questo brano ci ricorda il valore della fede in Gesù, che va oltre i legami familiari.

Da qui può poi nascere una preghiera in cui, per esempio, come sposi ringraziamo il Signore per averci fatto condividere la stessa fede ed avere educato in essa i nostri figli (sui risultati è un altro discorso!).

Ma questo primo momento non si può risolvere così in fretta, perché si perde molto del valore del contenuto. Occorre avere la pazienza di rimuginare, un po’ come fanno le mucche, la Parola sminuzzandola come se fosse cibo da digerire.

Allora, invece passare subito alla meditatio, è necessario procedere versetto per versetto, anzi, parola per parola. Non ci siamo abituati, ma vale la pena provare.

“Giunsero sua madre e i suoi fratelli”. Che ci vanno a fare da Gesù?

Serve subito una precisazione: non si può pregare un brano del Vangelo senza considerare il contesto in cui è inserito.

Nella nuova traduzione CEI della Bibbia questo brano è inserito in un contesto più ampio.

Nei primi versetti di questa sezione leggiamo: Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: “È fuori di sé” (3,21).

Ecco la risposta: Gesù si comporta in modo sconveniente, gettando discredito sul clan familiare.

Pensiamo alle nostre aspettative nei confronti dei figli e come siamo portati a tacere sui loro fallimenti….

“Stando fuori, lo mandarono a chiamare”. Se c’è un “fuori” c’è anche un “dentro”, non si sentono vicini a Gesù, sono parenti nel sangue ma c’è estraneità nello Spirito.

“Ecco mia madre e i miei fratelli!”. I veri legami, le vere amicizie non badano al sangue ma ai valori che si condividono.

Ma attenzione: ascoltare la Parola, come facciamo ad ogni Eucaristia, è una buona cosa ma per essere suoi amici dobbiamo metterla in pratica cioè compiere la sua volontà.

Rispetto a quanto detto all’inizio su questo brano, ora la prospettiva è un po’ cambiata: non basta avere fede in Gesù, bisogna mettere in pratica il suo Vangelo e allora la preghiera da ringraziamento diventa richiesta di conversione.

Resta in sospeso una domanda: chi sono i fratelli di Gesù?

Se desideriamo avere una risposta è sufficiente cercare su Google la frase “i fratelli di Gesù” per trovare una spiegazione esauriente. Internet può dare risposta a molti interrogativi ma, di fronte alla Parola, la vera risposta deve venire dal cuore.

Se siamo riusciti ad interessarvi vi ricordiamo che noi siamo disponibili a guidarvi nell’esperienza della lectio. La mail per contattarci è:

formazionefamiglia@libero.it

 

19-LA LECTIO IN PILLOLE

 

•          Prologo: consiste nell’invocazione allo Spirito Santo, la lettura del brano e la sua presentazione esegetica.

•          Lectio: cosa dice il testo in sé? Su ogni frase ciascuno condivide cosa dice il testo in sé, partendo dagli elementi portanti del brano: i verbi, gli avverbi, gli aggettivi, le qualità delle azioni.

•          Meditatio: cosa dice il testo a me? È il momento di "masticare" la Parola, perché questa interroghi in profondità la nostra vita.

•          Oratio: cosa dico io al testo? Dopo aver ascoltato la Parola di Dio, averla compresa, nasce la risposta viva che è dialogo, adorazione, lode, supplica, ringraziamento…

•          Communicatio: condivisione e missione. Ognuno sceglie una frase del testo biblico pregato e la condivide ad alta voce con i fratelli. Siamo chiamati a viverla prendendo un piccolo ma concreto impegno di conversione.

Così la nostra vita quotidiana sarà trasformata dalla Parola.

 

20-PER CONCLUDERE

 

Cari giovani, sarò felice nel vedervi correre più velocemente di chi è lento e timoroso.

Correte attratti da quel Volto tanto amato, che adoriamo nella santa Eucaristia e riconosciamo nella carne del fratello sofferente.

Lo Spirito Santo vi spinga in questa corsa in avanti.

La Chiesa ha bisogno del vostro slancio, delle vostre intuizioni, della vostra fede.

Ne abbiamo bisogno!

E quando arriverete dove noi non siamo ancora giunti, abbiate la pazienza di aspettarci.

Papa Francesco,

Christus vivit, n. 299