Foglio di collegamento tra Gruppi Famiglia

GF106 – novembre 2020

La Chiesa come "resto"

DCome sarà la Chiesa di domani?

 

Lettere alla rivista

1-COME ESSERE FEDELI AL “DONO” CHE SI È RICEVUTO

Accettare le critiche, ma mai le imposizioni

 

La lettera di questo numero

La posizione della Chiesa nella società è sempre più marginale. Si sta avvicinando, se già non è cominciato, il momento in cui i credenti saranno discriminati per le loro idee, per le loro scelte. Siamo pronti per questa nuova sfida?

Laura

 

Anche in questo numero pubblichiamo una sola lettera perché la domanda che contiene ci interpella tutti da vicino. Proprio per questo abbiamo chiesto una risposta ad entrambi i nostri collaboratori.

 

Fabio Geda, romanziere torinese, nel suo romanzo intitolato Nel mare ci sono i coccodrilli. Storia vera di Enaiatollah Akbari, (Badini e Gastoldi, Milano 2017), mette in bocca al protagonista una frase che mi sembra molto significativa per introdurre la mia risposta alla lettera di Laura.

“I fatti sono importanti. La storia - dice l’autore - è importante”. Quello che cambia la vita sono dunque i fatti e non, primariamente, la condivisione o meno da parte di altri dei “fatti propri”. Il richiamo vale per tutti ma - se lo intendiamo bene - è determinante per la vita e la presenza nella società di chi fa scelte di senso vitali o professa una fede, in particolare quella in Cristo Gesù.

Sarebbe certamente più soddisfacente se tale scelta fosse correttamente percepita da altri e rispettata. Non è però l’essenziale. Per rimanere nell’ambito della fede occorre ricordare che essa è dono di Dio ma che, nello stesso tempo, è anche un compito affidato alla coerenza di vita radicata nella logica dell’incontro tra Dio e uomo.

L’importante è essere fedeli al dono sia che esso sia condiviso da altri sia che venga misconosciuto o ostacolato.

Per testimoniare autenticamente tale dono occorre evitare due modalità di vivere la fede, piuttosto diffuse ma che ne snaturano la vera identità. La prima è la sua riduzione a “religione civile”, ovvero un’appartenenza religiosa ridotta a un sistema di valori - un ethos - da riportare nella vita sociale, culturale e politica di popoli e di persone.

La seconda è la riduzione culturale della fede che compromette radicalmente in suo carattere profetico-critico, e - disincarnandola - la rende solo apparentemente efficace.

Su queste due possibili deviazioni occorre lavorare e confrontarsi con tutti al fine di offrire una visione di fede e di cristianesimo il più possibili vere anche se non sempre condivise... “Confrontati - dice Madre Teresa di Calcutta - ma sii sempre gentile. Discuti, ma abbi sempre rispetto. Sopporta, ma non abbassarti mai per nessuno... Ama, ma soprattutto… Amati”.

Questa è, da sempre, la sfida. Qualora il cristiano sia oggetto di qualsiasi forma di ingiustizia o discriminazione dovrà reagire con la forza e la determinazione della gentilezza e del rispetto. Soprattutto, ad esempio, se si tratta di lavoro e quando - a causa di tali ingiustizie o discriminazioni - vengano a mancare le risorse per far fronte ai doveri familiari.

Don Giovanni Villata

 

Non penso che il problema dei credenti sia essere discriminati per le loro idee, quanto la nostra difficoltà di applicare il discernimento per declinare - nella complessità dell’oggi - ciò in cui crediamo.

In questo tempo nel quale il ricorso al “si è sempre fatto così” e al principio di autorità hanno perso la presa, la coscienza assume un ruolo preponderante, è il vero soggetto dell’azione e ha bisogno di principi sicuri, ma questi non vengono che dal cuore del messaggio di Gesù Cristo, dal suo comandamento nuovo. Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati è l’unico principio immutabile al quale dobbiamo fare riferimento quando prendiamo una decisione, quando scegliamo da che parte stare, quando dobbiamo lottare per i diritti nostri o di altri. Solo l’amore per gli altri e - tra gli altri - per il più piccolo e il più debole, è la nostra guida, perché è questo che ha guidato Gesù nella sua missione e noi siamo suoi discepoli.

Nessuno può toglierci il privilegio di stare dalla parte dell’ultimo, non c’è da averne paura e nessuno proverà a farlo, perché non è un ruolo ambito da molti, ma per noi è l’unico posto in cui stare.

Paola Lazzarini

 

Editoriale

2-CHIESA COME “RESTO”

Come leggere questo numero

 

di Franco Rosada

La rivista che avete fra le mani è frutto di un cammino di riflessione, di molte letture e di diversi confronti.

Dopo avere affrontato nello scorso numero la crisi attuale della Chiesa in questo proviamo a trarne alcune conseguenze.

Come scriveva il card. Martini siamo in ritardo di due secoli, ci siamo fermati a prima della rivoluzione francese.

Quindi non si può rimediare ad un simile ritardo usando strumenti di evangelizzazione vecchi all’interno di un modello di Chiesa che di fatto è ancora quello tridentino.

C’è stato sì il Vaticano II ma solo con Francesco abbiamo un papa che è stato capace di guardare con distacco a quell’evento e a rileggerlo per quello che è stato, senza le infatuazioni e le resistenze di allora.

Il problema è che, adagiati a coccolare le poche pecorelle che restano, facciamo fatica a renderci conto di dove è finito il resto del gregge e preferiamo prendercela con il papa perché cerca di rimetterci in cammino.

 

Le tappe del numero

Il primo passo che vi proponiamo è quello del significato della Chiesa come “resto”.

Il termine è usuale nella tradizione di Israele ma, con nomi diversi, ha cominciato a ricircolare da metà del secolo scorso anche tra i cattolici.

La Chiesa primitiva è stata una chiesa di minoranza, ma ciò non era visto non come qualcosa di limitante, come è per noi oggi, ma come possibilità di essere “sale della terra” e “luce del mondo”. Era una Chiesa con i suoi bravi problemi interni ed esterni, ma era una chiesa viva.

Sulla Chiesa dei primi tre secoli ci siamo soffermati molto, iniziando dal metodo con cui i primi cristiani esaminavano la realtà in cui vivevano: “vagliare tutto, tenere ciò che è buono” metodo che credo sia valido anche oggi.

Siamo partiti dalla chiesa ideale di Pentecoste passando poi alla chiesa concreta di Gerusalemme con i suoi problemi e alle sette Chiese dell’Apocalisse.

Abbiamo confrontato la Chiesa prima di Costantino con quella dei secoli successivi, una Chiesa che passa dai pochi ai molti, dalle persecuzioni al potere, dall’adesione per fede all’adesione per convenienza.

Quindi, con un balzo temporale, abbiamo affrontato l’oggi della Chiesa.

Di fronte alla progressiva marginalizzazione che l’esperienza di fede subisce all’interno delle società occidentali, si è tentati di percorrere due strade opposte: il richiudersi su se stessi in una sorta di arroccamento comunitario, oppure adeguarsi al mondo con un nuovo messaggio, che sia comprensibile per un’umanità apparentemente incapace di accogliere il trascendente.

Queste due proposte non sono le uniche ma esprimono bene due posizioni antitetiche su come affrontare le sfide del presente. Sono entrambe molto discutibili, ma contengono al loro interno elementi che vanno considerati.

Tra questi due estremi ci può essere una via mediana? Noi l’abbiamo trovata nell’esigenza di tornare ad un cristianesimo di esperienza perché, ponendoci di fronte al Vangelo sine glossa, ci possiamo rendere conto che il cristianesimo non esiste ancora e va riscoperto, generazione dopo generazione.

Il numero si chiude con una testimonianza importante: quella di mons. Giorgio Marengo, missionario della Consolata, da meno di un anno prefetto apostolico di Ulan Bator, Mongolia.

Quella di padre Giorgio è una piccola comunità cristiana che vive un’esperienza simile a quella della chiesa primitiva.

E la chiesa di papa Francesco? Ne parleremo ampiamente nel prossimo numero. Ci dispiaceva, infatti, affrontarla in poche pagine perché la sua visione di chiesa rappresenta il nostro presente e, ci auguriamo, il nostro futuro.

 

3-I TEMI DEI PROSSIMI NUMERI

Abbiamo raccolto nei mesi scorsi le vostre preferenze sui temi da trattare nei prossimi numeri.

Potete prendere visione dei risultati sulla home page del nostro sito:

www.gruppifamiglia.it.

In base ad essi, i temi dei numeri di luglio e novembre saranno:

La chiesa di Francesco, in cui tratteremo, oltre ad Evangelii gaudium, Religione e fede e Perché andare a messa oggi.

Fratelli tutti, in cui parleremo dell’ultima enciclica di papa Francesco e dell’evento Economy of Francesco.

 

4-LA CHIESA “MINORANZA”

Imparare ad essere “sale della terra” e “luce del mondo”

 

a cura della Redazione

Dopo molti secoli in cui la cultura occidentale è stata contrassegnata dal pensiero religioso, nel secolo attuale la distanza tra Chiesa e società si sta sempre più accentuando.

I cristiani praticanti si rendono ogni giorno più conto di essere “minoranza”: i loro valori non solo non sono più condivisi ma vengono anche contestati.

Se guardiamo alla Storia ci accorgiamo o però di non essere i primi credenti a vivere in questa situazione, anzi.

Abbiamo riportati alcuni esempi nell’articolo successivo dal titolo: la Chiesa come “resto”. La tradizione cristiana non conosce il concetto di “resto” ma quella di Israele sì.

Il primo esempio è tratto dal capitolo decimo del rotolo del profeta Isaia.

Siamo intorno al 700 a.C. e il contesto è di guerra: Israele ha stipulato un’alleanza che il profeta giudica sbagliata e profetizza sulle conseguenze negative di questa scelta. Israele sarà castigato. Ma, poiché Dio ama il suo popolo, un piccolo “resto” sfuggirà alla spada degli invasori.

La storia degli ebrei continuerà su questo solco fino alla venuta di Cristo, il vero germoglio del nuovo Israele (1).

I cristiani, prendendo spunto dall’insegnamento di Gesù, che invitava i suoi discepoli ad essere “sale della terra” e “luce del mondo” (Mt 5,13a.14a), preferiranno definirsi così: “come è l'anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani” (2), una minoranza feconda.

Ma, con Costantino prima e con Teodosio poi, il cristianesimo diverrà religione di Stato, i cristiani diventeranno maggioranza e finiranno per essere - quasi tutti - tutt’uno con il mondo.

Il secondo esempio è temporalmente molto più vicino ed è tratto da un libro di don Milani (3).

Colpiscono subito i destinatari della lettera, ipotetici missionari cinesi!

Questo fatto non è, come potremmo pensare oggi, legato alla consapevolezza della crisi delle vocazioni sacerdotali, bensì a quella del fallimento della missione che il Signore ha da sempre affidato alla Chiesa e ai suoi presbiteri: i poveri.

Così Milani, convertitosi da adulto, che viveva il suo sacerdozio come servizio al vangelo “sine glossa” non poteva sopportare questo “tradimento” da parte della sua Istituzione.

La Chiesa italiana, infatti, viveva negli anni cinquanta un momento di forte antagonismo con i partiti di sinistra e ciò la portava a posizionarsi, in modo più o meno palese, con i partiti di destra, non proprio i più adatti a sostenere le istanze dei poveri.

Il senso di sconfitta di don Milani nasceva dalla consapevolezza di aver perso i fedeli maschi, giovani e adulti, per le incongruenze di una Chiesa che predicava dei valori e poi ne perseguiva degli altri.

Anche il terzo esempio è quasi contemporaneo.

Quello che muove Ratzinger è lo sconcerto di fronte alle fughe in avanti del’68 all’interno della Chiesa.

Le caute aperture del concilio Vaticano II verso il mondo contemporaneo erano state travolte e stravolte dalla rivoluzione del ‘68.

Non per niente questo evento segnerà il progressivo distacco anche della componente femminile dei fedeli dalla pratica religiosa.

Di fronte alla tentazione di inseguire il “nuovo” in campo morale e sociale (p.e. sesso libero, eliminazione delle gerarchie, del merito, del senso del dovere) anche da parte dei cristiani, il teologo fa sentire la sua voce.

E mentre denuncia questi cedimenti egli prefigura una Chiesa più piccola, minoritaria ma capace di ritrovare il centro della fede.

Con l’ultimo esempio ritorniamo all’Antico Testamento. Il brano è molto noto perché ricorre più volte nella liturgia, liturgia che però omette la risposta del Signore a Elia (vv. 15-18).

Dio, di fronte al lamento del profeta che ritiene di essere rimasto il solo a difendere il Nome dell’Altissimo, gli risponde: “Ce ne sono altri settemila come te in Israele, settemila fratelli e sorelle tuoi, sei stato tanto bravo e coraggioso, ma non vedevi: apri gli occhi e entra in comunione” (4).

Valga questo anche per noi!

 

1 Bibbia di Gerusalemme. EDB, Bologna 1990.

2 Lettera a Diogneto (VI,1).

3 Lorenzo Milani, Esperienze pastorali, Libreria Editrice Fiorentina, 1957.

4 Fonte: ilblogdifrasereno.blogspot.com

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Quali sono i nostri valori che non sono più condivisi dalla gente?

•          Impegno sociale e morale sessuale: come si dovrebbero posizionare i cristiani?

•          Rimaniamo chiusi nel nostro “guscio” o siamo gente “in ricerca”?

 

5-LA CHIESA COME “RESTO”

 

In quel giorno il resto di Israele e i superstiti della casa di Giacobbe non si appoggeranno più su chi li ha percossi, ma si appoggeranno sul Signore, sul Santo di Israele, con lealtà.

Tornerà il resto, il resto di Giacobbe, al Dio forte.

Poiché anche se il tuo popolo, o Israele, fosse come la sabbia del mare, solo un suo resto ritornerà.

Dal libro del profeta Isaia, cap.10, versetti 20-22

 

Cari e venerati fratelli missionari cinesi,

Voi certo non vi saprete capacitare come prima di cadere noi non abbiamo messo la scure alla radice dell’ingiustizia sociale.

È stato l’amore dell’ “ordine” che ci ha accecato.

Sulla soglia del disordine estremo mandiamo a voi quest’ultima nostra debole scusa supplicandovi di credere nella nostra inverosimile buona fede (ma se non avete come noi provato a succhiare con latte errori secolari non ci potete capire). Noi non abbiamo odiato i poveri come la storia dirà di noi.

Abbiamo solo dormito. Quando ci siamo svegliati era troppo tardi.

I poveri erano già partiti senza di noi.

Invano avremmo bussato alla porta della sala del convito.

Lorenzo Milani, San Donato Fiorentino, dicembre 1954

 

Il futuro della Chiesa non risiederà in coloro che non fanno altro che adattarsi al momento presente... che eludono la passione della fede, dichiarandola falsa e obsoleta, tirannica e legalistica, tutto ciò che esige qualcosa dagli uomini, li ferisce e li obbliga a sacrificarsi.

Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diventerà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi.

Non sarà più in grado di abitare molti degli edifici che aveva costruito nella prosperità. Poiché il numero dei suoi fedeli diminuirà, perderà anche gran parte dei privilegi sociali…

Ma nonostante tutti questi cambiamenti la Chiesa troverà di nuovo e con tutta l’energia ciò che le è essenziale: la fede nel Dio Uno e Trino, in Gesù Cristo, nell’assistenza dello Spirito, che durerà fino alla fine.

Ripartirà da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza che rimetterà la fede e la preghiera al centro dell’esperienza e sperimenterà di nuovo i sacramenti come servizio divino.

Joseph Ratzinger, lezione radiofonica del 24 dicembre 1969

 

Elia sentì una voce che gli diceva: «Che fai qui, Elia?».

Egli rispose: «Gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita».

Dal primo libro dei Re cap. 19, versetti 13-14

Sintesi dei testi a cura della redazione

 

6-VAGLIATE TUTTO, TENETE CIÒ CHE È BUONO

Impariamo a soppesare ogni realtà mondana, nessuna esclusa, e acquisiamo tutto ciò che, una volta purificato e restituito alla verità creaturale, è vero, buono, bello.

 

In una Chiesa che è sempre più minoranza quale criterio dobbiamo adottare per cercare un modo nuovo di essere Chiesa? È quello che ci suggerisce san Paolo nella prima lettera ai Tessalonicesi: “Vagliate tutto, tenete ciò che è buono” (5,21).

Era il criterio adottato dalla Chiesa dei primi secoli ed è il criterio che abbiamo adottato per questo numero.

 

di Leonardo Lugaresi*

Non è la prima volta che i cristiani si trovano ad essere minoranza. È la stessa situazione che vivevano i primi cristiani. Se ora viviamo in una società post-cristiana loro vivevano in una società non cristiana, pagana.

Eppure, quella minoranza, nel corso di tre secoli, è riuscita ad incidere profondamente sulla società greco-romana.

 

La Chiesa dei primi secoli

Quali erano le caratteristiche delle loro comunità?

Per prima cosa erano comunità “aperte”, da cui non era esclusa nessuna delle categorie in cui era articolata la società del tempo, poi la vita buona praticata dai suoi seguaci e la concreta possibilità ed aiuto reciproco che la solidarietà esistente tra i membri della chiesa prometteva.

Questo vantaggio era particolarmente appetibile in una società pressoché priva di sistemi di sicurezza sociale paragonabili ai nostri.

Però, allora come oggi, il fatto che i cristiani erano brave persone, di per sé, non bastava a far sì che il mondo venisse provocato a confrontarsi veramente con la pretesa cristiana.

Allora come oggi l’esempio di vita di tanti buoni cristiani colpisce la gente che però raramente si chiede le ragioni di quella bontà, anzi non si pone neanche questa domanda, la elude.

Benvenuta la loro bontà purché nessuno di loro pretenda di discutere seriamente la ragione di quella bontà e non ne mostri la portata culturale.

 

Vagliate tutto, tenete ciò che è buono

Serve allora aggiungere qualcosa a queste caratteristiche, e questo qualcosa ce lo indica san Paolo quando scrive: “Vagliate tutto, tenete ciò che è buono” (1Ts 5,21).

San Paolo ci invita a soppesare ogni realtà mondana, nessuna esclusa, e acquisire tutto ciò che, una volta purificato e restituito alla verità creaturale, è vero, buono, bello. In altre parole a fare discernimento.

Il giudizio è una necessità vitale. Se vogliamo vivere da uomini abbiamo continuamente bisogno di giudicare e di essere giudicati.

Però la parola giudizio oggi non gode di buona fama, al contrario della parola crisi che è molto diffusa. C'è la crisi economica, quella sociale, quella politica; c'è la crisi dei valori, la crisi di coppia, la crisi adolescenziale.

La parola crisi per noi oggi significa sostanzialmente una rottura di equilibrio.

La crisi sembra escludere una riflessione pacata, un pensiero profondo, la ponderazione dei pro e dei contro. Niente di più lontano dalla parola giudizio.

Invece nell'antichità la parola crisi (krisis) significava proprio giudizio: distinguere e separare una cosa da un'altra come il vero dal falso.

Oggi distinguere, separare, sembra essere un male. Invece la krisis cristiana è qualcosa di estremamente positivo perché non è mai fine a se stessa ma parte integrante di un processo che porta alla chresis, al retto uso, al tenere ciò che è buono.

L'approccio del Cristianesimo primitivo alla multiforme realtà della cultura umana non è mai né inclusivo né esclusivo, ma sempre critico.

Vale la pena chiedersi se, almeno come metodo, ciò possa essere ancora valido oggi per ogni tipo di relazione interculturale in cui i cristiani si trovino ad operare.

La prima caratteristica della krisis cristiana è che si tratta di un giudizio che entra dentro la vita di ciò che giudica, senza mai essere una valutazione distaccata, data dall'esterno, e richiede vicinanza, un coinvolgimento profondo, una sorta di empatia con ciò che giudica.

Entrando nel “campo” altrui la crisi ne mette in discussione la forma mentis e osa dimostrare all'altro il suo errore, facendogli vedere ciò che è inadeguato, fuori posto o sbagliato nella sua posizione. Ma sbagliato proprio in quanto non consono, o addirittura contraddittorio rispetto al valore o ai valori che l'altro stesso dichiara di tenere e che pretende di affermare.

Però attenzione: ciò va fatto solo quando si sa di aver di fronte degli uditori intelligenti in grado di comprenderle. Altrimenti si suscita, comprensibilmente, una reazione furibonda da parte di chi invece non accetta tale provocazione.

 

Un esempio di krisis

Niente di meglio di un esempio per capire cosa è la krisis.

Lo prendiamo dal vangelo di Matteo (Mt 15,21-28) e qui il soggetto del giudizio è Gesù stesso.

Si tratta del noto episodio della donna cananea che chiede al Signore la guarigione per sua figlia. Ma Gesù non le presta alcuna attenzione.

Di fronte alle sollecitazioni dei discepoli egli risponde “Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele”. La donna insiste ed egli afferma: “Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini”».

“È vero, Signore”, ribatte la donna, “ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”.

La cananea, ribattendo all’affermazione di Gesù, apre come una falla nel suo ragionamento, e lo “converte”.

 

Un esempio di chresis

Un altro passo in avanti. Nell’istante in cui io giudico l'altro nel senso che discerno in lui il vero dal falso anch'io sono costretto a pensare a me stesso in rapporto all'altro e, in questo modo, a mettere in crisi anche me stesso.

L’esempio lo prendiamo dalla conversione di Paolo. (At 9,1-19).

La manifestazione di Gesù a Saulo in prossimità di Damasco lo butta a terra e lo rende cieco, lo manda “in crisi”.

Ma il racconto continua. A Damasco c’è un cristiano di nome Anania a cui il Signore appare e a cui chiede di andare a guarire Saulo.

Anania è molto riluttante: conosce di fama Saulo e sa che è un persecutore dei cristiani.

Ma il Signore insiste e spiega al suo fedele l’avvenuta conversione di Paolo e la missione che Lui intende affidargli.

Così Anania supera le sue paure, va da Paolo, lo guarisce dalla cecità e lo battezza.

Alla krisis di Paolo corrisponde il cambiamento di opinione che Dio opera in Anania, la chresis.

 

Noi, discepoli di Emmaus

Conosciamo molto bene l’episodio dei discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35).

Di questo racconto focalizziamoci solo sui versetti finali. Dopo aver attraversato il loro momento di crisi, di dubbio, i due alla fine escono di casa, si rimettono in cammino, e si fanno evangelizzatori, portatori di giudizio, di krisis.

Qual è il contenuto della loro evangelizzazione? Quale deve essere il contenuto della nostra evangelizzazione? Luca scrive: “Essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare del pane”. Raccontano quello che hanno vissuto.

Per evangelizzare fondamentalmente serve vivere. Serve aver vissuto, e come, in quello che abbiamo vissuto, lo abbiamo riconosciuto. Egli è venuto in noi e ci ha cambiato, ci ha messo in krisis.

Serve quindi vivere e serve che, mentre viviamo la nostra vita normale, mentre incontriamo le persone, ci accorgiamo che il Signore è con noi, lo cerchiamo nel volto degli altri, e cerchiamo tirarlo fuori, di fare krisis.

* Vivere da cristiani in un mondo non cristiano. L’esempio dei primi secoli, Edizioni Lindau, Torino 2020

Sintesi e adattamento della Redazione

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Per testimoniare Cristo è sufficiente il buon esempio?

•          Proviamo a riflettere sulla parola “giudizio” e sulla parola “crisi”: come le viviamo?

•          In quali occasioni della nostra vita Cristo ci ha messo in “crisi”?

 

7-LA CHIESA DI PENTECOSTE

Nasce qui un nuovo modello di vita

 

Erano perseveranti nell'insegnamento degli Apostoli, nello spezzare il pane, nelle preghiere.

Ora un timore c'era in ogni anima. Infatti accadevano molti prodigi e segni.

Ora tutti i credenti erano insieme e avevano comuni tutte le cose e le proprietà e le sostanze le vendevano e le dividevano fra tutti, secondo le necessità che ciascuno aveva.

E ogni giorno erano perseveranti unanimemente nel tempio, e, spezzando il pane in casa, prendevano insieme il cibo con gioia e semplicità di cuore, lodando Dio e avendo favore presso tutto il popolo.

Ora il Signore ogni giorno aggiungeva insieme i salvati.

(At 2,42-47)

 

Come era la Chiesa degli inizi?

Ne troviamo un bell’esempio al capitolo 2 nel libro degli Atti: una chiesa “ideale”, un’utopia storicizzata, una chiesa in cui tutti vorremmo vivere “a parole”, ma in realtà molto esigente nei confronti dei suoi membri.

È un modello di Chiesa su cui siamo chiamati a riflettere e a pregare e da trarre spunti per cambiare e migliorare la nostra chiesa locale, la nostra comunità.

 

di Silvano Fausti*

Questo brano ci presenta la prima comunità, così come nasce dall’accoglienza della Parola, cioè un nuovo modello di vita.

È un testo che penso abbia ispirato all'umanità le cose più belle che si siano mai pensate, ripreso sia dal monachesimo antico, sia da tutte le utopie; tutto ciò che c'è di buono al mondo lo si vede qui condensato; tutto ciò che c'è di buono, di bello e di divino.

Non è solo vita bella e buona, ma vita possibile e reale. Non solo possibile e reale, ma forse è anche l'unica sostenibile oggi.

Questa non è un'utopia realizzata - sono grossi disastri della storia le utopie realizzate - ma è un'utopia storicizzata, che non si impone, che è un gesto di suprema libertà, di persone che riescono a stabilire finalmente quello che ogni uomo vorrebbe: che l'uomo conviva con il fratello.

Il testo degli Atti ci presenta il modello della vita salvata cioè una vita che sia vivibile, bella e piena, una vita dove appunto si può vivere con l'altro, senza “mangiare” l'altro; in cui si possono stabilire relazioni che siano valide, umane. Non un'umanità che è in funzione di tutte le cose, ma tutte le cose, tutti i beni in funzione dell'uomo.

 

“Erano perseveranti nell'insegnamento degli apostoli e nello spezzare il pane, nelle preghiere”.

Nel primo versetto si parla di perseveranza. È molto facile fare il bene per mezz'ora, un'ora, un giorno. Portarlo avanti è difficile, ma più bello.

Se si fa il bene solo all'inizio, un pochino, e poi basta, non si combina granché.

La prima cosa in cui perseverano è nell'insegnamento degli Apostoli. Insegnamento non vuol dire dottrina o cose strane.

Gli apostoli raccontano quello che Gesù ha fatto, come ha vissuto da figlio e da fratello; sono i vangeli, tutto sommato.

La bellezza dell'insegnamento di Gesù è che non insegna nulla. I vangeli ci dicono che Gesù insegna, ma non dicono mai cosa insegna. Si dice quello che fa, perché il vero insegnamento è ciò che fa, come Dio.

Che importanza ha per noi la lettura del Vangelo?

Vi accorgerete che più ci tornate più è una miniera infinita, perché non sono delle idee, ma dei fatti, e il fatto ogni volta che lo vedi è diverso.

Il secondo aspetto della perseveranza è la comunione.

Questa Parola ci mette in comunione. Il grande sogno dell'uomo è vivere in comunione, in relazione, perché l'uomo è amore - è a immagine di Dio - se è da solo non esiste.

Il grande sogno della comunione è la vittoria sul male radicale che ci fa vivere i limiti come luogo di lotta e non invece di accettazione reciproca, cioè di amore. Infatti, abbiamo in noi la falsa immagine di un Dio onnipotente che mangia tutti e noi vogliamo fare lo stesso. Dio invece non mangia nessuno, non è onnipotente, è piccolo, non possiede niente, dà tutto fino a dare a se stesso. E questo crea vita.

Il fatto che i cristiani non vivano in comunione tra loro diventa un’assurdità.

Se non siamo fratelli fra di noi, è chiaro che il mondo non può credere in Gesù Cristo come Figlio e in Dio come Padre.

Il terzo aspetto è lo spezzare il pane tra i fratelli e la preghiera nel tempio.

Sono due cose distinte: lo spezzare il pane è l'Eucaristia che si celebra nelle case. Il pane è simbolo della vita, addirittura del corpo di Dio.

Tu, tutto ciò che hai, l'hai preso, allora benedici, ringrazia Dio perché tutto è dono, è tutto amore.

Se tutto è dono d'amore, l'amore vive se sai condividere, amare e dare.

Infatti, la vita nessuno se l'è data da sé e la conserviamo se la sappiamo dare, se sappiamo amare, altrimenti la distruggiamo in noi e negli altri.

E questo spezzare il pane avviene in casa, nella quotidianità, non nel tempio, durante funzioni solenni, in chiese bellissime.

E la preghiera è nel tempio, perché sono Giudei che giustamente frequentano il tempio, come noi andiamo in chiesa. Però noi non viviamo il nostro cristianesimo in chiesa, lo dobbiamo vivere nelle nostre case, altrimenti lo riduciamo a una pia illusione.

 

“Ora un timore c'era in ogni anima. Infatti accadevano molti prodigi e segni.

Ora tutti i credenti erano insieme e avevano comuni tutte le cose e le proprietà e le sostanze le vendevano e le dividevano fra tutti, secondo le necessità che ciascuno aveva”.

Questo testo descrive molto bene la quotidianità di chi fonda l'esistenza sui tre aspetti che abbiamo appena visto.

Il timore di cui si parla non va inteso come paura, ma come principio di sapienza, il timor di Dio, perché accadevano molti prodigi e segni.

Questi prodigi e segni non sono tanto fare cose strane come parlare lingue, fare profezie, miracoli ma soprattutto saper vivere in comunione.

Il vero segno e prodigio - il prodigio è qualcosa che richiama l'attenzione, il segno indica qualcos'altro - è il fatto che si sta insieme, vuol dire che si è figli di Dio e fratelli tra di noi. È questa la novità arrecata dallo Spirito santo.

È questo il vero prodigio: una vita bella, una vita improntata a Dio.

Questa vita non è tanto segnata dagli entusiasmi: questi ci possono anche essere all'inizio, ma poi c'è qualcosa di più bello. È vivere e respirare in Dio la vita quotidiana.

Non si dice come bisogna vivere perché i modi sono infiniti, ma si sa che l'unico modo di vivere bene è sapere che si devono usare i beni per vivere la solidarietà, per vivere l'amore, non per scannarci, ucciderci e dividerci.

Il testo dice anche che vendevano le proprietà e le sostanze.

L'ebreo non poteva vendere le sue terre, altrimenti perdeva il titolo della terra promessa, era un delitto, era come tradire la promessa; invece loro le vendono.

Infatti, la vera terra promessa che garantisce la vita non è la proprietà della terra, è la fraternità, la solidarietà, la libertà, la giustizia, è l'amore fraterno, che rende possibile la vita sulla terra perché se cerchiamo la proprietà ci scanniamo gli uni gli altri.

E dividevano tra tutti, secondo le necessità di ciascuno. Niente imposizioni di massa perché ognuno ha le sue esigenze, i suoi bisogni.

È bello vedere che lo Spirito si fa carne, diventa il modo di gestire i beni nella terra, perché è sui beni della terra che si giocano i beni soprannaturali. Quelli soprannaturali non li abbiamo mai visti, ma la fraternità la vediamo nella realtà delle cose.

È questo che ha ispirato in fondo le cose fondamentali e positive della società: i diritti degli uomini, i diritti inalienabili di ogni persona, anche degli ultimi, dei poveri, degli emarginati.

Però c'è da interrogarsi se noi di chiesa abbiamo questo spirito oppure se l'abbiamo dimenticato, se ci basta partecipare al culto in chiesa, pensando poi alla vita come un'altra cosa.

È una cosa scandalosa che ci sia gente che si richiama al cristianesimo e, allo stesso tempo, siano razzisti, escludano persone; cristiani che hanno appoggiato dittature, anzi fior di cristiani, organizzazioni cristiane potentissime e ordini religiosi moderni che hanno sostenuto tutte le dittature dell'America Latina e altre ancora.

Questo modo di gestire i beni nella terra va anche applicato nell'organizzazione del lavoro, della società, dell'economia. In gioco c’è infatti la possibilità di vita sulla terra che viene compromessa se non si rispetta l'uomo.

 

“E ogni giorno erano perseveranti unanimemente nel tempio, e, spezzando il pane in casa, prendevano insieme il cibo con gioia e semplicità di cuore, lodando Dio e avendo favore presso tutto il popolo.

Ora il Signore ogni giorno aggiungeva insieme i salvati”.

Siamo chiamati a vivere ogni giorno - che è l'unico giorno il giorno di Dio, quello della sua venuta - come fosse il primo e l’ultimo.

Mangiare insieme è il gesto che si fa in famiglia. Oggi non si mangia più insieme, ognuno si arrangia come può, perché agiamo e viviamo in funzione di un certo dio, un certo moloch che ci mangia tutti.

Oggi siamo ridotti a vita animale, tutti al fast-food, alla greppia, come gli animali: almeno fossimo al pascolo!

Non solo mangiavano insieme, ma mangiavano con gioia, E la gioia è il segno della presenza di Dio.

Dove non c'è gioia non c'è Dio, vuol dire che non c'è libertà, c’è costrizione, c’è legge, c’è obbligo.

La gioia è il colore di Dio, se manca quella non c'è Dio. Puoi fare tutto il giusto, ma non c'è amore.

La gioia c'è nell'amore corrisposto.

E poi con semplicità di cuore. la parola originale greca significa “senza sassi”, cioè un terreno lavorabile, non impervio, un cuore che lascia entrare l'altro, un cuore che non ha tante cose da nascondere, tanti inciampi da frapporre all'altro.

Che bello vivere così, finalmente!

In questo stile di vita nasce l'uomo nuovo, ma nasce anche Dio sulla terra.

E poi termina: il Signore ogni giorno aggiungeva insieme i salvati.

Non dobbiamo fare propaganda e avere molti mezzi per convincere la gente, è vivendo così che la gente capisce!

Questo testo è il più bello specchio della Parola che abbiamo. Sono le beatitudini realizzate, dove il povero constata che finalmente il Regno è suo; l'affamato è saziato; il piangente è nella gioia; il mondo è raddrizzato, come tutti lo vogliamo.

 

* Silvano Fausti, Atti degli apostoli, vol.1, EDB, Bologna 2013

Sintesi della Redazione

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Se non siamo fratelli fra di noi, come il mondo può credere in Gesù?

•          Dove siamo più cristiani: in chiesa o nelle nostre case?

•          Pensiamo alla nostra famiglia: mangiamo insieme e mangiamo con gioia?

 

8-LA CHIESA DEL PRIMO SECOLO

I cristiani provenienti dal giudaismo e quelli provenienti dal paganesimo possono condividere la stessa Mensa? Questa è la questione affrontata dal concilio di Gerusalemme.

 

a cura della Redazione

L’immagine della comunità di Pentecoste segna tutto il libro degli Atti ma, nel proseguo, il testo ci mostra anche le difficoltà che questa chiesa incontra al suo interno.

Se i primi discepoli degli apostoli sono giudei legati al culto del tempio, (gli etno-cristiani) appena la comunità cresce, entrano a farne parte anche giudei ellenizzati (i greco-cristiani), meno legati all’ebraismo tradizionale.

 

L’istituzione dei diaconi

“Con la loro entrata nella chiesa di Gerusalemme”, scrive Saverio Paolillo (1), “viene a mancare l’omogeneità dell’originaria comunità cristiana favorita dall'appartenenza ad un'unica etnia e cultura, quella giudaica. Serpeggia il malcontento, ci sono lamentele, corrono voci di favoritismi e disparità di trattamento. L'aiuto della comunità alle persone disagiate - vedove, orfani e poveri in genere -, sembra privilegiare i cristiani di estrazione ebraica rispetto agli altri.

Gli Apostoli non negano il conflitto né lo mascherano per paura di danneggiare l’immagine della comunità.

Il confronto tra idee diverse apre nuovi cammini da percorrere insieme verso una comprensione sempre più sorprendente e arricchente della realtà.

È questa la strada percorsa dagli Apostoli che convocano una riunione per discutere il problema e arrivare a una soluzione che favorisca la crescita della comunità: la scelta di sette diaconi ellenisti che si occupano esclusivamente dell’assistenza ai poveri.

La crisi diventa un’opportunità per riorganizzare la vita della comunità e darle un nuovo formato più funzionale al servizio del Vangelo (At 6,1-6)”.

La compresenza di etno-cristiani e greco-cristiani nella Chiesa di Gerusalemme non durerà a lungo.

Nel 36 d.C., durante un periodo di vuoto amministrativo seguito alla deposizione del governatore romano Ponzio Pilato, i giudei attuarono una persecuzione locale contro i greco-cristiani che culminò con la morte per lapidazione di Stefano (At 6,8-7,60).

Ciò spinge questo gruppo a fuggire da Gerusalemme e a disperdersi, trasformando i suoi membri in missionari itineranti: “Quelli che erano stati dispersi andavano per il paese e diffondevano la Parola di Dio” (At 8,4).

Il più significativo rappresentante di questo gruppo diventerà Paolo di Tarso, definito “apostolo dei Gentili”.

Il confronto tra gli etno-cristiani e i greco-cristiani si sposta allora a livello di comunità (At 15,1-35).

 

Il Concilio di Gerusalemme

Siamo intorno al 49 d.C. Alcuni autorevoli etno-cristiani vanno in visita alla comunità greco-cristiana di Antiochia di Siria, per convincere i suoi membri della necessità, ai fini della salvezza, della circoncisione.

Paolo e Barnaba si oppongono e vanno a Gerusalemme per discutere di questo serio problema, che mette in discussione tutta la loro attività di proselitismo nei confronti dei pagani.

Infatti, la loro missione è rivolta primariamente a coloro che vengono definiti “timorati di Dio”, cioè quei pagani vicini alla fede ebraica, al punto di frequentare la liturgia del sabato, contribuire a costruire le sinagoghe, a seguire usanze giudaiche, ma che non hanno ricevuto la circoncisione e non presentano la loro offerta al tempio (2).

Per costoro la circoncisione, in una società come quella romana, dove i bagni non solo sono pubblici ma anche luogo di contrattazioni e affari, può essere un fattore di discriminazione.

È su questa questione che verte il concilio di Gerusalemme.

Dopo un'accesa disputa tra le diverse fazioni, Pietro richiama tutto il collegio a rispettare la volontà di Dio, che si era manifestato chiaramente in occasione della sua visita a Cornelio (At 11,1-18), dove lo Spirito Santo era disceso anche sui pagani non facendo “alcuna distinzione di persone”.

Alla fine Giacomo, l’anziano della Chiesa di Gerusalemme, propone una soluzione di compromesso che prevede la prescrizione ai pagani convertiti di pochi divieti tra cui l'astensione dal nutrirsi di cibi immondi. Ma non è solo una questione di circoncisione.

Le prescrizioni di Giacomo hanno un carattere strettamente rituale e rispondono alla questione posta in Atti 11,3: “Quando Pietro salì a Gerusalemme, i circoncisi lo rimproveravano dicendo: Sei entrato in casa di uomini non circoncisi e hai mangiato insieme con loro”; cioè che cosa si può esigere dai greco-cristiani perché sia possibile agli etno-cristiani di frequentarli senza contrarre impurità legale (3).

Grazie a queste indicazioni le due correnti possono celebrare insieme l’eucaristia, che a quei tempi era seguita dal pasto in comune.

 

Una lezione per l’oggi

Mille anni dopo lo scisma tra cattolici e ortodossi e cinquecento anni dopo la riforma protestante, nonostante tutto il cammino ecumenico compiuto nel XX secolo, non è ancora stata ripristinata la comunione di mensa tra cristiani.

Il libro degli Atti ha molto da insegnarci.

Ma, volendo rimanere a casa nostra, le divisioni non mancano nemmeno tra cattolici, non certo per l'ospitalità eucaristica (anche se molti, anziché frequentare la propria parrocchia, vanno a messa dove pare a loro) ma per la condivisione degli stessi valori.

Scrive Erio Castellucci (4): “Mi ha sempre colpito, prima come parroco e ora come vescovo, registrare nel popolo di Dio – e anche in noi ministri – una sorta di frattura verticale tra chi porta avanti i valori della persona e della famiglia, e chi invece i valori della società e dell’ambiente naturale”.

E continua: “se siamo davvero cattolici, non possiamo adottare l’aut-aut ma l’et-et. Finché la Veglia per la pace sarà di sinistra, e rigorosamente frequentata dai soli cattolici ‘progressisti’, e la Veglia per la vita sarà di destra, e riservata di fatto ai cattolici ‘tradizionalisti’, la Chiesa sarà divisa. Finché la Giornata del creato sarà di sinistra e la Giornata della famiglia di destra, continueremo a farci del male a vicenda. Una cosa è la maggiore sensibilità per l’una o l’altra dimensione etica cristiana – sensibilità che dipende dalle storie personali e dalle sfide della storia –, un’altra è l’assolutizzazione di una sola dimensione, trasformando inevitabilmente l’appartenenza cattolica in una battaglia ‘contro’ altri cattolici”.

 

1 Fonte: Giovani e missione

2 Ibidem

3 Fonte: Bibbia di Gerusalemme, nota a pag. 2364

4 Benedetta povertà? Provocazioni su Chiesa e denaro, Editrice Missionaria Italiana, Verona 2020

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Quali sono le cose che dividono la nostra comunità? Quali quelle che la uniscono?

•          Come armonizziamo in famiglia i diversi punti di vista?

 

9-LE CHIESE DELL’APOCALISSE

Non è mai esistita la comunità perfetta o non tribolata.

È un'illusione credere che prima o poi arriveremo a edificare una comunità soddisfacente.

Siamo chiamati ad essere vincitori in comunità imperfette.

 

Spostiamoci ora avanti nel tempo e guardiamo alle chiese dell’Asia minore alla fine del primo secolo. Ci farà da guida l’autore dell’Apocalisse, il discepolo “prediletto” di Gesù.

 

di Renzo Caserotti*

Il libro dell'Apocalisse è un messaggio di consolazione per i cristiani di tutti i tempi, anche se il termine apocalisse evoca il più delle volte la catastrofe.

É un messaggio di consolazione e di speranza per coloro che nella catastrofe si trovano già.

L'Apocalisse è fatta di due parti: la prima parte (capitoli1-3) contiene le lettere scritte alle sette Chiese dell'Asia Minore. Le lettere contengono un messaggio di grande attualità, perché trattano di questioni che mettono in luce i travagli e le difficoltà della chiesa di sempre nel vivere con fedeltà l'insegnamento del messaggio evangelico.

 

Le sette Chiese

Le Chiese dell'Apocalisse risiedevano nell'ambito di antichi nuclei urbani situati sulle più importanti reti stradali della provincia romana dell'Asia Minore. L'ambiente benestante in cui esse erano sorte e lo stile di vita che caratterizzava quelle città, dove girava ogni specie di dottrine, senz'altro aveva un forte influsso e condizionamento sulla vita dei credenti.

Dall'analisi delle lettere si vede una situazione a livello interno di forte crisi dovuta alla mancanza di fedeltà al messaggio evangelico; la seduzione della ricchezza, del prestigio e del potere che dilagavano in quel contesto, colpiscono le comunità cristiane. Non si trattava perciò di resistere alla persecuzione, quanto allo stile di vita delle città dell'Impero.

Se da una parte le comunità cristiane erano chiamate ad aprirsi al mondo circostante, stabilendo un dialogo con esso, dall'altra dovevano conservare la radicalità della loro scelta, senza scendere ad alcun tipo di compromesso.

A questo si aggiungeva la presenza di falsi profeti o maestri di dottrina che circolavano per le comunità, i quali assecondando le tendenze dominanti dell'impero apertamente contrarie alla proposta evangelica, distoglievano le comunità dai loro veri obiettivi.

Delle sette lettere ne prendiamo in considerazione solo tre, quelle a nostro avviso più significative per l’oggi.

 

La chiesa di Efeso

La prima lettera è quella alla chiesa di Efeso. Questa chiesa si vantava di essere la meglio organizzata e tendeva ad avere la priorità sulle altre chiese della provincia, ma in un ambiente pagano, dove vigeva il culto dell'imperatore, i cristiani di Efeso erano una minoranza obbligata a vivere contro corrente.

Cristo fa otto elogi a questa chiesa, vede innanzi tutto ciò che di positivo. Questa chiesa si è impegnata molto a combattere i falsi apostoli che agiscono all'interno della comunità, diffondendo dottrine che erano in aperto contrasto con il genuino messaggio evangelico.

Ma dopo gli elogi, il tono della lettera cambia. Il Signore mette allo scoperto una grave mancanza di cui la comunità non sembra esserne consapevole. Lo zelo nella difesa dell'ortodossia contrasta con una situazione interna dove il primo amore è stato abbandonato.

L'espressione “primo amore” richiama l'impegno principale che deve distinguere il credente. La Chiesa nasce dall'amore di Cristo, l'amore di Cristo deve essere la sua eterna sorgente; la Chiesa non può farne a meno, non può vivere di rendita.

Credo che il rimprovero sia per noi straordinariamente prezioso, perché vuole significare che, se nell’esperienza cristiana ci sono dei momenti privilegiati - che sono i momenti dell’innamoramento, della sequela del Signore - il tempo rende un poco opaca l’adesione iniziale.

Il credente tende, come succede facilmente, ad imborghesirsi, ad assumere i comportamenti usuali dell’ambiente e viene meno quello splendore della prima adesione al Signore. È la tentazione della Chiesa di tutti i tempi: la mondanizzazione della Chiesa è un rischio e un pericolo costante.

A livello spirituale e a livello pastorale sempre c’è un amore di prima e un amore di dopo. Questo appare anche nella vita coniugale, accade in una comunità parrocchiale, accade in una comunità ecclesiale.

Qual è il cammino di conversione che Gesù propone alla gente di Efeso?

Il ritorno all’amore di prima è disegnato con tre verbi in crescendo e in successione obbligata: innanzitutto fare memoria, (ricorda), poi la conversione, e poi le opere di prima. Il ritorno all’amore di prima non si realizza a partire dalle opere, come tendiamo abitualmente a fare anche noi, ma dal fare memoria.

La memoria a cui è chiamata la comunità di Efeso - e noi tutti - è la capacità di ricordare la costante iniziativa di Dio. Si tratta di ripartire da Dio, liberandoci da quella sorta di neopelagianesimo che inquina tante azioni della nostra vita, quel neopelagianesimo che mette l’io al centro, che mette il noi al centro.

Il secondo passaggio è la via del cuore: la conversione è soprattutto revisione del nostro mondo interiore.

La conversione quindi non è fare qualcosa di diverso, innanzitutto, ma è rivedere l’atteggiamento del nostro cuore. Alla fine solo la via del cuore può sfociare nella via delle mani, le opere. Le opere sono sempre il frutto maturo di una fede radicata nella memoria e nella conversione del cuore.

 

La Chiesa di Pergamo

Pergamo era una delle città più sontuose dell'Asia Minore, al punto di essere paragonata alla stessa Atene per la sua imponente e splendida Acropoli.

In un ambiente simile, caratterizzato dallo stile di vita nettamente pagano, la proposta liberante del messaggio evangelico trovava notevoli difficoltà ad essere accolta. Per questo i cristiani erano tentati di scendere a compromessi con l'accattivante vivacità della città di Pergamo.

Per i cristiani di Pergamo rimanere fedeli al Vangelo comportava quindi perdere la possibilità di fare carriera, di avere un ruolo influente in ambito politico e sociale.

Il fatto sconcertante è che all'interno della chiesa di Pergamo, l'atteggiamento del gruppo, pronto a scendere a compromessi con il sistema dominante, non sembrava creare alcuna obiezione o critica da parte del resto dei credenti.

Pergamo è dunque la chiesa del compromesso, dal momento che al suo interno si diffondono modi di pensare che tendono a riprodurre gli stessi meccanismi perversi del mondo.

Una chiesa pronta a ogni compromesso col potere, pur di ottenere vantaggi e privilegi, è destinata alla sterilità e alla morte. L'alleanza trono-altare è sempre stata una tentazione forte per la Chiesa alleata normalmente con i più potenti anziché con i più deboli. Anche se sempre una parte della chiesa è stata vicina ai più deboli e ai più sofferenti.

Anche noi e le nostre comunità ci troviamo oggi nella medesima situazione con il rischio di lasciarci condizionare dal neo-paganesimo che va sotto il nome di benessere, potere, ambizione, ricchezza. Sono le antiche-nuove divinità.

 

La Chiesa di Laodicea

Laodicea era una prestigiosa città situata sulla via principale che collegava Efeso con le regioni orientali e all'incrocio di altre strade secondarie. Tale ubicazione la rendeva un importante nodo commerciale.

Nella sua ricchezza, Laodicea si illudeva di poter bastare a se stessa. Per il gruppo dei credenti di Laodicea non doveva essere facile evitare il fascino di un ambiente così ricco e prospero. L'influsso di un elevato stile di vita e l'attrazione per la ricchezza erano così forti, che le parole rivolte a quella comunità sono le più dure fra tutte quelle indirizzate alle sette chiese.

Il Signore vede i credenti di Laodicea in uno stato di tiepidezza, situazione fortemente negativa che li porta a una sterile neutralità e a una vita mediocre, -né bene né male- né assenza, né pienezza d'amore.

L'autore dell'Apocalisse quindi ha collocato le parole più severe rivolte a un gruppo di fedeli nella prima e nell'ultima delle lettere alle chiese. Non è casuale che tali tristi situazioni siano riferite alle comunità che si vantano sia della propria ortodossia (Efeso) che della propria ricchezza (Laodicea).

La chiesa di Laodicea non ha i difetti gravissimi di altre chiese: di alcune si dice che hanno abbandonato la fede, che rischiano grandi pericoli interni, che hanno molto deviato. Invece la chiesa di Laodicea è una comunità tranquilla, soddisfatta di sé, che presume di essere a posto.

Dice il cardinal Martini: “è in fondo l'immagine di tante chiese e un po' delle nostre Chiese d'Occidente; non si registrano persecuzioni, non ci sono le povertà proprio delle Chiese di Africa o dell'America Latina, non presentano gravi scandali, funzionano abbastanza bene, sono organizzate sufficientemente. Tuttavia le chiese europee sono in genere corrose dalla tiepidezza, dalla mediocrità, non hanno il senso della urgenza e della gravità del momento”.

La lettera a Laodicea è da un punto di vista, la più severa, dall’altro punto è la più delicata, la più affettuosa. Di fronte alla tiepidezza, il male peggiore, il rimedio è Gesù stesso.

“Io tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo”. Questa è la motivazione vera: se Gesù parla così alla comunità di Laodicea non lo fa perché è arrabbiato ma perché è innamorato di lei e non si rassegna a vederla umiliata e annientata dal male, rosa dal peccato e dalla tiepidezza.

 

Sto alla porta e busso

E Gesù continua: “Ecco sto alla porta e busso”. Questo versetto è uno dei più straordinari di tutte le Scritture. A una chiesa che rischia il suo allontanamento definitivo dall'unica fonte di vita, vengono rivolte le parole più intime e tenere di tutta l'Apocalisse.

La conversione non può mai essere una costrizione, ma dipende dalla libertà delle persone. L'accento non è posto tanto sul bussare alla porta, quanto sulla voce da ascoltare.

Non basta il sentire bussare, l'importante è saper riconoscere la voce di colui che chiede di essere accolto.

L'insegnamento fondamentale è che la conversione non può venire mai tramite minacce di castigo o di condanna, ma attraverso la rinnovata offerta d'amore, raffigurata dall'accoglienza di un ospite che chiede di sedere a tavola.

Il Signore non è il giudice che minaccia di ritirare il suo favore a coloro che hanno tradito la fedeltà a lui, ma l'amico che si avvicina per condividere con l'altro l'affetto, la solidarietà e il sostegno di cui ha bisogno.

 

* presbitero della diocesi di Trento

Settimana residenziale di formazione permanente del Clero 2017

Sintesi e adattamento della Redazione

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Efeso ha scordato il suo primo amore. Siamo guidati nel nostro agire dall’efficienza o dalla fede in Gesù?

•          Pergamo vive di compromessi, scende a patti con “il mondo”.

Quanto anche noi siamo tentati a vendere la nostra fede per un piatto di lenticchie?

•          Laodicea è tiepida, vive nella mediocrità. La santità fa parte del nostro orizzonte o ci è estranea?

 

10-LA CHIESA PRIMA DI COSTANTINO

Tre secoli di crescita nella fede, tra eresie e persecuzioni

 

Terminiamo l’analisi della Chiesa nei primi tre secoli della sua storia con una visione d’insieme che ne evidenzi i pregi ma anche i limiti.

 

di August Franzer*

La chiesa primitiva ha osservato ciò che Cristo ha proposto in un modo e con una purezza tanto singolari da assumere per questo un certo carattere normativo ed esemplare, che non esclude tuttavia la realtà di un ulteriore altrettanto importante sviluppo storico.

 

La diffusione del cristianesimo

Al rapido diffondersi del giovane cristianesimo corrispose anche uno sviluppo interno e un'organica crescita spirituale.

Il giovane cristianesimo doveva ancora conquistarsi il suo posto nel mondo, doveva affermarsi all'interno e all'esterno, e difendere la sua verità.

Apparve perciò necessario una nuova elaborazione teologica, una nuova riflessione più profonda, che rimeditasse i dati della rivelazione alla luce delle esigenze spirituali e religiose delle nuove comunità cristiane.

A quest'opera si accinsero i cosiddetti padri apostolici, i primi apologisti cristiani e i padri della Chiesa.

 

La patristica

Gli scritti dei padri della Chiesa riflettono la consapevolezza della differenza sostanziale che divideva i cristiani dall'ambiente pagano o gnostico.

Quando perciò affrontavano seriamente il dialogo e non esitavano a misurarsi direttamente col mondo spirituale dei loro ascoltatori erano sempre ben coscienti del loro compito missionario, del preciso mandato di salvezza di cui erano stati investiti da Colui che continuava a vivere nella chiesa, per poter sempre rinnovarsi nella sua umanità, in ogni tempo.

Avevano ben presente l’invito di Paolo: “vagliate tutto, tenete ciò che è buono”. Così, infatti, scriveva Clemente Alessandrino: “Con i greci si deve fare il greco, per poter conquistare tutti. Si deve offrire, a coloro che ci chiedono una saggezza che sia loro consueta, ciò che a essi è familiare, affinché possano pervenire, servendosi del loro stesso patrimonio di idee, in modo giusto e più facilmente possibile alla verità”.

 

Le eresie

Il confronto con il mondo culturale pagano o gnostico ebbe anche conseguenze negative.

Le idee di quel mondo circolarono anche tra i credenti e di conseguenza si svilupparono frequentemente opinioni erronee e falsificazioni eretiche contro cui la chiesa dovette prendere severe misure repressive.

Proprio perché era pienamente cosciente di dover portare e conservare in un fragile vaso di creta il prezioso patrimonio della pura verità rivelata, la Chiesa fu costretta a usare una particolare sollecitudine nel difendersi dalle false dottrine.

Soprattutto in tempi in cui si tendeva a facili commistioni sincretiste e in cui si professava un pericoloso relativismo in materia di fede, essa reagì sempre in modo decisamente energico contro il sorgere di opinioni particolari e di eresie.

Eusebio, il padre della storia della chiesa, già aveva constatato che, nel II secolo, il cristianesimo era stato minacciato in modo assai più grave all'interno, dalle eresie e dai contrasti dottrinali, di quanto lo fosse stato esternamente dalle persecuzioni.

 

Il tempo storico che ora viviamo non è molto dissimile da quello dei primi secoli. I credenti sono tra loro divisi: lo vediamo, per esempio, nelle pesanti critiche che vengono rivolte al magistero di papa Francesco.

Lo vediamo nell’incapacità di reagire in modo concorde alle varie forme di denigrazione della fede cristiana.

 

Le persecuzioni

Nel primo secolo il cristianesimo fu considerato come una setta ebraica e godette della tolleranza riservata alla religione ebraica. L’unica grande persecuzione fu quella di Nerone, attuata per poter scaricare sui cristiani la colpa dell'incendio di Roma.

Solo dopo il 100 d.C. il cristianesimo, ormai considerato come religione autonoma, fu perseguitato come religio illicita, nemica dello Stato e della società umana.

I cristiani, infatti, non potevano riconoscere il culto Imperiale, potevano pregare per l’imperatore, ma non offrigli sacrifici e praticare forme di culto.

Così, quanto più il culto imperiale si consolidò in forme religiose, divenendo pietra di paragone della fedeltà allo stato, tanto più i cristiani furono considerati avversari dell'impero romano.

Il cristianesimo pur rappresentando soltanto una microscopica minoranza nell'Impero Romano, con la sua pretesa universale minava, in modo assai diverso dagli altri culti, i fondamenti dell'impero universale romano.

Il conflitto era quindi inevitabile e nel secondo e terzo secolo fu provocato proprio da quegli imperatori che, da abili sovrani, si adoperarono per il rinnovamento dello Stato e per il consolidamento dell'impero su base religiosa.

 

Un esempio da imitare

L'impero romano era uno stato basato sul diritto. L’importanza del diritto romano fu tale che venne applicato nella maggior parte dell'Europa occidentale fino alla fine del XVIII secolo.

Quando procedette violentemente contro il cristianesimo ancora oggi non riusciamo a capire chiaramente quali motivi avesse per farlo.

Tertulliano, infatti, rimproverava allo stato romano di procedere senza una precisa base giuridica e in un modo completamente incoerente contro i cristiani.

“Se i cristiani sono dei delinquenti perché non si dà loro la caccia? E se invece non sono dei malfattori e non c'è bisogno di indagare su di loro, per quale ragione li si condanna e li si punisce?”.

La sua era una vera e propria messa in discussione del sistema giuridico romano, una vera e propria krisis.

 

Ci stiamo avvicinando velocemente a fare, anche in Occidente, esperienze di persecuzione più o meno esplicite.

Scrive Laura Verrani (1): “Oggi, in Italia, non rischi la vita però, ad essere cristiani seri, forse rischi la carriera perché fai delle scelte lavorative, delle scelte economiche che probabilmente sono un po' alternative rispetto ai comportamenti della maggioranza. Di conseguenza stai sul lavoro in un altro modo e questo ti penalizza, non solo nel lavoro ma anche nello stipendio. A noi non tagliano la testa però quando non arrivi a fine mese è la tua vita che in gioco”.

 

1 Vedi GF105, Famiglia: solo chiesa domestica o modello per la Chiesa?

 

* Breve storia della Chiesa, Editrice Queriniana, Brescia 201412

Sintesi e adattamento della Redazione

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Quando parliamo di fede, sappiamo adattare il nostro linguaggio a quello dell’interlocutore o ripetiamo solo il catechismo?

•          Sappiamo difendere le nostre scelte di fede in modo fermo ma attento all’altro?

•          Quali rinunce abbiamo fatto per onorare la nostra fede?

 

11-LA CHIESA DOPO COSTANTINO

La seduzione del potere

 

di August Franzer*

L'atteggiamento favorevole assunto da Costantino verso il cristianesimo provocò un profondo mutamento del corso degli eventi. Esso fu un fatto storico di importanza mondiale che dette inizio, non solo per lo stato romano, ma anche per la Chiesa a un'epoca completamente nuova.

Dopo la cosiddetta “conversione” di Costantino nel 312 d.C., l’imperatore favorì il cristianesimo in ogni modo, pur mantenendo ancora intatti sia il culto di Stato pagano che gli altri culti.

Ma, soprattutto, l'imperatore concesse ai Vescovi del suo impero pieni poteri di giurisdizione e si adoperò attivamente per consentire l'inserimento della Chiesa nell'apparato statale.

 

Dalla persecuzione al trionfo

Se fino all'epoca di Costantino la Chiesa era stata sempre osteggiata, perseguitata e disprezzata ora, all'improvviso, veniva favorita, privilegiata e viziata dallo stesso Stato.

L'antico sogno, tanto accarezzato, di ricondurre il mondo a Cristo sembrava quasi potesse tradursi in atto.

Le masse affluirono nella chiesa e la loro presenza e l'assistenza spirituale di cui necessitavano richiese forme di organizzazione e metodi pastorali del tutto nuovi.

L'ebbrezza generale di trionfalismo che si era impadronita di vasti ambienti della chiesa fece sì che il distacco dal mondo si trasformasse fin troppo rapidamente in ottimismo culturale, fin troppo aperto al secolo.

Gli uomini di chiesa erano del tutto impreparati ad affrontare questo tempo favorevole, e dovevano ancora sperimentare che in certi casi quest'ultimo può essere ancora più dannoso della persecuzione.

 

I pericoli del successo

Si passò rapidamente da una Chiesa d’élite, nella quale avevano finora trovato accesso solo fedeli profondamente convinti e disposti persino ad affrontare il martirio, a una chiesa delle moltitudini, nella quale penetrarono anche uomini politici ambiziosi, e spiriti privi di un vero interesse religioso.

Il pericolo non veniva solo da possibili slittamenti nella superficialità religiosa, nella superstizione e nel paganesimo ma soprattutto dal rischio della secolarizzazione e dell’asservimento della religione a fini esclusivamente politici.

A questi pericoli va però contrapposto lo slancio missionario, la passione con cui furono affrontati e risolti problemi religiosi e teologici, e soprattutto lo sviluppo assunto dal monachesimo e grande numero dei Santi di questo periodo. Tutto ciò conferisce al tempo post-costantiniano, nonostante le sue molteplici debolezze e pericoli, i caratteri di una grande epoca della storia della Chiesa, piena di dinamismo e di vero spirito cristiano.

 

Il monachesimo

In questo contesto di luci e di ombre brilla il monachesimo, risposta divina alle difficoltà dell'epoca.

Con impeto singolarissimo ed elementare esso fece la sua comparsa in epoca costantiniana e, nel quarto e quinto secolo, crebbe fino a divenire un vero e proprio movimento, in cui confluirono tutti gli strati del popolo cristiano.

Quest’epoca testimonia soprattutto una vigorosa tendenza ascetica, le cui radici risalivano ai tempi delle ultime persecuzioni. I migliori fra i cristiani sentirono il dovere della loro santificazione, in armonia con le parole del Vangelo, e negli asceti e nei monaci cristiani tornò a rivivere, in qualche modo, il carisma del primitivo cristianesimo, vale a dire quell'entusiasmo e quella fede, orientata escatologicamente, che caratterizzarono i primi tempi della Chiesa.

Sembrò quasi che lo spirito dei martiri rivivesse in quello dei monaci e degli asceti, uomini interamente dediti a Dio e fermamente decisi a conformare la loro vita a quella di Cristo.

 

I grandi concili

Proprio nel momento in cui Costantino decise di stabilire la Chiesa Cattolica Cristiana a fondamento del suo impero universale, fu costretto a constatare che questa Chiesa non era affatto così unita e compatta come egli aveva invece creduto.

Essa era infatti terribilmente lacerata da controversie teologiche come la dottrina della Trinità e la dottrina cristologia.

Poiché all’imperatore premeva soprattutto la reintegrazione dell'unità della Chiesa, convocò, nel 325, i vescovi di tutto l'impero per un concilio generale a Nicea, il primo concilio ecumenico. A questo seguirono, nel tempo, i concili di Efeso, Calcedonia, Costantinopoli.  Queste assemblee stabilirono in modo definitivo la questione trinitaria e cristologica.

Il loro contenuto, in sintesi, è quello che professiamo ogni domenica recitando il Credo niceno-costantinopolitano.

Queste assemblee si svolsero sempre sotto l’egida imperiale, influenzate dal diritto romano e furono, a volte, molto burrascose. Di conseguenza, il loro risultato non fu mai pienamente soddisfacente e le eresie continuarono a segnare la storia della Chiesa.

 

La caduta dell’Impero

La divisione dell’Impero tra Oriente e Occidente comportò una progressiva separazione tra i cristiani.

La Chiesa di Costantinopoli fu attratta sempre più nell'orbita del potere imperiale bizantino, mentre in Occidente, la decadenza dell'impero favori l'autonomia della chiesa.

Papa Leone Magno mosse coraggiosamente incontro ad Attila, re degli Unni e ottenne che Roma fosse risparmiata. Grazie a questo intrepido pontefice la posizione del papato fu consolidata in modo tale che esso poté superare senza difficoltà la difficile crisi che seguì la fine dell'Impero Romano d'Occidente.

 

Il medioevo

L’intero periodo storico che segue, compreso fra classicità e Rinascimento, per molto tempo è stato semplicemente definito come “barbaro Medioevo”.

Eppure se fu possibile la rinascita del 1400, questa si deve al ruolo esercitato dalla Chiesa d’Occidente nel mediare tra i popoli latini e quelli germanici.

Quel periodo ha segnato anche la vita interna della chiesa, che ha conservato per lungo tempo forma e istituzione medievali e che sono state spazzate via, in parte, soltanto dalla Rivoluzione Francese, dall'illuminismo e dalla successiva secolarizzazione.

 

Siamo stati molto sintetici nel presentare la Chiesa dopo Costantino, anche perché molti dei difetti presenti in essa sono riscontrabili anche oggi.

L’immagine che compare in questa pagina, con san Francesco d’Assisi che sostiene la Chiesa, ci rimanda alla nascita degli ordini mendicanti (domenicani e francescani) a cavallo del 1200.

Oggi, di quale tipo di santi ha bisogno la Chiesa?

 

* Breve storia della Chiesa, Editrice Queriniana, Brescia 201412

Sintesi e adattamento della Redazione

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Un cristiano impegnato in politica a quali patti deve venire con la propria coscienza?

•          Come coppia e come famiglia quale aiuti possiamo trovare nel monachesimo attuale?

•          Fino a che punto ci riconosciamo nella professione di fede che recitiamo ogni domenica a Messa?

 

12-UNA CHIESA - MONASTERO

Stanno per venire inverni gelidi ma il seme va conservato, se vogliamo che possa nuovamente fiorire quando ci saranno condizioni migliori.

 

Dopo aver analizzato il passato, soprattutto la Chiesa dei primi tre secoli, proviamo ora a dare uno sguardo sul futuro prossimo. Che modello di Chiesa dovremmo adottare per vivere la fede come “minoranza”?

In questa pagina e nelle successive vi proporremo tre modelli, molto diversi tra loro, con i loro punti di forza e le loro debolezze.

Sono solo brevi flash, per l’approfondimento vi rimandiamo alla lettura dei testi da cui li abbiamo tratti.

 

a cura della Redazione

“In un mondo sempre più ostile ai valori cristiani, dove neanche i politici di destra possono garantire in prospettiva il rispetto di questi valori, è forte la tentazione di riunirsi in piccoli gruppi sufficientemente autonomi in cui vivere il cristianesimo.

Si tratta di una vera e propria fuga dal mondo attuale, il mondo della modernità che ha scalzato i principi su cui si reggeva il mondo medioevale.

Quel mondo aveva per centro Dio, l’uomo era parte di un tutto armonioso, ordinato da Dio e dove ogni cosa rimandava a Lui.

Non si tratta di una fuga fine a se stessa, ma che ha lo scopo di riscoprire quell’unità tra reale e trascendente che la modernità, scientista e atea, ignora o nega, considerando validi solo i dati empirici”.

Sono queste le idee di fondo che Rod Dreher presenta nel suo libro: L’opzione Benedetto. Una strategia per cristiani in un mondo post-cristiano (1).

L’autore è nord-americano e la sua proposta è calata nella cultura di un popolo che è molto religioso, anche se ciò non significa credente.

 

Le strategie da adottare

Dal punto di vista politico Dreher constata che gli spazi di manovra dei credenti si riducono sempre di più.

A suo avviso si approssima il momento in cui bisognerà scegliere tra essere buoni cristiani o essere buoni cittadini, perché abbiamo alle porte una nuova forma di despotismo che, attraverso l’educazione, impone ogni giorno di più una visione anticristiana su sesso, sessualità, valori, ideali.

Dal punto di vista religioso Dreher propone una sorta di “ecumenismo delle trincee”: non interessa tanto la chiesa di origine ma l'adesione ad una chiesa che sia molto legata alla tradizione, come può essere per esempio quella ortodossa.

Serve una Chiesa che non parli come “il mondo” e mantenga la propria dottrina integra, il proprio culto liturgico, pratichi l'ascesi, il digiuno, l’astinenza e una radicale coerenza di vita.

L’autore è consapevole che una simile chiesa correrà il rischio della persecuzione e del martirio.

Dal punto di vista familiare Dreher ritiene che sia necessario trasformare le case in monasteri domestici, dove Dio ha il primo posto, per esempio essendo costanti nella preghiera in famiglia e praticando la “continenza” nei confronti di televisione e internet.

La famiglia è chiamata a vivere vicino agli altri membri della propria comunità, ponendo il luogo di culto come centro della propria vita, e non solo come luogo dove si va la domenica.

Dal punto di vista dell’educazione non è pensabile mandare i figli nelle scuole pubbliche o confessionali in cui vengano insegnate idee contrarie alla fede tradizionale (come idee gender, atee e relativiste) ed è necessario quindi istituire o sostenere nuove scuole private che garantiscano una educazione legata ai più autentici valori della tradizione, in un ambiente adeguato allo sviluppo di tutti gli aspetti della personalità, compreso quello spirituale.

Dal punto di vista sociale alcune professioni, come quella di medico (obiezione di coscienza), insegnante nella scuola pubblica (teorie evoluzioniste e gender), giudice… potrebbero esigere con forza sempre maggiore che si “bruci incenso” alle autorità civili. Allora potrà essere necessario svolgere delle attività più manuali.

Servirà anche sostenere le imprese cristiane, riscoprire forme di imprenditorialità artigianale e di piccola industria che permettano di creare posti di lavoro, preparandosi anche ad essere più poveri e marginalizzati, se questo è il prezzo da pagare.

 

Un’analisi critica

Ci sono molti argomenti su cui si può concordare con Dreher, ma è il contesto in cui vengono presentati che inquieta (2).

I cristiani dei primi secoli erano buoni cristiani e buoni cittadini, anche se vivevano in una società con valori completamente diversi dai loro.

Vivevano nel mondo pur nella consapevolezza di non essere del mondo (3).

Era gente che, pur sapendo di poter essere perseguitata, non aveva paura di esporre le proprie idee, come ben leggiamo in numerosi episodi descritti negli atti degli Apostoli.

Questo rinchiudersi intorno al “campanile” ricorda una chiesa “medioevale”, una società statica, una fede di appartenenza più che una fede incarnata.

Anche la Chiesa primitiva aveva una base familiare, come ben ci ha ricordato Laura Verrani (4). Ma non è la famiglia che deve essere piccola chiesa, ma è la chiesa che deve essere una grande famiglia.

Però su un punto Dreher ha ragione: la dimensione comunitaria non fa parte di solito della nostra esperienza di chiesa.

Scrive Armando Matteo (5): “son ben pochi i luoghi in cui i laici possano prendere la parola, comunicare la loro esperienza di vita, le loro domande, le loro scoperte, i loro pensieri sull'essere nel mondo”.

I cristiani dei primi secoli iscrivevano i loro figli alla scuola pagana (quando ne avevano i mezzi economici perché era privata e molto costosa). Desideravano che i loro figli conoscessero la cultura del tempo (senza la quale era impossibile avere una vita sociale) in modo però critico.

E per insegnamento religioso? Questo avveniva tra le mura domestiche.

Bisogna riconoscere che è proprio a causa di questo tipo di studi (paganesimo da una parte, cristianesimo dell’altra) nacquero le numerose eresie che interessarono il primo cristianesimo. Scriveva Infatti sant’Agostino: “Soltanto uomini grandi hanno prodotto eresie” (6).

Anche nella chiesa dei primi secoli c'erano professioni che non si potevano praticare perché ritenute moralmente incompatibili con il cristianesimo come essere gladiatori o essere attori o scultori.

Questo non tanto per la professione in sé quanto per il contesto in cui queste professioni venivano esercitate: la violenza e la crudeltà esibita nei circhi, la volgarità presente in molti spettacoli teatrali, la riproduzione di idoli pagani.

Ragionando oggi sulle professioni, c'è da chiedersi non sia il caso di praticare l’obiezione di coscienza non solo negli ambiti indicati da Dreher, ma anche in altri ambiti che l’autore non considera.

È lecito p.e. per un cristiano contribuire alla produzione di armi e strumenti militati, lavorare in un’industria altamente inquinante, operare nella finanza speculativa?

Il libro di Dreher ha comunque il merito di aver dato voce a un sentimento più diffuso di quanto molti non pensassero tra i cristiani del mondo occidentale (7).

 

1 Edizioni San Paolo, Milano 2018

2 Le osservazioni sono tratte da: L. Luganesi, Vivere da cristiani in un mondo non cristiano

3 Lettera a Diogneto, VI 1

4 vedi GF105, p.4-7

5 La fuga delle Quarantenni, vedi anche GF106, p.9

6 A. Franzer, Breve storia della Chiesa

6 L. Luganesi, opera citata.

 

Come possiamo essere “sale della terra” se di fronte

all’aggressione della modernità ci ritiriamo dal mondo?

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Cosa possiamo valorizzare della proposta di Dreher e cosa dobbiamo invece escludere?

•          Quanto la scuola influisce sul modo di pensare dei nostri figli?

•          Quali aspetti della nostra professione ci mettono a disagio come cristiani?

 

13-UNA CHIESA PER LA MODERNITÀ

Servono nuovi linguaggi e immagini per farsi comprendere dagli uomini di oggi, così segnati dallo scientismo.

 

Se il primo modello proposto è quello medioevale, scelto per la sua unità tra fede e vita, il secondo è esattamente all’opposto.

Come può una Chiesa con una struttura di pensiero medioevale essere capita dall’uomo di oggi, che vive in una società scientista?

 

Di Roger Lenaers*

Fino al XVI secolo la Cristianità, come ogni altra cultura del passato, concepiva il nostro mondo come totalmente dipendente da un altro mondo, immaginato e modellato alla stregua del nostro mondo.

Era il mondo di Dio, collocato al di sopra del nostro mondo, in “cielo”.

 

La fine del “cielo”

Ma, da allora, l’emergere delle scienze esatte portò lentamente alla comprensione che il cosmo non segue direttive soprannaturali: segue le proprie leggi, leggi che possono essere calcolate, in altre parole è autonomo.

La nozione di autonomia porta in sé la pretesa che nel caso di contraddizione tra dogma e scienza la risposta corretta sia quella scientifica.

La Chiesa, che sotto i regni assolutisti del XVI - XVII secolo aveva vissuto una situazione di grande privilegio, non fu in grado di accettare questa subordinazione.

La messa in discussione dei dogmi era considerata inconcepibile e poteva significare il crollo dell'intera chiesa e del suo divino fondamento.

Se la chiesa avesse accettato di riconoscere che tutta una serie di fenomeni fisici e psichici che fino a quel momento erano stati percepiti come il risultato di interventi ultramondani (epidemie, terremoti, guarigioni improvvise, apparizioni) fossero stati riconosciuti come l'effetto di forze intramondane la gente sarebbe stata capace di vedere la profonda sacralità interna e soggiacente a questi fenomeni terrestri, perché in tal caso avrebbe trovato sempre Dio, sia pure in forma diversa rispetto a prima.

Ciò non è accaduto e all’affermazione del principio di autonomia e si è accompagnato l'annuncio della morte di Dio e alla nascita del moderno ateismo.

 

Accettare il principio di autonomia

Oggi, se vogliamo garantire il futuro della Chiesa siamo chiamati a ripensare il messaggio cristiano in termini di autonomia. Ciò significa accettare l’idea che esista un solo mondo: il nostro; ma questo mondo è sacro perché è la costante autorivelazione del sacro mistero che chiamiamo Dio.

I progressisti non dovrebbero ritenere i conservatori ostinati e ingenui: la tradizione del pensiero teologico del passato testimonia uno straordinario acume e sottigliezza.

D'altra parte, i conservatori dovrebbero cessare di accusare i loro compagni credenti più progressisti di rigettare la verità rivelata e di condannarli come eretici. Si tratta semplicemente di due diversi ma ugualmente fedeli approcci allo stesso mistero che è sempre più grande delle nostre menti e dei nostri cuori. Perché tale è Dio: sempre più grande.

 

I “miti” cristiani

La maggior parte delle dottrine della Chiesa si fondano su racconti mitici.

I miti non sono favole ma storie profonde con cui un popolo o una cultura danno una risposta circa le forze che dominano la vita umana e i rapporti tra queste forze e noi. Del Mistero e del suo rapporto con noi possiamo solo parlare per immagini, cioè attraverso miti. Il problema è quando questi miti vengono confusi con la realtà.

I cristiani sono chiamati da una parte a riscoprire la ricchezza nascosta sotto il linguaggio mitico e dall’altra a riformularlo in un linguaggio comprensibile del XXI secolo.

Un esempio classico della necessità di una nuova riformulazione è dato dell'accettazione della teoria dell'evoluzione.

 

Il peccato originale

La teoria dell'evoluzione contraddice in modo flagrante la rappresentazione biblica della creazione e del peccato originale, in quanto spiega l'origine delle specie, fino a includere quella umana, come un processo naturale di sviluppo infinitamente lento, le cui leggi questa teoria avrebbe quasi del tutto scoperto, e non come opera di creazione da parte di Dio-in-cielo.

Se il peccato originale fosse soltanto di un avvenimento primordiale, un fatto accaduto all'inizio della storia dell'uomo, potremmo facilmente classificarlo tra gli altri eventi del passato e non preoccuparci oltre.

Ma non è questo il caso: questo evento primordiale ha conseguenze disastrose sul nostro oggi.

A livello di mito, la tragedia della morte, nella specie umana, proviene esclusivamente da lì, è ciò vale per ogni cosa sbagliata dell'uomo e della società, fino ad includere le doglie del parto per la donna e per ognuno la fatica di guadagnare il pane quotidiano.

Se viene meno la dottrina del peccato originale, molte altre vengono messe in discussione.

Per esempio la spiegazione del battesimo come cancellazione del peccato primordiale; la spiegazione della morte di Gesù in croce come un sacrificio di espiazione per i nostri peccati, con tutte le conseguenze per la comprensione dell'Eucaristia; il dogma dell'Immacolata concezione di Maria, che viene a perdere il suo fondamento.

 

Una nuova tradizione

La contraddizione nell'accettare simultaneamente la teoria dell'evoluzione e la dottrina del peccato originale è solo uno dei tanti conflitti tra un pensiero autonomo “inconscio” che ormai abbiamo fatto nostro e concetti religiosi tradizionali.

L'intera dottrina Cristiana pertanto ha urgente bisogno di venire tradotta nel linguaggio del XXI secolo anche se il risultato di questo tentativo di traduzione non sarà sempre soddisfacente. Ci stiamo imbarcando nell'esplorazione di una terra appena scoperta sulla via sulla quale appunto non ci sono ancora sentieri. I sentieri, tuttavia, si concretizzeranno quando molte persone cominceranno ad andare e venire.

 

Non ci addentriamo oltre nell’esposizione delle idee dell'autore. Chi è interessato può approfondirle leggendo il libro da cui abbiamo tratto questi spunti. Da parte nostra osserviamo come il suo pensiero sia troppo radicale, troppo razionale, troppo occidentale.

Il suo è un pensiero stoico che lascia poco spazio alla Grazia e alla consolazione, un pensiero in cui la Parola ha poco spazio perché considerata troppo segnata dalla cultura in cui ha avuto origine.

Tuttavia, il testo presenta spunti e critiche interessanti che non è giusto lasciar cadere senza averle prima valutate, secondo il principio del “vagliare tutto, tenere ciò che è buono”.

* Il sogno di Nabucodonosor o la fine di una Chiesa medioevale, Massari Editore, Bolsena (VT) 2009.

Sintesi e adattamento della Redazione

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Il libro di Lenaers ci mette di fronte ad una domanda: quanto ne sappiamo dei fondamenti della nostra fede?

•          Anche se la nostra fede si manifesta nella carità, come la narriamo agli altri, quali “miti” usiamo?

•          Con quale spirito critico leggiamo autori che mettono in dubbio i miti fondanti della nostra fede?

 

14-UNA CHIESA DI “ESPERIENZA”

Il cristianesimo di “esperienza” crede che l’evento aperto dalla parola del Vangelo possa divenire un evento anche per lui.

 

L’ultimo modello di Chiesa che vi proponiamo non guarda né al passato, in attesa di tempi migliori, né alla necessità di essere compresa dalla società del XXI secolo, ma al Vangelo, con la maiuscola, che annuncia un modo di vivere diverso, pieno, rivoluzionario.

 

di Dominique Collin*

Se il mondo oggi non è più cristiano, forse è perché non lo è mai stato, forse è perché il Vangelo non è mai stato accolto.

Per Vangelo non intendo uno dei quattro testi che il cristianesimo ha ritenuto fondanti per la sua fede - quel messaggio su cui si è basata una religione con le sue credenze e le sue norme rituali e morali - quanto piuttosto il suo contenuto profondo, quella “buona notizia” che ci dice, ieri come oggi, che è che possibile esistere in maniera diversa.

Il Vangelo ci mostra quanta strada deve ancora fare il Cristianesimo per arrivare al suo compimento, per aprirsi a ciò che non è ancora: “un cielo nuovo e una terra nuova”.

 

Una Parola “nuova”

Non sappiamo più tanto bene che cosa sia la fede, perché l'abbiamo sostituita con un assenso più o meno convinto a una dottrina o a quella che chiamiamo, senza convinzione, la spiritualità o, ancora più pigramente, la ricerca di senso.

Ma il Vangelo è un messaggio gioioso solo nella fede. Se si toglie la fede, non c'è più cristianesimo.

Ciò significa che ogni pastorale animata dal bisogno di attirare nuovi fedeli nel cristianesimo storico, in una società ormai indifferente alla Chiesa, non solo è improduttiva, ma anche destinata all'insuccesso.

Invece, dovremmo usare le nostre energie per mostrare al mondo come il Vangelo propone una maniera di esistere diversa.

Siamo chiamati, come cristiani, a osare una Parola creatrice e nuova, evitando di cadere nella trappola della conservazione del Cristianesimo (il che lo ridurrebbe a ruolo del museo) o della sua modernizzazione (perché si modernizza soltanto ciò che è già invecchiato e passato) o ancora del suo adattamento alla mentalità attuale (l'adattamento è segno di una compromissione e di una abdicazione).

 

Credenza e fede

Vi sono due tipi di cristianesimo, quello di appartenenza e quello di “esperienza”.

La preoccupazione del cristianesimo di appartenenza consiste nell'essere attraenti sul mercato dei bisogni religiosi dell'io di cui il primissimo è quello di sentirsi valorizzati da Dio e dalla comunità delle persone di valore che sono i credenti.

Questo cristianesimo, in passato, vendeva credenze (oggi meno attraenti sul mercato del religioso); oggi vende valori (più facili da negoziare) e riti (che non passano di moda).

Così molti genitori vendono ai loro figli un po' di credenza narcisistica, in se stessi o in Dio, un Dio che ha dato buona prova di sé... poiché si crede ancora in Lui.

Ma i giovani capiscono molto velocemente che il denaro o il successo soddisfano in modo molto più sicuro questo bisogno narcisistico in confronto alla preghiera o alla partecipazione alla messa…

Il cristianesimo di “esperienza” crede che il Cristo sia colui che ci precede sul cammino di una vita nuova, crede nella possibilità che l’evento aperto dalla parola del Vangelo possa divenire un evento anche per lui.

Così l’evento Cristo non è oggetto di una credenza, ma un atto di fede che ha senso solo per colui che vive di esso.

Infatti, non basta che il cristianesimo sia stato reso possibile un tempo mediante l'evento di parola che chiamiamo il Vangelo; dobbiamo ancora operare per rendere possibile di nuovo il suo avvento.

L'amore ci insegna che la fedeltà all'evento che lo ha fatto nascere non è di conservazione, ma di invenzione.

Se non reinventiamo, giorno dopo giorno, la nostra relazione di coppia questa appassisce e muore, se non ci diciamo “ti voglio bene” ogni giorno, l’amore da “esperienza” diventa “credenza”: crediamo di amare ma in realtà proviamo solo più, quando va bene, affetto.

Questo vale anche per il cristianesimo: esso non ha la vocazione di conservare il Vangelo, ma di inventarlo giorno dopo giorno come Parola capace di dire all'uomo di oggi a quale vita-vivente, vita piena, egli è destinato.

È per questo che il cristianesimo “non esiste” ancora; non c’è un cristianesimo primitivo da ritrovare o un cristianesimo attuale da "riformare" per fargli ritrovare una presunta perfezione delle origini ma c’è un cristianesimo che dobbiamo rendere possibile giorno dopo giorno.

Vivere questo cristianesimo è comunque sempre un dono di grazia che siamo invitati ad accogliere nella fede, nell'amore e nella speranza.

 

L’impensato del Vangelo

Il vangelo è davvero Vangelo solo nella misura in cui non proviene da noi, dai nostri desideri, dalle nostre piccole “felicità” ma dal Cristo.

Non è che il Vangelo sia contro il desiderio, al contrario; ma ci fa desiderare ciò che il nostro “piccolo” desiderio non sospetta nemmeno.

Infatti, il messaggio del Vangelo è inverosimile (fino alla "follia" del paradosso) e impossibile (fino allo scandalo) come ci ricorda Marco: “Chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà”.

Il Vangelo diventa una lieta notizia solo per colui che osa staccarsi da se stesso, voltare le spalle al proprio io, per provare a diventare quel sé che corrisponde al desiderio di Dio su di lui e che non esiste... ancora.

Il cristianesimo esiste solo quando spiega come il sé passi attraverso il distacco da se stesso, mentre non esiste quando il suo discorso rafforza l'io nei suoi bisogni religiosi o spirituali.

 

L’amore di Dio

Quando Il cristianesimo parla dell'amore come una cosa evidente, naturale, alla maniera di tutti, dimentica che l'amore, inteso come dono, è il segno ancora ampiamente inedito della presenza del Regno fra di noi.

Solo Dio può dare all’uomo l'amore con cui egli ama e di cui parla il Vangelo. Ora, questo amore resta impossibile da concepire finché non viene ricevuto come dono. È ciò che dice la prima lettera di Giovanni: “Solo colui che ama come Dio conosce chi è Dio”.

L'amore merita veramente il suo nome solo quando riconosce il fatto che sono amato dall'Altro, come dice ancora la lettera di Giovanni: “Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo”.

Qual è la caratteristica dell'amore di Dio? Dal fatto che egli ama il non-amabile.

Infatti il Vangelo dice: “Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano”. Un invito estremamente inverosimile - perché chiede di amare il non-amabile - e anche impossibile - perché chiede di fare a meno della vendetta.

Questa non è la sola parola inverosimile e impossibile del Vangelo: potete prendere tutte quelle dette nel sermone della montagna (Mt) e constaterete che rasentano l'inverosimile e l'impossibile.

Quale sia il carattere inverosimile nel Vangelo ce lo ricorda Paolo: “Ciò che è stoltezza di Dio e più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini”.

 

Vita e Vangelo

Questo modo di vivere il cristianesimo si manifesta attraverso la testimonianza del modo in cui il Vangelo diventa il motore della nostra esistenza.

Il Vangelo non ci fornisce una fede supplementare da aggiungere alla vita ma una fede elementare che è alla base di ogni desiderio di esistere.

E questa fede ogni giorno ci sfida a pensare con la nostra testa, a non lasciar condizionare le nostre scelte dall'opinione pubblica o da un qualunque altro potere.

Quindi, non si tratta tanto di trasmettere ciò che Dio ha detto quanto di dire in che cosa Egli mi parla, sia in ciò che è religioso sia in ciò che è mondano (e, il più delle volte, sarà così).

Il cristianesimo non ha la vocazione di fare memoria delle parole buone di Gesù, ma di permettere la parola di fare ciò che dice, cioè di rifare in noi ciò che essa significa. Insomma, invece di parlare del Vangelo, dobbiamo imperativamente far parlare il Vangelo.

 

* Il cristianesimo non esiste ancora, Editrice Queriniana, Brescia 2020

Sintesi e adattamento della Redazione

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          In quale occasione o circostanza ci siamo convertiti al Vangelo, cioè abbiamo dato una nuova direzione alla nostra vita?

•          Quanto è ancora vivo in noi la “fiamma” di quella conversione? Cosa ci servirebbe per riavvivarla o va bene così?

•          Se il messaggio del Vangelo è impossibile e inverosimile perché “crediamo” ancora?

 

15-ESSERE CHIESA NELLA MARGINALITÀ

Una testimonianza dalla Mongolia

 

di Giorgio Marengo, IMC*

Da diciotto anni mi trovo in Mongolia come Missionario della Consolata e da quasi uno sono diventato il vescovo di questa Chiesa. Poco più di milletrecento cattolici locali, su una popolazione di tre milioni e duecentomila abitanti, sparsa su un territorio grande cinque volte l’Italia.

Come descrivere questa esperienza ecclesiale? Forse si potrebbe usare l’immagine della Chiesa degli Atti degli Apostoli. Non perché possa vantare chissà quale primato, ma per il fatto che si possono individuare alcuni punti di contatto tra la realtà delle origini e quella vissuta nel grande Paese asiatico.

Provare a considerarli può essere di aiuto anche alle comunità che vivono oggi la fede nel contesto post-moderno occidentale, fortemente segnato da un ritorno alla marginalità.

 

Relativizzare il passato

Il non avere peso nella società, l’occupare posizioni per lo più defilate e l’esiguità numerica sono quasi sempre associati all’idea della sconfitta o quanto meno di un errore procedurale, da correggersi per ritornare prima possibile alle condizioni perdute.

 Questa reazione, comprensibile e piuttosto diffusa, in realtà parte dal presupposto che il punto di riferimento obbligato sia la condizione in cui si vennero a trovare i Paesi europei tra la fine del XIX e la metà del XX secolo, quando si registrò una fioritura di opere ecclesiali e una grande abbondanza di fedeli e di clero che non avevano precedenti. Se si insiste a considerare quell’esperienza come normativa - dimenticando che è stata un caso più unico che raro nella storia - oggi che le condizioni sono profondamente cambiate ci si sente mancare la terra da sotto i piedi, mentre si abbattono i numeri e si sgretolano le strutture.

In realtà abbiamo l’occasione di approfondire le ragioni della fede e di allargare lo sguardo sui duemila anni di evangelizzazione che segnano la storia della Chiesa, forse giungendo anche a relativizzare il tempo che ci ha immediatamente preceduti. Per questo è importante ritornare alla Chiesa delle origini e a quelle forme attuali che la ricordano più da vicino.

 

Israele come “resto”

Si potrebbe iniziare confrontandosi con il concetto di “resto”, ovvero una categoria di auto-comprensione teologica che Israele ha sviluppato e depositato nella Scrittura a partire dalle successive esperienze lungo la sua storia (1). Essa costituisce uno dei cardini della speranza biblica e nasce dalla constatazione che il popolo di Dio passa attraverso una costante purificazione lungo la storia.

Prima dell’esilio babilonese pensare a un resto aveva a che fare con l’esperienza tragica delle guerre e delle decimazioni, che rischiavano di cancellare Israele dalla faccia della terra.

Con la svolta dell’esilio diventa chiaro che quella porzione di popolo scampata alla deportazione non è necessariamente migliore di quella finita a Babilonia e dunque che il dato della sopravvivenza da solo non basta: il vero resto è quello fedele e povero, la frazione che rimane viva nella fede anche attraverso la prova e che funge da testimone.

Cresce anche all’interno di tale resto una figura che in qualche modo lo personifica: è il Servo di JHWH (cfr. soprattutto il profeta Isaia), depositario di una missione.

Saranno i “poveri di JHWH”, vero resto fedele, quelli che riconosceranno in Gesù il Messia e nel Nuovo Testamento la parola “resto” troverà la sua applicazione definitiva alla Chiesa, comunità dei credenti che pur attraversando  grandi tribolazioni, rimane fedele e porta avanti una missione specifica, quella ricevuta dal Risorto.

 

La Chiesa come “lievito”

Il tema del poco in confronto al molto (o degli ultimi rispetto ai primi) è una costante della predicazione di Gesù.

Le immagini da Lui usate per alludere al Regno di Dio convergono tutte su una sproporzione: un pizzico di lievito che fa fermentare molta farina, la luce di una candela dentro una stanza buia, il granello di senape che è il più piccolo di tutti i semi…

Gesù non ha usato paragoni che facessero pensare a grandezza, influenza, potere; al contrario ha voluto istruire i suoi ascoltatori sul rovesciamento dei criteri umani, incluso quello dei grandi numeri che dovrebbero certificare il valore e il successo.

È un dato di fatto che l’indomani della Pentecoste i primi credenti radunati intorno agli Apostoli fossero uno sparuto gruppo che doveva confrontarsi con una realtà complessa e per lo più ostile. Eppure questa consapevolezza non frenò il loro slancio e non trasformarono la teologia del “resto” in quella del ghetto o dell’élite; al contrario si mossero in tutte le direzioni non per diffondere un’ideologia, ma per effetto di un incontro totalizzante con l’amore di Dio incarnato e risorto.

 

Un po’ come la Chiesa di Atti

Cosa fa assomigliare la Chiesa in Mongolia a quella degli Atti? Innanzitutto le piccole proporzioni. Essa - come nella maggior parte degli altri Paesi asiatici - rappresenta una minoranza quasi trascurabile, rispetto alla società in cui vive. Proprio perché i riferimenti predominanti sono altri, diventare cristiano in Mongolia è una scelta piuttosto contro-corrente, che espone al rischio della discriminazione.

La più diretta conseguenza è che il primo annuncio occupa la maggior parte delle forze pastorali, tutte coinvolte in un cammino di graduale inculturazione.

La preoccupazione principale è di annunciare il Vangelo, non di mantenere l’esistente in uno sforzo gestionale-amministrativo che corre il rischio di far perdere la freschezza della testimonianza. Il rimando all’essenziale della fede è così reso più evidente, perché si vive nella provocazione continua che viene da chi si confronta per la prima volta con la fede in Cristo.

Altra caratteristica è l’attenzione alle (singole) persone, più che alle masse e ai numeri. Le otto parrocchie della Mongolia sono comunità molto piccole, dove ognuno conta e porta la sua storia personale di gioie e preoccupazioni condivise.

Le strutture sono ancora relativamente poche e questo offre l’innegabile vantaggio della leggerezza. Se resistiamo alla tentazione costante di limitarci a riprodurre modelli missionari che avevano fatto leva su grandi opere in tempi e luoghi dove questo era necessario (mentre sembra non esserlo più in questa parte di mondo al giorno d’oggi) possiamo sperare di non lasciarci fagocitare dall’eterno problema delle strutture da mantenere.

La Chiesa in Mongolia sta muovendo i suoi primi passi e ha bisogno d’imparare tanto. Nella sua piccolezza offre quello che è, mostrando che in ogni contesto e in ogni tempo la Chiesa nasce dall’annuncio, che non va dato per scontato nemmeno laddove c’è una storia di fede molto lunga. L’auspicio è che tutti ritroviamo la freschezza di una fede genuina e la bellezza della missione, ritornando alla semplicità e all’intensità dei “poveri di JHWH”.

Come Maria, madre della Chiesa e modello di ogni credente.

* prefetto apostolico di Ulan Bator, Mongolia

 

1 A questo proposito può essere utile riferirsi alla sintesi di F. Dreyfus contenuta in X. LEON-DUFOUR, Dizionario di Teologia Biblica, Marietti, Genova-Milano, 2007, 1059-1063.

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Sappiamo essere testimoni del Risorto anche quando veniamo emarginati o discriminati?

•          Quanto del nostro impegno pastorale è dedicato all’annuncio e quanto all’organizzazione?

•          Quante persone della nostra comunità parrocchiale conosciamo davvero bene?

 

16-CI ACCOMPAGNANO DAL CIELO

Ricordiamo tre sacerdoti che sono stai tutti significativi per il cammino dei Gruppi Famiglia

 

Mons. ROBERTO BATTISTIN

Sabato 9 gennaio u.s. ci ha lasciato don Roberto Battistin, un grande uomo, un grande amico, un grande sacerdote.

Io ed Emanuela l’abbiamo conosciuto tanti anni fa, quando era parroco di un piccolo paesino: ci siamo affezionati subito a quest’uomo docile ma fermo, con una visione ampia del mondo, accogliente, con una grossa preparazione culturale e religiosa, sempre disponibile.

Siamo diventati amici ed è iniziato un cammino ricchissimo di esperienze: ci ha accompagnato al matrimonio con un corso fidanzati rispettoso e libero, ma ricco di sostanza e principi.

Ci ha affiancato nel nostro cammino di sposi e di genitori sempre come consigliere, spalla su cui piangere e persona su cui contare per rialzarsi nei momenti di difficoltà.

Con lui abbiamo condiviso tante esperienze estive, perché credeva molto nella famiglia e nei Gruppi Famiglia. Le coppie che lo incontravano ai Campi, tornate a casa lo cercavano per confrontarsi e avere un consiglio o un conforto; la sua umanità, onestà e profondità colpiva tutti.

Aveva un occhio particolare per i giovani, che accompagnava e spronava nella loro crescita umana e cristiana anche da adulti.

Con lui abbiamo fondato LeAli , un gruppo di giovanissimi animatori che hanno segnato un passaggio importante nell’animazione ai Campi Famiglia: erano giovani provenienti da diverse esperienze e paesi d’Italia che proseguivano con lui il loro cammino di crescita anche durante l’anno nonostante fossero distanti.

Molti di loro li ha sposati, “coccolati” e sorretti anche nel complicato cammino matrimoniale e di genitoriale.

Ci mancherai molto, ci mancherà il tuo vocione, ci mancherà il tuo camminare lento ma costante, ci mancherà tanto il tuo smitizzante “su su… vanti vanti...”, ci mancherà la tua buona forchetta, ci mancherà il tuo sorriso, ci mancheranno tante cose di te, ma soprattutto ci mancherai tanto.

Ciao don, buon viaggio e dacci un occhio anche da lassù.

Gigi e Emanuela

 

Don MARIO RUATTA

A fine novembre 2020 si è spento a 81 anni, causa Covid-19, don Mario Ruatta. Ordinato sacerdote a 25 anni, ha saputo lasciare la sua impronta in tante parrocchie del Saluzzese, Saviglianese e Torinese e, in particolare, è stato parroco di Cavour per 27 anni.

Don Mario è sempre stato molto vicino alle coppie e alle famiglie, sia prima del matrimonio sia durante il loro cammino di vita ed era molto attento alle proposte pastorali sul tema.

Aveva sensibilizzato diverse famiglie di Cavour e dintorni sulla necessità di costituire Gruppi Famiglia e, tramite Anna e Guido Lazzarini, eravamo stati coinvolti anche noi, guidando per un anno gli incontri del loro gruppo. La sua vicinanza alle famiglie era costante, nella gioia e nel dolore.

In particolare ci piace ricordare la sua profonda vicinanza nei confronti di Renato e Caterina Baretta, una delle coppie guida dei Gruppi Famiglia, durante i lunghi mesi della malattia di Renato.

Noris e Franco Rosada

 

Mons. GIACINTO PADOIN

Un anno fa, il 20 gennaio 2019, si spegneva mons. Giacinto Padoin.

Purtroppo abbiamo saputo della sua morte solo un anno dopo, e ciò ci ha fatto tristezza: nessuna delle centinaia di persone che conoscevano molto bene sia lui che noi, ce ne ha dato notizia.

Sì, perché lo avevamo conosciuto più di trent’anni fa, quando era vicario per la pastorale familiare della Diocesi di Vittorio Veneto.

È stato lui ad invitarci ad occuparci della pastorale familiare nella sua Diocesi, è stato lui a pensare il primo campo scuola tessendo una rete capillare di contatti coi sacerdoti e le famiglie di tutta la diocesi arrivando a proporci le ‘scuole’ per i gruppi famiglia nelle varie zone, sempre accompagnando il cammino con fede, intensità d’impegno e delicata discrezione.

Per anni abbiamo continuato a collaborare: don Giacinto, timido e riservato, ma sempre disponibile all’ascolto, sempre sorridente, ma con una profonda spiritualità, austero con se stesso, ma generoso con gli altri, è stato, per noi, un dono del Signore e lo è stato anche per i Gruppi famiglia… Forse, senza i campi e le scuole nella sua Diocesi, (sempre e comunque aperti a famiglie di altre Diocesi e regioni) i Gruppi sarebbero rimasti patrimonio del Piemonte o poco più…. Tutti gli dobbiamo gratitudine.

Anna e Guido Lazzarini

 

17-SPERANZA

Speranza non è chiudersi nel presente ma aprirsi al futuro

 

di Franco Rosada

Il tema della speranza, in tempi di pandemia, è sovra sfruttato. Ma il piccolo libro del prof. Goisis è stato scritto nell’ambito di un progetto editoriale impostato assai prima della pandemia e va ben oltre la contingenza attuale.

Lo sguardo dell’autore è a tutto campo e affronta una questione fondamentale della vita: si può vivere senza speranza? Domanda che ne richiama un’altra a monte: che cos’è la speranza?

Come ha scritto Péguy, la speranza è la virtù bambina, la virtù umile che cammina tra le due più grandi: la fede e la carità, ma che ha la forza di coinvolgerle e trascinarle con sé.

La speranza viene esaminata da Goisis in tanti dei suoi aspetti: filosofico, psicologico, educativo, religioso, politico.

Ci piace qui sottolineare quegli aspetti che ci sono più vicini.

Come coppia non possiamo solo sperare nell'altro, ma anche a sperare per l’altro e a sperare con l’altro. Se non abbiamo una forte speranza nel futuro non potremo generare vita, ci mancheranno strumenti per affrontare il dolore, il lutto, ma anche le continue difficoltà quotidiane.

Come genitori, in una società che conosce solo il presente, solo se trasmettiamo speranza potremo educare i nostri figli. Infatti, la speranza ci chiama ad offrire alle generazioni più giovani radici da cui partire e ali per lanciarsi.

Come comunità ecclesiale la speranza ci invita a superare il conformismo di una cristianità che sembra in cammino verso l'irrilevanza e l'arroganza neognostica, che tramuta il cristianesimo in qualcos’altro di indefinito, per aprirci ad una ricerca coraggiosa che ci faccia riscoprire il mistero cristiano, pur senza perdere il senso della creaturalità e del limite.

Dobbiamo superare la paura verso il futuro, compreso tutto ciò che riguarda le cose ultime, l’escatologia.

Siamo spesso cristiani abitudinari, addormentati, siamo comunità in cui l’appartenenza prevale sul convincimento. La speranza invece addita per l'uomo un'altra patria e trasforma la vita umana nel cammino di un pellegrino.

Come comunità civile la speranza ci apre alla fratellanza, ci invita a passare dalla cerchia dell'io a quella del noi. La speranza spinge a protestare e a resistere, a non accettare, per esempio, il diffuso latrocinio e l’imperante illegalità, e a combattere contro un contesto che spinge molte persone a vivere i diritti e i doveri come un fardello intollerabile.

Il declino della progettualità politica reclama la doverosità di un impegno etico-culturale, ma anche sociale qualificato, condotto innanzi passo dopo passo, ma senza dimenticare la globalità dei problemi.

Quindi, come umanità non dobbiamo rinunciare a coltivare la speranza per il mondo, scuotendoci di dosso il torpore fatalistico; occorre lavorare, con tutti i nostri limiti, affinché proprio sull'orlo del baratro, siamo capaci di risolvere almeno alcuni di quei grandi mali che segnano il mondo. Non il destino, ma la ragione e la virtù sono i fari capaci di illuminare e orientare la condotta umana. Un libro da leggere.

Giuseppe Goisis, Speranza, Edizioni Messaggero, Padova 2020.

 

18-HAGGADÀ DI PASQUA

 

In questo periodo di pandemia, in cui si è riscoperta la liturgia domestica, può essere un’esperienza interessante, per tutta la famiglia, celebrare la cena pasquale secondo la tradizione ebraica, seppur rivisitata alla luce del Cristo risorto.

Noi ne abbiamo fatto esperienza diversi anni fa in una parrocchia del torinese e l’abbiamo ripetuta più recentemente con alcune famiglie della nostra parrocchia (a cui si riferisce la foto).

È una tipica liturgia domestica, dove anche i bambini hanno un ruolo. Trovate tutte le indicazioni per celebrarla sul nostro sito:

https://www.gruppifamiglia.it/Sussidi/Haggada.htm

Se dopo aver letto quanto pubblicato trovate il tutto impegnativo non scoraggiatevi! Potete modificarlo e semplificarlo a piacere.

I canti liturgici li potete sostituire, in tutto o in parte. con canzoncine che i vostri bimbi conoscono, alcuni cibi li potete togliere se sgraditi o li potete cucinare in modo diverso (p.e. la cotoletta d’agnello può diventare una polpetta).

Cercate però di conservare lo spirito della celebrazione e lo scopo didattico della stessa.

E poi, celebratela “allargando” il tavolo, invitando i nonni o un’altra famiglia con bambini, in modo che acquisti una dimensione comunitaria (Covid permettendo).

Se organizzata e vissuta con sapienza, questa celebrazione potrebbe essere più utile di tante ore di catechismo e aiuterebbe i più piccoli ad entrare naturalmente nel “mistero” della celebrazione eucaristica.

Attendiamo i vostri riscontri.

Noris e Franco

 

19-CORONAVIRUS E FAMIGLIA

La riscoperta della ministerialità domestica

Un patrimonio da non disperdere

 

Paola Lazzarini, nostra collaboratrice, è stata intervistata a dicembre dal quotidiano Avvenire.

Di seguito il testo dell’intervista realizzata da Luciano Moia.

 

L’emergenza Covid – come spiega il vescovo di Fiesole e pro-presidente della Cei, Mario Meini - ha fatto riscoprire una nuova ministerialità della famiglia. Come riconsiderare questo dono alla luce della situazione complessa delle famiglie di oggi?

Credo che l'esperienza che abbiamo fatto nell'aprile scorso di celebrare la Pasqua nelle nostre case - risponde Paola Lazzarini, presidente dell'associazione "Donne per la Chiesa", moglie e mamma - abbia rappresentato un passo di maturazione e di presa in carico, da parte delle famiglie, dal quale difficilmente si può tornare indietro. Abbiamo letto le letture insieme, cercato segni adatti all'età dei nostri figli e tante volte li abbiamo costruiti insieme a loro. Abbiamo creato piccole comunità virtuali per pregare insieme, ma abbiamo anche conosciuto meglio i nostri vicini, soprattutto siamo stati consapevoli che se l’annuncio pasquale non fosse salito dalle nostre case, il silenzio avrebbe coperto l'Alleluia. È stata un'esperienza molto forte per tante famiglie.

 

Piccola Chiesa domestica. Come fare per riattualizzare questa bella espressione del Vaticano II?

Sono affezionata all'espressione "famiglia piccola Chiesa" perché il libretto dì Carlo Carretto che così si intitolava e una delle pietre miliari della mia formazione, invece non ho mai gradito granché l'aggettivo "domestica" perché sembra rimandare a una cosa "altra" rispetto alla Chiesa stessa. La Chiesa è una: dentro le case. nelle piazze, nelle chiese, sulle strade. Mi piacerebbe anche che si evitasse sempre di parlare delle famiglie cristiane idealizzandole, perché se è vero che la famiglia è il luogo delle relazioni primarie, della gratuità, dell'amore, è anche talvolta il luogo dette relazioni spezzate, della violenza, dell'annichilimento... Anche in questo è piccola Chiesa, specchio della Chiesa universale nella quale queste dinamiche distorte - lo sappiamo - ci sono state e ci sono. Quindi senza idealizzare e senza sminuire, cercando di partire sempre dalla realtà concreta, come il Papa invita tante volte a fare.

 

Ma come pregare in famiglia? Solo con le formule della tradizione o anche con gesti e segni che ciascuna famiglia può mettere a punto secondo la propria sensibilità?

Ho visto tante foto di coloratissime e creative corone dell'Avvento in questi giorni, così come di ceri pasquali fatti in casa ad aprile, famiglie che impastavano insieme il pane la domenica e lo benedicevano. Credo che ci sia in questo momento una grande riscoperta dei segni e dei gesti della liturgia e questo è bellissimo.

 

La preghiera familiare presuppone una spiritualità coniugale già rodata oppure può essere una strada per raggiungerla?

Temo che se aspettiamo di vivere una spiritualità coniugale rodata per proporre momenti di preghiera familiare rischiamo che questi non arrivino mai. Credo invece che la spiritualità coniugale si nutra di questo percorso di costruzione di una preghiera condivisa, tra grandi, piccoli, anziani e adolescenti (se si riesce!). E forse bisogna anche mettere in conto che uno dei due, nella coppia, abbia maggiore attenzione a questi momenti e vi dedichi maggior cura. In tante famiglie è la mamma (ma non è detto) a "celebrare" e va bene così. In altre è possibile condividere di più e in altre ancora sono magari i figli a prendere in mano questi momenti. Penso che sia molto bello in tutti i casi. Se devo guardare alla mia esperienza e a quella di tante coppie di amici, questi mesi sono stati un'occasione incredibile per riprendere in mano, da adulti e da protagonisti, il proprio percorso di fede troppe volte "delegato" alle proposte del parroco e alla Messa domenicale. La speranza è che questo patrimonio non vada perduto.

Tratto da: Avvenire, 2 dicembre 2020

 

20-PREGARE SU ZOOM

Lontani ma allo stesso tempo “vicini”

 

di Noris e Franco Rosada

Abbiamo cominciato a metà settembre, ci siamo ripetuti a dicembre e ultimamente a fine febbraio.

Cominciato a fare che cosa?

A pregare insieme in video conferenza. Nel primo incontro eravamo in 16, nel secondo in 36, nell’ultimo ci siamo divisi in “stanze” virtuali per poter condividere meglio la preghiera.

In questi tre incontri abbiamo pregato e fatto condivisione su fraternità, speranza, perdono.

I prossimi appuntamenti sono:

•          sabato 17 aprile ore 21. Tema: la fede,

•          sabato 12 giugno ore 21. Tema: la Chiesa.

Gli incontri si terranno sulla piattaforma Zoom e, come già detto, per poter condividere meglio le riflessioni, ci divideremo in piccoli gruppi.

Per questo è necessario inviare una mail a: formazionefamiglia@libero.it poiché i gruppi devono essere definiti in anticipo.

Riceverete, come risposta, il link per partecipare all'incontro.

 

Come coppia responsabile continuiamo a proporre ai gruppi l’esperienza della lectio divina.

La maggior parte dei gruppi con cui in questi ultimi sei mesi ci siamo incontrati in video conferenza hanno apprezzato questa esperienza di preghiera.

Ci piace qui riportare quanto ci ha scritto Carmen: “questa esperienza ci ha aiutati come gruppo a stare un po’ uniti senza parlarci addosso”.

Oltre a noi, anche Maria Rosa e Franco Fauda sono disponibili ad affiancarvi in questa esperienza. Li potete contattare inviando una mail a francomaria.fauda@libero.it

 

21-BILANCIO 2020 F&F

In attivo grazie ai risparmi effettuati

 

Carissime/i,

Come potete leggere nella tabella sottostante, il bilancio 2020 dell’associazione Formazione e Famiglia, editrice della rivista, si è chiuso con un buon attivo, ma grazie ad un evento una-tantum.

Come ricordate, il dimezzamento delle entrate per il 5x1000 per l’anno fiscale 2017 ci aveva portato nel 2019 alla decisione di trasformare la rivista da trimestrale a quadrimestrale.

L’essere usciti anche nel 2020 con tre numeri, anziché quattro, ha contenuto le uscite mentre il numero dei contributi liberali all’associazione si è mantenuto costante.

Al contrario, lo Stato ha saldato le nostre spettanze per quanto riguarda il 5x1000 non solo per l’anno fiscale 2018 ma anche per il 2019. È questo il fatto che ha generato l’attivo.

Infatti, se togliamo quanto ricevuto per il 2019 dal bilancio (2.624 euro), questo risulta in passivo.

Un ultimo punto: per quanto riguarda i campi estivi, è necessario per motivi di salute pubblica rinviarli ancora di un anno.

Grazie ancora per il vostro sostegno,

la Presidente Noris Bottin

 

22-PER APPROFONDIRE IL TEMA

I libri usati per realizzare questo numero

 

August Franzen, Breve storia della Chiesa, Editrice Queriniana, Brescia 201412.

Silvano Fausti, Atti degli apostoli, vol.1, Edizioni Dehoniane, Bologna 2013.

Questi sono due libri di “studio” più da consultare che da leggere in modo sistematico.

Il testo di Franzer è molto “ortodosso” ma non mancano passaggi in cui si riconoscono i limiti e gli errori della Chiesa. Avvicinandosi a tempi più recenti, il libro risente dell’origine tedesca dell’autore.

Il testo di Fausti è un commento fin troppo puntuale al libro degli Atti.

Si tratta, come altri testi dell’autore, di un libro da “pregare” più che da leggere. Consigliamo, per chi fosse interessato, l’acquisto dell’ultima edizione in un solo volume.

 

Leonardo Lugaresi, Vivere da cristiani in un mondo non cristiano. L’esempio dei primi secoli, Edizioni Lindau, Torino 2020.

Scritto come replica ragionata al testo di Dreher: L’opzione Benedetto, il libro di Lugaresi, docente di cristianesimo antico e di letteratura patristica, ci presenta l’esperienza della Chiesa nei primi secoli del cristianesimo.

Si tratta di una lettura interessante che non ha paura di presentare luci ad ombre di quel periodo.

Nella prima parte, storica, l’autore spiega l’approccio cristiano nei confronti della società pagana, che si può riassumere con il detto paolino: “vagliate tutto, tenete ciò che è buono”.

Nella seconda vengono affrontati quattro ambiti della società in cui i cristiani hanno mostrato la loro “differenza”: la giustizia, l’educazione, l’economia, il divertimento.

Da questo libro abbiamo tratto diversi spunti per la realizzazione di questo numero.

 

Rod Dreher, L’opzione Benedetto. Una strategia per i cristiani in un mondo post-cristiano, Edizioni San Paolo, Milano 2018.

L’autore è un giornalista nord-americano da anni impegnato nel proporre un modello di Chiesa conservatore, l’unico a suo dire in grado di preservare il messaggio cristiano dalle contaminazioni del nostro tempo, che non solo non è più cristiano ma che velocemente sta diventando anti-cristiano.

Se tralasciamo la prima parte del libro, troppo legato a questioni e analisi tipicamente americane, la seconda parte è ricca di spunti e suggestioni che vengono ben sintetizzate in questa frase: "Allontanatevi dai media più seguiti. Spegnete la televisione. Mettete via gli smartphone. Leggete libri. Fate giochi. Componete musica. Fate festa con i vicini di casa. Non basta evitare ciò che è male: si deve anche abbracciare ciò che è bene".

Sono spunti da non ignorare.

 

Roger Lenaers, Il sogno di Nabucodonosor o la fine di una Chiesa medioevale, Massari Editore, Bolsena (VT) 2009.

Un gesuita belga di ottantacinque anni si “impegna” a demolire le credenze cristiane, da lui definite medioevali, per proporre una nuova lettura del cristianesimo a suo avviso in grado di essere comprensibile agli uomini tecnologici del XXI secolo.

Se ci fosse ancora l’Indice dei libri proibiti, questo testo probabilmente si troverebbe lì. Invece, come redazione, l’abbiamo trovato e consultato nella biblioteca del Seminario di Torino.

L’autore scardina alla radice dogmi secolari riformulando l’intera fede cattolica attraverso parole “viventi” ed in una prospettiva radicalmente nuova e sottolinea come molti di questi dogmi non sono così antichi come per lo più si afferma e non appartengono alla “buona novella” originaria. Per i lettori: si tratta di un testo da accostare con prudenza.

 

Dominique Collin, Il cristianesimo non esiste ancora, Editrice Queriniana, Brescia 2020.

Il titolo di questo libro è molto intrigante, il contenuto invece...

Il fatto che l’autore, oltre ad essere un domenicano francese, sia anche filosofo, rende la lettura del testo un po’ faticosa. L’uso di definizioni come a-venire, dysangelo, inesistenza in senso positivo, impongono la necessità di uno sforzo in più per cogliere il messaggio dell’autore.

Fatto salvo questo aspetto, il libro è interessante e provocatorio.

Molto bella la riflessione sull’episodio della “resurrezione” di Lazzaro, da cui emerge uno dei messaggi più importanti dell’autore: se il cristianesimo non genera un’esperienza di “delusione” a livello umano non può aprire a “cieli nuovi e terra nuova”.

L’invito finale è quello non di parlare del Vangelo, ma di farlo parlare.

Per le recensioni: https://www.queriniana.it/libro/il-cristianesimo-non-esiste-ancora-4320