Foglio di collegamento tra Gruppi Famiglia
GF109 – novembre 2021
papa Francesco: Fratelli tutti
e ancora: Famiglia Amoris laetitia, Insieme verso il Sinodo
Lettere alla rivista
1-2-GERARCHIA E FEDELI: INSIEME IN CAMMINO
Questo sinodo è l’avvenimento più importante dopo il Vaticano II
In questo numero pubblichiamo una sola lettera perché la domanda che contiene ci interpella tutti da vicino. Proprio per questo abbiamo chiesto una risposta ad entrambi i nostri collaboratori.
La lettera di questo numero
È iniziato il cammino sinodale. Sarà possibile conciliare questo cammino con il principio gerarchico su cui si fonda l’istituzione “chiesa”?
Luciano
Il cammino sinodale sarà importante, anzi, vitale, per ogni cristiano e per ogni comunità per riprendere in mano le ragioni della propria Fede e cercare, assieme, la traduzione pratica in un “oggi” difficile e in un contesto scristianizzato.
Tutto quello che emergerà, se presentato con fiducia e senza l’atteggiamento di chi ha la verità in tasca, potrà trovare barriere e pregiudizi, ma anche ascolto perché “il popolo santo di Dio” è certamente ispirato e sostenuto dalla Spirito Santo, così come la gerarchia.
Ho avuto un’esperienza che mi fa ben sperare: era il tempo dell’inizio del Concilio Vaticano II, avevamo vent’anni, quindi entusiasti, ma ‘inesperti’ e stupiti dell’essere coinvolti, come Fuci, nella presentazione delle nostre ‘richieste’ ai Padri sinodali. Ricordo che ci focalizzammo su due:
1.Chi (cioè la maggioranza dei praticanti) non conosceva il latino stentava a comprendere le letture della Messa e, visto che la lettura ‘privata’ della Bibbia era ancora pressoché tabù, era esclusa dall’accesso alla Parola.
2.Che i preti non considerassero la Messa come un fatto loro privato (molti celebravano in silenzio!) e non presentassero nell’omelia pareri personali, ma presentassero le letture.
Certamente la riforma liturgica non è dipesa dai nostri ‘desiderata’, ma ci siamo sentiti accolti e ascoltati: mi auguro succeda la stessa cosa per i ‘desiderata’ dell’attuale sinodo.
Anna Lazzarini
Nella vita della Chiesa vengono ad interagire – con ruoli e compiti diversi (non contrapposti o in concorrenza tra loro) – i fedeli laici e la gerarchia e cioè i ministri ordinati, ognuno con le proprie specifiche responsabilità.
Poiché la Chiesa si propone come realtà di comunione per la missione, è importante che i diversi attori si sintonizzino su questo obiettivo, si incontrino e verifichino, insieme, la personale fedeltà alla Parola del Signore nell’esercizio dei propri impegni ministeriali.
Da questa prospettiva teologica, si rileva – come scriveva Giovanni Crisostomo – che Chiesa e sinodo sono ”sinonimi”. Si tratta, infatti, di un momento in cui discernere ”se si sta veramente camminando – piedi per terra – con Dio, con Gesù e tra fratelli”.
In altre parole, il sinodo si propone come opportunità per “fare il punto” sulla fedeltà dei credenti alla verità perenne.
Da questo angolo prospettico è evidente che non esiste – almeno idealmente – alcun motivo di collisione fra la gerarchia ecclesiastica e il momento sinodale. Una gerarchia ecclesiastica che si auto-comprenda come servizio alla comunione e alla missione della Chiesa – questa è la sua specificità – nell’ambito della evangelizzazione ha la stessa finalità di un sinodo.
Opererà cioè perché “scompaia (dalla comunità) ogni asprezza, sdegno, ira, clamore, maldicenza con ogni sorta di malignità” e vengano favorite “relazioni benevoli gli uni verso gli altri, (essendo) misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo”( Ef. 31-32).
Si lascerà interrogare, provocare dal “sensus fidei”; ascolterà con attenzione tutto ciò che potrà nascere da ogni visione che esprima la necessità di rinnovare la comunione in Dio, con Cristo e i fratelli e di ”uscire” dall’ambito ristretto delle relazioni fra fedeli per “abitare il territorio”. Farà tesoro delle istanze che la provocano e che vengono, soprattutto, dalle persone che patiscono maggior povertà.
L’imperativo è “uscire dalla propria tenda” per andare incontro agli altri, tutti gli altri.
Veramente questo sinodo, come ha dichiarato l’emittente Bbc “ può diventare il più ambizioso tentativo di riforma cattolica degli ultimi sessant’anni”. La gerarchia ecclesiale ha qui e oggi una grande occasione per rinnovarsi – se necessario – al servizio della comunione, della partecipazione e della missione.
Giovanni Villata
In questo numero
3-FRATELLI TUTTI
La fraternità come criterio sinodale
di Franco Rosada
Come già anticipato a fine 20201, questo numero è dedicato all’enciclica del Papa Fratelli tutti, più in generale al tema della fratellanza, e all’iniziativa Economy of Francesco.
Ad un anno di distanza ci siamo però accorti era necessario aggiungere altri temi, temi che nel frattempo papa Francesco aveva introdotto nel dibattito ecclesiale come l’anno Famiglia Amoris laetitia e il cammino sinodale della Chiesa universale.
Così questo numero della rivista è suddiviso in quattro parti.
La prima parte è dedicata all’enciclica Fratelli tutti che, al di là del titolo che può trarre in inganno, è un’enciclica sociale, sulla scia del Magistero sociale della Chiesa iniziato nel 1891 con la Rerum novarum.
Nel testo troviamo una sintesi del pensiero di papa Francesco in campo sociale – molte infatti sono le citazioni tratte da precedenti suoi scritti e discorsi.
Come redazione, partendo dal concetto di fraternità, siamo passati a coglierne la sua dimensione comunitaria per giungere a riflettere su cosa significa attuare i principi della fraternità nella vita sociale e in politica.
La seconda parte, decisamente più breve, ha trattato dell’iniziativa Economy of Francesco, giunta al secondo anno. Questa proposta riguarda soprattutto i giovani al di sotto dei 35 anni e vuole essere un laboratorio per progettare ed attuare un nuovo tipo di economia, solidale e rispettosa dell’ambiente.
Ci è sembrato allora utile integrare la proposta con quello che è il pensiero di papa Francesco sul tema, pensiero che un ricercatore italiano ha definito Bergoglionomics.
Una parte delle pagine rimanenti sono state dedicate all’anno Famiglia Amoris laetitia.
Abbiamo ripreso il tema che ha fatto più discutere, quello della posizione della Chiesa sui divorziati/risposati, ma anche altri temi a noi cari, come i corsi di preparazione al matrimonio e la realtà di coppia letta nell’ottica della fraternità.
L’invito ai gruppi è quello di riprendere in mano questo documento come tema di riflessione per quest’anno pastorale.
Ma c’è una altra proposta che vorremmo suggerirvi: quella di intraprendere all’interno del gruppo una sorta di cammino sinodale.
Il tema del sinodo, anche se è l’ultimo che trattiamo, ha acquisito una notevole rilevanza dopo la decisione di papa Francesco di svolgere la prima parte del cammino sinodale in modalità decentrata.
Non è solo più una questione di vescovi, è qualcosa che riguarda la Chiesa intera, tutti noi.
Non siamo abituati ad essere chiamati in causa come “popolo di Dio” e per questo vi proponiamo la sintesi del cammino già fatto dalla diocesi di Torino, che può fornire una buona base di partenza per impostare il lavoro.
Nulla di meglio che intraprendere un cammino sinodale per fare esperienza di fraternità come “fratelli” in Cristo.
4-COME E PERCHÉ SOSTENERCI
Si paga un abbonamento per ricevere questa rivista o la rivista viene inviata a coloro che sostengono l’associazione Formazione e Famiglia?
Sembra un po’ una domanda nello stile di: “è nato prima l’uovo o la gallina?”, ma non è così.
Non siamo degli editori, il nostro scopo non è raccogliere abbonamenti ma quello di promuovere i Gruppi Famiglia nelle realtà parrocchiali. La rivista è risultata nel tempo - ha già trent’anni - lo strumento più adatto a questo scopo, insieme con i campi estivi per famiglie.
Però, senza i vostri contributi, l’associazione non ha i mezzi economici per stamparla e spedirla.
Quindi, vi invitiamo ad evitare di scrivere sul bollettino di CCP “abbonamento anno XX”, perché sono informazioni che già conosciamo, lasciate l’indicazione prestampata: “contributo liberale”, che è la vera natura del vostro versamento, ma non fateci mancare il vostro sostegno.
5-UN CAMMINO SINODALE PER I GRUPPI FAMIGLIA
In quest’anno in cui tutta la Chiesa italiana sarà impegnata nella prima fase del cammino sinodale, abbiamo pensato, come direttivo del Collegamento tra Gruppi Famiglia, di proporne uno anche noi, coinvolgendo tutte le coppie interessate.
Ecco le tappa previste:
22 ottobre: Dalla sola sacramentalizzazione alla evangelizzazione integrale.
10 dicembre: Dalla supplenza clericale alla corresponsabilità testimoniale.
11 febbraio: Dall’attivismo pastorale alla formazione teologica.
1° aprile: Dall’autoreferenzialità ecclesiale al dialogo socio-culturale.
20 maggio: Conclusioni. Per un nuovo inizio.
Tutti gli incontri inizieranno alle ore 21 e si terranno su Zoom. Se siete nella nostra mailing list riceverete per tempo il link dell’incontro, altrimenti lo potere richiedere a: formazionefamiglia@libero.it
6-FRATELLI TUTTI: una presentazione
di Leonardo Boff*
Vi invito alla speranza che ci parla di una realtà radicata nel profondo dell’essere umano, indipendentemente dalle circostanze concrete e dai condizionamenti storici in cui si vive.
(FT n.55)
La solidarietà è uno dei fondamenti dell’umano e del sociale... in gran parte è prendersi cura della fragilità umana. (FT n.115)
La nuova enciclica di Papa Francesco, firmata sulla tomba di Francesco d’Assisi, nella città di Assisi, il 3 ottobre, sarà una pietra miliare nella dottrina sociale della Chiesa.
È vasta e dettagliata nella sua tematica, cercando sempre di aggiungere valori, anche dal liberalismo che critica fortemente. Sarà certamente analizzata in dettaglio da cristiani e non cristiani poiché si rivolge a tutte le persone di buona volontà. Sottolineerò in questo spazio ciò che considero innovativo rispetto al precedente insegnamento dei Papi.
In primo luogo, deve essere chiaro che il Papa presenta un’alternativa paradigmatica al nostro modo di abitare la Casa Comune, che è soggetta a molte minacce. Fa una descrizione delle “ombre dense” che equivalgono, come lui stesso ha affermato in vari pronunciamenti, a “una terza guerra mondiale a pezzi”.
Attualmente non esiste un progetto comune per l’umanità (n.18). Ma un filo conduttore attraversa tutta l’enciclica: “essere coscienti che o ci salviamo tutti o nessuno si salva” (n.32). Questo è il progetto nuovo, espresso con queste parole: “Consegno questa enciclica sociale come un umile contributo alla riflessione perché di fronte ai vari modi di eliminare o ignorare gli altri, si sia capaci di reagire con un nuovo sogno di fraternità e amicizia sociale” (n.6).
Una nuova fraternità
Dobbiamo capire bene questa alternativa. Siamo arrivati e siamo ancora all’interno di un paradigma che sta alla base della modernità. È antropocentrico. È il regno del dominus: l’essere umano come signore e padrone della natura e della Terra che hanno senso solo nella misura in cui sono subordinate a lui. Ha cambiato la faccia della Terra, ha portato molti vantaggi ma ha anche creato un principio di autodistruzione. È l’attuale “impasse” delle “ombre dense”. Di fronte a questa visione del cosmo, l’enciclica Fratelli tutti propone un nuovo paradigma: quello del fratello, la fraternità universale e dell’amicizia sociale. Sposta il centro: da una civiltà tecno-industrialista e individualista a una civiltà solidale, della preservazione e cura di ogni vita.
Questa è l’intenzione originale del Papa. In questa svolta sta la nostra salvezza; supereremo la visione apocalittica della minaccia della fine della specie con una visione di speranza che possiamo e dobbiamo cambiare rotta. Per questo, dobbiamo alimentare la speranza. Dice il Papa: “vi invito alla speranza che ci parla di una realtà radicata nel profondo dell’essere umano, indipendentemente dalle circostanze concrete e dai condizionamenti storici in cui si vive” (n.55). Qui risuona il principio della speranza, che è più della virtù della speranza, ma un principio, un motore interiore per proiettare sogni e visioni nuove...
Come si deduce, si tratta di una nuova direzione, di una svolta paradigmatica. Da dove cominciare? Qui il Papa rivela il suo atteggiamento di fondo, spesso ripetuto ai movimenti sociali: “Non aspettatevi niente dall’alto perché viene sempre più o meno lo stesso o peggio; cominciate da voi stessi”. Per questo suggerisce: “È possibile partire dal basso, da ciascuno, lottare per cose più concrete e locali, fino all’ultimo angolo della patria e del mondo” (n.78).
Il Papa suggerisce quella che oggi è la punta del discorso ecologico: lavorare nella regione, il bioregionalismo che consente la vera sostenibilità e umanizzazione delle comunità e articola il locale con l’universale (n. 147).
Politica ed economia
Ci sono lunghe riflessioni sull’economia e sulla politica, ma mette in risalto: “la politica non deve sottomettersi all’economia e non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia” (n.177). Fa una franca critica al mercato: “Il mercato da solo non risolve tutto come vogliono farci credere nel dogma della fede neoliberista; si tratta di un pensiero povero, ripetitivo, che propone sempre le stesse ricette per qualsiasi sfida che si presenta; il neoliberismo si auto-riproduce come l’unico cammino per risolvere i problemi sociali” (n. 168). La globalizzazione ci ha resi più vicini ma non più fratelli (n.12), crea solo soci (n.104). Mediante la parabola del buon Samaritano, compie un’analisi rigorosa dei vari personaggi che entrano in scena e li applica all’economia politica, culminando nella domanda: “con chi ti identifichi (con il ferito per strada, con il sacerdote, il levita o con il forestiero, il samaritano, disprezzato dagli ebrei)? Questa domanda è cruda, diretta e decisiva. A chi di loro assomigli?” (n.64). Il buon Samaritano si fa modello di amore sociale e politico (n.66). Il nuovo paradigma della fraternità e dell’amore sociale si dispiega nell’amore nella sua realizzazione pubblica, nella cura dei più fragili, nella cultura dell’incontro e del dialogo, nella politica come tenerezza e gentilezza...
La politica non si riduce alla disputa per il potere e alla divisione dei poteri. Con sorpresa dice: “Anche in politica c’è posto per l’amore con tenerezza” (194) E si chiede cos’è la tenerezza e risponde: “è l’amore che si fa prossimo e concreto; è un movimento che parte dal cuore e arriva agli occhi, alle orecchie, alle mani” (n.196)...
La rivoluzione della gentilezza
Ecco una sfida ai politici, rivolta anche ai vescovi e sacerdoti: fare la rivoluzione della tenerezza. La solidarietà è uno dei fondamenti dell’umano e del sociale. Si “esprime concretamente nel servizio che può assumere forme molto diverse e prendere per sé il peso degli altri; in gran parte è prendersi cura della fragilità umana” (n.115). Questa solidarietà si è dimostrata assente e solo successivamente efficace nella lotta al Covid-19. Essa impedisce all’umanità di biforcarsi tra “il mio mondo” e gli “altri”, “loro” perché “molti non sono più considerati esseri umani con una dignità inalienabile e diventano solo “loro” (n. 27).
E conclude con un grande desiderio: “Spero che alla fine non ci saranno “gli altri” ma un solo “noi” (n.35). Per questa sfida di incarnare il sogno di una fratellanza universale e di amore sociale, chiama tutte le religioni affinché “offrano un contributo prezioso alla costruzione della fraternità e per la difesa della giustizia nella società” (n. 271). Alla fine rievoca la figura del piccolo fratello di Gesù Charles de Foucauld che nel deserto del Nord Africa insieme alla popolazione mussulmana voleva essere “definitivamente il fratello universale” (n. 287). Facendo suo questo proposito, Papa Francesco osserva: “Solo identificandosi con gli ultimi è arrivato ad essere il fratello di tutti; che Dio ispiri questo sogno in ognuno di noi. Amen” (n.288).
Siamo di fronte a un uomo, Papa Francesco, che seguendo la sua fonte ispiratrice, Francesco di Assisi, è diventato anche un uomo universale, accogliendo tutti e identificandosi con i più vulnerabili e invisibili del nostro mondo crudele e senza umanità. Lui suscita la speranza che possiamo e dobbiamo alimentare il sogno di una fraternità senza confini e di un amore universale. Lui ha fatto la sua parte. Sta a noi non lasciare che il sogno sia solo un sogno, ma sia l’inizio seminale di un nuovo modo di vivere insieme, come fratelli e sorelle, più la natura, nella stessa Casa Comune...
* eco-teologo, filosofo e scrittore brasiliano
Fonte:
http://confini.blog.rainews.it/2020/10/07/fratelli-tutti-la-politica-come-tenerezza-e-gentilezza-un-testo-di-leonardo-boff/
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Quando abbiamo acquisito consapevolezza che se non cambiamo il modo di vivere la nostra specie è a rischio?
• Riprendiamo in mano la parabola del buon samaritano e chiediamoci: tra i vari personaggi, a chi siamo più simili?
• Passare dal “noi” agli “altri”. Quali strade concrete dobbiamo intraprendere?
7-LA FRATERNITÀ
La fraternità non può essere imposta dall'alto o dall'esterno; non può venire che dalle persone. La sua fonte è in noi.
L'unità umana è il tesoro della diversità umana come la diversità umana è il tesoro dell'unità umana.
Non ce ne rendiamo molto conto, ma siamo tutti nella stessa “barca”: abitiamo su un pianeta la cui finitezza è sempre più manifesta, sia sotto il profilo ambientale e climatico sia sotto il profilo del nostro modo globale di agire.
Edgar Morin
“Dei tre principi della rivoluzione francese – libertà, uguaglianza, fraternità – la fraternità è probabilmente oggi il più dimenticato, quando non esplicitamente vituperato. Anche l’uguaglianza, in realtà, se la passa maluccio: c’è qualcuno che crede davvero che i poveri sono tutti uguali in dignità? Che uomini e donne sono uguali dei diritti? Che cittadini italiani e cittadini con background migratorio sono uguali di fronte alla legge?
Ma sul concetto di fraternità c’è una vera guerra, che tende a colpevolizzare chiunque cerchi di tradurre questo valore in scelte concrete, tipo cercare di salvare chi sta per annegare in mare o dare il buono spesa a chi fa la fame, anche se non è italiano.
E questo vale anche per l’opinione pubblica cattolica, che pure ogni giorno recita il Padre nostro, cioè la preghiera in cui ci si riconosce figli dello stesso Padre, e dunque fratelli”.
Con queste parole Paola Springhetti (1) inizia la recensione del libretto di Edgar Morin (2) che si intitola “La fraternità, perché?” da cui traiamo come redazione le considerazioni che seguono.
La fonte della fraternità
“Libertà, uguaglianza, fraternità... questi tre termini sono complementari, eppure non si integrano automaticamente tra loro. Perché? Perché la libertà, soprattutto economica, tende a distruggere l'uguaglianza, come vediamo oggi con l'espansione di questo liberalismo economico che provoca enormi disuguaglianze.
Al tempo stesso, imporre l'uguaglianza mette a rischio la libertà. Il problema è, allora, quello di saperle combinare. Ma se si possono scrivere norme che assicurano la libertà o che impongono l'uguaglianza, non è possibile imporre la fraternità tramite la legge.
La fraternità non può derivare da un'ingiunzione statuale superiore, deve venire da noi.
Certo, esistono delle solidarietà sociali come la previdenza sociale o il sussidio di disoccupazione - ma sono organizzate burocraticamente, e non possono offrire quel rapporto affettivo e affettuoso, da persona a persona, che è la fraternità.
La trinità libertà-uguaglianza-fraternità, peraltro, è del tutto differente dalla Trinità cristiana, in cui i tre termini si inter-generano. Al contrario, dobbiamo associare e combinare libertà e uguaglianza, a costo di fare dei compromessi tra questi due termini, e suscitare, svegliare o risvegliare la fraternità.
La fraternità, allora, ci pone un problema: non può essere imposta dall'alto o dall'esterno; non può venire che dalle persone. La sua fonte è dunque in noi. Dove?
Qui è opportuno considerare che ogni individuo ha, in quanto soggetto, due quasi-software in sé. Il primo è un software egocentrico: "me-io". Tramite questo me-io ognuno si autoafferma situandosi al centro del mondo, o per lo meno del proprio mondo. Questo software è necessario giacché, se non lo avessimo, non saremmo portati a nutrirci, a difenderci, a voler vivere.
Ma esiste un secondo software che si manifesta sin dalla nascita, quando il neonato attende il sorriso, la carezza, la cullata, lo sguardo della madre, del padre, del fratello...
Sin dall'infanzia abbiamo bisogno del "noi" e del "tu" che riconosce "te" come soggetto analogo a "sé" e vicino affettivamente a sé, pur essendo altro. Gli esseri umani hanno bisogno dello sbocciare del proprio "io", ma questo non può prodursi pienamente che all'interno di un "noi". L'"io" senza "noi" si atrofizza nell'egoismo e sprofonda nella solitudine. L'io" ha non meno bisogno del "tu", vale a dire di una relazione da persona a persona affettiva e affettuosa. Pertanto, le fonti del sentimento che ci portano verso l'altro, collettivamente (noi) o personalmente (tu), sono le fonti della fraternità”.
Competizione e solidarietà
Dopo questa citazione testuale proviamo a riassumere lo sviluppo della riflessione di Morin.
Il doppio software che ci caratterizza ha un’origine biologica. Se è vero, come affermava Darwin, che l’evoluzione delle specie si basa sulla selezione naturale – sopravvive il più forte – è anche vero, anche se meno noto, che molte specie sopravvivono grazie alla solidarietà che li contraddistingue.
Questa solidarietà non vale solo per la singola specie ma anche tra specie differenti, tra vegetali ed animali. Un esempio ben noto è il nostro intestino, popolato di batteri che degradano le sostanze che noi non riusciamo ad assimilare.
Tra le specie viventi, quindi, non vi è solo conflittualità ma anche solidarietà.
Questo vale anche per i rapporti fraterni al’interno della famiglia. Si nasce e si vive per parecchio tempo condividendo la vita con altri fratelli e sorelle ma, pur essendo figli degli stessi genitori, le rivalità, come la solidarietà, non mancano.
Compito di chi educa è quello di sostenere “senza posa la fraternità, perché questa è senza posa minacciata dalla rivalità”.
I pro e i contro dell’individualismo
“L'individualismo” scrive Morin, “ha degli aspetti positivi: l'autonomia personale, che permette la responsabilità, e la creatività”, la fine del patriarcato, con tutto ciò di positivo che ne deriva, ma ha “anche aspetti ambivalenti come la concorrenza e la competizione, che sono stimoli psicologici ed economici ma che, oltre una certa soglia, diventano ossessione del profitto, fonte di aggressività e di conflitti”.
Ma ha anche aspetti negativi come l'egoismo e meno solidarietà.
Eppure in occasioni eccezionali, quali incendi, terremoti, catastrofi, la solidarietà si risveglia, sia con l’impegno diretto sia con il sostegno economico.
La globalizzazione
La globalizzazione del mondo, iniziata nel 1989, non solo ha diffuso in tutto il mondo il liberalismo economico, ma ha dato origine ad una comunità di destino.
Non ce ne rendiamo molto conto, in più vediamo intorno a noi ripiegamenti etnici, nazionali, religiosi che sembrano andare in direzione opposta, ma siamo tutti nella stessa “barca”: abitiamo su un pianeta la cui finitezza è sempre più manifesta, sia sotto il profilo ambientale e climatico sia sotto il profilo del nostro modo globale di agire.
“Tutto questo”, afferma Morin, “crea un bisogno imperioso di presa di coscienza della nostra comunità umana di destino, che comporta essa stessa un'identità antropologica, giacché tutti gli esseri umani sono simili geneticamente, anatomicamente, fisiologicamente, cerebralmente, affettivamente e culturalmente, pur essendo del tutto diversi geneticamente, anatomicamente, fisiologicamente, cerebralmente e affettivamente.
Questo significa”, conclude Morin, “che comprendere l'altro comporta il riconoscimento della nostra comune umanità e il rispetto delle sue differenze. Sono queste le basi su cui potrebbe svilupparsi la fraternità tra tutti gli umani in un'avventura comune di fronte al nostro destino comune”.
Ciò non significa ignorare i problemi di fraternità presenti all’interno della nostra cultura, del nostro popolo ma, contemporaneamente fare spazio a fraternità più ampie, mediterranee, europee, fino ad arrivare alla fraternità planetaria.
Oasi di fraternità
“Il bisogno del ‘noi’ e del ‘tu’”, continua Morin, “rinasce senza posa nei gruppi di adolescenti, nelle nostre amicizie, nei nostri amori, nelle nostre convivialità.
Si tratta di resistenze spontanee alla grande macchina calcolatrice, algoritmizzante, che riduce la vita umana alla sua sola dimensione tecno-economica”.
A queste si affiancano, in ogni paese, una serie di iniziative comunitarie e associative che “emergono come oasi se non nel deserto, almeno nella jungla”.
Soprattutto, emergono soluzioni individuali o comunitarie per il consumo di alimenti a basso impatto ambientale, nel riciclo degli elettrodomestici o altri beni di consumo “datati” per il mercato ma ancora funzionanti o facilmente riparabili, car sharing, gruppi di acquisto collettivi, ecc.
Al contempo prende corpo una nuova categoria di lavoratori: “i prosumers” (produttori e allo stesso tempo consumatori) che sfruttano la combinazione fra l’Internet delle comunicazioni, l’avviata Internet dell’energia e la nascente Internet dei trasporti e della logistica automatizzati” (3) per emanciparsi dal sistema economico esistente.
Queste oasi di fraternità, conclude Morin, “sono e saranno luoghi di un’economia solidale, luoghi del disinquinamento e della detossificazione delle vite. Dunque luoghi di vita migliore, al contempo, di solidarietà e di fraternità, germi di una civiltà dell’’io’ e del ‘noi’”.
Due vie per il futuro
Di fronte all’umanità si apre un futuro incerto. La triade scienza-tecnica-economia spinge verso il disastro ambientale e allo stesso tempo promette un futuro transumano, una vita sempre più lunga e in salute, sempre meno lavoro manuale e condizionamenti fisici grazie all’Intelligenza Artificiale, una moltiplicazione delle capacità intellettuali grazie alla simbiosi uomo-macchina”.
Ma, scrive Morin, “il problema fondamentale dell’umanità in questo momento della propria storia è quello del miglioramento degli umani a partire dalla loro capacità di comprensione, di amore e di fraternità”.
Se scegliamo questa seconda via siamo chiamati a costruire e a custodire oasi di fraternità, o come isolotti di resistenza della fraternità o come “punti di partenza per una fraternità più generalizzata in una civiltà riformata”
Purtroppo, ammonisce l’autore, “non riusciremo mai ad eliminare le forze di disintegrazione né i conflitti”, perché tutto ciò che non si rigenera degenera e la fraternità se smette di rigenerarsi degenera” perché la fraternità “è fragile come la coscienza, fragile come l’amore, la cui forza è tuttavia inaudita”.
“La fraternità”, conclude Morin, “deve diventare scopo senza smettere di esser mezzo. Lo scopo non può essere un termine, deve diventare un cammino, il cammino della nostra avventura umana”.
(2) sociologo e psicologo.
(3) Per il Commons collaborativo vedi GF99: Un mondo migliore... https://www.gruppifamiglia.it/anno2018/99_settembre_2018.htm#7
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Quali sono le situazioni in cui preferiamo dare spazio all’io e in quali diamo spazio al noi?
• La fraternità è come l’amore: fragile e forte nello stesso tempo. Proviamo a commentare questa frase.
• Quanto pratichiamo la fraternità nelle nostre comunità parrocchiali? Quali sono i maggiori ostacoli?
8-LA FRATERNITÀ CRESCE SE C’È COMUNITÀ
La democrazia funziona solo quando sentiamo di appartenere ad una comunità
Siamo veramente cittadini se non siamo lasciati soli, se ci riconosciamo e partecipiamo attivamente nei luoghi della prossimità e della vita quotidiana.
di Stefano Lepri*
L'Italia è il paese dei mille campanili, dei mille municipi, di relazioni ancora solide e capaci di funzioni educative, conviviali, di sostegno reciproco morale e materiale.
Quando alcuni studiosi hanno provato a quantificare il lavoro informale, di dono o di reciprocità, si è preso atto che la qualità della vita italiana è molto ricca, perché noi “produciamo” in casa, nelle reti familiari, amicali, civiche, molto più valore che in altri paesi. L'Italia è dunque, in linea teorica, uno dei paesi meglio attrezzati per valorizzare le comunità.
A mio avviso, serve una nuova visione strategica della politica, che metta al centro soluzioni a forte impronta comunitaria.
La mia tesi di fondo è che il riformismo in politica non può essere ricondotto solo al classico schema liberal-laburista. Serve anche una visione, complessiva e non frammentata, capace di valorizzare la persona nella sua realtà quotidiana.
Il riformismo comunitario
In sintesi possiamo definire questa cultura politica come riformismo comunitario.
Tale visione fonda l’ispirazione soprattutto nell’umanesimo cristiano, ma anche nel socialismo utopista dell'Ottocento, in alcune versioni del liberalismo e in molti scenari prefigurati in questi anni da più parti. La Costituzione italiana ne è certamente è fortemente impegnata.
Ci sono però alcune questioni che trovano nel riformismo comunitario un'originale proposta. La stabilità affettiva e genitoriale è un valore pubblico e va sostenuta. La promozione della natalità è materia che deve interessare gli Stati. Le forme di mutuo aiuto e l'economia informale non vanno soppiantate da prestazioni di mercato o di welfare, ecc.
Se però si resta dentro i codici tradizionali della politica, si rischia di ridurre la persona a mero lavoratore, consumatore, elettore e fruitore di servizi pubblici.
Non è poco, ma non basta perché, senza legami forti, il desiderio di appartenenza e di protezione viene prepotentemente attratto dalle illusioni dei consumisti, dei sovranisti e dei populisti.
Per questo occorre il riconoscimento della soggettività sociale della comunità, che deriva dalla convinzione che il cittadino non vada inteso come individuo, ma come persona intrinsecamente legata con altre persone.
In modo chiaro: occorre mettere al centro dell'attenzione le persone che si identificano e operano nelle varie comunità, consentendo di riappropriarsi della loro vita.
Si tratta, alla fine, di reinterpretare in chiave attuale il motto della Rivoluzione francese: non solo libertà e uguaglianza ma anche, e insieme, fraternità. Ciò, per la politica, significa affrontare con determinazione la sfida del riformismo comunitario.
Serve ora passare alle questioni concrete in modo da rendere più comprensibile la proposta.
Famiglia, natalità e genitorialità
La famiglia è il primo e più intimo legame di comunità, in quanto custode e generatore della vita, di reciprocità e di convivialità tra coniugi, figli, fratelli, parenti.
Il favor previsto in Costituzione per la famiglia fondata sul matrimonio non è mai stato finora in Italia davvero applicato.
Serve allora una vera e propria politica nazionale per sviluppare, ad esempio una capillare rete di “Centri per le famiglie”, innestati nelle scuole, negli asili o insieme ai consultori familiari; per costruire forme di mutuo aiuto, di amicizia tra genitori, di apprendimento su come fare bene i genitori; per organizzare corsi di preparazione al matrimonio o servizi di counselling per coppie in crisi.
Come sistema paese dobbiamo riconoscere che generare è anzitutto una straordinaria e unica esperienza di legami tra madre e figlio, tra padre e figlio. Rafforza i genitori e favorisce la loro stabilità affettiva.
Consente di vivere la fratellanza, che la prima e principale esperienza di rispetto, complicità, condivisione, senso nel limite. Chiama alla reciprocità parenti, nipoti e nonni.
Sappiamo bene che tutto ciò non è scontato nella pratica. Ciò non riduce l'importanza di politiche pubbliche capaci di contrastare il drastico calo di natalità e di favorire la genitorialità.
Non si tratta infatti di inventare nulla, ma di ispirarci a Paesi dove il mantenimento dei figli è sostenuto con la fiscalità generale e riconosciuto come un child benefit, cioè un assegno unico e universale per i figli, concesso a tutti ma in misura diversa a seconda della condizione economica e dell’età dei figli.
Mi auguro che il nuovo assegno unico per i figli a carico, ora esteso a tutte le categorie sociali e fino alla maggiore età dei soggetti, a regime potrà essere un valido strumento per aiutare le coppie ad aprirsi all’accoglienza della vita.
In questo ambito, anche i servizi per la prima infanzia sono un nodo cruciale per favorire la natalità.
Serve aumentare i posti disponibili ma anche aumentare la sinergia tra pubblico e privato.
Un esempio può servire. In Svezia i servizi per l'infanzia sono in larga parte assicurati attraverso forme cooperative dove operano contemporaneamente professionisti, volontari e genitori/parenti dei bambini. Agli insegnanti, lavoratori retribuiti, tocca la gran parte del lavoro. Ma molto del resto viene garantito dai volontari e soprattutto dai parenti: pasti, pulizie, forniture, amministrazione, manutenzione, trasporto, fondi per interventi straordinari. In questo modo le rette si riducono, i genitori si aiutano e legano anche al di fuori dell'asilo, gli operatori sono più supportati e controllati.
Una corsa ad ostacoli
Sono però soluzioni a cui si guarda con sospetto.
Facciamo subito degli esempi. Si dice, a parole, di voler la partecipazione dei genitori a scuola, ma è impossibile portare una torta da casa in occasione di una festa con i figli, per timore che qualcuno stia poi male. Non si può chiedere ad un genitore di fare un'attività in classe con i ragazzi. Alle elementari il papà di un mio compagno che faceva il falegname veniva a insegnarci come tagliare il legno, oggi sarebbe impensabile.
Altro esempio: si valutano positivamente le iniziative che creano relazioni, appartenenza e partecipazione nella comunità, ma un'iniziativa come una cena di strada rende gli organizzatori potenzialmente responsabili di svariati reati. Il decreto in tema di sicurezza urbana costringe infatti a sobbarcarsi costi improponibili per assicurarla. Non solo: si rischiano infrazioni varie su tutto ciò che riguarda la somministrazione e il trasporto di alimenti. Laddove ciò implichi aspetti economici (girare con il cappello per contribuire alla cena) puoi essere accusato di reati fiscali. Se poi offri un rimborso a qualche ragazzo che ha lavorato, puoi ricevere un'accusa di reati in materia di lavoro.
Spesso i media raccontano storie di recupero di beni degradati, ad esempio quando un Comune rende disponibile un immobile a gruppi di cittadini che lo rimettono in sesto e poi lo riempiono di attività. Ma, a ben vedere, anche semplici opere di ripristino sono impossibili, se non in forme parziali. Ad esempio, è vietato imbiancare sopra i due metri di altezza perché ciò implicherebbe l'uso di una scala, proibito per motivi di sicurezza.
Problemi simili si trovano in caso di ripristino e riutilizzo di spazi pubblici, ad esempio di alcuni spazi verdi degradati. Finché sono boscaglie frequentate da tossicodipendenti nessuno è responsabile, ma se un gruppo di cittadini si arma di buona volontà e taglia i cespugli, allora i tecnici comunali protestano. Se poi lo spazio viene utilizzato per iniziative di interesse generale, si aprono mille problemi sulle procedure con cui concederne l'utilizzo.
E che dire di esperienze di salute di comunità?
In alcuni condomini, grazie all'opera di alcune infermiere, le persone del quartiere portano gli anziani a fare una passeggiata quotidiana. Ma alla prima caduta di un vecchietto c'è il rischio di andare nelle grane.
Gli esempi potrebbero continuare all'infinito, ma il tema è sempre lo stesso: imprese e professioni talvolta vedono le comunità attive come fossero concorrenti. Meglio che i cittadini restino fruitori di servizi pubblici o clienti, quindi paghino le tasse o paghino il conto.
Così si arriva al dunque: servirebbe un diritto relativo alle azioni di prossimità. Mentre sappiamo normare l'ambito privato (cucino a casa mia per i miei familiari e amici) e l'ambito imprenditoriale (apro un ristorante e cucino per i clienti), mancano le fondamenta di un diritto di prossimità. Questo passo è lungo e implica competenze giuridiche avanzate. Ma il punto di partenza è superare una equazione diffusa ed errata secondo cui tanto più tutto è regolamentato, tanto più si è saggi e prudenti.
Il civismo è incensato nei discorsi ma è mal tollerato dalla legge, che chiede il rispetto di requisiti eccessivi e spropositati, che spesso non si possono dare.
Ci sono molti altri campi in cui il riformismo comunitario può essere applicato, ma per questi vi rimando al mio libro: Il riformismo comunitario, Effatà Editrice, Cantalupa (TO) 2020
* parlamentare
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• In quali occasioni ci siamo trovati a dover scegliere tra rispetto delle regole e solidarietà?
• Quali sentimenti abbiamo provato in quelle circostanze?
• Siamo riusciti ad aggirare gli ostacoli o ci siamo arresi?
• Secondo voi, quali norme andrebbero cambiate?
9-FAMIGLIA E LAVORO
Stiamo andando verso un modello di società e di economia dove il cittadino è tale in quanto lavora nell’economia istituzionale e quindi consuma. Ma questo avviene di frequente a discapito dei luoghi e dei tempi di vita in comunità, che non a caso, inevitabilmente, finiscono per restringersi od annullarsi. O comunque finiscono sotto stress.
Emblematico è il caso delle famiglie dove entrambi i genitori lavorano a tempo pieno. Siamo di fronte ad un grande problema educativo verso i figli, che sono affidati nelle ore pomeridiane ai nonni, o a servizi pubblici, o a servizi a pagamento, o lasciati talvolta senza particolari guide e supporti.
Ci si domanda allora se non sia meglio consentire una maggiore flessibilità nelle forme organizzative, magari incentivando il fatto che uno dei due genitori, magari a turno, lavori solo per mezza giornata.
Ma oggi - come già evidenziato - per il part time non sono previsti incentivi che servirebbero per renderlo attraente, sia per i lavoratori che per le imprese.
Basti qui dire che quindi appare necessario ripensare anche alla ripartizione dei tempi di vita e di lavoro dei cittadini e delle famiglie. Per sintetizzare: libero ciascuno, ci mancherebbe, di massimizzare il lavoro e i suoi tempi nell'economia istituzionale. Ma deve essere consentito, vorrei dire favorito, che le persone possano dedicare parte del loro tempo anche per produrre beni e servizi nell'economia domestica o informale, da fruire personalmente e in reciprocità o da offrire per dono. Insomma, lavoriamo affinché il cittadino non sia solo lavoratore/consumatore e fruitore/elettore, ma sia anche insieme produttore/consumatore in una dimensione di comunità. A questa prospettiva, lo sviluppo del telelavoro potrà dare una grande mano.
Stefano Lepri
10-FRATELLI TUTTI E I MIGRANTI
I corridoi umanitari: vie legali e sicure per permettere l’arrivo in Italia di profughi in condizione di vulnerabilità
di Mirko Sossai*
Destò sorpresa la meta del primo viaggio che papa Francesco scelse di compiere fuori da Roma nel 2013: a Lampedusa, di fronte alla tragedia senza fine delle morti nel Mediterraneo, il papa parlò della globalizzazione dell’indifferenza che ci aveva tolto la capacità di piangere.
Papa Francesco e i migranti
La preghiera fu allora quella di chiedere al Signore “perdono per l’indifferenza verso tanti fratelli e sorelle”, “perdono per chi si è accomodato e si è chiuso nel proprio benessere che porta all’anestesia del cuore”, affinché il mondo trovasse “il coraggio di accogliere quelli che cercano una vita migliore”.
In altre tappe, dal Parlamento europeo di Strasburgo all’isola di Lesbo, il papa aveva parlato a un’Europa, stanca e un po’ invecchiata, della necessità di mettere in atto misure che sapessero allo stesso tempo tutelare i diritti dei cittadini europei e garantire l’accoglienza dei migranti.
La pandemia ha mostrato che il mondo era già “malato” ben prima del coronavirus: da tempo ci accompagnavano i virus dell’individualismo e dell’illusione di salvarsi da soli.
L’enciclica Fratelli tutti è attraversata dalla domanda di cambiamento, dall’esigenza di “ricominciare”.
Si potrebbe dire che la Fratelli tutti è il “manifesto” della nuova anima da dare alla globalizzazione.
Il prossimo della parabola del Buon Samaritano è “senza frontiere”: l’appello del papa è a mettere “ogni differenza e, davanti alla sofferenza, ci facciamo vicini a chiunque. Dunque, non dico più che ho dei ‘prossimi’ da aiutare, ma che mi sento chiamato a diventare io un prossimo degli altri”.
La proposta che l’enciclica offre quando il prossimo è la persona migrante si riassume in quattro verbi: “accogliere, proteggere, promuovere e integrare”.
I corridoi umanitari
È quell’approccio adottivo che in questi anni ha caratterizzato l’'esperimento dei corridoi umanitari introdotti dalla Comunità di Sant'Egidio assieme alle chiese valdese e protestanti e alla Caritas.
L’idea dei promotori è stata quella di aprire vie legali e sicure di ingresso in Italia per profughi in condizione di vulnerabilità, provenienti dal Medioriente e dal corno d’Africa, con la concessione di un visto umanitario.
Una volta arrivati in Italia, i profughi potranno presentano domanda di asilo.
L’aspetto più sorprendente del progetto, replicato anche in Francia e in Belgio, è che non prevede finanziamenti pubblici: numerose sono state le offerte di accoglienza e integrazione da parte della società civile.
Associazioni, famiglie, gruppi di cittadini mettono a disposizione case o altri spazi di accoglienza: laddove l'offerta è consona i promotori le "abbinano" una domanda cioè una famiglia siriana in fuga, una donna somala con figli e così via.
Tante sono le esperienze di solidarietà diffusa, da nord a sud, che hanno offerto nuova vita ai profughi e fatto anche rinascere le comunità locali attorno a un progetto comune: si insegna l’italiano, i bambini vanno a scuola, si aiutano i genitori a trovare un lavoro.
È la conferma che l’arrivo di persone diverse può trasformarsi in un dono, perché “quelle dei migranti sono anche storie di incontro tra persone e tra culture: per le comunità e le società in cui arrivano sono una opportunità di arricchimento e di sviluppo umano integrale di tutti”.
In cinque anni oltre 3.700 persone sono state accolte: è il volto di un Paese e di una Chiesa che tengono le porte aperte e che non si fanno vincere dalla paura, ma guardano con fiducia al futuro.
* professore di diritto internazionale
11-FRATELLI TUTTI E LA POLITICA
La politica va posta al servizio del vero bene comune
Chi ama e ha smesso di intendere la politica come una mera ricerca di potere ha la sicurezza che non va perduta nessuna delle sue opere svolte con amore (FT n.195)
Il dialogo perseverante e coraggioso non fa notizia come gli scontri e i conflitti, eppure aiuta discretamente il mondo a vivere meglio, molto più di quanto possiamo rendercene conto (FT n.198)
di Piercarlo Frigero*
Gli avvenimenti degli ultimi due anni ci pongono di fronte ad uno scenario nuovo, un “cambiamento d’epoca”, una nuova storia da scrivere per la nostra Europa e per il mondo intero, che la globalizzazione ha reso piccolo e “prossimo” a ciascuno di noi.
Papa Francesco e la politica
In questo nuovo inizio può contribuire in misura determinante l'insegnamento di Papa Francesco con le due encicliche: Laudato si’ e Fratelli tutti, a cui va aggiunta l'esortazione apostolica Gaudete et exultate, un autentico trattato di vita cristiana.
In questa esortazione c’è l'invito a chi occupa ruoli di responsabilità nel campo dell'economia e della politica a farsi “santi della porta accanto”, accettando la fatica del discernere come operare per il bene di tutti.
L’impegno politico che propone papa Francesco ai cristiani non consiste nel realizzare un ordine sociale predefinito, ma nel vivere come tappe della storia della salvezza gli avvenimenti che si succedono durante il tempo scandito dalla nostra vita quotidiana.
In questa storia tutti siamo chiamati al compimento della Creazione, secondo l’insegnamento di Giovanni Paolo II e anche di Benedetto XVI, che papa Francesco ha ripreso con grande forza nella Laudato si’.
Dio si incarna nella storia degli uomini non per correggere una creazione “andata male”, altrimenti il centro e il fatto dominante della storia non sarebbe Cristo Risorto, ma il peccato degli uomini. Cristo, il Dio vivente, con la sua presenza, invisibile ma reale, permette, anche a quelli che non lo conoscono e che non credono in lui, di contribuire alla costruzione del Bene tra le difficoltà, le contraddizioni e i drammi della storia umana.
Questa è la prospettiva che si presenta ai cristiani per il loro agire nell'economia e nella politica.
Dal modello ideale alle scelte di governo
Papa Francesco adopera spesso la parola modello per auspicare il nuovo: nuovo modello di vita, di consumi, nuovo sistema economico. Con queste espressioni si vuole di solito esprimere la necessità di superare i modi di organizzare l’economia e la società, consapevoli che a queste novità contribuisce la conversione di ciascuno di noi, cioè l’orientare le proprie scelte verso il Bene, cosicché si possano davvero scrivere sulle pagine bianche le nuove vicende dell'umanità.
Tuttavia come economista devo precisare che la parola modello, se comunemente significa copia da imitare, come quella del pittore o dello scultore, significa anche prototipo: costruzione di un meccanismo nuovo da riprodurre successivamente.
Il primo significato indica una meta verso cui tendere. Il secondo, se applicato alla società e all'economia, rischia di far pensare che si possa teorizzare “a tavolino” come dovrebbe essere organizzata la società del futuro: ciò si è sempre rivelato illusorio, e sovente ha generato totalitarismi.
Occorre allora prepararsi al rinnovamento anche radicale dei nostri modi di vivere senza pretendere di possedere il prototipo da realizzare.
Si tratta di individuare i nodi cruciali del sistema economico inteso come una complessa rete di relazioni tra protagonisti, istituzioni e modi di vivere.
Proprio l'epidemia ci ha indicato tre ambiti essenziali sui quali agire: la sanità, accessibile a tutti, e l’istruzione, non solo dei giovani ma anche come formazione permanente, per poter tradurre le nuove tecnologie in attività produttive e nuovi lavori.
Il terzo nodo cruciale su cui agire è l’ambiente, perché le persone hanno bisogno, anche nelle città, di contemplare la bellezza della natura.
Il fine della creazione, ricorda il papa nella Laudato si’, è la contemplazione, ed è questo il fine a cui tendere quando diciamo di voler preservare l’ambiente, contrastandone la degenerazione in atto.
La politica come atto di amore
Queste considerazioni servirebbero a poco se non fossero guidate da un principio capace di suscitare il desiderio di fare.
Per questo motivo Papa Francesco, nella Fratelli tutti, pone come fondamento di una scelta di vita radicale alla luce del Vangelo la sofferenza degli altri, attraverso il commento della parabola del buon samaritano.
Francesco utilizza questa parabola per trasformare la dottrina sociale della Chiesa, da un insieme autorevole di norme, nella ricerca di una santità del vivere; in quest’ottica anche la politica diventa un atto d’amore.
O si è come il buon samaritano oppure “ogni altra scelta conduce o dalla parte dei briganti oppure da quella di coloro che passano accanto senza avere compassione del dolore dell’uomo ferito lungo la strada” (FT n.67).
Imperfezione
Questo invito è rivolto ai laici, agli uomini di Stato, agli amministratori, agli operatori dei servizi pubblici, agli imprenditori e a ogni elettore; a loro tocca tradurre in pratica l’esortazione.
Un economista, che maneggia una scienza che fu definita lugubre, deve avvertire che non si eliminano il dolore del mondo e la povertà solo che lo si voglia.
Piaccia o no, tutte le politiche per lo sviluppo si rivelano ardue, e il fatto che lo siano per egoismo umano, non consente comunque di credersi utili con i soli appelli.
L’impegno politico è invece completo solo là dove si deve decidere, anche se si può essere sconfitti, anche se si può sbagliare, nonostante tutti gli sforzi per essere onesti e competenti.
L'intensità e la costanza dell'attenzione, il coraggio di non liquidare i problemi come insolubili, equivalgono al fermarsi lungo la strada che porta da Gerusalemme a Gerico.
Ma quanti sono i feriti lungo la strada? Come è possibile soccorrerli tutti?
Papa Francesco, attento a non scoraggiare nessuno, da gesuita saggio scrive: “I grandi obiettivi sognati nelle strategie si raggiungono parzialmente. Al di là di questo, chi ama e ha smesso di intendere la politica come una mera ricerca di potere ha la sicurezza che non va perduta nessuna delle sue opere svolte con amore, non va perduta nessuna delle sue sincere preoccupazioni per gli altri, non va perduto nessun atto d’amore per Dio, non va perduta nessuna generosa fatica, non va perduta nessuna dolorosa pazienza. Tutto ciò circola attraverso il mondo come una forza di vita” (FT n.195).
Scegliere davvero l'impegno politico
In conclusione, vorrei avanzare una proposta.
Se è necessaria l’animazione della cultura attraverso la scelta dei valori del bene, è altrettanto necessario un impegno politico concreto, perché politica è formulare le leggi e plasmare le istituzioni. Ciò implica scelte di parte, perché la democrazia deve prevedere un metodo per selezionare chi decide ed esercita il potere.
Questa interpretazione, in ambito cattolico, è spesso sottovalutata, se non avversata.
Non si tratta di affermare che i credenti debbano riconoscersi in un’unica forza politica. Il bene comune può avere interpretazioni diverse. La pluralità delle scelte di parte è utile, ma ancor più lo è la volontà di confrontarsi con quelle degli altri.
Ecco allora l’invito alle comunità cristiane, alle parrocchie, luoghi in cui ci si ritrova senza essersi scelti, a creare spazi e momenti di dialogo.
Non occorrono sforzi organizzativi, basterebbe periodicamente convocare incontri in cui si rifletta sui segni dei tempi, attraverso gli avvenimenti delle ultime settimane o degli ultimi mesi. Ciascuno dovrebbe essere libero di dire (non di proclamare in modo propagandistico) quale scelta di parte preferisca, senza il timore di sentirsi giudicare o peggio escludere.
Il dialogo, secondo papa Francesco, è il fondamento di quella manifestazione di amore fraterno che deve motivare l'impegno politico.
* professore emerito di economia
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Che rapporto abbiamo con la politica? Fa parte dei nostri interessi o la sentiamo estranea se non addirittura ostile?
• In quali termini parliamo di politica all’interno della nostra famiglia?
• Se in parrocchia si creassero momenti di confronto/scambio su temi di attualità, parteciperemmo?
12-FRATELLI TUTTI E L’ECONOMIA
Economy of Francesco: giovani economisti, imprenditori e changemaker per dare una nuova anima all’economia
A cura della Redazione
Che cos’è Economy of Francesco? Una proposta in campo economico? Una proposta in campo ecologico? Un modo per coinvolgere le giovani menti di tutto il mondo?
Un po’ tutte queste cose. Ma prima di procedere oltre è bene precisare che il Francesco da cui prende il nome questo evento non è papa Bergoglio ma san Francesco.
San Francesco come modello
Così infatti scrive il papa: il nome dell’iniziativa è un “chiaro riferimento al Santo di Assisi e al Vangelo che egli visse in totale coerenza anche sul piano economico e sociale. Egli ci offre un ideale e, in qualche modo, un programma. Per me, che ho preso il suo nome, è continua fonte di ispirazione”.
San Francesco è modello di riferimento per l’attenzione che ha nei confronti della madre Terra, “la nostra casa comune che è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, è come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia” (LS n.1).
Ma non solo. San Francesco è modello di riferimento, attraverso l’Ordine che ha fondato e ispirato, sul piano economico e sociale.
Nel XII secolo la scelta di povertà dei frati permise di superare lo schema del monachesimo (abbazie ricche/popolazione povera) per mettere in circolazione – con aiuto di laici, amici spirituali dell'Ordine – il denaro raccolto con le elemosine. Nacquero così i banchi dei pegni con lo scopo di erogare prestiti di limitata entità (microcredito) contrastando la pratica dell’usura.
Ebbene, scrive Stefano Zamagni (1), “così come il pensiero e l'opera del francescanesimo svolsero un ruolo determinante nel passaggio dal feudalesimo alla modernità, altrettanto decisive esse appaiono oggi nell'attuale passaggio d'epoca dalla modernità alla post-modernità.
Concetti e categorie di discorso come bene comune, fraternità, dono come gratuità (e non come regalo), primato del bene sul giusto - parole chiave del lessico francescano - rivelano nell'attuale temperie storica tutta la loro importanza”.
Una proposta per i giovani
Perché Economy of Francesco è rivolto soprattutto ai giovani?
Se è vero, scrive Bergoglio (2), che “occorre pertanto correggere i modelli di crescita incapaci di garantire il rispetto dell’ambiente, l’accoglienza della vita, la cura della famiglia, l’equità sociale, la dignità dei lavoratori, i diritti delle generazioni future”, impegno a cui tutti siamo chiamati, l’invito e rivolto in modo speciale ai giovani perché, con il loro desiderio di un avvenire bello e gioioso, sono già profezia di un’economia attenta alla persona e all’ambiente.
Ed ecco la proposta di papa Francesco (3): “La qualità dello sviluppo dei popoli e della Terra dipende soprattutto dai beni comuni.
Abbiamo bisogno di processi più circolari, di produrre e non sprecare le risorse della nostra Terra, modi più equi per vendere e distribuire i beni e comportamenti più responsabili quando consumiamo.
C’è anche bisogno di un nuovo paradigma integrale, capace di formare le nuove generazioni di economisti e di imprenditori, nel rispetto della nostra interconnessione con la Terra.
Oggi nostra madre Terra geme e ci avverte che ci stiamo avvicinando a soglie pericolose. Voi siete forse l’ultima generazione che ci può salvare, non esagero.
Alla luce di questa emergenza, la vostra creatività e la vostra resilienza implicano una grande responsabilità. Spero che possiate usare quei vostri doni per sistemare gli errori del passato e dirigerci verso una nuova economia più solidale, sostenibile ed inclusiva.
Questa missione dell’economia, però, comprende la rigenerazione di tutti i nostri sistemi sociali.
Dobbiamo lavorare insieme e sognare in grande.
Con lo sguardo fisso su Gesù, troveremo l’ispirazione per ideare un nuovo mondo e il coraggio di camminare insieme verso un futuro migliore”.
13-BERGOGLIONOMICS: il pensiero di Francesco sull’economia
Possiamo avere reddito, salute, istruzione, ma se restiamo sdraiati sul divano non possiamo essere felici. Felicità è alzarsi dal divano e mettersi in gioco per essere “generativi”.
di Leonardo Becchetti*
(Testo tratto dall’introduzione del libro dell’autore: Bergoglionomics, Edizioni minimun fax, Roma 2020).
Dignità del lavoro, ecologia integrale, migranti, “scartati”. Sono i quattro grandi temi dell'economia di Francesco - che amo definire “Bergoglionomics” - che s'inseriscono con originalità e autorevolezza nel solco di un pensiero sociale che ha iniziato da tempo a fare i conti con la globalizzazione.
Dalla rivoluzione francese ad oggi, tutto il dibattito sociopolitico si è giocato nello spazio “liblab” (liberali/laburisti), in un derby tra la libertà e l'eguaglianza che vede l'individuo come lavoratore, consumatore, risparmiatore, contribuente cosicché oggi lo spazio della fraternità è sempre più limitato e umiliato.
Ma nella società povera di fraternità il senso del vivere progressivamente avvizzisce, alimentando il malcontento populista che non nasce solo dalle crescenti diseguaglianze ma anche e soprattutto dallo smarrimento di quel senso di identità che ha come pilastri la dimensione delle relazioni familiari, dei legami con il proprio territorio, della fede religiosa.
La grande rivoluzione avviata da Benedetto XVI e proseguita da Francesco è quella dell'irruzione del concetto di “dono” nello spazio “liblab”, con il principio di fraternità che “feconda” le diverse dimensioni della cittadinanza facendo nascere il consumo responsabile, il risparmio responsabile, la responsabilità d'impresa, la finanza e la banca etica.
Un’entrata “a piedi uniti”
Ingredienti fondamentali, questi, per l'avvento della Bergoglionomics, che s'innesta su un percorso già avviato con alcuni elementi di grande originalità e con un'entrata “a piedi uniti” su alcune questioni un tempo riservate agli addetti ai lavori, che irritano profondamente l'establishment e il vecchio modo di concepire l'economia.
I due contributi fondamentali e nuovi sono quelli dell'ecologia integrale e della centralità degli “scartati”, dei tanti messi ai margini dal sistema economico.
Le due entrate “a piedi uniti” sono senz'altro quella sull'importanza di uscire progressivamente ma senza indugi dalle fonti fossili e quella di che mette in discussione il concetto di “ricaduta favorevole”, una pseudo teoria consolatoria per la quale le disuguaglianze in fondo fanno bene anche ai poveri perché le ricchezze comunque “sgocciolano a valle”.
La parte sull' ecologia integrale approfondisce la prima grande novità della Bergoglionomics. Mai prima della Laudato si’ un'enciclica aveva concentrato la propria attenzione sul tema della sostenibilità ambientale, con preveggenza lungimirante se si considera che nei mesi a seguire l'umanità ha capito progressivamente come sia questa la sfida più temibile dei nostri tempi.
“Ecologia integrale” significa che il problema della sostenibilità ambientale ha radici profonde in una visione distorta della persona e del suo rapporto con la tecnologia.
C’è un circolo vizioso tra la povertà di senso del vivere, lo sfogo della bulimia dei consumi e l'utilizzo della tecnologia, che non è più un mezzo al servizio della realizzazione della persona ma ingranaggio che asservisce.
A questo circolo vizioso la parte sull’ecologia integrale nella Bergoglionomics contrappone la provocazione della ricca sobrietà di chi si mette in cammino per riscoprire la sintonia con il mondo circostante e con Dio: un meno che in realtà è un di più, una sobrietà che non è “sfigata” ma smart, diremmo oggi.
La seconda cifra originale e distintiva della Bergoglionomics è senz'altro di insistenza sulla necessità di guardare il mondo a partire dagli scartati.
Un'economia ricca di senso del futuro è che voglia far propria la lezione della Bergoglionomics deve partire proprio dal riscatto della fragilità.
Se ecologia integrale e scartati sono i due fulcri originali dell'economia di Francesco, due temi più tradizionali ma particolarmente urgenti oggi come quelli della dignità del lavoro e dei migranti non potevano non essere al centro della sua attenzione.
I paradossi di un'occupazione crescente ma accompagnata da un aumento dei lavoratori poveri, del precariato e dei lavori saltuari richiedono nuove analisi e nuove risposte che nel libro si tenta di tracciare.
La piaga dei migranti e il tentativo di organizzare una risposta al problema, infine, non può non essere il quarto pilastro della Bergoglionomics.
Se la Bergoglionomics è capace di mettere in chiaro con una lucidità senza precedenti i termini del problema e la connessione tra le quattro insostenibilità del nostro vivere contemporaneo (ambientale, di dignità del lavoro, demografica, umana e di senso di vivere) nel mio volume - Bergoglionomics: La rivoluzione sobria di papa Francesco - faccio lo sforzo di sistematizzare le intuizioni in un quadro organico la riflessione.
“Quattro mani” per salvarci
Il mondo si salva solo a quattro mani (con il contributo di mercato, istituzioni, cittadinanza attiva, imprese responsabili) e ognuno deve fare la sua parte.
Noi cittadini per primi, attraverso una trasformazione degli stili di vita orientate alla ricca sobrietà, e con una crescente consapevolezza di essere il vero “potere forte dell'economia”.
Un potere forte che deve solo coordinarsi, superare atomismo e dispersione per comprendere che le proprie scelte di consumo e risparmio possono già oggi far vincere l'economia e le imprese più capaci di coniugare creazione di valore economico, dignità del lavoro, tutela dell'ambiente e ricchezza di senso del vivere.
Se mettiamo insieme le tessere laiche e credenti nel puzzle abbiamo già in mano le chiavi per una soluzione e una risposta e per individuare le caratteristiche del ruolo che la terza mano (cittadinanza attiva) e la quarta mano (imprese responsabili) devono assolvere per la soluzione del problema.
La nuova strategia di gioco richiede anche una profonda trasformazione della seconda mano, quella delle istituzioni, che sono chiamate ad essere levatrici delle energie migliori della società civile e che, con una serie di incentivi “intelligenti”, possono ottenere risultati enormi con un dispendio di risorse pubbliche tutto sommato contenuto. La grande partita è quella di fermare quella corsa al ribasso delle grandi imprese, che si muovono nel campo da gioco globale con l'obiettivo di massimizzare il profitto, oggi contrastate da istituzioni con poteri limitati ai confini nazionali e dunque con le armi spuntate.
Essere “generativi”
Al di là del nostro ruolo specifico in tre delle quattro mani, (cittadini, dipendenti o dirigenti di impresa, rappresentanti delle istituzioni) la Bergoglionomics indica una via per la ricchezza di senso e di soddisfazione della vita.
“Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci” (EG 223).
In questa intuizione è nascosto il segreto della felicità dell'esistenza che ho ritrovato in milioni di dati sulla felicità e le sue determinanti.
Possiamo avere reddito, salute, istruzione, ma se restiamo sdraiati sul divano non possiamo essere felici. Felicità è alzarsi dal divano e mettersi in gioco per essere “generativi”. Si tratta di mettere in moto processi che cambiano le cose nel tempo. Sono i semi che seminiamo e i frutti che quei semi possono far nascere sapendo che la quantità del raccolto non dipende solo da noi e non può essere determinata a priori.
Il futuro delle nostre vite e della nostra società dipenderà da quante persone saranno illuminate, consapevoli e sapranno scegliere la fatica della felicità. Una volta presa la decisione di partire, il pensiero di Francesco potrà essere un'ottima guida sul cammino per realizzare il percorso.
* economista
Sintesi della Redazione
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• La cittadinanza attiva si esercita anche con il portafoglio: acquistando prodotti da aziende che producono in modo responsabile e investendo i risparmi in attività etiche. Ci abbiamo mai pensato?
• La cittadinanza attiva può essere un punto di incontro tra credenti e non credenti. Riusciamo a superare gli steccati confessionali?
14-FAMIGLIA AMORIS LAETITIA 2020-2021
I sussidi per vivere al meglio quest’anno
A cura della Redazione
È difficile rispondere puntualmente a tutte le sollecitazioni che ci giungono da papa Francesco, ma Bergoglio è una miniera continua di proposte, stimoli e provocazioni.
Nell’anno pastorale appena trascorso il papa ci ha proposto l’enciclica Fratelli tutti e l’anno Famiglia Amoris laetitia, che si accompagna con l’anno dedicato a san Giuseppe. Tutti questi tre temi per un verso o per l’altro toccano la realtà familiare.
Ma qui vorremmo parlare proprio di Amoris laetitia perché l’iniziativa di papa Francesco rappresenta per certi versi una novità.
Pensiamo a quante iniziative pastorali attiviamo nelle nostre parrocchie e chiediamoci se, quando sono terminate, abbiamo il “coraggio” di sottoporle ad una verifica, per coglierne i successi e i limiti.
Sovente passano nel “dimenticatoio”, salvo riprenderle o scartarle l’anno successivo in base al ricordo che si ha su di esse.
Invece, a cinque anni di distanza dalla sua pubblicazione, Bergoglio ci invita a ritornare su questo documento frutto di un lungo cammino sinodale, per verificare quanto sia stato recepito nei vari contesti ecclesiali e nelle stesse famiglie e per colmare i vuoti lasciati.
“In questo Anno”, scrive il card. Farrell (1), “abbiamo l’opportunità di presentare meglio, a tutti, la ricchezza dell’Esortazione, che contiene parole di coraggio, stimolo, riflessione, e in termini più ampi, contiene suggerimenti per percorsi pastorali anche pratici, che non dobbiamo lasciar cadere nel vuoto”.
In altre parole, siamo invitati a rimediare alle nostre difficoltà pastorali ma anche alle nostre “pigrizie”.
Anche se l’iniziativa è partita a metà marzo, fino ad ora nelle diocesi e nelle parrocchie dell’anno Famiglia Amoris laetitia non se ne è parlato molto.
Complice anche la coda della pandemia, che ha ridotto le attività comunitarie, molte diocesi italiane al momento si sono limitate a riproporre i dieci video con le riflessioni del Papa e testimonianze di famiglie, uno per ogni capitolo dell’esortazione, video preparati dal Dicastero Laici Famiglia e Vita in collaborazione con Vatican News.
I video possono essere integrati o addirittura sostituiti da dieci schede, che riportano il contenuto dei video (2) (vedi un esempio nel riquadro).
Se ritenete, come pensiamo, che possa essere utile riproporre questo tema all’interno dei vostri gruppi, la soluzione migliore risulta essere proprio questa.
Ma ci permettiamo di prospettarvene anche un’altra: riprendere i numeri passati della nostra rivista e servirsi di questi come traccia (3).
All’esortazione abbiamo dedicato un numero (GF91) appena questa è stata pubblicata. In quell’occasione, dopo alcuni articoli di presentazione del documento – con particolare attenzione al tema di divorziati risposati – abbiamo brevemente affrontato tutti i dieci capitoli dell’esortazione.
Abbiamo riproposto il documento – in particolare il capitolo 4: l’amore nel matrimonio – due anni dopo dedicandogli ben due numeri (GF100 e GF101): il primo in cui abbiamo commentato in chiave coniugale l’inno alla carità di san Paolo, il secondo in cui ci siamo soffermati si singoli paragrafi del capitolo.
Comunque, quali saranno le vostre scelte, fate fruttare questo anno pastorale, tendendo conto che si concluderà con l’incontro mondiale delle famiglie.
1 Fonte: https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2021/03/18/0163/00350.html
2 Vedi: http://www.laityfamilylife.va/content/laityfamilylife/it/tags.10VideoAmorisLaetitia.html
3 Vedi: https://www.gruppifamiglia.it/pubblicazioni.htm
RIQUADRO
L’ Esortazione Apostolica Amoris Laetitia è una proposta per i giovani e le famiglie cristiane, perché possano stimare i doni del matrimonio e della famiglia, e coltivare tra loro un amore forte, ben radicato in Cristo e pieno di valori, come la generosità, l’impegno, la fedeltà e la pazienza.
Invito alla riflessione
Che cosa significa “amare” una persona?
Dinamica in famiglia
Ogni componente della famiglia trova il suo modo per dire agli altri familiari quanto consideri importante la propria famiglia, attraverso un gesto, un pensiero o una parola.
Dinamica in comunità o in gruppo
Si invitano le coppie/famiglie presenti a conoscersi a piccoli gruppi.
Si pensi ad un segno concreto, per esempio un fiore, da donare ad ogni famiglia la domenica successiva alla santa Messa.
15-I CORSI DI PREPARAZIONE AL MATRIMONIO
Dal sacramento al Vangelo
Riprendere in mano, a cinque anni di distanza dalla sua pubblicazione, l’esortazione Amoris laetitia significa riaprire alcuni nervi scoperti della nostra pastorale.
Se in diverse diocesi si è lavorato molto per attuare concretamente un cammino per i divorziati risposati, altrettanto non si può dire per la pastorale matrimoniale e prematrimoniale, che continua a vivacchiare, restando sovente confinata ai pochi incontri che si tengono in prossimità del matrimonio.
Nel Forum Amoris laetitia, tenutosi a Roma a giugno di quest’anno, Gabriella Gambino, Sottosegretario del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita (1), ha invitato a riflettere sulla possibilità di adottare degli itinerari catecumenali di preparazione al matrimonio.
La proposta, ad una prima lettura, può sembrare esagerata ma lo è meno se la inseriamo all’interno di una prospettiva di rinnovamento pastorale.
Continuiamo ad illuderci, di fronte ai pochi che comunque continuano a frequentare, che le cose vadano bene così perché comunque non si può fare di più, ma dobbiamo aprire gli occhi e riconoscere che “è finito il tempo della cristianità” (2).
La trasmissione della fede non è più un fatto automatico, ed è difficile trasmettere la fede dei genitori ai figli quando per i genitori quella fede è soprattutto una pratica più che uno stile di vita e la società vive “come se Dio non ci fosse”.
La prima proposta da fare a chi si avvicina alla Chiesa per richiedere un sacramento diventa quella di presentare Colui che si incontra in quel sacramento: Cristo morto e risorto.
Da quando sono iniziati i corsi prematrimoniali siamo riusciti ad inserire i più svariati argomenti per rendere quegli incontri meno ostici e più interessanti, la dimensione spirituale è stata affiancata dalla dimensione affettiva, sociale, relazionale della vita a due. Tutto questo mentre gli incontri sono rimasti contenuti entro la decina e la loro durata non ha superato le due ore ogni volta.
Intendo la proposta di un itinerario catecumenale di preparazione al matrimonio non tanto qualcosa di legato al sacramento in sé, come appunto si faceva agli inizi, quanto qualcosa legato al cammino di fede dei due sposi, che stanno per fare una scelta vocazionale importante per la loro vita.
Quanto di ciò che hanno ricevuto nel cammino di iniziazione cristiana è ancora vivo in loro? Quanto la loro vita è testimonianza del Vangelo di Cristo? Che ruolo ha ancora Gesù nella loro vita? Che posto occuperà nella loro vita di coppia?
Sono domande imbarazzanti, che richiedono discrezione e confidenza, ma sono anche ineludibili, se non si vuole continuare ad essere dei distributori automatici di sacramenti.
Franco Rosada
2 Discorso di papa Francesco alla Curia romana, 21 dicembre 2019 https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/december/documents/papa-francesco_20191221_curia-romana.html
16-IL PENSIERO DI PAPA FRANCESCO
Non si può definire “preparazione al matrimonio” tre o quattro conferenze date in parrocchia; (…) questa è finta preparazione. E la responsabilità di chi fa questo cade (…) sul parroco, sul vescovo che permette queste cose.
Occorre … rendere sempre più efficaci gli itinerari di preparazione al sacramento del matrimonio, per la crescita non solo umana, ma soprattutto della fede dei fidanzati.
Mi sento di ribadire la necessità di un “nuovo catecumenato” in preparazione al matrimonio, come scelta pastorale per tutta la Chiesa.
Accogliendo gli auspici dei Padri dell’ultimo Sinodo Ordinario, è urgente attuare concretamente quanto già proposto in Familiaris Consortio (n. 66), che cioè, come per il battesimo degli adulti, il catecumenato è parte del processo sacramentale, così anche la preparazione al matrimonio diventi parte integrante di tutta la procedura sacramentale del matrimonio, come antidoto che impedisca il moltiplicarsi di celebrazioni matrimoniali nulle o inconsistenti.
Desidero raccomandare l’impegno di un catecumenato matrimoniale, inteso come itinerario indispensabile dei giovani e delle coppie destinato a far rivivere la loro coscienza cristiana, sostenuta dalla grazia dei due sacramenti, battesimo e matrimonio.
Come ho ribadito altre volte, il catecumenato è per sé unico, in quanto battesimale, cioè radicato nel battesimo, e al tempo stesso nella vita, necessita del carattere permanente, essendo permanente la grazia del sacramento matrimoniale.
17-LA PIÙ GRANDE AMICIZIA
La fraternità e la sororità nella coppia
Dopo l’amore che ci unisce a Dio, l’amore coniugale è la «più grande amicizia». È un’unione che possiede tutte le caratteristiche di una buona amicizia: ricerca del bene dell’altro, reciprocità, intimità, tenerezza, stabilità, e una somiglianza tra gli amici che si va costruendo con la vita condivisa. Però il matrimonio aggiunge a tutto questo un’esclusività indissolubile, che si esprime nel progetto stabile di condividere e costruire insieme tutta l’esistenza (FC n.123)
Si nasce in una famiglia più o meno numerosa, si può essere figli unici ma è bello avere dei fratelli e delle sorelle.
Se siamo i più grandi, per un po’ faremo loro da chioccia (e anche da tiranni), se siamo i più piccoli saremo i beniamini di casa, ma anche gli “ultimi”, in quanto a vestiti, giochi, e quelli che sono tagliati fuori da certi giochi e discorsi perché “troppo piccoli”.
I propri fratelli e sorelle sono le prime persone che possono diventare nostri amici.
A volte sono amicizie “a tempo”: con l’adolescenza, gli impegni di studio, nascono nuove relazioni, l’orizzonte si allarga e la famiglia con i suoi affetti può passare in secondo piano.
Il lavoro ci può portare lontano, con il matrimonio acquisiamo nuove parentele, nuovi legami, e la fratellanza e la sorellanza possono diventare solo un ricordo piacevole, ma anche un motivo di divisione e attrito, per problemi economici e caratteriali.
Se l’amicizia rimane la fratellanza diventa allora fraternità.
Scrive Stefano Zamagni (1): “la fratellanza è un concetto immanente che dice dell’appartenenza delle persone alla stessa specie o a una data comunità di destino, la fraternità è un concetto trascendente che pone il suo fondamento nel riconoscimento della comune paternità di Dio”.
Si nasce con un vincolo di fratellanza, ma tocca a noi trasformare la fratellanza in fraternità.
In un numero come questo, dedicato alla Fratelli tutti ma anche al quinto anniversario dell’esortazione Amoris laetitia, mi è venuto spontaneo collegare la fraternità che può nascere tra consanguinei e quella realtà che è l’amore di coppia.
D’altronde, qual è la caratterista della fraternità: la complicità, la condivisone di spazi ed emozioni, l’intimità, in altre parole l’amicizia.
Anche se l’unione coniugale è qualcosa di più, perché nasce da una attrazione, da una scelta e porta ad un’unione intima, sensuale, riesce a protrarsi nel tempo solo attraverso lo sviluppo e la cura dei sentimenti di fraternità e sororità (2). Questo si può verificare bene quando si invecchia. La passione cede il passo all’affetto e a tutte le caratteristiche sopra elencate dell’amicizia.
Ma c’è qualcosa di più, ed è il “per sempre” che, se custodito e coltivato, va al di là dell’amicizia: diventa una “grande amicizia”, qualcosa di unico e irripetibile, che solo i due partner conoscono.
Tanto prima nasce all’interno della coppia questa “grande amicizia” tanto più l’unione coniugale diventa forte e capace di reggere alle prove della vita.
Franco Rosada
2 Fonte: https://www.osservatoreromano.va/it/news/2020-09/dire-sororita-non-e-stravaganza-femminista.html
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Che rapporti abbiamo con i nostri fratelli e/o sorelle?
• Cosa facciamo perché i nostri figli coltivino tra loro la fraternità?
• Quanto serve coltivare sentimenti di fraternità/sororità all’interno della coppia?
• In che misura ci sentiamo amici di nostra moglie/nostro marito?
18-L’UOMO NON DIVIDA QUELLO CHE DIO HA CONGIUNTO
Passi necessari per un uso corretto della Scrittura in ambito morale
Possiamo presumere che ciò che dice la Bibbia sia sempre vincolante sul piano etico?
di Gian Luca Carrega*
C’è un problema di fondo nel modo in cui la Scrittura viene utilizzata nelle questioni pratiche della vita della Chiesa: l’estrapolazione di singoli brani e sentenze rispetto al loro contesto originario.
Oggi si sta creando finalmente un certo consenso tra le persone ragionevoli attorno alla necessità di valutare non soltanto ciò che viene detto nella Bibbia, ma anche in quale contesto: a chi viene detto e con quale scopo.
L’autorità della Scrittura
Possiamo presumere che ciò che dice la Bibbia sia sempre vincolante sul piano etico? In alcuni casi i cristiani hanno potuto fare appello ad una parola di Gesù, ma si tratta di rare eccezioni. Quando alla metà del I secolo si pone il delicatissimo problema dell’inclusione nella Chiesa dei pagani senza la circoncisione – questione destinata a segnare in maniera irrevocabile il rapporto tra giudei e cristiani – la soluzione viene trovata collegialmente in una riunione tenuta a Gerusalemme dove i principali leader del tempo presentano il loro punto di vista. La cosa interessante è che analizzano la faccenda sotto diversi aspetti ma nessuno di loro fa riferimento ad una parola di Gesù sull’argomento: forse perché davvero Gesù non aveva mai dato indicazioni precise in merito.
Gli evangelisti non sentono sempre la necessità di distinguere tra la loro voce e quella del personaggio di Gesù nei loro scritti, perché incarnano la stessa prospettiva. Un esempio classico è il capitolo 3 di Giovanni (l’incontro con Nicodemo) dove non è affatto chiaro dove Gesù smette di parlare e dove comincia il commento dell’evangelista. Questa situazione dovrebbe renderci alquanto cauti sul fatto che per certe dispute “abbiamo una parola di Gesù”.
Ci sono però alcuni casi in cui i detti attribuiti a Gesù hanno un carattere così particolare che si può supporre che risalgano direttamente a lui.
Tra questi viene spesso annoverato il divieto del divorzio, soprattutto quello più sintetico che troviamo in Mc 10,9: “L’uomo non divida quello che Dio ha congiunto”. Personalmente ritengo che questo detto soddisfi alcuni dei criteri sopra citati e quindi tendo a considerarlo un detto autentico di Gesù. Ma l’aver stabilito l’origine di un detto costituisce solo il primo passo nella sua interpretazione. Quando Gesù afferma: “Chi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo” (Lc 14,33) sta consegnando una norma canonica per stabilire chi può accedere al Regno o sta fornendo una prospettiva che deve essere attualizzata giorno per giorno? La condizione viene assolta solo con una azione puntuale o basta un orientamento di distacco dai beni che ancora si possiedono?
Ma se questo vale per il rapporto con i beni materiali, forse può essere applicato a maggior ragione con questioni che riguardano i vincoli affettivi.
C’è un principio importante nella chiesa delle origini che oggi mi pare largamente disatteso: non valgono per tutti le stesse regole. Si può essere autentici discepoli abbandonando tutto per seguire Gesù, ma lo si può essere anche restando a casa propria ed essendo ospitali come fanno Lazzaro, Marta e Maria. Si può vendere tutti i propri beni per diventare missionari itineranti, come viene chiesto al giovane ricco, ma si può anche solo rinunciare alla metà e continuare a fare il pubblicano, come avviene per Zaccheo. Norme sicure e universali desumibili dai vangeli sono molto difficili da trovare.
Le categorie della morale rispecchiano davvero quelle bibliche?
Si tratta di una questione molto complessa perché i moralisti sono andati in crisi quando hanno cercato di distinguere tra norme bibliche che avevano carattere transitorio (ad esempio i cibi impuri) e altre con valore permanente (non uccidere).
Accogliere qualsiasi norma alla lettera significherebbe cadere nel fondamentalismo, un approccio che la Pontificia Commissione Biblica ha riconosciuto come deleterio nel documento del 1993 L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa.
Questa distinzione è ancora più necessaria quando vengono usate per i testi biblici delle categorie che esulano dal modo di ragionare della Scrittura, provocando dei pericolosi cortocircuiti. È il caso, ad esempio, della famosa espressione latina intrinsece malum (male intrinseco), che l’enciclica Veritatis splendor spiega così: “non è lecito fare il male a scopo di bene”.
Al numero successivo l’enciclica specifica le azioni che rientrerebbero nella categoria di intrinsece malum, cioè azioni cattive “per il loro stesso oggetto, indipendentemente dalle ulteriori intenzioni di chi agisce e dalle circostanze”. Segue un elenco, che include “ogni specie di omicidio, il genocidio, l’aborto, l’eutanasia e lo stesso suicidio volontario”. Queste sono azioni vietate in qualsiasi circostanza, senza se e senza ma. Però se questa prassi viene applicata alla Bibbia, che cosa succede?
L’omicidio e il genocidio non possono essere in alcun modo eseguiti o tollerati. Quindi cosa ne facciamo di 1Sam 15,3 dove Dio ordina a Saul in procinto di attaccare battaglia contro Amalek: “Uccidi uomini e donne, bambini e lattanti, buoi e pecore, cammelli e asini”?
Basterebbe una buona coscienza per disattendere quest’ordine disumano, se non ci fosse pure uno dei Dieci comandamenti che Mosè aveva scritto sulle tavole: non uccidere!
Dio ha comandato a Saul di compiere un intrinsece malum e per di più lo ha spinto ad agire contro i suoi stessi comandamenti. Per colmo dell’ironia, l’enciclica al numero 81 afferma che “insegnando l’esistenza di atti intrinsecamente cattivi, la Chiesa accoglie la dottrina della Sacra Scrittura”… E il motivo è che “non sono ordinabili a Dio e al bene della persona”. Come se l’ordine di fare una strage Saul non l’avesse ricevuto da Dio…
Mi pare evidente che la sovrapposizione di categorie tomistiche alle Scritture ebraiche sia un’operazione azzardata, che pretende di normare qualcosa che esula dal modo umano di ragionare.
Conclusione
Spero che queste osservazioni non vengano recepite come sdoganamento di un soggettivismo estremo nel discernimento morale, ma anzi favoriscano la recezione del linguaggio profetico della Scrittura anche nel magistero e nelle indicazioni pratiche della vita morale dei credenti, nella convinzione che queste esigenze possano essere ancora più stringenti delle mediazioni che i legislatori umani hanno trovato per non far cadere nello sconforto totale i credenti. Coltivo la fiducia che la Parola di Dio possa essere compagna e stimolo di riflessioni più approfondite.
La certezza che Uno solo è buono mi spinge a ritenere che non abbiamo bisogno di etichettare alcune azioni umane come intrinsecamente buone o cattive se poi la relazione con Lui è davvero l’unica cosa che conta, il valore assoluto che dà un significato a tutto il resto.
* biblista, docente presso la Facoltà Teologica di Torino
Sintesi dell’intervento tenuto l’8 maggio 2021 a Torino durante l’incontro di formazione "Le imperfezioni dell’amore" organizzato dal Servizio pastorale interdiocesano Amoris laetitia
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Dopo aver letto questa riflessione di Gian Luca Carrega, che sentimenti proviamo?
• Quali passi della Parola di Dio ci sono sembrati in contraddizione tra loro?
• Che strumenti utilizziamo per “capire” cosa davvero vuole dirci la Parola di Dio?
19-UN SINODO SULLA SINODALITÀ
Il vero protagonista del Sinodo è lo Spirito Santo
Non bisogna fare un’altra Chiesa, bisogna fare una Chiesa diversa. Yves Congar
di papa Francesco*
Cari fratelli e sorelle,
grazie per essere qui, all’apertura del Sinodo. Ricordo che il Sinodo non è un parlamento, che il Sinodo non è un’indagine sulle opinioni; il Sinodo è un momento ecclesiale, e il protagonista del Sinodo è lo Spirito Santo. Se non c’è lo Spirito, non ci sarà Sinodo.
Tre parole chiave
Le parole-chiave del Sinodo sono tre: comunione, partecipazione, missione. Il Concilio Vaticano II ha chiarito che la comunione esprime la natura stessa della Chiesa e, allo stesso tempo, ha affermato che la Chiesa ha ricevuto “la missione di annunziare e instaurare in tutte le genti il regno di Cristo e di Dio, e di questo regno costituisce in terra il germe e l’inizio” (Lumen gentium, 5).
Dopo un tempo di riflessioni dottrinali, teologiche e pastorali che caratterizzarono la ricezione del Vaticano II, San Paolo VI volle condensare proprio in queste due parole – comunione e missione – “le linee maestre, enunciate dal Concilio”.
Chiudendo il Sinodo del 1985, San Giovanni Paolo II affermava: “Conviene sommamente che nella Chiesa si celebrino Sinodi ordinari e, all’occorrenza, anche straordinari”, i quali, per portare frutto, devono essere ben preparati: “occorre cioè che nelle Chiese locali si lavori alla loro preparazione con partecipazione di tutti”. Ecco dunque la terza parola, partecipazione. Comunione e missione rischiano di restare termini un po’ astratti se non si coltiva una prassi ecclesiale che esprima la concretezza della sinodalità in ogni passo del cammino e dell’operare, promuovendo il reale coinvolgimento di tutti e di ciascuno.
Se manca una reale partecipazione di tutto il Popolo di Dio, i discorsi sulla comunione rischiano di restare pie intenzioni.
Tre rischi
Il Sinodo, proprio mentre ci offre una grande opportunità per una conversione pastorale in chiave missionaria e anche ecumenica, non è esente da alcuni rischi. Ne cito tre. Il primo è quello del formalismo. Si può ridurre un Sinodo a un evento straordinario, ma di facciata.
Perché sottolineo questo? Perché a volte c’è qualche elitismo nell’ordine presbiterale che lo fa staccare dai laici; e il prete diventa alla fine il “padrone della baracca” e non il pastore di tutta una Chiesa che sta andando avanti.
Un secondo rischio è quello dell’intellettualismo – l’astrazione, la realtà va lì e noi con le nostre riflessioni andiamo da un’altra parte –: far diventare il Sinodo una specie di gruppo di studio, con interventi colti ma astratti sui problemi della Chiesa e sui mali del mondo.
Infine, ci può essere la tentazione dell’immobilismo: siccome “si è sempre fatto così” è meglio non cambiare. Chi si muove in questo orizzonte, anche senza accorgersene, cade nell’errore di non prendere sul serio il tempo che abitiamo. Il rischio è che alla fine si adottino soluzioni vecchie per problemi nuovi: un rattoppo di stoffa grezza, che alla fine crea uno strappo peggiore (cfr Mt 9,16).
Tre opportunità
Viviamo dunque questa occasione di incontro, ascolto e riflessione come un tempo di grazia, che, nella gioia del Vangelo, ci permetta di cogliere almeno tre opportunità. La prima è quella di incamminarci non occasionalmente ma strutturalmente verso una Chiesa sinodale: un luogo aperto, dove tutti si sentano a casa e possano partecipare. Il Sinodo ci offre poi l’opportunità di diventare Chiesa dell’ascolto: ascoltare lo Spirito nell’adorazione e nella preghiera
Infine, abbiamo l’opportunità di diventare una Chiesa della vicinanza. Lo stile di Dio è vicinanza, compassione e tenerezza. Dio sempre ha operato così.
Cari fratelli e sorelle, sia questo Sinodo un tempo abitato dallo Spirito! Perché dello Spirito abbiamo bisogno, del respiro sempre nuovo di Dio, che libera da ogni chiusura, rianima ciò che è morto, scioglie le catene, diffonde la gioia.
* Discorso del Santo Padre Francesco in occasione del Momento di Riflessione per l’inizio del Percorso Sinodale, 9 ottobre 2021
Sintesi della Redazione
20-COME STA “DI SALUTE” LA CHIESA CHE È IN TORINO?
C’è un’immagine che qua e là ricorre in questa consultazione e che richiama il pensiero di papa Francesco: il superamento della struttura piramidale della Chiesa
Come Chiesa come possiamo riallacciare i rapporti con quei cristiani che vivono un po’ sparsi nella società, ma che si attiverebbero se la chiesa locale offrisse dei luoghi di confronto culturale sui temi più sensibili del nostro tempo?
La diocesi di Torino ha effettuato al suo interno, nel corso dell’ultimo anno e mezzo, una consultazione su larga scala con due obiettivi: raccogliere riflessioni su come si è vissuto questo periodo del Covid-19 e approfondire il tema della “Chiesa in uscita” come proposto da Papa Francesco nella Evangelii gaudium.
Nonostante la pandemia, che ha rallentato i lavori, a
maggio di quest’anno la sintesi di quanto emerso dalla consultazione è stato
presentato all’Assemblea diocesana attraverso due interessanti relazioni che
trovate di seguito.
P.S. A questo indirizzo trovate tutti i documenti del cammino fatto dalla
diocesi:
https://www.diocesi.torino.it/site/assemblea-diocesana-2021-tutti-gli-atti-disponibili-on-line/
di Franco Garelli*
Quanto abbiamo vissuto in questo anno è stato per molti un momento di rottura del normale flusso della vita comunitaria, ha generato incertezza e spaesamento, ma ha anche prodotto molte riflessioni.
Se parecchi denunciano la stanchezza del periodo, e si chiedono “quando torneremo a fare le cose come prima”; i più sembrano convinti che si stia voltando pagina. Soprattutto riflettono sulla portata del cambiamento.
Meno gente in chiesa
La denuncia più diffusa è il forte calo della partecipazione. La sospensione dei riti ha avuto il suo strascico. Chi partecipava perlopiù formalmente, solo per firma potremmo dire, oggi non frequenta più.
In realtà la situazione è variegata. Le parrocchie e le comunità vitali e vivaci (che possono contare su un prete accogliente e ‘robusto’ e su laici affiatati) non hanno perso molto e recuperano in fretta; mentre quelle carenti (per varie ragioni) di linfa vitale, e che operano in contesti più difficili, hanno subito un forte tracollo di partecipazione.
Tempo di grazia
Tuttavia la riflessione della chiesa di base (a livello Unità Pastorali) va oltre.
A detta di molti, la pandemia ha innescato due processi a livello ecclesiale: da un lato ha scombussolato la routine pastorale; dall’altro è stata vissuta come un momento propizio per ripensare l’essere cristiani e l’essere chiesa nella realtà attuale.
Nelle formulazioni più alte, il lockdown è stato definito “un tempo di Grazia, ricco di Presenza e di presenze”, un tempo favorevole a riflettere sulle cose che contano (al discernimento).
Nello stesso tempo ha fatto emergere la “fragilità” delle nostre comunità parrocchiali, di cui eravamo da tempo coscienti, anche se era perlopiù nascosta dalle molteplici attività (dall’attivismo).
Ma questa “fragilità” in parallelo solleva la questione centrale del tipo di fede che viene proposta e trasmessa dalle nostre comunità, vista la “poca fede” delle persone che prima frequentavano e ora sono disperse e il grande vuoto dei ragazzi e dei giovani nei nostri ambienti.
Liturgia, catechesi, carità
Tracce di questa riflessione si ritrovano quando si parla di liturgia, catechesi e carità.
La liturgia
Il ritorno alle celebrazioni in presenza non deve disperdere l’esperienza maturata nel periodo dalla comunicazione on-line; il ricorso alla tecnologia può essere utile in varie circostanze e situazioni, è da integrare dunque con le attività in presenza; ad esempio, per far giungere a tutti un messaggio sul vangelo del giorno, per coltivare gruppi biblici on line, per segnalare iniziative, per affrontare alcune questioni organizzative.
La sospensione delle celebrazioni ha aperto una riflessione sulle forme di preghiera liturgica e comunitaria, per cui, oltre alla centralità dell’Eucarestia, c’è l’esigenza di dare più spazio ad altre forme di preghiera comunitaria, tra cui la liturgia delle ore, quella della Parola, la lectio divina.
Ancora, molti auspicano che anche nella liturgia si dia maggior importanza alle relazioni e all’accoglienza e qui le posizioni divergono: c’è chi vuole celebrazioni più gioiose, più partecipate, c’è chi vuole più tempi di silenzio e di meditazione (1).
La catechesi
C’è chi dichiara che si fa fatica a ripensarsi in una nuova logica; mentre altri si sono misurati con nuovi percorsi e metodi. In alcuni casi si è scelto di organizzare la catechesi prima o dopo la messa festiva, coinvolgendo insieme i ragazzi e i genitori (perlopiù con buoni esiti); in altri casi, la preparazione e la celebrazione delle prime comunioni è stata fatta a piccoli gruppi, una scelta questa che scoraggia il folklore e orienta ad un inserimento più normale e compreso (spirituale) nella vita della comunità.
L’imperativo più diffuso resta comunque il coinvolgimento delle famiglie.
La carità
C’è poi un ampio riconoscimento dell’impegno della chiesa torinese (e di molte parrocchie) nel campo della carità. L’attenzione ai poveri non è cessata, la Caritas è molto attiva e sollecitata, la solidarietà non è mai venuta meno, pur a fronte di una maggior domanda di aiuti e di interventi.
È comunque una carità cristiana più ‘attrezzata’ in questo difficile periodo, che cerca la sinergia con la solidarietà “civile”, che collabora con enti diversi, capace di attrarre nuovi volontari, tra cui non pochi giovani.
La parrocchia
C’è la consapevolezza che sulla “forma” della parrocchia e sulle Unità Pastorali il cantiere è aperto da tempo.
Di per sé sulla formula della parrocchia c’è ancora un largo consenso, in quanto – pur con tutte le sue ambivalenze – viene considerata anche oggi come il luogo religioso più prossimo alla vita della gente comune, come lo spazio primario (ma non unico) dell’esperienza cristiana sul territorio.
Però viene sottolineato come ci siano parrocchie ‘feconde’ e ‘attrattive’ e altre che lasciano a desiderare; costatazione questa che è alla base della mobilità di una parte dei fedeli verso le parrocchie di elezione, rispetto a quelle di appartenenza.
Assai sentita è la questione dei ministeri non ordinati, della richiesta che vengano riconosciuti – come nuovi ministeri – i servizi che i cristiani laici (proprio in quanto tali) già assolvono nel lettorato della parola, nella catechesi, della distribuzione della comunione.
Poi c’è il ‘rosario’ di osservazioni circa il ruolo del laicato nella Chiesa e il non sempre facile rapporto laici e clero, con la richiesta che si debba riconoscere ai laici maggior responsabilità e autonomia nella comunità; che occorra dar loro più spazio non solo a livello esecutivo o consultivo, ma anche deliberativo.
I “cristiani della soglia”
Sappiamo che molti cristiani vivono ai margini della fede e della chiesa (2). Tuttavia, su questo tema, vi sono state poche riflessioni sul che fare (a livello pastorale e spirituale).
Gli spunti più interessanti sono stati forniti da coloro che sono situati in una “terra di mezzo” tra le nostre comunità e il mondo, come i diaconi, i credenti ‘sciolti’, chi opera nella pastorale della salute, alcuni insegnanti di religione per quanto riguarda la lontananza dei giovani.
Molte persone stanno ai margini dei nostri ambienti perché non si sentono rappresentati, o perché hanno un contenzioso con la fede o con la Chiesa che viene da lontano, o perché privi di una adeguata trasmissione della fede
Colmare questi solchi, costruire ponti tra sensibilità diverse, comprendere che la ricerca di senso e di punti di riferimento è più diffusa di quanto si pensi: ecco l’impegno di una “Chiesa in uscita” come la vorrebbe il papa: che non cura soltanto i pochi che stanno nel recinto, ma guarda ai molti ormai situati oltre gli steccati.
I cristiani “nel mondo”
In questa consultazione non sono stati purtroppo coinvolti (per ragioni certamente comprensibili) quanti vivono la loro identità cristiana – potremmo dire – “extra moenia”, pur sentendosi parte della chiesa e pur frequentando gli ambienti ecclesiali dal punto di vista religioso.
C’è tutta una realtà di donne e di uomini di matrice cattolica la cui sensibilità li porta a impegnarsi (proprio in quanto credenti) più nella costruzione della città terrena che a essere presenti e attivi nei luoghi ecclesiali di base. E cioè nel mondo nel lavoro e delle professioni, nelle aziende e nelle istituzioni, nella scuola e nell’università, nei campi della sanità, della giustizia, della cultura, della politica, ecc. (3)
La domanda che mi sento di porgere è questa: come riallacciare i rapporti (in quanto Chiesa) con quei cristiani che vivono un po’ sparsi nella società, ma che si attiverebbero se la chiesa locale offrisse dei luoghi di confronto culturale sui temi più sensibili del nostro tempo?
La presenza pubblica della Chiesa
Chi è impegnato in ambito sociale teme (non da oggi) che i cristiani vengano valorizzati solo in quanto “infermieri della storia” (per utilizzare un’immagine del card. Saldarini). Altri si rammaricano che la chiesa torinese sia poco presente nel dibattito pubblico, non per mostrare i muscoli, ma per offrire un orizzonte di senso connesso alle sue radici.
Abbiamo molte risorse (culturali e spirituali, e buone prassi…) ma che circolano perlopiù in spazi ristretti, che sembrano incidere poco nella formazione delle coscienze. Siamo un po’ dispersi nella società secolarizzata, valorizzati più per certi aspetti che per altri, che pur costituiscono la ragione ultima della nostra presenza.
Forse ci vuole più coraggio. Nel chiedersi, ad esempio, che cosa ci sia di cristiano che valga davvero la pena di dire oggi; o nel dare più credito alle domande di senso diffuse in ogni dove.
* sociologo, docente presso l’Università di Torino
Dalla relazione all’Assemblea Diocesana, Torino 28 maggio 2021
Sintesi della Redazione
1 Vedi anche: GF108, luglio 2021, Perché andare a messa oggi?
2 Vedi anche: GF108, luglio 2021, Il tempo è superiore allo spazio.
3 Vedi anche: GF105, luglio 2020, Vivere la fede oggi.
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Quale spazio hanno i laici nella vostra parrocchia? Quale spazio meriterebbero?
• Cosa, a vostro avviso, può rendere una parrocchia attrattiva?
• Nella nostra comunità abbiamo esperienza di iniziative per coinvolgere i “lontani”? Quali sono stati i risultati?
21-IL CAMMINO SINODALE
L’obiettivo del processo sinodale non è di fornire un’esperienza temporanea o una tantum di sinodalità, quanto piuttosto di offrire un’opportunità all’intero Popolo di Dio di discernere insieme come andare avanti sulla strada che ci porta ad essere una Chiesa più sinodale sul lungo termine.
La domanda chiave che guida il cammino sinodale è infatti questa: “Una Chiesa sinodale, nell’annunciare il Vangelo, ‘cammina insieme’. Come sta avvenendo questo ‘camminare insieme’ oggi nella vostra Chiesa locale? Quali passi lo Spirito ci invita a fare per crescere nel nostro ‘camminare insieme’”?
Per aiutare le persone ad approfondire questa domanda fondamentale, vengono poi individuati dieci temi che evidenziano alcuni aspetti significativi della “sinodalità vissuta”.
La prima fase del cammino sinodale, quella diocesana, prevede la consultazione del Popolo di Dio affinché il processo sinodale si realizzi attraverso l’ascolto di tutti i battezzati.
Nessuno dovrebbe essere escluso dalla possibilità di condividere la sua prospettiva e le sue esperienze, nella misura in cui vuole aiutare la Chiesa nel suo cammino sinodale di ricerca di ciò che è buono e vero.
Le parrocchie che hanno un Consiglio Pastorale possono utilizzare questo organismo “sinodale” per organizzare e dare vita al processo sinodale a livello locale, a condizione che si compia uno sforzo per raggiungere le periferie e quelle voci che sono raramente ascoltate.
Fonte: https://www.synod.va/content/dam/synod/document/common/vademecum/IT-Vademecum-Full.pdf
22-VINO NUOVO IN OTRI NUOVI: quattro possibili conversioni pastorali
Proposte per un cammino sinodale della Chiesa che è in Torino
Il lavoro di un cammino sinodale dedicato proprio al “volto della Chiesa e la sua vita” richiede di versare vino nuovo in otri nuovi, non risparmiando il coraggio di immaginare l’avvenire.
Tra il grande problema di come riempire le chiese e la grandissima impresa di riempire i cuori, forse un piccolo, provvisorio, ma importante spazio, esiste pure per il compito di riempire le teste.
Giovanni Salmeri
di Duilio Albarello*
Dopo aver letto l’ampio materiale frutto della consultazione in vista dell’Assemblea diocesana di Torino, ho provato a ricavare l’indicazione di quattro processi, o se preferiamo di quattro conversioni pastorali, che mi sembrano prioritarie e che consegno al vostro discernimento.
1. Dalla sola sacramentalizzazione alla evangelizzazione integrale
“Nell’ambito della liturgia il fatto di aver dovuto rispondere prima all’obbligo di non celebrare con la comunità e poi ai distanziamenti – causa Covid –, ha reso necessaria una riflessione sulle forme della preghiera liturgica e comunitaria oggi. Non c’è solo la celebrazione dell’Eucaristia, ci sono altre forme a cui dare spazio: la liturgia delle ore; la liturgia della Parola; la lectio divina. Ma anche la possibilità di liturgie domestiche, che vedono la famiglia riunita” (dalla consultazione sinodale).
Con il Covid-19 le chiese sono rimaste vuote durante il lockdown di marzo/aprile 2020.
Di punto in bianco, la Chiesa si è trovata spinta ad uscire dalle chiese; la comunità dei fedeli ha perso quella che ad fino ad oggi rimane la sua modalità principale di espressione, quella liturgica, e quindi ha dovuto disperdersi, lasciandosi trasportare fuori in un movimento di diaspora.
Questo ci ha ricordato che «fonte e culmine» dell’esperienza cristiana non è soltanto il rito, bensì è la vita. La vita certamente comprende dentro di sé il rito, ma non si esaurisce nel rito, perché ad un certo punto la messa è finita e bisogna andare in pace.
Il «culto adatto» al cristiano non è esclusivamente il rito che si celebra, ma è il corpo che si dona: è il corpo che si dona nei gesti della cura, della fraternità, della tenerezza, della solidarietà, della riconciliazione. Non si tratta soltanto di «fare carità», ma più radicalmente di «essere carità», ad immagine e somiglianza del Dio di Gesù.
Questo significa in concreto: convertirsi da una Chiesa che va (solo) in chiesa, ad una Chiesa che va a tutti. Il punto è mirare ad una Chiesa de-centrata, davvero in uscita, consapevole che l’evangelizzazione integrale richiede di mettersi al servizio di un’autentica umanizzazione in nome di Gesù Cristo e della sua salvezza.
Vanno in questa direzione alcune proposte frutto della consultazione come quella che segue: «È importante che le parrocchie, creino luoghi di incontro e di dialogo (e magari anche di festa) aperti a tutti, gestiti dai laici, dove ci si possa confrontare sui problemi del territorio, sui problemi sociali che la gente sente più urgenti, e anche su temi culturali e spirituali, ricordando che per far incontrare il Vangelo dobbiamo imparare a parlare col mondo invece di parlare al mondo. In questi luoghi si possono proporre anche momenti di riflessione biblica, per i credenti ma aperti a tutti, senza trascurare la possibilità di far nascere gruppi di lettura biblica anche nelle case».
2. Dalla supplenza clericale alla corresponsabilità testimoniale
“L’istanza comunitaria richiede un graduale superamento della struttura piramidale della Chiesa, e di ripensare l’accesso ai ministeri, promuovendo il ruolo anche decisionale dei laici, sia uomini che donne, e riconoscendo alle donne l'accesso al diaconato” (dalla consultazione sinodale).
Si tratta di ribadire che l’esercizio della presidenza autorevole, che spetta ai vescovi e ai presbiteri, implica di per sé il riferimento ad un’attività ecclesiale, che richiede di essere portata avanti da una molteplicità di soggetti. È addirittura ovvio: non c’è presidenza senza comunità. Dunque, la presidenza rimanda ad una collaborazione responsabile, in cui sono chiamati in causa a pieno titolo battesimale anche i laici e le laiche.
Occorre operare un passaggio decisivo dalla supplenza clericale alla corresponsabilità testimoniale.
Papa Francesco ci ricorda che quando parliamo di collaborazione e di corresponsabilità, non ci riferiamo soltanto all’impegno della catechesi, dell’animazione liturgica, dell’attività caritativa, e così via. Senza dubbio è ancora più fondamentale un’altra maniera di essere corresponsabili della missione della Chiesa, ossia quella che si gioca nell’impegno di testimonianza evangelica che ognuno vive al di là degli ambienti strettamente ecclesiali: in famiglia, nella scuola, sul lavoro, nelle varie forme della vita civile, nel tempo disponibile.
3. Dall’attivismo pastorale alla formazione teologica
“Occorre avere consapevolezza che stiamo rischiando narrazioni vuote, perché i giovani non hanno ricevuto alcuna trasmissione della fede (dai nonni e in genere dalla famiglia, spiritualmente povera). Questo richiede l’adozione di nuovi linguaggi e nuove forme di pastorale. L’esigenza di superare il dogmatismo richiama la necessità della formazione di cristiani adulti” (dalla consultazione sinodale).
A oltre cinquant’anni dal Concilio Vaticano II, rimangano duri a morire due pregiudizi davvero dannosi: una concezione intellettualistica della teologia e una visione attivistica della pastorale.
In realtà, se per «pastorale» intendiamo le differenti forme concrete, grazie alle quali la comunità ecclesiale si prende cura della buona qualità della fede nell’Evangelo, allora non c’è alcun dubbio che il ministero teologico rappresenti uno degli aspetti costitutivi e immancabili di tale cura.
L’epoca che viviamo ci sollecita a investire risorse qualificate di intelligenza e di impegno per attivare una testimonianza che interpella, inquieta, suscita domande e alimenta speranze. Ormai da tempo non è più sufficiente garantire una pastorale di conservazione, c’è bisogno di camminare verso una pastorale «generativa», come espressione di una Chiesa che non solo aiuti a crescere una fede già esistente, ma più in radice permetta di nascere ad una fede ancora in gestazione.
Non si tratta certo di diventare tutti teologi di professione, ma di acquisire una competenza teologica che sia proporzionata alla responsabilità testimoniale che si è chiamati ad esercitare.
Ora, attuare un annuncio, una catechesi, una liturgia, un vissuto comunitario che siano coerenti con la prospettiva dell’umanità della fede esige appunto di apprezzare il servizio specifico che la teologia svolge per formare la capacità di discernere evangelicamente, in quanto quella prospettiva nasce proprio dall’incontro convincente tra la Parola di Dio e le parole che gli esseri umani sanno o non sanno più pronunciare a proposito di se stessi e del loro mondo.
4. Dall’autoreferenzialità ecclesiale al dialogo socio-culturale
“Nell’ascolto che l’Assemblea diocesana si propone, ed anche in vista del futuro, occorrerebbe superare la divisione io-noi-loro. Ascoltare anche chi si è allontanato, anche chi è uscito” (dalla consultazione sinodale).
Mi pare che il legame indissolubile tra evangelizzazione e umanizzazione, sfida la comunità ecclesiale sulla sua capacità di abilitare i credenti ad una fede, che sia consapevole delle attuali trasformazioni culturali e sociali, in modo da affrontarle non rimanendo sulla difensiva, ma prendendo l’iniziativa di contribuire a orientare quelle trasformazioni stesse con la sensibilità del Vangelo.
Merita citare al proposito un passaggio del discorso tenuto da papa Francesco al Convegno ecclesiale di Firenze: “Vi raccomando, in maniera speciale, la capacità di dialogo e incontro. Dialogare non è negoziare. Negoziare è cercare di ricavare la propria “fetta” della torta comune. Non è questo che intendo. Ma è cercare il bene comune per tutti. Discutere insieme, oserei dire arrabbiarsi insieme, pensare alle soluzioni migliori per tutti […] Ricordatevi inoltre che il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà. E senza paura di compiere l’esodo necessario ad ogni autentico dialogo. Altrimenti non è possibile comprendere le ragioni dell’altro, né capire fino in fondo che il fratello conta più delle posizioni che giudichiamo lontane dalle nostre pur autentiche certezze. È fratello”.
Come suggerisce il papa, oggi il compito prioritario della comunità ecclesiale sul piano pubblico non è quello di limitarsi a ripetere discorsi infarciti di doverismo riguardanti il comportamento etico e l’impegno politico. Si tratta piuttosto di scoprire, attivare e alimentare in ogni cittadino la capacità di riconoscere la fonte di quelle risorse di partecipazione, collaborazione e solidarietà, che possono rendere la società un luogo vivibile e ospitale per chiunque.
* direttore ISSR di Fossano (CN)
Sintesi della Redazione
Per il testo integrale della riflessione: https://www.diocesi.torino.it/wp-content/uploads/2021/05/ALBARELLO_Duilio_relazione_AssDiocTorino_-28maggio2021.pdf
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• La gente ci riconosce come credenti perché andiamo in chiesa o anche per altro?
• Quando ci hanno affidato delle responsabilità pastorali, ci siamo impegnati per essere all’altezza del compito?
• Riteniamo di saperne abbastanza sulla fede che pratichiamo o riconosciamo le nostre carenze? Cosa facciamo per rimediare?
23-UN SINODO PER I GRUPPI FAMIGLIA
di Franco Rosada
Ho seguito on-line l’assemblea diocesana del 28 maggio a Torino e sono rimasto molto colpito dall’intervento di don Duilio Albarello.
In qualche modo le sue considerazioni si integravano nella mia mente con le riflessioni che nell’ultimo anno abbiamo portato avanti sulla rivista.
Di qui l’idea di proporre ai Gruppi Famiglia un cammino di confronto e riflessione basato sulle quattro conversioni pastorali suggerite da Albarello.
Non coincidono esattamente con i dieci temi proposti dal cammino sinodale ufficiale ma hanno il vantaggio di fornire un materiale già elaborato che può rendere più facile il lavoro di gruppo.
Ed ora tocca a voi accogliere o meno l’invito a compiere questo cammino.
Ecco le tappa previste:
22 ottobre: Dalla sola sacramentalizzazione alla evangelizzazione integrale.
10 dicembre: Dalla supplenza clericale alla corresponsabilità testimoniale.
11 febbraio: Dall’attivismo pastorale alla formazione teologica.
1° aprile: Dall’autoreferenzialità ecclesiale al dialogo socio-culturale.
20 maggio: Conclusioni. Per un nuovo inizio.
Tuti gli incontri inizieranno alle ore 21 e si terranno sulla piattaforma Zoom.
Gli incontri saranno condotti e animati dalle coppie del Direttivo del Collegamento tra GF e da padre Vincenzo Salemi IMC, che alcuni lettori già conoscono.
Se siete nella nostra mailing list riceverete per tempo il link dell’incontro, altrimenti lo potete richiedere a
Uomini e donne nella Bibbia
24-GESÙ E IL GIOVANE RICCO
Impariamo ad incontrare, ascoltare, discernere
di papa Francesco*
Fare Sinodo significa camminare sulla stessa strada, camminare insieme. Guardiamo a Gesù, che sulla strada dapprima incontra l’uomo ricco, poi ascolta le sue domande e infine lo aiuta a discernere che cosa fare per avere la vita eterna.
Incontrare, ascoltare, discernere: tre verbi del Sinodo su cui vorrei soffermarmi.
Incontrare. Il Vangelo si apre narrando un incontro. Un uomo va incontro a Gesù, si inginocchia davanti a Lui, ponendogli una domanda decisiva: «Maestro buono, cosa devo fare per avere la vita eterna?» (Mc 10,17). Una domanda così importante esige attenzione, tempo, disponibilità a incontrare l’altro e a lasciarsi interpellare dalla sua inquietudine.
Anche noi, che iniziamo questo cammino, siamo chiamati a diventare esperti nell’arte dell’incontro. Non nell’organizzare eventi o nel fare una riflessione teorica sui problemi, ma anzitutto nel prenderci un tempo per incontrare il Signore e favorire l’incontro tra di noi.
Secondo verbo: ascoltare. Un vero incontro nasce solo dall’ascolto. Gesù infatti si pone in ascolto della domanda di quell’uomo e della sua inquietudine religiosa ed esistenziale. Non dà una risposta di rito, non offre una soluzione preconfezionata, non fa finta di rispondere con gentilezza solo per sbarazzarsene e continuare per la sua strada. Semplicemente lo ascolta. Tutto il tempo che sia necessario, lo ascolta, senza fretta.
Chiediamoci, con sincerità, in questo itinerario sinodale: come stiamo con l’ascolto? Come va “l’udito” del nostro cuore? Permettiamo alle persone di esprimersi, di camminare nella fede anche se hanno percorsi di vita difficili, di contribuire alla vita della comunità senza essere ostacolate, rifiutate o giudicate?
Lo Spirito ci chiede di metterci in ascolto delle domande, degli affanni, delle speranze di ogni Chiesa, di ogni popolo e nazione. E anche in ascolto del mondo, delle sfide e dei cambiamenti che ci mette davanti.
Infine, discernere. L’incontro e l’ascolto reciproco non sono qualcosa di fine a sé stesso, che lascia le cose come stanno. Al contrario, quando entriamo in dialogo, ci mettiamo in discussione, in cammino, e alla fine non siamo gli stessi di prima, siamo cambiati. Il brano del giovane ricco ce lo mostra.
Gesù intuisce che l’uomo che ha di fronte è buono, religioso, pratica i comandamenti, ma vuole condurlo oltre la semplice osservanza dei precetti. Nel dialogo, lo aiuta a discernere.
È una preziosa indicazione anche per noi. Il Sinodo è un cammino di discernimento spirituale, di discernimento ecclesiale, che si fa nell’adorazione, nella preghiera, a contatto con la Parola di Dio.
La Parola ci apre al discernimento e lo illumina. Essa orienta il Sinodo perché non sia una “convention” ecclesiale, un convegno di studi o un congresso politico, perché non sia un parlamento, ma un evento di grazia, un processo di guarigione condotto dallo Spirito.
In questi giorni Gesù ci chiama, come fece con l’uomo ricco del Vangelo, a svuotarci, a liberarci di ciò che è mondano, e anche delle nostre chiusure e dei nostri modelli pastorali ripetitivi; a interrogarci su cosa ci vuole dire Dio in questo tempo e verso quale direzione vuole condurci.
* Dall’omelia di domenica, 10 ottobre 2021, durante l’eucaristia per l’apertura del Sinodo
Sintesi della Redazione
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Ci sono nella nostra comunità delle persone che hanno avuto percorsi di vita difficili. Sappiamo accoglierle senza “mormorare”?
• Quando siamo chiamati ad un servizio in parrocchia, quanto preghiamo per fare discernimento?
• Siamo disposti a cambiare le nostre idee se l’altro ha ragione?
25-COLLEGAMENTO GF
Le iniziative 2021-2022
di Noris e Franco Rosada
Con ottobre sono riprese le attività pastorali nelle nostre parrocchie. Risentiamo ancora dei condizionamenti della pandemia, anche se il peggio sul fronte sanitario sembra passato.
Cosa fare come gruppi famiglia? Ecco le nostre proposte.
Le proposte per i gruppi
La prima proposta che vi facciamo è identica a quella dello scorso anno: incontrarci via Zoom e pregare insieme il Vangelo della domenica con il metodo della lectio divina.
La seconda proposta è legata al cammino sinodale proposto da papa Francesco per tutta la Chiesa, iniziando dalla chiesa locale.
Perché non intraprendere anche noi un simile cammino?
La traccia di lavoro che vi proponiamo è quella presentata alle pagine 27-29 della rivista.
Le date degli incontri via Zoom sono:
22 ottobre ore 21:
Dalla sola sacramentalizzazione alla evangelizzazione integrale
10 dicembre ore 21:
Dalla supplenza clericale alla corresponsabilità testimoniale
11 febbraio ore 21:
Dall’attivismo pastorale alla formazione teologica
1° aprile ore 21:
Dall’autoreferenzialità ecclesiale al dialogo socio-culturale
20 maggio ore 21:
Conclusioni. Per un nuovo inizio.
Se non riceverete direttamente il link via mail lo potete richiedere a:
Tra un incontro on-line e il successivo il tema trattato potrà essere ripreso all’interno dei vostri gruppi in presenza.
La terza proposta riguarda l’anno Famiglia Amoris laetitia.
Ne parliamo dettagliatamente a pag. 18 della rivista.
Si tratta in questo caso di un cammino che ciascun gruppo può organizzare in autonomia.
Ci permettiamo di farvi un’ultima proposta: riprendere in mano gli ultimi numeri della rivista (GF106, la Chiesa che manca, GF107, la Chiesa come “resto”, GF108, Evangelii gaudium) e, attraverso gli articoli e i libri proposti, riflettere sul nostro essere Chiesa in questo momento storico. Noi restiamo a vostra disposizione.
Incontro mondiale delle famiglie
L’incontro si svolgerò dal 22 al 26 giugno del prossimo anno e avrà carattere decentrato. Ogni diocesi, infatti, è chiamata a programmare iniziative intorno al tema dell’incontro: L’amore familiare, vocazione e via di santità.
Ecco un’ottima occasione per i gruppi per riprendere in mano e riflettere sull’esortazione Gaudete et exultate di papa Francesco.
Campi estivi 2022
Dopo due anni di sospensione forzata contiamo, come Collegamento tra Gruppi Famiglia, di riuscire ad organizzare per la prossima estate due campi estivi.
Il primo si terrà a Bessen Haut (TO) e sarà organizzato da Nicoletta e Corrado Demarchi con Antonella e Renato Durante, il secondo a Valle di Cadore (BL) a cura di Fiorenza e Antonio Bottero con Valeria e Toni Piccin.
Entrambi i campi si volgeranno nella settimana tra il 7 e il 13 agosto.
Troverete ulteriori notizie sul sito www.gruppifamiglia.it.
Archiviate alcune disavventure iniziali, troverete notizie del Collegamento nel gruppo GF Gruppi Famiglia.
Per le iscrizioni inviate la richiesta via chat a Roberto Vescovo 328 857 0534.
Su Whatsapp è anche operativo il Gruppo Vangelo, che pubblica ogni settimana il commento di don Battista Borsato, e il gruppo Omelie Epicopo, che pubblica ogni giorno una riflessione di don Luigi Maria Epicopo.
Per iscriversi al primo gruppo inviate la richiesta via chat a Toni Piccin 320 532 8595, per il secondo a Corrado Demarchi 348 224 9952.
26-PER APPROFONDIRE IL TEMA
I libri usati per realizzare questo numero
Papa Francesco, Lettera enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale Fratelli Tutti, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2020
Questo testo si inserisce nella scia delle encicliche sociali promulgate dal magistero della Chiesa e inaugurate con la Rerum novarum del 1891.
Non è la prima enciclica sociale di papa Francesco: infatti è stata preceduta dalla Laudato si’.
Come il precedente documento, il cui tema era quello dell’ecologia integrale, così questo è quello della fraternità e amicizia universale.
Al contrario di quanto avviene normalmente nel dibattito politica, i temi sociali sono colti con uno sguardo d’insieme che va ben al di là delle problematiche del momento.
Se molti dei documenti sociali della Chiesa pubblicati in oltre un secolo hanno “rincorso” le problematiche della società, la Laudato si’ e la Fratelli tutti hanno elementi profetici che superano la contingenza e aprono al futuro.
Edgar Morin, La fraternità, perché? Resistere alla crudeltà del mondo, Editrice AVE, Roma 2020
Morin, che abbiamo molto apprezzato come autore di I sette saperi necessari all'educazione del futuro (vedi GF 96) in questo suo ultimo breve lavoro riflette sulla fraternità.
Il suo è uno sguardo disincantato, che si contrappone ad una certa faciloneria con cui, come cristiani, parliamo di fraternità (salvo poi praticarla solo quando ci fa comodo).
Per l’autore la fraternità è uno strumento indispensabile per “resistere alla crudeltà del mondo”, segnato dall’egoismo, ma è anche uno strumento estremamente fragile perché, “se non si rigenera senza posa, si degenera”.
La fraternità, infatti, “è fragile come la coscienza, fragile come l’amore, la cui forza è tuttavia inaudita”. Per questo, anche se tutto tende ad isolare ciascun "io", “ovunque nasce e rinasce un bisogno del ‘noi’ e del ‘tu’”.
Stefano Lepri, Il riformismo comunitario, Effatà Editrice,Cantalupa (TO) 2020
In questo instant book l’autore, senatore della Repubblica, ci presenta il valore della dimensione comunitaria in politica.
Lepri scrive con cognizione di causa: è stato relatore della legge delega sul terzo settore e promotore della legge sull’assegno unico per i figli a carico. Nel libro troviamo questi temi insieme a molti altri.
Come redazione siamo rimasti colpiti soprattutto da una osservazione che riguarda la quotidianità.
Viviamo in una società che tende a regolamentare tutto ma, così facendo, si penalizza l’agire spontaneo e volontaristico, che deve sottostare alle stesse norme delle attività imprenditoriali.
Molti compiono battaglie campali per affermare alcuni diritti civili, ma ben pochi si rendono conto che servirebbe anche lottare per affermare il diritto alle azioni di prossimità.
Leonardo Becchetti, Bergoglionomics. La rivoluzione sobria di papa Francesco, Edizioni minimun fax, Roma 2020
Sono quattro i temi che l’autore sviluppa nel suo libro: la dignità del lavoro, l’ecologia integrale, i migranti e gli “scartati”.
Per ciascuno di questi temi prende le mosse dal pensiero di papa Francesco, lo sviluppa con le sue esperienze nei settori dell’economia civile e della finanza etica, proponendo un ventaglio di soluzioni ed idee che potrebbero dare concretezza agli appelli di Bergoglio. Ci ha molto colpito il titolo che Becchetti ha voluto dare al suo lavoro: Bergoglionomics, che possiamo tradurre come “l’economia secondo Bergoglio”. Si tratta di una vera e propria “rivoluzione”, quella di un pontefice che affronta con decisione e realismo i grandi problemi che lacerano la società attuale.
Il libro integra e completa molto bene il testo di Lepri sul riformismo comunitario.
Nicola Eterović, Sinodalità. Nuovo dinamismo, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2017
Di fronte alla parola sinodalità ci troviamo spiazzati. Sappiamo che c’è il Sinodo dei vescovi ma le nostre conoscenze si fermano lì.
Questo piccolo volume ha il pregio di introdurci in questo tema e di presentarci quali potranno essere i possibili sviluppi di questo organo di consultazione a servizio del papato.
L’istituto sinodale viene istituito da Paolo VI nel 1965 come risposta al desiderio dei padri del Concilio Vaticano II per mantenere viva l'esperienza dello stesso Concilio.
Il Sinodo esprime pareri e voti in forma consultiva, mai deliberativa. Quello che auspica l’autore è che possa diventare anche uno strumento deliberativo. Infatti, è previsto che il pontefice possa concedergli, a sua discrezione, questa potestà (CIC, can. 343).