Foglio di collegamento tra Gruppi Famiglia

GF114 – luglio 2023

RIPENSARE I SACRAMENTI. RISCOPRIRE L'UOMO

I corsi prematrimoniali e il catecumenato matrimoniale

 

Lettere alla rivista

1-IL MISTERO DEL BATTESIMO

L’acqua è vita e l’acqua battesimale conferisce una vita “nuova”

 

Trovo il battesimo un bel mistero! Come può un po’ di acqua versata sul capo trasformare una persona da peccatrice a “redenta"?

Attilio

 

Caro Attilio, ha proprio ragione! Il Battesimo, come tutti i sacramenti e riti liturgici, è un “mistero”. Non nel senso di una cosa che non si può capire, ma nel senso che va rivelato, come tutto ciò che fa riferimento alla Fede.

Il Battesimo, come tutta la liturgia,  si avvale di un simbolo. Come il tricolore è simbolo della nostra Patria, l’acqua battesimale ha un forte valore simbolico, perché l’acqua è vita.

In questo periodo di siccità abbiamo capito più che mai quanto l’acqua sia vitale. Il nostro corpo è acqua per il 60%. Senz’acqua non si vive.

Ora i simboli sacramentali li chiamiamo efficaci non solo perché ci rimandano ad una realtà più alta, ma perché per volere di Cristo e della Chiesa, che è il corpo di Cristo, fanno in realtà quello che significano.

L’acqua battesimale dà una vita nuova.

Gesù ha comandato agli apostoli: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato” (Mc 16,15). Quel “sarà salvato” implica una vita nuova.

La Chiesa, Corpo Mistico di Cristo, come comunità intende dare valore a questo simbolo dell’acqua perché uno nasca a vita nuova e appartenga a Cristo.

Nel rito del battesimo si fa riferimento al battesimo di Gesù nel Giordano, dove Il Padre interviene con la sua voce e lo Spirito Santo sotto il simbolo della colomba.

Si fa riferimento al diluvio universale dove il peccato dell’umanità è distrutto e nasce un’umanità nuova.

Un piccolo gesto, come immergere nell’acqua o versare dell’acqua sul capo significa tanto. Però, se il battesimo viene conferito a un bambino nato da poco non possiamo certo parlare di un peccatore.

Tutta la teologia recente sul peccato originale ci fa intendere che si tratta di un peccato dell’umanità.

Chi diventa uomo avrà tutte le caratteristiche dell’umanità dove il peccato c’è, eccome, in tantissime forme.

Piuttosto il battesimo incorporando uno/una a Cristo ci dà quella grazia che ci aiuta a superare il peccato, a riconoscerlo e a pentirci semmai dovessimo peccare nella vita.

Come giustamente lei dice, Attilio, il simbolo è un po’ limitato ma ha comunque valore perché è volontà di tutta la Chiesa dargli quel significato.

padre Vincenzo Salemi

 

Dialogo tra famiglie

2-A COSA SERVONO I CORSI PREMATRIMONIALI

Imparare a modellare propria relazione ad imitazione della Trinità

 

Siamo due conviventi con un figlio di due anni, un altro in arrivo e ora vorremmo sposarci in Chiesa: cosa ci può insegnare un corso di preparazione al matrimonio?

Lina e Pino

 

Un corso di preparazione al Matrimonio Sacramento è “semplicemente” approfondire la consapevolezza di stare per vivere il sogno di Dio sulla coppia umana, una relazione simile a quella che c’è nella Trinità: “a Sua immagine li creò, maschio e femmina li creò”.

Il Matrimonio Sacramento non è solo un contratto tra due persone (con risvolti anche giuridici): è partecipare del tipo di relazione che c’è nella Trinità rendendosi conto del fatto che non è indissolubile per una legge esterna, una regola imposta dalla cultura o da un clero costituito da celibi, ma perché ha a che fare con la vita di comunione della Trinità e implica l’avere intimità con Dio.

Questo spiega l’affermazione netta di Gesù ai discepoli “Non sciolga l’uomo ciò che Dio ha unito”.

Se il primo peccato ha rotto la comunione tra Adamo ed Eva e tra loro e Dio, la Redenzione ne ha ristabilito la possibilità, pur con tutti i limiti e le difficoltà dell’uomo che, pur redento, resta capace di peccato, di divisione, di egoismo.

Riscoprire il senso profondo del Sacramento che porta ad una relazione che si nutre di preghiera, di Parola, di Eucaristia, di perdono, è lo scopo del corso di preparazione: se i contenuti fossero diversi non raggiungerebbe il proprio scopo e avreste proprio poco da imparare!

Anna Lazzarini

 

In questo numero

3-I SACRAMENTI

Una tematica da riscoprire

 

di Franco Rosada

Da un po’ di tempo questa rivista tende ad assumere un carattere monografico. Se un numero tratta a fondo un tema, il numero successivo ne propone un altro decisamente diverso.

Se vi ricordate, lo scorso numero abbiamo parlato del gender e in questo numero parliamo dei sacramenti, temi molto lontani tra loro.

Eppure, realizzando questo numero, ho avuto l’impressione è che non sia proprio così.

Ripensando ai primi anni 2000, ricordo l’impegno di molti, cattolici e “atei devoti”, nel combattere la realtà LGBT.

Un argomento che veniva sostenuto con vigore era che si trattava di comportamenti “contro natura”.

Ferma restando l’opposizione a quella che, nel tempo e muovendo dal gender si è mostrata essere una vera e propria ideologia, il termine “contro natura” è come uscito di scena.

Sul fronte dei sacramenti quello che sta uscendo di scena è proprio il concetto di atto sacro, l’idea che questi “segni” non siano altro che un abbellimento della natura umana, una sovra natura di cui l’uomo d’oggi non sente più il bisogno e che trascura.

Ecco quindi l’elemento che unisce i due numeri: la natura, proposta in modo troppo rigido e immutabile nella questione gender (p.e. l’omosessualità è un abominio) e in modo troppo svalutato in ambito sacramentale (p.e. il matrimonio come rimedio alla concupiscenza).

In entrambi i casi, la grande assente nel discorso risulta essere l’antropologia.

Infatti, da un lato l’uomo è una creatura in divenire, su cui la cultura pesa molto nel definire ciò che è normale e ciò che non è, e nello stesso tempo è una creatura capace di aprirsi al trascendente, l’unica creatura capace di “pensare Dio”, nonostante la sua finitudine.

In questo numero, quindi, proveremo a ripensare i sacramenti proprio muovendo dal concetto di natura, come questi nascano dalle esigenze della nostra quotidianità di creature, che nascono, generano, muoiono, e di esseri sociali che condividono la mensa, si danno leggi e capi.

Ci introdurrà in questo cammino un breve testo del 1971 di Joseph Ratzinger, che prima di essere papa è stato un grande teologo.

Non affrontiamo tutti i sacramenti ma solo alcuni, o per la loro maggiore vicinanza a temi familiari (p.e. battesimo e matrimonio) o per la loro attuale difficoltà di ricezione (p.e. la penitenza).

Il taglio con cui vengono affrontati varia da caso a caso: in chiave pratica, storica, diretta o indiretta.

Di alcuni, come l’eucaristia o l’unzione degli infermi faremo solo un accenno perché già trattati in altri numeri della rivista (nello specifico: per l’eucaristia vedi: GF84 e GF108; per l’unzione degli infermi vedi GF80 e GF111. E inoltre per la penitenza: GF72; per il matrimonio GF57).

Ma parleremo anche di “nuovi” sacramenti, cioè della possibilità presente in alcune pratiche di fede, come la venerazione di immagini (legata al vedere),  la meditazione della Parola (legata all’udire), il pellegrinaggio (legato al camminare), di diventare “strumenti” di salvezza oppure di trasformare il rito del funerale, che oggi è solo un sacramentale, in un vero è proprio sacramento perché segna un passaggio fondamentale della vita al pari della nascita o del matrimonio.

 

L’ultima parte del numero è dedicata invece alla preparazione di uno specifico sacramento: il matrimonio.

Abbiamo tutti una certa confidenza con i corsi di preparazione al matrimonio ma un recente documento del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita ha ripreso il tema riproponendo per il sacramento un vero e proprio cammino catecumenale al pari di quello richiesto per il battesimo degli adulti.

Vi proponiamo quindi una sintesi del documento e la presentazione dello stato dell’arte su questo tema nella Chiesa Italiana.

Non è un argomento da poco e lo riprenderemo senz’altro nei prossimi numeri.

formazionefamiglia@libero.it

 

4-IL FONDAMENTO SACRAMENTALE DELL’ESISTENZA CRISTIANA

Forse queste riflessioni possono risultare un po’ faticose. Ma sono importanti se vogliamo liberarci dal cumulo di pregiudizi che tengono lontano l’uomo di oggi da quelle convinzioni di cui i sacramenti sono l’espressione concreta.

 

di Joseph Ratzinger

La nostra epoca è stata denominata il secolo della chiesa; la si potrebbe chiamare con altrettanta ragione il secolo del movimento liturgico e sacramentale, che si basa a sua volta sulla riscoperta della ricchezza spirituale della liturgia della chiesa antica (vedi la teologia misterica di Odo Casel (1) ).

Nello stesso tempo questo secolo sta sperimentando una profonda crisi della dimensione sacramentale.

 

I sacramenti oggi

Oggi la comprensione del mondo è funzionalistica: le cose sono viste soltanto come cose, mentre l’idea sacramentale presuppone una comprensione simbolica del mondo.

A partire da una tale prospettiva, risulta ormai incomprensibile come una ‘cosa’ possa trasformarsi in ‘sacramento’: l’uomo moderno è fortemente interessato al mistero di Dio e al problema di Cristo, ma i sacramenti sanno troppo di chiesa, appaiono troppo legati a uno stadio sorpassato della fede.

Come può l’aspersione di un uomo con un po’ d’acqua essere qualcosa di decisivo per la sua esistenza? Non c’è spazio per l’idea di un segno indelebile, come per esempio nella concezione sacramentale del matrimonio.

Anche l’eucaristia viene coinvolta in questa problematica: come può essere presente nel pane la carne di Cristo?

E ancora: perché per incontrare Dio occorre proprio andare in chiesa?

Dunque: il perdurare dei sacramenti nel nostro tempo è un abbellimento estetico nello spirito di un mondo passato, o si tratta di un’esigenza permanente, di una realtà fondante dell’esistenza cristiana ancora oggi?

Per dare una risposta all’importanza dei sacramenti nell’esistenza cristiana, bisogna partire da due domande: cos’è un sacramento? Cos’è l’esistenza umana?

Nei diversi periodi della storia cristiana il concetto di sacramento ha indicato contenuti diversi.

 

Il sacramento. L’aspetto storico - religioso

Guardando alla storia dell’umanità, si può constatare come in essa esistono dei sacramenti originari, ‘sacramenti della creazione’: la nascita e la morte, il pasto e la comunione sessuale.

Si tratta di realtà che non sono originate dall’essere spirituale dell’uomo, bensì dalla sua natura biologica.

Queste realtà biologiche ricevono però nell’uomo, in quanto essere che trascende il biologico, una nuova dimensione.

Sono ‘fessure’ attraverso le quali l’eterno illumina l’uniformità della quotidianità umana. Proprio perché si tratta di eventi biologici e non già spirituali, l’uomo sperimenta in essi lo strapotere di una potenza che egli non può invocare o costringere.

La dimensione biologica riceve nell’uomo, in quanto esistenza spirituale, un nuovo significato e una nuova profondità.

Facciamo un esempio pratico. Il mangiare dell’uomo è qualcosa di diverso che la ricezione del cibo nell’animale.

Il nutrirsi perviene alla sua forma umana diventando banchetto.

Nel banchetto l’uomo sperimenta la squisitezza delle cose che la fecondità della terra gli offre, e sperimenta anche il condividere con altri uomini: la mensa crea comunione e il mangiare è completo solo quando avviene in comune.

Nella mensa l’uomo sperimenta che egli non fonda da sé il proprio essere, ma che piuttosto vive nel ricevere.

Sperimenta che la sua esistenza è radicata nella comunione con il mondo e che questa esistenza si fonda sulla comunione con gli altri uomini, senza la quale il suo essere umano si smarrirebbe.

Si può dire che l’uomo esiste solo al plurale: il suo spirito esiste soltanto nella comunione con il corpo, come anche il corpo perdura nell’essere solo a partire dallo spirito.

Possiamo quindi dire che il mangiare diventato mensa porta già dei tratti sacramentali.

L’uomo nella mensa sperimenta quella compenetrazione di biologico e spirito che contrassegna la sua natura. Sperimenta che le cose sono più che cose: sono segni che trascendono il loro significato immediato.

La mensa diventa allora per lui segno del divino e dell’eterno che sostiene lui, le cose e gli altri uomini e che è quindi il fondamento più autentico della sua esistenza.

Ma egli sa che può incontrare il divino solo attraverso la mediazione della sua corporalità e del suo essere assieme con gli altri, senza cui egli cesserebbe di essere uomo.

Il sacramento nella sua forma universale storico-religiosa è quindi in primo luogo espressione dell’esperienza che Dio incontra l’uomo in maniera umana: nei segni della comunione umana e nella trasformazione di ciò che è puramente biologico in qualcosa di umano. Nell’atto religioso avviene poi la trasformazione in una terza dimensione, la garanzia del divino nell’umano.

 

Il sacramento. L’aspetto storico - teologico

I sacramenti originari della storia dell’umanità, come il mangiare insieme, non hanno riferimenti religiosi ma profondamente umani.

Però nel corso della storia anche la sfera umana sviluppa dei sacramenti. Ne prendiamo in considerazione soprattutto due.

Il primo è legato all’esperienza della colpa. Ogni uomo che nasce non inventa da capo il mondo ma si inserisce in una storia a lui preesistente, in una realtà che ha già le sue regole, e la cui violazione lo rende colpevole.

Nelle religioni questo aspetto si è trasformato nelle esteriorità più strane: in un culto del lavarsi, dei mezzi di purificazione, del trasferimento della colpa sugli animali o sugli schiavi.

Eppure, anche quando l’uomo tenta di purificare lo spirito con mezzi materiali, in lui vi è una richiesta commovente di purificazione.

Il secondo è legato alla funzione sacerdotale e regale. Questi uffici non hanno solo una funzione sociale ma rivelano che la comunione umana non si regge solo sulla buona volontà delle parti, ma ha bisogno di qualcuno che la governi e la custodisca.

Questo introduce nel discorso sacramentale l’elemento storico.

È nella storia che l’uomo sperimenta la mediazione dell’eterno.

Qui notiamo una grande differenza tra l’esperienza cristiana e le religioni in genere, che percepiscono la comunione storica come trasposizione della comunione cosmica e la mediazione del divino ivi presente viene ridotta ultimamente all’idea cosmico-naturale, per cui Dio appare come il mistero abissale del cosmo.

Cosa costituisce allora lo specifico cristiano? Dove sta la sua particolarità in un mondo che una volta era per ogni parte segnato dall’idea sacramentale?

 

Un Dio personale

Cos’è un sacramento cristiano? Nella chiesa antica sacramenti vengono considerati eventi della storia, parole della sacra Scrittura, realtà del culto cristiano, che possiedono una trasparenza all’azione salvifica di Cristo e lasciano quindi che l’eterno faccia la sua apparizione nel tempo o lo presentano come la realtà che sostiene realmente.

Un esempio lo troviamo nel sacramento del battesimo, dove l’uomo lascia che lo sommergano le acque della morte, per partecipare al nuovo inizio inaugurato con Cristo. Un altro esempio: le nozze di Cana si chiamano sacramento perché, nella trasformazione dell’acqua in vino, si preannuncia il mistero del nuovo vino con il quale il Cristo nella sua passione ha voluto riempire le anfore dell’umanità.

Da questi esempi cogliamo gli elementi comuni con l’idea universale umana del sacramento, ma nello stesso tempo cogliamo anche delle differenze che chiariscono il concetto di Dio, un Dio personale che vive per l’uomo.

 

Lo Spirito nella materia

Nell’antico concetto cristiano di sacramento, è implicita una concezione del mondo, dell’uomo e di Dio, basata sulla convinzione che le cose non sono semplicemente cose o materiali del nostro lavoro, ma nello stesso tempo segni – che rimandano al di là di se stessi – dell’amore divino del quale, per colui che vede, sono una trasparenza.

‘Acqua’ non è soltanto una struttura chimica ma, ristoro per l’assetato, capace di mantenere in vita; manifestazione, nel mare, di qualcosa della potenza e della magnificenza dell’amore divino.

Questo esempio ci fa capire che “le cose sono più che cose”. Se ci fermassimo alla loro costituzione chimica e fisica ci sfuggirebbe una dimensione della loro realtà e cioè la loro trasparenza alla potenza creatrice di Dio, dalla quale hanno origine e alla quale vogliono condurre, ci sfuggirebbe comprensione simbolica del mondo.

E questo vale anche per l’uomo che non è solo un funzionario che tratta le cose. Solo attraverso la visione simbolica della realtà l’uomo sperimenta ciò che veramente è: chiamato da Dio e a Dio.

Solo la chiamata dell’Eterno costituisce l’uomo come uomo. Lo si potrebbe definire esattamente come l’essere capace di Dio.

L’uomo è conosciuto e amato da Dio in maniera diversa da tutti gli altri esseri – conosciuto per conoscere a sua volta, amato per riamare.

Questo modo di essere presente nella memoria di Dio, è ciò che fa vivere l’uomo in eterno – perché la memoria di Dio non finisce mai.

Questo è il fondamento sacramentale dell’esistenza umana.

 

Cristo e i sacramenti

I sacramenti cristiani non stanno soltanto a significare un inserimento nel mondo penetrato da Dio ma anche l’inserimento nella storia originata da Cristo. Quest’aggiunta della dimensione storica rappresenta la novità specificamente cristiana dell’idea sacramentale, perché trasforma il simbolo naturale in garanzia sicura per la vicinanza dell’unico vero Dio, che non è soltanto la profondità misteriosa del cosmo, bensì il suo Creatore e Signore.

Questo aspetto specificamente cristiano costituisce però proprio lo scandalo dell’uomo di oggi, il quale sarebbe forse disposto ad attribuire al cosmo un mistero divino, ma non il progetto di un Dio Provvidenza.

Eppure la natura dell’uomo è proprio quella di essere storico: un “mistero divino” atemporale non è conciliabile con la provvisorietà della storia, con cui l’uomo deve confrontarsi, pena la sua insensatezza.

E torniamo ai sacramenti cristiani, il cui senso è quello di inserirci nel contesto storico originato da Cristo e di entrare, nella fede, nella storia da Lui inaugurata, in quanto è storia salvifica che conduce l’uomo a quella unità con Dio che costituisce il suo futuro eterno.

 

Una sintesi

Ricapitolando, i sacramenti cristiani fondano l’esistenza cristiana ed esprimono, in primo luogo, la dimensione verticale dell’esistenza umana, rimandano alla vocazione divina che è l’unica a far sì che l’uomo sia tale. Essi però rimandano alla dimensione orizzontale della storia della fede originata da Cristo.

La catena orizzontale che lega da sempre l’uomo alla realtà materiale è diventata in Cristo, vero uomo e vero Dio, la corda che guida alla salvezza e ci tira alla riva dell’eternità di Dio.

Forse a questo punto ci sarà più chiaro la definizione di sacramento che abbiamo imparato a suo tempo nel catechismo: istituzione da parte di Gesù Cristo – segno esteriore - grazia interna.

Le realtà visibili, che già in forza della loro costituzione creaturale mostrano per così dire una certa trasparenza al Dio creatore, acquistano adesso un nuovo significato decisivo per l’esistenza, in quanto sono ormai inserite nel contesto della storia di Cristo e sono divenute strumenti della mediazione di questo nuovo sistema di rapporti storici.

 

Il senso dei sacramenti oggi

Io credo che l’atteggiamento contrario ai sacramenti che predomina oggi nella mentalità comune, poggia su un duplice equivoco antropologico.

Il primo equivoco è legato alla lettura idealista dell’essere umano.

L’idealismo (come già il neoplatonismo) pensa l’uomo come uno spirito autonomo, costituito solo da volontà e libertà intollerante di tutto ciò che non è spirituale.

Il senso dell'uomo sta nello sforzo di incessante auto-perfezionamento di se stesso (superando passioni e egoismi) e del mondo circostante; ciò lo pone sullo stesso piano di Dio.

Ma l’uomo non è Dio: per rendersene conto è sufficiente in fondo essere solo un uomo.

I sacramenti, in quest’ottica, divengono il nutrimento per l’anima di uno spirito che riposa in se stesso. Ma se conta solo lo spirito e non il corpo viene da domandarsi Dio non ha scelto una via più semplice per incontrarsi come spirito con lo spirito dell’uomo.

Il secondo equivoco è legato alla lettura marxista dell’essere umano.

Il materialismo che caratterizza il marxismo non consiste nel fatto di interpretare ogni essere come materia, ma nel ridurre tutta la materia a semplice materiale del lavoro umano.

Con ciò viene a cadere la prospettiva del simbolismo e la capacità dell’uomo di intravedere l’eterno. L’uomo viene confinato nel mondo del suo lavoro e la sua unica speranza è che le successive generazioni possano trovare condizioni di lavoro più agevoli grazie alla sua fatica.

 

Incontrare il mistero storico di Cristo

Chiediamoci ancora una volta: cosa fa realmente l’uomo che celebra il culto della chiesa, i sacramenti di Gesù Cristo?

Chi celebra i sacramenti non accetta la rappresentazione ingenua che vorrebbe che Dio, l’Onnipresente, abitasse soltanto in questo posto determinato che è nella chiesa il tabernacolo.

Chi va in chiesa e celebra il culto sacramentale sa che, in quanto uomo, può incontrarsi con Dio solo in maniera umana, nella corporeità, nella storicità.

Purtroppo la nostra pietà nei confronti del sacro è stata spesso un po’ superficiale e ha dato luogo a diversi equivoci.

Da questo punto di vista la coscienza moderna, con le sue domande critiche, ci chiama ad una purificazione salutare della fede che pratichiamo.

A questo fine può essere utile un esempio.

L’adorazione eucaristica non può ridursi, nel suo significato pieno, solo a un colloquio con Dio pensato come presente in maniera circoscritta. Affermazioni come “qui abita Dio” tradiscono una disconoscenza sia del mistero cristologico che del concetto di Dio, della Sua onnipresenza.

L’adorazione eucaristica è in realtà riferita al Signore che, mediante la sua vita e la sua sofferenza storica, è divenuto ‘pane’ per noi. Questa preghiera ha quindi come suo oggetto il mistero storico di Gesù Cristo, la storia di Dio con l’uomo che si fa incontro a noi nel sacramento.

Ed essa si riferisce anche al mistero della Chiesa: riferendosi alla storia di Dio con l’uomo, si riferisce anche a tutto il “corpo di Cristo”, nella quale e attraverso la quale Dio viene a noi.

E questo è in ultima analisi il senso del nostro andare in chiesa: l’inserimento di noi stessi nella storia di Dio con l’uomo, l’incontro con il Dio dell’eterno amore. Questo amore, infatti, non ricerca uno spirito isolato ma l’uomo nella sua totalità, nel corpo della sua storicità.

 

Fonte: Joseph Ratzinger, Il fondamento sacramentale dell’esistenza cristiana, Editrice Queriniana, Brescia 2005

Sintesi della redazione

1 vedi GF108, p.21-22 Riscoprire il Mistero del sacramento

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Spirito e materia. Quale delle due dimensioni prevale in noi?

•          Siamo ancora capaci di cogliere la sacramentalità di alcuni momenti della nostra vita? Quei momenti che ci elevano dalla nostra materialità e ci aprono al trascendente?

•          Crediamo nella Storia? Che ci sia un passato di cui siamo figli e di un futuro verso cui tendere? Crediamo che Dio si sia manifestato nella Storia?

•          La nostra è una fede in Dio o una fede in Gesù Cristo? Una fede nei dieci comandamenti o nelle beatitudini?

•          Che cos’è per noi la Chiesa? Una realtà che difende i suoi valori o una comunità di credenti?

 

5-FAMIGLIA E CHIESA: I SEGNI IN COMUNE

 La famiglia può oggi esercitare un grande magistero per la Chiesa: nessuna iniziazione, nessuna generazione alla fede accade se non in una certa relazione di intensa affettività, che non vuol dire sentimentalismo; è il sentimento della paternità, della coniugalità, della figliolanza e della comunione che determina la possibilità di una crescita comune nello scoprire più profondamente se stessi.

 

di Andrea Grillo*

S. Tommaso diceva che nel settimo dei sacramenti la sfera naturale e la sfera sovrannaturale sono strutturalmente intrecciate. Mentre negli altri sacramenti si può distinguere molto meglio tra il nascere e l'essere battezzati, tra il crescere e la cresima, tra il mangiare e l'eucaristia - perché la differenza è significativa-, tra l'unione di maschio e femmina, la generazione e il matrimonio sacramentale c'è una sovrapposizione quasi indistinguibile, dove spirituale e naturale sono strettamente legati.

Questa distinzione da un certo punto di vista è problematica, ma dall'altro scopre nel matrimonio la potenza di un primato significativo che tutti gli altri sacramenti non hanno. Già gli antichi lo avevano notato. Siamo noi moderni e post-moderni a rischiare di non notarlo più, proprio perché c'è questa difficilissima commistione in cui non si riesce a distinguere tra ciò che è spirituale e ciò che è naturale.

Alla luce di queste considerazioni, proviamo a considerare tre azioni, tre luoghi e tre tempi della vita di coppia e della vita familiare e i paralleli presenti nella vita della Chiesa.

 

Tre azioni (iniziare, guarire, servire)

Una famiglia è anzitutto luogo di iniziazione e di generazione, ossia è l'ambito dove si è iniziati e si è generati. Si noti, però, che non soltanto si generano dei figli, ma si inizia e si genera l'altro a conoscere se stesso, si è iniziati a conoscersi attraverso l'altro, partendo da due differenze fondamentali e incrociate: sono diversi maschio e femmina (in orizzontale), ma sono diversi anche padre e figlio/a, madre e figlio/a (in verticale).

La famiglia è un luogo di generazione reciproca, di rigenerante, gioiosa e faticosa iniziazione. In questo senso il parallelo ecclesiale è senza dubbio la riscoperta che la Chiesa fa della iniziazione cristiana. Il magistero familiare le fa capire che quando si celebrano i sacramenti non solo la Chiesa genera altri ad una esperienza, ma la Chiesa stessa viene di fatto generata e rigenerata (messa alla prova e confortata) nel sacramento che celebra: p.e. non solo la Chiesa celebra l'eucaristia, ma vive dell'eucaristia ed è generata dall'eucaristia.

La seconda dimensione della famiglia è certamente quella della guarigione, del risanamento. In famiglia si medicano le ferite, perché nessuno nasce impassibile e tutti siamo esposti a malattie di vario genere, a ferite di varia natura, che trovano nell'ambiente familiare gli stili del risanamento, non solo con l'armadietto pieno di medicine: elaborare uno stile con cui si hanno le parole giuste, i silenzi giusti, le tattiche di avvicinamento, di allontanamento, fino a sopportare che uno stia chiuso in una stanza per mezza giornata, fuori dalla comunicazione.

La Chiesa ha sempre saputo che la guarigione è fondamentale nella sua struttura, sia la guarigione dal peccato (sacramento della riconciliazione), come condizione spirituale, sia la guarigione dalla crisi dovuta a malattia, come condizione fisica (unzione degli infermi). La Chiesa ha sempre saputo, come sanno le famiglie, che c'è la guarigione da una colpa e c'è la guarigione da un male di cui nessuno ha colpa.

Come terza azione consideriamo la dimensione del servire-sostituire. Nella tradizione si è data importanza al fare i letti, al pulire, al lavare i piatti, al predisporre il luogo di vita comune in modo tale che ogni soggetto lo trovi, in qualche modo, sempre pronto ad accoglierlo. Questa è la logica del servizio che nell'ambito ecclesiale di per sé si identifica nelle due prospettive dell'ordine e del matrimonio, ma che riguarda appunto tutte le forme di ministerialità, come servizio all'interno della Chiesa.

 

Tre luoghi (tavola, talamo, toilette)

Veniamo ora ai luoghi che risultano un po' più sorprendenti rispetto alle azioni. Essi sono tre: la tavola, il talamo e la toilette. Andiamo per ordine.

Tutti sanno che, per una lunga e antica esperienza umana e antropologica, non si crea una vera comunità di vita senza una comunità di vitto. Quando hai mangiato con qualcuno, il rapporto con lui è diverso, cambia qualità, intensità, intimità.

Vedere davanti a te l'altro che mangia è in fondo una forma di confessione di debolezza da parte sua, di affidamento a te nella fragilità della dipendenza dal cibo. L'atto del mangiare è un atto di confessione di dipendenza e di debolezza che deve essere in qualche modo comune. È come se confessassimo l'uno all'altro di non potere sopravvivere.

Questo modo di fare comunione non a caso è il segno più antico della comunione della Chiesa con Cristo: è in un atto di pasto che Egli si è consegnato al Padre.

Come per la Chiesa la tavola è anche l'altare, così è per la famiglia. La tavola, la mensa è anche un altare. È davvero un luogo nel quale tu ti offri per l'altro e lo fai formalmente ascoltandolo, scoprendo che proprio mentre mangia dimostra di non essere tranquillo, di non avere fame, di non avere desiderio di vivere, di essere bisognoso di conforto, oppure di essere estremamente gioioso, espansivo, conciliante e tollerante. I nostri sentimenti più profondi si rivelano da come ci atteggiamo al piccolo mondo del nostro "piatto".

Lo stesso discorso vale per il talamo. Sappiamo che il matrimonio come sacramento è nato più legato al talamo che non legato alla tavola; il talamo è un luogo non soltanto dell’unione sessuale, ma è anche luogo del riposo, il luogo del sottile ritmo che la famiglia deve trovare sempre di nuovo tra azione e riposo, tra lavoro e pausa/vacanza.

Il letto è luogo simbolico di una relazione estremamente complicata.

Dormire insieme non è solo un simbolo di relazione sessuale, ma anche di relazione di fiducia: dormire al cospetto di chi veglia è, di per sé, affidare la propria vita a un altro.

Veniamo ora al terzo luogo: la toilette. È del tutto legittimo chiedersi il motivo per cui è stato inserito qui questo luogo. Il primo motivo sta nel fatto che i figli piccoli si affidano ai genitori radicalmente nel bisogno di essere "cambiati", ossia ripuliti dalle scorie dei loro pasti.

Pensiamo alla delicatezza con cui sono vissuti e accompagnati, per il bambino e per l'anziano, tutti i fenomeni di introduzione e di espulsione del cibo dal corpo.

Il mangiare è complicatissimo in un bambino piccolo. Tutto quello che entra nella bocca è severamente sorvegliato e il bimbo deve imparare a farlo. Si pensi al passaggio complesso dal non essere "autosufficiente" - come si dice - e andare verso l'autosufficienza.

Così è pure per l'anziano che di nuovo, può soltanto bere succhi di frutta, perché non digerisce né assimila altro, e così pure per la funzione di espulsione, nella quale non è più autosufficiente e ha bisogno dell'aiuto altrui.

Per l’uomo di oggi la condizione di dignità è l'autosufficienza: ha dignità soltanto l'uomo adulto autosufficiente. Il bambino e l'uomo molto anziano non avrebbero dignità perché non sono autosufficienti.

Io credo che la famiglia resti il luogo dove è possibile visitare la stanza da bagno in compagnia senza drammi, con una certa serenità; è un luogo paradossale, nel quale ti è affidata una dignità che non pretende, però, l'autosufficienza.

Questa esperienza familiare fa memoria vivente del fatto che ognuno viene dalla non autosufficienza e va verso la non autosufficienza, non come una sconfitta, ma come la verifica che ognuno, prima di tutto, è comunione, non autonomia.

 

Tre tempi (tempo libero, tempo del lavoro, tempo della festa)

Prendiamo ora in considerazione i tempi della famiglia. Anzitutto c'è la differenza tra i tempi di resistenza e i tempi di resa.

La famiglia conosce tempi in cui occorre resistere e tempi in cui bisogna arrendersi. Tempi per resistere nel lavoro (alzarsi presto la mattina, interrompere la comunione familiare e uscire per "produrre", resistere lungo la notte, per finire un lavoro urgente...), e poi tempi per sospendere tutte le attività e permettere alla tavola, al letto e alla toilette di essere al centro, senza portarsi il lavoro a tavola, a letto, alla toilette.

Bisognerebbe accorgersi quanto importanti siano questi tempi alternati per il buon andamento della vita della famiglia e quanto pesantemente interferiscano anche nella vita della Chiesa. Una Chiesa incapace di arrendersi al tempo, di fare davvero festa, è una Chiesa profondamente malata.

Bisogna allora vivere autenticamente quel tempo come un tempo di interruzione, come tempo della resa. La resa vuol dire che, rispetto all'eucaristia, la comunità, compreso il presbitero che presiede, dovrebbe essere capace di esporsi all'eucaristia, esporsi al rito eucaristico nella propria nudità: esporsi ai riti di ingresso, ai riti penitenziali, alla liturgia della Parola.

La capacità di esporsi a tempi gratuiti è oggi davvero una risorsa non surrogabile, che viene continuamente minacciata dalla funzionalizzazione della famiglia alla produzione del reddito, per cui bisogna lavorare in due e anche i bambini che non lavorano devono produrre in termini di scuola, di palestra, di coppe, di medaglie, di risultati...

La famiglia quando ha problemi è spesso perché o prevale troppo il silenzio o prevale troppo la parola: mutismi inafferrabili oppure logorree a non finire inquinano la vita familiare e a lungo andare la rendono invivibile.

Ci sono, poi, le dinamiche di velocità e rallentamento: tempi per accelerare e tempi per rallentare. Rallentare e accelerare, questo è molto significativo per la famiglia e di riflesso per la Chiesa. La famiglia è fatta non solo di silenzi, di parole, di tempi diversi, ma di accelerazioni e rallentamenti. Ci sono momenti in cui bisogna pazientare, distendere il tempo, altre volte bisogna contrarlo, fare venire molti nodi al pettine, altrimenti poi sarà troppo tardi.

Anche la Chiesa, in fondo, è così. Sa già e vive il tempo secondo accelerazioni e rallentamenti e può fermarsi nei tempi forti, può accelerare nei tempi intermedi, può talvolta essere attiva e persino iperattiva, altre volte può basarsi invece sulla normale amministrazione. Sa che l'equilibrio giusto è l'alternanza e non può fare una scelta univoca o unilaterale.

La famiglia sa bene che il tempo è sfuggente rispetto alla logica dell'orologio: ci sono mezz'ore che durano giornate e ci sono giornate che si concentrano in pochi minuti. Così è la vita della Chiesa: bisogna capire che la disomogeneità è la logica dell'anno liturgico, della settimana, delle ore quotidiane. Bisogna liberarsi dall'imperialismo dell'orologio.

 

Il matrimonio in Cristo

L'orologio è un pessimo consigliere per il nostro rapporto con il tempo. La famiglia, invece, spesso non guarda l'orologio e così esce fuori dalla dimensione del tempo calcolato, per riattingere alla vera sostanza del tempo.

Il matrimonio in Cristo è dunque discepolato accogliente almeno in tre dimensioni.

Anzitutto come luogo differenziante e differenziale, perché crea una differenza tra l'esperienza ordinaria e il suo senso donato. Dice molto più della semplice relazione naturale tra uomo e donna e dell'istituzione matrimoniale civile, rispetto a cui trasfigura la posizione di fatto e di diritto in "dono" e in "mistero". Ricevere se stessi come donati alla fedeltà, fecondità e indissolubilità costituisce lo specifico del sacramento.

In secondo luogo, la differenza non è esclusiva, ma inclusiva. A partire dalla differenza che si scopre nella logica del rapporto tra Cristo e Chiesa, dentro alla quale ci si sposa, si capisce che quella logica include e non esclude la convivenza e il matrimonio civile. Il matrimonio sacramentale in Cristo ha, al suo interno, tutta la dimensione della convivenza e tutta la dimensione del matrimonio civile.

Non è giusto contrapporre questi livelli: ci si sposa in Chiesa proprio per vivere quelle dimensioni che sono semplicemente di convivenza e quelle che sono di impegno pubblico a partire dalla luce di una Parola che è una parola di riconciliazione, di misericordia, Parola in base alla quale vedi l'altro come il vero soggetto della tua salvezza. Ci si sposa in Cristo perché il matrimonio ha per tema la salvezza dell'altro, non la propria.

Ogni single che entra nella dimensione di coppia, deve rinunciare alla propria autosufficienza. I tempi, i luoghi, le azioni diventano di colpo molto complessi, anzitutto perché tempi maschili e tempi femminili cominciano a fare scintille, perché i tempi maschili e i tempi femminili non sono per niente gli stessi tempi e la sintonizzazione di questi tempi diventa un'opera di lavoro su di sé, un'arte della sincronizzazione tollerante e liberante.

Il lavoro su di sé diventa improbo se si pensa di restare single obbligati nei confronti degli altri. Altra cosa è invece se si pensa che la dimensione del matrimonio sappia dare una nuova identità, in cui si vive anzitutto di comunione. Si riscopre di essere stati fin dall'origine comunione, comunione con i tuoi genitori, con i tuoi fratelli, e poi, a partire dal matrimonio, diventando una nuova entità familiare, si attesta la comunione in modo nuovo. Si diventa luogo accogliente per i figli, per i vicini, per i parenti.

 

Testimoniare il Risorto

Ogni famiglia, ogni matrimonio che si celebra è Chiesa che nasce e quindi annuncio dello scandalo del Vangelo, cioè di una comunione tra estranei, tra non parenti.

In quest’ottica, la Chiesa è luogo di scandalosa comunione tra non parenti, che in Cristo possono osare dirsi Figli dello stesso Padre e perciò fratelli.

Il pane spezzato e il calice condiviso, che è tipico della tradizione familiare e amicale, stanno come simboli reali della comunione fraterna in Cristo, tendenzialmente tra tutti gli uomini.

Questo principio di comunione è l'unico capace di umanizzare l'uomo.

In un mondo di autosufficienti nessun uomo può diventare uomo, poiché l'uomo, per diventare uomo, ha bisogno di altri (prossimi) che si perdano per lui (perdano il tempo, la salute, la forza, la vita per lui). Ogni madre e ogni padre per i bambini, seppur in modo diverso, perde una parte della propria vita perché loro possano diventare uomini. È una perdita che gratifica cento volte più di quello che si è donato.

* Teologo

Fonte: Andrea Grillo, Riti che educano. I sette sacramenti, Cittadella Editrice, Assisi 2015

Sintesi della Redazione

Su questi temi vedi anche: GF71 Vivere la casa, abitare la vita (www.gruppifamiglia.it/GF71_2010.htm)

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Quanto contano le coppie sposate nella vita della Chiesa?

•          Se qualcuno vi chiedesse perché vi siete sposati in chiesa cosa rispondereste?

•          Il matrimonio nasce da una passione ma deve misurarsi quotidianamente con la reciproca debolezza legata al nostro essere spirito e corpo. Come accogliamo le debolezze dell’altro?

 

6-IL CORSO PER IL BATTESIMO DEI NEONATI

I padrini sono importanti, anzi durante la celebrazione diventano segni del rito sacramentale, ma non sono indispensabili. Pertanto, considerata la situazione anomala, ogni persona seria e responsabile, e soprattutto ogni pastore, si chiede se continuare così o interrompere temporaneamente una prassi che non rende un buon servizio al Vangelo e alla Chiesa con il rischio di ridicolizzare i sacramenti stessi.

 

a cura della Redazione

“Sapevate che per il battesimo bisogna fare il corso? Non ho ancora capito se è una cosa solo qui della Toscana oppure è valido per tutta l'Italia. Comunque è necessario fare un corso con i genitori più il padrino e la madrina.

Secondo me stanno veramente esagerando, la gente lavora non ha tutto questo tempo.

In più io convivo quindi faranno delle storie immense. Mi sa che se non trovo un prete accomodante Jacopo rimarrà senza battesimo. Alessandra” (1).

Da una breve indagine non esaustiva sul tema sollevato da questa lettera trovata su Internet possiamo dire che è prassi proporre ai genitori che chiedono il battesimo per il loro figlio di fare un cammino di preparazione al sacramento.

 

Come si articola questo cammino?

Di solito sono previsti tre o quattro incontri, condotti in parte da coppie e in parte dal sacerdote, contenute in un arco di tempo limitato (p.e. un mese).

Ad esempio, in una parrocchia di Milano (2), nel primo incontro, oltre ad una breve parte di conoscenza e presentazione reciproca, si riprendono le motivazioni per cui i genitori desiderano il Battesimo per i propri figli e si ripercorrono i punti cardine di questo sacramento attraverso l’approfondimento di testi e video.

Nel secondo incontro si approfondisce il significato di tutti i sacramenti e in modo particolare di quello del Battesimo, della loro azione nella vita del cristiano e degli “effetti” che ne conseguono.

Nel terzo incontro, infine, si ripercorre tutto il rito del battesimo e il significato dei segni che caratterizzano il rito stesso.

Un elemento che non dovrebbe mancare, scrive Antonietta Zazzara (3), è l’invito alla “costante partecipazione alla vita parrocchiale per dare sostegno alla formazione cattolica e alla crescita spirituale del proprio figlio e per far sì che anche i genitori possano continuare il loro percorso di fede e vivere seguendo gli insegnamenti di Gesù Cristo”.

In un’ottica di maggior coinvolgimento dei genitori, una parrocchia di Milano fa queste proposte per gli ultimi due incontri (4): “il terzo incontro è la partecipazione alla Messa delle 11.30 della domenica e, se la stagione che stiamo vivendo lo consente, la condivisione di un aperitivo e di un pranzo; il quarto incontro è costituito dalla visita del parroco a casa della coppia”.

Che senso hanno queste proposte? Nel primo caso durante la Messa si presentano alla comunità i piccoli battezzandi, e poi la Messa è il cuore della vita di fede a cui i genitori sono invitati a partecipare. Nel secondo caso come i genitori hanno fatto un passo verso la comunità, così il parroco, a nome della comunità, va a trovarvi e a benedirli.

 

Il padrino e la madrina

Tornando alla lettera, se la partecipazione al corso da parte dei genitori è indispensabile, non lo è per il padrino o la madrina, salvo i casi in cui sia prevista una specifica preparazione alla cerimonia attraverso una breve catechesi sui vari segni e momenti della celebrazione.

L’origine di questo ruolo è molto antica. Scrive Carlo Fabris (5): nei primi secoli, sia a causa delle persecuzioni che delle eresie circolanti, per “evitare che nelle comunità penetrasse qualche intruso si esigeva che il candidato al battesimo fosse presentato da qualche fedele conosciuto, il quale garantisse la serietà delle sue intenzioni e lo accompagnasse durante il catecumenato e il conferimento del sacramento, come pure ne curasse in seguito la fedeltà all’impegno assunto”.

Oggi, per il codice di diritto canonico, per fare da padrini/madrine – se coniugati – si deve essere regolarmente sposati in chiesa, non separati, non divorziati, non conviventi, aver compiuto 16 anni, aver ricevuto il sacramento della Confermazione e non essere i genitori del bambino/a (cfr. CIC n.874).

Il problema, per molti genitori, è che sovente le persone da loro scelte per questo ruolo non rispettano le condizioni previste dalla Chiesa. In pratica, spesso vengono accettate per questo ruolo anche persone conviventi o sposate civilmente, purché abbiano ricevuto il rito della Cresima (6).

E se così non fosse? Se i genitori si ostinassero a proporre padrini non idonei?

Il suggerimento che propone il Servizio Pastorale Battesimale della diocesi di Torino è quello di accettare la loro presenza come “testimoni al rito, accanto a padrini idonei come nonni, catechisti, membri autorevoli della comunità” (7).

La mancata idoneità del padrino/madrina è purtroppo sempre più diffusa. Al punto che i vescovi di diverse diocesi italiane hanno deciso di rinunciare temporaneamente alla presenza di queste figure nella celebrazione del sacramento.

Scrive uno di questi vescovi, mons. Lorefice: “questo ufficio è stato confuso spesso con relazioni di parentela e relegato, il più delle volte, al solo momento rituale. Tanto da perdere l’originario significato di accompagnamento nella vita cristiana del battezzato e del cresimato, riducendosi a semplice ‘orpello coreografico’ in una cerimonia religiosa”.

Il presule ricorda poi che ormai da tempo si discute sull’opportunità o meno di sospendere o abolire l’istituto del “padrinato”, che oltretutto è ritenuto, di fatto, non obbligatorio dallo stesso Codice di Diritto Canonico (8).

 

Le coppie irregolari

Ripartiamo ancora una volta dalla lettera. La Chiesa sa bene quanto ormai siano diffuse le convivenze e ragiona di conseguenza.

“In molti casi i genitori che chiedono il Battesimo”, scrive sempre il Servizio Pastorale Battesimale della diocesi di Torino, “vivono una situazione matrimoniale irregolare: sono divorziati risposati, sono sposati civilmente, sono conviventi, spesso non hanno intenzione di camminare verso un matrimonio cristiano”. E continua: “Non possiamo rifiutare il Battesimo del loro figlio poiché egli non è responsabile delle scelte dei genitori; tuttavia se vogliamo adempiere il nostro dovere di evangelizzarli e rendere ‘veritiero’ il gesto sacramentale, dobbiamo proporre loro un percorso che a poco a poco li aiuti a prendere coscienza e a fare scelte coerenti con il vangelo” (9).

Non dobbiamo, a priori, escludere nessuno, come scrive il vescovo di Torino, mons. Nosiglia: “L’invito di Papa Francesco a ‘sdoganare la pastorale dei sacramenti’ da ostacoli e ‘prezzi’ da pagare per poterli celebrare risuoni nel cuore di ogni pastore e catechista come monito ad assumere atteggiamenti meno ‘burocratici’ e a ricercare sempre le vie del dialogo e dell’incontro sereno e ricco di misericordia e amore soprattutto verso chi vive ai margini della comunità” (10).

 

1 Fonte: gravidanza.alfemminile.com

2 Fonte: parrocchia.donorionemilano.it

3 Fonte: mammemagazine.it

4 Fonte: gan.mi.it

5 Fonte: parrocchiasantachiara.it

6 Fonte: francescorussotto.it

7 Fonte: diocesi.torino.it

8 Fonte: avvenire.it

9 Vedi nota 7

10 Ibidem

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Come sono organizzati nella vostra parrocchia i corsi ai genitori per il battesimo del figlio?

•          Sono previsti nella vostra parrocchia cammini post battesimo?

•          Condividete la misericordia con cui la Chiesa accoglie genitori che sono e resteranno lontani dalla vita sacramentale?

 

7-BATTESIMO E NOZZE INSIEME?

Ciao a tutte, magari qualcuna di voi ne sa più di me. Sono incinta di 6 mesi e non ancora sposata. Vorrei battezzare il mio bimbo entro la prossima primavera.

Alcune persone mi hanno consigliato di fare il matrimonio insieme al battesimo del bimbo,

cosa che mi farebbe anche risparmiare... e non sarebbe poco visti gli invitati che avrei!

Ho già chiesto alla Chiesa di Sant'Agnese, Roma e mi hanno riposto che il Vicariato non permette la celebrazione di due funzioni insieme.

Qualcuna di Voi sa darmi qualche informazione in più? Anche perché io sono certa che alcuni l'hanno fatto! magari è Sant'Agnese che è troppo bigotta?

Michelina (1)

 

Risponde Morena Baldacci*

Aumentano le richieste di celebrare il matrimonio dei genitori unito al rito del battesimo dei propri figli: due sacramenti in uno! La richiesta ha alla base motivazioni molto diverse: dall’esigenza pratica di unire due feste in un solo giorno, al desiderio che nasce, dopo la nascita di un figlio, di avviare un cammino di fede. Situazioni che non possono, per questo, trovare risposte univoche, ma richiedono discernimento e riflessione.

La Chiesa italiana ha per ora espresso solo alcuni orientamenti pastorali che tendono ad escludere questa possibilità (cfr. Commissione Episcopale per la Famiglia e la Vita, “Orientamenti pastorali sulla preparazione al matrimonio e alla famiglia”, n. 26).

La prassi pastorale, nel frattempo, è molto variegata: vi sono parroci che abitualmente celebrano in un’unica Eucaristia sia il Battesimo che il Matrimonio; altri che, nello stesso giorno, celebrano il rito del Matrimonio nella liturgia della Parola, a cui fa seguito la celebrazione del sacramento del Battesimo; altri ancora che invitano la coppia a compiere un cammino di fede in occasione del Battesimo del proprio figlio (pastorale post battesimale) per giungere, in un secondo momento, alla celebrazione del Matrimonio.

Che fare? Rifiutare categoricamente o valutare caso per caso? Occorre prendere atto della realtà: sempre più spesso nei corsi di preparazione al Matrimonio giungono coppie conviventi con figli; in molti casi, la preparazione al Battesimo diventa l’inizio di un cammino di fede; molte coppie unite con il rito civile, dopo alcuni anni, maturano un orientamento di fede della propria vita. Sono strade che si aprono e che è bene non incontrino porte che si chiudono!

Al tempo stesso, occorre preservare il rito da eventuali abusi che sminuiscono l’identità stessa dei singoli sacramenti e dei necessari cammini di maturazione richiesti. Un’approvazione mirata solo ad assecondare una banale, se pur comprensibile, esigenza di risparmio (due feste in una!) non ci sembra sufficiente né accettabile. In attesa di chiarimenti e disposizioni pastorali autorevoli, ci sembra opportuno incoraggiare un serio discernimento di ogni singolo caso, una attenta valutazione delle motivazioni personali, insieme ad una possibile apertura, lì dove ritenuta opportuna, ad una celebrazione dei due sacramenti accostati, ma non uniti.

In questo caso, si potrebbe optare per una celebrazione del rito del Matrimonio nella Liturgia della Parola, a cui far seguito la celebrazione del Battesimo senza la Messa; oppure, come per il rito del Battesimo cosiddetto “a tappe”, rimandare alcuni riti del Battesimo in una Messa domenicale, con la presenza della comunità.

In ogni caso siamo in un cantiere ancora aperto, sia dal punto di vista liturgico sacramentale che pastorale!

La richiesta di celebrare insieme il Battesimo e Matrimonio provoca le comunità cristiane su più fronti: il superamento di una visione doganale di accesso ai sacramenti; un rinnovamento dello stile di annuncio che non imponga delle verità, ma faccia appello alla libertà e possibilità di ciascuno; l’assunzione di uno stile accogliente, all’insegna della gratuità e capace di ospitare quanti vivono in situazioni familiari irregolari; infine la testimonianza di una comunità capace di fare festa e di partecipare alla gioia dei genitori e familiari, lasciandosi scomodare per far posto a chi domanda di far parte della comunità cristiana (cfr. EG n. 47). Il Servizio diocesano di Pastorale Battesimale della diocesi di Torino, ha recentemente pensato di offrire agli operatori pastorali un dossier sul tema (2) per mettersi in ascolto dell’esistente e offrire spunti di riflessione.

* Teologa e liturgista

Fonte: La Voce e il Tempo, 22 maggio 2022

1 Fonte: neonato.alfemminile.com

2 Vedi: diocesi.torino.it

 

8-STORIA E PRATICA DELLA PENITENZA

La storia e la pratica del sacramento della penitenza ecclesiale sono quanto mai variegate

 

Di Franz-Josef Nocke*

Negli ultimi decenni il sacramento della penitenza è entrato in crisi più di qualsiasi altro sacramento. In breve tempo, la sua accettazione è rapidamente diminuita anche da parte di cristiani cattolici ecclesialmente impegnati e sacramentalmente praticanti.

 

La crisi del sacramento

Le cause di questo fenomeno sono molteplici: la predicazione e la prassi penitenziale ecclesiale vengono in larga misura intese in senso moralistico (la Chiesa predicherebbe un catalogo di azioni proibite, pronunciando su di esse un giudizio etico che non risulterebbe oggettivamente fondato), in senso individualistico (si tratterebbe solo e sempre di una colpa individuale e non anche dei grandi peccati sociali e degli irretimenti strutturali) e in senso paternalistico (la suddivisione dei ruoli tra penitenti e confessori contrasterebbe con l'immagine della Chiesa quale comunità fraterna).

Il rifiuto della confessione è anche frutto del bisogno di proteggere la propria sfera intima dall'intrusione delle istituzioni pubbliche, di cui la Chiesa è parte.

Di qui scaturiscono una serie di domande, tra cui questa: quale importanza ha il sacramento della penitenza nel complesso della prassi cristiana della riconciliazione e della conversione?

 

La storia del sacramento

La storia della penitenza ecclesiale è quanto mai variegata.

La Chiesa antica sviluppò questa prassi penitenziale: chi ha peccato gravemente, per esempio commettendo un omicidio, un adulterio o apostatando dalla fede, viene escluso pubblicamente dalla comunione eucaristica e, dopo un certo periodo di purificazione caratterizzato da duri esercizi penitenziali, viene di nuovo solennemente riammesso.

A motivo di questa procedura la penitenza della Chiesa antica è detta penitenza della scomunica. Essa avviene pubblicamente davanti alla Comunità. Quel che più la distingue dalla successiva prassi ecclesiale è la sua unicità. A tale procedura uno veniva sottoposto al massimo una volta nella vita. Se dopo questo procedimento penitenziale egli ricadeva in una colpa grave poteva contare solo più sull'intercessione della comunità che lo raccomandava alla misericordia di Dio.

Questa prassi rimase in vigore fino al sesto secolo. Ma col passare del tempo coloro che si erano macchiati di peccati gravi cominciarono a rimandare il processo penitenziale sino alla vecchiaia e magari fino in punto di morte, per evitare le penitenze e le conseguenze che continuavano a pesare anche dopo la riconciliazione. In questo modo, però, la penitenza scomparve in larga misura dalla vita della Comunità.

Così, a partire dal sesto secolo, si diffuse un'altra prassi, che dall'Irlanda si diffuse in tutto il continente: la penitenza tariffata.

 

La penitenza privata

Questa nuova penitenza si caratterizza dalla sua ripetibilità, dal mantenimento del segreto confessionale e dalla progressiva scomparsa del tempo di penitenza.

Con il passaggio dalla penitenza pubblica alla penitenza privata diventa meno chiaro il ruolo della comunità mentre balza in primo piano ha funzione del sacerdote. Rispetto all'opera penitenziale che deve svolgere il peccatore tende a prevalere la confessione dei peccati. Tale confessione, data la vergogna che comporta da parte del peccatore, è già considerata un'opera penitenziale. La penitenza diventa quindi essenzialmente confessione.

A questo si aggiunge, nel tredicesimo secolo, la necessità dell’assoluzione sacerdotale.

La riforma protestante mise in seria discussione la confessione e il Concilio di Trento, al contrario, la ribadì.

Quello che era già stato affermato nel Concilio lateranense IV (1215), e cioè che ogni fedele è obbligato “a confessare fedelmente tutti i suoi peccati al proprio parroco almeno una volta all'anno, ed eseguire la penitenza che gli è stata imposta secondo le sue possibilità”, diventa principio inderogabile e l’assoluzione da parte del sacerdote viene concepita come un atto giudiziario.

 

Confessione e comunione

All'inizio del ventesimo secolo la prassi penitenziale subì un cambiamento.

La frequenza con cui ci si confessa tocca una punta prima mai conosciuta. Ma i decreti di Pio X sulla comunione, che raccomandavano di riceverla possibilmente ogni qualvolta si assisteva alla messa, e gli impulsi del movimento liturgico che andavano nella medesima direzione, dovettero essere conciliati con l'abitudine secolare di confessarsi prima della ricezione (ovviamente molto rara) della comunione.

Provvisoriamente ci si incontrò a metà strada. Ci si accostava una volta al mese alla Comunione e con altrettanta frequenza alla confessione.

Verso la metà del secolo si allentò quindi il legame tra confessione e comunione. La ricezione della comunione fa, da allora in poi, sempre più parte della partecipazione all'eucaristia mentre la frequenza della confessione diminuisce rapidamente. Quasi nel medesimo tempo nasce una nuova forma di penitenza pubblica, cioè la liturgia penitenziale celebrata comunitariamente.

 

La penitenza comunitaria

Questa forma di penitenza fu praticata inizialmente dalla base, dapprima in parrocchie olandesi e francesi, e servirono due decreti prima di arrivare al riconoscimento ufficiale.

Conviene quindi domandarsi: la liturgia penitenziale potrebbe divenire una nuova forma del sacramento della penitenza?

Nessuno contesta che si possano collegare tra loro liturgia penitenziale, comunitaria e confessione individuale. Questo è già ufficialmente previsto nel nuovo rito della penitenza del 1973.

Qui è prevista una liturgia penitenziale in cui, dopo una confessione comunitaria e quindi non personalmente dettagliata dei peccati, viene impartita l’assoluzione generale. Quindi, senza confessarsi prima, personalmente e individualmente, viene concesso a tutti i presenti il perdono di tutti i peccati, anche dei peccati gravi, cosicché essi possono partecipare dopo anche alla comunione.

Tale remissione è però legata, oltre che al pentimento, sempre necessario, al proposito di confessare, successivamente in modo individuale i peccati già perdonati, non appena si avrà la possibilità di farlo. Potrebbe la Chiesa rinunciare in linea di principio anche a imporre quest'ultimo obbligo?

Recenti norme ecclesiali raccomandano l’assoluzione generale in zone e situazioni in cui, ad esempio, per la mancanza di sacerdoti si prevede che non ci sarà per lungo tempo, o magari mai, l'occasione di confessarsi individualmente, cosicché di regola non si può contare sulla possibilità che poi ci si confesserà.

 Se la Chiesa può adottare regolamenti del genere non può fare, anche in linea generale, della liturgia penitenziale la via sacramentale della remissione dei peccati?

* teologo

Fonte: Franz Josef Nocke, Dottrina dei sacramenti, Editrice Queriniana, Brescia 2000

Sintesi della Redazione

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Considerate la penitenza un sacramento utile alla vostra vita di fede?

•          Quando sentite il bisogno di confessarvi?

•          Potendo scegliere tra penitenza privata e penitenza comunitaria quale scegliereste?

•          Si possono equiparare i riti penitenziali all’inizio della messa con la penitenza comunitaria? Se no, perché?

 

9-PECCATO E MALATTIA

La differenza tra il sacramento della penitenza e quello dell’unzione degli infermi è che il primo è per guarire dalla crisi di appartenenza ecclesiale a causa del peccato, mentre il secondo è a causa della malattia, cioè di una condizione la cui logica non è quella del peccato, ma quella del male che ti trovi addosso.

I nostri meccanismi, come già al tempo di Giobbe o di Gesù, di fronte alla malattia dicono così: "o hai peccato tu o hanno peccato i tuoi genitori". È il meccanismo per cui, anche quando un bambino prende il raffreddore, gli si rinfaccia subito: "per- ché non ti sei messo la sciarpa?".

Noi abbiamo bisogno di trovare sempre la colpa di ogni malattia. Non accettiamo quella logica per cui le malattie "accadono", cioè ti cadono addosso quando meno te lo aspetti e senza che tu abbia dato loro occasione.

Dietro deve sempre esserci un'inavvertenza, una trascuratezza o un'incuria: insomma una colpa. Se invece ammettessimo che le malattie ci toccano anche senza colpa, sapremmo di essere tutti sguarniti. Questa è l'esperienza che la Chiesa e le famiglie hanno sempre conosciuto: che ci si ammala senza colpa, e che però la malattia è pericolosa perché ti fa entrare in una logica di isolamento, di arelazionalità, che diventa poi a sua volta principio di colpa, principio del sentirsi abbandonati da Dio e dal prossimo. In questi casi la cura sta nella prossimità, occorre stare vicini, annunciando "ti basta la mia grazia", la relazione non finisce anche se sei malato grave. In tutto questo, stili familiari e stili ecclesiali si intrecciano e la Chiesa evangelizza la famiglia nello stesso tempo in cui la famiglia evangelizza la Chiesa.

Andrea Grillo

 

10-SENSO DI COLPA E PECCATO

Il senso di colpa, se è ossessivo è negativo; se è assente rende ugualmente negativa e asociale la persona. Il senso di colpa è positivo quando ci invita ad aprire gli occhi e a guardarsi dentro.

Il senso di colpa non perdona, ed è questo che si deve aprire al senso del peccato. Nel senso di colpa tu sei solo davanti alla tua coscienza, agli altri, e quella colpa ti può schiacciare. La differenza la fa il senso del peccato, che nasce quando tu ti poni di fronte a Dio…

Il peccatore è colui, sono io, siamo noi, che cerca di accaparrarsi il bene, l’amore, la stima, il denaro, le cose, non come un bene condiviso, ma come un bene staccato da Dio, che quindi perde il proprio senso…

Il senso di colpa è un fattore psicologico, se è ossessivo è un male che schiaccia l’uomo; se però le nostre emozioni sono ben coltivate, ci dà il senso di responsabilità verso le nostre azioni. Il senso del peccato è proprio di chi si pone di fronte a Dio, come Creatore, Padre, Signore della propria vita, e scopre che la sua esistenza, le sue azioni, sono una fuga da Lui.

Nella società contemporanea si è perso il senso del peccato perché si è perso il senso di Dio. Ma il senso di colpa senza Dio rimane: ed è ossessivo e superficiale.

Fra Amab

Fonte: parrocchiasanrocco.it

 

11-PENITENZA E EUCARISTIA

Il valore dei riti penitenziali e della penitenza ordinaria all’interno dell’eucaristia

 

Di Andrea Grillo*

Non è affatto escluso che la crisi del sacramento della penitenza che oggi viviamo non dipenda dalla contemporanea riscoperta della centralità dell'eucaristia nella vita della Chiesa. Infatti, noi di solito non riflettiamo sul fatto che non si può riscoprire l'eucaristia e la vita di comunione ecclesiale e sacramentale, senza ridimensionare il sacramento della penitenza, proprio a causa della riscoperta della penitenza ordinaria, interna alla eucarestia. Vale la pena di precisare meglio proprio questo rapporto.

 

La penitenza ordinaria

La vita cristiana è segnata da due grandi sacramenti, battesimo ed eucaristia, che celebrano il lasciarsi riconciliare dell'uomo con Dio da parte di Dio.

All'interno di questi sacramenti, la vita cristiana scopre la possibilità continua di fare penitenza, di chiedere perdono e di scoprirsi riconciliata con Dio dalla Sua misericordia.

Se però il cristiano cade nel peccato grave, mette cioè in a rischio la sua appartenenza al corpo di Cristo che è la Chiesa, si colloca di fatto in una regione a margine della Chiesa, in quella che la tradizione chiama condizione di scomunica, e allora in questo caso il battesimo e l'eucaristia conoscono una grave crisi.

 

La penitenza della scomunica

A tale crisi rimedia un altro sacramento: il sacramento della penitenza, che ha lo scopo di realizzare la pace con Dio attraverso la pace con la Chiesa, riabilitando il soggetto cristiano all'esercizio del proprio battesimo nella comunione eucaristica.

La penitenza, in questo caso, si fa sacramento diverso dall'eucaristia, perché deve rimediare ad una grave crisi di appartenenza ecclesiale: perciò c'è bisogno di una nuova parola di perdono, autorevolmente pronunciata dal ministro della Chiesa, e di un nuovo lavoro “della memoria e del lutto” con cui il battezzato può rientrare in se stesso, lasciare una prassi e una mentalità di peccato e lasciarsi abbracciare di nuovo dal Padre misericordioso, senza più paura della gelosia del fratello maggiore.

 

Quante volte?

È certo possibile, e talora anche consigliabile, che si possa celebrare il sacramento della penitenza anche in assenza della necessità dovuta a colpa grave.

Ma ciò che bisogna guardare con crescente perplessità è il fatto che il sacramento della penitenza sostituisca definitivamente la penitenza battesimale ed eucaristica. La patologia, diverrebbe, in questo caso, sostitutiva della fisiologia, e la malattia diventerebbe, per così dire, cronica.

Invece, la guarigione dal peccato grave non ha bisogno di una continua ripetizione del sacramento della penitenza, ma piuttosto di elaborare il dono del perdono in un lavoro di memoria e di morte, ossia in una prassi penitenziale in cui la Chiesa si prenda cura dei fratelli penitenti.

* teologo

Fonte: Andrea Grillo, Riti che educano. I 7 sacramenti, Cittadella editrice 2011.

Sintesi della Redazione

 

12-I SACRAMENTI: SOLO SETTE? NON DI PIÙ, NON DI MENO?

La morte, insieme alla nascita, è un ‘sacramento della creazione’: perché non può diventare anche un sacramento della Chiesa?

 

di Roberto Tagliaferri*

Il fatto che i sette sacramenti siano frutto di una specifica volontà istitutrice di Gesù è stato oggetto di dispute feroci all’epoca della Riforma protestante.

Per reazione, nel Concilio di Trento vi è stato un pronunciamento irrevocabile sul settenario. Ma perché sette e non più o meno? Solo per deferenza alla tradizione, che elencava i maggiori già in Agostino e nel Concilio di Firenze?

 

Le problematiche aperte

L'impressione generale è che non vi siano criteri coerenti, come c’è per esempio nella logica e nella struttura dei riti di passaggio, per chiarire antropologicamente i sette sacramenti, ma che le contingenze storiche abbiano alla fine prodotto queste prassi rituali della Chiesa.

Al contrario di Trento, il Vaticano II non si è pronunciato sul tema con altrettanta decisione, anzi ha speso parole molto impegnative per esempio sui sacramentali.

Se si può capire il contesto polemico che ha prodotto la dottrina dei sette sacramenti e l'inderogabilità del loro numero, non si capisce perché oggi, in un clima più rasserenato dalle nuove acquisizioni esegetiche, non si possa metter mano su questa materia, se non altro per evidenziate il background antropologico che li ha prodotti.

 

L’antropologia e i sacramenti

I sette infatti hanno contesti antropologici assolutamente diversificati. Un conto sono i sacramenti dell'iniziazione cristiana, che nella centralità eucaristica hanno la loro piena coerenza. Questo vale anche per i sacramenti del matrimonio e dell'unzione degli infermi in cui l'elemento tipico del rito di passaggio è pregnante. Manca dall'elenco il passaggio per definizione, che è la morte, da sempre il rito più attestato dalle tradizioni religiose. In tutti i casi non si capisce perché la vita matrimoniale dovrebbe essere marcata da un sacramento rispetto ad altri passaggi fondamentali come la maggiore età.

Alla difficoltà di stabilire i criteri antropologici dei sette sacramenti si aggiunge il problema della relazione con rituali analoghi come i sacramentali, come le benedizioni e come gli esorcismi.

 

Sacramenti e sacramentali

Per quale arcana ragione la benedizione del matrimonio sia efficace per l'azione dello Spirito e non le altre benedizioni, come quella sull'Abate, è un rompicapo teologico affascinante.

La stagione post-conciliare è particolarmente favorevole per discernere queste problematiche. Se il rito nella sua disposizione antropologica ha il potere di favorire la Grazia, si dovrebbe dare più spazio all'efficacia dei sacramentali sempre attuati ritualmente. Non va dimenticato che il Benedizionale è stato l'ultimo libro liturgico della riforma conciliare. Un'esitazione che segnala la difficoltà a ragionare su questi temi.

Questo processo di ridefinizione sacramentale potrebbe far assurgere alcuni sacramentali al tenore di sacramenti. Non tutto deve essere sacramentalizzato, è ovvio! Tuttavia potrebbe essere interessante una nuova offerta sacramentale della Chiesa per un cristianesimo che saprebbe meglio abitare i momenti topici della vita alla luce del Vangelo e con l'aiuto della Grazia.

 

Le esequie sono un sacramento?

Normalmente la teologia afferma che i sacramenti sono per i vivi e le esequie sarebbero per i morti e quindi non possono essere annoverate tra i sacramenti. È curioso che questi riti siano tra i primi attestati nella storia dell'homo sapiens e che nella stessa Bibbia Dio venga chiamato come Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, Dio dei vivi e non dei morti. Come dire che nei riti funebri si celebra il rapporto tra l'uomo e Dio e questo è un carattere decisivo per definire la sacramentalità.

I riti funebri sono un universale nella storia delle religioni, anche nelle tradizioni dove non c'è sopravvivenza nel regno dei morti. È curioso che una pratica rituale così rilevante sia stata estromessa dai sette sacramenti e sia annoverata tra i sacramentali.

Al contrario, i riti delle esequie hanno tutte le caratteristiche di un sacramento per quel rapporto tra vivi e morti, che costituisce la "comunione dei Santi". Dal punto di vista antropologico si possono segnalare due prospettive salienti e contraddittorie. Da una parte si rileva la tenuta del rapporto coi defunti in epoca di secolarizzazione: non solo nessuno manca ai funerali, anche se non credenti, ma permane la commemorazione dei morti come un vero culto ai propri cari, che riposano in Dio. D'altra parte si assiste ad una grave crisi antropologica dei riti di lutto, lasciati inopinatamente al mercato delle agenzie del commiato.

 

La morte e il lutto

Secondo R. Hertz, il lutto non si identifica con la violenta crisi emotiva che segue il decesso, quanto piuttosto con lo stato imposto, per un arco di tempo determinato, ad alcuni familiari del defunto.

La cultura determina il tempo del lutto, i suoi ritmi e i luoghi preposti alle attività del cordoglio; impone una temporanea sospensione delle relazioni sociali normali e l'assunzione, da parte di coloro che ne sono coinvolti, di modelli di comportamento e ruoli alternativi rispetto a quelli ordinari.

Oggi tuttavia il rapporto con la morte è diventato qualcosa da cancellare, da far scomparire: "oggetto di vergogna e di divieto". Anche la Chiesa si trova di fronte alla crisi dei riti di lutto. Le nuove cerimonie laiche, tese a rendere psicologicamente neutrali le emozioni di fronte allo strappo della morte, mostrano tutta la loro debolezza deprivata di trascendenza e di articolazione simbolica tra vita e morte.

L'homo sapiens sapiens, fin dagli albori dell'umanità non si è limitato a subire i meccanismi naturali, ma li ha trasfigurati simbolicamente con i riti funebri per accedere ad un oltre. Questo tentativo di trasgredire il mondo non derivava tanto dalla paura della fine, quanto dalla capacità simbolica di trasformare il mondo.

 

La morte e la modernità

La modernità ha in parte sconvolto questo immaginario simbolico per una pretesa volontà di autodeterminazione non più vincolata alle tradizioni religiose. Di fatto ne è sortita una de-simbolizzazione, che ha rigettato l'umanità nelle braccia del naturalismo scientifico. Rompere l'incantesimo delle religioni in nome della emancipazione non ha però reso la morte più abitabile. Ha voluto interrompere i riti di lutto con cerimonie tese a negare la morte. Il simbolico invece restituisce la vita alla morte e viceversa come accade nei riti di iniziazione.

Dal punto di vista simbolico, vi sono due prospettive della morte. Nella prima la morte è processo di decostruzione e si può avvicinare al campo semantico biblico della condizione di peccato, nella seconda la morte esprime la condizione della vita, che è condizione di finitezza. La morte qui è simbolicamente connessa alla vita come ricorda il dogma cristiano del mistero pasquale.

Anche il cristianesimo ha nella dinamica morte/vita il suo senso più profondo. È la logica della croce, del chicco di grano che se non muore non fruttifica.

 

Il “dies natalis”

Le esequie, che consegnano a Dio il defunto, rappresentano l'ultima fase dell'iniziazione cristiana. Nella Chiesa antica si parlava del giorno della morte come il "dies natalis". E su questa base iniziatica che sembra opportuno trattare i riti funebri come sacramento della rinascita al Cielo del cristiano, che nel battesimo ha cominciato il cammino di rinascita e nella morte compie la sua avventura di progressiva divinizzazione.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica mette le esequie accanto ai sacramentali e recita: "La Chiesa che, come madre, ha portato sacramentalmente nel suo seno il cristiano durante il suo pellegrinaggio terreno, lo accompagna al termine del suo cammino per rimetterlo nelle mani del Padre. Essa offre al Padre, in Cristo, il figlio [defunto]… Questa offerta è celebrata in pienezza nel sacrificio eucaristico; le benedizioni che precedono e che seguono sono dei sacramentali" (CCC nn. 1681-1683).

 

La comunione dei santi

Va sottolineato che anche tutti gli altri sacramenti sono riferiti all'eucarestia. Non si capisce perché le esequie non abbiano carattere sacramentale in quanto sono il momento della rinascita al cielo e quindi sono il punto culminante del passaggio tra la Gerusalemme della terra e la Gerusalemme del cielo. Questo è il momento saliente e culminante che fa passare il cristiano dal banchetto eucaristico al banchetto escatologico e sembra giusto dare rilievo al passaggio centrale del cristiano nel suo viaggio terreno. In questo trapasso è coinvolta anche la Gerusalemme della Terra, che vive un'eccezionale esperienza di comunione con i Santi della Gerusalemme del cielo. Si potrebbero quasi definire le esequie cristiane come il sacramento della "comunione dei Santi".

* teologo

Fonte: Roberto Tagliaferri, Il “fattore “A”. L’antropologia nei sacramenti, Cittadella Editrice, Assisi 2021

Sintesi della Redazione

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Secondo voi, il rito delle esequie serve di più al defunto o a coloro che gli sono stati intimi?

•          In una cultura che nasconde la morte, un eventuale sacramento delle esequie potrebbe essere un “segno” in controtendenza?

•          Conoscete i sacramentali? Tra questi ci sono almeno otto benedizioni dedicate alla famiglia!

 

13-SACRAMENTALI: SACRAMENTI MANCATI?

È possibile proporre un allargamento dell'offerta sacramentale? Questa non è una forzatura dell'intenzione evangelica, perché è ormai consolidata la consapevolezza che i sacramenti sono un prodotto della Chiesa, su indicazione del Maestro, per continuare l'opera di evangelizzazione.

I “sacramenti mancati" sono azioni che hanno tutte le caratteristiche dei sette sacramenti, ma per una decisione della Chiesa non hanno lo stesso titolo.

Se per secoli fino a Trento la materia ha mantenuto una certa flessibilità attorno ai due sacramenti maggiori, battesimo ed eucaristia, non si capisce perché si debba tenere la stessa rigidità, comprensibile nel sedicesimo secolo, ma oggi controproducente.

Per il catechismo della Chiesa cattolica, i sacramentali sono santi segni simili ai sacramenti ma non sono sacramenti istituiti da Gesù Cristo, bensì dalla Chiesa:

Essi portano frutti soprattutto di genere spirituale, non ovviamente come i sacramenti in forza del loro conferimento, ma in forza della preghiera della Chiesa e della collaborazione del ricevente. Essi non donano immediatamente la grazia santificante, ma ci preparano a riceverla e la rendono operosa (cfr. CCC 1668 ss).

Onestamente non si capisce perché i sacramentali dovrebbero avere un diverso statuto di grazia. In che senso la benedizione nuziale è sacramento e non è sacramento la benedizione dell'abate o della badessa di un monastero, la consacrazione delle vergini e delle vedove, il rito della professione religiosa e le benedizioni per alcuni ministeri ecclesiali? Forse bisogna ripensare a qualcosa.

Accanto alla benedizione sul sacrificio di comunione, cioè l'eucaristia, e sul matrimonio, bisognerebbe aggiungere la benedizione dei doni ricevuti, la benedizione sui malati, la benedizione dei pellegrini, la benedizione delle famiglie, la benedizione dei bambini, la benedizione dei figli, la benedizione dei fidanzati, la benedizione degli anziani, le benedizioni ai pasti, le benedizioni per l'unità, per la pace, per la concordia tra i popoli, ecc.

Indubbiamente bisognerà alla fine fare una selezione per non svalutare le cose sacre con una proliferazione eccessiva di riti.

Tuttavia, la religiosità popolare da sempre si nutre di queste celebrazioni.

Roberto Tagliaferri

Sintesi della Redazione

Vedi: https://www.liturgia.it/content/sacramenti/benedizionale.pdf

 

14-PENSARE A NUOVI SACRAMENTI

Queste proposte possono apparire provocazioni ma ci aiutano ad uscire dalla logica del “si è sempre fatto così”

 

di Roberto Tagliaferri*

È possibile ampliare l’offerta sacramentale?

In questo campo non c’è solo la richiesta di dare maggiore dignità ai sacramentali ma anche quella di pensare a nuovi sacramenti legati al vedere, all'ascolto, al cammino.

Questi tre aspetti dell’uomo sono legati all'antropologia postmoderna orientata alla valorizzazione del corpo e alla tendenza a personalizzare la fede.

Non si tratta di assecondare una religiosità individualistica ma, al contrario, provare a ridare spessore alla dimensione ecclesiale, anche là dove sembra prevalere la dimensione privata.

 

Il sacramento del vedere

Potrebbe apparire strano proporre tra i sacramenti l'immagine iconografica, ma i padri antichi non ne facevano mistero. In effetti il problema dell'immagine è stata una delle prime crisi circa i sacramenti e riguardava soprattutto la polemica contro le immagini pagane.

L'antropologia del vedere il Santissimo Sacramento, che dopo Trento ha soppiantato per lungo tempo la comunione eucaristica, ha continuato a prosperare nella religiosità popolare, mentre la Chiesa ufficiale ha preferito la via dell'ascolto della parola biblica.

Questo spostamento ecclesiale ha determinato, alla lunga, la crisi del cristianesimo post tridentino, sempre più alle prese con le dottrine e coi vari catechismi che da allora hanno educato la gente alla fede dogmatica.

Questa carenza del sentire cattolico ha prodotto un fenomeno mai visto prima, ovvero le molteplici apparizioni della Madonna che ha incanalato, per un altro verso, la domanda di “vedere” il mistero.

Come dire che si chiude una porta e se ne apre un'altra, perché la fede non si regge senza un forte sostegno dell'antropologia sensibile.

È forse ora di riconoscere la forza sacramentale dell’iconografia. Si potrebbe elaborare una sacramentaria del vedere, legata alle apparizioni mariane, o alle visioni mistiche come l'immagine di Gesù misericordioso della devota Faustina Kowalska. Le visioni sono pur sempre legate alla sensibilità del vedere e delle immagini e sollevano problematiche analoghe a quelle delle icone nella Chiesa antica.

 

Il sacramento dell'ascolto

La parola di Dio ha un ruolo molto importante nell’amministrazione dei sacramenti, ma come forma priva di visibilità. Il sacramento, invece, sarebbe già a partire da Agostino parola visibile.

Un tormentone all'indomani del Concilio Vaticano II sosteneva che la Chiesa cattolica si era protestantizzata perché parlava di presenza di Cristo e di rivelazione nella parola di Dio.

Il post Concilio ha fatto tesoro della lezione della Dei verbum. Sono nati i gruppi biblici, la conoscenza esegetica si è fatta sofisticata e creativa.

Una proposta per dare alla Parola la dignità di sacramento è costituita dalla lectio divina, una pratica rituale in cui la Santa Sacra Scrittura si fa azione, si fa corpo.

Il suo metodo è stato codificato nel dodicesimo secolo dal monaco certosino Guigo II nell'opera scala claustralium con una serie di tappe: lectio, scrutatio, meditatio, oratio, contemplatio (1).

Vediamone il suo valore antropologico.

La lectio enfatizza il processo di corporeizzazione della parola verso l'azione con elementi tipicamente rituali: il contesto comunitario, la proclamazione, l'ascolto, la preghiera, il silenzio.

La lectio come primo momento rituale è la corporeizzazione della parola attraverso la voce che risuona in un'Assemblea. Il brano prescelto non è autoreferenziato, ha bisogno nella scrutatio di stabilire parallelismi interpretativi molto complessi.

Ogni lettura è una sorta di iniziazione ai significati segreti, mentre proclama una verità, contemporaneamente la cela come un oracolo. Ecco perché la lectio divina è come un'ascesi con la scrutatio e la meditatio, per avere orecchi da iniziati che sanno collegare i fili nascosti nel corpo biblico, come segnature riservate ai saggi e celate ai distratti.

Si apre a questo punto nella lectio divina l'atto rituale dell'oratio che tende a sfuggire dallo sciame di significati infiniti per aprirsi all'azione.

Guigo il certosino era così sintetizzato da Giovanni della Croce: “cercate nella lettura, troverete con la meditazione; picchiate nella preghiera, entrerete nella contemplazione”.

Quando la lectio diventa azione nella preghiera, opera sacramentalmente l'unione con Dio (contemplatio) ed elargisce i tesori di grazia per nutrire il cammino della Chiesa nel tempo.

 

Il sacramento del cammino

Il pellegrinaggio è sempre stato una forma della religiosità popolare, legato a diverse intenzionalità religiose, come l'adempimento di un voto, come la volontà di espiare un peccato, come l’ottenimento di una grazia o della salute.

Esso è un tipico esempio in cui la dimensione corale si interseca con l'intenzione privata senza soluzione di continuità.

In tutte le tradizioni religiose vi è questa forma ritualizzata del pellegrinaggio al santuario.

I primi cristiani tennero subito in grande considerazione i luoghi santi di Gerusalemme, poi il culto delle reliquie rese celebri alcuni luoghi come San Pietro e San Paolo a Roma, come san Jacopo da Compostela, ecc. I grandi pellegrinaggi medievali a scopo penitenziale tracciarono alcune rotte come la Via Francigena, che partiva dall'Inghilterra sino a Roma. Successivamente il pellegrinaggio ha privilegiato i luoghi delle apparizioni mariane, portandosi al seguito un'umanità dolente di malati, di anziani che aspirano a trovare una tregua alla loro sofferenza.

La religiosità popolare si è appropriata da sempre di questi circuiti rituali. E anche in epoca secolarizzata, i pellegrinaggi sono rimasti in auge. Anzi, le richieste aumentano, sollecitate da apparizioni mariane e da personaggi noti come Padre Pio.

La secolarizzazione moderna non elimina ma seleziona le ritualità che dimostrano la capacità di condurre il Pellegrino sulla via del divino.

La crescita del livello di secolarizzazione ha contribuito al processo di demitizzazione del sacro, spingendo i pellegrini a mettere in secondo piano la dimensione miracolista e a valorizzare piuttosto gli aspetti emozionali e consolatori.

Non siamo più di fronte alla secolarizzazione come scristianizzazione della società in senso anti religioso. Stiamo assistendo ad una religiosità in movimento che abbandona le antiche istituzioni religiose come la Chiesa cattolica e si riposiziona su un “bricolage delle credenze”.

La religione tramonta perché il cambiamento sociale intacca la capacità collettiva di creare degli ideali; la crisi dell'ideale sgretola i legami sociali.

Tuttavia, il risultato di questa duplice azione non è la fine della religione, ma la sua metamorfosi.

Questa nuova antropologia potrebbe essere riconosciuta dalla Chiesa come un sacramento del viaggio, che da un lato, asseconda la percezione più personalistica della fede e dall'altro corrobora e alimenta una spiritualità del viaggio verso la meta finale, le cose “ultime”.

* teologo

Fonte: Roberto Tagliaferri, Il “fattore “A”. L’antropologia nei sacramenti, Cittadella Editrice, Assisi 2021

Sintesi della Redazione

1 Rispetto a quanto scritto nell’articolo la lettura dei cinque momenti è stata adattata dai GF riducendo lo spazio dedicato alla preghiera interiore per favorire il lavoro di gruppo.

Vedi: https://www.gruppifamiglia.it/anno2015/86_marzo_2015.htm#5

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Secondo voi, l’introduzione di nuovi sacramenti appesantirebbe la pratica liturgica o sarebbe occasione per accogliere i lontani (camminare), dare dignità alla pietà popolare (vedere), avvicinare alla Parola (ascoltare)?

•          Quali di queste tre pratiche vi sembrano più adatte alla spiritualità familiare?

 

15-GLI ITINERARI CATECUMENALI PER LA VITA MATRIMONIALE 1

Nel giugno del 2022 il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita ha reso pubblico il documento: Itinerari catecumenali per la vita matrimoniale nel quale, ripartendo da quanto già scritto da Giovanni Paolo II nella Familiaris consortio e da papa Francesco nell’Amoris laetitia, ha riproposto il tema della preparazione remota, prossima e immediata al sacramento del matrimonio proponendolo in chiave catecumenale.

Questa proposta è stata considerata da molti operatori pastorali utopica, di fronte alle difficoltà che ha la Chiesa italiana ad essere ancora attrattiva per i giovani.

Come rivista che si occupa di pastorale familiare e che vede molti lettori impegnati proprio nel servizio di accompagnamento delle coppie al matrimonio abbiamo ritenuto opportuno dedicare ampio spazio non solo al documento ma al contesto in cui il documento si deve calare, e cioè quello italiano.

I dati che vengono proposti non sono recentissimi ma ci sembrano ancora sufficientemente validi.

La redazione

 

16-INSIEME VERSO LE NOZZE 1

Rileggere una ricerca condotta nel primo decennio del 2000 e promossa dall’Ufficio Famiglia della CEI sui percorsi di accompagnamento al matrimonio

 

di Antonella Pennati*

La preparazione dei fidanzati al matrimonio cristiano è oggi, al pari della preparazione ai sacramenti dell'iniziazione cristiana, una delle azioni pastorali ritenute irrinunciabili. Da qui nasce un'indagine conoscitiva di cui di seguito riportiamo i risultati.

 

Alcuni dati

La preparazione dei finanzati al matrimonio e alla famiglia è una realtà di dimensioni veramente notevoli che vede impegnata la Chiesa italiana in circa 9.600 corsi l'anno.

Si stima che questi corsi coinvolgano più di 190.000 copie di fidanzati: nessuna altra attività pastorale riesce ad intercettare un numero di giovani così alto, da cui deriva l’assoluta preziosità di questo momento e l’urgenza di renderlo significativo.

I percorsi di preparazione al matrimonio prevedono un numero di incontri variabile che ruota intorno ai 6 ma può arrivare fino a 16.

Il dato diviene interessante se si indaga dove la scelta dei fidanzati vada a collocarsi: cercano maggiormente i percorsi brevi o quelli più impegnativi e articolati? Comunque il 60% delle coppie frequenta un corso che prevede 10 o più incontri.

Le principali figure di riferimento per quanto riguarda l'animazione sono il parroco (presente nell'84% dei percorsi) e la coppia di sposi (81% dei percorsi) segno di una crescente corresponsabilità ecclesiale tra i due sacramenti dell'ordine e del matrimonio.

Il 75% dei corsi è organizzato e gestito a livello parrocchiale, il 16% è organizzato dai vicariati o decanati e l'11% dalle diocesi, mentre le proposte delle associazioni e dei movimenti sono numericamente poco significative (1,5%).

[NdR La nostra impressione è che la percentuale sia più elevata ma, poiché la ricerca è stata effettuata a livello di diocesi, è possibile che per parecchie di esse vi sia uno scollamento tra l'attività pastorale ordinaria e quella praticata dalle associazioni e dai movimenti].

Vi è però una notevole differenza tra Nord e Sud Italia. Mediamente i percorsi del Sud prevedono un numero di incontri maggiore (quasi 13) con un numero di partecipanti inferiore (minore di 20), al Nord invece i percorsi sono mediamente più brevi (meno di nove incontri) ma coinvolgono un numero maggiore di coppie (quasi 25).

Per quanto riguarda la modalità di conduzione degli incontri e la metodologia, i percorsi organizzati al Nord Italia utilizzano maggiormente la formula del lavoro di gruppo insieme con la forma assemblare (48%), mentre al Sud è più diffuso il modello tradizionale, quasi scolastico, della sola forma assembleare (63%).

Da questo confronto emergono anche rilevanti diversità nel soggetto organizzatore, in quanto la dimensione parrocchiale è più presente al Sud mentre quella diocesana e vicariale si ritrova maggiormente al Nord.

 

Il profilo dei fidanzati

Più della metà dei fidanzati che frequentano i percorsi di preparazione al matrimonio ha più di trent'anni; nei percorsi organizzati al Nord un quinto dei fidanzati ha più di 35 anni mentre man mano che ci si sposta al Sud l’età media diminuisce.

Per quanto riguarda l'aspetto pastorale in 60% delle diocesi italiane la percentuale di fidanzati convinti e praticanti non arriva neppure al 15%.

L'aspetto che connota maggiormente il volto dei fidanzati che frequentano oggi i corsi di preparazione al matrimonio è quello della convivenza. Il fenomeno è diffuso e non ignorabile, infatti in media una coppia su tre vive già una relazione di convivenza.

Al Nord Italia la metà delle coppie di fidanzati è convivente mentre il dato diminuisce significativamente man mano che si scende verso il Centro e il Sud Italia, passando dal 52% del Nord al 6% del Sud.

Questi fidanzati che presentano un volto così secolarizzato come valutano i corsi? Ben il 57% di essi dichiara di essere molto soddisfatto di questa esperienza e il 35% ritiene che il corso sarà molto utile per la futura vita di coppia.

Generalmente, infatti, questi giovani che iniziano il corso in modo un po' forzato, scoprono che si tratta di una bella occasione per approfondire aspetti fondamentali della loro vita.

 

Gli operatori

Le coppie coinvolte nella preparazione dei giovani al matrimonio sono motivate e generose e dedicano a questa attività una fetta consistente del proprio tempo.

Per quanto riguarda le difficoltà, gli operatori evidenziano il fatto che i fidanzati sono quasi sempre persone lontane dalla Chiesa, soprattutto nel senso dell'appartenenza.

Questo comporta la necessità di mantenere uno stile di primo annuncio, sacrificando spesso approfondimenti del Magistero sul matrimonio e la famiglia; inoltre non è sempre possibile proporre momenti forti di riflessione spirituale.

Allo stesso modo, diventa difficile parlare di temi etici con persone adulte lontane da una vita di fede e con una cultura religiosa assai scarsa.

Tutto questo, però, non rende negativa l'esperienza di accompagnamento dei fidanzati: le soddisfazioni non mancano. Sono soprattutto legate all'ambito relazionale; i fidanzati lo percepiscono: dicono di sentirsi accolti e cercati e questo, a volte, fa scattare in loro il desiderio di tornare a frequentare la comunità cristiana.

Questo dice anche, probabilmente, che per riuscire a coinvolgere davvero i giovani e a dire una parola significativa per loro occorre puntare sulla dimensione antropologica oltre a quella della fede.

La sostanziale positività dell'esperienza non toglie però che ci siano anche punti deboli.

Tra questi la scarsa attenzione di cui godono i corsi di preparazione al matrimonio all'interno della comunità cristiana perché questa attività non riveste la stessa importanza che hanno i percorsi di catechesi per l'iniziazione cristiana. Sono attività demandate a coloro che “devono” farsene carico con scarso coinvolgimento della comunità nel suo insieme.

 

Consultori e movimenti

Da almeno due decenni i vescovi raccomandano la collaborazione tra i consultori di ispirazione cristiana e la comunità ecclesiale per la preparazione dei fidanzati: oggi in oltre il 60% delle diocesi questa collaborazione esiste e verte soprattutto su interventi di specialisti che riguardano alcuni temi specifici previsti durante il corso stesso oppure sull'incentivazione delle consulenze prematrimoniali.

Altra interazione proficua su cui può contare oltre la metà delle diocesi italiane è quella con associazioni e movimenti, anche se quasi sempre non si tratta di vere e proprie collaborazioni strutturate ma piuttosto di coppie che fanno parte dei movimenti e poi si impegnano nelle equipes parrocchiali.

 

Iniziative specifiche

Da quanto detto finora emerge chiaramente la necessità di un continuum nel cammino di formazione dei giovani prima e degli adulti poi.

Il cammino vocazionale

Uno dei campi fondamentali da riempire di proposte e contenuti è senz'altro quello dell'accompagnamento vocazionale dei giovani, soprattutto per quanto riguarda il matrimonio. Di qui l'urgenza di partire da lontano con una preparazione remota da attuarsi attraverso una sinergia tra la pastorale giovanile e la pastorale familiare.

Solo il 35% della diocesi (poco più di un terzo) ha attivato qualche collaborazione con la pastorale giovanile ma si tratta quasi sempre di iniziative sporadiche.

Nell'ambito della preparazione remota è forte la presenza dei movimenti che propongono percorsi particolari e dimostrano la cura e la creatività che si vogliono mettere a servizio dei giovani.

 

Le coppie conviventi

Ormai le coppie di fidanzati “tradizionali” sono già una minoranza nell'Italia del Nord e forse lo diventeranno anche nelle altre regioni a favore delle coppie già conviventi.

La possibilità di un accompagnamento specifico di queste coppie verso il matrimonio è ancora una realtà marginale. In quelle diocesi dove i conviventi costituiscono la grandissima maggioranza dei partecipanti agli incontri, questi sono strutturati in modo indifferenziato. Là dove si è provato a proporre cammini paralleli, ciò ha generato malcontento da parte delle coppie conviventi perché le facevano sentire diverse, mentre loro desideravano confrontarsi con le coppie non conviventi.

 

Il dopo matrimonio

Un altro aspetto importante è l'accompagnamento delle giovani coppie dopo il matrimonio. I tre quarti delle diocesi italiane hanno iniziative in questo senso anche se la realizzazione di queste attività è piuttosto problematica.

Spesso le coppie si trasferiscono in altre parrocchie, fanno fatica a conciliare i tempi di lavoro con quelli della famiglia, mettono al mondo figli e tutto questo li travolge, facendoli desistere dai buoni propositi espressi dalla fine del corso.

L'esistenza dei gruppi familiari è un'esperienza notevolmente diffusa nelle varie realtà parrocchiali ma quante coppie riescono a coinvolgere?

Un ultimo punto: poche comunità cristiana si lasciano davvero coinvolgere nell'esperienza della preparazione al matrimonio. Di solito ci si ferma all'esposizione di locandine o di avvisi sul bollettino parrocchiale con la data di inizio dei corsi. Qualche volta i fidanzati vengono presentati durante la messa e si prega per loro durante le invocazioni dei fedeli. C’è ancora molto da lavorare perché questo coinvolgimento sia davvero significativo.

 

Questioni aperte

Quali sono le strategie migliori per rendere la preparazione al matrimonio un fatto sempre più incisivo nella vita dei giovani?

Un primo aspetto riguarda la dimensione temporale: forse sarebbero opportuni percorsi maggiormente distesi nel tempo che lascino alla coppia tempi di riflessione e non siano a ridosso delle nozze.

Una seconda riflessione riguarda il contenuto dei cammini per fidanzati.

La tipologia prevalente di fidanzati, di solito da lungo tempo lontani dalla Chiesa e dalla pratica religiosa, determina la necessità di offrire loro, attraverso la preparazione al matrimonio, un vero e proprio percorso di re-iniziazione cristiana.

Allo stesso tempo è necessario dare maggiore attenzione alla maturità umana dei fidanzati, trattando anche aspetti psicologici e relazionali, così da far dialogare la dimensione antropologica con quella di fede.

Attualmente questi due aspetti sono sostanzialmente bilanciati all'interno dei corsi anche perché si è constatato che spesso i fidanzati sono condotti a confrontarsi sui temi della fede e del sacramento proprio a partire dal dato esperienziale umano.

Un ultimo punto riguarda l'aspetto metodologico. Dalla ricerca emerge la grande diffusione della forma assembleare, anche se a volte non si tratta di una scelta voluta ma bensì l'unica possibilità di fronte alle difficoltà, da parte dei conduttori, di gestire le dinamiche di gruppo.

 

Sul tema dell'accompagnamento dei fidanzati al matrimonio molto è stato fatto e molto resta da fare. Alcune mete sono state sicuramente raggiunte ma vanno considerate non come traguardi ma come punti fermi da cui partire per affrontare le nuove sfide pastorali.

Recita il Direttorio di Pastorale Familiare: “È indispensabile aiutare gli sposi e le famiglie cristiane a vivere secondo il ‘Vangelo del matrimonio e della famiglia’: è un compito che riguarda tutta la Chiesa e, in essa, tutti e singoli i fedeli secondo il loro posto e il loro ministero” (n.20).

* ricercatrice CISF

Sintesi della redazione

Tratto da: AA.VV., Insieme verso le nozze, Edizioni Cantagalli, Siena 2010

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Sui temi etici, quando se ne riesce a parlare durante un corso, siamo  preparati o li deleghiamo al sacerdote?

•          Per provare a mantenere le coppie legate alla parrocchia facciamo abbastanza?

•          C’è collegamento tra chi conduce i corsi per i fidanzati e chi conduce quelli per il battesimo?

 

17-INSIEME VERSO LE NOZZE 2

Le riflessioni della diocesi di Trento sui corsi di preparazione al matrimonio cristiano

 

a cura della Redazione

La commissione diocesana Famiglia dell’arcidiocesi di Trento ha condotto tempo fa un’indagine conoscitiva sui percorsi di preparazione al matrimonio cristiano nell’anno pastorale 2009 – 2010.

Sia questo documento sia l’articolo tratto dal documento CEI (p. 23-25) sono stati prodotti nello stesso periodo, ma questo fornisce più indicazioni pratiche.

 

Metodologie

La modalità più frequente di conduzione degli incontri è quella che prevede l’intervento del relatore (esperto esterno o sacerdote, più raramente coppie animatrici), seguito dal confronto in piccoli gruppi, molto apprezzati dai fidanzati.

Su questa base, piuttosto tradizionale, emergono però alcuni elementi significativi di novità, come dedicare il primo incontro (o gran parte di esso) alla presentazione dei partecipanti e alla condivisione delle aspettative.

Un’altra attenzione è  fare in modo che vi sia una certa continuità tra gli incontri; di solito le coppie animatrici si assumono questo incarico, ad esempio riprendendo ad inizio serata le idee importanti emerse nell’incontro precedente.

 

Tematiche

Il grado di apprezzamento non è tanto legato alla tematica in sé quanto al modo in cui viene affrontata ed esposta. Andando più nello specifico, viene segnalato che il tema della comunicazione e del dialogo in coppia è molto apprezzato.

Un tema che fa parlare tanto e volentieri è il rapporto con le famiglie di origine mentre un tema molto controverso risulta essere la regolazione naturale della fertilità: tanti hanno dei preconcetti e si mettono sulla difensiva.

Il tema della fedeltà incuriosisce, visto non solo come fedeltà fisica al coniuge, ma anche come fedeltà al progetto di coppia. L’indissolubilità, in presenza di difficoltà grosse come un tradimento, viene vista come una costrizione. Il perdono non è considerato un valore, ma come l’atteggiamento di chi non se la sente di affrontare la separazione e quindi si rassegna.

La tematica riguardante il Rito del Matrimonio è molto richiesta e talvolta viene affrontata anche con la modalità di una veglia, risultando un momento sorprendente e arricchente.

Riguardo alle tematiche di fede, sono state raccolte segnalazioni contrastanti: chi descrive un rinnovato interesse verso la parte biblica del corso, chi segnala che l’argomento della fede è affrontato con poca convinzione e interesse, se non addirittura contestato, poiché molti percepiscono la Chiesa come una matrigna che impartisce ordini per i suoi fini.

Anche altri segnalano che il discorso più difficile da fare è quello della comunità: i fidanzati non si sentono parte della comunità in quanto non vivono esperienze di comunità e perciò questo argomento suscita spesso delle contestazioni.

 

Maturazione nella fede

Dall’insieme dei focus group emerge una visione positiva e realistica: sicuramente i percorsi in preparazione al matrimonio aiutano i fidanzati a “riaprire il discorso sulla fede”, ma, mediamente, non riescono a “rilanciarla”...

Il messaggio che spesso passa dai fidanzati alle coppie animatrici è “questo va bene per te, io ti rispetto ma ho la mia idea”, posizione molto difficile da scalfire.

La priorità viene individuata nel passaggio dall’immagine di un Dio Creatore all’immagine di un Dio Padre, che è presente nella vita di ognuno e che per ognuno ha un progetto. Anche il loro incontro non è un fatto casuale: è questa un’idea che inizialmente destabilizza un po’ le coppie, ma poi le incoraggia.

Altra sfida è quella di ripresentare il Cristo non come un fatto privato, bensì come una persona che si può incontrare nella vita della comunità.

Un obiettivo ulteriore è far cogliere una Chiesa che si prende cura anche di loro. Questo passa più attraverso l’atteggiamento degli animatori che attraverso tanti discorsi e relazioni. In un focus group si è osservato che la presenza tra i partecipanti di coppie che stanno facendo l’esperienza della maternità/paternità agevola la comunicazione di questa immagine di Chiesa: il progetto per un figlio che arriva ti aiuta a comprendere che ci possa essere qualcuno che fa qualcosa per il bene di chi inizia un cammino.

 

Dopo il percorso

Talvolta emerge da parte dei fidanzati la richiesta di proseguire il cammino: a tale esigenza spesso non si riesce a dare una risposta o a causa di scarsità/assenza di coppie disponibili nella comunità o per la provenienza delle coppie “da paesi lontani e diversi”.

In alcuni casi si sono organizzati ulteriori incontri, ma questi, pur richiesti, hanno avuto scarsa partecipazione.

In altri casi si constata l’assenza di gruppi famiglie o di gruppi per famiglie giovani: così quanto si è seminato durante il corso per fidanzati non viene coltivato e muore.

Ma è possibile pensare a qualcosa oltre i corsi, nella prospettiva di una più ampia pastorale del fidanzamento, intesa come cura dei giovani che attraversano questa stagione importante della loro vita? C’è chi lancia, seppur timidamente, qualche idea…

Possono essere letti in tal senso sia il richiamo a far conoscere il fine settimana di spiritualità per fidanzati che la diocesi organizza ormai da alcuni anni, sia la proposta di una “Festa diocesana dei fidanzati”.

Fonte: diocesitn.it/area-annuncio

Sintesi della Redazione

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Quanto la vostra esperienza coincide con quella descritta?

•          C’è un collegamento operativo tra il gruppo famiglia parrocchiale e la pastorale per i fidanzati?

•          Nell’articolo emergono alcuni temi “critici”: sono temi che affrontiamo all’interno del nostro gruppo famiglia?

 

18-LA FAMIGLIA POSSIBILE DEL GIOVANE D'OGGI

L’esperienza di una coppia che da molti anni accompagna i giovani verso il matrimonio cristiano

 

a cura della Redazione

Dopo i due incontri su La famiglia possibile del giovane d'oggi (2021 e 2022) tenuti dal professor Guido Lazzarini, nel gennaio di quest’anno ne abbiamo tenuto un terzo di carattere più esperienziale.

Sono infatti stati nostri ospiti Sandra e Andrea Bacchetta, una coppia con una lunga esperienza di corsi prematrimoniali in una parrocchia di Torino e di conduzione dei WE per fidanzati dell'associazione Incontro Matrimoniale.

Con loro avevamo concordato alcune domande che riportiamo di seguito, insieme alla sintesi delle loro risposte.

 

Come sono cambiate in 35 anni di esperienza le coppie degli incontri prematrimoniali in parrocchia?

Il corso di preparazione al matrimonio in parrocchia era una sorta di pedaggio da pagare, così sovente o veniva solo lei o veniva solo lui.

Uno degli aneddoti che ricordiamo suona così: “se non ci sposiamo in chiesa la nonna non ci regala la batteria delle pentole”.

Chi veniva ai week-end di Incontro Matrimoniale era più motivato, accettava di investire un fine settimana intero per affrontare questi temi; da notare che molti parroci non riconoscevano la nostra proposta come corso prematrimoniale.

Oggi, con il diffondersi delle convivenze, non è più così. Al contrario il week-end, con le tipologie di occupazioni che hanno i giovani oggi, consente alle coppie di stare insieme per 48 ore di seguito.

 

Quanto pesa il parroco nell’impostazione degli incontri?

Nella nostra esperienza parrocchiale il sacerdote conta molto. Si sono succeduti nel tempo quattro parroci, molto diversi tra loro ma tutti con un notevole carisma. Così noi improvvisiamo, occupando di volta in volta gli spazi che ci vengono lasciati.

In Incontro Matrimoniale le cose vanno diversamente. In ogni week-end è presente un sacerdote ma parla la stessa lingua delle coppie guida.

Abbiamo invitato i vari parroci a partecipare ad un nostro week-end, ma purtroppo nessuno di loro ha accettato.

 

Qual è il peso della fede nelle coppie?

Questa è una domandona. Per alcuni è senz’altro l'occasione di rimettersi in cammino: lui era scout, lei era animatrice ma mettendosi insieme si sono smarriti, in certi casi non sono neanche più andati a messa. Oppure si incontrano persone di altre fedi con spiritualità eccezionali.

Oggi ai corsi non partecipano più giovani di vent’anni ma adulti che si avvicinano ai quaranta, persone molto più consapevoli della scelta che fanno, che vivono tra gente che chiede loro: ma chi te lo fa fare?

Un nostro parroco era famoso perché ad ogni incontro ricordava alle coppie che quello che facevano era un piccolo passo in un cammino che toccava loro  renderlo duraturo, nutrirlo ogni giorno.

Da parte nostra non disponiamo di un termometro per misurare la fede e quindi sospendiamo il giudizio.

 

Che differenza avete riscontrato tra le coppie della parrocchia e quelle dei WE?

Oggi quasi tutte le coppie sono conviventi, quindi non c’è più quella differenza che constatavamo qualche anno fa. Comunque tra i corsi in parrocchie e i week-end c’è una differenza. Un conto è passare un fine settimana in un altro ambiente, un altro incontrasi alle nove di sera in parrocchia con una giornata di lavoro alle spalle; a volte vediamo  che faticano a tenere gli occhi aperti.

Può aiutare far seguire all’incontro un momento conviviale: è più facile raccontansi davanti a una fetta di torta!

 

C’è continuità di partecipazione alla vita della comunità dopo il rito?

Per quanto riguarda la parrocchia non sapremmo rispondere. La zona in cui abitiamo è vicina alla stazione centrale di Torino ed è una zona di passaggio, anche abitativo.

Per quanto riguarda Incontro Matrimoniale al week-end partecipano in media  20 coppie. Dopo un mese vengono tutte invitate ad un nuovo incontro al sabato pomeriggio condotto dallo stesso team del week-end. La partecipazione media è del 50%.

In quell'occasione viene fatta la proposta del percorso post week-end, un incontro al mese per 8 mesi.

In questo secondo caso la partecipazione scende al 25%. Dopo questo periodo di cammino chiediamo loro se vogliono continuare a partecipare alle attività dalla comunità di Incontro Matrimoniale. Qualcuno resta, ma siamo intorno al 10% di quanti avevano frequentato il week-end.

 

A livello della vostra esperienza di famiglia, come le nuove generazioni affrontano la vita a due (matrimonio, convivenza, fede)?

Abbiamo notato quanto pesa, in termini negativi, la separazione dei genitori, soprattutto quando sono conflittuali. Sono esperienze che fanno a pugni con l'idea del “per sempre”.

Avere genitori separati rende più difficile anche l’idea di sposarsi in Chiesa.

In generale, i figli dei separati affrontano con maggiori preoccupazioni e paure l’esperienza della vita a due.

Un’altra novità rispetto al passato che ci disturba è la moda del wedding planner. Non si può più organizzare un matrimonio se non si assume un pianificatore della cerimonia e di tutto ciò che la circonda. Come se ciò che conta davvero fosse il giorno del matrimonio e non la vita matrimoniale.

 

Avete proposte da suggerire per la trasmissione della fede?

Non siamo i maggiori titolati a dare consigli su questo tema, considerando che nostro figlio convive, ha due figli e non li ha battezzati.

Nella nostra parrocchia, gestita dai salesiani, abbiamo un oratorio che funziona molto bene e assistiamo ad un fenomeno in crescita esponenziale: il battesimo di bambini che frequentano  l’oratorio, conoscono il catechismo, e si battezzano in età da sacramenti, quindi dagli 8 fino ai 12-13 anni e poi ricevono insieme comunione e cresima.

 

Per ascoltare l’audio dell’intero incontro: www.gruppifamiglia.it/anno2023/Incontro-26-1-23-20(mp3cut.net).m4a

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Avete mai fatto esperienza di movimenti? Provate ad elencarne pregi e difetti rispetto a quanto vivete in parrocchia.

•          Quanto conta, per la trasmissione della fede, avere in parrocchia un oratorio che funziona?

•          Conoscete coppie in cui uno dei due ha avuto genitori separati? Quanto pesa questa esperienza?

 

19-GLI ITINERARI CATECUMENALI PER LA VITA MATRIMONIALE 2

Una breve presentazione del nuovo documento

 

di Emanuele Tupputi*

Chi contrae il matrimonio oggi, è realmente preparato a questo? Questa domanda non è nuova ma è molto attuale.

La precarietà dell’istituzione matrimoniale è diventata quasi come la “nuova normalità” anche tra i fedeli cristiani. Inoltre, in un mondo sempre più in divenire il cui paradigma è quello della liquidità, anche dei legami, il matrimonio appare l’ultimo baluardo da abbattere per eliminare ogni ricordo di una società tradizionale che per alcuni non ha più senso di esistere.

 

Un bene da custodire

Ma il matrimonio rimane per i cristiani un bene prezioso da custodire. Ecco perché la Chiesa da sempre punta sulla preparazione degli sposi, come conferma il recente documento preparato dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, dal titolo Itinerari catecumenali per la vita matrimoniale. Orientamenti pastorali per le Chiese particolari.

Rinnovare la preparazione al matrimonio delle prossime generazioni, considerando le nozze non un punto di arrivo, ma una tappa lungo un percorso, sono gli obiettivi di questo documento presentato nel giugno dello scorso anno.

Gli itinerari proposti – lungi dal voler essere statici, rigidi e calendarizzati – si ispirano agli itinerari battesimali e sono articolati in differenti tappe e modalità: quella della preparazione remota, che abbraccia la pastorale dell’infanzia e quella giovanile, una fase intermedia di accoglienza e la fase catecumenale vera e propria, che a sua volta prevede tre distinte tappe che vediamo in dettaglio più avanti.

Papa Francesco, nella premessa al documento, scrive: “come per il Battesimo degli adulti il catecumenato è parte del processo sacramentale, così anche la preparazione al matrimonio diventi parte integrante di tutta la procedura sacramentale del matrimonio, come antidoto che impedisca il moltiplicarsi di celebrazioni matrimoniali nulle o inconsistenti”. E continua: “Ma c’è anche un sentimento di giustizia che dovrebbe animarci… Questo mi viene in mente tante volte quando penso che la Chiesa dedica molto tempo, alcuni anni, alla preparazione dei candidati al sacerdozio o alla vita religiosa, ma dedica poco tempo, solo alcune settimane, a coloro che si preparano al matrimonio. Come i sacerdoti e i consacrati, anche i coniugi sono figli della madre Chiesa e una così grande differenza di trattamento non è giusta”.

 

Il catecumenato matrimoniale

Credo che l’intento ecclesiale che papa Francesco desidera perseguire con il catecumenato matrimoniale sia triplice: 1. restituire agli sposi la consapevolezza della loro dignità e riqualificarne il ruolo nella Chiesa; 2. prevenire i fallimenti matrimoniali e i casi di nullità future; 3. salvare la famiglia cristiana, in senso stretto: la salvezza delle anime è il fine ultimo dell’agire della Chiesa.

Non si può nascondere che un percorso catecumenale per il matrimonio possa spaventare in quanto richiede tempo, pazienza, creatività e preparazione da parte di tutti (operatori pastorali e fedeli), ma appare anche auspicabile nella situazione storica attuale per rinforzare la preparazione al sacramento del matrimonio e essere all’altezza nell’affrontare le sfide sulla visione del matrimonio, che mettono in gioco la realizzazione e la felicità di tanti fedeli nel mondo. Il catecumenato matrimoniale, nel suo specifico, non deve intendersi come una mera catechesi, né trasmettere delle teorie ma deve mirare a far risuonare tra i fidanzati il mistero della grazia che vivranno e che riceveranno in virtù del sacramento.

Tuttavia, il catecumenato matrimoniale non andrà considerato come una “formula magica” che funzionerà automaticamente, ma come un “vestito che andrà cucito su misura” per le persone che lo indosseranno.

Si tratterà, in un verso, di investire molto sulla formazione degli operatori pastorali, dei seminaristi e dei sacerdoti, e dall’altro elaborare una proposta creativa e concreta di catecumenato matrimoniale (che ogni Chiesa locale dovrà prendere in considerazione) come itinerario indispensabile dei giovani e delle coppie, destinato a far rivivere la loro coscienza cristiana, sostenuta dalla grazia sacramentale. Favorire, insomma, un discernimento completo, a livello personale e di coppia, sulla propria vocazione nuziale.

 

Un’opportunità per la chiesa

Alla luce di quanto appena detto, si rende veramente necessario un serio ripensamento del modo in cui la Chiesa accompagna la crescita umana e spirituale delle persone proponendo un catecumenato per i futuri nubendi a tappe che li aiuti - tenendo in debito conto i limiti e le possibilità dei contesti geografici, culturali e pastorali di ogni diocesi - a percorrere una strada che li conduca a fare un autentico discernimento della propria vocazione nuziale, sia a livello personale che di coppia.

Questo nuovo documento appare come un’opportunità per la Chiesa per fermarsi, per crescere, rinnovare e rinvigorire quello che già esiste e abbiamo. Sicuramente con questi orientamenti abbiamo la possibilità di rimetterci in cammino con tanta voglia, con tanta energia e perché no, anche con tanta fantasia, perché questi orientamenti ci chiedono anche di trasformare un po’ quello che già esiste e farlo diventare un cammino vero, un cammino profondo.

 

Le tappe del catecumenato

In vista di una preparazione al matrimonio la fase propriamente catecumenale si deve svolgere in tappe particolari al fine di condurre i futuri sposi a una progressiva riscoperta della fede e della bellezza del sacramento del matrimonio attraverso l’annuncio della Parola di Dio e l’invito all’adesione e alla sequela generosa di Cristo.

Le tappe saranno sostanzialmente tre: la preparazione prossima, la preparazione immediata e l’accompagnamento dei primi anni di vita matrimoniale.

1° tappa: preparazione prossima (circa un anno), finalizzata al discernimento umano e spirituale, che prevede un tempo di accoglienza e discernimento partendo dalla Parola di Dio e proseguendo con momenti di testimonianza sul matrimonio, di preghiera e un ritiro. Questo è il tempo in cui i futuri sposi si chiedono come possono vivere la loro esperienza amorosa, l’esperienza del fidanzamento, della vita di coppia, della famiglia da discepoli di Cristo.

2° tappa: preparazione immediata (alcuni mesi) che aiuterà a creare il gruppo e compiere un primo aggancio con le altre coppie. In questa tappa si avrà cura di annunciare il Vangelo del matrimonio e della famiglia. Allo stesso tempo, si potranno richiamare gli aspetti dottrinali, morali e spirituali del matrimonio. In questa tappa si cominciano a sperimentare momenti di preghiera con la comunità.

In prossimità delle nozze, sarà importante dedicare congruo spazio alla preparazione liturgica delle coppie. Può essere di grande utilità (ove possibile) un ritiro spirituale di uno/due giorni, così come ricorrere al sacramento della riconciliazione.

3° tappa: l’accompagnamento dei primi anni di vita matrimoniale (2-3 anni) che consisterà in un prosieguo dell’itinerario catecumenale con incontri mensili e altri momenti di formazione permanente, fatti di riflessione, dialogo e aiuto da parte della Chiesa.

Questa tappa costituisce il tempo opportuno per svolgere una vera e propria mistagogia matrimoniale, così come il tempo opportuno per affrontare i vari aspetti della vita coniugale e familiare.

Si tratta, insomma, di una fase di “apprendistato” durante la quale saranno di grande aiuto la vicinanza e i suggerimenti concreti di coppie di sposi già mature, che condividano con quelle più giovani ciò che hanno appreso “lungo il cammino”.

A corollario di questa proposta un ruolo significativo spetterà a tutta la comunità ecclesiale, in un cammino condiviso tra sacerdoti, sposi cristiani, religiosi e operatori pastorale, che dovranno collaborare tra loro in accordo con il proprio vescovo.

In conclusione, l’auspicio migliore che possiamo augurarci e che i futuri sposi, con l’aiuto della comunità cristiana, siano sempre capaci di mettersi in discussione, di mettersi in cammino. Che non pensino mai che il matrimonio sia la meta, ma come la partenza di un viaggio che li fa una cosa sola e che, come una cosa sola, li fa camminare, li fa percorrere – insieme al Signore – le vie del loro amore, della loro famiglia e della loro vita.

Le coppie possano veramente diventare quell’icona d’amore che chiede ogni giorno di mettersi in gioco ed essere lievito nel mondo di oggi per annunciare con gioia il Vangelo della famiglia.

* Vicario Giudiziale del Tribunale Ecclesiastico di Trani

Fonte: odysseo.it

Sintesi della Redazione

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          La proposta formulata nel documento del Dicastero è pura utopia o rappresenta un obiettivo che, per quanto difficile da raggiungere, è desiderabile perseguire?

•          Nella vostra parrocchia questo cammino è tutto da costruire o vi è già qualche punto di appoggio? Una riflessione di questo tipo sarebbe tipicamente sinodale!

 

20-LIBRI RICEVUTI

Luca Tosoni, La sapienza del due, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2023

 

L’autore, da lunghi anni impegnato nella pastorale familiare, ci propone un suo nuovo libro sulla relazione di coppia.

L’autore arricchisce il testo con spunti letterari, sia biblici sia mondani, e ciò rende più coinvolgente la sua proposta. Si parte dall’inizio della relazione, dagli elementi su cui si deve fondare: l’accoglienza, la pazienza, la cura, il perdono, la tenerezza per passare a quello che è il cuore della relazione: la fecondità, che è accoglienza dei figli, l’essere genitori, ma anche l’apertura al prossimo.

Come va intesa per la coppia cristiana l’accoglienza?

Il primo punto che indica l'autore è la capacità di contemplazione, comprendere quale disegno Dio ha su di noi e quale progetto intende realizzare per mezzo nostro; il secondo riguarda il valore del “per sempre”, la capacità di donarci senza riserve “nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia”; il terzo consiste nella completa disponibilità a realizzare il progetto di Dio a favore della vita in ogni sua forma e dimensione.

Anche se la mentalità corrente propone ben altro, il viaggio della coppia “richiede la fatica del conoscersi, del crescere, del ricominciare e del rinnovarsi continuamente”, richieda la disponibilità a rendersi “vulnerabili, cessando di difendersi” dall’altro.

Questo non vuol dire annullare le differenze, perché è necessario mantenere sempre nella coppia “dei margini di diversità” per garantire la possibilità di confronto e di rinnovamento.

 

Un aspetto fondamentale del’accoglienza è proprio la genitorialità.

Come devono essere i genitori? Generanti. Pro-creare, sottolinea l’autore, “indica un movimento in avanti, un gettarsi avanti nel tempo, osare un attimo di fede e di speranza”.

E generare “non è solo mettere al mondo , ma farsi compagni di viaggio, sostenitori dei figli”.

Si tratta di una sfida che, facendo riferimento alla metafora del parto, si presenta come un eterno cammino, “un continuo travaglio, dove c’è la sofferenza della spinta ma la gioia del vederne finalmente il frutto”.

E questa consapevolezza va trasmessa ai figli, indicando loro i valori importanti della vita.

Giustamente cerchiamo il meglio per i nostri figli, cerchiamo di dar loro la miglior formazione culturale ed accademica ma non mettiamo lo stesso impegno sul versante religioso.

Scrive Tosoni: “c’è una sorta di pudore, manca l’abitudine; si delega questo aspetto alla Chiesa”; la preghiera in famiglia “sembra qualcosa di artificiale e di forzato”.

Infine, accoglienza è disponibilità a servire, imparare a “mettere in gioco la propria esistenza personale e coniugale per gli altri”.

In conclusione, si tratta di un testo di “facile” lettura, ma allo stesso tempo ricco di spunti per la riflessione di coppia e per il lavoro all’interno dei gruppi famiglia.

Franco Rosada

 

21-CI PRECEDE IN CIELO

Giuseppe Goisis

Il giorno 12 aprile nella Basilica dei Frari a Venezia si è svolta la cerimonia funebre del professor Giuseppe Goisis.

Nell’occasione sono state riportate delle testimonianze significative che hanno messo in rilievo aspetti importanti della sua personalità e delle convinzioni profonde che hanno orientato la sua vita di studioso e di insegnante.

Ma in queste poche righe vorrei sottolineare invece qualche parere personale che ho raccolto sulla sua figura, ossia su ciò che colpiva della sua personalità negli incontri che abbiamo avuto con lui come Gruppi Famiglia.

“Cosa mi resta di Goisis? L’immagine di una persona ricca di sapere, a volte difficile da seguire per chi, come me, soffre di lacune culturali. Ma, allo stesso tempo, una persona estremamente cortese e disponibile il cui fine ultimo era sempre trovare la bellezza di Dio e del suo operato.“ (Ela Ar).

“Con la sua umiltà sapeva mettere tutti a proprio agio, preoccupato che tutti ricevessero un messaggio valido per la propria vita. Riteneva che la cultura non può avere nessun valore se non tiene conto della dignità della persona.” (Va Zo).

“Non riesco a vedere la figura sicuramente significativa di Pino senza l’ombra operativa, alle sue spalle, della moglie Monica. Erano davvero una bella coppia!” (Se Nu).

“ Vi abbiamo incontrati 20 anni fa e da allora abbiamo goduto dell’amicizia e della gioia delle parole e dei pensieri condivisi in tante occasioni. Parole e pensieri che sono il riflesso di ciò che voi vivete e che aprono mente e cuore. Questo siete stati per noi! (Rd An).

Toni Piccin

 

22-PER CONCLUDERE

[Gesù] disse: «Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, poiché vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio». E preso un calice, rese grazie e disse: «Prendetelo e distribuitelo tra voi, poiché vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio».

Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi».( Lc 22,15-20)