Foglio di collegamento tra Gruppi Famiglia

GF116 – marzo 2024

LA PREGHIERA

 

Lettere alla rivista

1-L’ “INUTILITÀ” DELLA PREGHIERA

La volontà di Dio è la cosa migliore che ci possa capitare

Prego, chiedo, ma non cambia nulla. Cosa serve la preghiera se Dio non mi ascolta?

Roberto

A pregare non si sbaglia mai. Qualunque preghiera, in qualunque modo sia formulata è sempre una buona cosa.

Qui lei mette in dubbio se Dio ascolta la sua preghiera. Dio non può non ascoltare, è Padre buono e misericordioso, le preghiere le ascolta tutte.

Ma c’è subito da chiarire se Dio fa quello che gli chiediamo o non se ne interessa. A Dio certamente interessa il nostro bene, ma qual è veramente il nostro bene?

Gesù, dopo aver insistito di bussare, che ci verrà aperto…. conclude: “Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!” (Lc 11,13).

La risposta di Dio alla nostra preghiera è lo Spirito Santo che ci fa discernere quello che è bene per noi e per gli altri.

L’unica preghiera che Gesù ci ha insegnato è il Padre Nostro.

Lo invochiamo come “Padre” aggiungendo “nostro”. Quando prego non prego solo per me ma per tutti “noi” suoi figli, che sono tutti gli uomini, donne, bambini, anziani, ammalati e in buona salute: tutti, nessuno escluso dei circa 7 miliardi di persone che ci sono sulla faccia della Terra. Per cui diventa implicito che quello che chiedo non è solo per il mio bene ma per il bene di tutti. Indubbiamente posso pregare per me o per una persona specifica, ma sempre tenendo presente che Dio è Padre di tutti noi.

Quando specifico “che sei nei cieli” uso un termine caro alla cultura del tempo di Gesù, Dio è al di là di ogni umana comprensione, Non devo meravigliarmi se il suo agire (usando sempre termini antropomorfici) è diverso da quanto io possa immaginare.

Ma la domanda specifica del Padre Nostro è “sia fatta la tua volontà”. Questo mi sprona a credere che la volontà di Dio è la cosa migliore che mi possa capitare, anche se non è esattamente il mio umano immediato desiderio. Allo stesso tempo, ci fa bene esprimere i nostri desideri e le nostre difficoltà. E non direi che non cambia niente. Anzi più prego, più mi metto in sintonia con Dio. Questo mi aiuta ad allargare l’orizzonte della mia preghiera e chiedere che la volontà di Dio sia fatta.

Magari non cambia ciò che avevo in mente originariamente, ma cambia la mia prospettiva. Quindi, meglio continuare a pregare, qualcosa succede sempre dopo la nostra preghiera.

p. Vincenzo Salemi, IMC

 

Dialogo tra famiglie

2-LA PREGHIERA PERSONALE

È un segreto tra la persona e il suo Salvatore

Sento la preghiera come qualcosa di privato, tra me e Dio. Posso condividere con mio marito le orazioni, ma non la preghiera. Sbaglio?

Laura

Cara Laura, condivido pienamente il tuo modo di sentire!

La preghiera liturgica, compresa la recita dei Salmi, la Lectio, il Rosario, ecc. sono momenti comunitari in famiglia come in chiesa, ma altro è “dire” preghiere, altro è pregare!

La preghiera personale, come ben sai, è il tu per tu col Signore nei momenti di silenzio/contemplazione e/o nell’adorazione ed è una realtà non condivisibile.

Secondo me, al massimo, si può raccontare di vivere queste realtà, di provarne a volte consolazione, a volte desolazione (quando ti percepisci arido come un ramo secco e resti comunque lì, fedele ai tuoi tempi di preghiera) ma il contenuto resta un segreto tra la persona e il suo Salvatore: è un giardino segreto in cui nessuno può pretendere di entrare.

Quando una persona sente il bisogno di confidare qualcosa che avviene nel suo spirito sa che esistono persone che hanno il carisma del discernimento per vocazione e ministero.

Il nostro coniuge non è né il nostro confessore né il nostro padre spirituale (ammesso che qualcuno si ricordi ancora l’esistenza di queste figure!)  è un compagno di viaggio con cui sostenersi a vicenda in modo attento e discreto nella vita spirituale come nel quotidiano.

 Credo che i grandi mistici: S. Teresa d’Avila e S. Giovanni della Croce, ad esempio, abbiano molto da insegnarci.

Anna Lazzarini

 

Editoriale

3-PREGARE O PERIRE

Da venti secoli siamo cristiani ma non abbiamo mai imparato a pregare. Le conseguenze si vedono!

 

di Henri Caffarel*

Noi cristiani dovremmo avere l'intelligenza di pensare e il coraggio di dire: il dramma del nostro pianeta, che ogni giorno diventa più terrificante, ha come causa la dimenticanza da parte degli uomini del comandamento fondamentale: “Adorerai il Signore tuo Dio e non adorerai che lui solo”.

Dirlo, sì, ma non è sufficiente; bisogna imparare a pregare con la massima urgenza e insegnare agli uomini a farlo. È urgente perché, io ne sono convinto, il nostro mondo è giunto all'alternativa tragica: o pregare o perire in una catastrofe apocalittica.

Non vedete in ciò un’amplificazione retorica, e neppure un ragionamento da pessimista.

 

Analizziamo sommariamente la situazione dell’umanità che, per semplificare, io dividerei in paesi ricchi e paesi poveri.

I paesi ricchi puntano su una crescita indefinita della produzione e, di conseguenza, su una crescita correlativa dei consumi. Ma la produzione suppone risorse naturali perciò i paesi ricchi hanno intrapreso lo sfruttamento del pianeta, meglio il saccheggio del pianeta. Dal canto loro i paesi poveri sono diventati coscienti che le loro ricchezze naturali hanno consentito ai paesi ricchi una straordinaria crescita del loro livello di vita, mentre essi sono rimasti, sovente, in un’estrema miseria.

Si vede così profilarsi all’orizzonte il grande scontro tra due parti dell’umanità.

Bisogna far di tutto per scongiurarlo.

I cristiani, la Chiesa, detengono, con il Vangelo, il segreto della conversione non soltanto degli individui, ma anche delle società.

Ma occorrerebbe che i cristiani avessero il coraggio di allineare la loro vita sul Vangelo e di condurre la società ad abbandonare la sua mondana scala di valori per adottare quella delle Beatitudini.

Purtroppo, nel corso dei secoli, i cristiani in gran numero si sono lasciati andare alla corsa frenetica dei consumi, si sono accontentati di un’adesione intellettuale all’insegnamento di Cristo. Se lo avessero vissuto, avrebbero contribuito ad imprimere un orientamento totalmente diverso alla società e alla civiltà.

Essi sono scivolati dalla mistica alla morale, dalla morale alla disciplina. La legge ha rimpiazzato la fede, la lettera ha ucciso lo spirito.

 

Se troppi cristiani non hanno vissuto il Vangelo, al quale tuttavia credevano, il fatto è che non possono viverlo veramente se non coloro che pregano. La sola certezza che esiste una felicità assoluta dopo la vita, la convinzione solo intellettuale che Cristo dice la verità non ha mai fatto cambiare una vita umana, per la buona ragione che i beni terreni sono troppo accattivanti.

Certo abbiamo l'esempio dei nostri grandi santi. Ma che cosa constatiamo, leggendo la loro vita? Non è l'adesione della mente a un insegnamento che ha deciso la loro conversione. È la preghiera, l'esperienza di Dio fatta nella preghiera. È il fascino di Dio che li ha condotti a rinunciare all'attrattiva delle ricchezze terrene.

Io sono convinto che se, da venti secoli, l'immenso sforzo di predicazione, di insegnamento, di catechesi fosse stato accompagnato da un non meno imponente sforzo di iniziazione alla preghiera interiore, la faccia di questo mondo sarebbe completamente diversa. In effetti, tanti fanciulli hanno seguito il catechismo, ma non hanno mai imparato a pregare.

Tante ragazze e ragazzi, dopo otto o dieci anni di soggiorno in un collegio cattolico, ignorano tutto della preghiera; e, se essi provano il bisogno di interiorità, è ai maestri buddisti o induisti che ricorrono.

Conosco pure dei giovani, i quali hanno lasciato tutto per servire Cristo, che ignorano, dopo quattro anni di teologia, i rudimenti stessi della scienza e dell'arte della preghiera interiore. Si è dispensato un insegnamento, non si è insegnato a vivere questo insegnamento.

È possibile, ne sono sicuro, distogliere gli uomini dall’attrattiva delle ricchezze che mette il nostro mondo sull'orlo della catastrofe; ma il mezzo, e l'unico, è di condurre il cuore degli uomini a lasciarsi affascinare da Dio nella preghiera.

O pregare o perire: io temo fortemente che non vi sia altra alternativa.

 

* fondatore delle Equipes Notre-Dame

Fonte: La preghiera Interiore, editrice Àncora, Milano 1988

 

Il livello base della preghiera

4-COME PREGARE

La preghiera personale

 

Le preghiere del mattino e della sera non sono qualcosa di antiquato ma hanno la funzione di ricordaci che il tempo è un dono di Dio e a Lui dobbiamo sempre rendere grazie.

La recita del rosario non è solo una pratica per pie vecchiette ma un modo semplice per accompagnare, durante la giornata, le nostre occupazioni meno impegnative.

Una forma di preghiera minuta è costituita dalle giaculatorie, rapidi slanci del cuore verso Dio, per offrire, accettare, valutare ciò che ci accade durante la giornata.

Anche la carità è una forma di preghiera, non solo come elemosina, ma come attenzione verso gli altri, praticando pazienza e misericordia.

 

di Anastasio Ballestrero*

La preghiera personale assume tutte le vicende umane e le porta di fronte al Signore per chiedere perdono, invocare grazia, ricevere misericordia o aiuto. La creatura, mentre chiede, si pone di fronte a Dio.

Ecco perché la preghiera di domanda, tra le tante forme di preghiera personale, è la più diffusa, anche se non mancano voci sapienti pronte a obiettare come, in questo modo, Dio venga declassato al rango di tappabuchi.

 

Un Dio ‘tappabuchi’?

Dio non ‘tappa’ nessun buco. Egli è il Signore che ha creato tutte le cose e continua a regalarle agli uomini.

È Creatore, Redentore e Signore: in ragione di quanto quest'identità di Dio e del suo Figlio viene recepita, la nostra preghiera diventa audace, fiduciosa e perseverante. Le singole creature esprimono queste caratteristiche della preghiera personale in libertà e spontaneità. A contare non sono le parole ma i sentimenti che esse esprimono: le cose che portiamo al Signore e lo spirito cui le offriamo.

La preghiera personale ci accompagna nel reticolo della vita quotidiana: quando, per esempio, offro a Dio quello che faccio; se riesco a farlo con continuità, il mio clima interiore cambia, la serenità aumenta, la pazienza diventa più salda.

La preghiera personale ha un grande valore: essa costituisce il gesto individuale con il quale ciascuno si mette di fronte a Dio per chiedere ciò di cui ha bisogno, per offrire tutto quello che fa, per accettare tutto quello che gli accade.

La preghiera personale avrà dunque espressioni molto varie: esiste una gamma per realizzare l'offerta e culto del Signore che obbedisce alle singole vocazioni.

Dobbiamo accettare che la preghiera personale sia personale. La mia preghiera non è quella di un altro: quando prego sono io che prego. Con il Signore devo essere sincero e schietto.

Il mettermi di fronte a Dio con questo atteggiamento di sincerità rivela anche a me le mie incongruenze e debolezze, le responsabilità e le carenze di fedeltà.

 

Le orazioni quotidiane

Tra le varie forme di preghiera personale, a costo di apparire arcaico ed antiquato, voglio citare al primo posto le preghiere del mattino e della sera del buon cristiano. Mi pare sia del tutto coerente con la mia fede che offra al Signore le mie giornate, perché Lui le prenda, mi purifichi e mi perdoni.

Do importanza alle preghiere del mattino e della sera. Non dovranno essere lunghe, non saranno quelle che recitava mia nonna, anche se il rispetto di una certa tradizione delle preghiere quotidiane del buon cristiano merita attenzione e considerazione: la sapienza nel pregare non è cosa facile.

Faccio solo un esempio: l'atto di dolore. Ne circolano parecchi, elaborati, ricchi di teologia, ma il bambino non li capisce. Mentre tutti comprendono una preghiera come: “O Gesù d'amore acceso, non ti avessi mai offeso. O mio caro e buon Gesù, non ti voglio offender più”.

La preghiera del mattino e della sera mi pare meriti un'attenzione particolare e sarebbe interessante se fosse oggetto di una ricerca seria da parte di teologi e catecheti, per verificare come questa forma di preghiera abbia preso cittadinanza nella Chiesa e come la stia anche perdendo.

Le preghiere del mattino e della sera restano un esercizio raccomandabile, che ha la funzione di ricordare a noi stessi che il tempo è dono di Dio e del tempo dobbiamo fare omaggio al Signore: alla mattina per propiziare la sua grazia e la sua provvidenza sulla nostra giornata, alla sera per ringraziarlo dei benefici ricevuti.

Sono gesti importanti, perché oggi la civiltà e la cultura estremamente secolarizzate ci fanno sentire padroni dell'universo. Crediamo di non dover niente a nessuno e di essere i costruttori del nostro domani.

La preghiera del mattino e della sera ha anche questa funzione: mantenere vivo in noi il senso della creaturalità. Si tratta di un senso di verità radicale, cui non ci dobbiamo mai sottrarre.

Esprime anche un senso di appartenenza di cui dobbiamo valorizzare la forza della serenità, della sicurezza e della pace che viene posta in noi.

Siamo creature di Dio, frutto del suo amore, continuamente vigilate dalla sua provvidenza e condotte per itinerari misteriosi che solo il Signore conosce, ma che sono a nostro vantaggio, oltre che a vantaggio della gloria di Dio.

Mi pare fondamentale mantenere questo senso di essere creature di un Dio vivo.

Nella preghiera del mattino, trovo importante l'offerta delle cose che facciamo: “Signore, accetto tutto ciò che oggi mi mandi, e ti offro tutto ciò che sarò capace di fare”. Questi atteggiamenti oblativi della preghiera sono preziosi e riescono a mantenere un clima di fiducia e serenità durante tutta la giornata.

L'offerta del lavoro, delle occupazioni, il senso della responsabilità della vita, devono essere provocati da questa preghiera che apre e chiude i nostri giorni. Non viviamo a capriccio: la nostra vita è nelle mani di Dio, ma anche nelle nostre. Proprio con questa convinzione, occorre che noi offriamo la nostra vita.

Una madre di famiglia è continuamente provocata dal suo ministero di amore e maternità a offrire ciò che fa per i figli. Un professore universitario è meno facilitato, perché a volte le fermentazioni dello spirito luciferino gli possono far perdere il senso di Dio e bisogna che lo ritrovi. L'operaio, logorato dalla fatica, ha bisogno anche lui di essere soavizzato dal pregare: non è uno schiavo, anche se a volte le asprezze del lavoro lo possono inaridire; è un figlio di Dio, ha libertà e dignità, ed i momenti di preghiera possono diventare preziosi anche per lui.

 

Altre forme di preghiera

Accosterei alle orazioni quotidiane le preghiere che un tempo avevano un certo significato. Per esempio, la preghiera alla mensa: una volta, nella famiglia, ci si sedeva a tavola almeno dopo un segno di croce.

L'offerta delle azioni è particolarmente preziosa: non serve molto, basta qualche parolina tipo” Per te” o “Lo vuoi tu lo voglio io” o “Sia fatta la tua volontà”. Questo aiuta la rettitudine di intenzione, favorisce un atteggiamento di sacralità, ravviva e libera da quella grigia routine per cui facciamo un sacco di cose, ma non sappiamo perché le facciamo.

Un'altra forma di preghiera è quella indicata come esercizio della presenza di Dio. Essa consiste nel mettersi alla presenza di Dio nel fare le cose.

Siamo sempre alla presenza di Dio, nell'arco della giornata. Lui non ci perde mai di vista, ma tante volte viviamo senza ricordarcene senza tenerne conto e senza lasciarci pervadere da quel rispetto che la presenza di Dio impone.

La storia della spiritualità cristiana raccoglie una serie di modi di presenza di Dio, che un tempo erano pure oggetto d'insegnamento. Li abbiamo abbandonati quasi tutti. Eppure quanta più pazienza, quanta più serenità e quanta più vita bella avremmo se sapessimo vivere alla presenza di Dio. Santa Francesca Cabrini, quando faceva freddo, diceva: “Signore, ti ringrazio che non fa caldo”. Quando faceva caldo, diceva: “Ti ringrazio che non fa freddo”.

Sembrerebbero banalità, piccinerie, ma non è vero. Vivere alla presenza di Dio, in pratica, è una forma di preghiera.

Un'altra forma di preghiera minuta è quella delle esclamazioni, delle aspirazioni, in parole povere delle “giaculatorie”. Questo termine deriva dal latino iaculum, che è la saetta. Questi slanci del cuore verso Dio, per offrire, accettare, valutare le cose sono una forma di preghiera che ha il vantaggio di tener desto lo spirito, di farci riflettere un attimo prima di dire, di fare, di muoverci. Inoltre, è una forma che esprime un rapporto amicale con il Signore particolarmente bello. Forme di preghiera minute, che però servono a mantenere un clima di preghiera durante la giornata e durante la vita.

 

La preghiera del rosario

Il Rosario è una preghiera ormai recepita dalla Chiesa, perché poggia su un'impostazione solidamente teologica. In esso, vengono meditati i misteri della vita, passione, morte e resurrezione del Signore e insieme l'associazione della Madonna ai misteri della salvezza.

L'esplicitazione dei misteri obbedisce ad una esigenza pedagogica della preghiera: i misteri hanno bisogno di essere ricordati, rivissuti, anche assaporati, e richiedono obbligatoriamente il nostro coinvolgimento. Medito per essere coinvolto nel gaudio dell'annunciazione, nel dolore del crocifisso, nella gloria della resurrezione.

Ci troviamo nella più perfetta logica della rivelazione, nella totale coerenza col magistero della Chiesa. Il fatto che la meditazione dei misteri, asse portante del Rosario, venga sottolineata dalla ripetizione del Padre Nostro e dell'Ave Maria, è indicativo di una preghiera senza libri, espressione del popolo di Dio, della comunità dei credenti.

Non vedo perché si debba abbandonare questa forma di preghiera, specialmente oggi quando tutti si lamentano di non avere tempo per pensare. La ripetizione cadenzata dell'Ave Maria non mi garantisce di dirle tutte e 50 o 150 con raccoglimento attuale per ogni parola: è indubbio però che aiuta a creare un clima di raccoglimento, uno stato d'animo attento.

Quando recito il Padre Nostro obbedisco ad un comando del Signore, con l'Ave Maria rinnovo un avvenimento fondamentale per la mia salvezza: la fecondità spirituale del Rosario mi pare allora del tutto legittima, da ogni punto di vista la si voglia considerare.

C'è poi un altro vantaggio, che potremmo definire strumentale. Se mi impegno a recitare il Rosario, almeno per un quarto d'ora della mia giornata mi fermo per pregare: magari non sarò sempre attento, ma prego.

Oppure, accompagno con la preghiera un'occupazione meno impegnativa, come potrebbe essere una sosta in una sala d'attesa o la guida dell'automobile. Il Rosario è dunque una preghiera preziosissima, avallata dal suggerimento della Chiesa e dall'esempio di numerosi Santi che l'hanno praticata: proprio i Santi, del resto, sono quelli che più aiutano gli uomini a penetrare con coerenza e compiutezza nelle esigenze del cristianesimo.

Le considerazioni che abbiamo fatto per il Rosario possono essere estese anche ad altre pratiche di culto: la Via Crucis, ad esempio, oppure il pellegrinaggio. Se si riuscisse a persuadere qualche gitante domenicale in più ad imboccare la via del pellegrinaggio, in alternativa a viaggi senza meta, sarebbe certamente un gran vantaggio.

 

Il tempo per pregare

Ciò che conta è trovare, comunque, dello spazio per pregate e non dare fatalisticamente per scontato che sia impossibile riuscire a trovare nella giornata momenti adatti.

Chiunque lo voglia può trovare momenti per pregare. Sono feroce, quando dicono: “Non ho il tempo”. No! Che tu non voglia mettere tempo è vero, che tu non ne abbia non è vero, Di giorno o di notte, un tempo per pregare c'è, nella vita di tutti. Dire che non c'è, è maledire la Provvidenza. C'è, se lo cerco e poi lo difendo. Questa è una prima risposta.

La seconda è il ricorso a quei tipi di preghiera che non prendono il tempo. Sono in tram, al volante della macchina, faccio qualcosa: chi mi impedisce di offrire al Signore quello che faccio? Chi mi impedisce di dire: “Signore, devo incontrare quella persona: dammi pazienza, dammi luce”?

Vorrei dire che di questo pregare frammentato, fatto non tanto di tempi ma di moti dell'anima, le nostre giornate ne raccolgono a iosa, proprio per loro continua mobilità.

Cambiamo occupazione cento volte al giorno, il che significa finirne una e cominciarne un'altra. Se mentre la chiudo dico: “Signore, questa è fatta, te la offro”, e se mentre inizio l'altra dico “Signore, questa è per te, te l'affido”, io ho pregato due volte, senza rubare niente a nessuno.

Ho anche dato quella boccata d'aria al vivere, aria cristiana, di cui ho tanto bisogno.

Simili forme minori di preghiera lampeggianti vanno oggi valorizzate molto di più.

 

La domenica: giorno di preghiera

Un altro momento di preghiera che deve anche acquistare lo spessore di un esercizio è il giorno del Signore. Oggi “giorno del Signore” è un'espressione svuotata di contenuto, perché a stento i buoni cristiani salvano la messa. E sono messe randagie, senza la continuità di Parola di Dio, senza l'ambientazione della catechesi, senza la preoccupazione di pastorale caritativa... La domenica è diventata un giorno profanato in una maniera eccessiva.

Eppure, è il giorno del Signore e occorre dargli la giusta dimensione con l'attenzione ad alcuni momenti significativi. Viverlo bene dovrebbe diventare un impegno costruito nella comunione della famiglia, dove ci sono gli anziani, gli adulti, i giovani e i bambini. Questa comunità d'amore che prega, si ricorda di Dio affidandogli la serenità, la pace, la concordia, l'amore, diventare qualcosa di vissuto: ogni famiglia dovrebbe avere un programma questo riguardo.

 

Formare la vita sulla preghiera

Un'altra forma bella di preghiera, e la chiamo “forma” per sottolineare la sistematicità con cui andrebbe costruita, è la vita personale di ciascuno.

Una madre, un padre dovrebbero avere un tempo nel quale la famiglia sa che la mamma prega, che il papà prega. Ci vorrà anche un po' di fantasia creatrice: il papà e la mamma faranno un discorso comprensibile anche ai bambini, per ottenere che quei momenti vengano rispettati.

Non sono certo le grandi imprese a modificare la sostanza della vita cristiana: sono questi gesti che sottolineano l'importanza che si dà alle cose. Nella vita quotidiana dei cristiani non andrebbe dimenticata l'attenzione alla carità. Anch'essa è una forma di preghiera.

Non diventiamo cristiani fedeli al comandamento del Signore se non ci educhiamo alle opere di carità e di misericordia. Questo si ottiene anche con la preghiera.

Le sollecitazioni non mancano: la vita della comunità parrocchiale, della comunità religiosa, dello studio professionale possono essere una suggestione da non sottovalutare.

Non facciamo della preghiera un parallelismo con altre attività, ma lasciamola radicare nel contesto della nostra vita. Ognuno ha le sue grane di lavoro, ma quando diventano preghiera? C'è un progetto da realizzare che si inceppa da qualche parte e non si riesce a tirarlo fuori: perché non mettersi a pregare?

Questo ci aiuta a diventare anime di preghiera in senso autentico e, nello stesso tempo, ci rende più capaci di ispirazione, perché la vita che facciamo, per frenetica che sia, invece di distrarci sempre più possa raccoglierci sempre di più.

L'offerta del lavoro al Signore resta la strada maestra. “Signore, vado in ufficio: che cosa troverò? Che stanotte sono passati i ladri? E va bene!”.

“Signore, vado in ufficio e la prima persona che mi aspetta sarà già burrasca. Dammi pazienza”. Insomma: lasciamoci guidare un po' dal concreto e mettiamo Dio a parte dei nostri guai e delle nostre soddisfazioni.

Siamo troppo distratti, separiamo troppo l'agire dal credere. “Signore, oggi devo concludere quella certa faccenda: se va bene, il dieci per cento è carità fatta ai poveri in giornata”.

Sono solo esempi, ma io trovo che questo modo è davvero prezioso, anche perché poi diventa una provocazione spirituale formidabile.

Se entrano nel circuito del nostro vivere alcuni di questi comportamenti, il resto viene da solo.

 

* Cardinale di Santa Romana Chiesa

Tratto da: Dio, l’uomo e la preghiera, Società Editrice Internazionale, Torino 1990

 

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Ricordiamo ancora le preghiere del mattino e della sera? Le insegniamo ai nostri figli/nipoti?

•          Quante volte ricordiamo Dio durante la nostra giornata? Abbiamo una giaculatoria preferita?

•          Pratichiamo la preghiera del rosaio? In quali circostanze?

•          In che modo la preghiera ci aiuta a praticare la carità nei confronti degli altri?

 

5-PREGARE IN MODO ADULTO

Quando si chiede a qualcuno qual è l’insegnamento di Gesù sulla preghiera, tutti sanno rispondere: “chiedete quel che volete e vi sarà dato”. Ma dimenticano le condizioni di Gesù.

 

di Alberto Maggi*

La preghiera non significa recitare le preghiere. La preghiera è sempre subordinata, condizionata dall’amore. Vedendo l’amore totale, incondizionato, ubriacante che Dio ci riversa quotidianamente, indipendentemente delle nostre azioni, dalle nostre stupidità, dalle nostre infedeltà, nasce una preghiera, nella quale si balbetta “grazie”. Non può venire un’altra espressione, solo grazie.

Ma questo amore che Dio mi comunica, diventa efficace ed operativo soltanto nel momento in cui io lo trasmetto agli altri. Se io questo amore che Dio mi comunica lo tengo per me, marcisce. Se io questo amore che Dio mi comunica, lo traduco in opere, in servizi verso gli altri, questo amore diventa operativo ed efficace.

 

Tutto quello che chiederete

Allora, come il sentirmi tanto amato mi porta a una preghiera di ringraziamento, il desiderio che questo amore raggiunga gli altri diventerà una preghiera di richiesta.

Cosa significa “Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò” Gv 14,14). Significa: su tutto quello che chiediamo, Lui ci darà, quello che ci può dare!

Non chiediamo quello che non ci può dare! Faccio un esempio. Una mia zia, anziana, un giorno dice: “Alberto, aiutami a pregare, poiché il Signore non mi ascolta”. Io gli chiedo: “Zia, cosa dobbiamo chiedere al Signore?” La sua risposta è: “Che mi faccia morire questa vicina, così mi prendo la sua stanza, ma questa non muore mai”.

Tutto quello che chiediamo, e che Lui ci può dare, che c’è lo dà. Ma cosa ci può dare?

Preparatevi ad una delusione, perché quando si chiede: “Che cosa ci può dare il Signore?” e la risposta è “lo Spirito Santo”, si sente dire: “Oh santo cielo!”. Insomma, solo lo Spirito Santo!

Non qualcosa di più immediato, di più concreto, qualcosa di più utile!

L’unica cosa che Gesù ha garantito: “quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito a coloro che glielo chiedono” (Lc 11,13b). E questo sembra deludente.

Ma c’è una indicazione importantissima nei Vangeli, quando Gesù afferma: “Per questo vi dico: tutto ciò che chiederete nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi accadrà” (Mc 11,24)

Gesù assicura che la forza di Dio (cioè lo Spirito Santo) è a disposizione dei credenti per superare ogni difficoltà.

Attenzione, Gesù dice che: “tutto ciò che chiederete nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto”, non dice “credete che lo otterrete”.

Il Signore ci ha donato tutto quello di cui abbiamo bisogno nella nostra vita, nella nostra esistenza; sta a noi saperlo cogliere e renderlo visibile.

 

Le condizioni per ottenere

E promette Gesù “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà dato” (Gv 15,7).

È incredibile – e lo dico per esperienza – come siamo abili nel manipolare il Vangelo e a selezionare la parte che ci interessa e ci fa comodo, e dimenticare o cancellare quella che si ritiene impegnativa.

Quando si chiede a qualcuno qual è l’insegnamento di Gesù sulla preghiera, tutti sanno “chiedete quel che volete e vi sarà dato”.

Ma dimenticano le condizioni: “se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi”. Forse è per questo che molta gente rimane male, perché chiede e non ottiene.

Gesù pone due condizioni: rimanere in Lui, cioè vivete in un impegno di opere che comunicano vita senza escludere nessuno da questo raggio d’azione; conservare tutte le sue parole, cioè tutto il suo insegnamento.

 

Crescere nella preghiera

È tragico vedere la schizofrenia dei cristiani che pur essendo cresciuti in età e in cultura, rimangono al livello infantile nei confronti di Dio.

Non si può a una certa età, continuare a recitare le preghiere belline che ci hanno insegnato dall’infanzia.

Quando un bambino piccolo si rivolge ai genitori e gli dice: “ba, ba, ba, ba”, è bello ed è tenero, ma se questo bambino, ancora a vent’anni, ancora si rivolge a suoi genitori dicendo “ba, ba, ba, ba”, i genitori si preoccupano, perché il figlio deve avere qualcosa che non va.

La preghiera, quindi, deve accrescersi e modificarsi durante la nostra vita.

Nella misura in cui cresce e si modifica il rapporto con Dio si può arrivare fino al punto (spero di esprimermi bene) di non pregare più! Il vertice del misticismo dei grandi santi, nella preghiera, si ha quando – pregando talmente – non pregano più: vibrano.

Cosa significa: vibrare? Passare alla contemplazione!

Contemplazione, non significa starsene da qualche parte incantati, significa vibrare continuamente con quell’onda creativa d’amore che tiene in vita l’universo e mettersi in sintonia con questa vita. Allora non c’è più bisogno di formule di preghiera!

Quando celebro messa, vedo le persone che entrano in chiesa e ci sono persone adulte – di 20, 30, 40, 50 anni – che si fanno il segno della croce e lanciano un bacino a Gesù!

A tre anni è bello che il bambino lanci un bacino a Gesù, ma a cinquant’anni!

Dove è rimasta la tua spiritualità? Purtroppo, il campo della preghiera, è un campo nel quale sovente restiamo analfabeti.

Non accettiamo mai dei metodi infallibili di preghiera, la preghiera varia a seconda della sensibilità delle persone. C’è una persona che si trova bene con un certo tipo di preghiera, un’altra con una diversa preghiera, l’importante è che a distanza degli anni le prime formule di preghiera vengono tralasciate per essere sostituite con altre più mature.

La preghiera si deve modificare, e crescere e intensificare nella misura che più cresce, si intensifica e si modifica il rapporto con il Padre.

 

* teologo

Fonte: https://www.studibiblici.it/FAQ/FAQv.3.pdf (pag. 67 ss).

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Quanto c’è ancora di infantile, di magico, nella nostra preghiera, non tanto come formule usate ma come aspettative?

•          “Chiedete e vi sarà dato”: come interpretiamo questa affermazione di Gesù?

•          Lo Spirito Santo, questo sconosciuto. Lo preghiamo, lo invochiamo?

•          Sappiamo chiedere perdono, proviamo contrizione quando facciamo ciò che ci conviene anziché ciò che è giusto?

 

6-NOI E LO SPIRITO SANTO

Solo la preghiera ci aiuta a prendere le decisioni giuste. Davanti a una situazione difficile, a un discernimento importante, solo la preghiera ci mette nella posizione di poter fare la cosa giusta. Se non si sa cosa fare, se si è in ansia per qualcosa, allora è fondamentale pregare. Esattamente come fa Gesù prima di prendere qualsiasi decisione: ogni scelta importante viene innanzitutto sottoposta alla preghiera.

Qui si parla di un tempo prolungato, notturno, e solo la mattina seguente – dopo aver pregato tutta la notte – compie il gesto di scegliere. I motivi per i quali spesso prendiamo determinate decisioni si muovono generalmente in due ambiti: il calcolo e il fattore emotivo.

A un certo punto diventiamo molto abili, quasi machiavellici, nel calcolare cosa ci conviene. Oppure, al contrario, siamo emotivi, diamo per certo che lo Spirito Santo coincida con quello che sentiamo. Ma come possiamo essere sicuri che i nostri sentimenti siano esattamente gli stessi dello Spirito Santo? Che le nostre emozioni siano le emozioni dello Spirito?

Senza la preghiera siamo in ostaggio della testa o della pancia, e pensiamo che il discernimento sia ciò che conviene o ciò che sentiamo.

Invece il discernimento è un’altra cosa, la preghiera ci mette nella giusta prospettiva, ci fa comprendere che a volte ciò che dobbiamo fare è difficile, o non conviene, ma va comunque fatto. Ci permette di capire quello che è giusto fare, seppur con ritrosia, contro noi stessi e la nostra indole.

Tratto da: L. M. Epicoco, Prega, mangia, ama. Esercizi spirituali sul Vangelo di Luca, Edizioni San Paolo, Milano 2022 (pag. 124).

 

7-PREGARE BENE

Alcuni consigli pratici

 

Se molti cristiani provano a pregare e alla fine si scoraggiano, non si tratta di mancanza di buona volontà, ma di assenza di idee giuste circa il modo di vivere il tempo dell'orazione.

 

di Henri Caffarel*

Ecco alcuni consigli pratici per imparare a pregare bene.

 

Dove pregare?

Dio è presente ovunque. E ovunque noi possiamo incontrarlo.

Tuttavia, per il tempo della preghiera, è augurabile scegliere un luogo di quiete e di silenzio. Una chiesa; o a casa propria: una stanza (anche se piccola) consacrata alla preghiera (ma ben pochi sono coloro che, in città, possono offrirsi questo lusso); o semplicemente un 'angolo di preghiera' in una stanza, che rimanga tale in permanenza o che sia rapidamente sistemato quando giunge l'ora.

Vi si troverà solo ciò che può stimolare il raccoglimento, la fede, la preghiera: una scelta di fotografie che parlano (un uomo in preghiera, il meraviglioso volto del Padre de Foucauld alla fine della sua vita, l'interno di un chiostro, un bambino del Sahel divorato dalla fame, un semplice paesaggio dagli ampi orizzonti...); o un crocifisso (‘Il libro più sapiente’, come lo chiamava il curato d'Ars); oppure un'icona (davanti alla quale si accende una piccola lampada a olio, secondo il costume dei cristiani d'Oriente).

Alcuni utilizzano, come i musulmani, un tappeto di preghiera per creare uno spazio sacro.

È prezioso avere un piccolo 'sedile di preghiera', che favorisca un atteggiamento corporeo stabile, immobile, sveglio.

 

Quando pregare?

È indispensabile determinare in precedenza, una volta per tutte, o a rigore ogni giorno, l'ora in cui non si rischia di essere disturbati, in cui l'ambiente circostante è per quanto possibile calmo, in cui lo spirito è desto e libero, mentre le ore in cui si è stanchi sono poco favorevoli.

Beati quelli che possono situare, all'inizio della giornata, il loro incontro con Dio.

Non si deve dire troppo in fretta che, a quest'ora mattutina, non si è perfettamente svegli. Se si aspetta di essere in perfetta forma, si rischia spesso di non pregare affatto.

Si ha bisogno di sonno, è vero, ma perché non andare a letto una mezz'ora prima la sera, per alzarsi una mezz'ora più presto il mattino? Molte persone non si decidono mai a coricarsi, eppure non combinano niente di buono nell'ultima ora della giornata.

Un consiglio da non dimenticare mai: all'ora fissata per la preghiera, si deve incominciare senza ritardo.

Si constata infatti che, in quel momento, tantissime cose, come per caso, sollecitano l'attenzione: finire un lavoro, fare una telefonata, aprire la posta che è arrivata, leggere il giornale - o semplicemente leggere i titoli più importanti.

Non dobbiamo lasciarci ingannare. Bisogna rifiutare nettamente. Altrimenti, la preghiera farà la spesa di questo inganno. Senza contare che si manca d'eleganza nel far aspettare il Signore - ed è il meno che si possa dire.

Un altro consiglio che sembra non aver importanza: desiderare, nel corso della giornata, il prossimo appuntamento con Dio è una preparazione alla preghiera assai più efficace di quanto si possa pensare a priori.

 

Quanto pregare?

Un quarto d'ora, è troppo o troppo poco. In realtà, molto presto, o si abbandona il quarto d'ora o si passa alla mezz'ora. Occorre infatti del tempo per liberarsi di se stessi e dei propri pensieri, perché l'essere profondo, il 'cuore', si svincoli ed entri in gioco.

Agli inizi, si è tentati di abbreviare la durata prevista, soprattutto se si pensa di perdere il proprio tempo, mentre cose più utili ci reclamano altrove. Non cedere mai.

Chi pratica l'elioterapia è anch'egli tentato, a volte, di dire: “Cos'è che può far bene alle mie ossa se mi espongo, immobile, al sole? Io prenderei ugualmente il sole, dedicandomi alle mie occupazioni”. Ma sa bene che è falso e continua la sua cura.

Bisogna continuare la preghiera anche con l'impressione di non far nulla: fidarsi delle proprie impressioni è già sicuramente ingannarsi. In realtà Dio, ‘il sole del mondo spirituale', opera senza alcun dubbio in noi qualcosa di essenziale, anche se abitualmente questo ci sfugge.

Continuare, ‘resistere’ davanti a Dio è fondamentale. ‘Resistere’: questa parola è da ricordare.

 

Coinvolgere il corpo

Dopo aver fatto il possibile per raggiungere la calma e la distensione del corpo, è importante ricorrere al suo contributo attivo. Se esso non è con noi, sarà contro di noi.

Può essere un segno di croce, molto lento, carico di significato, oppure una preghiera vocale, recitata adagio, a mezza voce. E, perché non inchinarsi per alcuni istanti in segno di adorazione o prostrarsi con la fronte a terra, alla maniera musulmana o anche stendersi con tutto il corpo, per dire a Dio la propria dipendenza e l'abbandono di tutto se stesso nelle sue mani paterne? Il corpo parla, e Dio comprende il suo linguaggio.

 

8-UN GALATEO PER LA PREGHIERA

Pregare è facile, non lo ripeterò mai abbastanza. Ma occorre conoscere le regole del gioco, saper cosa fare quando si prega.

 

di Henri Caffarel*

Quando si incontra qualcuno è importante iniziare bene la conversazione, come è importante il momento del congedo.

Questo vale anche per la preghiera dove incontriamo Qualcuno di davvero importate.

 

Inizio dell'orazione

Le motivazioni di chi viene alla preghiera rischiano di essere confuse. Occorre imparare a rettificare le une, a coltivare le altre.

Alcuni vanno alla preghiera per sperimentare i doni sensibili del Signore o per trovare pace e riposo, in disparte dai lavori e dalle angustie, o anche per ottenere quei benefici psicologici di cui la preghiera, si dice, è la sorgente.

Certo, queste motivazioni non sono cattive, ma accordar loro il primo posto è votarsi a non progredire mai nella vera preghiera. Bisogna essere vigilanti per depistare motivazioni ambigue.

Il solo vero motivo dell'orazione è questo: Dio è là e mi attende. Dio, Dio, Dio: questa semplice parola deve riempire il mio pensiero e il mio essere.

Le mie preoccupazioni, le mie gioie, i miei lavori si dissolvano e spariscano davanti alla sua Presenza! Io non esisto, io non l'amo che tramite la sua esistenza e il suo amore. Io non mi anniento, ma mi dimentico totalmente davanti a lui.

Amore gratuito, disinteressato, apertura senza ripiegamenti su di sé: questa è la motivazione prima, ma non esclusiva, che conduce alla preghiera.

Tale motivazione si colora differentemente secondo l'aspetto del volto di Dio che io contemplo. Di fronte all'infinita maestà di Dio, il Signore del cielo e della terra, l'Onnipotente, io adoro. È il gesto iniziale e fondamentale della preghiera. Ma questo Dio adorabile è anche mio Padre. Davanti a questo Padre di infinita tenerezza, la mia adorazione si compenetra di confidenza filiale, senza riserva.

Se mi rivolgo a Cristo, io saprò vedere e adorare Dio in lui, altrimenti meriterò il rimprovero di Gesù all'apostolo Filippo: “Da tanto tempo sono con voi, e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre” (Gv 14,9).

Questa adorazione e questa confidenza filiale non devono consistere in pensieri, fantasticherie evanescenti, ma radicarsi in una relazione da persona a persona: la relazione Io-Tu. Relazione vivente di due persone che comunicano tra loro.

A questo Dio, mio Padre, dirò che io voglio essere a sua disposizione, che voglio da questa preghiera ciò che egli vuole e che conto sul suo aiuto per rispondere alla sua attesa.

Adorazione, amore filiale, relazione Io-Tu, disponibilità: tali sono le disposizioni interiori sulle quali ogni orazione autentica deve fondarsi.

 

Conclusione della preghiera

La conclusione della preghiera è sovente la parte più trascurata.

Mi è già capitato che un visitatore, il quale si intratteneva con me, si alzasse improvvisamente e, senza dir nulla, senza nemmeno guardarmi, aprisse la porta e se ne andasse, lasciandomi tutto mortificato con una idea meschina della sua educazione.

Ebbene, lo ammetto con confusione, molte volte io ho lasciato l'incontro con Dio, che è appunto la preghiera, in questa maniera disinvolta. E senza dubbio non sono il solo.

S'impone quindi, al termine dell'orazione, di ringraziare il Signore. Dall'adorazione al ringraziamento: tale potrebbe essere la curva spirituale della nostra preghiera.

Ma, intendiamoci bene: ringraziamento, azione di grazie a Dio per la preghiera stessa e non, anzitutto, per tale grazia accordata, tale fervore sentito. Il che include che noi lo ringraziamo anche per i fallimenti, le distrazioni, l'aridità.

Noi ringraziamo Dio per essere stato là, anche se, da parte nostra, non gli siamo stati sempre presenti, cosa di cui gli domandiamo perdono.

Io non devo mai cedere alla tentazione di giudicare la mia preghiera, di dichiararla cattiva, perché mi è accaduto d'essere distratto o sonnacchioso.

Non mi lascerò andare alla stizza: il valore della mia preghiera non dipende dalla mia sola attività.

Ho infatti la certezza che Dio, durante tutto il corso della mia orazione, ha agito in me, che Cristo ha pregato in me, dal momento che ho preso l'avvio buono, su cui vi ho già intrattenuto.

Il corpo intervenga per terminare, come all'inizio, con un gesto religioso: un segno di croce o una prostrazione, con una preghiera vocale: il Padre nostro, ad esempio, è assai indicato, un Padre nostro recitato con grande attenzione, a bassa voce e di cui ogni frase sarà caricata di adorazione e di confidenza filiale.

 

* fondatore delle Equipes Notre-Dame

Fonte: La preghiera Interiore, editrice Àncora, Milano 1988

Sintesi della Redazione

 

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Riusciamo, nel corso della giornata, a disporre di un tempo di preghiera? Lo abbiamo cercato?

•          Siamo costanti nel nostro impegno quotidiano con il Signore? Cosa ci impedisce di esserlo?

•          Siamo consapevoli che questo dovrebbe essere un elemento fondante della nostra vita cristiana? Che senza di esso rischiamo di essere solo cristiani della domenica?

•          Quanto il nostro corpo ci distrae durante la preghiera? Come lo teniamo a bada?

 

9-PREGARE CORPO E SPIRITO

L'uomo tutto intero deve ingaggiarsi nella preghiera. Andare all'orazione come se non si avesse corpo, è misconoscere che l'essere umano è indissociabilmente corpo e anima.

È cadere nell'errore di coloro che pensavano che il corpo è una prigione, da cui l'anima deve evadere per raggiungere Dio.

Il Figlio di Dio ha forse trovato indegno di sé prendere un corpo umano per venire da noi e parlarci? Perché i cristiani troverebbero indegno di sé fare appello al corpo per pregare?

Corpo e spirito sono solidali, indissociabili, le due facce d'una stessa realtà: la persona umana.

Ma, evidentemente, è illusorio pensare che nel tempo della preghiera il corpo porterà il suo contributo, se durante tutta la vita è quel contestatore a cui ora si cede, ora ci si oppone, se è un compagno semplicemente tollerato. Dobbiamo, perciò, esercitarci in ogni tempo a renderlo mansueto, a collaborare con lui, se si vuole trovarlo disponibile per la preghiera.

Un doppio contributo ci si deve attendere dal corpo al momento della preghiera: in primo luogo che esso favorisca la calma e la vigilanza dello spirito mediante un atteggiamento stabile ed immobile, fermo e disteso; in secondo luogo che, attraverso atteggiamenti e gesti espressivi, esso traduca, sostenga, favorisca i diversi atteggiamenti spirituali dell'anima: adorazione, lode.

 

10-LA PREGHIERA DEL CUORE

L’esperienza del “pellegrino russo”

 

La grandezza della Preghiera di Gesù si rivela sin dalla sua forma che consiste in due parti: la prima “Signore Gesù Cristo, figlio di Dio” rimanda l'intelletto alla storia della vita di Gesù Cristo…; la seconda parte: “abbi pietà di me peccatore” rappresenta efficacemente la storia della nostra condizione di debolezza e peccato.

Non ci è stato prescritto di lavorare, vegliare, digiunare sempre; mentre ci è stata data la legge di pregare incessantemente. Evagrio Pontico

 

di Anonimo

Questo è il racconto di un uomo e cristiano, per vocazione pellegrino senza dimora, con il solo patrimonio di una bisaccia col pane secco e sotto la camicia una Bibbia.

 

Pregate incessantemente

Una volta entrai in una chiesa a pregare durante la liturgia. Stavano facendo la lettura tratta dalla lettera ai Tessalonicesi in cui è detto “pregate incessantemente” (1Ts 5,17).

Queste parole mi si radicarono nella mente e mi chiesi come fosse possibile pregare incessantemente.

Lo chiesi ha un sacerdote che mi rispose: “vai più spesso in chiesa, presta attenzione alle letture, partecipa alle preghiere per i defunti, accendi i ceri, prostrati di più sino a terra”.

Gli domandai: “Dov'è che la Bibbia parla di questo?” ma mi rispose in malo modo.

Mi misi allora alla ricerca di una buona spiegazione.

Una domenica entrai in una cattedrale. La lettura era quella del pubblicano e del fariseo. Il vescovo in persona faceva la predica, commentando le parole: “Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé” (Lc-18,11).

La sintesi della sua omelia suonava pressappoco così: “Acquista una fede salda, fa del tuo cuore il tempio dello Spirito Santo, allora la tua preghiera sarà ascoltata. Senza una fede salda la tua preghiera non solo sarà infruttuosa ma diventerà per te peccato”.

Uscì dalla Chiesa con l'anima colma di sconforto: come posso acquistare da me una fede salda se questa non proviene da noi ma è un dono divino? Per ricevere un dono è necessario richiederlo. Infatti c'è scritto: “Chiedete e vi sarà dato” (Mt 7,7). Neanche gli apostoli possedevano una fede così. E, infatti, pregavano il Signore dicendo “Aumenta la nostra fede” (Lc 17,5).

Giunse la domenica dell'adorazione della Croce e io andai alla liturgia nella chiesa dell'Accademia Teologica. Un dotto predicatore stava tenendo il sermone sulla preghiera di Gesù in croce basandosi sulle parole: “Pregate incessantemente nello Spirito” (Ef 6-18).

La preghiera di Gesù era stata in quella circostanza estremamente sintetica, da qui il predicatore deduceva che ciò che contava non era la durata della preghiera ma lo zelo ardente posto in essa. Gesù stesso aveva insegnato ai suoi discepoli: “pregando non sprecate parole” (Mt 6,7).

Rimasi molto perplesso. Quello che Gesù aveva insegnato ai suoi era di non riempire la preghiera con richieste inutili, non di limitare la durata della preghiera.

La domenica successiva andai alla liturgia e l'arciprete iniziò il sermone commentando il testo: “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto” (Mt 7,7).

Sostenne che si deve bussare alla porta della Misericordia Divina non con le sole parole ma anche con le opere. Giorni e notti di preghiera non sono di alcuna utilità se non si fanno anche opere di carità per il prossimo.

Non mi convinse affatto. Aprii la Bibbia e lessi dal libro del profeta Isaia queste indicazioni: “Cercate il Signore mentre si fa trovare, invocatelo mentre è vicino” (Is 55,6). Quindi, prima di ogni altra cosa occorre cercare il Signore e invocarlo nella preghiera.

Dopodiché smisi di ascoltare i sermoni pubblici e decisi di cercare, con l'aiuto di Dio, un interlocutore esperto e sapiente che fosse in grado di illuminarmi sulla preghiera incessante. Ma anche qui la mia ricerca sembrò non dare frutti.

 

L’invocazione del nome di Gesù

Un giorno, sulla strada maestra. fui raggiunto da un vecchio monaco. Gli raccontai della mia aspirazione interiore e il vecchio riconobbe che raramente i predicatori spiegassero che cosa fosse la preghiera e come si potesse apprendere a pregare.

Continuando nella conversazione, il monaco si dimostrò un interlocutore affidabile così, quando arrivammo al suo eremo, lo pregai di continuare ad istruirmi.

Mi accolse e iniziò a parlare dell’invocazione del divino nome di Gesù: “Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me peccatore” e poi mi introdusse alla preghiera interiore attraverso questo passo del libro Filocalia (amore del bello): “Siedi in silenzio e solitudine. China il capo. Chiudi gli occhi. Respira piano. Conduci la mente, cioè il pensiero, dalla testa al cuore. Ascolta con la mente i battiti del tuo cuore l'uno dopo l'altro. Quando ti sarai abituato a questo, comincia allora a far coincidere a ogni suo battito una parola della preghiera. Ripeti molte volte questo esercizio. Poi, quando ti sarai abituato anche a questo, comincia ad inspirare ed espirare dal cuore tutta la preghiera di Gesù insieme con il respiro, così come insegnano i padri. Inspirando devi dire o pensare: Signore Gesù Cristo; espirando: abbi pietà di me”.

Avevo trovato il maestro che desideravo. Riuscii a trovare una sistemazione vicino al suo eremo e per una settimana mi dedicai assiduamente allo studio della preghiera incessante, ma senza successo.

Allora il monaco mi suggerì di limitarmi a ripetere con la bocca l’invocazione, incessantemente. Mi donò un rosario e mi invitò a ripetere “Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me peccatore” tremila volte al giorno, non una di più, non una di meno.

All’inizio fu faticoso ma poi divenne come una specie di necessità.

Per la seconda settimana il monaco mi suggerì di ripetere l’invocazione seimila volte al giorno. Giunto alla terza di passare a dodicimila, senza eccezioni.

Avrei voluto pregare ancora, ma rispettai le indicazioni del monaco.

Lo confidai con il mio maestro che ringraziò Dio e mi spiegò: “Si tratta di una cosa naturale che deriva da un esercizio costante. avviene come ad una macchina, che se la spingi o se fai forza sulla sua ruota motrice poi continua a lungo a muoversi da sé; però, se vuoi prolungare il movimento devi lubrificare la ruota e spingere ancora. Ora hai il mio permesso di recitare la preghiera quante volte al giorno vorrai, il più spesso possibile”.

Da allora in poi, ho vissuto in una condizione di grande serenità. Anche nel sonno mi sembra di recitare la preghiera. Di giorno, quando incontro qualcuno, mi sembra che tutti, senza eccezioni, siano cari al mio cuore come parenti.

Quando entro in chiesa, anche la liturgia più lunga mi sembra breve.

Non ho ancora raggiunto la preghiera del cuore ma ho finalmente capito le parole dell’apostolo: “pregate incessantemente”.

Tratto da: Racconti di un pellegrino russo, Città Nuova Editrice, Roma 1997

Sintesi della Redazione

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Pregare incessantemente: l’esperienza del pellegrino russo ci può aiutare?

•          Il pellegrino si nutre di Parola: quanto la Parola di Dio ha spazio nella nostra preghiera, nella nostra vita?

•          Ci sono altre giaculatorie che conosciamo, oltre a quella del pellegrino russo? Le pratichiamo durante la giornata?

•          Una preghiera continua, come quella del pellegrino, potrebbe aver spazio nella nostra giornata? Perché no?

 

11-PREGATE INCESSANTEMENTE...

...con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito

 

Impariamo a pregare frequentemente il Signore. Chi si sarà lungamente esercitato nella preghiera frequente, un giorno, giungerà alla preghiera incessante.

Se chiediamo ad un fidanzato quante volte al giorno pensa a colei che ama risponderà: “Ma, senza interruzione!”. Per chi ama Dio non sarà la stessa cosa?

 

di Henri Caffarel*

Che cosa significa la raccomandazione di Cristo che noi leggiamo in san Luca: “E necessario pregare sempre, senza stancarsi?” (18,21).

San Paolo ha ripreso con insistenza questo consiglio nelle sue Lettere ai Tessalonicesi e agli Efesini. A questi ultimi scrive: “Pregate inoltre incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito” (Ef 6, 18). E ai Tessalonicesi: “State sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie” (1 Ts 5, 16). Dopo venti secoli i maestri spirituali, sull'esempio di Paolo, non hanno cessato di invitare i cristiani a pregare senza interruzione.

Ciò non impedisce che venga sollevato un primo interrogativo giustificato: questa raccomandazione di Cristo non fa del cristiano un essere sempre più o meno assente, come è assente chi è preso da una preoccupazione o invaso da un'ossessione? Il cristiano non sarà psicologicamente diviso nel suo tentativo di essere simultaneamente attento alle proprie attività temporali e a Dio?

Forse si deve vedere in questo invito a pregare ‘incessantemente’ un semplice invito a pregare con frequenza?

Si tratta di questo, sicuramente. Ma limitarsi a ciò non è cogliere veramente la portata di questo invito. Nel corso dei secoli, numerosi cristiani e santi hanno testimoniato di essere giunti ad uno stato di preghiera continua. Vero che per la maggior parte venne dopo un lungo periodo in cui si erano esercitati alla preghiera frequente.

Vediamo perciò, dapprima, come pregare frequentemente.

Ma è possibile realmente per coloro che non vivono nel l'ambito del raccoglimento di un chiostro? Piuttosto che considerazioni teoriche, io vorrei proporre dei mezzi pratici che ho imparato da cristiani che si esercitano in questa preghiera frequente: giovani e adulti, contadini e medici, ammalati e uomini d'azione, madri di famiglia…

 

Pensare a Dio

Un primo consiglio: pensare a Dio spesso nel corso della giornata; “ricordarsi di Dio”, secondo l'espressione della Scrittura. Sia a partire dalle relazioni abituali che si hanno con lui: di confidenza, di riconoscenza, di lode, di pentimento... Sia a partire da ciò che si sa di lui: della sua grandezza della sua provvidenza, della sua tenerezza...

Alcuni preferiscono pensare a lui a partire dalle loro attività. Servi diligenti nel compiere la volontà del Padrone, fanno proprio il versetto 2 del Salmo 123: “Come gli occhi dei servi alla mano dei loro padroni; come gli occhi della schiava alla mano della padrona, così i nostri occhi sono rivolti al Signore nostro Dio”.

Altri giungono a vedere tutte le cose con lo sguardo di Dio, a discernere la dimensione spirituale delle realtà umane. In metro, vedendo quegli uomini e quelle donne, terribilmente affaticati al ritorno dal lavoro, essi pensano che Cristo ha versato il suo sangue per loro. Davanti al piccolo battezzato nelle braccia della propria madre, essi invocano la Trinità presente nel suo cuore.

Passeggiando per la campagna, essi sanno vedere “la fiamma delle cose”, come dicono i cristiani d'Oriente.

 

Parlare a Dio

Questo primo consiglio, “pensare a Dio”, guadagna se si doppia con un altro consiglio: “parlare a Dio”.

In realtà per molte persone il pensiero rischia di rimanere vago, incerto. Il pensiero parlato guadagna in limpidezza, in forza, in consistenza.

Tale consiglio non consiste in un invito a recitar preghiere, ma ad esprimere la propria preghiera con la parola, se non sempre ad alta voce – benché sia facile a chi cammina per le strade di campagna o alla casalinga – almeno interiormente, quando si è in mezzo agli uomini, nelle vie o sui mezzi di trasporto.

Parlare a Dio, lodandolo per ciò che è, per ciò che fa. Manifestargli i propri sentimenti molto semplicemente, come un figlio al proprio padre.

Ripetergli: “io voglio ciò che tu vuoi”; e con ciò io aderisco a lui. Intrattenerlo sulle persone che mi circondano o che occupano i miei pensieri.

Un ragazzo che conosco ha meravigliosamente progredito nell'intimità con Dio grazie all'abitudine che ha preso, durante le sue giornate, di rivolgersi alternativamente a ciascuna delle tre Persone divine, al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo: secondo il legame che lo unisce ad ognuna.

 

Boe

Per pensare e parlare a Dio nel corso della giornata, alcuni sentono la necessità di aggrapparsi a ciò che chiamerò '’boe’. Questo è il mio terzo consiglio.

Si rischia assai facilmente di essere sommersi dalle attività, dalle preoccupazioni, dal vagabondaggio cerebrale. Queste boe sono versetti della Scrittura, frasi della liturgia che concretizzano la nostra preghiera.

Un'assistente sociale di mia conoscenza ha annotato nelle ultime pagine della sua agenda alcuni testi che l'hanno colpita. Ogni mattina ne sceglie uno, quello che sveglia il suo appetito spirituale, se così posso dire. Durante il giorno lo ripeterà dieci, venti, cento volte.

Altri preferiscono, nel corso del le loro occupazioni, attingere nella memoria versetti che sono cari: “O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome in tutto l'universo” (Sal 8,2). “Al Signore, innalzo l'anima mia” (Sal 25,1). “L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente” 42,3). “Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente, santo è il suo nome» (Lc 1,49).

Questa pratica di una breve formula di preghiera ripetuta frequentemente non è propria del cristianesimo: tutte le religioni ne hanno sperimentato i benefici. Cois, le religioni dell'Indo vantano il “japa”, che è l'azione di lanciare verso Dio un “mantra” (breve formula di preghiera). Il “guru” dà al proprio discepolo, al termine della sua iniziazione, il “mantra” adatto al suo temperamento, alla sua grazia, alla chiamata di Dio, e che lo accompagnerà per tutta la vita. E perché non cantare o canticchiare queste brevi preghiere quando si è soli?

 

Immersione

Altro consiglio: le 'immersioni' (ancora un paragone acquatico!). Era il consiglio che dava Lorenzo della Risurrezione. Questo umile frate carmelitano del 1600, cuoco del suo convento, era diventato un consigliere spirituale molto apprezzato. Egli possedeva un segreto molto semplice: all'artigiano della sua strada, come alla grande dama della corte, egli raccomandava di immergersi in se stessi molto spesso durante la giornata, per alcuni decimi di secondo, e li adorare la santa Trinità presente nel profondo dell'anima. Pratica capitale.

Sul piano spirituale, essa costituisce un atto di fede. Sul piano psicologico, essa conduce ad una interiorizzazione progressiva e rende sempre più atti a percepire le ispirazioni interiori dello Spirito di Dio.

Si comprende che per molti sia stata una efficace iniziazione alla vita mistica.

 

La Parola di Dio

Il mio ultimo consiglio sarà un invito a comunicare con la Parola di Dio.

Infatti pregare non è soltanto, non è anzitutto, parlare: è anche ascoltare.

Nella vita caotica di oggi, molti cristiani non trovano il tempo di leggere abbastanza lungamente la Scrittura. Ma chi non può trovare, parecchie volte ogni giorno, due minuti per aprire il suo Vangelo tascabile e attingervi un passo?

All'inizio forse ci si troverà smarriti, ma se si ha cura di sottolineare con matite rosse, blu o gialle i passaggi che risvegliano un'eco nel 'cuore', si sarà presto in grado di trovare, con un colpo d'occhio, un versetto stimolante.

Così, prima di iniziare un lavoro o aspettando l'autobus, oppure in macchina al semaforo rosso, si prende l'abitudine di comunicare con una piccola parte della Parola di Dio. E si scopre con gioia che “non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4, 4).

 

La preghiera continua

Chi si sarà lungamente esercitato nella preghiera frequente, un giorno, giungerà alla preghiera incessante.

Interroghiamo un fidanzato: egli sarà molto sorpreso se gli domandiamo quante volte al giorno pensa a colei che ama. “Ma, senza interruzione!”, risponderà. Per chi ama Dio non sarà la stessa cosa? Se non riusciamo a pensare a Dio lungo tutta la giornata, non è forse perché manchiamo di provare per lui un amore profondo che aspira alla sua presenza dal mattino alla sera?

È vero, un amore vivo per Dio è una preghiera vivente. Tuttavia, come abbiamo visto, è auspicabile che esso si traduca, altrimenti rischia di declinare. E, se noi l'esprimiamo, esso diverrà un fuoco che brucia senza estinguersi.

 

La preghiera stessa di Cristo

Ogni cristiano dovrebbe aspirare a raggiungere, nel profondo del proprio ‘cuore’, Cristo presente, vivente, orante. Aderire alla sua preghiera, farla propria.

In una prima fase, ciò esigerà da parte sua atti deliberati. Ma verrà un giorno in cui questa preghiera s'imporrà da sé. Quando lo spirito non è più accaparrato dal lavoro, subito si ritrova in sé, palpitante, la piccola fiamma.

Evidentemente ciò suppone un'ascesi: voglio dire uno sforzo sincero, perseverante per calmare i vari appetiti che si manifestano a tutti i livelli dell'essere – corpo, sensibilità, affettività, immaginazione, memoria, intelletto – e compromettono la pace, il silenzio interiore e rischiano fortemente di soffocare nel fondo dell'essere la voce discreta dello Spirito di Cristo, che mormora: “Abbà, Padre amatissimo!”.

Non bisogna avere dubbi: chi si esercita con perseveranza a pregare frequentemente, chi prende l'abitudine di raggiungere Dio in se stesso, di identificare nella propria interiorità la preghiera di Cristo e di aderirvi, un giorno arriverà a poter dire come sposa del Cantico dei cantici: “lo dormo, ma il mio cuore veglia”; io lavoro, cammino, mi riposo, ma il mio cuore veglia.

 

* fondatore delle Equipes Notre-Dame

Fonte: La preghiera Interiore, editrice Àncora, Milano 1988

Sintesi della Redazione

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Pensiamo a molte cose durante la giornata: quante volte pensiamo a Dio?

•          Durante la giornata incontriamo diverse persone, conversiamo con loro: quante volte parliamo a Dio?

•          Dio ci parla con la sua Parola, ma se non l’abbiamo a portata di mano, come facciamo ad ascoltarlo?

•          Abbiamo fatto esperienza di preghiera orientale? Ci è piaciuta? Se sì, cosa manca alla nostra preghiera per essere ugualmente valida?

 

12-COME PREGARE SEMPRE

Il tema della preghiera continua si può anche approfondire con un testo di Rodolphe Plus del 1927.

Il libro è strutturato in due parti.

I principi: 1. Pensare sempre a Dio è impossibile; 2. Pensare sempre a Dio non è necessario; 3. Pensare spesso a Dio è utilissimo.

La pratica: 1. Fare bene la propria preghiera; 2. Trasformare tutto in preghiera; 3. Seminare in tutto un po' di preghiera.

Il libro, ripubblicato più volte, è ancora oggi disponibile in diverse edizioni, sia in versione elettronica che cartacea.

 

 

13-LA PREGHIERA ORIENTALE

Non parlo volentieri di “preghiera interiore”. Non capisco come possa esserci una preghiera che non sia interiore: qualunque forma di preghiera è essenzialmente interiorità.

Oggi tuttavia questa espressione viene usata per esprimere quelle preghiere amorfe, istintive, che non sono precisamente di ispirazione cristiana, ma di carattere psicologico. Più che a contenuti veri e propri, la definizione corrisponde ad un modo di dire abbastanza in voga, ma fa problema poiché il termine “preghiera” viene caricato di caratteri dai confini piuttosto vaghi.

Le preghiere orientali, quelle di tipo induistico o buddistico, sono atteggiamenti involutivi, che portano l'uomo ad andare dentro sé, fino al punto di scoprirsi prigioniero: mi domando come sia possibile definire “preghiera” esperienze di questo tipo.

La preghiera cristiana è essenzialmente apertura ad un Altro: quando una persona decide di scomparire in sé dimenticando tutto e tutti perché non c'è nulla all'infuori di lei, anche se si muove a livello psicologico e non metafisico cade comunque in un nonsenso.

Io mi conosco conoscendo. Sant'Agostino pregava così: “Signore, che io ti conosca per conoscermi”.

Si tratta di situazioni creaturali dalle quali non si può prescindere, mentre queste religioni, come le definiamo culturalmente, chiudono l'uomo in un'assolutezza che non ha e escludono tutto ciò che non ha nell'uomo il punto di riferimento. Su questa strada, l'uomo può anche impazzire, vaneggiare, illudersi.

+ Anastasio Ballestrero

Tratto da: Dio, l’uomo e la preghiera, Società Editrice Internazionale, Torino 1990

 

14-LA COPPIA E LA PREGHIERA

Pregare come coppia è acquistare la consapevolezza che Gesù, nel sacramento del matrimonio, è venuto a noi e rimane sempre con noi.

 

Pregare con i figli significa lasciar loro in eredità la fede, farli sentire amati da un amore eterno che va oltre e viene prima di quello di mamma e papà.

Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio Padre onnipotente, nell'unita dello Spirito Santo, ogni onore e gloria...

 

di Renzo Bonetti*

Quando mi capita di condividere con qualche coppia di sposi il discorso sulla preghiera, emergono subito due diverse obiezioni: una sul ‘tipo’ (cosa si pensa sia la preghiera) e l'altra sulle difficoltà (tempo, luogo, costanza, non sempre corrispondono a una preghiera concretamente vissuta).

 

Obiezioni sulla preghiera

In merito alla prima questione, la risposta più semplice è: "Pregare è dire le preghiere". È la soluzione che danno tutti ed è per questo che i genitori insegnano ai figli fin da piccoli l'Ave Maria e l'Angelo di Dio.

Con ciò non si intende disprezzare o dare meno valore al "dire le preghiere" ma è necessario approfondirlo per renderlo davvero fruttuoso e importante per la vita. L’altra questione riguarda le difficoltà che si interpongono con l’impegno della preghiera costante. L’obiezione più frequente è “non ho tempo per pregare”.

Sarebbe interessante verificare con quali attività si occupano le giornate e fare un confronto; cioè posso dire di non avere tempo quando sto due ore davanti alla Tv?

Un'ulteriore difficoltà è rappresentata dalle distrazioni o dalla fatica a concentrarsi, perché la vita di casa è continuamente sollecitata da eventi che disturbano: il telefono, il cellulare, un figlio piccolo, la lavatrice che si ferma, il campanello che suona…

Quanto fin qui esposto testimonia quanto sia indispensabile chiarire bene cosa si intende con il termine ‘preghiera’.

Posto, dunque, che pregare non è recitare formule, dire parole, chiedere, lavorare, ecc., cos'è?

 

Cos’è pregare

Pregare è avere un Tu con il quale condividere la vita, un Tu al di sopra di tutti gli altri e attraverso Lui ogni altro ‘tu’: marito, moglie, figli, amici, colleghi...; è avere il riferimento assoluto.

Non c'è preghiera se non prende consistenza questo Tu che mi ha pensato prima della creazione del mondo, che mi sta amando e seguendo proprio ora, anche se non sono attento, anche se non lo prego.

Non si tratta evidentemente di un Tu generico, distratto da troppe cose per potersi prendere cura di te. Non è troppo impegnato per problemi e cose più importanti. Non dobbiamo attirare la sua attenzione. Non è neanche un Tu che vuole riscuotere la tassa della preghiera.

È un Tu ben identificato, del quale hai intuito la presenza nel cammino di crescita cristiana, forse durante l'infanzia o l'adolescenza.

Se dunque la preghiera è rivolgersi a un Tu amante, dal quale sei generato e al quale sei chiamato a rispondere, allora è fondamentale conoscerlo, è importante sapere chi è questo Tu e chiamarlo per nome, perché solo entrando in relazione con Lui scopri chi sei!

Alcuni esempi per far comprendere meglio quanto andiamo argomentando: è parlando con mia moglie che capisco di essere marito e riesco a vivere pienamente la coppia; è parlando con papà che capisco di essere figlio: nella misura in cui sto con lui, lo ascolto, mi lascio prendere in braccio, mi lascio amare, cresce in me la consapevolezza forte e radicata di essere figlio, cioè divento me stesso; è parlando con mio figlio che comprendo di essere padre.

Pregare significa accogliere, parlare, ascoltare, corrispondere al dono di un ‘altro’, che per noi cristiani ha un nome, un volto e si chiama Gesù.

 

Quanto e come pregare?

La domanda non è casuale, perché se la preghiera è fatta di formule è giusto ragionare sulla quantità minima e massima da tenere!

Se pregare significa rivolgersi a un Tu e lasciarsi amare per amarlo è logico concludere che non esiste una quantità di preghiera, ma si è chiamati a pregare sempre senza interruzione.

Per esempio: posso stabilire a priori quante volte al giorno devo parlare con mia moglie? È chiaro che non si può ragionare sulla quantità.

Come pregare? Un Ave Maria detta sbadigliando ha ugualmente un grande valore ma pensiamo alla coppia. Anche con mia moglie o con mio marito posso parlare sbadigliando, in maniera distratta ma so che la cosa più bella è dire: “Amore, cosa c’è? Cosa mi vuoi dire?”.

Passare dal quanto al come vuol dire avere capito come dovrebbe essere la nostra preghiera: continua e costante, non perché recitiamo preghiere in continuazione, ma perché Lui è lì con me sempre quando gli parlo. Proprio come due innamorati.

Questo tipo di preghiera può essere vissuto sia come coniugi che come famiglia con i figli.

 

Pregare con Gesù

La novità assoluta che dà nuova forma alla preghiera degli sposi è lo stare con Gesù nella luce-forza dello Spirito Santo. È importante ribadirlo, perché solitamente la preghiera di coppia si identifica con quella che si faceva da bambini, che si continua a praticare da adulti e poi anche da sposati, senza alcuna evoluzione. Sarebbe questa la novità?

Se i coniugi pregano uno accanto all'altro, sono come due amici o due consacrati, suore o frati, che si trovano a pregare insieme. Che diversità ci sarebbe?

La novità è strettamente legata alla celebrazione del rito del matrimonio, perché da quel momento non si può più parlare di due singoli battezzati che recitano insieme delle formule, ma di un uomo e una donna consacrati nelle nozze; diventati sacramento di Cristo.

Lui è con gli sposi sempre, ogni giorno. Forse è questo il passaggio più difficile da accogliere, credere e sperimentare.

La presenza di Gesù nel matrimonio, dà volto e modalità nuova alla vita di famiglia, novità che non tocca solo il tempo ordinario degli sposi, ma anche la preghiera, fino ad abbracciare tutta la vita. Così vita e preghiera diventano strettamente connesse.

Prendiamo come riferimento il sacerdozio.

Non c’è atto rituale che il prete fa in nome di se stesso, neanche la preghiera, perché tutte sono nel nome di Gesù.

Il rito della consacrazione termina con queste parole: “per Cristo, con Cristo e in Cristo…”: è la grande dossologia finale. Proviamo a trasporle nella vita coniugale.

 

Per Cristo

Sono parole che sentiamo sempre durante la Messa e che possiamo trasporre anche nella vita coniugale.

È bello quando una moglie si accorge che il marito ha fatto quel gesto o ha preso quell'iniziativa per lei; è bello quando un marito si accorge che la moglie ha organizzato una sorpresa o un evento per lui: vuol dire che nel cuore di ognuno è presente l'altro.

L'essere per amore accanto al coniuge qualifica la vita di coppia e lo stare insieme. Allo stesso modo, essere e vivere per Gesù è decisivo, è vera dedizione d'amore; cercare la relazione con Lui singolarmente o in coppia, significa riconoscere la sua presenza.

Il primo modo di esprimere la riconoscenza per la presenza di Gesù in mezzo a noi, è la preghiera di lode. Quali parole diciamo alla moglie o al marito quando tornano a casa dopo una giornata di lavoro? Che bello rivederti! Che bello che sei qui! Finalmente: ti aspettavo!

Allo stesso modo siamo chiamati a lodare e benedire Gesù per la Sua presenza nella nostra vita di coppia, nel vissuto quotidiano.

Lui c'è: Grazie, Signore, ti ho visto! Sei grande! Ti ho riconosciuto in questa circostanza!

La preghiera "per Cristo" può avere una continuità nell'agire di ogni giorno e ciò avviene se impariamo a mettere ogni azione, pensiero o gesto che compiamo per Lui, una buona intenzione.

Faccio il bucato per Te, faccio la lavatrice per Te, faccio il pasto per Te, vado a lavorare per Te significa fare le cose nel modo migliore.

 

Con Cristo

Gesù è presente negli sposi non è solo da lodare, benedire e ringraziare, ma è il Signore che desidera coinvolgere gli sposi nel suo amore e, in virtù del sacramento ricevuto, proseguire con loro la sua missione per raggiungere ogni persona.

Gli sposi, nella loro libertà, sono chiamati a dire ‘si’ a questo Sposo divino e lasciarsi sostenere da Lui.

Immaginiamo per un attimo la distanza che si crea tra noi e il Signore quando sappiamo che Lui ama quella determinata persona che vive in casa o che troviamo in ufficio (la suocera, la mamma invadente, il fratello brontolone...), e noi invece no; anzi, addirittura, la ignoriamo o la giudichiamo. Quanto siamo lontani dal Signore!

Come facciamo a sapere se stiamo pregando con Gesù? La verifica è se le nostre invocazioni si limitano alle nostre personali e immediate necessità o, al massimo, si allargano a qualche parente o amico, oppure se ampliamo il nostro orizzonte alle necessità di chi nemmeno conosciamo.

Questa preghiera di intercessione può essere collocata in un tempo preciso della giornata, oppure quando la vita mi provoca. Ad esempio, se vedo qualcuno che cammina male prego per lui: Signore, dagli una mano, raddrizzalo, almeno nel cuore se non puoi raddrizzarlo nel corpo. Un simile modo di pregare può essere insegnato ai figli, così che la loro attenzione non sia rivolta soltanto al tornaconto personale.

 

In Cristo

Infine approfondiamo il contenuto della terza formulazione: in Cristo, che, per la coppia, costituisce il vertice del pregare insieme.

Nonostante il senso di indegnità personale, si gioisce perché Lui c’è e fa sgorgare la riconoscenza.

Anche con tutto quello che ho detto e pensato oggi, con tutto quello che ho brontolato, Tu sei comunque qui; non disdegni mai la nostra compagnia.

È la preghiera più bella.

Ripetere per Cristo, con Cristo e in Cristo non è l’obiettivo ultimo della preghiera, poiché la coppia è chiamata ad arrivare al Padre … a te, Dio padre onnipotente… ogni onore e gloria.

Proprio il Padre Nostro è fondamentale in una famiglia perché ci rende tutti fratelli, con il solo scopo di conoscere, amare, lodare e onorare il suo Nome.

C’è ancora un punto da approfondire: nell’unità dello Spirito Santo.

Perché invocare lo Spirito? Chi rende possibile la presenza di Gesù? Lo Spirito Santo.

Solo in Lui cogliamo la presenza di Cristo; è Lui la fonte, la forza, la realizzazione dell'unità; solo Lui realizza l'unità d'amore del Padre e del Figlio; solo Lui crea la comunione di ogni coppia con Gesù e realizza ogni forma di comunicazione tra noi, Gesù e il Padre.

È Colui rende possibile l'impossibile.

 

Il segno della Croce

Recuperiamo così ciò che contraddistingue da sempre i cristiani: il segno della croce, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. È il segno familiare della casa, è la nostra carta di identità, il modo di esprimere l'essere immagine e somiglianza della Trinità.

Il segno di croce fatto bene in varie circostanze, invocando lo Spirito, ci aiuta a stare dentro questo mistero di amore; ripeterlo spesso è cosa preziosa, non come forma di scaramanzia, quasi per mandar via le mosche dalla vita, ma perché ci fa sentire a casa, perché in quel segno, nei Tre, c'è la vita.

 

* teologo, presidente Fondazione Famiglia Dono Grande

Tratto da: Un po’ di tempo per Dio e per noi. La preghiera degli sposi cristiani, Edizioni Porziuncola, Assisi 2022

Sintesi della Redazione

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          La preghiera è relazione con un altro ‘Tu’. Che tipo di relazione abbiamo con Dio? Di pura cortesia, indifferenza, conflittuale, amante?

•          L’essere sposati nel Signore cosa ha cambiato nella nostra relazione?

•          ‘Per Cristo’, ci impegniamo ad amare l’altro, ‘con Cristo’ ci impegniamo ad amare il prossimo, ‘in Cristo’ poniamo tutta la nostra vita. Quanto tutto questo è vero nella nostra relazione di coppia?

•          Lo Spirito Santo rende possibile l’impossibile. Lo preghiamo?

 

15-PREGARE COME COPPIA

● Pregare come coppia significa aprire il cuore all'intimità con lo Sposo Gesù, entrare nella stanza nuziale interiore dove poter amare e lasciarsi amare da Lui, crescere nell'amore come sposi per essere sposa con Gesù.

● Pregare come coppia significa entrare nella stanza superiore per stare alla Sua presenza; per innamorarsi sempre più, mantenendo lo sguardo fisso su di Lui, acquistando come coppia la consapevolezza che Gesù, nel sacramento del matrimonio, è venuto a noi e rimane sempre con noi.

● Pregare è come dire ‘ti amo’ al proprio coniuge; e quindi la preghiera è questo dire ‘amore’ a colui che ci ha unito e si è unito a noi, il Signore Gesù. Qualcuno potrebbe pensare che queste parole sono state scritte da persone speciali. Non è così. Ecco alcuni stralci:

– Dopo anni di matrimonio ci siamo accorti della difficoltà di pregare insieme; c'era pudore, quasi vergogna, imbarazzo.

Dopo aver buttato giù le barriere cadono una dopo l'altra anche le barriere invisibili, cresce l'intimità e si impara a scoprire e condividere la propria anima con l'altro.

– La preghiera aiuta a guardare se stessi e l'altro con gli occhi di Dio, e vedere anche gli avvenimenti alla Sua luce, diventando capaci di discernere quello che conta davvero.

– La preghiera porta a una maggiore intimità, ci aiuta a conoscersi meglio, a scoprire le ansie, le paure, le necessità del coniuge.

Abbiamo sperimentato che quando preghiamo insieme c'è una forza e una efficacia diversa. Inoltre ci fa maggiormente prendere coscienza dei doni ricevuti.
Renzo Bonetti

 

16-PREGARE CON I FIGLI

● Vogliamo pregare con i figli per condividere e donare loro la cosa migliore. Si va in cerca delle cose più importanti per i figli e la preghiera è una di queste; in essa si sperimenta il fare famiglia ‘grande’, l'essere collegati con tanti fratelli che dicono la stessa preghiera.

Basta un Padre nostro a creare la coscienza – pensa a quanti nel mondo, in questo momento, stanno ripetendo la stessa preghiere – e farli sentire fratelli. Cioè entrano veramente in un altro mondo, quello che noi chiamiamo il Regno di Dio.

● Pregare con i figli significa lasciar loro in eredità la fede, farli nascere al Cielo, far gustare e assaporare il divino, farli sentire amati da un amore eterno che va oltre e viene prima di quello di mamma e papà.

● Pregare con i figli perché anche loro possano, se sono piccoli, cominciare a comprendere che Gesù è in casa nostra; se sono già più grandi o non ne hanno voglia, non forzarli ma cercare qualche sussidio più accattivante che renda la preghiera più piacevole, comunque lasciarli liberi.

I figli hanno bisogno di vedere e ascoltare il papà e la mamma che pregano e così imparare a farlo con loro e per loro.

● Pregare con i figli, è utile per insegnare loro che la preghiera è un dono per far comunità, per far famiglia ‘grande’, e aiuta a sentire Gesù presente. Non si tratta di imporre ai più piccoli dei ritmi monastici di preghiera che rischiano solo di portare al rifiuto, ma di far sentire loro fin dalla prima infanzia che Gesù è uno di casa; per cui rivolgersi a Lui diventa naturale, è un piacere e fonte di serenità e sicurezza. Si tratta di far assaporare una ‘presenza’; un segnale forte che la preghiera in famiglia funziona, è quando i figli la ricordano o la chiedono. Così la relazione con Dio cresce spontanea.

Renzo Bonetti

 

17-PREGARE COME CHIESA

Il cristiano non prega bene che come Chiesa

 

Dopo il mio battesimo, che io lo voglia o no, io prego insieme a tutti i miei fratelli in Cristo, quelli della terra e quelli del cielo.

Nell’eucaristia offriamo al Signore la nostra vita: è lì che la preghiera raggiunge il livello più alto.

 

di Henri Caffarel*

Dopo aver tanto parlato di preghiera non vorrei che questa vi apparisse unicamente sotto il profilo di un colloquio personale con Dio.

È essenziale coglierne la dimensione ecclesiale. Il cristiano non prega bene che come Chiesa.

Cristo, per farci cogliere la sua stretta unione con i suoi, ricorre all'espressione: “Voi in me, io in voi” (cf. Gv 6,56-57 e 15,4). Questa asserzione i Padri della Chiesa la illustreranno con vari paragoni: il ferro è nel fuoco e il fuoco è nel ferro, la spugna nell'oceano, l'oceano nella spugna... il cristiano è in Cristo, Cristo è nel cristiano.

Ne consegue che se Cristo è in me, vive in me, prega in me.

L'altra prospettiva, io in lui, è non meno essenziale. Dopo il mio battesimo io vivo in lui, in lui io prego. Cristo è il mio luogo di preghiera. Fuori di Cristo non c'è autentica preghiera cristiana.

Ma allora subito si impone un'evidenza: tutti i cristiani, come me, sono in Cristo. Quindi, pregare in Cristo è necessariamente raggiungere in lui la folla immensa di tutti i miei fratelli: quelli della terra, quelli del cielo, quelli del purgatorio. Così, che io lo voglia o no, io prego con questa folla, in mezzo a questa folla. E questa folla, riunita in Cristo, ha un nome: la Chiesa.

Cosi l’affermazione: “fuori di Cristo non c’è preghiera”, devo ora raddoppiarla con quest'altra: fuori dalla Chiesa, fuori dalla grande comunità dei fratelli cristiani, non c'è preghiera cristiana autentica. La Chiesa è il mio luogo di preghiera.

Pregare come Chiesa: l'argomento è ampio. Devo limitarmi a tre formule: tutti per ciascuno, ciascuno per tutti, insieme per Dio.

 

Tutti per ciascuno

San Paolo, per iniziarci al mistero della ricorre al paragone del corpo umano.

Esso ha il gran merito di presentare i cristiani non come giustapposti all'interno della Chiesa, ma strettamente uniti e organicamente solidali come le membra di un corpo: la mano ha bisogno del cervello che comandi i suoi movimenti, ma altrettanto dei nervi, dei muscoli, del cuore che gli invii il sangue, e di tutti gli altri organi.

Nel Corpo di Cristo io ho bisogno di Cristo, il Capo del Corpo, ma anche di tutte le altre membra, sia per vivere che per agire e per pregare. È sbagliato pensare: io voglio, sì, dipendere da Cristo, ma non dai miei fratelli cristiani.

Grazie a questa dipendenza vitale nei confronti delle altre membra del Corpo, ricchezze spirituali affluiscono in me da ogni parte e in grande abbondanza.

Da questi fratelli che, coscientemente o inconsciamente, mi comunicano i loro tesori spirituali – dai benedettini, che cantano la lode del Signore; dai malati, che offrono le loro sofferenze unite a quelle di Cristo; dal Papa, che recita il suo breviario; dal contadino sul suo trattore; dal ricercatore scientifico.... –tutte queste ricchezze vengono a me, come i torrenti si gettano nel fiume.

Io non dimenticherò, strette invisibilmente attorno a me, le anime sofferenti del purgatorio, che non possono più niente per se stesse, ma la cui preghiera è totalmente disponibile per noi. E tutti quelli del cielo che vedono Dio, faccia a faccia, e incessantemente intercedono per i loro fratelli della terra.

Ma c'è qualcosa di più ammirevole ancora: attraverso questa folla di fratelli, che mi circondano da ogni parte, è Dio stesso che mi raggiunge, mi tocca.

Come, sul piano fisico, Dio si associa alla terra, al sole, all'ossigeno all'aria, agli uomini, in una parola a tutto l'universo fisico, per lavorare alla mia crescita, per farmi vivere, allo stesso modo nella Chiesa, questo universo spirituale nel quale io, cristiano, sono immerso, Dio ricorre a tutti i suoi figli, miei fratelli, per manifestarsi e per donarsi a per costruire in me il figlio di Dio.

Io penso a quante innumerevoli persone – genitori, sacerdoti, amici – sono intervenute concretamente nella mia vita: attraverso le loro parole, il loro amore, il loro sorriso o la loro rudezza era Dio che mi formava, e continua a farlo.

Ma io penso anche a tanti altri, sconosciuti, che senza alcun dubbio sono stati gli strumenti di Dio nei miei confronti. Io penso particolarmente ai fratelli del cielo e, specialmente, a Maria. Io so, con certezza di fede, che Dio l'associa a sé in tutta la sua azione santificatrice. Poiché Maria è indissolubilmente unita a suo Figlio, mi trasmette la vita divina: ella è mia madre.

La preghiera è il momento privilegiato, sia per prendere coscienza di questo ammirabile dogma della comunione dei santi, che ho appena delineato, sia per aprirmi, attraverso la presenza amante dei miei fratelli, all'amore e all'azione del Padre dei cieli, impaziente di trasformarmi ad immagine del suo Figlio.

 

Ciascuno per tutti

Se io ho bisogno di tutte le membra del Corpo di Cristo, a loro volta tutti hanno bisogno di me. Io ho una vocazione in questo grande Corpo che è la Chiesa, così come la mano, il cuore, i polmoni hanno ciascuno un ruolo da svolgere a beneficio dell'intero corpo.

Che io voglia o no, col mio essere e con la mia vita, io esercito in tutto il Corpo una influenza felice o nefasta. “Ogni anima che si eleva, eleva il mondo”, è stato detto; e Mauriac completava: “Il giorno in cui voi non brucerete vi saranno altri che moriranno di freddo”.

Tutti hanno bisogno di me: e ciò è eminentemente vero dei membri della Chiesa terrestre, “militante”; ma non lo è meno della Chiesa “sofferente”, del purgatorio, dove si trovano i nostri defunti, a cui noi pensiamo più o meno, come pure la folla di quelli a cui nessuno pensa più sulla terra, per i quali nessuno prega. È mio dovere lavorare per la loro liberazione.

Quanto ai santi del cielo, da una parte essi non hanno più bisogno del mio aiuto, ma lasciando fruttificare in me le grazie di Cristo, io posso rallegrarli, dar loro motivo per una lode nuova. E tutto questo è evocato da “ciascuno per tutti”.

Praticamente, quando io andrò alla preghiera:

- Mi situerò in mezzo alla grande assemblea dei miei fratelli, unirò la mia voce alla loro, inserirò il mio canto in quello del grande coro.

- Non mi contenterò di pregare con loro, io pregherò per loro.

Domanderò per loro i beni di cui Dio vuole colmarli. Oserò credere che per la mia preghiera, per quanto povera sia, Dio ha previsto di trasmettere al tale tra i miei fratelli il tale dei suoi benefici.

- E io pregherò a nome loro. Nell'universo di Dio, ciascuno è solidale con tutti presso Dio. Ciascuno, pregando, impegna tutti, fa pregare tutti.

Io l'ho compreso un giorno in cui visitavo una delle nostre celebri cattedrali, con la guida dell'organista accompagnato da una sua nipotina di sei anni.

Dopo avermi fatto ammirare portale, capitelli, vetrate, egli mi condusse ai grandi organi. La bambina gli rivolse una domanda che, dapprima, egli fece finta di non aver intesa. Poi, alla fine, cedette e mise in moto il motore.

La piccola, seduta con gravità sul sedile dell'organista, a un tempo emozionata e ardita, fa risuonare un accordo. Ed ecco la cattedrale si mette a vibrare dalla base alle volte, tutti i vecchi santi di pietra, patriarchi, profeti, martiri, vergini si risvegliano per la lode del Signore. Meravigliata, la piccola dispone per pregare il suo Dio di un suono molto più forte della sua esile voce del coro immenso di tutti i santi che hanno risposto al suo invito, della voce possente dell'antica cattedrale.

Quando io mi rivolgo a Dio, è la Chiesa tutta intera che si trova impegnata dalla mia preghiera".

 

Insieme per Dio

Ogni volta che, durante la preghiera, io penso a questi due aspetti della Chiesa: “tutti per ciascuno” e “ciascuno per tutti”, provo grande amore per questa immensa assemblea di fratelli di cui non posso fare a meno, e che non possono fare a meno di me.

Ma, voi l'avete compreso, non è un'assemblea chiusa, un circolo riservato. Questa assemblea di fratelli è tutta orientata verso Dio: tutti per ciascuno, ciascuno per tutti e, affrettiamoci ad aggiungere, “insieme per Dio”.

Insieme, vale a dire tutte le membra del grande Corpo, con Cristo, centro, cuore, Capo del Corpo, secondo l'espressione di san Paolo.

La preghiera di lode e di intercessione che un tempo Cristo viveva da solo, la notte, sul monte, ora la vive in maniera solidale con tutto il suo Corpo, in tutto il suo Corpo immenso, in tutti coloro – innumerevoli – che, dopo venti secoli, egli ha attirato a sé.

La Chiesa, la grande Chiesa, la Chiesa, e una, è tutta vivente, tutta vibrante, tutta fremente della preghiera di Cristo.

Come nella vita terrena di Gesù vi fu un vertice: la sua offerta sul Calvario, così c'è un vertice della vita della Chiesa, della vita di Cristo nella Chiesa: l'Eucaristia.

A ogni Eucaristia, la Chiesa, la grande Chiesa è là, poiché Cristo è là ed essa gli è inseparabilmente unita, essendo il suo Corpo.

Per quanto modesto sia il santuario, ristretta l'assemblea che vi partecipa, ad ogni Eucaristia esplode la lode di tutti i figli di Dio, riuniti attorno a Cristo.

Avendo vinto il peccato con la sua morte, egli è in mezzo a loro, risorto, glorioso.

E, quando al centro della liturgia eucaristica, il sacerdote proclama: “Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre onnipotente, nell'unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria”, si deve sentire la “moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione razza, popolo e lingua” gridare con voce potente: “Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen” (Ap 7,9.12).

 

* fondatore delle Equipes Notre-Dame

Fonte: La preghiera Interiore, editrice Àncora, Milano 1988

Sintesi della Redazione

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          La dimensione di Chiesa – comunione dei santi – è una realtà che viviamo o prevale in noi la dimensione gerarchica?

•          Quanto è presente la dimensione comunitaria nelle Eucaristie a cui partecipiamo? Cosa possiamo fare, anche come famiglia, per accrescerla?

•          La preghiera eucaristica si conclude con il grande AMEN da parte dell’assemblea. Dopo la lettura dell’articolo sentiamo più nostro questo AMEN?

•          Come santifichiamo la domenica?

 

18-IL TEMPO DI DIO

Nella preghiera liturgica c'è una componente molto importante: quella che potremmo definire l'elevazione del tempo dell'uomo a tempo di Dio.

Il calendario liturgico non è scandito dagli eventi umani: in esso non compaiono la fondazione di Roma o la presa della Bastiglia, bensì la creazione del cielo e della terra, del giorno e della notte. Il ritmo del tempo è enfatizzato dalla liturgia in senso religioso.

Pensiamo invece a che cos'è diventata la nostra domenica: il giorno del Signore, come cardine della vita del cristiano, svanisce, perde la sua identità. Non solo perché il liberalismo industriale lo considera un giorno come un altro, nel quale far lavorare ugualmente gli operai, magari con paga doppia...

La domenica, purtroppo, è diventata la giornata in cui l'uomo pecca di più, la giornata dell'evasione in cui la gente butta via i soldi e fa indigestione...

Quando leggo il calendario, lo vedo popolato di uomini: Gesù Cristo, la Vergine benedetta, i Santi...

Questa convocazione della corte celeste nel tempo non ci aiuta solo a vivere il mistero della comunione dei Santi: essa nutre anche di speranza i nostri giorni. I Santi sono vissuti ieri, ma sono vivi oggi.

Li ricordiamo mentre cantano, lodano Dio, sono nella sua gloria, vivono un ministero di fraternità...

+ Anastasio Ballestrero

 

19-PICCOLA CHIESA NELLA GRANDE CHIESA

Perché partecipare all'Eucarestia domenicale? Perché significa vivere la Pasqua settimanale e gioire per la certezza della resurrezione: il Signore è risorto, è vivo ed è in mezzo a noi!

E il fondamento della nostra fede, del fare comunità e del matrimonio.

L'Eucarestia domenicale è Gesù in che prega con noi e rinnova il suo gesto d'amore: Prendete e mangiare, prendete e bevete.

Quando pronunciamo le parole ‘per Cristo, con Cristo e in Cristo’, offriamo al Signore la settimana che sta per iniziare e la nostra vita: è lì che la preghiera raggiunge il livello più alto.

Attorno all'altare, all'unico pane e all'unico calice la famiglia sperimenta ed esprime lo scopo dell'essere piccola chiesa, di partecipare alla grande famiglia domenicale, sapendo però che quella è ancora un primo annuncio della famiglia definitiva che vivremo in cielo.

Per godere pienamente questo "far parte", la coppia è chiamata, sia come coniugi che come genitori, a preparare le letture, a coinvolgere i figli, a fare proprio l'entusiasmo dell'Eucarestia domenicale comunitaria per cui si è più aperti e disponibili al saluto, all'accoglienza, alla conoscenza, a sostare.

Inoltre bisogna imparare a “connettere" la tavola di casa all'altare, il pranzo domenicale al pane spezzato e condiviso in chiesa, perché è quella mensa eucaristica che dà significato alla mensa familiare, ed è quella casalinga che impara come deve essere la tavola della chiesa.

Renzo Bonetti

 

Uomini e donne nella Bibbia

20-DONNE CHE PREGANO

La cananea, Elisabetta, la vedova povera, tre diversi modi di pregare il Signore

 

Attraverso gli incontri di alcune donne con Gesù Ferruccio Ceragioli ha voluto proporre un’introduzione alle varie forme di preghiera. Le tre qui presentate ci parlano della preghiera di domanda, di quella di lode e quella di offerta.

 

La cananea (Mt 15,21-28)

Il grido è la preghiera dei poveri perché Dio si presenta a Mosè come colui che ascolta il grido di Israele.

 

L’episodio della Cananea ci mette direttamente a confronto con il senso della preghiera di domanda o di supplica.

E tuttavia è questa la forma di preghiera che viene oggi forse più messa in discussione a livello teorico, ma anche pratico, o perché viene ritenuta inutile o perché viene ritenuta indegna di Dio e dell'uomo.

Per alcuni pregare domandando qualcosa al Signore non serve a niente. Dio ha i suoi piani e non li cambierà certo per le nostre suppliche: lo scandalo del male, dell'ingiustizia e della violenza che distruggono il nostro mondo ne sarebbero evidente testimonianza.

Per altri la preghiera di domanda sarebbe indegna dell'uomo adulto e corrisponderebbe a uno stadio infantile dell'esistenza.

Sono i bambini che chiedono, l'uomo adulto deve sapersi gestire da sé.

Ma questa preghiera sarebbe anche indegna di Dio: Dio infatti conosce ciò di cui abbiamo bisogno (Mt 6,32), perché dovremmo annoiarlo ripetendoglielo come se non lo conoscesse?

La preghiera di domanda, di fatto, si fonda sulla coscienza della propria debolezza, della creaturalità, ed è possibile solo a partire dal riconoscimento della propria radicale condizione di bisogno e di povertà. Questa è la preghiera dell'uomo biblico.

La Cananea, con il suo accettare l'identificazione con il cagnolino che si accontenta delle briciole che cadono dalla tavola del padrone, ne ha offerto un esempio stupendo.

Certo nella Bibbia la preghiera di lode è presente e abbondante, ma non si può non riconoscere che, da una parte, la preghiera di supplica è indubbiamente quella più attestata e che, dall’altra, per la Parola di Dio non c’è contrapposizione tra supplica e lode.

Forse, alla scuola della cananea, dobbiamo riappropriarci di quella esperienza umana così fondamentale che è il gridare.

Il grido accompagna la nostra vita: dal grido primordiale del neonato che gli consente di introdurre aria nei polmoni

e di iniziare così a respirare, fino a quel grido, magari soffocato, con cui esaliamo il nostro ultimo respiro al momento della nostra morte.

Ma quante volte non gridiamo per timore delle convenienze, per dare una immagine di noi stessi sempre controllata e in ordine, per timore del giudizio degli altri. Molti uomini e molte donne della Bibbia, invece, non hanno paura di gridare e di gridare verso Dio come ha fatto lo stesso Gesù sulla croce.

Il grido è la preghiera dei poveri ma non si giunge a questo senza una vera e propria lotta.

La preghiera evoca per molti immagini di pace, di consolazione, di serenità; certamente esse non sono false, ma restano parziali.

Abbiamo visto la lotta che la donna cananea ha dovuto sostenere con Gesù per essere esaudita nella sua preghiera.

Come allora pregare supplicando? Con quali disposizioni rivolgere a Dio le nostre richieste? E ancora che cosa chiedere al Signore? Dobbiamo ancora una volta cercare nel vangelo le risposte a queste domande.

Tre sono gli atteggiamenti di fondo richiesti per imparare a chiedere e a chiedere bene nella preghiera.

Il primo è l'umiltà. Chi ha tutto o crede di avere tutto non chiede niente a nessuno. Non si supplica se non ci si riconosce bisognosi.

Senza umiltà, cioè senza riconoscerci per quello che siamo davanti allo splendore abbagliante e alla grandezza dell'amore di Dio, non può esserci vera preghiera.

Il secondo è la fiducia. Non si chiede a chiunque, ma ci si rivolge a chi sappiamo volerci bene ed essere in grado di aiutarci. E chi più del Padre del cielo ci vuole bene e può intervenire efficacemente in nostro soccorso (Lc 11,11-13)?

Il terzo atteggiamento è la perseveranza. Se non si ottiene subito, non ci si deve scoraggiare, ma continuare con insistenza a chiedere: il Signore ascolterà la nostra richiesta.

Ma quali cose devono essere oggetto della nostra richiesta? Che cosa domandare al Signore? Io penso che, eccetto ciò che è male, al Signore possiamo chiedere tutto, ma davvero tutto, anche le cose più banali. Certo a condizione di ricordarci sempre che chiedere non è la stessa cosa che pretendere.

Ma se l'atteggiamento è quello pieno di fiducia e di rispetto di un bimbo verso la mamma a cui vuole bene, allora si può chiedere tutto. Perché Dio è un Padre che ci vuole bene e si prende cura di noi sempre.

 

Elisabetta (Lc 1,39-56)

Lodare vuol dire essere contenti perché Dio c’è e perché Dio è Dio. Vuol dire riconoscere che la “gloria” di Dio, lo splendore del suo essere, sono per noi la fonte della vera gioia.

 

Due sono le cose che il Signore apprezza quando l’uomo si rivolge a Lui nella preghiera: la lode e la supplica. Della supplica abbiamo già parlato; dobbiamo ora trattare della lode e lo facciamo a partire da due straordinarie maestre come Mara e Elisabetta.

Ma che cosa significa lodare?

Lodare vuol dire essere contenti perché Dio c’è e perché Dio è Dio. Vuol dire riconoscere che la santità, la grandezza, la bontà, in una parola la “gloria” di Dio, lo splendore del suo essere, sono per noi la fonte della vera gioia.

Lodare è rimanere incantati davanti a Dio, stupiti e affascinati dalla sua presenza.

Ma la lode si estende anche ai doni di Dio, sparsi a piene mani nel mondo e nella storia: e allora si dice “Grazie!”; oppure si gioisce per i doni fatti da Dio agli altri e questa gioia diventa lode.

Ecco che allora si svela la radice più perversa dell’invidia. Essa è non voler lasciare a Dio la libertà di distribuire i suoi doni come a lui piace, è non fidarsi di Dio, è pensare che Dio voglia più bene a un altro che non a me.

Vuol dire non riconoscere l'infinità dell'amore di Dio, pensarlo limitato come se il Signore non fosse in grado di amare tutti e ciascuno con tutta la ricchezza e lo splendore del suo essere. Come ci può essere utile allora guardare a Elisabetta! Di fronte a Maria, chiamata a essere la madre del Messia, vocazione che costituiva il sogno segreto di tutte le donne di Israele, non è nemmeno sfiorata dall'invidia e anzi la visita di Maria moltiplica ancora di più la sua gioia e la sua lode. Ma il testo di Luca dice che Elisabetta “fu colmata di Spirito Santo”; è bene sottolinearlo: si entra nello spazio della lode non tanto grazie alla nostra buona volontà o alle nostre straordinarie capacità, ma grazie a un dono dello Spirito di Gesù, che ci insegna a guardare al Padre con lo stesso sguardo del Figlio suo.

Il brano della visitazione ci aiuta a capire ancora almeno altri due aspetti della lode: la lode come testimonianza e come fonte di comunione. La lode è testimonianza: raccontare nella gioia, come fa Maria nel suo canto, la propria esperienza della salvezza di Dio e le sue grandi opere a favore dei nella storia non è precisamente testimoniare, annunciare la buona novella ai fratelli? E non è il circolo virtuoso della lode instauratosi tra Maria ed Elisabetta a generare tra queste due madri una comunione profondissima, proprio perché mettono in comune, condividono i grandi doni ricevuti dal Signore?

Lodare è testimoniare, è annunciare, è fare comunione: per questo bisogna imparare a lodare a nome di tutta l'umanità, anzi di tutta la creazione. Sì, perché la lode non passerà mai.

In questa vita sulla terra “la lode è ciò che rassomiglia di più all'eternità”, perché là tutta la nostra vita non sarà altro che una lode di Dio.

 

La vedova povera (Mc 12,38-44)

È bello che la nostra ultima maestra di preghiera sia di nuovo una donna anonima, umile e semplice, come la vedova povera. In essa ritroviamo tutti quei piccoli, forse, ma straordinari gesti d'amore gratuito dei poveri di tutto il mondo e in lei possiamo ritrovare anche noi stessi, se siamo capaci di riconoscerci per quei poveri, poveretti e poveracci che siamo.

La vedova povera ci insegna che la preghiera è fare della nostra povera vita una offerta al Signore.

Vale però la pena approfondire questa realtà, anche per non farsene idee sbagliate. Infatti, si potrebbe pensare che fare della nostra vita un sacrificio gradito a Dio comporti versare il proprio sangue come i martiri o, quantomeno, fare gesti straordinari, rinunce grandiose, penitenze scarnificanti.

Ma non bisogna tuttavia fraintendere il senso del sacrificio o dell'offerta di sé, come purtroppo è spesso avvenuto in passato, quasi che Dio volesse il nostro sangue, la nostra mortificazione, la nostra rinuncia a quanto c'è di buono, bello e grande nella vita e non, invece, la pienezza della nostra vita e della nostra gioia.

Possiamo allora sintetizzare così: la preghiera come offerta della vita vuol dire essere uniti a Gesù nella sua offerta al Padre e con lui mettersi sulla strada di trasformare la preghiera in vita e la vita in preghiera. E farlo prima di tutto a partire dalle cose quotidiane, ordinarie.

Ma l'episodio della vedova povera ci aiuta a penetrare ulteriormente nel senso di questa offerta. Essa, infatti, come abbiamo visto, non offre dal suo superfluo, ma dalla sua mancanza.

Come si può offrire qualcosa da una mancanza?

Significa, innanzitutto, passare dall'interpretare l'amore nel registro dell'avere a interpretarlo in quello dell'essere.

Come ha fatto la vedova che ha donato non solo tutto quello che aveva, ma tutta la sua vita, vale a dire tutto quello che era. E così ha fatto anche Gesù nella sua vita fino alla croce: ci ha donato il suo stesso essere Figlio perché anche noi diventassimo figli del suo Padre amato.

Inoltre, donare ciò che non si ha è anche donare all'altro il nostro desiderio di lui, il vuoto che la sua presenza ha scavato nella nostra vita, la sete che il suo essere ha acceso nel nostro essere.

È quello che ha fatto la vedova del vangelo. Offrire la povertà di quello che siamo (certo i nostri doni e capacità, ma anche i nostri limiti, le nostre incapacità, le nostre paure, i nostri blocchi, le nostre ferite, le nostre cicatrici... e anche i nostri peccati); quanta pace in questo e quanta gioia nel sapere che questa offerta è gradita al Signore!

 

Ferruccio Ceragioli è docente presso la Facoltà Teologica di Torino.

L’articolo è tratto da: Imparando dalle donne del Vangelo. Un’introduzione alla preghiera. Effatà Editrice, Cantalupa (TO) 2023

Sintesi della Redazione.

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Chiedere aiuto al Signore: ma poi se Lui non risponde, non ci esaudisce? La preghiera di supplica serve a qualcosa?

•          Come lodare il Signore se nel quotidiano il malvagio prospera e il giusto soffre?

•          Donare tutta la nostra vita al Signore: ci fidiamo o abbiamo timore che ci chieda troppo?

•          Ogni tanto facciamo ricorso ai Salmi, libro di preghiera per eccellenza?

 

21-LA RIVISTA E LA PREGHIERA

Nel corso degli anni la rivista ha trattato, partendo dalla revisione di vita e dalla lectio, le più varie forme di preghiera

 

a cura della Redazione

Abbiamo provato a scorrere gli indici dei quasi trent’anni di vita della rivista per individuare (forse) tutti gli articoli sulla preghiera pubblicati.

Di seguito trovate il loro elenco.

 

GF34 - febbraio 2001

PREGARE CON I NOSTRI FIGLI. Piccoli suggerimenti (Donatella e Alessandro Francioli)

 

GF50 - marzo 2005

PREGARE: COME?

A livello personale, di coppia, di gruppo. (AAVV)

 

GF56 - settembre 2006

UN CAMMINO DI FEDE ADULTA. L’incontro quotidiano con il Risorto. (Anna e Guido Lazzarini)

 

GF61 - marzo 2008

L’ESAME DI COSCIENZA.

Porre la nostra giornata davanti a Dio. (Marco I. Rupnik)

 

GF62 - luglio 2008

IL DISCERNIMENTO PERSONALE. Valutare le scelte fatte. (Lino Tieppo)

 

GF63 - novembre 2008

IL DISCERNIMENTO DI COPPIA. Condividere ciò che è essenziale. (M.G. e U. Bovani)

 

GF65 - giugno 2009

LA SPIRITUALITÀ CONIUGALE.

Esprimere il vissuto degli sposi (Maria Pia Ghielmi)

 

GF71 - dicembre 2010

LA PREGHIERA DELLA COPPIA.

Solo gli sposi la possono fare. (Comunità di Caresto)

LA PREGHIERA IMPLICITA.

Desiderare il bene degli altri. (Comunità di Caresto)

 

GF72 - marzo 2011

LA REVISIONE DI VITA.

Per il proprio cammino di conversione. (P. Albert - T. Piccin)

 

GF80 - giugno 2013

LE SETTE PAROLE DI GESÙ IN CROCE. L’ultima preghiera di Gesù. (Vincenzo Salemi)

 

GF81 - settembre 2013

PREGARE.

L’incontro con l’altro. (Paolo Brugnera)

PREGARE IN FAMIGLIA.

Esercitare il sacerdozio familiare. (Gianfranco Fregni)

 

GF86 - marzo 2015

LA LECTIO DIVINA.

Pregare la Parola. (G. Dutto - C. Hayden)

PERMESSO, GRAZIE, SCUSA.

Tre esempi di lectio divina. (AAVV)

 

GF92 - dicembre 2016

I BAMBINI E LA FEDE.

Insegniamo ai nostri figli la preghiera. (AAVV)

 

GF95 - settembre 2017

CHIEDERE PERDONO AL SIGNORE. Peccato e riconciliazione. (Anselm Grün)

 

GF100 - dicembre 2018

LA LECTIO DIVINA.

Pregare la parola. (Benedetto XVI)

 

GF102 - giugno 2019

PERCHÉ E COME PREGARE.

Non abbiamo mai finito di imparare. (AAVV)

IL PADRE NOSTRO.

La preghiera cristiana per eccellenza. (AAVV)

 

GF105 - luglio 2020

LA PREGHIERA.

Imparare ad incontrare il Mistero. (Battista Borsato)

LA LECTIO DIVINA.

Esperienza di preghiera e di discernimento. (Giovanni Villata)

IL DISCERNIMENTO.

Imparare a mettere a frutto il dono della libertà-(AAVV)

LA REVISIONE DI VITA.

Vedere, giudicare, agire. (AAVV)

 

GF108 - luglio 2021

LA PREGHIERA. Quando la Vita si incontra con il desiderio di vita (Francois Varone)

PREGARE SECONDO IL VANGELO. Chiedete e vi sarà dato? (Francois Varone)

 

GF110 - marzo 2022

L’ESAME DI COSCIENZA. Introduzione al discernimento degli spiriti (Silvano Fausti)

 

GF111 - luglio 2022

LA PREGHIERA DI UN VECCHIO. Commento al salmo 71. (Noël Quesson)

PREGARE [PER] I DEFUNTI.

Una preghiera che si trasforma. (Anselm Grün)

 

Per trovare gli articoli visitate il sito www.gruppi famiglia.it oppure la versione on-line di questo numero.

 

22-IL NOSTRO CAMPO ESTIVO

Valle di Cadore 5 - 12 agosto

 

Quest’estate abbiamo avuto l’opportunità di vivere una settimana a Valle di Cadore assieme ad altre famiglie con cui abbiamo condiviso riflessioni, servizio, momenti di svago e celebrazioni che sono state importanti per il nostro percorso di crescita cristiano.

Abbiamo pensato di scrivere delle recensioni, come quelle che spesso troviamo nei siti di viaggi, per esprimere la nostra gratitudine e il nostro entusiasmo per i tanti momenti vissuti insieme e stimolare altre famiglie a provare questa esperienza così arricchente.

 

Una settimana per ricaricare corpo e mente

Ogni giorno ci è stato offerto un momento di riflessione accompagnati da relatori che hanno saputo stimolarci con degli spunti per la meditazione personale, la discussione in coppia e in gruppo.

La famiglia Preo e don Daniele Vettor ci hanno guidato nel cammino per vivere da persone responsabili questo cambiamento d’epoca, focalizzandoci sull’educazione: un tema complesso ma quanto mai urgente su cui interrogarci anche dopo il ritorno a casa. Nella pace offerta dallo splendido paesaggio montano e nella condivisione sincera con altre famiglie, ci siamo ristorati non solo fisicamente, ma soprattutto spiritualmente. Ci voleva proprio!

 

Intrattenimento al top!

I più giovani, durante i momenti di riflessione per noi adulti, hanno avuto modo di sperimentare un cammino a loro misura, con l’aiuto di una storia preparata dai bravissimi animatori: una quadra eccezionale! Un gruppo di ragazzi che si sono presi cura dei bambini presenti al campo con infinita pazienza e straordinaria creatività.

Per non parlare delle spumeggianti serate in cui tutti (ma proprio tutti, nessuno escluso) si sono messi in gioco e hanno sfoderato talenti nascosti! 5 stelle meritatissime per gli animatori che hanno contribuito a rendere ancora più speciale questa settimana.

 

Escursioni guidate tra natura e storia

Valle di Cadore e dintorni offrono scorci pittoreschi e natura da scoprire: ancora meglio se ci si va in buona compagnia! Abbiamo visitato Cibiana e i suoi musei, abbiamo scalato le Dolomiti e ognuno ha sperimentato un sentiero adatto alle proprie capacità, come in una vera grande famiglia, dove nessuno viene lasciato indietro.

Cucina eccellente... e il servizio? Ancora meglio!

Piatti sani, porzioni abbondanti e bis assicurato!

Personale (tutti noi, a turno) sempre molto gentile e disponibile, attento affinché tutti fossero serviti a dovere.

È stata una bellissima esperienza di condivisione in allegria, da provare!

 

Momenti di spiritualità per tutti

Durante la settimana abbiamo sperimentato più profondamente il rito della S. Messa in famiglia: una celebrazione in cui i bambini sono i protagonisti, seduti vicino all’altare per essere in “prima fila” con Gesù.

E per noi sposi, il rinnovo delle promesse matrimoniali è stato un momento emozionante che ci ha riportato al cuore della nostra relazione.

I bambini più piccoli hanno potuto mangiare e condividere il “pane dell’amicizia”: una piacevole sorpresa che si sono portati nel cuore anche al ritorno a casa.

 

Souvenir esclusivi

La settimana per famiglie a Villa Letizia non finisce quando si riparte il sabato mattina: ognuno ha portato a casa con sé dei ricordi indelebili della settimana. Siamo ritornati a casa carichi di immagini delle giornate passate insieme, biglietti che ci siamo scritti a vicenda per esprimere la nostra gratitudine alle altre famiglie e una “scatola dei ricordi” che raccoglie i lavori che ogni bambino ha realizzato con impegno nel corso della settimana. Non esistono dei souvenir più esclusivi di questi!

 

Famiglia Bonato (Massimo, Alessandra, Emilio, Isaia)

 

23-CAMPI ESTIVI 2024

Come Collegamento tra Gruppi Famiglia anche quest’anno riusciremo a realizzare un solo campo estivo.
Si terrà sempre a Valle di Cadore da sabato 3 a sabato 10 agosto. Temi e relatori sono in via di definizione.
Per ogni informazione contattate: Fiorenza e Antonio Bottero, 340 5195718, antoniobottero63@gmail.com

Per altre proposte visitate il sito: www.gruppifamiglia.it

 

24-Come sta di salute il Collegamento tra Gruppi Famiglia?

di Noris e Franco Rosada
Se ricavassimo la salute del Collegamento in base a quanto segna il termometro della fotografia potremmo dire che questa sta per essere compromessa dall’ipotermia, in altre parole da un venir meno della vitalità che dovrebbe caratterizzare iniziative di questo genere.
Non è un male raro di questi tempi. Pensando alla vitalità della Chiesa italiana, cogliamo quasi ovunque segni di un diffuso ripiegamento.
Più che Chiesa in uscita viene la tentazione di parlare di Chiesa arroccata tra le sue mura, che sempre più si restringono: sempre meno sacerdoti, sempre meno fedeli, sempre meno giovani e famiglie giovani.
La voglia di chiudere è tanta: a cosa serve continuare? A cosa serve fare nuove proposte se non vengono accolte?
Questo è stato un po’ il clima che si è respirato nell’ultimo consiglio direttivo dell’associazione Formazione e Famiglia, la struttura formale che il Collegamento si è dato per poter svolgere le sue iniziative.
Intanto, sono in scadenza tanto il consiglio direttivo quanto la coppia responsabile del Collegamento (noi!).
Eppure, di fronte a questo pessimismo, c’è un dato in controtendenza: mai il bilancio dell’Associazione è stato così florido: anche grazie ad un contributo una-tantum della Regione Piemonte (ristori Covid) e ad un incremento significativo dei contributi del 5x1000 abbiamo chiuso l’anno con un saldo attivo di quasi 5.000 euro.
Ciò significa che, per quanto poco si faccia, il servizio pastorale che offriamo trova ancora interesse.
Come responsabili, da cinque anni, sia del Collegamento sia dell’Associazione, abbiamo allora provato a chiedere lumi per non farci travolgere dal pessimismo.
Possiamo riassumere le risposte che abbiamo ricevuto citando due passi della Bibbia.
Il primo è questo: “Il mio amato... la canna infranta non spezzerà, non spegnerà il lucignolo fumigante” (Mt 12,20, cfr Is 42,3).
Se questa è la missione di Gesù, se questa è anche oggi la missione della Chiesa, quella di essere aperta a tutti, anche a coloro la cui fede è poco più di un lucignolo fumigante, perché rinunciare ad una realtà che, pur con molti limiti, testimonia la fede e i valori della famiglia cristiana?
Il secondo passo è questo: “Sentinella, quanto resta della notte?... Ancora un anno.. perché il Signore Dio di Israele ha parlato” (Is 20,11.17).
Nel tempo dell’oscurità, nella notte che sembra attraversare l’esperienza cristiana nel mondo occidentale, siamo chiamati a confidare nel Signore, certi che, dopo la notte, il sole sorgerà comunque.
Quanto sarà lunga questa notte? Aspettiamo “più che le sentinelle l’aurora” (Sal 130, 6b), ma sappiamo che non sarà un tempo breve.
“Ancora un anno”, dice Isaia, ma gli anni del Signore hanno una durata particolare.
Ce lo ricorda l’apostolo Pietro in una sua lettera: “Ma voi, diletti, non dimenticate questa unica cosa, che per il Signore, un giorno è come mille anni, e mille anni sono come un giorno” (2 Pt 3,8).
La pazienza del Signore è proverbiale, ed è da Lui che dobbiamo imparare, sia per quanto riguarda l’attesa di tempi migliori sia per quanto riguarda, concretamente, la durata del nostro servizio.
E, nel frattempo, proveremo ad accogliere l’invito di Gesù: “State attenti, vegliate e pregate, perché non sapete quando sarà quel momento” (Mt 13,33), soprattutto riproponendo ai GF un cammino di preghiera.
Saranno queste le considerazioni che condivideremo con le altre coppie in occasione delle prossime scadenze associative.
formazionefamiglia@libero.it

 

 

25-LIBRI RICEVUTI

Lorenzo Bortolin, Traditori biblici, Effatà Editrice, Cantalupa (TO) 2023
Da Concilio in poi, l’invito ai fedeli a prendere in mano la Bibbia, a leggerla e a pregarla è stato costante.
Un po’ meno è stata la risposta dei fedeli, soprattutto per quanto riguarda l’Antico Testamento.
il Vangelo, le Lettere, gli Atti, vengono proposti alla nostra attenzione ogni domenica nella liturgia, mentre per quanto riguarda il Primo Testamento ce ne viene proposta solo una minima parte, quella più legata a Gesù.
Il ”grosso” rimane inesorabilmente fuori e sconosciuto ai più.
Partendo da un argomento intrigante, quello del tradimento, Lorenzo Bortolin ci propone un percorso soprattutto tra i personaggi dell’Antico Testamento, offrendoci l’occasione di conoscere meglio questa grande biblioteca di storia vissuta. Sì, perché parlare di tradimento vuol dire parlare di uomini e di donne e di un aspetto della vita molto antipatico, non adatto ai soliti santini devozionali.
Vita vissuta quindi, dove da un lato emerge la miseria dell’uomo e dall’altro l’opera di Dio.
Scorrendo il libro ci imbatteremo in personaggi relativamente noti: i patriarchi, da Abramo a Giuseppe, Sansone e Dalila, Saul e Davide, e altri praticamente sconosciuti come Giaele e Sisara o come Manasse e Amon.
A ogni personaggio, o coppia di personaggi, viene dedicato un capitolo.
La struttura del singolo capitolo ce la illustra lo stesso autore:
Il lettore è invitato ad approfondire ogni evento. Per questo, dopo lo specifico brano biblico trova elementi che aiutano la comprensione e che nello stesso tempo incuriosiscono. Sono aspetti indispensabili anche per un rapporto di Polizia (si tratta pur sempre di tradimenti) o per un articolo di giornale: il fatto, il movente, l’epoca, le località nominate (in ordine di citazione nei versetti) e la sintetica biografia di ogni personaggio (sempre in ordine di citazione). Seguono informazioni religiose, storiche, culturali, artistiche e un commento. Di conseguenza, si è dedicato più spazio ad eventi e personaggi meno noti.
Sfogliando il volume si coglie la curiosità enciclopedica dell’autore e nello stesso tempo il suo desiderio di non dire tutto il possibile sull’evento e sui suoi protagonisti ma di spingere il lettore ad un approfondimento personale, offrendogli degli strumenti concreti.
In particolare mi ha colpito la sezione Curiosità, presente in ogni capitolo, e in essa quella parte dedicata a come l’evento sia stato ripreso, nel corso del tempo, tanto dal punto di vista letteraria quanto da quello pittorico.
Infine, vorrei dedicare alcune righe alla presentazione dell’autore.
Lorenzo Bortolin è stato, a suo tempo, giornalista aziendale e collabora ancora con varie testate, è diacono permanente da trent’anni ed è collaboratore dell’Ufficio Stampa della diocesi di Torino. Ha conosciuto il Collegamento tra Gruppi Famiglia ed è un lettore della nostra rivista.
Franco Rosada

 

La foto della quarta di copertina

26-L’ESTASI DI SANTA TERESA

Dio può indubbiamente dare a un'anima speciali favori e concederle di vivere continuamente, o quasi continuamente, con il ricordo o il senso della sua presenza.

Ma allora non ci troviamo più di fronte a una presenza di Dio, risultato normale del nostro impegno. È Dio ad abbandonarsi al piacere di colmare la nostra imperfezione circondando l'anima con una “cappa” di raccoglimento più o meno impenetrabile ai rumori dell'esterno.

Questo stato può andare dal semplice “tocco mistico”, temporaneo e spesso molto breve, all'unione continua. In quest'ultimo caso la “cappa” è permanente; l'anima non possiede la cara presenza a sprazzi, ma ne gioisce stabilmente.

All'ultimo stadio dell'unione l'anima concilia benissimo la sua vita nella regione del sensibile con la sua vita nell'invisibile, e anche nelle occupazioni esteriori, vissute apparentemente come tutti, conserva nell'intimo il perpetuo contatto con il divino Maestro.

Essa è legata ed è libera; ed è tanto più libera, quanto più è legata alla somma libertà da cui dipende nel modo più assoluto.

I maestri spirituali sono unanimi nel riconoscere che le anime favorite da quest'ultimo grado di unione con Dio sono rare.

Santa Teresa d’Avila è stata una di queste. Lorenzo Bernini la ritrae in un momento estatico, seguendo la descrizione che ne fa la stessa santa nel suo “Libro della vita”.

Tratto da: Rodolphe Plus, Come pregare sempre, Marietti, 1927

Adattamento della redazione

 

27-L’ESPERIENZA ESTATICA

Un giorno mi apparve un angelo bello oltre ogni misura.

Vidi nella sua mano una lunga lancia

alla cui estremità sembrava esserci una punta di fuoco.

Questa parve colpirmi più volte nel cuore,

tanto da penetrare dentro di me.

II dolore era così reale che gemetti più volte ad alta voce,

però era tanto dolce che non potevo desiderare

di esserne liberata.

Nessuna gioia terrena può dare un simile appagamento. Quando l’angelo estrasse la sua lancia,

rimasi con un grande amore per Dio.

Santa Teresa d’Avila, Libro della vita, cap. 23, n. 13