Foglio di collegamento tra Gruppi Famiglia
GF118 – marzo 2024
IL MATRIMONIO
35 anni di Collegamento tra GF
Lettere alla rivista
1-LA TEOLOGIA DELLA SODDISFAZIONE
Alcune osservazioni sullo scorso numero della rivista
Scrivo in riferimento alla vostra rivista: Collegamento Gruppi Famiglia - rivista di formazione e informazione. Io credo.
Ho letto con attenzione il bollettino. Purtroppo come sacerdote cattolico non posso approvare buona parte dei contenuti, che giudico prossimi all'eresia. L'evangelizzazione passa attraverso il credo autentico trasmesso nei secoli, non attraverso la rilettura del credo alla luce della teologia moderna.
Un esempio: scrivete che Dio non abbia voluto il sacrificio del suo Figlio. È un'affermazione nota, cavallo di battaglia dei teologi moderni, poco preparati sul versante logico dei discorsi. Si sprona dunque il lettore a maturare una fede purificata dalla teologia della soddisfazione.
Spero che mi seguitate nel ragionamento che propongo.
In forza del principio del terzo escluso, quello di Cristo o fu un sacrificio o non fu un sacrificio. Non possiamo credere che non sia stato un sacrificio, altrimenti veniamo meno alla fede cattolica e cadiamo nell'eresia, almeno materiale. Dunque concordiamo sul fatto che sia stato un vero sacrificio.
Se fu un sacrificio allora Cristo stesso si è consegnato volontariamente come vittima (il sacrificio infatti è un atto volontario, anzitutto legato ad una oblazione interiore della vittima). Dunque Cristo ha voluto il suo sacrificio. Per questo in San Giovanni si legge:
“Per questo il Padre mi ama, perché offro la mia vita, e poi la riprendo. Nessuno me la toglie. Sono io che la offro di mia volontà [...]. Questo è il comando che il Padre mi ha dato” (Gv 10, 17-18).
Ora, le due nature (umana e divina) sono unite nell'unica Persona Divina del Figlio, dunque l'unico soggetto, il Figlio, ha voluto il suo sacrificio. Poiché la volontà divina è comune alle tre Persone (essendo unica la natura divina) ne consegue che fu volere di Dio il sacrificio del Figlio.
Pertanto è corretto dire: Dio ha voluto sacrificare suo Figlio. Io preferisco dire: il Figlio di Dio si è voluto sacrificare.
Altre affermazioni, per quanto mosse da buone intenzioni, si allontanano dalla fede e, con ogni probabilità, suppongono inconsciamente un duplice errore:
1) l'errore che distingue l'uomo Gesù dal Figlio di Dio, (il che va contro il dogma dell'Unione ipostatica);
2) l'errore che separa il Figlio di Dio dall'Unico Dio, concependolo come una divinità a se stante, diversa dal Padre (il che è in contraddizione con il dogma trinitario).
Capziosa inoltre anche la domanda per i lavori di gruppo: vivi la Messa come sacrificio di espiazione o come atto di adorazione e lode?
La Messa, essendo Sacramentum Crucis, è un vero sacrificio, come stabilito dal Concilio di Trento, ed è un sacrificio di espiazione sia per i vivi sia per i defunti. Pertanto, pur sapendo che il fine latreutico (adorazione) è il primo scopo del sacrificio, non si può negare il fine propiziatorio.
Spero dunque che possiate riparare al danno spirituale procurato a chi in buona fede si affida alla vostra rivista.
Cordialmente,
"Caritas in veritate",
don Alberto Comini, Diocesi di Brescia
Gentilissimo,
le scrivo appena letta la sua mail e la ringrazio per la lettura attenta della nostra rivista.
Io mi sono fidato degli autori che ho scelto, primo fra tutti Ratzinger. Di questo autore mi hanno colpito due passaggi: La teoria della soddisfazione (p.17) e Il giusto crocifisso (p.18) che mi hanno confermato su alcune idee, proprio quelle che Lei non condivide.
Forse è solo una questione di linguaggio. È difficile oggi parlare di sacrificio (mi ricordo certe espressioni del passato: quanti sacrifici abbiamo fatto per farti studiare...) e mi chiedo se non si possa sostituire questa parola con DONO.
Cristo si è sacrificato per noi o ha donato la sua vita per noi?
Mi sembra che la sostanza non cambi e forse la parola dono è meno ostica di sacrificio.
Lo stesso discorso può valere per l'Eucarestia. Non è forse il nostro "rendimento di grazia" per il dono del Figlio? Perché concentrarsi solo sulla dimensione sacrificale?
Le mie osservazioni non sono di natura teologia ma di natura pastorale.
Ai "fidanzati" che chiedono il matrimonio religioso dopo anni di convivenza come dobbiamo annunciare la Buono Notizia?
Ancora grazie per le sue osservazioni,
Franco Rosada
Editoriale
2-35 ANNI DELLA RIVISTA
Ma il Collegamento tra Gruppi Famiglia arriva da più lontano!
di Anna e Guido Lazzarini
La rivista che avete tra le mani è figlia di un lungo percorso precedente, è frutto della fantasia di qualcuno e della dedizione di qualche altro.
Ma è bello partire dall’inizio! Verso la fine degli anni ’70 - consapevole del fatto che non fosse giusto preparare i fidanzati al Matrimonio Sacramento senza poi seguirli nel dopo - La Chiesa italiana si stava ponendo il problema del come realizzare questo accompagnamento.
Come coppia abbiamo pensato che una strada fosse costituire dei gruppi nelle parrocchie e basarli su due pilastri: la Revisione di vita e la Lectio divina. Siamo partiti da parrocchie di Torino, poi, grazie a provvidenziali incontri e contatti, la platea si è allargata ben oltre la nostra Diocesi e il Piemonte.
Sono nati così i campi scuola, una settimana di formazione per coppie provenienti, inizialmente, dalla Diocesi di Vittorio Veneto, grazie all’iniziativa del compianto don Giacinto Padoin che ha girato tutta la diocesi per informare i parroci e chieder loro di invitare le coppie a partecipare.
I campi scuola estivi sono stati momenti di vita intensa e di grazia! L’incontro fraterno attorno alla Parola, la Liturgia quotidiana, il servizio scambievole hanno ridato ‘ossigeno’ a tutti e fatto anche rinascere il desiderio di “continuare la vita assieme” in coppie ormai rassegnate a lasciarsi.
Il non essere più soli, il sentire l’esperienza di altri e cercare - e trovare - risposta alle difficoltà nella Parola che rivela il “sogno di Dio sulla coppia” è un elemento necessario per vivere la propria Fede, facendo cerniera tra Fede e vita.
I campi estivi erano però un’esperienza limitata nel tempo e nel numero dei partecipanti, bisognava dare continuità alla nascita dei primi “Gruppi Famiglia” ed offrire l’opportunità di crearne di nuovi là dove le persone risiedevano. Sono nate così le scuole: sei incontri, a cadenza mensile (lo schema degli incontri è reperibile sul sito dei Gruppi Famiglia) all’inizio in Veneto, in varie zone della provincia di Treviso, poi in molte città del Piemonte, della Lombardia, in Romagna, nelle Marche, nel Lazio e in Calabria.
A questo punto abbiamo sentito l’esigenza di creare un foglio di collegamento: ogni gruppo è e resta autonomo, vive nella propria Parrocchia, ma è bello e utile seguire la vita degli altri gruppi, una-due volte l’anno, per dare e ricevere contributi esperienziali e formativi.
Oggi la situazione è abbastanza cambiata. In molti gruppi è venuto meno il necessario ‘ricambio generazionale’ e molti delle coppie della prima ora sono invecchiati, hanno perso un po’ di entusiasmo o si trovano a vivere problematiche di vario genere, salute inclusa, come la sofferenza di vedere i propri figli lontani dalla pratica religiosa, oppure con il loro matrimonio in crisi.
Tutto questo, assieme all’avvicendarsi di Vescovi e Parroci non troppo convinti del fatto che gli sposi cristiani abbiano bisogno di una catechesi e di un cammino di fede specifico, ha provocato la morte di molti gruppi.
Un ulteriore spinta al rarefarsi è stata il lockdown: il non potersi più incontrare di persona per un tempo così lungo ha impedito la condivisione! I gruppi rimasti vivi hanno continuato ad incontrarsi via Internet esclusivamente per la Lectio divina e alcuni continuano così…
Il foglio di collegamento, grazie all’impegno di Noris e Franco Rosada, è cresciuto ed è diventato rivista formativa che continua a tener in vita i gruppi e ne sta facendo nascere di nuovi offrendo approfondimenti dei documenti (si pensi, ad esempio, allo spazio dedicato all’Amoris Laetitia di Papa Francesco), suggerimenti di brani per la Lectio e domande per la revisione di vita.
Non sta a noi fare bilanci: solo il Signore sa quanto ci ha donato attraverso i Gruppi Famiglia e sta a Lui, sempre misericordioso, perdonarci per quanto abbiamo sprecato.
Il futuro resta nelle Sue mani: in questi anni il mondo è cambiato, i cristiani, rimasti piccolo gregge, sono un po’ spaesati; più che mai è urgente che le Parrocchie siano sempre più comunità reali e che, in esse, gli sposi possano trovare sostegno per vivere la loro vocazione. Noi abbiamo proposto i Gruppi: ci auguriamo che altri aggiungano altro; la creatività non manca ai figli di Dio e il Suo accompagnamento è certo.
3-“QUANTUNQUE…” STORIA DEL MATRIMONIO CRISTIANO
Il matrimonio esiste finché c’è la volontà di farlo esistere o è una promessa
che vale per tutta la vita?
Conta di più la volontà dei singoli o quello dei clan di appartenenza? La storia del matrimonio cristiano è la storia delle difficile coabitazione tra questi due opposti.
Quando gli Stati vollero porre più o meno direttamente il matrimonio sotto la giurisdizione civile, la Chiesa percepì tutto ciò come un attacco intollerabile all’essenza stessa del sacramento.
Dio è il fondamento del matrimonio; lo stato matrimoniale ha un valore sacro; si basa sul consenso; ha valore di fronte alla società; non dipende dall’arbitrio dell’uomo.
di Emanuele Curzel
“I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini.… Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto”.
I primi secoli
Con queste parole l’ignoto autore della Lettera a Diogneto sintetizzava l’atteggiamento dei cristiani, nei primi secoli della Chiesa, nei confronti della legislazione romano-imperiale.
Questa non era percepita, per questi temi, tale da interferire con la fede.
Questa lettera, come in altri testi dei primi secoli, considerava il matrimonio un bene in quanto iscritto nel disegno divino (cfr. anche 1Timoteo 4,1-5), andando in questo contro correnti spiritualiste estreme che ritenevano l’unica vera vocazione cristiana quella del celibato per il regno.
C’era peraltro la consapevolezza del fatto che il messaggio evangelico aveva introdotto una morale più impegnativa rispetto a quanto presente nelle culture dell’epoca (a cominciare dalla sostanziale indissolubilità) e soprattutto un riferimento simbolico estremamente importante: “Questo mistero è grande!” (Efesini 5,32). Il termine greco mysterion fu tradotto in latino con sacramentum (che di per sé indicava il giuramento militare): una scelta destinata a condizionare durevolmente l’immagine del matrimonio e la sua considerazione come uno di quelli che (poi) furono considerati i segni e gli strumenti dell’intervento divino, anche al di là dell’intenzione dell’Apostolo che peraltro aggiungeva, quasi a prevenire fraintendimenti: “lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!”.
L’impero e i barbari
Quando il cristianesimo divenne la religione dell’Impero, la Chiesa cominciò a gettare le basi del proprio diritto, entrando in rapporto con quello romano. Si volle difendere, in particolare, la stabilità del vincolo: la centralità del consenso non fu più intesa in riferimento alla “durata” del matrimonio (per cui il matrimonio esiste finché c’è l’intenzione di farlo esistere), ma in riferimento alla scelta definitiva per esso (la promessa vale per la vita).
La legislazione civile ne fu però condizionata solo parzialmente; nonostante le opposizioni dei Padri rimase infatti lecito il divorzio, sia pure a determinate condizioni.
Si hanno svariate notizie dell’esistenza, fin dalla tarda antichità, di benedizioni rivolte agli sposi, o per meglio dire alla sposa: colei che, in vista della maternità e dei rischi connessi, era al centro dei riti pagani, rimaneva al centro anche di quelli cristiani. Tali benedizioni si inserivano però, molto semplicemente, in un più generale processo di sostituzione/adattamento degli “elementi accessori” del rito pagano.
Nello stesso periodo in cui il cristianesimo cominciava il lungo cammino di condizionamento della legislazione civile, si affacciavano sulla scena nuovi attori: i popoli barbarici e le loro consuetudini, diverse anche per quanto riguardava le questioni matrimoniali. L’unione carnale era considerata parte integrante di questo percorso: in assenza di essa il matrimonio non era completo e risultava quindi invalido. Ma soprattutto, mentre il diritto romano esaltava la volontà dei singoli, considerando determinante il consenso dei due sposi, il matrimonio barbarico era prima di tutto un accordo tra clan.
Il cristianesimo non percepiva come aliene almeno alcune di queste preoccupazioni, e ciò avveniva anche perché si trattava di elementi presenti pure nel matrimonio ebraico e giudaico.
Questi due modelli (che grossolanamente potremmo definire “romano” e “barbarico-agostiniano”) non sono, in linea puramente teorica, compatibili: la storia successiva è la storia della loro difficile coabitazione.
Il primo medioevo
L’estendersi della cristianizzazione e la grave crisi che colpì le strutture pubbliche nel primo medioevo accrebbero il condizionamento ecclesiastico sulla legislazione civile, che divenne in qualche misura indistinguibile da quella canonica (e del tutto indistinguibile nella materia matrimoniale).
I secoli che vanno dall’XI al XV sono quindi considerati quelli dell’“apogeo” della capacità della Chiesa di condizionare la materia: all’interno della Cristianità al potere sacro fu riconosciuto il diritto e il dovere di dettare norme e di dirimere contese.
La crisi che colpì le strutture pubbliche nel primo medioevo ampliò lo spazio di manovra e di potere della Chiesa come istituzione.
Il culmine di questo processo si ebbe con la bolla Unam santam di Bonifacio VIII del 1302. In questa bolla si parla delle due spade: il potere temporale e quello spirituale, e si afferma la superiorità del potere spirituale su quello temporale e del primato del papa sugli altri poteri. L’essere sottomesso al romano pontefice è necessario per la salvezza.
Dal 1302 al 1338 vengono pubblicati 30 trattati di ecclesiologia e ogni trattato ha nel titolo la parola Potere. (NDR)
Tra le conseguenze di ciò vi fu un più convinto sostegno all’indissolubilità, per cui venne esclusa la possibilità del divorzio, vietato da Cristo stesso e quindi improponibile. All’atto pratico, molti videro però un surrogato del divorzio nella possibilità (che la Chiesa rivendicava) di poter dichiarare l’insussistenza del vincolo (annullamento).
Il punto centrale, a mio parere, è però questo: la Chiesa rimase fedele al principio che il matrimonio era fatto essenzialmente dal libero consenso degli interessati. In questo modo la volontà degli sposi prevaleva perfino sulla materia sessuale.
Il matrimonio fu esplicitamente citato come uno dei sacramenti fin dalla costituzione Ad Abolendam di Lucio III (1184) mentre il concilio Lateranense IV (1215) ricordò che “gli sposi sono chiamati alla beatitudine eterna come coloro che sono votati alla verginità”.
Il concilio di Lione (1274) lo contò infine tra i sette sacramenti, da allora anche numericamente definiti.
Benedizioni e preghiere crebbero in ampiezza e complessità: ma queste formule, per quanto elaborate, non venivano affatto considerate condizioni per la validità del vincolo; i riti (anche quando vedevano il clero come attore) servivano solo ad assicurarne la notorietà.
Dalla lettura di questi riti è piuttosto evidente che il prete non sta celebrando o conferendo alcunché ma sta controllando l’adeguato svolgimento di un’operazione sociale.
Il tardo medioevo
Le novità tardo medioevali sono due, solo apparentemente distinte. Da un lato cresce la presenza clericale nella celebrazione: la benedizione è sempre più richiesta, anche con funzioni scaramantiche. In un’epoca così assetata di contatto con il sacro una benedizione ricevuta presso la chiesa (e solitamente presso una specifica porta), oltre a dare la pubblicità eventualmente richiesta all’atto, poteva proteggere.
Il prete guadagnava spazio anche per un altro motivo: egli era la persona “pubblica” di fronte alla quale si poteva esprimere liberamente un consenso controverso. I contesti familiari e sociali potevano infatti ostacolare le nozze.
Ebbene, quelle stesse nozze invece la Chiesa continuava (qualcuno diceva: si ostinava) a proclamarle valide, in quanto frutto del libero consenso degli sposi. Il consenso “faceva” il sacramento anche contro il volere delle famiglie e le convenienze sociali (si trattava di quelli che erano chiamati “matrimoni clandestini”, che la Chiesa considerava peccaminosi, ma non invalidi). Il prete poteva dunque e anzi doveva – anche contro il proprio personale parere! – sostituire il notaio.
Non è un caso che in quest’epoca i canonisti siano giunti ad approvare il ratto consensuale (la “fuitina”!), nel momento in cui questo serviva ad aggirare il dissenso dei genitori.
D’altro canto, cresceva l’interesse per la materia da parte delle autorità civili, che sempre più frequentemente ritenevano fosse di loro pertinenza anche la materia matrimoniale, per lo meno nei suoi risvolti sociali e patrimoniali.
Lutero e Trento
Nel corso del XVI secolo i nodi vennero al pettine. Nel momento in cui si ribellava allo strapotere del papato della sua epoca e ne rifiutava la mediazione in vista della salvezza, Lutero toglieva il matrimonio dalla lista dei sacramenti, dichiarandolo materia profana nella quale era l’autorità civile a dover legiferare e sottolineando l’importanza del consenso dei genitori.
Tale soluzione era gradita alle autorità politiche e ai padri di famiglia di tutta Europa.
È dunque comprensibile che le discussioni sul tema, nella terza fase del Concilio di Trento (1562-63), siano state particolarmente accese.
Bisognava trovare una formula che salvasse contemporaneamente la sacramentalità del matrimonio, cui era connessa la necessità della libertà del consenso e le pressanti richieste civili e/o le legittime preoccupazioni pastorali in ordine al fatto che non potevano essere considerati validi quei matrimoni che, per aggirare il consenso familiare, erano privi di pubblicità.
Si giunse quindi all’approvazione di un canone di riforma che iniziava con la parola tametsi, “quantunque”.
Si apriva in questo modo:
“Quantunque non si debba dubitare che i matrimoni clandestini, celebrati con il libero consenso dei contraenti, siano rati e veri matrimoni, almeno fino a che la chiesa non li abbia dichiarati invalidi – e che, quindi, a buon diritto debbano condannarsi quelli che negano che essi siano veri e rati e chi falsamente afferma che i matrimoni contratti dai figli senza il consenso dei genitori siano nulli – tuttavia la santa chiesa di Dio li ha sempre, per giustissimi motivi, detestati e proibiti”.
Il ponte tra esigenze sacramentali e richieste civili (e pastorali), indubbiamente di difficile costruzione, fu gettato su questa base: dal matrimonio informale si passava quindi al matrimonio formale, per cui solo una determinata forma di celebrazione poteva essere considerata valida.
In questo modo la Chiesa veniva incontro alle richieste della società dell’epoca, ma senza rinunciare a considerare il matrimonio un sacramento e senza arretrare – almeno in linea di principio – sul fatto che il matrimonio era fondato sul libero consenso degli interessati.
Adesso per sposarsi serviva davvero il prete – anzi, il proprio parroco: egli controllava l’“abilità a contrarre” degli interessati, fissava i tempi e gli spazi dell’unica celebrazione possibile, testimoniava e custodiva il consenso che andava ora registrato per iscritto (libri parrocchiali), era autorizzato a pronunciare non la citazione biblica “quod Deus coniunxit, homo non separet”, ma il molto più impegnativo “ego vos in matrimonium coniungo”.
Quest’ultima formula era comunque tanto impegnativa da far dubitare che il consenso fosse ancora centrale e tale da far invece ritenere che nella celebrazione del matrimonio la “materia” fosse ora la presenza del prete e tutto ciò che vi era connesso.
Molti degli stati cattolici accolsero i decreti del Concilio di Trento nella loro legislazione civile.
Per tutto il Seicento e Settecento, caratterizzati dall’Assolutismo come metodo di governo, la chiesa cattolica in campo matrimoniale godette di molti privilegi, sostituendosi di fatto allo Stato. Ciò le costò la quasi totale acquiescenza nei confronti del potere regio, lasciandola del tutto impreparata di fronte all’irrompere della modernità a fine Settecento. (NDR)
La modernità
La storia moderna – fino alle codificazioni di età napoleonica e successiva – vede però una lenta e progressiva erosione della giurisdizione ecclesiastica nelle cause matrimoniali, in parte legittimata dalla stessa Chiesa, la quale riconosceva al potere civile il diritto di legiferare in materie quali le doti, le successioni, le eredità.
La Chiesa ha continuato a proclamare la sacramentalità (e dunque l’intoccabilità) del matrimonio fondato sul consenso, ma ha considerato come unica forma possibile di esso quello canonico, rivendicandolo alla propria esclusiva competenza; il “resto” è stato a lungo considerato non solo come non-sacramento, ma proprio come non-matrimonio, “scandaloso concubinato”.
Dal momento in cui, nel XVIII secolo, gli Stati vollero porre più o meno direttamente il matrimonio sotto la giurisdizione civile, la Chiesa percepì tutto ciò come un attacco intollerabile all’essenza stessa del sacramento.
Comunemente la rivoluzione francese (con la legge del 1791) e il codice napoleonico (1804) sono considerati i momenti in cui nacque il matrimonio civile moderno.
Superata la Restaurazione, nella seconda metà dell’Ottocento quasi tutti gli Stati legiferarono in materia. Il matrimonio civile divenne così, nella maggior parte dei casi, l’unico riconosciuto dallo Stato, e fu tolto valore giuridico a quello religioso (anche se il divorzio fu generalmente ammesso, in questa fase, solo negli Stati protestanti).
Di fronte a queste innovazioni (percepite come attacchi alla giurisdizione ecclesiastica sul matrimonio), la Chiesa contemporanea ha riaffermato ripetutamente la propria fedeltà alla disciplina tridentina, protestando la propria competenza nelle cause matrimoniali.
Il Sillabo di Pio IX è al riguardo molto esplicito: “il contratto di matrimonio tra cristiani è sempre sacramento, ovvero il contratto è nullo se si esclude il sacramento”.
Data questa situazione, non stupisce di trovare la materia matrimoniale tra gli oggetti dei Concordati, che spesso portarono al riconoscimento degli effetti civili del matrimonio religioso.
Nell’enciclica Casti connubii, un anno dopo la Conciliazione (1930), Pio XI denunciava come, da parte dei poteri civili, l’atto religioso fosse considerato una pura aggiunta, “o al più da permettersi al popolo superstizioso”.
Allo stesso modo l’enciclica è ferma anche nella convinzione che questi stessi poteri non possano neppure permettere il divorzio ai loro sudditi non credenti.
Il Vaticano II
Se guardiamo ad un testo ancor più noto e recente, la Costituzione Pastorale Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II, troviamo certamente toni molto diversi e la rinuncia a una condanna esplicita del matrimonio civile, ma contenuti non dissimili: “L’intima comunità di vita e d’amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita dall’alleanza dei coniugi, vale a dire dall’irrevocabile consenso personale. E così, è dall’atto umano col quale i coniugi mutuamente si danno e si ricevono, che nasce, anche davanti alla società, l’istituzione del matrimonio, che ha stabilità per ordinamento divino”.
Dio è il fondatore del matrimonio; lo stato matrimoniale ha un valore sacro; si basa sul consenso; ha valore di fronte alla società; non dipende dall’arbitrio dell’uomo.
Credo che la continuità con una lunga tradizione sia ampiamente visibile, ma è una continuità che trascina con sé anche tutte le difficoltà e le ambiguità che questa tradizione ha cercato di affrontare, ma non ha certo risolto una volta per tutte.
Tratto da: Il Margine, n. 2/2008.
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Il matrimonio è una istituzione naturale (intrinseca all’uomo) o è una istituzione culturale (legata ai costumi)?
• Perché il matrimonio deve avere una valenza pubblica? Non è solo un fatto privato?
• Quanto conta la sessualità nel matrimonio?
• Che posto ha Dio nel nostro matrimonio?
4-DALLA FAMILIARIS CONSORTIO ALLA AMORIS LAETITIA
Per molti secoli la Chiesa ha posto rimedio ai matrimoni in crisi usando la via del diritto: l’annullamento del vincolo. Ora è stata aperta la via della misericordia.
Nel discernimento pastorale occorre stare attenti alla durezza che arriva a domandare l’inesigibile, ma anche ai facili accomodamenti che non sono misericordia ma lassismo.
di Angelo Riva
La via della misericordia, applicata alle situazioni matrimoniali, non è certo nuova nella prassi e nella disciplina della Chiesa. Possiamo anzi individuare, nella tradizione ecclesiale, almeno tre passaggi successivi di realizzazione.
Il primo passaggio fa riferimento alla stessa tradizione neo-testamentaria, ove si contempla la possibilità della separazione fra marito e moglie, per quanto temporanea e finalizzata alla riconciliazione della coppia (cfr. 1Cor 7,5).
Asserire che la condizione di “separazione” non comporta di per sé un ostacolo insormontabile a vivere una buona vita cristiana – compreso quindi il mangiare il corpo e il sangue del Signore – rappresentò, già nell’età sub-apostolica, una prima realizzazione della condiscendenza misericordiosa della Chiesa verso la fragilità dello stato di vita coniugale.
La seconda tappa di attuazione di una prassi misericordiosa verso le persone in nuova unione è stata introdotta dall’Esortazione apostolica post-sinodale Familiaris consortio (FC) di san Giovanni Paolo II (1981), che ha influenzato anche la redazione del Nuovo Codice di Diritto Canonico (1983). I “divorziati risposati” non sono più considerati oggetto di “scomunica o interdetto personale”. Essi, infatti, rimangono dei battezzati che partecipano alla vita della Chiesa in molte delle sue espressioni, anche se non alla sua pienezza eucaristica (a motivo della loro irregolarità canonica).
La terza tappa del cammino di misericordia verso le persone in nuova unione è senza dubbio quella più rilevante e decisiva, ed è stata compiuta ancora da san Giovanni Paolo II e sempre nella FC al n. 84.
Familiaris consortio
Partendo dal dovere generale dei pastori della Chiesa che “per amore della verità sono obbligati a ben discernere le situazioni”, è qui che si affaccia, per la prima volta, la possibilità di una “giustificazione soggettiva” dello stato di vita di “nuova unione”, e quindi la possibilità della riammissione ai sacramenti.
Tuttavia tale “stato” di vita neo-coniugale, debitamente vagliato attraverso un discernimento in foro interno capace di distinguere le differenti situazioni, potrebbe anche risultare soggettivamente incolpevole: non tanto in ragione del passato e delle cause che hanno portato al fallimento del matrimonio sacramentale e poi alla ricostituzione di un nuovo legame di coppia, ma in ragione del presente e del futuro, che assegnano alla nuova coppia, per quanto irregolare, delle responsabilità ormai inderogabili, per es. rispetto all’educazione dei figli nati dalla loro unione.
Di conseguenza la reintegrazione nella vita della Chiesa dei fedeli in “nuova unione” poteva spingersi, secondo FC, fin anche alla reintegrazione nella pienezza della comunione eucaristica.
La FC poneva però due condizioni: la prima era che la coppia in “nuova unione” rinunciasse all’espressione dell’amore coniugale attraverso gli atti suoi specifici, cioè gli atti sessuali completi (“vivere come fratello e sorella”); la seconda condizione era che la loro riammissione alla comunione eucaristica non generasse “scandalo”, ossia un’oggettiva confusione e dubbio, presso il popolo di Dio, nei riguardi della dottrina della Chiesa sul matrimonio e sulla sessualità.
Amoris laetitia
Il capitolo VIII di Amoris laetitia, circa la questione della riammissione ai sacramenti dei battezzati “in nuova unione”, si pone fondamentalmente nella scia di FC. Su almeno due punti: anzitutto AL, esattamente come FC, propone la via del discernimento “in foro interno, personale e pastorale” dei diversi casi. È la via dell’accompagnamento ecclesiale che “orienta questi fedeli alla presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio” (AL 300); in secondo luogo anche per AL – come già per FC – il discernimento può approdare alla riammissione ai sacramenti, qualora si arrivi prudentemente ad appurare l’impossibilità pratica e morale di porre fine al nuovo legame (per es. per motivi oggettivi di responsabilità verso i figli nati dalla nuova unione).
Tra continuità e novità
Su entrambi gli aspetti, confermativi di FC, AL segna però anche un significativo approfondimento e supplemento di riflessione rispetto a FC.
I due aggettivi (“personale” e “pastorale”) indicano i due livelli del discernimento coscienziale: quello che ciascuno compie in sé stesso, mettendosi davanti a Dio (“personale”); e quello compiuto insieme a un ministro della Chiesa (“pastorale”). Quello di cui tratta AL è però il secondo: il discernimento “pastorale” portato avanti dalla coscienza individuale con l’aiuto di un ministro della Chiesa.
Un secondo elemento di continuità fra FC e AL è costituito dal fatto che la condizione fondamentale per la riammissione ai sacramenti dei fedeli in “nuova unione” fa perno sull’irreversibilità morale e di fatto del nuovo legame.
Anche in questo caso, però, AL contiene un approfondimento e un supplemento di riflessione rispetto a FC.
I criteri del discernimento pastorale vengono meglio articolati e specificati, mentre in FC si alludeva ad essi in forma più sommaria e rapsodica.
Però, fra le condizioni richieste per poter essere riammessi ai sacramenti non c’è più l’astensione dai rapporti sessuali. Come mai?
AL, pur essendo un documento essenzialmente pastorale (tale è il timbro che si respira praticamente in ogni sua pagina), e non volendo quindi direttamente impelagarsi in discussioni di carattere teologico-morale, si appella con grande evidenza a questo dato della tradizione dottrinale. Si afferma infatti che “il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi” (AL 300), e che “l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate dall’ignoranza, dall’inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori psichici oppure sociali” (AL 302).
In altri termini, nel discernimento pastorale occorre stare attenti alla durezza che arriva a domandare l’inesigibile, ma anche ai facili accomodamenti che non sono misericordia ma lassismo, in quanto legati ad una mancanza di fede nella grazia vittoriosa di Cristo, e di speranza nei confronti della persona accompagnata.
Appare così evidente il dato di fondo della morale tradizionale: essa dà ampissimo spazio al discernimento della coscienza e alla valutazione degli elementi soggettivi (condizionamenti e circostanze), ma ultimamente non è in grado di rescindere il “cordone ombelicale” che lega la coscienza soggettiva alla norma oggettiva.
Non è mai possibile liberare del tutto e completamente la coscienza soggettiva dal “pungolo” dell’oggettività.
La discontinuità
Siamo ora in grado di affrontare il dato della discontinuità di AL nei confronti di FC. Discontinuità che consiste nel fatto che AL non domanda più ai fedeli in nuova unione, come condizione necessaria per la riammissione ai sacramenti, l’osservanza dell’astinenza sessuale.
Il discernimento pastorale in foro interno può arrivare a concludere che non solo lo “stato” di vita neo-coniugale, ma anche gli “atti” propri di quello “stato”, ancorché oggettivamente disordinati, possono essere giustificati soggettivamente.
La norma di FC 84 sull’astensione dalla vita sessuale è sempre stata peraltro accompagnata da consistenti perplessità e difficoltà di comprensione da parte dei fedeli.
Inoltre, la norma dell’astensione sessuale andava incontro a una serie di consistenti corto-circuiti teologici, antropologici ed esistenziali.
Sul piano teologico, per es., ne usciva sostanzialmente smentita l’idea che non solo gli atti coniugali, ma tutta la vita coniugale, in quanto tale, è espressiva del rapporto Cristo-Chiesa. Sembrava invece quasi suggerirsi che, di tipo “coniugale”, ci fossero solo gli atti sessuali, mentre tutte le altre espressioni della vita di coppia fossero atti genericamente affettivi, amichevoli. Sul piano antropologico sembrava consumarsi un’eccessiva distanza fra gli “atti” sessuali e lo “stato” di vita coniugale.
Infine sul piano esistenziale appariva difficilmente plausibile l’idea di una relazione di coppia simil-matrimoniale che, quando è sessuale, non è autentica, e solo se non è sessuale (ma genericamente amichevole) è autentica.
Anche venendo incontro a queste difficoltà obiettive, suscitate dalla regola dell’astensione sessuale, AL afferma che il discernimento pastorale in foro interno, visto che può arrivare a concludere alla “giustificazione soggettiva” dello stato di vita neo-coniugale, può anche giungere alla “giustificazione soggettiva” degli “atti” coniugali.
Dobbiamo quindi concludere che l’indicazione dell’astinenza sessuale di FC, per quanto formalmente non rigettata, non interpreta adeguatamente la lettera e lo spirito di AL, e come tale va considerata. Il rischio di concentrarsi (da parte della coppia) sull’impegno dell’astinenza sessuale (come una sorta di “lascia-passare” risolutivo per accedere ai sacramenti), anziché impegnarsi in un serio cammino di discernimento (quindi concentrarsi su una rinuncia, invece che su un cammino positivo di coppia), rappresenta un fattore di obiettivo impoverimento della “nuova unione”.
Fonte: Ufficio Famiglia della diocesi di Como
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Prima di Amoris laetitia i divorziati risposati non avevano accesso alla comunione eucaristica. Come vivremmo questa impossibilità se ci trovassimo in quella situazione?
• L’astinenza sessuale quanto peserebbe nella nostra vita di coppia?
• In generale, di fronte ad un dilemma morale, agiamo seguendo solo la nostra coscienza (cioè in modo soggettivo) o teniamo conto della norma oggettiva (la legge morale) o ancora ci affidiamo al “foro interno” (l’aiuto di un ministro della Chiesa)?
5-AMORIS LAETITIA: IL CAPITOLO VIII
La norma dell’astensione sessuale proposta da FC sembrava quasi suggerire che, di tipo “coniugale”, ci fossero solo gli atti sessuali, mentre tutte le altre espressioni della vita di coppia fossero atti genericamente affettivi.
Un matrimonio infranto continua ad esistere, paragonabile ad una rovina e una seconda unione non può equivalere alla prima. È possibile però, se le persone vogliono sopravvivere, disporre di una sorta di tetto e di alloggio di emergenza.
“A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa” (AL305).
Con questa breve frase di Amoris laetitia papa Francesco ha aperto nuove prospettive in tema di pastorale matrimoniale.
Ma la sinteticità del messaggio è stata motivo di discussione e dibattiti. Come è possibile che un cambio di rotta disciplinare, che coinvolge addirittura la disciplina sacramentale sia stato espresso in forma tanto ellittica, per non dire oscura? Quasi di straforo? A tal punto da invocare una richiesta di chiarimento addirittura da parte di cinque illustri porporati?
In realtà, in vista del Sinodo ordinario dei vescovi sul tema della famiglia dell’ottobre 2015, il card. Kasper, su incarico di papa Francesco, aveva esposto in un libro in modo completo, ragionato e documentato le tesi che stanno alla base del capitolo VIII di Amoris laetitia.
di Walter Gasper
Oggi il matrimonio ha perso quasi tutti i sostegni sociali. Il diritto civile, il cui influsso sulla coscienza morale non può essere sottovalutato, riconosce ragioni di divorzio relativamente ampie mentre la comune mentalità sociale oggi si comporta su questo tema in modo tollerante, arrivando fino alla benevola comprensione.
Molti divorziati, risposati civilmente, hanno vissuto il loro primo matrimonio come una prigione mentre hanno trovato una felicità umana nel loro secondo matrimonio. Altri soffrono di questa situazione; sono coscienti del contrasto con l'ordinamento di Dio, non vedono però - soprattutto quando nel loro secondo matrimonio, celebrato civilmente, sono sorti nuovi obblighi morali (per esempio dei figli) - alcuna reale possibilità di cambiare questa situazione. Sono proprio questi ad avere bisogno di aiuto pastorale nella loro difficile situazione.
Non vi è dubbio che ci troviamo dinanzi a un problema pastorale di prim’ordine. È necessario però ricordare tre fondamentali punti di vista che devono essere tenuti presenti nel cercare una soluzione.
Il primo punto di vista può essere solamente la fedeltà assoluta alla parola di Gesù.
Di conseguenza essa non può riconoscere come equivalente al primo matrimonio un secondo matrimonio, concluso civilmente, quando il primo partner è ancora vivo, e considerarlo sacramento della nuova alleanza.
In pratica la chiesa è oggi l'unica realtà socialmente rilevante che si pone con autorità morale a difesa della fedeltà matrimoniale e in tal modo anche a difesa dei figli che sono nati da un matrimonio compromesso nella sua esistenza.
Il secondo punto di vista è più di carattere antropologico. Gesù predica il Dio degli uomini; anche il suo parlare dell'indissolubilità del matrimonio è parola di salvezza, non legge che uccide.
Se il diritto della chiesa deve essere un diritto della grazia, la chiesa deve anche sempre domandarsi se il suo ordinamento giuridico è all'altezza anche di situazioni umane difficili e complesse.
Spesso l'aiuto sarebbe già dato se un nuovo diritto ecclesiastico ammettesse una dichiarazione di nullità di matrimonio in tutti quei casi nei quali, stando ai dati dell'odierna psicologia, non c'è stato nella conclusione del matrimonio un atto personale pienamente valido perché concretamente non c'era la maturità umana a ciò necessaria.
Il terzo e più discusso punto di vista riguarda la questione di come valutare teologicamente un secondo matrimonio concluso civilmente quando il primo coniuge è ancora in vita. Alla luce della Scrittura e della Tradizione una cosa è certa: qualunque sia la colpa soggettiva, questo secondo matrimonio rappresenta oggettivamente una contraddizione rispetto all'ordinamento stabilito da Dio.
Ma è, per questo, proprio nulla sul piano antropologico e teologico?
Anche il diritto canonico non qualifica come concubinato o qualcosa di simile un secondo matrimonio contratto civilmente; viene anzi riconosciuta presente con autentica volontà di matrimonio.
Un siffatto matrimonio civile contiene valori umani essenziali che non di rado si ispirano ad un atteggiamento cristiano di fede.
La chiesa, in quanto unico ed universale sacramento della salvezza, è anche la chiesa dei peccatori; essa ha diversi gradi di realizzazione, di cui i sette sacramenti rappresentano la forma più elevata.
Forse si può rispondere meglio con paragone. Un matrimonio infranto non viene semplicemente annullato; esso continua ad esistere, paragonabile ad una rovina. È impossibile quindi mettere al suo posto un secondo matrimonio che equivalga al primo. Possibile però, anzi in molti casi necessaria, se le persone vogliono sopravvivere, disporre di una sorta di tetto e di alloggio di emergenza.
Ci sembra che l'agire di Dio nella storia della salvezza corrisponda a questo quadro.
Per questo motivo la chiesa antica ha sviluppato il suo ordinamento penitenziale: dopo il naufragio del peccato Dio non ci lascia affondare ma neppure si fa semplicemente salire su una comoda nave nuova; egli ci offre invece l'utile tavola della penitenza affinché noi possiamo salvare la nostra vita.
Per esprimerci con un’altra immagine ancora: la colpa provoca una ferita che non può scomparire del tutto, ma le ferite si possono cicatrizzare.
Non pochi pastori e teologi, tra i quali c'è anche il sottoscritto, sono dell'idea che le vigenti disposizioni del diritto canonico non offrano, nella situazione attuale, soddisfacenti strumenti per offrire aiuti pastorali.
Se non è conciliabile con la tradizione della chiesa porre il secondo matrimonio sullo stesso piano del primo, è possibile prospettare una linea analoga a quella della ”tolleranza” e dell'”indulgenza” di alcune testimonianze della chiesa antica sulla linea analoga (quindi non identica) a quella della prassi della chiesa orientale, linea che non fu formalmente esclusa dal Concilio di Trento, una soluzione che sfocia in una specie di ordinamento penitenziale.
Tratto da: Il matrimonio cristiano, Queriniana, Brescia 2014
Vedi anche: GF91: Accompagnare, discernere, integrare la fragilità
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Evviva: ora anche i cattolici hanno il loro divorzio! Cosa rispondere a questa affermazione così equivoca?
• Cosa ne sappiamo della prassi penitenziale della Chiesa antica? E di quelle istituite dopo la ricezione di Amoris laetitia?
• Cosa ne sappiamo delle nuove procedure per l’annullamento canonico del matrimonio?
• Il sacramento della riconciliazione fa ancora parte della nostra vita di fede?
6-SPOSARSI "IN" CHIESA OPPURE "NELLA" CHIESA?
La coppia credente non testimonia agli altri il proprio matrimonio "cristiano", col rischio di presentarsi come modello, ma testimonia, unicamente, le meraviglie che Dio opera nel suo seno.
di Paolo Farinella
Parlando di matrimonio riteniamo necessario fare subito una distinzione di fondo, che è importante sottolineare: si può celebrare il matrimonio "in" chiesa oppure "nella" chiesa.
Con la prima espressione (matrimonio "in" chiesa) intendiamo la scelta della forma religiosa del matrimonio, indipendentemente da esplicite e convinte motivazioni di fede.
Con la seconda espressione (matrimonio "nella" chiesa) intendiamo la scelta della forma del matrimonio religioso come "conseguenza" di una scelta più profonda e radicale: la fede.
Appare evidente da sé che le due espressioni comportano una realtà di "chiesa" differente.
Nella prima, infatti, "chiesa" è un "luogo sacrale", nella seconda, "chiesa" significa un evento di salvezza.
SPOSARSI "IN" CHIESA
Sposarsi "in" chiesa non comporta, almeno da parte dei nubendi in genere, una fede esplicita e un'accettazione tranquilla del matrimonio come "sacramento"
Spesso i richiedenti sono non praticanti recidivi, che affermano di avere un "culto" personale in un Dio generico, quasi sempre in contrasto con la fede della chiesa. Senza dire che in campo morale l'opposizione alla chiesa è totale e cosciente: ognuno è libero, si afferma, di fare le scelte che vuole.
In questo contesto la "chiesa" è vista come un distributore automatico o una stazione di passaggio, dove ci si ferma solo il tempo di attendere la prossima coincidenza.
Di fronte all'invito ad essere coerenti con la propria coscienza, sconsigliando loro la forma religiosa del matrimonio, o suggerendo di rimandarla nel tempo, i nubendi reagiscono vivacemente, affermando che per loro è indispensabile "sposarsi in chiesa", in quanto il matrimonio religioso "dà qualcosa di più del matrimonio solo civile"; oppure "è più completo"; "senza la benedizione mi sembra di non fare matrimonio", ecc.
La religiosità popolare
Siamo di fronte, in questi casi, ad una "religiosità popolare", che non è, certo, professione di fede libera e cosciente nel Dio di Gesù Cristo, però è un aspetto fondamentale, radicato nella realtà "uomo" in quanto uomo.
Essa è legata indissolubilmente al ciclo della vita e precisamente ad alcuni momenti del ciclo esistenziale umano. Non c'è infatti uomo che non senta un qualche legame di dipendenza dal mondo del divino, che non si senta debitore in qualcosa, almeno in alcuni momenti "forti" dell'esistenza.
Ne derivano dei comportamenti religiosi, che noi chiamiamo "celebrazioni", a seconda delle circostanze della vita.
L'uomo tende alla sacralizzazione della propria vita in quattro tappe fondamentali, attraverso dei riti che noi definiamo di “passaggio”. Queste tappe e questi riti sono: la nascita (legata al rito del battesimo); la crescita (legata al rito della prima comunione e della cresima); la fecondità (legata al rito del matrimonio religioso); la morte (legata al rito delle esequie con messa, possibilmente solenne).
Molti nostri cristiani non chiedono solo questi quattro sacramenti, ma generalmente chiedono dei sacramenti per i quattro momenti della loro vita.
La crisi della sacramentalità
Tutto ciò ha portato alla crisi della sacramentalità, che non è più una scelta libera e cosciente per esprimere in “segni” una vita cristiana, ma un passaggio obbligato per far parte decentemente della realtà socio-culturale del mondo in cui si vive.
Progresso tecnico, abbandono progressivo delle campagne e conseguente urbanizzazione, autonomia politica e sindacale, non hanno per nulla abolito nel popolo “l'insopprimibile” bisogno dei riti.
Non di riti profani o secolari, ma di riti sacri, di quelli che, mentre affondano la loro esistenza nella tradizione e nella cultura religiosa del popolo, la riferiscono ad una realtà trascendente, attraverso una istituzione religiosa che dia sicurezza, al di fuori di ogni manipolazione umana o tecnica.
Nessuno può vivere senza riti perché l'uomo spera qualcosa dal rito. E ciò che sostanzialmente spera è consacrare a Dio quel momento, ricevere da Dio la benedizione e la protezione, scongiurare i pericoli di quella tappa di vita, assicurarsi un futuro contro minacce di distruzione e di fallimento, in questo mondo di incertezze.
Non per lusso spirituale o per semplice devozione si ricorre a Dio con tali riti, ma perché si sente il bisogno di Dio per non morire, perché si vuole affermare la vita sulla morte.
Non pochi si offendono quando viene messo in dubbio il loro "essere" cristiani. Affermano con convinzione il loro diritto di ricevere i sacramenti e non accettano alcun invito alla riflessione e all'approfondimento. Il rito è dovuto: "Io pago per quello che c'è da pagare".
L’approccio pastorale
Crediamo sia evidente a tutti come questo discorso sulla religiosità popolare sia strettamente connesso anche con il matrimonio.
Nel contesto socio-culturale in cui viviamo, nonostante l'apparente emancipazione, esso è legato alla riproduzione della specie ed è per questo motivo che il ciclo della fecondità è vissuto in modo sacrale in tutte le culture e presso tutti i popoli.
La richiesta di matrimonio religioso ha fondamentalmente oggi questo significato: mettere sotto la protezione divina la fecondità umana.
È chiaro che, pastoralmente, di questa realtà bisogna tenerne conto, in quanto non si può cancellare con un colpo di spugna; ma non ci si può nemmeno adagiare su di essa e rassegnarsi.
La vitalità di una comunità cristiana consiste appunto nella fantasia che riesce a mettere in moto, nell'inventare mezzi e metodi per portare a maturazione una religiosità che, se non è irreligiosa, non è nemmeno lontanamente espressione del mistero di Cristo, morto e risorto.
SPOSARSI "NELLA" CHIESA
Ora esaminiamo e approfondiamo il matrimonio celebrato "nella" chiesa, cioè come "conseguenza" di una scelta profonda e radicale: la fede.
Sposarsi "nella" chiesa non è una scelta che si fa immediatamente prima del matrimonio (come invece avviene per lo sposarsi "in" chiesa); al contrario è una scelta che ha una sua storia e preistoria. Storia e preistoria che si identificano con la cosciente appartenenza alla "chiesa", nella quale si vive quotidianamente e si cresce, lentamente insieme ai fratelli, nell'approfondimento della Parola che porta alla scoperta della propria vocazione individuale e comunitaria, al servizio dell'uomo, immagine di Dio.
La chiesa, evento di salvezza, non può essere un elemento decorativo per determinate occasioni. "Essere chiesa" è un impegno di vita che, in forza del battesimo e dell'eucaristia, noi assumiamo in proprio, coinvolgendoci nel piano salvifico del Padre.
Chiesa come comunione
Ci interessa particolarmente esaminare la realtà "chiesa" dall'angolo di visuale della "comunione" che costituisce il messaggio centrale della Scrittura e l'idea dominante di tutti i documenti conciliari.
Nella costituzione dogmatica "Lumen gentium" sulla chiesa, il concilio afferma al n. 1: "La chiesa è in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano".
La chiesa-sacramento, cioè "segno" della presenza di Cristo, non è un'idea astratta, ma una realtà concreta, incarnata nella storia dell'uomo, e si esprime con segni umani.
Il "segno" più pieno ed espressivo della chiesa-sacramento di comunione, è l'assemblea eucaristica che proclama a tutto il mondo il Cristo, sacramento primordiale di salvezza.
Questa unità all'interno della chiesa, che trova nell'eucaristia la sua espressione più piena, diventa a sua volta "segno" dell'unità e della comunione di tutta l'umanità, chiamata a realizzarsi in Cristo (scopo dell'evangelizzazione). Infatti "tutti gli uomini sono chiamati a questa unione con Cristo, che è la luce del mando; da lui veniamo, per lui viviamo, a lui siamo diretti" (Lumen gentium, n. 3).
Il nostro matrimonio
Qui si colloca il matrimonio "nella" chiesa.
Una coppia cristiana non testimonia agli altri il proprio matrimonio "cristiano", col rischio di presentarsi come modello, ma testimonia, cioè attesta a tutti i fratelli nella chiesa, e ai non credenti per le strade del mondo, unicamente le meraviglie che Dio opera nel suo seno. Quasi dicesse: perché vi meravigliate se ci amiamo? "Se ci amiamo, è perché lui ci ha amati per primo e ha mandato il suo Figlio", nostra salvezza (1Gv 4,19.10). Egli lo ha mandato anche per voi.
Tratto da: Progetto Matrimonio. Due libertà che camminano insieme, EDB, Bologna 1980
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Coppie che chiedono il matrimonio in chiesa perché “è più bello. Come ci comportiamo nei loro confronti?
• Quando ci siamo sposati quale spazio c’era per Dio nella nostra coppia?
• Come testimoniamo la presenza di Dio nella nostra vita di coppia e di famiglia?
7-STORIA DELLA SPIRITUALITÀ CONIUGALE CONTEMPORANEA
La grazia donata dal sacramento non si limita al momento del consenso, ma rende presente continuamente nella vita degli sposi l'amore tra Cristo e la Chiesa.
I vari tipi di gruppi familiari hanno in comune la riscoperta del senso e del valore del sacramento, sia per la santificazione personale dei coniugi (e dei figli), sia per il ruolo centrale della Parola come base essenziale per questa nuova spiritualità.
di Giorgio Campanini
Il movimento che ha portato all'affermazione della spiritualità coniugale e familiare - nella forma che conosciamo oggi - si è sviluppato essenzialmente nel Novecento. Quanto nei secoli precedenti era stato intuito, o vissuto senza un'adeguata consapevolezza, viene ora colto e sviluppato, all'interno di una rinnovata spiritualità laicale, essa pure tipica del Novecento.
Può essere utile ripercorrere la storia della spiritualità coniugale e familiare in ambito cattolico almeno per quello che riguarda gli ultimi decenni.
La Casti Connubii
In questa linea l'enciclica Casti Connubii di Pio XI (1930) ha segnato un vero e proprio punto di svolta. Accanto, infatti, alla riaffermazione del valore dell'istituzione matrimoniale veniva riaffermato il valore propriamente sacramentale del matrimonio ed esaltato il suo ruolo di santificazione degli sposi e della famiglia cristiana.
Proprio sull'onda della Casti Connubii apparvero negli anni immediatamente successivi alcuni studi che hanno esercitato una profonda influenza sul successivo cammino della spiritualità coniugale.
Vanno ricordate a questo proposito le ricerche dei teologi tedeschi Adam e Doms. Entrambi furono soggetti ad interventi di censura ecclesiastici e soltanto nel corso dei successivi decenni le loro posizioni di pensiero furono almeno in parte recepite: si veda, in particolare, il superamento della disputa sui “fini primari” o “secondari” del matrimonio, risolta solo dal Concilio Vaticano II.
Ma fu soprattutto la teologia e la spiritualità di lingua francese che, a partire dal secondo dopoguerra, portarono avanti la riflessione sulla spiritualità coniugale, anche per la sollecitazione proveniente dai gruppi e dai movimenti di spiritualità coniugale.
Dati i più stretti legami fra la cultura italiana e quella francese non stupisce che nella prima fase del suo sviluppo il movimento di spiritualità coniugale in Italia si sia evoluto soprattutto sotto la spinta delle sollecitazioni provenienti dalla vicina Francia.
Bisognerà attendere la fine della seconda guerra mondiale perché il movimento di spiritualità coniugale cominci a fare in Italia le sue prove.
Il percorso italiano
I maggiori centri di elaborazione di questo movimento possono essere considerati da un lato l'Azione Cattolica Italiana, dall'altro la Scuola teologica milanese.
L'Azione Cattolica Italiana aveva avviato un cammino che, muovendo da una più ampia riconsiderazione della laicità, implicava necessariamente anche una riflessione sul senso e il valore del matrimonio. Grande risonanza ebbe, in questo contesto, Famiglia, piccola Chiesa, di cui era autore l'allora Presidente nazionale della Gioventù di Azione Cattolica, Carlo Carretto.
Dapprima ritirato dalla circolazione, per posizioni ritenute troppo “audaci”, il volumetto ebbe poi, a partire dalla seconda edizione del 1964, notevole fortuna, sino alla settima edizione del 1978.
Nonostante queste difficoltà, il libro segnò una vera e propria svolta per quanto riguarda l'attenzione del laicato cattolico di allora al tema del matrimonio.
Dopo il Concilio questo generò, tanto in ambito editoriale quanto nell'ambito pastorale, una serie di iniziative soprattutto in relazione a quell'importante aspetto della pastorale giovanile che era rappresentato, allora ed oggi, dalla preparazione dei giovani al sacramento del matrimonio; cammino di preparazione nel quale, soprattutto negli anni Sessanta, cominciava a penetrare una specifica attenzione alla spiritualità del fidanzamento e poi del matrimonio e della vita familiare.
Quanto alla Scuola teologica milanese, il suo maggiore esponente era stato Carlo Colombo, il quale - pur non avendo mai sintetizzato la sua riflessione sul matrimonio in un volume organico - conduceva a partire dagli anni Cinquanta una sistematica ricerca sulla spiritualità coniugale.
Fu merito di Colombo la nascita dei Gruppi di spiritualità familiare, nati per sua iniziativa nell'ambiente dei Laureati di AC.
Alla base vi fu la riscoperta della sacramentalità del matrimonio, idea che consentì di superarne una visione riduttiva (solo giuridica o moralistica) e di fondare invece proprio sul sacramento la spiritualità coniugale.
I Gruppi cercarono fondamento alla loro intuizione in una rinnovata concezione teologica, che considerava il matrimonio come situazione permanente di grazia, grazia che non è limitata al momento del consenso, ma rende presente continuamente nella vita degli sposi l'amore tra Cristo e la Chiesa.
A questi due nuclei forti del movimento di spiritualità delle origini prendeva le mosse un più ampio movimento, sollecitato anche dall'attenzione che, con il suo documento del 1968, Matrimonio e famiglia oggi in Italia, ed ancor più con quello del 1975, Evangelizzazione e sacramento del matrimonio, dedicava al tema la Conferenza Episcopale Italiana.
Si passò così dalle prime “Equipes Notre Dame” italiane all'Opera Madonnina del Grappa, dall'Istituto “La Casa” di Milano alla “Pro Civitate Christiana” di Assisi, a gruppi non istituzionalizzati, per lo più a carattere parrocchiale o interparrocchiale, portatori di una loro specifica spiritualità, di cui la rilettura in ottica coniugale rappresentava a livello laicale la logica traduzione.
Comuni a questi vari gruppi sono la riscoperta del senso e del valore del sacramento, sia per la santificazione personale dei coniugi (e dei figli), sia in vista della nuova stagione di evangelizzazione che si annunzia; la valorizzazione della Bibbia come referente essenziale per questa nuova spiritualità; sia attraverso il diretto impegno apostolico sia mediante esperienze forti di servizio, come l'accoglienza, l'adozione, l'affidamento.
Alcuni nodi problematici
Un bilancio ideale di questa storia, con le sue luci e le sue ombre, consente di mettere in evidenza alcuni nodi problematici che rappresentano altrettante questioni aperte del terzo millennio.
Una prima notazione riguarda il complessivo tasso di laicità del movimento di spiritualità coniugale italiano. Pur essendo un’esperienza tipicamente laicale l’elaborazione di questa esperienza è stata principalmente opera di presbiteri e di religiosi e non sempre la dimensione della laicità è stata tenuta adeguatamente presente.
Dopo le grandi affermazioni del Vaticano II sul senso e il valore della chiamata alla santità di tutti i componenti il popolo di Dio, vi è da dolersi che si debba registrare un'ancor timida crescita di teologi, di maestri di spiritualità, ed anche di “guide” spirituali che siano laici coniugati.
Infatti, l'elaborazione di una spiritualità coniugale e familiare capace di raccogliere le sfide del terzo millennio avrebbe tutto da guadagnare da un più consistente apporto laicale.
Una seconda notazione concerne il necessario rapporto fra spiritualità coniugale e familiare e teologia del matrimonio.
È indubbio che alla base dell'esperienza di vita di molte famiglie cristiane, e degli stessi gruppi familiari, sta una teologia; ma questa teologia è più spesso implicita che esplicita. Di conseguenza, l'elaborazione di una spiritualità coniugale e familiare capace di raccogliere le sfide del terzo millennio avrebbe tutto da guadagnare da un più consistente apporto laicale.
Un’ultima annotazione riguarda il carattere ancora relativamente elitario di questo movimento. Si è ben lontani dalle ristrette basi delle origini (allorché, negli anni Cinquanta, la spiritualità familiare sembrava un discorso per pochi iniziati delle “classi alte”), ma si è egualmente lontani da un vasto movimento di base che coinvolga segmenti significativi dei cristiani laici coniugati e permei il tessuto connettivo della pastorale ordinaria.
Si tratta allora di passare da una spiritualità coniugale vissuta sovente con inadeguata consapevolezza ad una spiritualità coniugale a tutto campo, pienamente coerente con la universale chiamata alla santità (L.G., 40) di tutti i fedeli.
Fonte: Fedeltà e tenerezza. La spiritualità familiare, Edizioni Studium, Roma 2001
Vedi anche: I Gruppi Famiglia, GF65, giugno 2009.
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Siamo coscienti che, come Gruppi famiglia, viviamo un’esperienza di chiesa “nuova”?
• Questa nuova esperienza ci chiede di avere un ruolo attivo, sia come guide “spirituali” sia come teologi. È un impegno non da poco ma entusiasmante. Siamo pronti ad impegnarci?
• Nel gruppo siamo pochi, fatichiamo ad allargare il gruppo. Siamo consapevoli del valore del nostro impegno, del dono che possiamo fare ad altre coppie?
• Quanto siamo informati delle iniziative formative proposte dalle diocesi e dalla CEI?
8-FAMIGLIA, PICCOLA CHIESA
Al lettore di oggi alcune pagine del libro di Carretto appaiono un poco ingenue e quasi scontate.
Ma il contesto degli anni Quaranta, nel quale si colloca questo libro, era profondamente diverso: l’azione educativa della Chiesa era dominata dal riserbo in ambito sessuale, dai falsi pudori e dai silenzi, dalle reticenze e talvolta dalle ipocrisie.
È in questo contesto che si può comprendere il carattere, sotto molti aspetti dirompente, del libro di Carretto. Forse per la prima volta – pur con un linguaggio che oggi appare sin troppo velato e pudico – si affrontavano a viso aperto, in ambito cattolico, i problemi della sessualità; soprattutto, si poneva in termini nuovi il rapporto fra scelta celibataria e scelta matrimoniale.
“È inutile”, affermava fra l’altro Carretto, in evidente polemica contro la prassi prevalente che vigeva in quegli anni, “insistere troppo sulla purezza, in modo quasi ossessionante”. Al contrario, una saggia educazione all’amore avrebbe dovuto mettere in evidenza la bellezza e la grandezza dell’amore fra uomo e donna, definito come “immagine della Trinità” in funzione della sua apertura al dono della vita, con una fecondità umana che in qualche modo riprendeva e radicava nel mondo la stessa fecondità creatrice di Dio.
Giorgio Campanini
9-LE SETTIMANE NAZIONALI DI STUDI SULLA SPIRITUALITÀ CONIUGALE E FAMILIARE
di Pietro Boffi
Gli ultimi venticinque anni di storia della pastorale familiare in Italia sono passati attraverso un appuntamento particolare, le Settimane di spiritualità coniugale e familiare. Era la primavera del 1997 quando l’allora direttore dell’Ufficio famiglia, don Renzo Bonetti, affiancato dal presidente della commissione episcopale per la famiglia e la vita, il vescovo di Aosta, Giuseppe Anfossi, organizzò la prima edizione a Rocca di Papa, nella grande casa per esercizi spirituali di “Mondo Migliore”.
Da qualche anno non venivano organizzati convegni nazionali di pastorale familiare e l’idea di ripartire proprio dalla spiritualità non convinceva tutti. Qualcuno pensava che la proposta finisse per essere considerata un po’ estrema.
Invece l’esperimento riuscì e 25 anni dopo siamo ancora qui.
Tra i promotori, il più convinto era don Gianfranco Fregni, allora direttore dell’Ufficio famiglia di Bologna. Un precursore della pastorale familiare.
Don Renzo Bonetti, che da pochi mesi era stato nominato direttore dell’Ufficio nazionale, accolse con entusiasmo la proposta e riuscì a coinvolgere, oltre alle diocesi, tanti movimenti e associazioni familiari.
Alla prima edizione del ’97 arrivarono a Rocca di Papa oltre mille persone, tra famiglie con bambini e studiosi.
La formula vincente fu quella di mettere a confronto per sette giorni famiglie impegnate nella pastorale familiare ed esperti. Non era soltanto un convegno – e neppure oggi lo è – ma era anche un’occasione per uno scambio culturale e umano che, a partire dalle relazioni, proseguiva poi per tutta la giornata.
Inizialmente, insieme alle varie coppie responsabili a livello regionale e diocesano, c’erano tante coppie provenienti dai movimenti di spiritualità coniugale. Presenze importanti dell’Equipe Notre Dame, di Incontro matrimoniale, del Rinnovamento nello Spirito, dei Focolari, del movimento Pro Familia, dell’Azione cattolica, che aveva allora un vivace settore famiglia, e di tante altre realtà. Con il tempo queste presenze sono un po’ venute meno. Forse perché i movimenti sono un po’ in crisi, forse perché si è deciso di puntare con maggior decisione sulla partecipazione delle famiglie legate alle varie diocesi.
Chi partecipa a queste settimane torna a casa con una maggiore consapevolezza sul ruolo della coppia e della famiglia nella Chiesa.
Purtroppo sovente qui si scontra con la realtà locale.
Infatti, il rinnovamento pastorale delle nostre parrocchie va raramente di pari passo con gli stimoli che arrivano da questi incontri nazionali. È come se ci fosse uno scollamento tra la teoria teologica e pastorale, sempre molto coinvolgente, e le proposte di base.
Credo che il marcato clericalismo e una certa impostazione tutta focalizzata sulla preparazione ai sacramenti abbia finito per rendere difficile l’apertura verso nuovi sbocchi.
Non è neanche vero che le Settimane propongono solo una teologia di avanguardia: all’interno dei vari convegni c’è sempre stata la preoccupazione di fornire indicazioni pastorali concrete. Un lavoro “pronto all’uso” che, certo, poi dev’essere portato nelle parrocchie e accettato.
Testo tratto dall’intervista dell’autore con Luciano Moia, Avvenire, giovedì 25 aprile 2024
10-SPECIALE: LA SPIRITUALITÀ DELLA VITA FAMILIARE
I fini del matrimonio, alla luce delle esigenze della perfezione cristiana, sono la reciproca santificazione e la trasmissione della vita soprannaturale ai figli e alle altre famiglie.
I coniugi si aiutino fra di loro sicché nella loro vicendevole unione di vita crescano sempre più nelle virtù, massimamente nella sincera carità verso Dio e verso il prossimo da cui “dipende tutta quanta la Legge ed i Profeti”.
Oggi è più necessaria che non nel passato una profonda formazione di fede: per resistere alla mentalità dell'ambiente, tutt'altro che cristiana; per illuminare con la luce cristiana tutti i problemi familiari, vecchi e nuovi.
I genitori che vogliono trasmettere ai loro figli la fede, la purezza, il senso del dovere, lo spirito di sacrificio, ecc., devono essi stessi coltivare per i primi questi valori, certi che ogni seme deposto nel cuore di Dio a questo scopo renderà il cento per uno.
di Carlo Colombo
Oggi si parla molto di spiritualità coniugale.
In realtà non è da oggi che nel Cristianesimo si conosce e si insegna una “spiritualità familiare”. Anche nei libri del Nuovo Testamento (in particolare le lettere Paoline) vi sono delle applicazioni particolari che riguardano le persone sposate e i rapporti familiari.
A questo primo insegnamento, perennemente presente nella Chiesa, ha fatto seguito, in misura varia nei diversi secoli, tutta una dottrina ed un'attività pastorale rivolta alla “santificazione”, cioè alla formazione in senso pienamente cristiano della vita familiare, più con la parola e l'azione che con lo scritto. Per esempio, questo spirito e questa azione educativa nel periodo patristico e nell'alto medio-evo hanno permesso di trasformare il costume familiare pagano dando origine al costume familiare cristiano.
Ma oggi, rispetto al passato, si sente da parte dei laici sposati e dei sacerdoti che li accompagnano, l’esigenza di un approfondimento maggiore e una visione più chiara dei rapporti tra vita familiare e perfezione cristiana.
Vita familiare e perfezione cristiana
Nella storia della Chiesa la perfezione cristiana è stata sempre legata alla vita consacrata, alla verginità per il Regno; infatti “la prima ragione della verginità cristiana (è di) aspirare unicamente alle cose divine” (Pio XII).
Questa precisazione è utile perché, di fronte alle preoccupazioni e ai sacrifici che richiedono i figli, gli sposi sono facilmente portati a pensare che non esista "scuola di carità" più formativa che la vita di famiglia; e non si può negare che tale impressione venga talvolta un po' confermata dalle apparenti mediocrità di qualche consacrato.
Se è vero il fatto che il matrimonio permette un più armonico sviluppo della personalità per la grande maggioranza delle persone, per la perfezione cristiana le cose non stano così.
Essa richiede un’unione in qualche modo immediata tra l'anima e Dio.
Ora questa unione immediata si attua e si può sviluppare più facilmente, sicuramente e pienamente nella verginità consacrata che non nel matrimonio.
Questa osservazione insegna alle persone sposate che il matrimonio, del quale esse esperimentano il grande valore umano e religioso, non rappresenta il valore supremo: v'è qualcosa di più grande di esso e del loro vicendevole amore, ed è l'amore di Cristo e di Dio.
Matrimonio e perfezione cristiana
In questi ultimi decenni è però accaduto un fatto nuovo. Infatti, il Magistero ha ripetutamente insistito nel presentare lo stato di matrimonio come una forma di vita cristiana che può e deve essa pure tendere alla perfezione della vita soprannaturale (cfr Casti connubii).
In particolare, “i coniugi si aiutino fra di loro per una sempre migliore formazione e perfezione interiore: sicché nella loro vicendevole unione di vita crescano sempre più nelle virtù, massimamente nella sincera carità verso Dio e verso il prossimo da cui “dipende tutta quanta la Legge ed i Profeti” “.
E questo potrebbe essere il fine primario del matrimonio: il bene dei coniugi, e non solo la procreazione ed educazione della prole.
Per la Casti connubii il bene dei coniugi si può sintetizzare in tre punti: 1) la possibilità e il dovere per le persone sposate di tendere alla perfezione cristiana, cioè alla santità; 2) la via per giungervi, che è per essi come per tutti i cristiani l'imitazione di Cristo, e particolarmente dell'amore di Cristo per la Chiesa; 3) il dovere dell'aiuto reciproco tra gli sposi nell'attuazione di questo compito di santificazione soprannaturale.
A questo fine gli sposi cristiani “si ricordino assiduamente che sono stati santificati e fortificati nei doveri e nella dignità del loro stato per mezzo del sacramento nuziale, la cui efficace virtù è permanente”.
A questo punto siamo in grado di tentare una precisazione delle caratteristiche proprie della perfezione cristiana nel matrimonio, e delle vie necessarie per il suo sviluppo.
Il fondamento sacramentale della spiritualità coniugale
La perfezione cristiana deve essere pieno sviluppo della grazia ricevuta, e particolarmente della grazia sacramentale e il risultato di un impegno eroico nell’imitazione delle virtù di Gesù Cristo, nella piena assimilazione personale del suo spirito.
Ogni Sacramento comunica una grazia sacramentale propria, che è una speciale assimilazione alla vita di Gesù Cristo. Nel caso del matrimonio consiste nella partecipazione e configurazione all'amore sponsale di Cristo per la Chiesa.
Ciò significa rivivere in sé, l'uno per l'altro, sebbene ciascuno con la propria personalità, l'amore di Cristo per la Chiesa e della Chiesa per Cristo.
Amore sponsale totale
L'amore sponsale si distingue dalle altre forme di amore perché è un amore personale, totale, definitivo ed esclusivo. Chi ama con amore veramente sponsale, ama la persona del coniuge con tutto se stesso, con una dedizione che in quella misura e con quella profondità non può essere diretta se non a quella persona.
Il fatto che diventi difficile attuarlo fino in fondo non ne muta la natura e le esigenze.
L'amore di Cristo è stato un amore di sacrificio, un dono di sé fino alla morte. E tale dev'essere l'amore degli sposi: lo sforzo della comprensione e dell'adattamento reciproco li costringerà a rinunciare alla totale libertà di chi non è legato dal vincolo dell'amore coniugale, richiederà il sacrificio di gusti e preferenze personali; il reciproco aiuto richiederà consumo di tempo e di energie, che non sempre magari saranno ricompensati da un immediato riconoscimento dell'altra parte, e spesso potranno suscitare l'impressione che è molto più quello che si dà che non quello che si riceve: eppure bisognerà continuare a donarsi come se la risposta fosse piena ed immediata... e continuare fino alla morte.
Amore santificatore
L'amore di Gesù Cristo per la Chiesa e per le singole anime è un amore santificatore. Allo stesso modo l'amore cristiano comunicato dal Sacramento del matrimonio è un amore santificatore nel duplice indirizzo: di un aiuto vicendevole a liberarsi dalle colpe e dai difetti; di un aiuto a sviluppare pienamente tutti i doni naturali e soprannaturali rispettivi, perché ciascuno abbia a corrispondere pienamente ai disegni di Dio.
Si inserisce a questo punto l’applicazione agli sposi del dovere cristiano tanto dimenticato della correzione fraterna.
Di seguito alcuni aspetti cui deve mirare. Alcuni sono negativi: l'aiuto a liberarsi dalle colpe e dai difetti (e non si è mai finito!): è la forma sotto certi aspetti più facile perché i difetti del coniuge danno più fastidio. Ma più importanti sono gli aspetti positivi: l'aiuto a conoscere se stesso e le proprie capacità, a comprendere ed attuare pienamente le proprie responsabilità (non soltanto i doveri familiari).
C'è in ogni uomo e in ogni donna una parte della personalità che attende un atto d'amore o una lunga collaborazione, ispirata da un vero amore, per potersi pienamente manifestare. Ma lo scopo più alto dell'amore cristiano non è solo lo sviluppo pieno delle doti e della personalità naturale dei coniugi, ma soprattutto il pieno sviluppo della loro vita soprannaturale.
Amore unificante
Pur nel rispetto delicato e rigoroso della intimità spirituale di ciascuno, l'amore vero, l'amore cristiano, spinge già naturalmente a mettere in comune i propri pensieri, le proprie aspirazioni, anche le proprie ricchezze spirituali. Ma bisogna sottolineare che questo dono spirituale reciproco, per cui si rinuncia a volere vivere una propria vita spirituale separata per tendere ad una vita spirituale in comune nella più ampia e profonda misura possibile, non è soltanto un risultato, è pure un fine dell'amore cristiano.
Questa esigenza di vita spirituale comune è certamente difficile da attuare: vi si oppongono il riserbo istintivo sulla propria vita interiore, talvolta il rossore delle proprie debolezze, il rispetto umano e la pigrizia, la difficoltà di valutare l'impressione che susciterà nel coniuge la manifestazione del proprio intimo, talvolta il dovere del segreto da mantenere su circostanze e persone che pure incidono fortemente nella propria vita spirituale.
Tutto ciò costituisce una difficoltà reale ed indica che non si può proporre una regola di vita cristiana da attuare secondo schemi fissi ma è piuttosto una linea direttiva nella quale camminare con impegno costante, ma anche con tutta la delicatezza, il tatto e la prudenza suggeriti da un vero amore.
Amore fecondo
L'amore di Gesù Cristo per la Chiesa è un amore fecondo e tale deve essere anche per l'amore degli sposi cristiani: non si tratta per essi soltanto di trasmettere la vita in senso fisico ma soprattutto in senso soprannaturale, e l'impegno comune degli sposi cristiani è di mettersi insieme al servizio di Dio per la trasmissione della vita soprannaturale.
Per i battezzati l'atto della trasmissione della vita è cristianamente perfetto quando tende alla gloria di Dio; ed è tanto più perfetto quanto più è animato da questo desiderio di glorificazione di Dio.
Così l'intenzione d'amore degli sposi cristiani nel donarsi vicendevolmente sarà quello di dare la possibilità all'altro di offrirsi per la dilatazione del regno di Dio in Cristo.
Si comprende facilmente come una intenzione d'amore di questo tipo possa e debba animare le altre forme normali di collaborazione dei cristiani sposati alla dilatazione della vita soprannaturale: l'educazione cristiana dei figli, l'apostolato dell'esempio, della parola, dell'azione, della preghiera, del sacrificio.
La nuova esperienza umana che gli sposi acquistano formando la famiglia, esperienza di gioia e di dolore, di desideri e di speranze, di difficoltà e di rinunce, è la via attraverso la quale essi imparano a conoscere i bisogni spirituali delle altre famiglie, ed a comprenderli con una profondità che difficilmente potrà essere raggiunta da coloro a cui questa esperienza manca. Per questo essi sono chiamati nella Chiesa a divenire in modo particolare gli interpreti della carità di Cristo e della Chiesa per i bisogni spirituali delle famiglie e delle persone sposate.
Lo sviluppo virtuoso della vita soprannaturale
Lo sviluppo della vita soprannaturale consiste nello sviluppo delle virtù infuse soprannaturali: nel far sì che queste capacità d'agire a modo di Cristo prendano un possesso sempre più totale stabile e profondo di tutta la vita dell'anima.
Tra le virtù infuse soprannaturali, tre hanno fondamentale importanza: fede speranza e carità, le virtù teologali.
Vorremmo qui indicare le caratteristiche proprie che queste virtù devono acquistare nelle persone sposate per divenire virtù cristiane perfette, rispondenti alle esigenze della loro vocazione.
La Fede
La vita familiare cristiana ha bisogno di essere costantemente illuminata e alimentata dalla fede per conoscere esattamente il proprio fine, dirigere i propri sforzi, comprendere e vivere profondamente il significato di tutte le azioni: in una parola per “camminare nella luce”.
In altri tempi, ed in parecchi luoghi ancora oggi, la formazione di questa coscienza soprannaturale del matrimonio e della famiglia avveniva mediante la comune predicazione e l'insegnamento catechistico, rafforzato da un patrimonio di spirito di fede e di saggezza soprannaturale cristiana che si trasmetteva di generazione in generazione per l'opera educatrice della famiglia, e si esprimeva spesso sotto forma di sentenze, di proverbi e di folclore cristiano.
Difficilmente potrebbe però oggi bastare questa via ad una formazione sufficiente della fede necessaria ai cristiani sposati: la minore ricchezza di spirito e di saggezza cristiana nel costume familiare comune, assieme con la maggiore autonomia personale dei giovani rispetto agli anziani, fanno sì che le famiglie giovani oggi tendano a formarsi da sé le convinzioni e le linee direttive sulle quali costruire la propria vita.
Per questo oggi è più necessaria che non nel passato una profonda formazione di fede: per resistere alla mentalità dell'ambiente, tutt'altro che cristiana; per illuminare con la luce cristiana tutti i problemi familiari, compresi i nuovi che l'evolversi rapido del costume frequentemente propone.
Le giovani famiglie cristiane sentono questo bisogno e da esse sono nati quei movimenti di spiritualità familiare, il cui scopo principale è di aiutare i cristiani sposati ad approfondire la conoscenza del valore spirituale e soprannaturale del loro Sacramento, ed a nutrire in comune un impegno di coerenza cristiana.
Vi è poi un altro aspetto della vita familiare, il quale esige e stimola un nuovo approfondimento dello spirito di fede: sono le sofferenze e le crisi. Nella vita familiare, come in ogni altra forma di vita cristiana, la sofferenza e la croce non possono mancare ed assumono anzi spesso una violenza particolare.
Se poi si aggiunge che le crisi familiari e i distacchi dolorosi si presentano talvolta in modo brusco (una malattia fulminante, un incidente imprevisto, un peggioramento della salute, ecc.), si comprende facilmente come per essi possa talvolta divenire più difficile che per altri cristiani mantenere intatta la fede nella bontà paterna di Dio, sotto la prova.
Sono i momenti nei quali la loro fede deve crescere fino a diventare eroica per durare, e deve purificarsi da quel tanto di limitato e di interessato che prima forse ancora la permeava.
Quest'ultima riflessione indica anche la seconda caratteristica fondamentale che deve assumere la fede nelle persone sposate: si tratta per essi soprattutto di vedere la famiglia con l'occhio di Dio. E questo riguarda in modo particolare i fini che Dio si propone chiamando i suoi figli alla vita familiare: il fine prossimo che Egli assegna ad ogni famiglia è di crescere nella grazia attraverso l'accettazione della Sua santa volontà e l'adempimento dei doveri derivanti dalla propria vocazione; il fine ultimo è la famiglia futura ed eterna del Paradiso, dove i membri saranno uniti a Dio e spiritualmente uniti tra loro secondo la misura con cui si saranno aiutati a vicenda per conformarsi alla volontà del Padre.
La Speranza
Se c'è una virtù cristiana particolarmente necessaria alle persone sposate è la speranza: non una qualunque speranza, ma la speranza cristiana. Si può dire che la possibilità di durare nella piena attuazione di tutti i compiti della vita cristiana per una famiglia dipende dalle speranza che la sostiene: e talvolta per durare fino alla fine si richiede una speranza eroica.
Già lo spirito di fede è tutto imbevuto di speranza, ma vi sono alcuni problemi ed alcuni momenti cruciali che fanno meglio comprendere come deve svilupparsi la virtù della speranza negli sposi e genitori per essere pienamente capace di informare la loro vita.
L'aspetto più facile da comprendere nella virtù della speranza è la fiducia in Dio.
La necessità di questa speranza è qualcosa di cui si convincono facilmente i cristiani sposati, se appena sono attenti alle esigenze spirituali della loro vita: non occorrono molti anni, normalmente, per accorgersi della sproporzione tra le proprie forze e le molteplici difficoltà della vita familiare. Vi sono anzitutto le difficoltà comuni ad ogni cristiano: dei rapporti tra l'egoismo e la virtù, la natura e la grazia, e la constatazione frequente delle proprie sconfitte o della propria permanente mediocrità.
Inoltre, nella vita familiare spesso i problemi diventano molto complicati, i doveri si incrociano, si sovrappongono, si contraddicono, esigendo uno sforzo sovrumano ed una dispersione di energie che esaurisce, e vi si aggiunge magari la prospettiva che la situazione debba durare a lungo: le bocche da sfamare con i debiti da pagare, i figli da assistere e da educare con una malattia cronica, una lunga malattia, ecc.
Ed almeno nel periodo della prova si fosse uniti a portare la croce! Ma, proprio a farlo apposta, quando l’unione è più necessaria, sembra che crescano le incomprensioni e le difficoltà vicendevoli, e non è purtroppo rarissimo il caso che l'uno venga meno al proprio impegno cristiano e lasci l'altro solo, con una difficoltà e un problema in più.
In questi casi diventa tanto facile adattarsi alla linea comune, la linea del minor sforzo spirituale, se non si attinge da Lui una nuova forza: la fiducia che l'impegno per una vita cristiana non è vano, che non ci si sciupa inutilmente, che Egli non abbandona chi in Lui confida, anche se tutti gli uomini - compresi talvolta i Suoi ministri - vengono meno.
È evidente che questa speranza, tutt'altro che segno di debolezza, è virtù dei forti.
Una seconda occasione, in cui la necessità della speranza si manifesta viva, riguarda le difficoltà spirituali dei figli e dello sposo/a. È il caso di un figlio che perde la fede, un marito o una moglie che perde la testa.
Per un povero cuore umano, un cuore di padre e di madre, un cuore di sposa o di sposo che prega e che soffre, ogni giorno che passa e non lascia intravvedere nessun cambiamento, costituisce una dura prova e richiede un rinnovato atto di fiducia nel volere misericordioso di Dio e nella efficacia della grazia.
In particolare, di fronte alle difficoltà dei figlioli, i genitori cristiani oggi hanno bisogno di essere sostenuti da una grande speranza: dalla fiducia che il Signore, Padre Egli pure dei loro figlioli come e più che essi stessi, terrà conto di ogni loro sforzo, di ogni loro preghiera, e custodirà questi figlioli dal male, anche là e quando l'influenza dei genitori non li può raggiungere o non può bastare; che alla fine, anche per riguardo all'opera loro, li condurrà a salvezza.
È una speranza non generica, ma fondata su una applicazione particolare del dogma della comunione dei Santi e della dottrina del Corpo mistico. Questo dogma insegna che nulla va perduto del bene soprannaturale compiuto: ogni minimo atto meritorio soprannaturale confluisce in quella immensa riserva soprannaturale che costituisce la vita ed il tesoro della Chiesa facendo sì che la grazia divina scenda più copiosa particolarmente sulle persone per le quali vengono offerti i sacrifici, i meriti e le preghiere.
Il concetto di comunione dei Santi si può estendere anche a livello familiare.
E proprio questa comunione dei santi familiare fa sì che l'influenza dei genitori sui figli si estenda molto al di là dell'influenza pedagogica umanamente osservabile: li segue fin dove li segue l'amore di Dio e di Cristo.
E quale ricompensa maggiore possono desiderare dei genitori cristiani che una continua assistenza della grazia di Dio sui loro figli?
I genitori che vogliono trasmettere ai figlioli la fede, la purezza, il senso del dovere, lo spirito di sacrificio, ecc., devono essi stessi coltivare per i primi, come tesoro da offrire a Dio per i figli, lo spirito di fede, la purezza coniugale, la fedeltà al proprio dovere, lo spirito di sacrificio: certi che ogni seme deposto nel cuore di Dio a questo scopo renderà il cento per uno, ma senza pensare di mercanteggiare con Dio il rapporto tra quanto danno e quanto ricevono.
La speranza cristiana richiede ad essi che si affidino completamente a Dio, donandogli quanto più possono, per poter ricevere tutto quanto legittimamente desiderano per i figli.
Sottolineo legittimamente perché la speranza cristiana è un desiderio che si accorda con i desideri di Dio, ed è tanto più veramente cristiana quanto più coincide con i desideri di Dio.
Ogni genitore coltiva naturalmente i disegni più rosei sui propri figli: desideri umani, umanissimi e comprensibili, ma molto spesso terreni. Ogni sposo ed ogni sposa desidera qualcosa dall'altro e per l'altro: solitamente ciò che piace di più: i desideri umani, anche quando sono grandi, sono tanto meschini... I desideri di Dio sono invece commisurati alla Sua grandezza, alla Sua intelligenza.
Nella vita familiare l'azione educatrice di Dio è diretta a far desiderare ai genitori i beni essenziali, cioè i beni soprannaturali, per sé e per i figli: la vita eterna, la grazia e la amicizia di Dio, la fede e lo spirito cristiano, la possibilità e la capacità di attuare il compito che Dio assegna a ciascuno e ne costituisce il valore proprio nel grande disegno di Dio. Tutto questo, che costituisce il disegno ed il desiderio di Dio. non esclude affatto, include anzi, lo sviluppo delle qualità e attitudini personali; soltanto stabilisce una gerarchia che mette ogni cosa, ogni valore al suo giusto posto.
La Carità
Dio è carità: e chi sta nella carità sta in Dio e Dio in lui (1Gv 4, 16): è un principio generale, che vale anche per gli sposi cristiani.
La persona sposata è chiamata ad amare Dio “con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente”, perché questo è il più grande e il primo comandamento (Mt. 22, 37-38). Proprio per essa vale la parola di Gesù: “Se uno viene a me e non odia suo padre e sua madre, la moglie ed i figli, i fratelli e le sorelle ed anche la sua stessa vita, non può essere mio discepolo” (Lc. 14, 26).
Sono, evidentemente, espressioni da intendere bene, perché non esiste alcuna contraddizione essenziale tra l'amore coniugale e l'amore di Dio; ma sono espressioni che sottolineano la differenza tra i due e indicano chiaramente l'esistenza di qualche problema da risolvere perché una vera e piena carità si sviluppi nella vita spirituale degli sposi e di una famiglia cristiana.
L'amore naturale, coniugale e paterno, nasce dalla carne e dal sangue: il che non significa che sia cattivo, significa soltanto che la sua sorgente è un legame naturale ed è influenzato e dominato da tutte le componenti naturali che accentuano o rallentano i rapporti tra gli uomini; non esclude Dio dalla propria visuale, ma vi tende come ad un obbiettivo finale. E per gli uomini dopo il peccato originale questi obbiettivi intermedi sono piuttosto uno schermo e un diaframma che uno stimolo all'amore di Dio.
La carità, quindi, attraverso ogni realtà, ogni persona, ama Dio e tende a Dio come al suo fine supremo. Non si pensi però che per questo le persone dello sposo e dei figli divengano semplici occasioni dell'amore di Dio e perdano ogni loro valore e significato proprio. Soltanto non si limita ad amarle con tutto il cuore per quello che esse sono in se stesse ed appaiono agli occhi umani, ma le ama in Dio, ed ama Dio in esse.
In una parola, la carità fa amare nelle persone care la loro vocazione soprannaturale, il meglio di loro: e le fa amare con quella profondità d'amore, quella finezza, quel sommo rispetto della personalità, quella costanza, quella generosità che sono le note essenziali dell'amore di Dio, e che ci appaiono umanamente rappresentate dall'amore umano del cuore di Cristo.
È un fatto che l'amore umano, tanto l'amore coniugale che quello paterno, non è sempre un amore puro. Vi si mescola spesso un elemento d'egoismo più o meno consapevole, una ricerca della propria gioia pur nella ricerca del bene dell'altro o degli altri, che fa cadere in mille debolezze: induce a tacere quando la coscienza dice che si dovrebbe parlare, o viceversa; induce a tollerare e magari a commettere mille piccole ingiustizie per non disgustare, per fare piacere, per non vedere soffrire; è fertile di compromessi e di pseudo giustificazioni.
La prima funzione della carità soprannaturale è di purificare l'amore da tutto questo.
La purificazione totale dell'amore naturale, particolarmente dell'amore paterno e materno, è un'impresa che richiede l'impegno di tutta la vita: non ha sentito questa difficoltà Gesù stesso, alla fine della Sua vita, quando ha chiesto al Padre, se possibile, di liberarlo dal calice (Mt. 26, 39)?
È questa la situazione spirituale nella quale si possono talvolta venire a trovare degli sposi e dei genitori in lotta tra i più profondi sentimenti naturali del proprio cuore ed il volere di Dio: e la preghiera di Gesù può essere la loro preghiera; come l'angelo che ha confortato Lui, conforterà pure loro.
V'è un'altra trasformazione dell'amore, operata dalla carità: è la sua trasformazione in mezzo di redenzione e di salvezza.
Succede spesso che il matrimonio manifesti difetti e debolezze prima insospettate: gli egoismi più profondi e più tenaci si manifestano appunto quando più facile è il terreno per il loro sviluppo.
Eppure è proprio questa persona concreta, con i suoi limiti e le sue debolezze, magari con le sue colpe o con le ripugnanze istintive che può suscitare, che viene affidata all'amore di chi la sposa; e non sono dei figli di sogno, ma i figlioli reali che Dio manda quelli che i genitori devono amare e per i quali devono sacrificarsi.
Amare e donarsi per essi come se fossero lo sposo ed i figli ideali e questo sino alla fine: ecco la legge della carità cristiana.
Chi ama cristianamente sa di dover e completare mediante la propria sofferenza quello che manca delle sofferenze di Cristo, a pro del Suo corpo che è la Chiesa (Col. 1. 24). Ora chi è più unito con un altro membro di Cristo, così da costituire un solo corpo con lui, che la sposa con lo sposo e viceversa, ed i genitori con i figli? Per questo ad essi incombe più che mai il compito di cooperare con il proprio sacrificio alla salvezza soprannaturale dei propri cari.
La carità coniugale e l'amore paterno donati dal Sacramento del matrimonio sono essenzialmente una partecipazione all'amore redentore di Cristo.
Fonte: La spiritualità della vita coniugale in (a cura di Tullio Goffi) Enciclopedia del matrimonio, Queriniana, Brescia 1960.
Sintesi ed adattamento della Redazione
Nota sull’autore
Carlo Colombo (1909-1991), vescovo e teologo, è stato il maggiore esponente della Scuola teologica milanese (vedi pag. 15). Pur non avendo mai sintetizzato la sua riflessione sul matrimonio in un volume organico, ha condotto a partire dagli anni Cinquanta una sistematica ricerca sulla spiritualità coniugale. Il testo che vi proponiamo rappresenta il contributo più completo da lui fatto su questa tematica ed è stato pubblicato nel 1960.
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• In che misura nel nostro amore rivive l’amore reciproco tra Cristo e la Chiesa?
• Ci aiutiamo vicendevolmente a liberarci dalle nostre colpe e difetti?
• Cosa facciamo in concreto per approfondire la nostra fede?
• Di fronte alle molteplici difficoltà della vita familiare quanto confidiamo nell’aiuto di Dio?
• Quanto i nostri desideri si accordano ai desideri di Dio?
• Ci impegniamo, come coppia, a conoscere i bisogni spirituali delle altre famiglie?
11-I 35 ANNI DEL COLLEGAMENTO TRA GRUPPI FAMIGLIA
Quando è cominciata l’avventura del Collegamento? Ufficialmente nel giugno del 1989 a Castelnuovo Fogliani (PC).
Noi ce lo ricordiamo bene quell’inizio. Avevamo conosciuto Anna e Guido qualche mese prima nella nostra parrocchia a Torino e ci siamo trovati “imbarcati” in questa loro nuova “impresa”. Mai avremmo pensato che dopo 35 anni ci saremmo trovati al loro posto come coppia responsabile.
Non ci sentiamo adatti per questo ruolo a causa dell’età e del nostro temperamento (non per niente in altre occasioni ci siamo definiti topi da biblioteca) ma siamo qui, ad iniziare un secondo mandato quinquennale.
Riandando indietro con la memoria non possiamo non ricordare le coppie responsabili che abbiamo affiancato nella gestione della rivista.
Non possiamo dimenticare gli incontri di collegamento, in giro per il nord Italia, ospitati nelle famiglie del luogo.
Non possiamo dimenticare l’esperienza dei campi estivi (in alcuni anni se ne erano organizzati più di sette).
Un ricordo particolare va ai campi invernali, che per noi sono stati un bel modo per vivere il tempo del Natale e un’importante momento per ritrovarci come coppia.
Infine un pensiero va ai convegni nazionali di pastorale familiare organizzati dalla CEI e alle figure di Bonetti, Pilloni, Mazzanti e dei coniugi Zattoni, ma anche a tutti quei sacerdoti e religiosi che ci hanno dato fiducia e ci hanno accolto nelle loro diocesi e parrocchie o hanno collaborato con la rivista.
Ci piace qui ricordare in particolare il compianto mons. Masseroni, uomo di grande spiritualità.
Ciascuno di voi può aggiungere i suoi ricordi ma ora si tratta di guardare al futuro, come ci invita a fare un “vecio“ dei Gruppi Famiglia: Toni Piccin, e a confidare nel Signore, come ci hanno ricordato Anna e Guido Lazzarini su queste pagine.
12-Coppie responsabili: le testimonianze
MARIA ROSA E FRANCO FAUDA
La nostra esperienza alla guida nazionale dei Gruppi Famiglia ha inciso profondamente su di noi, comprese le nostre tre figlie.
Siamo subentrati, con timore di non farcela, ai coniugi Anna e Guido Lazzarini, che avevano ideato e promosso tutto il collegamento e siamo stati coppia responsabile dal 1993 al 1998.
Ricordo che, prima dell’accettazione ufficiale della carica, Franco mi telefonò per chiedere il mio consenso ed io accettai questo onere ed onore con molta gioia, confidando nello Spirito Santo che ci avrebbe sostenuto.
Sono stati anni di intensa attività: ogni periodo estivo era caratterizzato da 2 o 4 campi scuola, nel periodo invernale una parte delle vacanze di Natale era destinato ad una 4 giorni formativa; oltre ad organizzare convegni e nuove scuole di formazione in tutto il nord Italia, ci siamo spinti fino a Roma. Su invito dell’allora monsignor Bonetti di Verona, che ci ha introdotti alla collaborazione con la CEI e alle settimane di confronto con tutti i movimenti già esistenti, abbiamo contribuito a diffondere uno stile di vita cristiano nel nostro Bel Paese.
Questi anni ci hanno permesso di incontrare centinaia di persone, di pregare insieme a loro ed in coppia e in famiglia e, con il sostegno delle preghiere di molte suore e sacerdoti, siamo riusciti a vivere coi Gruppi Famiglia in modo coinvolgente, partecipando delle gioie di tanti o piangendo con loro la perdita di un marito o di un figlio.
Ci sono storie che affiorano con immutato ricordo: quando Matteo morì il padre lesse all’altare la parabola di Gesù del Vangelo di Matteo e sulla sua lapide c’è scritto: ”lasciate che i bambini vengano a me”. Che lezione di vita cristiana! Oppure quando Michele perse la vita in un tragico incidente, quanto dolore vedemmo e sentimmo negli anni successivi.
Insieme a tante sofferenze abbiamo costruito una rete sociale, fatta di amicizia e condivisione di valori cristiani e di Fede.
Infatti anche due delle nostre figlie si sono sposate con i figli di coppie conosciuti durante le scuole di formazione o durante i campi estivi, complice il gruppo animatori.
In conclusione siamo felici di essere stati promotori di realtà cristiane sviluppatesi in autonomia e di aver lasciato ai coniugi Celine e Paolo Albert una situazione gestibile, accompagnandoli con la preghiera della Lectio Divina, nel nostro gruppo torinese, e l’amicizia, senza prevaricare né intralciare il loro mandato.
CELINE E PAOLO ALBERT
Per noi, all'interno del nostro cammino di fede, fare l'esperienza dei Gruppi Famiglia ha significato innamorarsene.
Il fascino forse lo abbiamo scoperto nel costante riscontro che c'è nei GF tra la Parola e la vita di ogni giorno; nel senso di appartenenza discreto, non totalizzante; nello sforzo del gruppo di permettere e incoraggiare ciascuno ad esprimersi; nel far posto all'esperienza della famiglia, che è la nostra dimensione umana più forte, la nostra vocazione, la nostra scelta di vita.
Siamo stati coppia responsabile per cinque anni e, sia prima sia dopo, l’impegno nel Collegamento non è mai venuto meno.
Ma, nello stesso tempo, siamo stati sempre attivi - nell’ambito della pastorale familiare - all’intero della comunità parrocchiale in cui ci siamo trovati a vivere e attenti a ciò che la CEI proponeva a livello nazionale.
Purtroppo la memoria non mi aiuta, ma ricordo ancora i pomeriggi passati con i Rosada a incollare etichette e a confezionare i pacchi per la spedizione della rivista di collegamento.
Paolo mi ha lasciato nel 2020 dopo un lungo periodo di malattia e, da allora, ho fatto soprattutto la nonna ma le amicizie nate durante il nostro servizio mi sono rimaste nel cuore.
NICOLETTA E CORRADO DE MARCHI
Sono passati 30 anni da quando, neosposi, siamo entrati in contatto con i “Gruppi Famiglia”.
Eravamo alla ricerca di un cammino cristiano per crescere nella fede, non solo come coppia, ma come famiglia, perché l’arrivo della nostra prima figlia aveva cambiato improvvisamente il nostro equilibrio a due.
Lì abbiamo trovato le persone e l’aiuto di cui avevamo bisogno. In poco tempo abbiamo formato il primo Gruppo Famiglia a Pinerolo, nella nostra parrocchia Madonna di Fatima, a cui negli anni, se ne sono aggiunti altri.
Siamo profondamente grati al Signore per questi incontri arricchenti che ci hanno aiutato a crescere nella fede con la lectio divina, la revisione di vita ed i campi estivi, anno dopo anno, abbiamo compreso quanto fosse importante per noi la preghiera e l’ascolto della parola di Dio.
Dopo un po’ di tempo siamo rimasti sbigottiti quando proprio a noi veniva richiesto di prendere la responsabilità del collegamento dei GF. Pur non capendo bene il perché, umilmente, come Maria, abbiamo detto il nostro piccolo sì, intuendo che era giunto il momento di restituire ad altri tutto il bene ricevuto.
Abbiamo avuto l’opportunità di portare la nostra testimonianza in giro per l’Italia, dal nord al sud, conoscendo famiglie e comunità desiderose di camminare con fiducia e speranza.
Conserviamo innumerevoli ricordi di sposi, sacerdoti, parrocchie ed eventi che porteremo nel nostro cuore per sempre.
Ci ha continuamente colpito la semplicità di relazione con le persone che conoscevamo: eravamo uniti dalla preghiera e dal desiderio di incontrarLo sempre più profondamente, e Lui, Gesù, ci faceva testimoniare il Suo amore nella concretezza di queste amicizie che nel tempo, nonostante poche occasioni di incontro, sono rimaste vive e profonde.
L’importanza di queste condivisioni ci hanno aiutati ad approfondire la nostra vocazione di sposi in Cristo e ad affrontare le difficoltà del cammino più serenamente.
Sono esperienze dove ci si accetta l’un l’altro con le proprie fragilità e l’amicizia diventa un dono che arricchisce veramente l’esistenza.
Con affetto il nostro ricordo va a quegli amici che purtroppo non sono più fisicamente tra noi: Paolo Albert, Gianprimo Brambilla e Renato Baretta. Ci hanno donato tanto e ci mancano profondamente, ma ci rasserena pensare che hanno già incontrato quel Cristo di cui ci siamo nutriti nelle Lectio.
In generale, negli ultimi anni, è venuto a mancare questo desiderio di trovarsi insieme e la proposta dei GF, che comunque continua in tante realtà d’Italia, non ha più intercettato la domanda di molte famiglie. I numeri della Chiesa Italiana testimoniano peraltro questa regressione a livello di partecipazione cristiana, ma non siamo assolutamente preoccupati perché certi che i germi di bene seminati in questi anni daranno frutto, in qualche modo, come lo Spirito Santo vorrà, da sempre più fantasioso ed innovativo di noi.
In questo anniversario vogliamo ringraziare, infine, tutte le persone che abbiamo incontrato, perché ognuna di loro è stata per noi importante per la nostra famiglia: ci hanno aiutati a trovare un frammento dell’amore di Dio, testimoniando che amarsi come Lui ci ha insegnato, non solo è possibile, ma decisamente bello.
ANTONELLA E RENATO DURANTE
La nostra esperienza con i GF inizia presto, noi giovane famiglia con allora due figlie piccole capitati in un campo famiglie invitati da Toni e Valeria Piccin nel 1999. Da lì la nostra vita è cambiata. Nuove amicizie, nuovi impegni, altri lavori, altri traslochi, nuovi arrivi e perdite di persone care... L'esperienza del nostro gruppo famiglie è rimasto sempre al centro, casa a cui tornare dopo ogni esperienza per ricaricarci, confrontarci e ripartire; e al centro abbiamo sempre messo la Parola, tentando di prendere da essa la forza. Ogni giorno abbiamo un posto nel cuore per portare con noi un amico, una situazione, una preghiera, una gioia...
I gruppi famiglia ci permettono di non tenere per noi questa esperienza del cuore, ma di condividerla con semplicità nella certezza di vederla custodita senza giudizi, semplicemente accolta... portando ognuno i pesi dell'altro.
Anche la nostra casa ha accolto lo stile nuovo, aperta agli amici ma anche a chi ha bisogno, a chi passa, tanto da far dire ai nostri figli a tavola "Ma oggi, non viene nessuno a cena?”.
L'esperienza di servizio nei GF inizia presto con l'organizzazione di settimane estive, incontri e segreterie, oltre alle immancabili serate a casa nostra con gli animatori a preparare le attività e mangiare insieme. Quante amicizie sono nate e quanto abbiamo condiviso e ricevuto. Ci siamo sempre sentiti in cordata: accompagnati da famiglie di ormai nonni e legati a nostra volta a famiglie e animatori più giovani. Questa esperienza ci ha fatto toccare con mano cosa vuol dire essere accolti senza giudizi o richieste.
Il nostro impegno prende forma e nel 2014 ci viene chiesto di metterci al servizio dei GF come coppia responsabile. I 25 anni dei GF sono una vera e propria festa, a Treviso; un incontro di persone per dire e dirsi il proprio grazie da ogni parte d'Italia. Le prove generali erano avvenute con i 20 anni; le famiglie del luogo ospitano chi è più lontano, condividono il pranzo, gli animatori preparano a distanza le attività e i materiali e tutto magicamente funziona!
C'è una parte di amici che non può essere presente; così sperimentiamo quanto i gruppi siano quotidianamente presenti nei loro pensieri e nelle loro preghiere. Sono tanti, sono gli azionisti di maggioranza che sempre non smettono di sostenere ogni famiglia e gruppo anche oggi. Non smettono mai di farlo, anche nei momenti di difficoltà, anche nei momenti bui. Questi incontri tra famiglie sono traboccanti di gioia, di abbracci, di occhi lucidi per i ricordi di esperienze e persone che portiamo nel cuore... per sempre.
I GF continuano a macinare strada; d'estate soprattutto. Calabria, Lazio, Veneto, Piemonte, Lombardia, Marche, Emilia, Toscana e chissà quante altre ospitano esperienze tra famiglie che qualcuno definisce: un anticipo di paradiso... Quanti incontri, quante storie. Anche l’esperienza delle Giornate Mondiali e del Giubileo delle famiglie a Roma rimane nei nostri ricordi, quante occasioni di Grazia...
Ci ritroviamo come equipe di lavoro a Ronco, vicino Monza, posto centrale per tutti, accolti da Gianprimo ed Ernesta. È vero che ci sono cose da decidere, ma prima di tutto c'è la voglia di ritrovarci. Partire da casa non è mai facile ma torniamo ricaricati, con nel cuore il calore di amici veri... La fatica c'è, i momenti difficili, la malattia e la perdita segnano la nostra vita, esperienze che attraversano anche il presente dei GF. Ogni giorno ci portiamo nel cuore gli uni gli altri, i gruppi famiglia diventano esperienza di fraternità intima, sorretta dalla fede e dall'amicizia.
Un messaggio, una chiamata, un incontro casuale e si torna a camminare insieme annullando tempo e spazio, un anticipo di eternità su questa terra.
13-I Gruppi Famiglia si raccontano
SCANDICCI
Quando Fabio ed io abbiamo conosciuto i GF, nel 2000, eravamo una coppia abbastanza giovane, con i nostri tre figli, l’ultimo di due anni.
Il primo campo a cui abbiamo partecipato (unica famiglia toscana!) è stata un’esperienza faticosa, ma fondamentale: ci stavamo cominciando a porre il problema di come aiutarci, e aiutare, famiglie come noi a crescere nell’amore e nella fede, a educare bene i figli e a evitare i disastri delle separazioni, che vedevamo crescere rapidamente intorno a noi.
Da quella esperienza (a cui ne sono seguite altre due), col nostro parroco e altre coppie abbiamo avviato un gruppo famiglie e dopo tre anni abbiamo organizzato il primo nostro campo: l’esperienza prosegue ancora, quest’anno saremo al 19°, mentre, nel coordinamento, si preparano (non senza difficoltà) ad avvicendarsi coppie giovani.
In questi anni gli appartenenti al gruppo hanno collaborato a molteplici servizi: animazione della catechesi (cammini permanenti per adulti, in preparazione alle Nozze, al Battesimo, ai Sacramenti dell’iniziazione cristiana dei bambini); della carità (aiuto alimentare, accoglienza invernale per i senza tetto, costituzione di una associazione con diversi progetti rivolti al sociale), di esperienze per coppie giovani e con figli neo battezzati; formazione all’impegno socio-politico e promozione della presenza attiva di parrocchiani nell’amministrazione comunale; partecipazione ad attività e organismi vicariali e diocesani.
Tutto ciò dimostra quanto questo cammino comunitario di famiglie abbia costituito, e costituisca ancora, una base umana e di fede preziosa anche per tantissime altre attività, e siamo felici che diversi dei nostri figli ancora si rendano utili al gruppo stesso, come animatori, o siano impegnati in altri servizi ecclesiali e sociali.
Elda e Fabio Andreuccetti
RONCO BRIANTINO
Sergio ed io abbiamo conosciuto il Gruppo Famiglia nella nostra Parrocchia di Ronco Briantino (MB) ormai diversi anni fa, forse 15. Gli incontri si tenevano una volta al mese con una testimonianza o un “esperto” che introduceva un argomento; ricordo ad esempio la responsabile del CAV Centro Aiuto alla Vita che ci ha parlato dei metodi naturali, oppure don Aristide che ci ha parlato della preghiera in famiglia…
Poi ci si divideva in piccoli gruppi per confrontarci ed è sempre stato un confronto interessante. È incredibile scoprire quante idee diverse ci possano essere anche tra persone appartenenti allo stesso credo.
Poi, grazie ad Ernesta e Gianprimo, abbiamo conosciuto le vacanze estive del Collegamento Gruppi Famiglia. E abbiamo fatto delle bellissime esperienze. Una settimana di vacanza, riflessione e condivisione con altre famiglie. Era bello poi rincontrarsi l’estate successiva in altri Campi Famiglia. La nostra prima esperienza estiva l’abbiamo vissuta a Pollenza, nelle Marche. E poi ne sono seguite altre: Casteltesino per 2 estati, Spello, Sant’Angelo in Vado, Nocera Umbra e Bessen Haut in Valle d’Aosta.
Cosa ci piaceva di queste esperienze estive? La condivisione, il confrontarsi con altri sul rapporto di coppia, i figli, il lavoro, la fede, gli impegni in parrocchia… inoltre erano molto intensi i momenti di riflessione e preghiera con la Messa quotidiana e vivere il Sacramento della Confessione il venerdì. E mentre noi adulti condividevamo momenti comuni era bello che lo stesso facessero i nostri figli tra di loro, con i ragazzi più grandi delle nostre famiglie che facevano da animatori. Sono state settimane rigenerative in cui tutti i membri della famiglia si fermavano a riposare, riflettere, pregare, condividere e giocare. Sì giocare: era divertente la sera tutti insieme cantare, ballare, giocare. Sono stati davvero momenti intensi che hanno lasciato in noi ricordi importanti. Si ritornava a casa carichi di bellezza per affrontare un nuovo anno di vita familiare.
Abbiamo partecipato all’ultimo Campo Famiglia nel 2017, a Bessen Haut, poi i figli sono cresciuti e ora durante l’estate si fanno altre esperienze.
In Parrocchia però il Gruppo Famiglia continua. Purtroppo dopo l’anno horribilis del 2020 in cui il Gruppo Famiglia della nostra Comunità Pastorale ha vissuto un momento di crisi, diverse coppie che vi partecipavano attivamente non sono più venute, ci siamo ritrovati in pochi. Naturalmente ci siamo interrogati sul perché di queste assenze, abbiamo parlato con gli interessati ma non abbiamo compreso a fondo le motivazioni delle loro assenze.
Però non ci siamo scoraggiati, seppure in pochi abbiamo continuato i nostri incontri mensili supportati dal nostro parroco don Adelio.
Col tempo altre persone si sono unite al Gruppo. Da qualche anno seguiamo i percorsi proposti da don Francesco Scanziani che negli anni ha scritto diversi sussidi pensati proprio per i Gruppi Famiglia. Si parte sempre dalla lettura della Parola e grazie al commento e alle domande suggerite da don Francesco, siamo portati a riflettere e a confrontarci tra di noi sull’argomento proposto. Al termine di questo momento di preghiera e riflessione condividiamo la cena ed è l’occasione per raccontarci le nostre vite. Da un paio d’anni, inoltre, a giugno dedichiamo una giornata ad un ritiro presso una Casa di Preghiera sulle Prealpi lecchesi.
Per noi sono momenti preziosi di crescita personale e di coppia.
Elena Ferrerio
PINEROLO
Il nostro ‘gruppo famiglie’- parrocchia Nostra Signora di Fatima, Pinerolo - nato più di 25 anni fa, si ritrova mensilmente per la ‘lectio divina’ e, a seguire, per una cena di condivisione, in parrocchia, il sabato sera.
Un po’ di storia: nel lontano 1997, una carissima amica mi invitò, con la famiglia, ad un incontro conviviale nel salone sottostante la casa parrocchiale, sottolineando l’intenzione di iniziare un’esperienza per giovani famiglie che, con i loro bambini, sarebbero stati insieme a tavola e avrebbero poi continuato la serata con giochi ed attività, “tutti insieme”, un sabato al mese.
Incontrammo lì vecchi amici con bimbi piccoli come la nostra che allora aveva tre anni, e la cosa ci piacque molto. Io, in particolare, sentivo l’esigenza di confrontarmi con altre mamme mie coetanee, condividendo con loro anche il percorso di fede e sentivo che la cosa avrebbe fatto bene anche alla nostra coppia.
Questa modalità di incontro si protrasse per qualche mese, finché una delle coppie, Nicoletta e Corrado, a conoscenza di esperienze di “gruppi famiglie” già avviate nelle vicinanze della nostra città, propose di continuare, aggiungendo però ‘qualcosa’ in più, e fu allora che si decise di iniziare la lettura del libro di Dario Berruto “Fede, dono di Dio, Forza dell’uomo”.
L’idea fu presentata con grande entusiasmo e convinzione e venne accettata dalla maggior parte delle coppie: si iniziò, quindi, questa esperienza, per alcune volte guidata da una coppia di “esperti” che avevano già avviato un gruppo famiglie nella pianura pinerolese e si passò ben presto alla lettura del Vangelo secondo le modalità della ’Lectio Divina’, una novità per molti di noi, me compresa, che piacque subito. Un gruppo iniziò la lettura di Matteo, e ciascun brano veniva inizialmente presentato, a turno, da una coppia; l’altro, invece, preferì approfondire quello della domenica, preparandosi, così, alla celebrazione della messa prefestiva.
La novità che catturò un po’ tutti era che non si trattava più di capire il Vangelo soltanto grazie alle omelie di sacerdoti più o meno ispirati e preparati, ma di esaminarlo “entrandoci”, lasciandosi interrogare, cercandone il significato profondo, individuandone il messaggio in relazione alla propria vita in famiglia, arricchendosi dal confronto con punti di vista diversi dal proprio.
Il primo vangelo letto ed esaminato fu quello di Matteo: ci aiutò molto, nella lettura, l’uso del testo di Silvano Fausti “Una comunità legge il Vangelo di Matteo”, ed allo stesso teologo ci siamo poi ancora affidati per la lettura dei Vangeli di Giovanni, prima, e di Luca, successivamente.
Momento molto importante della serata è sempre stato quello della cena condivisa, infatti a tavola ci si scambiano le ricette dei manicaretti e delle torte creati per l’occasione, insieme alle esperienze della vita quotidiana o dell’educazione dei figli: noi mamme, quasi tutte lavoratrici, più di una volta ci siamo a vicenda incoraggiate nella condivisione dei problemi legati alla gestione della famiglia, e abbiamo lasciato ai papà - e lo facciamo ancora!- il compito di sparecchiare e di lavare le stoviglie. Inutile precisare che i bambini si dedicavano a vari giochi, “animati” dai ragazzi più grandi. Fino a pochi anni fa non mancava l’incontro “fuoriporta” per aprire o concludere l’attività annuale: abbiamo frequentato luoghi come Pra’dMill, Chiusa Pesio, Monastero della Visitazione ed altri, dove fosse possibile l’assistenza di un religioso/a.
Il sopraggiungere della pandemia ha poi notevolmente condizionato i nostri incontri, che per un po’ si sono svolti on line. Il dopo pandemia ha visto una riduzione della partecipazione, specie delle famiglie più giovani, a causa di trasferimenti, problemi di assistenza ai propri anziani, di salute… e le poche famiglie rimaste del gruppo dei giovani che Anna e Ferruccio avevano creato, sono state inglobate negli altri due.
Siamo comunque ancora due gruppi, abbastanza numerosi e quando arriva l’autunno, dopo la pausa estiva, siamo tutti entusiasti di ricominciare!
Carla Maloberti
I GIOVANI...
Noi ci stiamo provando… a non perdere l’eredità di chi, prima di noi, ha cercato di far rete con le famiglie e per le famiglie.
Noi ci stiamo provando… a lasciare il nostro know how e la nostra esperienza ai nostri giovani.
Ecco quello che direbbero, a parti invertite, le dirigenze dei gruppi famiglia in quel di Treviso.
Dirigenze, poi, che parolone! Famiglie che si incontrano e che si scambiano idee, proposte, riflessioni…. dolcetti, rigorosamente accompagnati da un buon caffè, per sviluppare temi e attività che possano essere di aiuto non solo a chi organizza ma anche a chi, poi, fruirà degli incontri.
Lo scoglio, però, non è tanto il gap generazionale né, tanto meno, la collaborazione nell’organizzazione. La difficoltà vera è “attrarre le genti”, offrire un’offerta formativa accattivante, alla portata di tutti e con contenuti consistenti. L’ostacolo vero è essere una proposta credibile e partecipata.
Le proposte formative e non del mondo odierno sono molteplici, divertenti, intriganti ma, talvolta, di poco contenuto formativo.
E quindi il nostro impegno si traduce in questo: riuscire a creare proposte serie, significative e alla portata di tutti sfruttando l’amicizia che lega il gruppo responsabile e le famiglie partecipanti.
La nostra forza siamo noi, sono i nostri giovani animatori, bravi, anzi... bravissimi; volenterosi e capaci, freschi e portatori di una sana gioia coinvolgente; la nostra forza sono le persone che credono nel nostro percorso, che ci seguono con fiducia e partecipazione.
Un plauso a chi, con tenace caparbietà, è riuscito, nel tempo a creare la nostra realtà, a mantenere una guida granitica ai nostri gruppi. Senza mai stancarsi, senza mai mollare, senza cambiare rotta mai, accogliendo e accompagnando la vita di tante famiglie.
Questi ultimi anni, poi, con il contributo di nuove leve nel team, ci hanno visto soddisfatti, sala quasi sempre gremita, famiglie fidelizzate e, a seconda degli argomenti trattati, anche volti nuovi.
Nel concreto: gli incontri invernali sono liberi e aperti a tutti e si svolgono di domenica pomeriggio, a circa 40/45 giorni di distanza uno dall’altro; i temi sono sempre sviluppati da un relatore esterno.
Un’oretta di formazione, un break per un buon caffè a cui segue un momento di dialogo insieme per raccogliere le idee.
I bambini vengono seguiti da un team di animatori ormai navigati e vengono coinvolti in un percorso analogo a quello degli adulti.
Il tutto si conclude con una cena conviviale in condivisione.
Nel periodo estivo, poi, in continuità con i percorsi invernali, una settimana estiva in montagna e, new entry di quest’anno, un weekend in montagna per venire incontro all’esigenze di famiglie impegnate. Con grande gioia, anche quest’anno, nessuna camera vuota. Grande orgoglio per noi ma, siamo sicuri, un momento prezioso per chi parteciperà.
Quindi: il segreto è crederci sempre; il nostro motto: pensa, credi, osa, sogna. Noi, in questo progetto ci crediamo e “rischiando” il nostro tempo e le nostre potenzialità sogniamo di fare sempre meglio ed essere sempre di più!
Seguiteci sui nostri social, prendendo spunto da un noto slogan… WE WANT YOU! Vi aspettiamo per condividere un pezzo di strada insieme!
...E I VECI DI VALLÀ
Una vecchia canzone suonava così: “Gli anni passano, i bimbi crescono, le mamme imbiancano i riccioli d’or!”. Anche i nonni ormai hanno i capelli bianchi o non ce li hanno più in testa!
Però quei bimbi d’un tempo, ora più o meno cinquantenni, hanno raccolto l’eredità e si stanno organizzando molto bene, ossia continuano in modo molto bello l’attività dei Gruppi Famiglia di Vallà con incontri durante l’anno (sale sempre complete di presenze), qualche uscita ricreativa ma anche di formazione e, anche quest’anno si è tenuta sia la settimana estiva con 54 presenze, sia un week end di tre giorni con oltre 60 partecipanti.
Dunque l’attività continua con la formazione familiare composta dagli adulti, da un gruppo di figli giovani molto attivi che fanno momenti di formazione e, a sua volta organizzano tutta l’attività dei più piccoli con riflessioni, disegni, libretti, giochi e altro.
Non ci si può proprio lamentare anzi circola un ottimo affiatamento che spinge un po’ tutti, piccoli e grandi, a continuare l’impegno.
Unica lacuna è che i sacerdoti delle parrocchie sono piuttosto assenti... ma forse è un segno dei tempi perché la realtà liturgica e formativa cristiana dovrà camminare verso un futuro diverso e migliore. Come in ogni epoca, anche nella nostra, occorrerà avere uno sguardo più attento al futuro.
Toni Piccin
14-IL NOSTRO CAMPO ESTIVO
Valle di Cadore 4 - 11 agosto
Per noi il campo è stato un momento di grazia in cui siamo riusciti a fare sintesi su quello che abbiamo costruito insieme come famiglia in questi anni.
Siamo Angela e Vito e con le nostre figlie Anita, Corinne e Ariel abbiamo partecipato al campo famiglie di Valle di Cadore dal 4 al 11 agosto.
Avevamo programmato di fare questa esperienza e da giorni sia noi genitori che le bimbe eravamo tutti molto emozionati di partecipare. Già nel 2018 e nel 2019 avevamo fatto il campo famiglie a Costano con Antonella e Renato Durante, e per tutta la famiglia sono stati giorni preziosi, infatti Anita, la figlia più grande, se li ricorda bene con gioia. Quindi a Valle di Cadore per noi c’era sì la gioia di rifare finalmente dopo anni una bella esperienza con altre famiglie ma c’era anche la sorpresa di conoscere e confrontarci con nuove persone, animatori, luogo della casa, relatori…
In questi anni, dopo i primi campi, abbiamo frequentato la scuola di Vallà (vicino a Castelfranco Veneto) ed abitando a Pordenone non è stato sempre costante la nostra frequenza, ma ogni volta che la domenica pomeriggio si partiva c’era sempre la curiosità della “novità del tema” che si sarebbe ascoltato e relazionato. Ancora di più ci piaceva scoprire chi era la relatrice e il tema che ci esponeva al campo. Il tema era sulla Speranza: “Spero, dunque siamo”. La relatrice è stata Monica Maddalena che ci ha guidato e ispirato in tutta la settimana inserendosi anche lei nei gruppi di lavoro e nei momenti comuni di preghiera e convivialità. Nei vari giorni le linee guida sono state: “Ascolto – Silenzio – Dialogo”, “Dignità della persona e del cittadino”, “Senso della vita tra nichilismo e speranza”, “Le emozioni muovono il mondo” e nell’ultimo giorno si sono ripercorsi insieme i temi dei giorni precedenti.
Monica ci ha esposto e guidato nella nostra riflessione utilizzando vari strumenti: brani di autori vari, poesie, canzoni. Ma la linea guida speciale che Monica adottava per presentare il tema sulla Speranza era quella di lasciare la parola a suo marito (Giuseppe Goisis, mancato lo scorso anno) ripercorrendo i suoi scritti, ma soprattutto raccontandoci il loro vissuto di famiglia e di coppia, di quando andavano a incontri o a conferenze, dei momenti che avevano con i figli e con gli amici. Noi personalmente non abbiamo conosciuto Giuseppe, ma grazie a quello che Monica ci raccontava in modo simpatico di lui, siamo riusciti a comprendere un po’ la sua personalità e a conoscerlo.
Gli spunti che ci dava Monica ci aiutavano a riflettere nei gruppetti, diventando delle buone opportunità per confrontarci, conoscerci, riflettere su nuove prospettive da cui guardare la vita. Ad aiutarci in questo è stata la bella e profonda presenza di padre Francesco che ci ha accompagnato durante quasi tutta la settimana, sia nei momenti liturgici e sia nei momenti di riflessione o di maggiore luce su alcuni passaggi nei vari temi. È stata una presenza bella sia per noi adulti che per i più piccoli.
Il campo famiglie è anche una bella esperienza per la magia che hanno gli animatori con i più piccoli, per come riescono ad entrare in sintonia con loro, riuscendo ad alternare i momenti ludici con momenti di riflessione. Sono stati un bellissimo gruppo di animatori guidati in particolare da Jane. Un gruppetto in prevalenza maschile (Nicola, Emanuele, Alberto, Enrico, Gioele, Pietro) ma in cui Alessia ha dato un bel grande contributo femminile. I bambini con gli animatori hanno seguito il tema in parallelo con noi attraverso la dinamica del “Ponte”. Il ponte per la sua struttura, per come si costruisce e per la sua utilità rappresenta la Speranza nelle nostre vite, relazioni, fa vedere nuove prospettive e soprattutto ci aiuta a ricominciare nel riprendere la via quando si cade.
Non da meno è stata la giornata di uscita e svago in cui con tutte le famiglie siamo andati sopra la val di Zoldo e abbiamo potuto ammirare in particolare il Pelmo e il Civetta. Alcune famiglie con gli animatori sono arrivate sino al rifugio Coldai e al lago del Coldai in cui gli animatori si sono divertiti nel fare il bagno. Questo per noi è stato un bel momento per conoscerci meglio con le altre famiglie e con gli animatori. Camminando, facendo un po’ di fatica, ci si aiuta, ci si dà coraggio ma soprattutto ci si condivide le proprie esperienze di vita.
In tutto questo non si può dimenticare chi era in cucina e ci coccolava in ogni momento della giornata, iniziando a lavorare alle prime luci dell’alba: Carmen e Matteo. Tanti hanno ringraziato per la grande dieta “proteica” di quei giorni, e soprattutto per la super pasta alla Carbonara!
Per me ed Angela è stato un momento profondo sia come coppia e sia personale, in cui siamo riusciti a trovare i nostri spazi di riflessione e di sintesi su quello che abbiamo costruito insieme come famiglia in questi anni. Nella vita quotidiana non è facile fermarsi, stare tranquilli senza sapere se i figli sono in buone mani e in compagnia per poter riflettere, pensare e continuare a sperare per il futuro. Questo fermarsi e riflettere si è reso possibile finalmente nel campo famiglie. È stato un dono avere quello spazio di serenità in cui poter affermare che tutto quello che abbiamo percorso è soprattutto merito di Colui che da sempre ci Guarda e ci Guida. Durante l’anno si corre, e ci sono tante preoccupazioni, soprattutto per non dimenticare scadenze e appuntamenti, ma è sempre solo un correre. Non si riesce a incontrarsi con altre coppie per conoscersi e condividere in modo neutro, senza obblighi o scopi prestabiliti. Siamo grati perché in questi campi riusciamo ad essere noi stessi almeno per qualche giorno. La condivisione tra famiglie per noi è fondamentale per una crescita spirituale, perché nell’ascolto reciproco con le altre coppie delle gioie e dei dolori di ogni famiglia, scopriamo la reale strada percorsa insieme e i lati da recuperare. Siamo molto grati per questi giorni anche per essere riusciti a riposare non solo nello spirito ma anche nel corpo perché sicuri che i nostri figli erano ben al sicuro. E poi tutti i momenti di festa ci hanno aiutato ancor di più a ricordarci che la vita che nostro Signore desidera per noi è una Festa.
In tutto questo ringraziamo le coppie storiche che hanno organizzato e curato ogni momento della giornata Toni e Fiorenza e Toni e Valeria. Li avevamo già conosciuti a Vallà ma vederli in azione nell’organizzazione di tutta una settimana è stato proprio un bel esempio e testimonianza.
Crediamo ancora nella famiglia
15-GRUPPI FAMIGLIA VALLÀ 2024-2025
Incontri-annuncio per adulti desiderosi di crescere nella fede in ogni stagione della loro vita.
20-10-2024 PADRE NOSTRO, PADRE DI TUTTI
come convivere con una comunità sempre più multietnica, alla ricerca di una profonda libertà.
Rel. Don Bruno Baratto
01-12-2024 PER SEMPRE
Ingredienti per vincere la sfida di una vita insieme.
Rel. Marco Scarmagnani
26-01-2025 CRESCERE É UN GIOCO DI SQUADRA
come destreggiarsi tra nuove dipendenze e nuovi linguaggi.
Rel. Dott.Ssa Panaghia Facchinelli
18-03-2025 PERCHÉ PROPRIO A ME?
Educhiamoci a cercare il lato positivo in ciò che ci succede.
Rel. Silvano Bordignon
Per chi avesse Piacere di fermarsi, sarà possibile proseguire con un momento conviviale autogestito in allegria e semplicità.
Il percorso si concluderà con una uscita gioiosa l'11-05-2025.
Gli incontri avranno luogo presso il centro parrocchiale di Vallà nei giorni in calendario secondo la formula seguente:
15:00-15:15 arrivo e accoglienza
15:15-16:30 relazione-annuncio
16:30-17:00 break
17:00-18:00 work-shop di gruppo
È gradita la presenza di tutti i figli. Per loro verranno organizzati momenti di amicizia-scambio, attività-creatività-allegria-festa.
Per informazioni:
Fiorenza e Antonio Bottero: tel. 340 5195718, Elena e Alberto Piccin: tel. 329 882 8790, Yane e Mauro Sanvido: tel. 340 488 0433
16-PER CONCLUDERE
di Noris e Franco Rosada
Le foto a corredo delle ultime pagine della rivista sono frutto di un lavoro di archivio volto a trovare immagini che illustrassero il cammino svolto in questi 35 anni. La ricerca non ha potuto coprire i primi dieci anni di attività perché le poche foto pubblicate erano in bianco e nero.
In compenso speriamo di essere riusciti a coprire bene il periodo successivo.
Quanti volti, quanti amici, alcuni persi per strada, alcuni già in cielo!
In questa ricerca ci siamo imbattuti nella copia fotostatica del primo numero, quello uscito subito dopo il convegno di Castelnuovo Fogliani del 1989, e siamo rimasti colpiti da una parola: spiritualità.
Quando, come Redazione, abbiamo iniziato a imbastire questo numero abbiamo pensato di riproporre il tema del matrimonio cristiano, tema ricorrente ma sempre di attualità per dei lettori che credono nell’esperienza dei Gruppi Famiglia. Cercando il materiale da pubblicare, alla fine ci siamo imbattuti in un testo ante-Concilio - ma in qualche modo anticipatore - La spiritualità della vita coniugale, scritto da mons. Colombo, e abbiamo deciso di dargli ampio spazio.
Spiritualità dunque: una parola chiave per vivere appieno il sacramento del matrimonio, una parola chiave per vivere la fede cristiana, nel 1960 come nel 2024.
Senza spiritualità, senza vita nello Spirito, vano è il nostro impegno come coppia, come genitori, come testimoni del Cristo risorto.
17-Su ali d'aquila
La mèta di ogni matrimonio cristiano è alta, da percorrere “su ali di aquila” (Dt
19,4), per giungere ad una vetta ardita: l’imitazione di Dio. “Siate santi
per-ché io il Signore, Dio vostro, sono santo” (Lv 19,2).